CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 27 gennaio 2005(1)



Causa C-186/04



Pierre Housieaux





(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Conseil d'État belga)

«Libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente – Richiesta di accesso all'informazione – Obbligo di motivazione in caso di rifiuto – Silenzio di una pubblica autorità in pendenza del termine di risposta – Finzione di tacito rigetto – Diritto fondamentale a una tutela giuridica effettiva e diritto a una buona amministrazione»






I – Introduzione

1.        La presente causa ha ad oggetto il diritto dei cittadini all’accesso all’informazione in materia di ambiente, o meglio le procedure che, in tale ambito, possono essere utilizzate di fronte alle autorità nazionali.

2.        Nella regione belga Bruxelles-Capitale (Région de Bruxelles-Capitale ovvero Brussels Hoofdstedelijk Gewest), in base alle norme applicabili nel periodo di tempo rilevante in questo caso, le domande di accesso alle informazioni in materia ambientale si ritenevano tacitamente respinte una volta trascorso il termine previsto per l’esame di esse.

3.        Al centro della domanda di pronuncia pregiudiziale che il Consiglio di Stato belga (Conseil d’Etat ovvero Raad van State) ha sottoposto alla Corte è la questione se una simile finzione giuridica sia compatibile con il diritto comunitario.

II – Contesto normativo

A – Diritto comunitario

4.        Il contesto normativo comunitario della presente causa è determinato dalla direttiva del Consiglio 7 giugno 1990, 90/313/CEE, concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente (in prosieguo: la «direttiva 90/313»)  (2) .

5.        L’art. 3 della direttiva 90/313 fissa, al suo n. 1, il principio secondo cui devono essere rese «disponibili le informazioni relative all’ambiente a qualsiasi persona, fisica o giuridica, che ne faccia richiesta, senza che questa debba dimostrare il proprio interesse». Nei nn. 2 e 3 sono quindi indicate le possibili ragioni per un rifiuto.

6.        Ai sensi dell’art. 3, n. 4 della medesima direttiva «l’autorità pubblica risponde al richiedente nei più brevi termini possibili e comunque entro due mesi. Il rifiuto di fornire le informazioni richieste deve essere motivato».

7.        Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 90/313 «chiunque ritenga che la sua richiesta di informazioni sia stata infondatamente respinta o ignorata, o reputi inadeguata la risposta fornita da un’autorità pubblica, può chiedere un riesame giudiziario o amministrativo della decisione in conformità del sistema giuridico nazionale pertinente».

B – Diritto nazionale

8.        Le disposizioni nazionali pertinenti sono contenute in un’ordinanza della Regione Bruxelles-Capitale, e precisamente nell’ordinanza del 29 agosto 1991 sull’accesso alle informazioni relative all’ambiente nella regione Bruxelles-Capitale (in prosieguo: l’«ordinanza regionale»).

9.        Ai sensi di tale ordinanza regionale, è compito in primo luogo dei competenti uffici amministrativi esaminare, nel termine di un mese, le richieste di accesso all’informazione in materia di ambiente, e di dare quindi, se del caso, corso ad esse. Il rigetto di tali domande è invece riservato ai cosiddetti delegati del consiglio della regione Bruxelles-Capitale (Délégués du Conseil de la Région de Bruxelles-Capitale). Per la loro decisione è previsto in via di principio un termine di un ulteriore mese. Se, nel termine complessivo di due mesi dopo la richiesta non è stata assunta alcuna decisione, la richiesta si considera rigettata.

10.      Nel dettaglio, tale situazione di diritto è il prodotto delle seguenti disposizioni dell’ordinanza regionale:

«Articolo 8

Per quel che concerne i dati diversi dai documenti di cui all’art. 7 [quelli consultabili sul posto], e senza pregiudizio della facoltà, per una amministrazione, di lasciarli consultare immediatamente sul posto, l’amministrazione alla quale la richiesta è stata indirizzata dispone di un mese per rispondere per iscritto al richiedente.

Quando, alla scadenza del termine indicato, non è stato dato seguito alla richiesta, il silenzio dell’amministrazione è reputato costituire una decisione di rifiuto d’accesso. In questo caso, il richiedente può, in deroga all’art. 12, par. 2, adire direttamente i delegati del Consiglio, che decideranno sulla richiesta.

Articolo 12

1)        Solo i delegati del Consiglio sono competenti a rifiutare l’accesso a un dato detenuto dalla amministrazione (…). Essi esercitano questa competenza collegialmente e nei limiti definiti all’art. 9.

2)       (…) l’amministrazione che rifiuta di divulgare un dato per il quale sia stata presentata una richiesta d’accesso deve informarne il richiedente e adire allo stesso tempo i delegati del Consiglio. Il rinvio ai delegati del Consiglio avviene mediante trasmissione della richiesta d’accesso, accompagnata da un esemplare o da una copia del dato e dei motivi che, secondo l’amministrazione, giustificano il rifiuto d’accesso. Il termine di cui all’art. 8, par. 1, è prolungato di un mese dalla notifica al richiedente del rinvio ai delegati del Consiglio.

Articolo 13

Qualsiasi decisione di rifiuto, totale o parziale, d’accesso deve indicare in maniera chiara, precisa, completa e veritiera, i motivi con cui si intende giustificarla.

Articolo 14

I delegati del Consiglio comunicano al richiedente il documento richiesto o gli notificano il rifiuto d’accesso nei due mesi seguenti la richiesta. Trascorso questo termine, il silenzio è reputato costituire una decisione di rifiuto di accesso. La loro decisione è ugualmente comunicata all’amministrazione a cui è stata rivolta la richiesta d’accesso 3  –Nel frattempo, la seconda frase dell'articolo 14 dell’ordinanza regionale («trascorso questo termine, il silenzio è reputato costituire una decisione di rifiuto d’accesso») è stata abrogata dall’ordinanza della regione Bruxelles-Capitale del 2 marzo 2000 (Moniteur Belge 5 aprile 2000, n. 69, pag. 10595). Tuttavia, ratione temporis, la disposizione rimane ancora applicabile nella sua formulazione originaria ai fatti del procedimento principale.».

III – Fatti e procedimento principale

11.      Nel territorio del comune belga di Ixelles (anche: Elsene), nella Regione di Bruxelles-Capitale, si è iniziato nel 1991 il recupero urbanistico («riurbanizzazione») del terreno di un ex ospedale militare, per realizzare principalmente abitazioni ed una superficie verde più ampia.

12.      Della realizzazione di tale progetto è stato incaricato un ente di diritto pubblico, la società di sviluppo regionale Société de développement régional de Bruxelles (in prosieguo: la «SDRB»)  (4) . Quindi, nel luglio del 1992, la SDRB ha concluso un contratto con un raggruppamento privato di imprese, la Association momentanée SA Bâtipont Immobilier – SA Immomills Louis De Waele Development. In base ad esso il raggruppamento di imprese è stato incaricato di realizzare un complesso di edifici sulla base di un programma già predisposto dalla SDRB.

13.      Il ricorrente nel procedimento principale, il signor Housieaux (in prosieguo: il «ricorrente») ha richiesto alla SDRB, con nota del 21 marzo 1993, di prendere visione di tale contratto, nonché la trasmissione di una copia dello stesso. La SDRB ha respinto la sua domanda il 5 aprile 1994, adducendo la mancanza delle norme procedimentali per il settore di sua competenza.

14.      Contro tale decisione il ricorrente ha presentato, in data 22 aprile 1994, ricorso dinanzi ai resistenti del procedimento principale, i delegati del Consiglio della regione Bruxelles-Capitale (in prosieguo: i «resistenti»), confermando la propria richiesta di avere accesso al contratto controverso.

15.      Dopo ulteriori scambi di comunicazioni, i resistenti, nella propria seduta del 1° febbraio 1995, hanno deciso di accogliere parzialmente la domanda del ricorrente, consentendogli la visione di due allegati del detto contratto, «poiché essi riguardano l’ambiente». La decisione è stata comunicata al ricorrente con nota del 3 febbraio 1995; insieme ad essa sono stati trasmessi i due allegati.

16.      Contro tale decisione il ricorrente ha presentato ricorso, il 31 marzo 1995, di fronte al giudice a quo.

17.      Nel procedimento principale i resistenti sostengono l’inammissibilità del ricorso. Essi sostengono che la propria decisione del 1° febbraio 1995 è stata solamente un provvedimento ripetitivo, nei confronti del quale non era possibile un ricorso. Infatti, fatta eccezione per la concessione dell’accesso ai due allegati del contratto controverso, la decisione del 1° febbraio 1995 avrebbe soltanto confermato una precedente decisione tacita di rigetto della domanda. A seguito del silenzio dei resistenti, protrattosi per il periodo previsto di due mesi, la richiesta del ricorrente doveva ritenersi, ai sensi dell’art. 14 dell’ordinanza regionale, implicitamente respinta. Tale decisione di rigetto sarebbe ormai definitiva, poiché il ricorrente non l’avrebbe impugnata giurisdizionalmente nei termini previsti. Nell’articolo 14, § 1, delle leggi coordinate sul Consiglio di Stato belga è previsto infatti un termine di decadenza di 60 giorni.

18.      Nel procedimento principale sono intervenuti ad opponendum la SDRB e la SA Immomills Louis de Waele Development.

IV – Questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

19.      Con decisione 1° aprile 2004 il Consiglio di Stato belga ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)
Se il termine di due mesi di cui all’art. 3, n. 4, della direttiva del Consiglio 7 giugno 1990, 90/313/CEE, concernente la libertà d’accesso all’informazione in materia d’ambiente, sia un termine ordinatorio, ossia un termine semplicemente indicativo per l’autorità alla quale è stata indirizzata una richiesta d’informazione, o un termine perentorio il cui il rispetto s’impone a questa autorità.

2)
Qualora il termine di due mesi sia un termine perentorio e, alla sua scadenza, l’autorità alla quale una richiesta d’informazioni è stata indirizzata non abbia preso alcuna decisione, quale sia la “decisione”, menzionata all’art. 4, ultima frase, della direttiva citata, contro cui si può esperire un ricorso giurisdizionale o amministrativo “in conformità del sistema giuridico nazionale pertinente”.

3)
Se gli artt. 3, n. 4, e 4 della direttiva citata vietino che un “sistema giuridico nazionale pertinente” interpreti il silenzio dell’autorità cui è stata indirizzata una richiesta d’informazione, silenzio mantenuto durante i due mesi indicati all’art. 3, n. 4, della direttiva, come una decisione implicita di rigetto della richiesta, decisione che non è dunque motivata, ma che può costituire oggetto del ricorso giurisdizionale o amministrativo di cui all’art. 4.

4)
Qualora il termine di due mesi di cui all’art. 3, n. 4, sia un termine ordinatorio, se gli artt. 3, n. 4, e 4 della direttiva impediscano che un “sistema giuridico nazionale pertinente” possa offrire a colui che chiede l’informazione la facoltà di ingiungere all’autorità di rispondere alla sua richiesta d’informazione in un certo termine, prevedendo che, in assenza di risposta, il silenzio persistente dell’autorità varrà decisione implicita di rifiuto di comunicare l’informazione, decisione che potrà essere oggetto di un ricorso giurisdizionale o amministrativo».

20.      Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato memorie e osservazioni il ricorrente, i resistenti, la SDRB, nonché la Commissione.

V – Valutazione

21.      Le quattro questioni poste dal Consiglio di Stato belga riguardano tutte aspetti procedurali del diritto di accesso alle informazioni in materia di ambiente. Ritengo opportuno esaminarle in un ordine lievemente diverso, trattando la terza questione prima della seconda.

A – Sulla prima questione: carattere perentorio del termine di cui all’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313

22.      Con la prima questione il giudice a quo desidera essenzialmente sapere se il termine previsto per le autorità pubbliche degli Stati membri all’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313 abbia carattere perentorio oppure meramente ordinatorio.

23.      Già il tenore letterale di questa disposizione fa ritenere che si tratti di un termine perentorio, e non soltanto ordinatorio. È infatti previsto che «l’autorità pubblica risponde al richiedente nei più brevi termini possibili e comunque entro due mesi». Dunque il termine di due mesi rappresenta il limite estremo del tempo di risposta («comunque entro»), a cui si accompagna un invito alla celerità laddove – in accordo con il principio della buona amministrazione  (5) – va data una risposta «nei più brevi termini possibili», dunque possibilmente in meno di due mesi. Rimane dunque uno spazio per la flessibilità all’interno del termine di due mesi - e comunque solo con l’obiettivo di accelerare i tempi -, non però oltre il detto termine.

24.      Questa interpretazione corrisponde anche alla ratio della norma. La direttiva 90/313 ha come obiettivo quello di garantire ai singoli un diritto individuale all’accesso alle informazioni in materia di ambiente. Tale diritto verrebbe ad essere privo di valore se un’autorità pubblica potesse prendersi un tempo indefinito per decidere su una domanda in tal senso. Infatti, il valore delle informazioni in materia di ambiente è legato anche alla possibilità che il singolo possa disporre di esse in tempi quanto più rapidi possibile. Un rapido accesso alle informazioni attuali in materia di ambiente rende in particolare più agevole al richiedente l’ulteriore utilizzo di tali informazioni, ad esempio nell’ambito di procedure di costruzione o di pianificazione, nelle quali egli sia eventualmente coinvolto in quanto vicino e intenda difendere i propri interessi.

25.      Ritenere il termine meramente ordinatorio renderebbe altresì illusoria la tutela giuridica dei singoli ai sensi dell’art. 4 della direttiva. In base ad esso gli Stati membri sono tenuti a predisporre strumenti giuridici di tutela per il caso in cui una persona ritenga che la propria domanda «sia stata infondatamente respinta o ignorata». Se alle autorità pubbliche non fosse imposto alcun termine perentorio, ma soltanto termini ordinatori, dal semplice mancato rispetto dei termini non si potrebbe direttamente dedurre che una richiesta di accesso ad informazioni in materia di ambiente sia stata «infondatamente ignorata». La tutela giuridica prevista dall’art. 4 della direttiva per il caso di inerzia verrebbe dunque quantomeno resa più ardua, se non impossibile.

26.      Va infine considerato che un’interpretazione del termine di due mesi quale termine meramente ordinatorio potrebbe altresì condurre allo sviluppo di pratiche amministrative differenziate nei vari Stati membri. Ai singoli verrebbe infatti garantito un accesso rapido o meno rapido alle informazioni richieste in materia di ambiente a seconda che le autorità pubbliche interessate si attengano più o meno strettamente alla previsione di un termine di due mesi. In tal caso, però, il diritto di accesso alle informazioni in materia di ambiente avrebbe contenuti assai diversi in base allo Stato membro nel quale la domanda viene proposta, e forse anche in base all’autorità pubblica alla quale ci si rivolge. Un simile sviluppo si porrebbe in contrapposizione con l’obiettivo della direttiva 90/313 di assicurare la parità di trattamento dei cittadini comunitari e di evitare distorsioni nella concorrenza  (6) .

27.      Per i motivi indicati concordo con tutte le parti del procedimento sul fatto che il termine imposto dall’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313 alle autorità degli Stati membri abbia carattere perentorio  (7) .

B – Sulla terza questione: implicito rigetto delle domande allo spirare del termine

28.      Con la sua terza questione il giudice a quo intende essenzialmente sapere se l’articolo 3, n. 4, della direttiva 90/313 si opponga a che una normativa nazionale consideri il silenzio di un’autorità pubblica, scaduto il termine di due mesi, quale provvedimento tacito di rigetto della domanda di accesso alle informazioni in materia di ambiente: in un simile caso, infatti, il rigetto non è motivato.

29.      Il punto di partenza per dare una risposta a tale questione dovrebbe essere la sentenza resa nella causa Commissione/Francia  (8) . In tale causa la Corte ha infatti ritenuto perfettamente ammissibile, nell’ambito di applicazione della direttiva 90/313, considerare il silenzio di un’autorità pubblica quale decisione tacita di rigetto  (9) . Al tempo stesso la Corte ha però anche sottolineato che, in caso di rigetto tacito di una domanda di accesso ad informazioni in materia di ambiente, i motivi di tale rigetto debbono essere comunicati entro il termine di due mesi dalla presentazione dell’originaria domanda, poiché tale comunicazione, in questo caso, deve essere considerata quale «risposta» ai sensi dell’articolo 3, n. 4, della direttiva  (10) .

30.      A prima vista, tali affermazioni contenute nella sentenza Commissione/Francia appaiono contraddittorie: da un lato è ammissibile una decisione tacita di rigetto, dall’altro sussiste tuttavia un obbligo di fornire al richiedente, in un termine di due mesi, una risposta esplicita, e in particolare di comunicargli le ragioni dell’eventuale rifiuto. Le due cose non appaiono conciliabili, poiché, se un’autorità pubblica è tenuta a rendere note ad un richiedente in modo esplicito le ragioni per la propria decisione, allora non rimane più spazio per decisioni tacite di rigetto che si formino attraverso il semplice decorso di un termine.

31.      Questa apparente contraddizione si risolve se si tengono presenti insieme il diritto fondamentale ad una effettiva tutela giuridica  (11) e il diritto ad una buona amministrazione  (12) . Come è noto gli Stati membri, quando si muovono nell’ambito del diritto comunitario, devono rispettare i principi fondamentali riconosciuti a livello comunitario  (13) , e i diritti comunitari fondamentali  (14) in particolare  (15) .

32.      Dal diritto ad una buona amministrazione deriva il dovere dell’amministrazione di motivare le proprie decisioni  (16) . Tale motivazione non è solo una generale espressione della trasparenza dell’operare amministrativo, ma deve anche, in particolare, mettere i singoli in grado di decidere, sulla base della conoscenza di tutte le circostanze, se convenga loro rivolgersi ad un giudice  (17) . Sussiste pertanto una stretta relazione tra il dovere di motivazione e il diritto fondamentale ad una effettiva tutela giuridica.

33.      Non sarebbe compatibile né con il diritto ad una buona amministrazione, né con il diritto fondamentale ad un’effettiva tutela giuridica attribuire a un’autorità pubblica la facoltà di lasciar semplicemente passare il termine di due mesi previsto dall’articolo 3, n. 4, della direttiva 90/313, e che ciò potesse essere fittiziamente considerato un legittimo rigetto di una domanda di accesso ad informazioni in materia di ambiente. Di conseguenza la Corte ha stabilito che al cittadino, in caso di rigetto della sua domanda, deve essere comunicata d’ufficio una motivazione: non necessariamente insieme con la decisione, ma comunque entro il termine di due mesi  (18) .

34.      Sulla base di quanto precede ritengo, d’accordo con il signor Housieaux e la Commissione, e al contrario di quanto sostengono i resistenti e la SDRB, che il semplice silenzio di una pubblica autorità per tutto il termine di due mesi non possa mai costituire una modalità di procedere compatibile con la direttiva, relativamente all’esame di una domanda di accesso ad informazioni in materia di ambiente. Invece, il significato attribuito dalla legge al silenzio di una pubblica autorità in quanto rigetto della domanda ad essa rivolta può costituire soltanto una costruzione giuridica di supporto , mediante il quale il cittadino è messo in grado di richiedere all’esterno un’effettiva tutela giuridica contro la ( illegittima ) inerzia della pubblica autorità. Intesa in questo modo, la finzione del silenzio come rigetto (o come accoglimento) è soprattutto un mezzo per disciplinare la pubblica autorità. Tale finzione deve in primo luogo rafforzare i diritti degli interessati, e può altresì, auspicabilmente, favorire un’accelerazione delle procedure amministrative.

35.      Finzioni di questo tipo sono del resto tutt’altro che sconosciute anche a livello comunitario. Nell’ambito che qui interessa è in particolare da rilevare che, in base al «Regolamento sulla trasparenza» della Comunità, una richiesta di accesso ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio o della Commissione si ritiene respinta, quando l’organo interessato stesso non ha risposto, nel termine prescritto, ad una seconda domanda proposta dall’interessato  (19) . Allo stesso modo, nel diritto del pubblico impiego comunitario il silenzio dell’istituzione di impiego nei confronti di una richiesta o di un reclamo di un dipendente vale come tacito rigetto  (20) . Il diritto comunitario della concorrenza conosce anche finzioni di decisioni a contenuto positivo: in base ad esso una concentrazione di imprese comunicata alla Commissione si ritiene autorizzata quando la Commissione non ha assunto, entro un termine predefinito, alcuno dei provvedimenti previsti nel regolamento CE sulle concentrazioni  (21) ; lo stesso vale quando la Commissione non ha avviato, nel termine previsto, il procedimento per la verifica di un aiuto di Stato che le sia stato comunicato  (22) .

36.      Tutte queste finzioni sono però costruzioni giuridiche di supporto, che mirano a rafforzare i diritti del richiedente. In nessun caso tali finzioni mirano ad attenuare, o addirittura a esonerare gli organi comunitari interessati dall’obbligo, normativamente previsto, di fornire al richiedente, in ogni singolo caso, una risposta espressa e motivata .

37.      L’obbligo di motivazione derivante dal diritto comunitario sarebbe svuotato se si consentisse ad una pubblica autorità di lasciar semplicemente trascorrere il termine previsto, anziché fornire una risposta espressa ad una domanda presentata  (23) . A differenza di quanto sostengono i resistenti, il silenzio di una pubblica autorità non può, in quanto tale, fornire alcuna indicazione sugli eventuali motivi per un accoglimento o un rigetto della richiesta (24) . Così, ai sensi dell’art. 3, nn. 2 e 3, della direttiva 90/313, il rigetto di una domanda di accesso ad informazioni in materia di ambiente è possibile per diverse ragioni. Lo stesso vale per l’eventuale diniego di accesso ai documenti ai sensi dell’art. 4 del regolamento n. 1049/2001. E va detto che la decisione sulla compatibilità di una concentrazione o di un aiuto di Stato con il mercato comune richiede, di regola, la valutazione di implicazioni economiche complesse. I destinatari della decisione (i richiedenti, o eventualmente i terzi  (25) ) potrebbero al più avanzare delle supposizioni su quali siano i motivi che, nel singolo caso, abbiano determinato il silenzio della pubblica autorità, e anche sul fatto stesso se la pubblica autorità si sia, nel termine previsto, formato un proprio convincimento. Dover fare assegnamento su delle supposizioni contrasta però con il diritto dei cittadini ad una buona amministrazione, nonché con il diritto fondamentale ad una effettiva tutela giuridica.

38.      Riassumendo, dunque:

L’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313 si oppone a una normativa nazionale ai sensi della quale una richiesta di accesso ad informazioni in materia di ambiente può essere respinta, senza motivazione, attraverso il semplice silenzio di una pubblica autorità protratto per un periodo di due mesi.

Per contro, l’art. 3, n. 4, in combinato disposto con l’art. 4 della medesima direttiva, non si oppone a una normativa nazionale ai sensi della quale, al fine di garantire una effettiva tutela giuridica, il silenzio di una pubblica autorità, protrattosi per il periodo di due mesi, vale come decisione impugnabile ai sensi del diritto nazionale vigente.

C – Sulla seconda questione: rimedi giurisdizionali in caso di silenzio della pubblica autorità

39.      Con la seconda questione il giudice a quo desidera sapere quale sia la «decisione» impugnabile, ai sensi dell’art. 4 della direttiva 90/313, nel caso in cui una pubblica autorità sia rimasta in silenzio, rispetto ad una domanda, per il periodo di due mesi previsto dall’art. 3, n. 4, della medesima direttiva.

40.      A prima vista si può pensare che tale questione risulti già risolta da quanto detto a proposito della questione n. 3. A una più attenta analisi, tuttavia, e in particolare considerando i fatti del procedimento principale, con tale seconda questione è necessario ancora chiarire come debbano essere trattati i casi nei quali ad un implicito rigetto, vale a dire, dopo la scadenza del termine di due mesi per la trattazione della domanda, faccia seguito una esplicita decisione (almeno parzialmente di rigetto) dell’autorità competente.

41.      L’art. 4 della direttiva 90/313 fissa soltanto il principio secondo il quale va garantita un’effettiva tutela giuridica, come del resto imposto dai diritti comunitari fondamentali  (26) . Tale protezione deve essere garantita non solo nel caso di risposta esplicita (e almeno parzialmente negativa) alla domanda di accesso ad informazioni in materia di ambiente  (27) , ma anche nel caso di inerzia (silenzio) dell’autorità pubblica  (28) . Conformemente all’art. 249, n. 3, CE, resta invece affidata agli Stati membri la decisione circa la forma e i modi per il raggiungimento di tale obiettivo.

42.      Il contenuto dell’art. 4 della direttiva 90/313, laddove si parla di una «decisione», di cui il richiedente può «chiedere un riesame», illustra in via esemplificativa la tutela giuridica soltanto per il caso in cui vi sia stata una risposta espressa, ma (almeno parzialmente) negativa alla richiesta di accesso alle informazioni. Al contrario, l’art. 4 non contiene alcun concreto esempio di possibile strumento di tutela giuridica per il caso di inerzia di fronte ad una richiesta di informazioni, cioè di silenzio della pubblica autorità: ciò anche perché le modalità procedimentali di tutela nei confronti dell’inerzia di una pubblica autorità possono variare notevolmente nei vari Stati membri. Si può infatti ipotizzare non solo un ricorso per carenza  (29) , ma anche la già ricordata finzione giuridica, normativamente prevista, che equipari il silenzio ad un rigetto, connessa con la possibilità di impugnare tale implicito rigetto  (30) .

43.      In base al principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri  (31) è dunque perfettamente ammissibile – come già evidenziato nella risposta alla terza questione  (32) – che in un ordinamento nazionale, allo scopo di garantire l’effettività della tutela giuridica, il silenzio di una pubblica autorità protrattosi per il termine di due mesi sia considerato quale decisione impugnabile secondo il diritto interno vigente.

44.      Il diritto comunitario pone comunque anche dei limiti all’autonomia procedurale degli Stati membri. Così, le modalità procedurali previste per le azioni finalizzate ad ottenere diritti riconosciuti dall’ordinamento comunitario non possono essere più gravose di quelle per analoghe azioni basate sul diritto interno (principio di equivalenza), né possono rendere praticamente impossibile o comunque eccessivamente difficoltoso l’esercizio di diritti riconosciuti dall’ordinamento comunitario (principio di effettività)  (33) .

45.      Disposizioni procedurali nazionali ai sensi delle quali il silenzio della pubblica autorità può essere contestato soltanto entro un determinato termine possono risultare problematiche alla luce del principio di effettività. Il problema si acuisce allorché, in forza del diritto processuale nazionale, non sia più ricevibile nemmeno il ricorso contro una decisione di rigetto successiva, espressa, in quanto precedentemente il silenzio della pubblica autorità era stato fittiziamente interpretato come rigetto implicito , e il termine per tale rigetto implicito sia ormai scaduto.

46.      Vero è che, in un altro contesto (relativo al rimborso di tributi non dovuti) la Corte ha già affermato che la previsione di ragionevoli termini di decadenza per l’esercizio dell’azione, nell’interesse della certezza del diritto, può essere compatibile con il diritto comunitario, e in particolare con il principio di effettività  (34) . Analogamente sono ipotizzabili casi in cui un richiedente decada dal proprio diritto di ricorso contro una decisione dell’autorità successiva espressa (e almeno in parte di rigetto) in quanto non ha precedentemente ed entro i termini impugnato il silenzio della stessa autorità. A titolo di esempio, una tale decadenza dal diritto di ricorso è prevista nel diritto del pubblico impiego comunitario. Infatti, per il dipendente delle Comunità il termine di ricorso comincia a decorrere già con il tacito rigetto nel reclamo da esso presentato  (35) ; eventuali decisioni espresse successive dell’autorità che ha potere di nomina possono essere impugnate soltanto se adottate ancora entro l’originario termine di decadenza per proporre ricorso  (36) .

47.      La situazione di un dipendente delle Comunità che si contrapponga alla propria autorità amministrativa non è tuttavia comparabile a quella del cittadino che presenti a una pubblica autorità una domanda di accesso a informazioni di materia ambientale. I dipendenti pubblici, infatti, già al momento dell’assunzione vengono di regola informati in merito agli aspetti essenziali del diritto del pubblico impiego loro applicabile, ed hanno inoltre dimestichezza con la prassi amministrativa quotidiana. Non si può dare per presupposto che lo stesso valga per il comune cittadino, in particolare per il cittadino non esperto di diritto. Di regola colui che chiede di accedere a informazioni in materia ambientali non sa affatto se e quando scadrà il termine per ottenere risposta alla propria domanda e quando, eventualmente, inizierà a decorrere per lui il termine per proporre un qualche tipo di ricorso.

48.      Se si ammettesse, in un tale contesto, l’introduzione di termini di ricorso perentori, entro i quali il cittadino debba impugnare l’inerzia di una pubblica autorità, la finzione del silenzio come rigetto – la quale, come già detto, è destinata proprio a garantire l’effettività della tutela giuridica – diverrebbe , per il cittadino, una trappola. Il problema è stato correttamente puntualizzato dal ricorrente in udienza: il richiedente che, anche dopo la scadenza del termine di risposta di due mesi attenda una reazione dell’autorità e non avvii immediatamente un’azione giudiziaria, verrebbe dunque punito per la sua pazienza.

49.      Il diritto del cittadino ad accedere liberamente alle informazioni in materia di ambiente verrebbe in tal modo chiaramente leso. Tutto ciò si pone però in contrasto con la ratio della direttiva 90/313, che mira proprio ad attribuirgli un tale accesso e ad agevolarglielo.

50.      Riassumendo, dunque:

L’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313, in combinato disposto con l’art. 4 della stessa, non si oppone a che una normativa nazionale, al fine di garantire un’effettiva tutela giuridica, equipari il silenzio di una pubblica autorità protratto per due mesi ad un provvedimento impugnabile in base all’ordinamento nazionale.

A prescindere da ciò, tuttavia, anche una decisione espressa della pubblica autorità con la quale quest’ultima, dopo la scadenza del termine di due mesi, abbia, quantomeno parzialmente, negato l’accesso ad informazioni in materia ambientale, dev’essere impugnabile secondo l’ordinamento giuridico nazionale.

D – Sulla quarta questione: il silenzio dell’autorità nel caso di termini ordinatori

51.      Alla luce della soluzione che suggerisco di dare alla prima questione – l’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313 contiene un termine perentorio, non meramente ordinatorio –, non è necessario risolvere la quarta questione.

VI – Conclusione

52.      Sulla base delle considerazioni svolte, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali sollevate dal Consiglio di Stato belga:

1)
Il termine previsto dall’art. 3, n. 4, della direttiva del Consiglio 7 giugno 1990, 90/313/CE, concernente le libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente, ha, per le pubbliche autorità degli Stati membri, carattere perentorio.

2)
L’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313 si oppone a una normativa nazionale ai sensi della quale una richiesta di accesso ad informazioni in materia di ambiente può essere respinta, senza motivazione, attraverso il semplice silenzio di una pubblica autorità protratto per un periodo di due mesi.

Per contro, l’art. 3, n. 4, in combinato disposto con l’art. 4 della medesima direttiva, non si oppone a una normativa nazionale ai sensi della quale, al fine di garantire un’effettiva tutela giuridica, il silenzio di una pubblica autorità, protratto per due mesi, vale come provvedimento impugnabile ai sensi del diritto nazionale vigente.

A prescindere da ciò, tuttavia, anche una decisione espressa della pubblica autorità con la quale quest’ultima, dopo la scadenza del termine di due mesi, abbia, quantomeno parzialmente, negato l’accesso ad informazioni in materia ambientale, dev’essere impugnabile secondo l’ordinamento giuridico nazionale.


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Lingua originale: il tedesco.


2
GU L 158, pag. 56. Tale direttiva è abrogata e sostituita dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/4/CE (GU L 41, pag 26; in prosieguo: la «direttiva 2003/4»), con effetto dal 14 febbraio 2005: per la presente causa si deve dunque fare riferimento alla direttiva 90/313.


3
Nel frattempo, la seconda frase dell'articolo 14 dell’ordinanza regionale («trascorso questo termine, il silenzio è reputato costituire una decisione di rifiuto d’accesso») è stata abrogata dall’ordinanza della regione Bruxelles-Capitale del 2 marzo 2000 ( Moniteur Belge 5 aprile 2000, n. 69, pag. 10595). Tuttavia, ratione temporis, la disposizione rimane ancora applicabile nella sua formulazione originaria ai fatti del procedimento principale.


4
Sullo status della SDRB in quanto ente di diritto pubblico, oltre che sui suoi compiti, vedi anche le informazioni reperibili su: http://www.sdrb.irisnet.be/fr/mainf.html (18 novembre 2004).


5
V. anche le mie conclusioni 30 marzo 2004, causa C-417/02, Commissione/Grecia, decisa con sentenza 9 settembre 2004 (Racc. pag. I-1793).


6
V. quinto ‘considerando’ della direttiva 90/313.


7
Con argomentazioni simili la Corte ha confermato il carattere perentorio del termine previsto all'art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/105/CEE, riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia (GU L 40, pag. 8; in prosieguo: la «direttiva 89/105») nelle sentenze 20 gennaio 2005, causa C‑245/03, Merck, Sharp & Dome, (Racc. pag. I‑637, punti 20‑24) e causa C‑296/03, Glaxosmithkline (Racc. pag. I‑669, punti 26‑30); in proposito, v anche le conclusioni dell'avvocato generale Tizzano presentate il 30 settembre 2004 nelle cause C‑245/03 e C‑296/03 (Racc. pag. I‑637, paragrafi 35 e segg.).


8
Sentenza 26 giugno 2003, causa C-233/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I-6625).


9
Sentenza Commissione/Francia (cit. alla nota 8, punto 111).


10
Sentenza Commissione/Francia (cit. alla nota 8, punto 118).


11
Sentenze 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punti 18 e 19); 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores (Racc. pag. I-6677, punto 39), e 16 novembre 2004, causa C-327/02, Panayotova e a. (Racc. pag. I-11055, punto 27); v. anche l’art. 47, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (GU 2000, C 364, pag. 1; sul valore giuridico di tale Carta v. le mie conclusioni 14 ottobre 2004, causa C-387/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I-3565, nota 83).


12
Art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; v. anche sentenza 25 settembre 2003, causa C-170/02 P, Schlüsselverlag J.S. Moser e a. (Racc. pag. I-9889, punto 29), dove si parla di «buona amministrazione».


13
Sentenze 26 ottobre 1995, causa C-36/94, Siesse (Racc. pag. I-3573, punto 21), e 12 luglio 2001, causa C-262/99, Louloudakis (Racc. pag. I-5547, punto 67). V. anche sentenza 3 luglio 2003, causa C-220/01, Lennox (Racc. pag. I-7091, punto 76).


14
Sentenze 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT (Racc. pag. I-2925, punto 42); 12 giugno 2003, causa C-112/00, Schmidberger (Racc. pag. I-5659, punti 74 e 75), e sentenza Panayotova (cit. alla nota 12, punto 27).


15
V. anche art. 51, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


16
Art. 41, n. 2, terzo trattino, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


17
Sentenza 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens (Racc. pag. 4097, punto 15).


18
Sentenza Commissione/Francia (cit. alla nota 8, punti 113-118). In futuro, nell’ambito di applicazione della nuova direttiva 2003/4, ai sensi dell’art. 4, n. 5, seconda frase, della stessa, le ragioni del rigetto di una domanda dovranno essere comunicate al richiedente insieme alla decisione di rigetto .


19
Art. 8, n. 3, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43; in prosieguo: il «regolamento n. 1049/2001»).


20
Art. 90 dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee, approvato con il regolamento (CEE, Euratom, CECA) del Consiglio 29 febbraio 1968, n. 259 (GU L 56, pag. 1), modificato da ultimo con il regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 22 marzo 2004, n. 723 (GU L 124, pag. 1).


21
Art. 10, n. 6, del regolamento (CE) del Consiglio 20 gennaio 2004, n. 139, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese («regolamento comunitario sulle concentrazioni», GU L 24, pag. 1).


22
Art. 4, n. 6, del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del Trattato CE (GU L 83, pag. 1).


23
L'obbligo di motivazione deriva, come ricordato, dall’art. 41, n. 2, terzo trattino, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Per gli organi comunitari si applica inoltre l’art. 253 CE; le autorità nazionali a cui siano rivolte domande di accesso ad informazioni in materia di ambiente sono soggette al già ricordato obbligo di motivazione derivante dall’art. 3, n. 4, della direttiva 90/313.


24
Nelle loro osservazioni scritte i resistenti parlano di una «motivation interne», cioè della motivazione insita in una decisione anche quando, formalmente, non è stata espressa.


25
Se la legge prevede un rigetto fittizio, saranno naturalmente i richiedenti a domandarne i motivi e, eventualmente, ad avvalersi dei rimedi giuridici a disposizione. Se invece si prevede un provvedimento fittizio positivo, cioè un accoglimento della richiesta, saranno piuttosto i terzi a richiederne le ragioni, a tutela dei propri interessi.


26
Sul diritto fondamentale ad una effettiva tutela giuridica v. le indicazioni alla nota 11.


27
L’art. 4 della direttiva 90/313 parla del caso in cui una richiesta di informazioni sia stata respinta o abbia ottenuto una risposta inadeguata.


28
L’art. 4 della direttiva 90/313 parla del caso in cui una richiesta di informazioni «sia stata (…) ignorata».


29
Un simile ricorso esiste ad es. nel diritto tedesco, v. § 42, comma 1, terza alternativa della Verwaltungsgerichtsordnung (codice del contenzioso amministrativo) del 21 gennaio 1960 (BGBl. I, pag. 70, riformulato con la pubblicazione del 19 marzo 1991, BGBl. I, pag. 686, da ultimo modificato dalla legge 24 agosto 2004, BGBl. I, pag. 2198).


30
Tale è stata la scelta compiuta dall'autorità regolamentare della regione di Bruxelles-Capitale con l’art. 14, secondo comma, dell’ordinanza regionale, nella versione applicabile nel procedimento principale. Lo stesso vale per la normativa francese contestata dalla Commissione nella causa C-233/00 (v. sentenza Commissione/Francia, cit. alla nota 6, in particolare punti 13‑15).


31
Sull’autonomia procedurale basti vedere sentenza 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells (Racc. pag. I-0000, punto 67).


32
V. paragrafi 34-38 delle presenti conclusioni.


33
V. sentenze 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I-4951, punto 34); 10 aprile 2003, causa C-276/01, Steffensen (Racc. pag. I-3735, punto 60), e 17 giugno 2004, causa C‑30/02, Recheio – Cash & Carry (Racc. pag. I-6051, punto 17); allo stesso modo, per il procedimento amministartivo v. sentenza Wells (cit. alla nota 31, punto 67).


34
V. sentenze Edis (punto 35) e Recheio – Cash & Carry (punto 18), cit. alla nota 33.


35
È ciò che in definitiva si intende allorché l'art. 91, n. 3, secondo trattino, dello Statuto del personale delle Comunità europee stabilisce che il termine di ricorso decorre «dalla data di scadenza del termine di risposta».


36
Art. 90, n. 2, in combinato disposto con l'art. 91, n. 3, secondo trattino, dello Statuto del personale delle Comunità europee.