CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 3 marzo 2005(1)



Causa C‑174/04



Commissione delle Comunità europee
contro
Repubblica italiana



«Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei capitali – Partecipazioni in società privatizzate operanti nei settori dell'elettricità e del gas – Restrizioni del diritto di voto in caso di acquisto di partecipazioni da parte di imprese controllate da uno Stato»






I – Introduzione

1.        Nel presente ricorso per inadempimento, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di aver violato le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali. Oggetto della controversia è una disposizione legislativa italiana che è stata adottata nell’ambito della liberalizzazione delle società operanti nei settori dell’elettricità e del gas. Ai sensi di tale disposizione, i diritti di voto di coloro che acquisiscono partecipazioni nel capitale delle imprese privatizzate sono soggetti ad un limite massimo del 2%, qualora gli acquirenti siano a loro volta controllati da uno Stato, titolari nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante e non quotati in borsa.

2.        Le questioni giuridiche sollevate dal presente procedimento sono strettamente collegate con la problematica delle cosiddette golden shares , che la Corte ha già affrontato più volte  (2) . Tuttavia, a differenza dei casi già decisi, la disposizione italiana controversa non è diretta in primo luogo a mantenere la particolare influenza dello Stato (italiano) sulle imprese nazionali di approvvigionamento dell’energia anche in seguito alla privatizzazione delle stesse. Scopo della disposizione è invece quello di impedire che imprese controllate da uno Stato esercitino di nuovo un’influenza sulle società operanti nei settori dell’elettricità e del gas appena privatizzate. All’origine di ciò sembra essere il timore che le società Électricité de France (EDF) e Gaz de France (GDF), ancora controllate dallo Stato francese, possano accedere al mercato italiano  (3) .

II – Contesto normativo

A – Diritto comunitario

3.        Ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, «(…) sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri (…)».

4.        Il governo italiano, nell’ambito della sua difesa, fa riferimento ad alcune disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 19 dicembre 1996, 96/92/CE, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica (in prosieguo: la «direttiva 96/92» (4) ), parzialmente riportate qui di seguito.

5.        L’art. 3, n. 1, della direttiva 96/92 così dispone:

«Gli Stati membri, in base alla loro organizzazione istituzionale e nel dovuto rispetto del principio di sussidiarietà, fanno sì che le imprese elettriche, fatto salvo il paragrafo 2, siano gestite secondo i principi della presente direttiva, nella prospettiva di conseguire un mercato dell’energia elettrica concorrenziale, e non discriminano tra esse per quanto riguarda i loro diritti o obblighi (…)».

6.        L’art. 19, n. 5, della direttiva 96/92 contiene una cosiddetta clausola di reciprocità:

«Per evitare squilibri nell’apertura dei mercati dell’energia elettrica nel periodo di cui all’articolo 26:

a)
i contratti di fornitura di energia elettrica di cui agli articoli 17 e 18 conclusi con un cliente idoneo della rete di un altro Stato membro non possono essere vietati se il cliente è considerato idoneo nelle due reti interessate;

b)
qualora le operazioni descritte alla lettera a) siano rifiutate perché il cliente è considerato idoneo soltanto in una delle due reti, la Commissione può, tenendo conto della situazione del mercato e dell’interesse comune, obbligare la fornitura richiesta di energia elettrica su richiesta dello Stato membro in cui si trova il cliente idoneo».

7.        L’art. 22 della direttiva 96/92, infine, dispone quanto segue:

«Gli Stati membri instaurano meccanismi appropriati ed efficaci per la disciplina, il controllo e la trasparenza, al fine di evitare qualsiasi abuso di posizione dominante, in particolare a danno dei consumatori, e qualsiasi comportamento predatorio. Tali meccanismi tengono conto delle disposizioni del Trattato, in particolare dell’articolo 86».

8.        La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/30/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale  (5) (in prosieguo: la «direttiva 98/30)», a cui il governo italiano fa altresì riferimento, contiene sostanzialmente disposizioni analoghe.

B – La disposizione italiana controversa

9.        L’art. 1, commi 1 e 2, del decreto‑legge 25 maggio 2001, n. 192, convertito in legge 20 luglio 2001, n. 301, recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici» (6) (in prosieguo: il decreto‑legge n. 192), prevede che:

«Fino alla realizzazione all’interno dell’Unione europea di un mercato pienamente concorrenziale nei settori dell’elettricità e del gas, a salvaguardia dei relativi processi di liberalizzazione e di privatizzazione in atto, nei riguardi dei soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno Stato o da altre amministrazioni pubbliche, titolari nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante e non quotati in mercati finanziari regolamentati, i quali acquisiscono, direttamente o indirettamente o per interposta persona, anche mediante un’offerta pubblica a termine o in via differita, partecipazioni superiori al 2 per cento nei capitale sociale di società operanti nei settori predetti, in via diretta o tramite controllate o collegate, il rilascio o il trasferimento dei provvedimenti autorizzatori o concessori previsti dai decreti legislativi 16 marzo 1999, n. 79, in materia di energia elettrica, e 23 maggio 2000, n. 164, in materia di mercato interno del gas naturale, è effettuato alle condizioni di cui al comma 2. Il limite complessivo del 2 per cento è riferito al singolo soggetto e al relativo gruppo di appartenenza, per tale intendendosi il soggetto, anche non avente forma societaria, che esercita il controllo, le società controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché le società collegate. Il limite riguarda altresì i soggetti che direttamente o indirettamente, anche tramite controllate, collegate, società fiduciarie o per interposta persona, aderiscono anche con terzi ad accordi relativi all’esercizio del diritto di voto o comunque ad accordi o patti parasociali.

In caso di superamento del limite di cui al comma 1, a partire dal momento del rilascio o del trasferimento delle autorizzazioni o concessioni di cui al medesimo comma 1, il diritto di voto inerente alle azioni eccedenti il limite stesso è automaticamente sospeso e di esse non si tiene conto ai fini dei quorum assembleari deliberativi. Non possono essere altresì esercitati i diritti di acquisto o sottoscrizione a termine o differiti».

III – Fase precontenzioso del procedimento e conclusioni delle parti

10.      In una lettera di costituzione in mora datata 23 ottobre 2002 la Commissione faceva valere l’incompatibilità dell’art. 1 del decreto‑legge n. 192 con l’art. 56 CE. Il governo italiano presentava le proprie osservazioni in proposito con nota 12 marzo 2003, nella quale ammetteva la restrizione alla libera circolazione dei capitali, ma sosteneva che tale normativa rappresentava l’unico strumento atto ad assicurare il mantenimento della concorrenza.

11.      L’11 luglio 2003 la Commissione indirizzava alla Repubblica italiana un parere motivato nel quale le imponeva un termine di due mesi per rimuovere l’inadempimento. Il governo italiano non reagiva a tale parere. Pertanto, il 13 aprile 2004 la Commissione proponeva ricorso ai sensi dell’art. 226 CE. Essa chiede che la Corte voglia:

1.
constatare che il decreto-legge 25 maggio 2001, n. 192, convertito in legge 20 luglio 2001, n. 301, recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici», in quanto dispone la sospensione automatica dei diritti di voto inerenti alle azioni eccedenti il limite del 2 per cento del capitale sociale di società operanti nei settori dell’elettricità e del gas, è incompatibile con l’articolo 56 del trattato CE;

2.
condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese processuali.

12.      Non si è tenuta l’udienza di trattazione orale.

IV – Argomenti delle parti

13.      Secondo la Commissione la normativa controversa è incompatibile con la libera circolazione dei capitali. L’art. 56 CE vieta non solo le discriminazioni ma anche le altre restrizioni ai movimenti di capitali. I detti principi potrebbero essere fatti valere da imprese sia pubbliche sia private. La sospensione dei diritti di voto, per le quote eccedenti il 2%, renderebbe l’acquisto di partecipazioni meno interessante per un determinato gruppo di operatori economici, vale a dire le imprese controllate da uno Stato. L’acquirente non potrebbe esercitare sulle decisioni dell’impresa un’influenza corrispondente alle proporzioni della sua partecipazione.

14.      Il governo italiano, per contro, fa riferimento alle disuguaglianze nel recepimento delle direttive 96/92 e 98/30, ammesse dalla Commissione e dal Consiglio europeo stessi (7) . A causa del diverso grado di liberalizzazione negli Stati membri, sussisterebbe il rischio che monopoli pubblici esistenti si estendano ai mercati liberalizzati di altri Stati membri. Le clausole di reciprocità che figura nell’art. 19 della direttiva 96/92 e nell’art. 19 della direttiva 98/30 non potrebbero impedire ciò. In questa situazione, gli Stati membri dovrebbero agire secondo il principio di sussidiarietà, in modo da non pregiudicare gli scopi di liberalizzazione.

15.      Restrizioni del diritto di voto sarebbero un mezzo adeguato e fondamentalmente compatibile con la libera circolazione dei capitali. Disposizioni corrispondenti sussisterebbero in Italia anche come sanzione nel settore della vigilanza sulla borsa e sui mercati finanziari  (8) .

16.      Il legislatore italiano perseguirebbe, con tali disposizioni, gli interessi «comunitari» previsti dalle direttive sul mercato interno dell’energia elettrica e del gas e non interessi meramente nazionali. Ai sensi degli artt. 3 e 22 di entrambe le direttive, gli Stati membri dovrebbero far sì che le imprese di approvvigionamento siano gestite in maniera concorrenziale. Inoltre, sarebbe pacifico che gli Stati membri potessero intervenire in caso di violazione dei diritti previsti dal Trattato  (9)

17.      Il caso di specie sarebbe esattamente opposto a quello delle sentenze sulle golden shares . Per mezzo delle golden shares, l’influenza dello Stato sarebbe stata mantenuta e la liberalizzazione impedita. Nel caso di specie si tratterebbe, al contrario, proprio dell’esclusione di un’influenza statale. Perciò i criteri indicati dalla Corte nelle dette sentenze non sarebbero applicabili.

18.      In conclusione, la normativa sarebbe valida solo temporaneamente, fino alla realizzazione di un mercato interno completamente liberalizzato, e si limiterebbe allo stretto necessario. Così, sarebbe già sufficiente che un’impresa sia quotata in borsa perché essa non sia più soggetta alla restrizione.

19.      La Commissione afferma, al contrario, che, anche nel caso di squilibri nella realizzazione del mercato interno, gli Stati membri non potrebbero adottare misure unilaterali in violazione di libertà fondamentali. L’Italia non avrebbe indicato nessun motivo imperativo di sicurezza dell’approvvigionamento a giustificazione della normativa controversa. Il governo italiano non può far valere la realizzazione di scopi delle direttive sul mercato interno, poiché queste ultime non riguarderebbero l’acquisto di partecipazioni in società operanti nei settori dell’elettricità e del gas. Inoltre, il legislatore comunitario avrebbe reagito alle disparità nella liberalizzazione adottando le nuove direttive sul mercato interno (10) . Per il resto, spetterebbe alla Commissione intervenire per reprimere eventuali violazioni della concorrenza.

V – Analisi giuridica

A – Ambito di applicazione della libera circolazione dei capitali

20.      Il decreto-legge n. 192 limita l’esercizio di diritti di voto da parte di determinate imprese pubbliche, quando esse partecipano a società italiane operanti nel settore dell’approvvigionamento dell’energia. In tal modo, tale normativa rientra nell’ambito di applicazione materiale della libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 CE.

21.      Come la Corte ha infatti dichiarato, riferendosi alle rubriche I e III della nomenclatura riportata nell’allegato I della direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato  (11) , gli investimenti diretti sotto forma di partecipazione ad un’impresa attraverso il possesso di azioni nonché l’acquisto di titoli sul mercato dei capitali costituiscono movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56 CE (12) .

22.      Gli investimenti diretti, ossia le partecipazioni, che conferiscono all’acquirente la possibilità di contribuire alla gestione di una società e al suo controllo, sono tutelati allo stesso tempo dalla libertà di stabilimento. Tuttavia, la censura della Commissione nel procedimento in esame si limitano alla violazione dell’art. 56 CE (13) .

23.      L’applicazione della libera circolazione dei capitali non è esclusa per il fatto che il decreto‑legge n. 192 si riferisce solo ad imprese pubbliche. È vero che le libertà fondamentali previste dal Trattato, incluso l’art. 56 CE, contengono obblighi e divieti diretti agli Stati membri. Tuttavia, ciò non priva le imprese controllate da uno Stato del diritto di far valere, da parte loro, nell’ambito della loro attività economica, le libertà fondamentali, in quanto beneficiarie delle stesse. Ad ogni modo, nella fattispecie in esame, in cui misure adottate da un altro Stato membro impediscono ad un’impresa pubblica di esercitare le proprie libertà fondamentali, il soggetto su cui grava l’obbligo e il beneficiario dell’osservanza dello stesso non coincidono. L’impresa pubblica si trova, piuttosto, in una situazione simile a quella di un’impresa privata.

24.      Inoltre, la neutralità del Trattato CE rispetto al regime di proprietà degli Stati membri, sancita dall’art. 295 CE, non sarebbe più garantita se le libertà fondamentali spettassero solo ad imprese private. Il Trattato CE, in tal modo, provocherebbe indirettamente una privatizzazione delle imprese statali, di modo che anche queste possano beneficiare delle libertà fondamentali.

25.      In conclusione, dall’art. 86, n. 1, CE risulta che gli Stati membri non possono favorire le imprese pubbliche commettendo una violazione del Trattato. Il rovescio della medaglia è che le imprese pubbliche non possono neanche essere svantaggiate impedendo alle stesse di far valere le libertà fondamentali.

B – Restrizione della libera circolazione dei capitali

26.      Ogni provvedimento che renda più gravoso o meno attraente il trasferimento transfrontaliero di capitali e sia pertanto tale da distogliere da questo l’investitore costituisce una restrizione della libera circolazione dei capitali  (14) . La nozione di restrizione ai movimenti di capitali corrisponde a tal riguardo alla nozione di restrizione che la Corte ha elaborato nell’ambito delle altre libertà fondamentali, in particolare della libera circolazione delle merci  (15) .

27.     È vero che le norme controverse non vietano, di per sé, l’acquisto delle corrispondenti partecipazioni. Esse limitano, però, l’esercizio dei diritti che spettano all’acquirente in quanto proprietario di quote della società interessata. In tal modo, esse rendono il trasferimento meno attraente per il gruppo interessato di imprese pubbliche e possono dissuadere lo stesso dall’investimento transfrontaliero.

28.      Il governo italiano non contesta la natura restrittiva del decreto‑legge n. 192, ma fa valere che le sue disposizioni sarebbero applicabili indistintamente ad investitori nazionali e stranieri.

29.      Nelle ultime due sentenze sulle golden shares la Corte ha dichiarato quanto segue:

«Orbene, nella fattispecie, se è vero che le restrizioni in questione riguardanti le operazioni di investimento sono indistintamente applicabili sia ai residenti sia ai non residenti, occorre tuttavia constatare come esse incidano sulla situazione dell’acquirente di una partecipazione in quanto tale e siano dunque idonee a dissuadere gli investitori di altri Stati membri dall’effettuare investimenti di questo tipo e, pertanto, a condizionare l’accesso al mercato» 16  –Sentenze Commissione/Regno Unito (cit. alla nota 2, punto 47) e Commissione/Spagna (cit. alla nota 2, punto 61); in tal senso, v. anche sentenze Commissione/Portogallo (cit. alla nota 2, punto 45) e Commissione/Francia (cit. alla nota 2, punto 41)..

30.      Un aggravio dell’accesso al mercato, che va rilevato anche nel caso di specie, favorisce gli operatori economici già presenti sul mercato. Se si parte dal presupposto che questi ultimi, in genere, sono operatori nazionali, mentre gran parte delle imprese che cercano di entrare nel mercato hanno la loro sede in altri Stati membri, le restrizioni dell’accesso al mercato costituiscono per lo più una discriminazione indiretta.

31.      Nel caso di specie, a ciò si aggiunge che, dopo la privatizzazione dell’ENEL e dell’ENI, in Italia non vi è più nessuna impresa che soddisfi i criteri previsti dalla legge (posizione dominante nel settore della fornitura dell’energia elettrica e del gas, controllo statale, mancata quotazione in borsa). Pertanto, la normativa riguarda, di fatto, esclusivamente imprese di altri Stati membri. Quindi, in pratica, l’affermazione del governo italiano secondo cui il decreto‑legge n. 192 sarebbe applicabile indistintamente ad imprese nazionali e straniere non è esatta.

C – Giustificazione della restrizione

32.      Nelle sentenze Commissione/Francia (C-483/99) e Commissione/Belgio (C-503/99)  (17) la Corte ha stabilito, per la giustificazione di restrizioni alla libera circolazione dei capitali, i seguenti requisiti:

«La libera circolazione dei capitali, in quanto principio fondamentale del Trattato, può essere limitata da una normativa nazionale solo se quest’ultima sia giustificata da motivi previsti all’art. [58, n. 1, CE] o da ragioni imperative di interesse pubblico e che si applichino ad ogni persona o impresa che eserciti un’attività sul territorio dello Stato membro ospitante. Inoltre, per essere così giustificata, la normativa nazionale deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest’ultimo, al fine di soddisfare il criterio di proporzionalità».

33.      Se ci si basa su questo criterio, una giustificazione nel caso di specie non è possibile già per il fatto che la normativa controversa – come è stato accertato – non riguarda, di fatto, nessuna impresa italiana, ma solo imprese di altri Stati membri.

34.      Tuttavia, in sentenze su disposizioni tributarie relative alla libera circolazione dei capitali, la Corte ha utilizzato anche la formula seguente:

«Ora, dalla giurisprudenza risulta che, perché una normativa tributaria nazionale (…) possa considerarsi compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono obiettivamente paragonabili o sia giustificata da imperiosi motivi di interesse generale, quali la necessità di salvaguardare la coerenza del regime fiscale, la lotta contro l’evasione fiscale e l’efficacia dei controlli fiscali (…)»18  –V., tra l'altro, sentenze 15 luglio 2004, causa C‑315/02, Lenz (Racc. pag. I‑7063, punto 27), e 6 giugno 2000, causa C‑35/98, Verkooijen (Racc. pag. I‑4071, punto 43)..

Di conseguenza, una giustificazione di disparità di trattamento di fattispecie identiche risulta possibile, ad ogni modo, nel settore del diritto tributario in presenza di determinate circostanze.

35.      Può invece rimanere aperta la questione se, ai sensi di tale formula, nel caso di specie si possa individuare una giustificazione nonostante la differenziazione fra diversi gruppi di imprese, qualora una giustificazione sia esclusa anche per altri motivi.

36.     È controverso, in particolare, se gli scopi perseguiti con il decreto-legge n. 192 possano essere considerati motivi imperativi di interesse generale, tali da giustificare una restrizione della libera circolazione dei capitali.

37.      Il governo italiano fa valere che il decreto‑legge n. 192 era diretto al perseguimento degli obiettivi delle direttive sul mercato interno 96/92 e 98/30, in quanto tutela le imprese italiane privatizzate dall’acquisto da parte di imprese statali. Esso sostiene, quindi, che anche le direttive avrebbero come scopo la privatizzazione delle imprese di approvvigionamento dell’energia. Tuttavia, tale affermazione non è esatta.

38.      Le direttive sul mercato interno prevedono una liberalizzazione dei mercati, eliminando la posizione di monopolio legale delle imprese di approvvigionamento e aprendo gradualmente i mercati nazionali a nuovi operatori. Inoltre, i diversi settori di attività delle imprese, ad esempio la produzione di elettricità e la gestione delle reti, devono essere smembrati e dev’essere garantito ai terzi un accesso privo di discriminazioni alle reti. Le direttive, per contro, non obbligano gli Stati membri a privatizzare imprese statali nel settore dell’approvvigionamento dell’energia. Al contrario, alcuni elementi lasciano persino ritenere che le direttive presuppongano il mantenimento di imprese pubbliche. Esse stabiliscono, infatti, che le imprese, qualunque sia il loro regime di proprietà o la loro forma giuridica, redigono e pubblicano i conti annuali  (19) . Venendo al punto: le direttive impongono una liberalizzazione, ma non una privatizzazione.

39.      Il governo italiano afferma inoltre che si sarebbero verificate inaspettatamente rilevanti disuguaglianze fra uno Stato membro e l’altro per quanto riguarda l’apertura dei mercati  (20) . Esso rileva, facendo riferimento al principio di sussidiarietà e agli artt. 3 e 22 di entrambe le direttive, che il legislatore nazionale sarebbe chiamato a porre rimedio temporaneamente a tali deviazioni. Tuttavia, anche tale tesi è infondata.

40.      Occorre anzitutto rilevare che il legislatore comunitario, ripartendo i processi di liberalizzazione per il mercato interno dell’elettricità e del gas in più fasi e concedendo termini transitori, ha ammesso l’eventualità di determinate differenze nell’apertura dei mercati. Qualora, a seguito di questa formulazione delle direttive, si verificassero serie perturbazioni del mercato interno, spetterebbe alla Comunità porvi rimedio modificando le direttive.

41.     È proprio ciò che la Comunità ha fatto. Già un anno dopo la scadenza del termine per il recepimento della direttiva 96/92 e perfino prima della scadenza del termine per il recepimento della direttiva 98/30 la Commissione ha presentato alcune proposte per la nuova regolamentazione di entrambi i settori, dirette tra l’altro ad accelerare e quindi ad uniformare l’apertura dei mercati  (21) . Le direttive adottate in conseguenza di ciò nel 2003  (22) dovevano essere recepite entro il 1° luglio 2004. Ad ogni modo, in questa situazione uno Stato membro non può rimediare a deviazioni nel mercato interno mediante di misure unilaterali che contrastano con la libera circolazione dei capitali  (23) . Neanche il principio di sussidiarietà può giustificare in alcun modo misure nazionali che violano le libertà fondamentali  (24) .

42.      Può essere vero che, fino alla completa apertura dei mercati – anche se quest’ultima viene realizzata più velocemente con la nuova formulazione delle direttive – la concorrenza sia pregiudicata. Così, un’impresa, che detiene una posizione dominante in uno Stato, il cui mercato è scarsamente aperto, può conseguire utili maggiori di un’impresa in un mercato già maggiormente concorrenziale. I detti utili potrebbero essere impiegati per acquistare partecipazioni in imprese in altri Stati membri e per rafforzare in tal modo la posizione della propria impresa nel mercato interno.

43.      Le clausole di reciprocità nelle direttive 96/92 e 98/30, in realtà, non impediscono che ciò si verifichi. Esse escludono soltanto che un’impresa in una tale posizione protetta rifornisca clienti idonei in un altro Stato membro, anche se il gruppo di clienti corrispondente nel mercato nazionale non può ancora scegliere liberamente il fornitore.

44.      La mancanza di altre disposizioni di tutela nelle direttive 96/92 e 98/30 non giustifica, però, misure unilaterali del legislatore nazionale che ostacolino l’acquisto di partecipazioni corrispondenti in violazione dell’art. 56 CE. Spetta esclusivamente alla Commissione, invece, ai sensi del regolamento comunitario sulle concentrazioni  (25) , verificare se l’acquisto di una partecipazione sia compatibile con il mercato comune, quando l’operazione costituisce una concentrazione ai sensi di tale regolamento e riveste dimensione comunitaria. Nel procedimento dinanzi alla Commissione gli Stati membri possono far valere i propri interessi  (26) . Qualora una concentrazione non rivesta dimensione comunitaria, devono intervenire le autorità garanti della concorrenza nazionali.

45.      Qualora non sussista una concentrazione ai sensi del regolamento comunitario sulle concentrazioni, si potrebbe eventualmente prendere in considerazione anche un’applicazione dell’art. 82 CE in combinato disposto con l’art. 86 CE; a tale proposito, competenti sarebbero ancora una volta – a seconda della fattispecie – la Commissione o le autorità garanti della concorrenza nazionali.

46.      Dai rispettivi artt. 3 e 22 delle direttive 96/92 e 98/30 non si può dedurre una competenza degli Stati membri, che si discosti dalla suddetta ripartizione generale di competenze nel settore del diritto della concorrenza. Le disposizioni citate obbligano gli Stati membri solo a esercitare un controllo efficace sulle imprese di approvvigionamento dell’energia operanti sul loro territorio e chiariscono che devono sussistere condizioni identiche per tutti gli operatori nel rispettivo mercato nazionale. Esse, però, non conferiscono agli Stati il diritto di ostacolare mediante di disposizioni legislative la partecipazione di imprese statali di altri Stati membri in imprese nazionali.

47.      Simili violazioni della libera circolazione dei capitali, inoltre, non possono essere giustificate ai sensi dell’art. 295 CE, come la Corte ha già dichiarato nelle sentenze sulle golden shares  (27) . Mentre nei detti procedimenti lo Stato era comunque interessato in quanto proprietario di una golden share, nel caso di specie manca anche questo nesso con il regime di proprietà. Il legislatore italiano interviene fiscalmente nella struttura delle partecipazioni delle imprese di approvvigionamento dell’energia, impedendo l’accesso a determinati investitori, solo a causa della politica di privatizzazione che esso persegue.

48.      Come risultato parziale va quindi affermato che il governo italiano non ha addotto interessi che possano essere considerati motivi imperativi di interesse generale. La restrizione della libera circolazione dei capitali per mezzo delle disposizioni del decreto‑legge n. 192, pertanto, non è giustificata.

49.      Anche ammettendo – contrariamente a quanto affermato sopra – che, di fronte ai problemi originati dalla forti differenze di apertura del mercato, gli Stati membri possano adottare temporaneamente misure unilaterali, le disposizioni del decreto‑legge n. 192 non sono comunque idonee a porre un rimedio efficace a tale situazione. Esse, infatti, sono dirette solo ad imprese statali, e non anche ad imprese private. Queste ultime, quindi, a causa di una carente liberalizzazione nel loro mercato nazionale, possono mantenere una posizione dominante tutelata, che agevola un’espansione delle stesse all’estero. Pertanto, anche se, dal punto di vista della concorrenza, la situazione di imprese private e statali non dev’essere valutata diversamente, il decreto‑legge n. 192 non riguarda le imprese private.

50.      Ciò dimostra che il legislatore italiano, di fatto, non ha inteso porre rimedio alle carenze delle direttive, bensì esercitare un’influenza sull’accesso di determinati investitori ai mercati energetici nazionali. Ciò può corrispondere agli scopi della politica di privatizzazione nazionale, ma non ha nulla a che fare con gli scopi delle direttive sul mercato interno dell’elettricità e del gas. Anche se fondamentalmente molti elementi sembrano avvalorare la soluzione di affidare l’approvvigionamento dell’energia ad imprese private, la privatizzazione di tale settore in uno Stato membro non giustifica l’esclusione di fatto di imprese statali di un altro Stato membro dall’acquisto di partecipazioni rilevanti in imprese nazionali, in violazione della libera circolazione dei capitali.

51.      Riassumendo, occorre rilevare che il governo italiano non ha addotto motivi imperativi di interesse generale che giustifichino la restrizione della libera circolazione dei capitali. Pertanto, poiché non viene perseguito uno scopo legittimo, risulta superfluo esaminare ulteriormente se restrizioni del diritto di voto, di per sé, costituiscano un mezzo lecito e se le disposizioni, per il resto, soddisfino il principio di proporzionalità.

VI – Spese

52.      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

VII – Conclusione

53.      In conclusione, propongo alla Corte di dichiarare che:

1.
La Repubblica italiana, avendo introdotto, con l’art. 1 del decreto‑legge 25 maggio 2001, n. 192, convertito in legge 20 luglio 2001, n. 301, recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici», la sospensione automatica dei diritti di voto per i pacchetti azionari eccedenti il limite del 2% del capitale sociale di imprese di approvvigionamento dell’energia elettrica e del gas, quando i titolari di tali pacchetti azionari sono imprese controllate da uno Stato, sono titolari di una posizione dominante nei detti settori sul loro mercato nazionale e non sono quotati in borsa, ha pregiudicato la libera circolazione dei capitali ed ha violato l’art. 56 CE.

2.
La Repubblica italiana è condannata alle spese.


1
Lingua originale: il tedesco.


2
Sentenze 4 giugno 2002, cause C‑367/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑4731), C‑483/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I-4781), e C‑503/99, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑4809), nonché 13 maggio 2003, cause C‑463/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-4581), e C‑98/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑4641). Altri due ricorsi per inadempimento contro i Paesi Bassi a causa delle golden share statali della KPN N.V. (causa C‑282/04) e della TPG N.V. (causa C‑283/04) sono al momento ancora pendenti dinanzi alla Corte.


3
Il governo italiano menziona, nella sua risposta alla lettera di costituzione in mora, anche l'acquisto di partecipazioni nel capitale della Montedison da parte della EDF come primo esempio negativo.


4
GU 1997, L 27, pag.  20. La direttiva  96/92 è stata sostituita, a decorrere dal 1° luglio 2004, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2003, 2003/54/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE –Dichiarazioni riguardanti lo smantellamento di impianti e le attività di gestione dei rifiuti (GU L 176, pag.  37). Al caso di specie si applica ancora la precedente normativa.


5
GU L 204, pag. 1. La direttiva 98/30 è stata sostituita, a decorrere dal 1° luglio 2004, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2003, 2003/55/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE (GU L 176, pag. 57). Al caso di specie si applica ancora la precedente normativa.


6
GURI n. 170, del 24 luglio 2001.


7
Il governo italiano cita i passaggi dalla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo 13 marzo 2001 sul completamento del mercato interno dell'energia, COM (2001) 125 def. (pagg. 6, 33 e 35 della versione tedesca) [pagg. 5, 6 e 32‑35 della versione italiana], le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Stoccolma del 23 e 24 marzo 2001 (par. 17) e le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Barcellona del 15 e 16 marzo 2002 (par. 37).


8
Il governo italiano fa riferimento, in proposito, all'art. 120, commi 2 e 5, del decreto legislativo 24 febbraio 98 n. 58, adottato per recepire gli artt. 85‑97 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 maggio 2001, 2001/34/CE, riguardante l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l'informazione da pubblicare su detti valori (GU L 184, pag. 1). Inoltre, esso menziona l'art. 10, n. 6, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU L 145, pag. 1).


9
Il governo italiano cita, in proposito, la sentenza 30 settembre 2003, causa C‑167/01, Inspire Art (Racc. pag. I‑10155, punto 136).


10
V., in proposito, i riferimenti che figurano alle note 4 e 5.


11
GU L 178, pag. 5.


12
Sentenze Commissione/Portogallo (cit. alla nota 2, punto 38) e Commissione/Regno Unito (cit. alla nota 2, punto 40).


13
Negli altri procedimenti su golden shares (v. i riferimenti che figurano alla nota 2) la Commissione ha fatto valere anche una violazione della libertà di stabilimento. La Corte, però, non ha più esaminato separatamente la violazione della libertà di stabilimento nelle cause già decise come conseguenza della violazione della libera circolazione dei capitali.


14
V., in tal senso, sentenza 16 marzo 1999, causa C‑222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I‑1661, punto 26).


15
V. le fondamentali sentenze 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville (Racc. pag. 837, punto 5); 25 luglio 1991, causa C‑76/90, Säger (Racc. pag. I‑4221, punto 12), e 30 novembre 1995, causa C‑55/94, Gebhard (Racc. pag. I‑4165, punto 37).


16
Sentenze Commissione/Regno Unito (cit. alla nota 2, punto 47) e Commissione/Spagna (cit. alla nota 2, punto 61); in tal senso, v. anche sentenze Commissione/Portogallo (cit. alla nota 2, punto 45) e Commissione/Francia (cit. alla nota 2, punto 41).


17
Citate alla nota 2, punto 45 di entrambe.


18
V., tra l'altro, sentenze 15 luglio 2004, causa C‑315/02, Lenz (Racc. pag. I‑7063, punto 27), e 6 giugno 2000, causa C‑35/98, Verkooijen (Racc. pag. I‑4071, punto 43).


19
Artt. 14, n. 2, della direttiva 96/92 e 13, n. 2, della direttiva 98/30.


20
V. i documenti citati alla nota 7.


21
Le proposte costituivano parte integrante della comunicazione 13 marzo 2001, cit. alla nota 7.


22
V. i riferimenti alle note 4 e 5.


23
Tale conclusione non è pregiudicata dalla bella citazione latina esposta dal governo italiano in tale ambito: Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur (Tito Livio, Ab Urbe Condita, 21.7.1) («Mentre a Roma ancora si discute, viene espugnata Sagunto»), in quanto Non omnia possumus omnes («Non tutti possiamo tutto»).


24
V. sentenza 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921, punto 81).


25
Regolamento (CE) del Consiglio 20 gennaio 2004, n. 139, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese («Regolamento comunitario sulle concentrazioni») (GU L 24, pag. 1).


26
V., in merito ai limiti delle possibilità di influenza degli Stati membri nel controllo delle concentrazioni, sentenza 22 giugno 2004, causa C‑42/01, Portogallo/Commissione (Racc. pag. I‑6079).


27
Sentenze Commissione/Francia (cit. alla nota 2, punto 44), Commissione/Belgio (cit. alla nota 2, punto 44) e Commissione/Spagna (cit. alla nota 2, punto 67).