Parole chiave
Massima

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1. Marchio comunitario — Osservazioni dei terzi e opposizione — Esame dell’opposizione — Prova dell’uso del marchio anteriore

[Regolamento (CE) del Consiglio n. 40/94, artt. 15, n. 1, 43, n. 2 e 3, 50, n. 1, lett. a), e 56, n. 2]

2. Marchio comunitario — Osservazioni dei terzi e opposizione — Esame dell’opposizione — Prova dell’uso del marchio anteriore

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 15, n. 2, lett. a)]

3. Marchio comunitario — Definizione e acquisizione del marchio comunitario — Impedimenti relativi alla registrazione — Opposizione da parte del titolare di un marchio anteriore identico o simile registrato per prodotti o servizi identici o simili

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 8, n. 1, lett. b)]

4. Marchio comunitario — Definizione e acquisizione del marchio comunitario — Impedimenti relativi alla registrazione — Opposizione da parte del titolare di un marchio anteriore identico o simile registrato per prodotti o servizi identici o simili

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 8, n. 1, lett. b)]

Massima

1. Nell’economia del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario, l’uso effettivo di un segno nel commercio per i prodotti e i servizi per i quali è stato registrato rappresenta un presupposto essenziale affinché siano riconosciuti in capo al suo titolare i diritti esclusivi che costituiscono l’oggetto della tutela accordata ai marchi. Così, gli artt. 15, n. 1, 50, n. 1, lett. a), 43, n. 2 e 3, e 56, n. 2, del regolamento n. 40/94 impongono al titolare di un marchio l’onere di utilizzarlo ovvero l’onere, nell’ambito dei procedimenti di opposizione, di decadenza o di nullità, di apportare la prova del suo uso effettivo.

È vero che queste disposizioni prevedono una deroga in base alla quale il titolare del marchio si sottrae alle conseguenze della mancata osservanza di tali oneri qualora sussistano «legittime ragioni» per il mancato uso. Tuttavia, la nozione di «legittime ragioni» che figura in tali disposizioni si riferisce a motivi che si fondano sull’esistenza di ostacoli all’utilizzazione del marchio o a situazioni in cui lo sfruttamento commerciale del medesimo si rivelerebbe, tenuto conto di tutte le circostanze rilevanti del caso, eccessivamente oneroso. Ostacoli del genere possono eventualmente derivare da una normativa nazionale che, per esempio, impone restrizioni alla commercializzazione dei prodotti contraddistinti dal marchio, di modo che una siffatta normativa può essere invocata come legittima ragione per il mancato uso del marchio. Il titolare di una registrazione nazionale che si oppone a una domanda di marchio comunitario, invece, non può invocare, per sottrarsi all’onere della prova che gli incombe in forza dell’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94, una norma nazionale che consente il deposito come marchi dei segni destinati a non essere utilizzati in commercio, in quanto svolgenti funzione meramente difensiva di un diverso segno oggetto di sfruttamento commerciale. Infatti, siffatte registrazioni non sono compatibili con la normativa sul marchio comunitario risultante dal regolamento n. 40/94, ed il loro riconoscimento a livello nazionale non può rappresentare una «legittima ragione» ai sensi dell’art. 43, nn. 2 e 3, di tale regolamento, per il mancato uso di un marchio anteriore sul quale si fonda l’opposizione ad una domanda di marchio comunitario.

(v. punti 43, 46)

2. L’art. 15, n. 2, lett. a), del regolamento n. 40/94 sul marchio comunitario riguarda il caso in cui un marchio registrato, nazionale o comunitario, è utilizzato in commercio in una forma leggermente differente rispetto a quella in cui è stata effettuata la registrazione. Lo scopo di tale disposizione, che evita di imporre una rigida conformità tra la forma utilizzata del marchio e quella in cui il marchio è stato registrato, è di consentire al titolare di quest’ultimo di apportare al segno, in vista del suo sfruttamento commerciale, le variazioni che, senza modificarne il carattere distintivo, permettono di adattarlo meglio alle esigenze di commercializzazione e di promozione dei prodotti o dei servizi da esso contraddistinti. Conformemente al suo scopo, l’ambito di applicazione ratione materiae di tale disposizione va considerato limitato alle situazioni in cui il segno concretamente utilizzato dal titolare di un marchio per contraddistinguere i prodotti o i servizi per i quali quest’ultimo è stato registrato costituisce la forma in cui tale stesso marchio è sfruttato in commercio. In situazioni di questo tipo, allorché il segno utilizzato in commercio differisce dalla forma in cui è stato registrato unicamente per elementi trascurabili, in modo tale che i due segni possano essere considerati come complessivamente equivalenti, la citata disposizione prevede che l’obbligo di utilizzare il marchio registrato possa essere adempiuto fornendo la prova dell’utilizzazione del segno che ne costituisce la forma utilizzata in commercio. L’art. 15, n. 2, lett. a), del detto regolamento non consente invece al titolare di un marchio registrato di sottrarsi all’onere di utilizzazione di quest’ultimo invocando l’uso di un marchio simile oggetto di una distinta registrazione.

(v. punto 50)

3. Non esiste, per il consumatore medio italiano, alcun rischio di confusione tra, da un lato, il segno figurativo comprendente l’elemento denominativo, «Bainbridge», la cui registrazione come marchio comunitario è chiesta per «cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria» e «articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria», che rientrano rispettivamente nelle classi 18 e 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza, e, dall’altro, i marchi denominativi FOOTBRIDGE, OVER THE BRIDGE e THE BRIDGE, il marchio complesso contenente l’elemento verbale «the bridge wayfarer» e il marchio tridimensionale che riproduce la dicitura «the bridge», registrati anteriormente in Italia per prodotti identici che rientrano nelle stesse classi, nonostante l’elevato carattere distintivo dei marchi anteriori e l’identità dei prodotti di cui trattasi, in quanto i segni in conflitto non sono simili sotto il profilo semantico e il confronto sul piano visivo tra i segni in conflitto fa emergere forti dissomiglianze tra questi, tali da poter considerare il solo elemento comune, costituito da una sequenza di sei lettere che compongono la parola «bridge», insufficiente a dimostrare tra i marchi in esame, tenuto conto dell’impressione complessiva da essi prodotta, un grado di somiglianza visiva significativo ai fini della valutazione del rischio di confusione. Per quanto riguarda la somiglianza fonetica tra i segni in conflitto, essa ha un’importanza ridotta nel caso di prodotti commercializzati in modo che, di regola, il pubblico rilevante, al momento dell’acquisto, percepisca in modo visivo il marchio che li designa.

(v. punti 101, 114, 116)

4. Qualora l’opposizione ad una domanda di registrazione di marchio comunitario si fondi su più marchi anteriori, il fatto che tali marchi presentino caratteristiche che consentono di considerarli parte di una stessa «serie» o «famiglia», come può essere il caso, in particolare, laddove riproducono integralmente uno stesso elemento distintivo con l’aggiunta di un elemento, grafico o denominativo, che li differenzia l’uno dall’altro, oppure laddove si caratterizzino per la ripetizione di uno stesso prefisso o suffisso estrapolato da un marchio originario, una tale circostanza costituisce un fattore rilevante ai fini della valutazione dell’esistenza di un rischio di confusione.

Infatti, in ipotesi simili, un rischio di confusione può derivare dalla possibilità di associazione tra il marchio richiesto e i marchi anteriori appartenenti alla serie, qualora il marchio richiesto presenti con questi ultimi somiglianze tali da indurre il consumatore a credere che esso faccia parte di tale stessa serie e, pertanto, che i prodotti da esso contraddistinti abbiano la stessa origine commerciale di quelli protetti dai marchi anteriori o un’origine imparentata. Un siffatto rischio di associazione tra il marchio richiesto e i marchi seriali anteriori, in grado di provocare confusione sull’origine commerciale dei prodotti contraddistinti dai segni in conflitto, può sussistere anche quando il confronto tra il marchio richiesto e i marchi anteriori, considerati ciascuno isolatamente, non consente di dimostrare l’esistenza di un rischio di confusione diretta. In un caso del genere, il rischio che il consumatore possa sbagliarsi circa l’origine commerciale dei prodotti o dei servizi di cui trattasi non deriva dalla possibilità che egli confonda il marchio richiesto con l’uno o l’altro dei marchi seriali anteriori, ma dalla possibilità che egli ritenga che il marchio richiesto faccia parte della stessa serie.

Tuttavia, il rischio di associazione può essere invocato solo se ricorrono due presupposti cumulativi. In primo luogo, il titolare di una serie di registrazioni anteriori deve fornire la prova dell’utilizzo di tutti i marchi che appartengono alla serie o, quantomeno, di un numero di marchi in grado di costituire una «serie». In secondo luogo, il marchio richiesto non soltanto dev’essere simile ai marchi anteriori facenti parte della serie, ma deve anche presentare caratteristiche tali da consentire di ricollegarlo alla serie. Questo potrebbe non verificarsi, ad esempio, qualora l’elemento comune ai marchi seriali anteriori fosse utilizzato nel marchio richiesto in una posizione differente da quella in cui compare abitualmente nei marchi appartenenti alla serie o con un contenuto semantico distinto.

(v. punti 123-127)