Causa T-53/03

BPB plc

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza — Intese — Mercato del cartongesso — Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE — Infrazione unica e continuata — Recidiva — Ammenda — Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende — Comunicazione sulla cooperazione»

Sentenza del Tribunale (Terza Sezione) 8 luglio 2008   II ‐ 1353

Massime della sentenza

  1. Concorrenza – Procedimento amministrativo – Rispetto dei diritti della difesa – Accesso al fascicolo – Obbligo di consentire la consultazione integrale del fascicolo – Limiti

    (Art. 81, n. 1, CE)

  2. Concorrenza – Procedimento amministrativo – Rispetto dei diritti della difesa – Accesso al fascicolo – Portata – Diniego di comunicazione di un documento che costituisce prova a carico – Conseguenze sull’onere della prova incombente all’impresa interessata

    (Art. 81, n. 1, CE)

  3. Concorrenza – Intese – Prova – Prova fornita mediante un certo numero di indizi e di coincidenze

    (Art. 81, n. 1, CE)

  4. Concorrenza – Intese – Lesione della concorrenza – Criteri di valutazione – Oggetto anticoncorrenziale – Constatazione sufficiente

    (Art. 81, n. 1, CE)

  5. Concorrenza – Intese – Lesione della concorrenza – Accordo istitutivo di un sistema di scambio di informazioni – Inammissibilità in un mercato oligopolistico – Presunzione relativa

    (Art. 81, n. 1, CE)

  6. Concorrenza – Intese – Pratica concordata – Nozione – Parallelismo di comportamento – Presunzione d’esistenza di una concertazione – Limiti

    (Art. 81, n. 1, CE)

  7. Concorrenza – Intese – Pratica concordata – Nozione – Coordinamento e cooperazione incompatibili con l’obbligo per ciascuna impresa di determinare autonomamente il proprio comportamento sul mercato – Ricevimento da parte di un operatore di informazioni provenienti da un concorrente relative al comportamento futuro di quest’ultimo sul mercato

    (Art. 81, n. 1, CE)

  8. Concorrenza – Intese – Accordi e pratiche concordate costitutivi di un’unica infrazione – Imprese cui può essere contestata l’infrazione consistente nella partecipazione ad una intesa globale – Criteri

    (Art. 81, n. 1, CE)

  9. Concorrenza – Intese – Accordi e pratiche concordate costitutivi di un’unica infrazione – Prova – Prova fornita da una serie di manifestazioni diverse dell’infrazione – Ammissibilità

    (Art. 81, n. 1, CE)

  10. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Gravità dell’infrazione – Intesa orizzontale in materia di prezzi – Infrazione molto grave

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

  11. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Impatto concreto sul mercato

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, primo comma)

  12. Concorrenza – Ammende – Decisione con cui vengono inflitte ammende – Obbligo di motivazione – Portata – Indicazione degli elementi di valutazione che hanno permesso alla Commissione di misurare la gravità e la durata dell’infrazione – Indicazione sufficiente

    (Art. 253 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

  13. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Necessità di prendere in considerazione il fatturato delle imprese coinvolte nella medesima infrazione o in infrazioni precedenti analoghe e di garantire che le ammende siano proporzionate al fatturato – Insussistenza

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

  14. Concorrenza – Regole comunitarie – Infrazioni – Imputazione – Persona giuridica responsabile della gestione dell’impresa al momento dell’infrazione

    (Art. 81 CE)

  15. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Durata dell’infrazione – Presa in considerazione di frazioni di anni – Ammissibilità

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 B)

  16. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Durata dell’infrazione – Infrazioni di lunga durata – Maggiorazione automatica pari al 10% dell’importo di partenza per ciascun anno – Potere discrezionale della Commissione

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 B, primo comma)

  17. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Durata dell’infrazione – Maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda – Presa in considerazione delle variazioni di intensità dell’infrazione – Esclusione

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 B)

  18. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Gravità dell’infrazione – Circostanze aggravanti – Recidiva – Nozione

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

  19. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Gravità dell’infrazione – Circostanze aggravanti – Recidiva – Tasso di maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

  20. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Gravità dell’infrazione – Circostanze attenuanti – Attuazione di un programma di adeguamento alle regole comunitarie di concorrenza – Presa in considerazione non imperativa

    (Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

  21. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Presa in considerazione della cooperazione con la Commissione dell’impresa incriminata al di là dell’area delimitata dalla comunicazione sulla cooperazione – Presupposti

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 17; comunicazioni della Commissione 96/C 207/04 e 98/C 9/03, punto 3)

  22. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Criteri – Gravità dell’infrazione – Circostanze attenuanti – Cessazione dell’infrazione dopo l’intervento della Commissione – Presupposti

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3)

  23. Concorrenza – Ammende – Imposizione – Necessità che l’impresa abbia tratto un vantaggio dall’infrazione – Insussistenza

    (Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 2)

  24. Concorrenza – Ammende – Importo – Determinazione – Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata – Necessità di un comportamento che abbia agevolato l’accertamento dell’infrazione da parte della Commissione – Risposta ad una richiesta di informazioni – Esclusione

    (Regolamento del Consiglio n. 17, artt. 11, nn. 1, 2, 4 e 5, e 15, n. 2; comunicazione della Commissione 96/C 207/04)

  25. Ricorso di annullamento – Sentenza di annullamento – Effetti – Obbligo di adottare provvedimenti d’esecuzione

    (Art. 233 CE)

  1.  Anche se la Commissione ha l’obbligo di rendere accessibile alle imprese implicate in un procedimento ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE tutta la documentazione a carico ed a favore da essa raccolta nel corso dell’indagine, tale obbligo non si estende ai segreti aziendali di altre imprese, ai documenti interni della Commissione e alle altre informazioni riservate. Per esempio, nel caso di informazioni fornite in via del tutto volontaria, ma accompagnate dalla richiesta di riservatezza diretta a tutelare l’anonimato dell’informatore, l’istituzione che accetta di ricevere queste informazioni deve rispettare tale condizione. Infatti, la capacità della Commissione di garantire l’anonimato a talune delle sue fonti informative riveste una cruciale importanza nella prospettiva di una prevenzione e di una repressione efficaci delle pratiche anticoncorrenziali vietate. Una procedura avviata sulla base di informazioni di cui non viene rivelata l’origine è regolare qualora non sia pregiudicata la possibilità, per l’impresa di cui trattasi, di far conoscere il suo punto di vista sulla realtà o sulla portata dei fatti, sui documenti comunicati o sulle conclusioni che ne trae la Commissione.

    (v. punti 36-37)

  2.  Qualora la Commissione intenda basarsi su un brano di una risposta ad una comunicazione degli addebiti o su un documento allegato a tale risposta per dimostrare l’esistenza di un’infrazione in un procedimento di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, le altre imprese coinvolte in tale procedimento devono essere messe in grado di pronunciarsi riguardo al suddetto elemento di prova. In circostanze del genere, il detto brano di una risposta alla comunicazione degli addebiti o il documento allegato a tale risposta costituiscono in effetti un elemento a carico nei confronti delle diverse imprese che avrebbero partecipato all’infrazione.

    Poiché i documenti non comunicati alle imprese interessate durante il procedimento amministrativo non costituiscono mezzi di prova opponibili, nel caso in cui si accerti che la Commissione nella sua decisione si è basata su documenti non inclusi nel fascicolo istruttorio e che non sono stati comunicati alle imprese di cui trattasi, tali documenti non dovranno essere utilizzati come mezzi di prova.

    In presenza di altre prove documentali, di cui le parti hanno preso conoscenza durante il procedimento amministrativo, che sostengono specificamente le conclusioni della Commissione, l’eliminazione dai mezzi di prova del documento a carico non comunicato non inficia la fondatezza degli addebiti accertati nella decisione contestata.

    All’impresa interessata spetta quindi dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella sua decisione sarebbe stato diverso se dai mezzi di prova a carico avesse dovuto essere eliminato un documento non comunicato sul quale la Commissione si è basata per incriminare tale impresa.

    (v. punti 41, 43-45)

  3.  In caso di controversia sulla sussistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza, spetta alla Commissione produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare sufficientemente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione. Spetta in particolare alla Commissione produrre tutti gli elementi che portino a concludere nel senso della partecipazione di un’impresa a una simile infrazione e della sua responsabilità per i diversi elementi che comporta.

    Ove si tratti di accordi e pratiche concordate aventi oggetto anticoncorrenziale, la Commissione deve in particolare provare che l’impresa ha inteso contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o attuati da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi. Orbene, di norma, le attività derivanti da tali pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Di conseguenza, anche se la Commissione scoprisse documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, sarebbero di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni. Pertanto, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale, ma anche, eventualmente, il carattere unico e continuato dell’infrazione, devono essere dedotti da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza. Inoltre, se il contenuto di un documento isolato reperito dalla Commissione può non essere indice univoco dell’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale, tanto che il detto contenuto potrebbe anche essere dovuto ad altro che non alla volontà di limitare la concorrenza, tale circostanza non può tuttavia escludere che lo stesso documento possa essere interpretato come prova dell’esistenza di una siffatta volontà allorché rientri in una serie di altri documenti che forniscono indizi probatori dell’esistenza di comportamenti anticoncorrenziali contemporanei e analoghi.

    La Commissione non può quindi essere tenuta a fornire la prova dell’esistenza dell’infrazione «oltre ogni ragionevole dubbio» (beyond reasonable doubt).

    (v. punti 61-64, 210, 227, 249)

  4.  Ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, è sufficiente che un accordo abbia per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza, a prescindere dai suoi effetti concreti. Di conseguenza, nel caso di accordi che si manifestino in occasione di riunioni di imprese concorrenti, si verifica un’infrazione alla detta disposizione qualora tali riunioni abbiano un oggetto siffatto e mirino in tal modo ad organizzare artificialmente il funzionamento del mercato. È quanto avviene, ad esempio, qualora due imprese esprimano la comune volontà di porre termine a una guerra dei prezzi e di stabilizzare i mercati di cui trattasi.

    In un caso del genere, la responsabilità di una determinata impresa per l’infrazione in questione risulta validamente accertata allorché tale impresa ha partecipato a queste riunioni conoscendone l’oggetto, anche se non ha poi attuato l’una o l’altra delle misure concordate in occasione delle riunioni stesse. La maggiore o minore assiduità dell’impresa alle riunioni nonché l’attuazione più o meno completa delle misure concordate hanno conseguenze non già sul sussistere della responsabilità dell’impresa stessa, bensì sull’ampiezza di tale responsabilità e dunque sull’entità della sanzione. In linea di principio, imprese che concludano un accordo diretto a limitare la concorrenza non possono sottrarsi all’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, sostenendo che il loro accordo non doveva avere alcuna influenza considerevole sulla concorrenza.

    (v. punti 83-84, 87, 90)

  5.  Gli accordi per lo scambio di informazioni contrastano con le norme sulla concorrenza quando riducono o annullano il grado di incertezza in ordine al funzionamento del mercato di cui trattasi, con conseguente restrizione della concorrenza tra le imprese.

    È infatti implicito nelle norme del Trattato in materia di concorrenza che ogni operatore economico deve determinare autonomamente la condotta che intende seguire sul mercato comune. Difatti, tale esigenza di autonomia osta ad ogni contatto diretto o indiretto fra operatori economici in grado di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente attuale o potenziale, oppure di rivelare a tale concorrente il comportamento che si intende tenere o si prevede di tenere sul mercato qualora tali contatti abbiano l’oggetto o l’effetto di realizzare condizioni di concorrenza diverse da quelle normali del mercato in questione, tenuto conto della natura dei prodotti o delle prestazioni fornite, dell’importanza e del numero delle imprese nonché del volume del mercato stesso.

    In un mercato effettivamente concorrenziale, il fatto che un operatore economico tenga conto delle informazioni sul funzionamento del mercato, di cui dispone grazie a un sistema di scambio di informazioni per adeguare il suo comportamento sul mercato, considerato il frazionamento dell’offerta, non è tale da ridurre o annullare, per gli altri operatori economici, qualsiasi incertezza sulla prevedibilità del comportamento dei propri concorrenti. Tuttavia, in un mercato oligopolistico fortemente concentrato, lo scambio di informazioni sul mercato può consentire alle imprese di conoscere le posizioni sul mercato e la strategia commerciale dei loro concorrenti e, di conseguenza, può alterare sensibilmente la concorrenza in essere fra gli operatori economici.

    Si deve presumere, salvo prova contraria che spetta agli operatori interessati fornire, che le imprese partecipanti alla concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio comportamento su tale mercato. Ciò a maggior ragione allorché la concertazione ha luogo su base regolare nel corso di un lungo periodo.

    (v. punti 106-109, 180-184, 313)

  6.  Un parallelismo di comportamenti può essere considerato prova di una concertazione soltanto qualora la concertazione ne costituisca l’unica spiegazione plausibile. Infatti, se è vero che l’art. 81 CE vieta qualsiasi forma di collusione atta a falsare il gioco della concorrenza, non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti.

    In una situazione in cui la Commissione constati che più imprese si sono accordate per porre termine a una guerra dei prezzi su più mercati europei, la quasi simultaneità di annunci di aumenti dei prezzi, nonché il parallelismo dei prezzi annunciati, costituiscono indizi forti di una previa concertazione volta a informare le imprese concorrenti degli aumenti dei prezzi, anche se intervalli tra i vari annunci degli aumenti dei prezzi hanno eventualmente consentito alle imprese di venirne a conoscenza attraverso informazioni provenienti dal mercato, e anche se tali rialzi non sono stati sempre esattamente del medesimo livello.

    (v. punti 143-144)

  7.  La ricezione da parte di un’impresa di informazioni provenienti da un concorrente relative al comportamento futuro di quest’ultimo sul mercato costituisce una pratica concordata vietata dall’art. 81, n. 1, CE, anche ove si tratti di un comportamento del tutto unilaterale. Infatti, se è vero che la nozione di pratica concordata presuppone effettivamente l’esistenza di contatti tra concorrenti contraddistinti dalla reciprocità, tale requisito è tuttavia soddisfatto quando la divulgazione, effettuata da un concorrente a un altro, delle intenzioni o della condotta futura del primo sul mercato sia stata richiesta o, quanto meno, accettata dal secondo. Quest’ultimo, grazie all’informazione ricevuta, di cui terrà necessariamente conto, direttamente o indirettamente, elimina anticipatamente l’incertezza relativa al comportamento futuro del primo, quando invece ogni operatore economico deve autonomamente determinare la politica commerciale che intende seguire sul mercato.

    È quanto avviene anche nel caso in cui le informazioni di cui trattasi siano già note ai clienti prima di essere comunicate al concorrente, e quindi possano essere ottenute sul mercato. Infatti, l’invio diretto consente al concorrente di venire a conoscenza delle suddette informazioni in modo più semplice, rapido e diretto che non attraverso il mercato e permette di dar vita ad un clima di certezza reciproca riguardo al suo comportamento futuro.

    (v. punti 153-154, 231-236)

  8.  Una violazione dell’art. 81, n. 1, CE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o perfino da un comportamento continuato. La nozione di infrazione unica riguarda proprio una situazione in cui più imprese abbiano preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza, oppure in infrazioni singole collegate l’una all’altra da una identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e di soggetti (identità delle imprese interessate, consapevoli di partecipare all’oggetto comune). Tale interpretazione non può essere contestata sulla base del fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero anche costituire di per sé e presi isolatamente una violazione della detta disposizione. Ove le diverse azioni facciano parte di un piano d’insieme, a causa del loro identico oggetto, consistente nel distorcere il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme. Sarebbe allora artificioso suddividere tale comportamento continuo, caratterizzato da una finalità unica, in più infrazioni diverse. Il carattere unico dell’infrazione, infatti, deriva dall’unicità dell’obiettivo perseguito da ciascun partecipante all’accordo e non dalle modalità della sua applicazione.

    In tal senso, la semplice circostanza che ciascuna impresa partecipa all’infrazione con forme ad essa specifiche non inficia la qualificazione dell’infrazione come infrazione unica e continuata. Infatti, anche se gli accordi e le pratiche concordate di cui all’art. 81, n. 1, CE derivano per forza dal concorso di più imprese, che sono tutte coautrici dell’infrazione, la loro partecipazione può rivestire forme differenti, in particolare a seconda delle caratteristiche del mercato interessato e della posizione di ciascuna impresa su di esso, degli scopi perseguiti e delle modalità di esecuzione scelte o previste.

    Similmente, nell’ambito di un accordo globale esteso su diversi anni, importa poco un intervallo di qualche mese tra le estrinsecazioni dell’intesa, essendo invece determinante il fatto che le diverse azioni rientrino in un «piano d’insieme» a causa del loro identico oggetto.

    Infine, il fatto che il numero e l’intensità delle pratiche collusive possano variare a seconda del mercato interessato non implica che l’infrazione non riguardi i mercati su cui le pratiche sono meno intense e meno numerose.

    Tutti questi elementi debbono essere tenuti in considerazione solo nel valutare la gravità dell’infrazione e, all’occorrenza, nel determinare l’importo dell’ammenda.

    (v. punti 240, 252, 255-260)

  9.  Così come l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve, nella maggior parte dei casi, essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole di concorrenza, quando si tratta di un’infrazione complessa, unica e continuata di tali regole, ciascuna delle diverse manifestazioni dell’infrazione rafforza la dimostrazione che simile infrazione ha effettivamente avuto luogo. Pertanto, le diverse manifestazioni dell’infrazione vanno intese in un contesto complessivo che ne spiega la ragion d’essere. Non si tratta allora di un ragionamento circolare, ma di una deduzione delle prove in cui il valore probatorio dei diversi elementi di fatto è rafforzato o invalidato dagli altri elementi di fatto esistenti che, congiuntamente, possono dimostrare l’esistenza di un’infrazione unica.

    (v. punti 249-250)

  10.  In sede di determinazione dell’importo delle ammende per infrazione delle regole comunitarie di concorrenza, la valutazione della gravità dell’infrazione deve avvenire tenendo conto, in particolare, della natura delle restrizioni imposte alla concorrenza, che costituisce al riguardo il criterio essenziale, pur dovendosi prendere in considerazione anche la dimensione del mercato geografico interessato e l’impatto sul mercato, qualora sia misurabile. Un’intesa orizzontale che fissa i prezzi può essere giustamente qualificata dalla Commissione come molto grave tenuto conto della sua natura.

    Questa qualificazione non può essere rimessa in discussione né dal fatto che l’impatto dell’intesa sul mercato sarebbe stato limitato, né dal fatto, ammettendo che sia vero, che la Commissione avrebbe per tale ragione ridotto l’importo dell’ammenda in altre decisioni, poiché, da un lato, gli elementi relativi all’oggetto di un comportamento possono rivestire rilevanza maggiore per la determinazione dell’importo dell’ammenda di quelli relativi ai suoi effetti e, dall’altro, la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza.

    (v. punti 268, 271-275, 278)

  11.  Affinché la Commissione possa fondarsi sull’impatto concreto di un’intesa sul mercato ai fini del calcolo dell’ammenda in base alla gravità dell’infrazione, come previsto al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA, è sufficiente che essa sia in grado di fornire indizi concreti e credibili che indichino, con ragionevole probabilità, che l’intesa ha avuto un tale impatto, senza che sia necessario quantificarlo né fornire in proposito dati di valutazione in cifre.

    Infatti, l’esame dell’impatto di una intesa sul mercato implica necessariamente il ricorso a ipotesi. In questo contesto, la Commissione deve, in particolare, esaminare quale sarebbe stato il prezzo del prodotto in esame in assenza di intesa. Orbene, nel procedere all’esame delle cause della effettiva evoluzione dei prezzi, è azzardato speculare sul rispettivo ruolo di ciascuna di esse. Si deve tener conto della circostanza obiettiva che, in ragione dell’intesa sui prezzi, le parti hanno rinunciato proprio alla loro libertà di farsi concorrenza sui prezzi. Pertanto, la valutazione dell’influenza derivante da fattori diversi dalla detta volontaria astensione dei partecipanti all’intesa è necessariamente fondata su ragionevoli probabilità, non quantificabili con esattezza.

    Sia il fatto che i partecipanti all’intesa possedevano la maggioranza (o la quasi totalità) del mercato rilevante, sia il fatto che gli accordi evidenziati erano specificamente diretti a portare i prezzi ad un livello superiore a quello che avrebbero raggiunto se essi non fossero stati conclusi costituiscono indizi che dimostrano che l’infrazione era in grado di produrre considerevoli effetti anticoncorrenziali.

    Per contro, una volta accertata l’attuazione di un’intesa, non si può esigere che la Commissione dimostri in modo sistematico che gli accordi hanno effettivamente permesso alle imprese interessate di raggiungere un livello di prezzi di transazione superiore a quello che vi sarebbe stato se l’intesa non fosse stata conclusa. Sarebbe sproporzionato esigere tale dimostrazione, che assorbirebbe risorse notevoli, richiedendo il ricorso a calcoli ipotetici, basati su modelli economici la cui esattezza può essere verificata solo con difficoltà dal giudice e la cui infallibilità non è affatto dimostrata.

    (v. punti 297, 300-301, 303, 307)

  12.  Per quanto riguarda il calcolo delle ammende inflitte dalla Commissione per violazione delle regole comunitarie della concorrenza, i requisiti della formalità sostanziale costituita dall’obbligo di motivazione sono soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione di cui essa ha tenuto conto in forza dei suoi orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA e, all’occorrenza, della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende, elementi che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione ai fini del calcolo dell’ammenda. La portata dell’obbligo di motivazione dev’essere determinata alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni va accertata sulla scorta di un gran numero di elementi, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione. Inoltre, occorre evitare che le ammende siano facilmente prevedibili dagli operatori economici, al fine di non comprometterne l’effetto dissuasivo. Se l’importo dell’ammenda fosse il risultato di un calcolo che risponde ad una semplice formula matematica, le imprese potrebbero prevedere l’eventuale sanzione e bilanciarla con i benefici che trarrebbero dalla violazione delle regole del diritto della concorrenza. L’obbligo di motivazione non impone quindi alla Commissione di indicare nella propria decisione i dati numerici relativi al metodo di calcolo dell’importo delle ammende.

    (v. punti 331, 333, 336, 343)

  13.  La Commissione, non essendo tenuta ad effettuare il calcolo dell’ammenda a partire da importi basati sul fatturato delle imprese interessate, non è nemmeno tenuta ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende a cui è giunto il suo calcolo per le imprese interessate rendano conto di ogni differenza tra le stesse imprese in ordine al loro fatturato complessivo o al loro fatturato realizzato sul mercato del prodotto rilevante.

    Infatti, da un lato, il diritto comunitario non contiene un principio di applicazione generale secondo cui la sanzione dev’essere proporzionata all’importanza dell’impresa sul mercato dei prodotti oggetto dell’infrazione, dall’altro lato, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non impone neppure che, qualora delle ammende vengano inflitte a più imprese implicate in una medesima infrazione, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa di dimensioni piccole o medie non sia superiore, in termini di percentuale del fatturato, a quello delle ammende inflitte alle imprese più grandi. Risulta dalla detta disposizione che, tanto per le imprese di dimensioni piccole o medie quanto per le imprese di dimensioni superiori, occorre prendere in considerazione, per determinare l’importo dell’ammenda, la gravità e la durata dell’infrazione. Qualora la Commissione infligga, alle imprese implicate in una medesima infrazione, ammende giustificate, per ciascuna di esse, in rapporto alla gravità e alla durata dell’infrazione, non può addebitarsi alla detta istituzione il fatto che, per talune di queste imprese, l’importo dell’ammenda sia superiore, in proporzione al fatturato, a quello di altre imprese.

    La Commissione non è nemmeno obbligata a fissare ammende proporzionate ai fatturati e perfettamente coerenti rispetto a quelle fissate in altri casi precedenti, comparabili sotto il profilo della gravità delle infrazioni. Infatti, la sua prassi decisionale antecedente non funge di per sè quale quadro giuridico per le ammende in materia di concorrenza. Il fatto che la Commissione abbia applicato, in passato, ammende di un certo livello a taluni tipi di infrazioni non vale a privarla della possibilità di aumentare tale livello entro i limiti indicati dal regolamento n. 17, ove ciò sia necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria in materia di concorrenza. Inoltre, la gravità delle infrazioni va accertata sulla scorta di un gran numero di elementi come, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione. Orbene, i dati pertinenti, quali i mercati, i prodotti, i paesi, le imprese e i periodi in questione variano da caso a caso.

    A questo proposito, il giudice comunitario, nell’ambito della sua competenza anche di merito che gli è riconosciuta dagli artt. 229 CE e 17 del regolamento n. 17, è competente a valutare il carattere adeguato dell’importo delle ammende.

    (v. punti 338-344)

  14.  Un’impresa — ossia una unità economica composta di elementi personali, materiali e immateriali — è diretta dagli organi indicati nel suo statuto e qualsiasi decisione che le infligga un’ammenda può essere indirizzata alla direzione statutaria dell’impresa (consiglio di amministrazione, comitato direttivo, presidente, gestore, ecc.). Sarebbe facile aggirare le norme sulla concorrenza se si chiedesse alla Commissione, di fronte al comportamento illecito di un’impresa, di verificare e dimostrare chi è l’autore dei diversi comportamenti, cosa che potrebbe impedirle di sanzionare l’impresa che abbia beneficiato dell’accordo.

    (v. punti 360, 430)

  15.  Ai fini del calcolo della durata di un’infrazione alle regole di concorrenza, la Commissione può tener conto di frazioni di anni. Infatti, nulla negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA impedisce di tener conto della durata effettiva dell’infrazione. Siffatto approccio è assolutamente logico e ragionevole e in ogni caso rientra nell’ambito del potere discrezionale della Commissione.

    (v. punto 361)

  16.  Per quel che riguarda le infrazioni di lunga durata alle regole di concorrenza, la Commissione può applicare automaticamente il tasso massimo di maggiorazione del 10% annuo dell’importo preso in considerazione per la gravità dell’infrazione. Infatti, anche se il punto 1 B, primo comma, terzo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA non stabilisce una maggiorazione automatica, esso lascia al riguardo un potere discrezionale alla Commissione.

    (v. punto 362)

  17.  Ai fini dell’aumento dell’importo dell’ammenda in base alla gravità complessiva dell’infrazione, come previsto al punto 1 B degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA, non sarebbe logico tener conto di una variazione nell’intensità dell’infrazione durante il periodo considerato. Infatti, a tale aumento si procede applicando una determinata percentuale all’importo di partenza stabilito in base alla gravità complessiva dell’infrazione, il che già riflette le diverse intensità dell’infrazione.

    (v. punto 364)

  18.  La nozione di recidiva non comporta necessariamente la constatazione di una previa sanzione pecuniaria, ma solo quella di una previa violazione del diritto comunitario della concorrenza. Difatti, la presa in considerazione della recidiva è diretta a indurre le imprese che hanno dimostrato una tendenza a violare le regole della concorrenza a mutare il loro comportamento, allorché una precedente constatazione dell’infrazione da esse commessa non si è rivelata sufficiente a prevenire la reiterazione di un comportamento illecito. L’elemento dominante della recidiva non è quindi la previa imposizione di un’ammenda, né tanto meno l’importo di questa, ma l’accertamento preliminare di un’infrazione simile della stessa disposizione del Trattato.

    In presenza di due infrazioni concomitanti, la maggiorazione dell’importo dell’ammenda che sanziona una di esse in considerazione del fatto che l’altra è già stata oggetto di una decisione sanzionatoria è giustificata solo qualora la maggior parte del periodo di partecipazione alla seconda infrazione sia anteriore alla decisione che ha sanzionato la prima infrazione. Per contro, la Commissione non eccede il proprio potere discrezionale allorché applica una maggiorazione a titolo di recidiva sull’importo dell’ammenda inflitta per la seconda infrazione in quanto quest’ultima è perdurata per anni dopo la prima constatazione di infrazione.

    (v. punti 387-388, 390-391, 393-394, 396)

  19.  In una prospettiva di dissuasione, la recidiva costituisce una circostanza che giustifica un notevole aumento dell’importo base di un’ammenda inflitta per violazione delle regole di concorrenza. Essa costituisce infatti la prova che la sanzione precedentemente imposta non è stata abbastanza dissuasiva. A tal proposito, la circostanza che, nella prima infrazione, il ruolo dell’impresa sanzionata fosse minore e passivo non è idonea a rimettere in discussione le conseguenze della recidiva, poiché quel che rileva è che, nonostante l’accertamento di una violazione del diritto comunitario della concorrenza, l’impresa di cui si tratta abbia continuato a violarlo.

    Fissando un aumento a titolo di recidiva, la Commissione può limitarsi ad esaminare quale sarebbe la percentuale proporzionata senza tener conto dell’ammontare in termini assoluti dell’aumento dell’importo di base dell’ammenda cui porta l’applicazione di tale percentuale. Fintanto che la percentuale di aumento non è eccessiva, l’importo dell’aumento in termini assoluti è solo la conseguenza matematica dell’applicazione di tale percentuale all’importo di base, la cui proporzionalità rispetto alla gravità e alla durata dell’infrazione di cui trattasi costituisce oggetto di un esame a parte.

    Il mero fatto che, in un’altra decisione, la Commissione abbia maggiorato diversamente un importo base per comportamento recidivo non implica che essa sia tenuta ad applicare un’identica percentuale di maggiorazione nella decisione impugnata. Infatti, la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza, poiché quest’ultimo è definito esclusivamente dal regolamento n. 17.

    Altrettanto privo di pertinenza per quanto riguarda il livello della maggiorazione a titolo di recidiva è il fatto che tale maggiorazione superi l’importo di partenza dell’ammenda inflitta a causa della gravità dell’infrazione agli altri partecipanti all’infrazione. Infatti, una volta che l’ammenda sia stata stabilita correttamente e che la maggiorazione per comportamento recidivo sia proporzionata, il fatto che l’importo della maggiorazione in termini assoluti sia più elevato rispetto all’importo di base delle ammende inflitte agli altri partecipanti all’infrazione è semplicemente una conseguenza matematica della maggiorazione, priva di qualunque connessione con l’importo delle altre ammende.

    Lo stesso vale per quanto riguarda il fatto che la maggiorazione a titolo di recidiva supera la riduzione dell’importo dell’ammenda concessa all’impresa sanzionata in riconoscimento della sua collaborazione con la Commissione. Si tratta infatti di due fasi diverse della fissazione dell’importo dell’ammenda.

    Infine, l’impresa sanzionata non può, al fine di rimettere in discussione l’importo della maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva, arguire dal fatto che la Commissione le ha applicato, allo stesso titolo, la stessa maggiorazione applicata a un altro partecipante alla medesima infrazione, quando invece le caratteristiche dell’infrazione precedente commessa da quest’ultimo non siano analoghe a quelle dell’infrazione precedente imputata alla detta impresa. Infatti, poiché la maggiorazione per comportamento recidivo è legata ad una circostanza aggravante specifica dell’impresa di cui trattasi, quel che importa è il fatto che le due imprese sono state in precedenza coinvolte in infrazioni e che, malgrado l’accertamento di tali infrazioni, non hanno posto termine alla loro partecipazione a una nuova infrazione.

    (v. punti 398-399, 401, 406-412)

  20.  Se è certo importante il fatto che un’impresa abbia adottato provvedimenti volti a impedire che in futuro vengano commesse nuove infrazioni al diritto comunitario della concorrenza da parte di membri del suo personale, tale circostanza non muta in nulla la realtà dell’infrazione rilevata. Ne consegue che il solo fatto che in alcuni casi la Commissione abbia preso in considerazione, nella sua pratica decisionale anteriore, l’attuazione di un programma di adeguamento del comportamento dell’impresa alle regole comunitarie di concorrenza alla stregua di una circostanza attenuante, non fa sorgere a suo carico l’obbligo di procedere allo stesso modo in un caso determinato.

    La Commissione non è quindi tenuta a considerare un tale elemento alla stregua di circostanza attenuante purché essa si conformi al principio della parità di trattamento, il quale implica che non si proceda ad una valutazione diversa su tale punto tra le imprese destinatarie di una stessa decisione.

    (v. punti 423-424)

  21.  La possibilità di concedere ad un’impresa che abbia collaborato con la Commissione nel corso di un procedimento per violazione delle norme sulla concorrenza una riduzione di ammenda al di fuori dell’ambito stabilito dalla comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese, come quella prevista al punto 3, sesto trattino, degli orientamenti adottati dalla Commissione per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA, presuppone necessariamente che la cooperazione di cui si tratta non possa essere ricompensata nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione e che sia stata effettiva, cioè che abbia agevolato il compito della Commissione che consiste nell’accertare e nel reprimere infrazioni alle regole comunitarie sulla concorrenza.

    (v. punti 426, 428)

  22.  Ai sensi del punto 3, terzo trattino, degli orientamenti adottati dalla Commissione per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA, l’«aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti)» è annoverato tra le circostanze attenuanti. Tuttavia, una riduzione dell’ammenda a causa della cessazione dell’infrazione sin dai primi interventi della Commissione non sarà automatica, ma dipenderà da una valutazione delle circostanze del caso concreto da parte della Commissione, nell’ambito del suo potere discrezionale. A questo riguardo, l’applicazione della detta disposizione degli orientamenti in favore di un’impresa sarà particolarmente adeguata in una situazione in cui la natura anticoncorrenziale del comportamento in questione non sia manifesta. Al contrario, la sua applicazione sarà meno adeguata, in via di principio, in una situazione in cui quest’ultimo sia chiaramente anticoncorrenziale, sempre che ciò sia dimostrato. Infatti, la circostanza che la Commissione abbia considerato, in passato, la cessazione volontaria di un’infrazione come una circostanza attenuante, non può impedirle di tener conto, in applicazione dei suoi orientamenti, del fatto che infrazioni manifeste molto gravi, benché la loro illegittimità sia stata dimostrata sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, sono ancora relativamente frequenti e, quindi, di ritenere opportuno abbandonare questa prassi generosa e smettere di premiare l’aver posto fine a tale infrazione con una riduzione dell’ammenda. Pertanto, l’opportunità di una riduzione dell’ammenda a causa della cessazione dell’infrazione dipende dal fatto che l’impresa di cui trattasi potesse ragionevolmente dubitare della natura illecita del suo comportamento.

    Così non è nel caso di un accordo segreto avente ad oggetto uno scambio di informazioni all’interno di un mercato oligopolistico e una stabilizzazione dei mercati. Questo tipo di accordo costituisce un’infrazione molto grave e le imprese interessate dovevano pertanto essere consapevoli dell’illegittimità del loro comportamento. Il carattere segreto dell’accordo conferma del resto che le imprese interessate sono coscienti dell’illiceità delle loro condotte.

    (v. punti 436-439)

  23.  Se è vero che l’importo dell’ammenda irrogata per infrazione alle regole comunitarie di concorrenza deve essere proporzionato alla durata dell’infrazione e agli altri fattori che possono entrare nella valutazione della gravità di quest’ultima, tra i quali rientra il vantaggio che l’impresa interessata ha potuto trarre dalle proprie pratiche, la circostanza che un’impresa non abbia tratto alcun vantaggio dall’infrazione non può impedire l’irrogazione di un’ammenda, poiché diversamente quest’ultima perderebbe il suo carattere dissuasivo. Ne consegue che la Commissione, nel fissare l’importo delle ammende, non è tenuta a prendere in considerazione il fatto che l’impresa non abbia tratto vantaggio dall’infrazione.

    A tal proposito, sebbene la Commissione possa, ai sensi del punto 2, quinto trattino, dei suoi orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA e a titolo di circostanze aggravanti, aumentare la sanzione al fine di superare l’importo dei guadagni illeciti realizzati grazie all’infrazione, ciò non significa tuttavia che essa si sia ormai imposta l’onere di dimostrare in qualsiasi caso, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, il vantaggio economico connesso all’infrazione constatata. In altri termini, l’assenza di un vantaggio di questo tipo non può essere considerata come una circostanza attenuante.

    (v. punti 441-443)

  24.  Per l’assolvimento dei compiti affidatile in materia di concorrenza, la Commissione può raccogliere tutte le informazioni necessarie presso i governi e le autorità competenti degli Stati membri, nonché presso le imprese e associazioni di imprese. Essa ha il diritto, in particolare, di obbligare un’impresa a fornire tutte le informazioni necessarie attinenti ai fatti di cui essa possa avere conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i relativi documenti di cui sia in possesso, sebbene questi possano servire a dimostrare, nei confronti di tale impresa o di un’altra impresa, l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale. Di conseguenza, le risposte fornite conformemente all’art. 11, n. 1, del regolamento n. 17 costituiscono l’esecuzione di un obbligo e non una cooperazione volontaria ai sensi della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese.

    (v. punto 468)

  25.  In seguito ad una sentenza di annullamento, che opera ex tunc ed ha pertanto l’effetto di eliminare retroattivamente l’atto annullato dall’ordinamento giuridico, l’istituzione convenuta deve adottare, in forza dell’art. 233 CE, i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti degli illeciti accertati, dovere che, nel caso di un atto già eseguito, può consistere nel reintegrare il ricorrente nella situazione nella quale il medesimo si trovava anteriormente a tale atto.

    Al primo posto fra i provvedimenti ex art. 233 CE figura pertanto, nel caso di una sentenza che annulli o riduca l’importo dell’ammenda imposta a un’impresa per violazione delle norme in materia di concorrenza del Trattato, l’obbligo per la Commissione di restituire in tutto o in parte l’ammenda pagata dall’impresa interessata, in quanto tale pagamento deve essere qualificato come indebito in seguito alla sentenza di annullamento. Tale obbligo riguarda non solo l’importo principale corrispondente all’ammenda indebitamente pagata, ma anche gli interessi di mora prodotti da tale importo. Se non concedesse alcun interesse di mora sull’importo dell’ammenda rimborsata a seguito di siffatta sentenza, la Commissione ometterebbe di adottare una misura che l’esecuzione della sentenza comporta e violerebbe pertanto gli obblighi su di essa incombenti in forza dell’art. 233 CE.

    Ne consegue che, nell’ambito di un procedimento per l’annullamento di un’ammenda inflitta per violazione delle regole di concorrenza, è irricevibile la domanda diretta a far ingiungere alla Commissione di rimborsare in tutto o in parte l’importo dell’ammenda pagata dall’impresa di cui trattasi, maggiorato degli interessi, nei limiti in cui tale pagamento debba essere qualificato come indebito in seguito alla decisione di annullamento.

    (v. punti 486-489)