CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
D. RUIZ-JARABO COLOMER
presentate il 10 marzo 2005(1)



Causa C‑456/03



Commissione delle Comunità europee
contro
Repubblica italiana



«Inadempimento di uno Stato – Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche»






1.        La Commissione chiede che sia dichiarato che l’Italia non ha recepito la normativa di armonizzazione in materia di brevetti biotecnologici.

2.        La peculiarità del presente procedimento consiste nel fatto che lo Stato convenuto ha contestato la fondatezza degli argomenti della Commissione solo nel controricorso. Il suo comportamento durante la fase amministrativa ha potuto indurre l’istituzione comunitaria a ritenere che esso riconoscesse implicitamente la violazione contestata, in quanto il detto Stato adduceva che la pertinente normativa di recepimento stava per essere approvata.

3.        Il detto comportamento ha inoltre ridotto le fasi del dibattito fra le parti, a scapito del corretto svolgimento di un ricorso per inadempimento.

La direttiva 98/44

4.        La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE (in prosieguo: la «direttiva»)  (2) , riguarda il ravvicinamento delle normative sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche.

Essa è stata adottata ai sensi dell’art. 189 B del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 251 CE).

5.        Dal preambolo si deduce che la direttiva intende chiarire la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (quarto ‘considerando’), partendo dalla constatazione di divergenze tra le legislazioni e le pratiche dei diversi Stati membri, tali da ostacolare gli scambi e, quindi, il funzionamento del mercato interno (quinto ‘considerando’).

Inoltre, lo sviluppo eterogeneo dei detti sistemi nazionali pregiudica lo sviluppo industriale di tali invenzioni (settimo ‘considerando’), senza tuttavia che il Parlamento europeo e il Consiglio ritengano necessario creare un diritto specifico, essendo sufficiente che le disposizioni degli Stati membri, adeguate e completate, rimangano il riferimento fondamentale per la protezione delle invenzioni biotecnologiche (ottavo ‘considerando’).

6.        Ai sensi del nono ‘considerando’, occorre dissipare l’incertezza mediante l’opera di armonizzazione, poiché, in alcuni casi, come quello dell’esclusione dalla brevettabilità  (3) di varietà vegetali e razze animali o di procedimenti essenzialmente biologici di produzione di vegetali o animali, alcune nozioni delle legislazioni nazionali, basate su convenzioni internazionali in materia di brevetti e varietà vegetali, hanno dato luogo ad una situazione di incertezza per quanto riguarda la protezione delle invenzioni biotecnologiche e microbiologiche.

7.        Conformemente al tredicesimo ‘considerando’, «il quadro giuridico comunitario per la protezione delle invenzioni biotecnologiche può limitarsi alla definizione di alcuni principi applicabili alla brevettabilità del materiale biologico in quanto tale, principi che hanno essenzialmente l’obiettivo di precisare la distinzione tra invenzioni e scoperte in materia di brevettabilità di determinati elementi di origine umana, nonché all’ambito della protezione attribuita da un brevetto su un’invenzione biotecnologica, alla possibilità di far ricorso ad un sistema di deposito che completi la descrizione scritta e, infine, alla possibilità di ottenere reciprocamente licenze obbligatorie non esclusive in base al rapporto di dipendenza tra varietà vegetali e invenzioni».

8.        Il preambolo indica inoltre il vantaggio di incoraggiare, attraverso il sistema dei brevetti, i progressi nella cura delle malattie, grazie a medicinali derivati da elementi isolati dal corpo umano o da procedimenti tecnici intesi ad ottenere elementi di struttura simile a quella di elementi esistenti nel corpo umano (diciassettesimo ‘considerando’).

Ciononostante, il detto sistema non è sufficiente, da solo, a promuovere la ricerca e la produzione di medicinali basati sulle biotecnologie imprescindibili per la lotta alle malattie rare, cosiddette «orfane», per cui la Comunità e gli Stati membri devono dare una riposta adeguata a questo problema (diciottesimo ‘considerando’).

Da ultimo, il legislatore comunitario afferma che un’invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano, o a uno diversamente elaborato, tramite un procedimento tecnico, e utilizzabile a fini industriali, non è esclusa dalla brevettabilità, anche se la struttura dell’elemento è identica a quella di un elemento naturale, fermo restando che i diritti attribuiti dal brevetto non si estendono al corpo umano e ai suoi elementi nel loro ambiente naturale (ventesimo ‘considerando’).

9.        Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva, «gli Stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto nazionale dei brevetti. Essi, se necessario, adeguano il loro diritto nazionale dei brevetti per tener conto delle disposizioni della presente direttiva».

10.      L’art. 3, n. 1, della direttiva dichiara brevettabili «le invenzioni nuove che comportino un’attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico».

11.      Ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva, «un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale».

12.      L’art. 6 del testo di armonizzazione dispone quanto segue:

«1.     Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume; lo sfruttamento di un’invenzione non può di per sé essere considerato contrario all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare.

2.       Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare:

a)       i procedimenti di clonazione di esseri umani;

b)
i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano;

c)
le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;

d)
i procedimenti di modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti».

13.      Il capitolo II della direttiva è dedicato all’ambito della protezione di un brevetto biotecnologico. Esso contiene le seguenti disposizioni:

Art. 8

«1.     La protezione attribuita da un brevetto relativo ad un materiale biologico dotato, in seguito all’invenzione, di determinate proprietà si estende a tutti i materiali biologici da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotati delle stesse proprietà.

2.       La protezione attribuita da un brevetto relativo ad un procedimento che consente di produrre un materiale biologico dotato, per effetto dell’invenzione, di determinate proprietà si estende al materiale biologico direttamente ottenuto da tale procedimento e a qualsiasi altro materiale biologico derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotato delle stesse proprietà».

Art. 9

«Fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 1, la protezione attribuita da un brevetto ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione».

Art. 10

«La protezione di cui agli articoli 8 e 9 non si estende al materiale biologico ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione di materiale biologico commercializzato nel territorio di uno Stato membro dal titolare del brevetto o con il suo consenso, qualora la riproduzione o la moltiplicazione derivi necessariamente dall’utilizzazione per la quale il materiale biologico è stato commercializzato, purché il materiale ottenuto non venga utilizzato successivamente per altre riproduzioni o moltiplicazioni».

Art. 11

«1.     In deroga agli articoli 8 e 9, la vendita o un’altra forma di commercializzazione di materiale di riproduzione di origine vegetale, da parte del titolare del brevetto o con il suo consenso, ad un agricoltore a fini di sfruttamento agricolo implica l’autorizzazione per l’agricoltore ad utilizzare il prodotto del raccolto per la riproduzione o la moltiplicazione in proprio nella propria azienda; l’ambito e le modalità di questa deroga corrispondono a quelli previsti dall’articolo 14 del regolamento (CE) n. 2100/94.

2.       In deroga agli articoli 8 e 9, la vendita o un’altra forma di commercializzazione di bestiame di allevamento o di altro materiale di riproduzione di origine animale, da parte del titolare del brevetto o con il suo consenso, ad un agricoltore implica l’autorizzazione per quest’ultimo ad utilizzare il bestiame protetto per uso agricolo. Tale autorizzazione include la messa a disposizione dell’animale o di altro materiale di riproduzione di origine animale per la prosecuzione della propria attività agricola, ma non la vendita nell’ambito o ai fini di un’attività di riproduzione commerciale.

3.       L’ambito e le modalità di applicazione della deroga di cui al paragrafo 2 sono disciplinati dalle disposizioni legislative e regolamentari e dalle prassi nazionali».

14.      In merito alle licenze obbligatorie dipendenti, l’art. 12 della direttiva recita:

«1.     Un costitutore, qualora non possa ottenere o sfruttare commercialmente una privativa sui ritrovati vegetali senza violare un brevetto precedente, può chiedere una licenza obbligatoria per lo sfruttamento non esclusivo dell’invenzione protetta dal brevetto, in quanto tale licenza sia necessaria allo sfruttamento della varietà vegetale da proteggere, dietro pagamento di un canone adeguato. Gli Stati membri stabiliscono che, in caso di concessione della licenza, il titolare del brevetto ha reciprocamente diritto ad una licenza reciproca a condizioni ragionevoli per utilizzare la varietà protetta.

2.       Il titolare di un brevetto riguardante un’invenzione biotecnologica, qualora non possa sfruttarla senza violare una privativa precedente sui ritrovati vegetali, può chiedere una licenza obbligatoria per l’uso non esclusivo della varietà protetta dalla privativa, dietro pagamento di un canone adeguato. Gli Stati membri stabiliscono che, in caso di concessione della licenza, il titolare della privativa per ritrovati vegetali ha reciprocamente diritto ad una licenza a condizioni ragionevoli per utilizzare l’invenzione protetta.

3.       Coloro che chiedono le licenze di cui ai paragrafi 1 e 2 devono dimostrare:

a)
che si sono rivolti invano al titolare del brevetto o della privativa sui ritrovati vegetali per ottenere una licenza contrattuale;

b)
che la varietà vegetale o l’invenzione costituisce un progresso tecnico significativo, di notevole interesse economico rispetto all’invenzione rivendicata nel brevetto o alla varietà vegetale protetta.

4.       Ogni Stato membro designa la o le autorità competenti a concedere la licenza. Qualora la licenza su una varietà vegetale possa essere concessa soltanto dall’Ufficio comunitario delle varietà vegetali, si applica l’articolo 29 del regolamento (CE) n. 2100/94».

15.      Conformemente all’art. 15, gli Stati membri dovevano adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per sviluppare il contenuto della presente direttiva entro e non oltre il 30 luglio 2000, informandone immediatamente la Commissione.

Fase precontenziosa del procedimento

16.      L’Italia non informava la Commissione dell’adozione di nessuna delle misure previste dalla direttiva. La Commissione non disponeva di nessun indizio tale da lasciar supporre che lo Stato convenuto avesse recepito le disposizioni della direttiva nel suo diritto nazionale, per cui gli indirizzava una lettera datata 30 novembre 2000 con la relativa richiesta, conformemente alla procedura di cui all’art. 226 CE.

17.      Non avendo ricevuto alcuna risposta a tale lettera, il 19 dicembre 2002 la Commissione trasmetteva alle autorità italiane un parere motivato, in cui giungeva alla conclusione che, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformare il suo diritto interno alla direttiva, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato, e le accordava un termine di due mesi per completare tale recepimento.

18.      Il 6 febbraio 2003 la Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea inviava una lettera in cui adduceva che i provvedimenti necessari per conformarsi alla direttiva non erano ancora stati approvati. In una lettera successiva, datata 10 luglio 2003, essa segnalava che il processo di elaborazione di tali provvedimenti si trovava in uno stadio avanzato.

Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

19.      Non avendo ricevuto ulteriori informazioni, la Commissione proponeva il presente ricorso, depositato nella cancelleria della Corte di giustizia il 27 ottobre 2003.

20.      Dopo la produzione del ricorso, del controricorso, della replica e della controreplica, nessuna delle parti chiedeva di passare alla fase orale. Sorprende tale rinuncia ad una fase procedimentale in cui almeno la Commissione avrebbe avuto la possibilità di esprimere la sua opinione in merito alla totale mancanza di leale cooperazione nell’ambito del presente ricorso per inadempimento.

Argomenti delle parti

21.      Nel formulare il ricorso, la Commissione si limita ad addebitare il mancato recepimento del contenuto della direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale, senza ulteriori precisazioni. Il vero dibattito sorge, quindi, a partire dalla replica. Tale ritardo nella richiesta del confronto processuale è dovuto al comportamento delle autorità italiane nella fase precontenziosa.

22.      Nel controricorso, lo Stato che si presume inadempiente fa valere che, nonostante la legge delega parlamentare con cui si cerca di conformare il diritto interno alla direttiva sia in corso di elaborazione, la normativa vigente rispetta già i principi derivanti dalle disposizioni comunitarie, trasferendo sull’istituzione ricorrente l’onere della prova dell’inadempimento addebitato.

23.      Inoltre, esso menziona l’art. 1 della direttiva, che impone l’obbligo di recepimento solo se necessario e, a titolo informativo, richiama il Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1127, in particolare i suoi artt. 12 e 13.

Ai sensi dell’art. 12 possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale. Tale disposizione non esclude la brevettabilità degli elementi ivi definiti, salvo che si tratti di scoperte, teorie, piani, principi, metodi e programmi. Ciononostante, non sono considerate come invenzioni a tali effetti i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale.

D’altra parte, la Corte di cassazione, nell’interpretare tale disposizione, subordina la brevettabilità di un’invenzione chimica al requisito dell’originalità, che richiede, nella sostanza, il verificarsi di una sorta di «salto inventivo» intrinseco, capace di far evolvere lo stato della tecnica in una direzione diversa da quella già raggiunta; tale criterio è analogo alla scoperta o alla rivelazione di un nuovo uso di un prodotto già noto, che è vicenda non meno importante, sotto il profilo scientifico, della realizzazione di un prodotto «tout court» 4  –Cass. 28 giugno 2001, n. 8879..

24.      Da questa situazione legislativa e giurisprudenziale il governo convenuto deduce che la nozione di invenzione brevettabile è sufficientemente ampia da includere nel suo ambito di tutela le innovazioni biotecnologiche nel senso in cui le definiscono gli artt. 2 e 3 della direttiva.

25.      Per quanto riguarda l’art. 13 dello stesso Regio Decreto, sebbene preveda che non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione sia contraria all’ordine pubblico o al buon costume, esso non costituisce un mero divieto legale o amministrativo.

Sono escluse anche le razze animali e i procedimenti essenzialmente biologici per l’ottenimento delle stesse; questa disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici e ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti.

26.      Il governo italiano fa valere la conformità di tale normativa al contenuto della direttiva.

27.      Per quanto riguarda il divieto di elaborazione e utilizzazione di embrioni umani, il diritto italiano è stato ulteriormente completato con gli artt. 13 e 14 della legge sulla procreazione medicalmente assistita, approvata dalla Camera dei Deputati il 19 febbraio 2004.

28.      Da ultimo, con riferimento all’art. 1, n. 2, della direttiva (salvaguardia dell’accordo TRIPS e della Convenzione sulla diversità biologica), il governo convenuto fa valere che tali fonti internazionali sono state recepite da tempo nel diritto interno; recentemente, ai sensi della legge 15 gennaio 2004, n. 27, è entrato in vigore anche il protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi biotecnologici, relativo alla Convenzione sulla diversità biologica, i cui artt. 11 e segg. disciplinano le misure di cautela a fronte dei rischi connessi all’impiego di organismi biologicamente modificati, che sono potenzialmente oggetto di brevetto ai sensi delle norme della direttiva.

29.      Di conseguenza, il governo convenuto sostiene di aver raggiunto, sia sul piano sostanziale sia su quello procedurale, gli obiettivi fissati nella direttiva, per cui chiede che il ricorso sia respinto.

30.      Nella replica, la Commissione fa valere alcuni argomenti, sia di tipo procedurale sia di diritto sostanziale.

31.      Tra i primi, essa fa riferimento a diversi aspetti dell’attuazione da parte dello Stato convenuto (la mancanza di comunicazione richiesta ai sensi dell’art. 15, n. 2, della direttiva; l’ammissione implicita della violazione nella fase amministrativa; la preparazione di un testo legislativo destinato a conformare il diritto interno) per presumere che non sono state adottate le misure richieste dalla situazione.

32.      Tra i secondi, la Commissione, «per completezza», enumera cinque violazioni dettagliate della direttiva, non essendo stata adottata nella normativa italiana nessuna disposizione:

1.       sulla possibilità di ottenere un brevetto per un’invenzione avente ad oggetto un prodotto consistente, completamente o parzialmente, in materiale biologico o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico (art. 3, n. 1, della direttiva);

2.       sulla facoltà di brevettare un elemento isolato dal corpo umano (art. 5, n. 2), tenuto conto dell’obiettivo fondamentale della direttiva, consistente nello stabilire un corpo giuridico comunitario uniforme in tale settore (dal diciassettesimo al ventesimo ‘considerando’ della direttiva);

3.       sul divieto di brevettare determinati procedimenti specifici, come la clonazione di esseri umani o le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali (art. 6, n. 2).

4.       sulla protezione attribuita da un brevetto relativo ad un’invenzione biotecnologica (artt. 8‑11 della direttiva), aspetto fondamentale del testo comunitario, come è indicato al tredicesimo ‘considerando’.

5.       specificamente sul legame di dipendenza tra un brevetto riguardante un’invenzione biotecnologica ed il regime di protezione dei ritrovati vegetali (art. 12).

33.      L’analisi degli argomenti contenuti nella controreplica si risolve nel trattare il ricorso nel merito, per cui non occorre insistere in questa sede sui dettagli della stessa.

34.      In via preliminare, occorre ricordare che, come la Corte di giustizia ha dichiarato nella sentenza 9 aprile 1987, Commissione/Italia (5) , l’adattamento del diritto interno ad una direttiva non esige necessariamente una riproduzione formale e testuale delle sue disposizioni in una norma giuridica espressa e specifica, essendo sufficiente, a seconda del contenuto della direttiva medesima, un contesto giuridico generale, che garantisca la sua piena attuazione in modo chiaro e preciso, affinché, qualora la direttiva miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali. Ciononostante, al fine di garantire la piena applicazione delle direttive, non solo in diritto ma anche in fatto, gli Stati membri devono stabilire un preciso ambito normativo nel settore di cui trattasi  (6) .

35.      La Commissione chiede la condanna della Repubblica italiana per il suo comportamento durante la fase amministrativa e, in alternativa, per l’incompatibilità della sua normativa con il modello europeo.

36.      Voglio sottolineare, in via preliminare, che la trattazione della causa in esame non ha seguito le procedure previste per il suo normale svolgimento. L’art. 226 CE ha istituito un ricorso complesso diretto ad ottenere che uno Stato sia indotto ad osservare il diritto comunitario e, da ultimo, che la Corte di giustizia dichiari l’inadempimento. Ad una fase amministrativa precontenziosa, che termina con un parere motivato della Commissione, in cui viene indicato dettagliatamente l’ambito della contestazione e viene assegnato un termine per porvi fine, segue, eventualmente, la fase giurisdizionale.

Ciononostante, secondo una giurisprudenza consolidata, per giudicare l’esistenza dell’inadempimento occorre prendere in considerazione la situazione quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato per porre fine all’inadempimento 7  –            V., ad esempio, sentenze 10 maggio 2001, causa C‑152/98, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑3463, punto 21); 25 maggio 2000, causa C‑84/97, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑3823, punto 35), e 25 novembre 1998, causa C‑214/96, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑7661, punto 25).. In tale momento viene stabilito l’oggetto della controversia, nel senso che, decidendo nel merito, la Corte di giustizia non è obbligata a tener conto di eventi successivi.

37.      Nel presente procedimento, alla data in questione, il governo, ora convenuto, con il suo silenzio aveva suggerito un’acquiescenza, aggiungendo un disinvolto riferimento ad un disegno di legge in corso.

38.      La Commissione denuncia questi elementi e, sebbene non si sia espressa in modo chiaro (nella replica, essa lascia intendere che affronta gli aspetti giuridico‑sostanziali del ricorso unicamente ad abundantiam), sembra confidare nel fatto che tale comportamento faccia pendere la bilancia a suo favore.

39.      Non condivido tale valutazione. Senza dubbio va seriamente condannato il fatto che uno Stato membro, con il suo atteggiamento processuale, ostacoli il compito di guardiano della legalità comunitaria che i Trattati hanno conferito alla Commissione. Per contro, il detto comportamento può causare solo una condanna politica o morale, ma non può mai provocare, di per sé, la dichiarazione di inadempimento, anche se occorrerebbe qualificarlo come una violazione dell’obbligo di leale cooperazione imposto agli Stati membri, sanzionabile, nel suo caso, dalla stessa Corte di giustizia in un altro procedimento avviato a tale proposito.

40.      La Commissione fa valere che il comportamento del governo italiano nella fase precontenziosa equivale ad un’acquiescenza, ma, come ho avuto occasione di segnalare  (8) , il ricorso previsto dall’art. 226 CE ha natura indisponibile e l’acquiescenza o un atteggiamento processuale negligente del convenuto non determinano automaticamente l’accoglimento della richiesta presentata.

41.      Da parte sua, lo Stato convenuto chiede che il ricorso sia respinto, poiché nell’atto introduttivo non figuravano addebiti concreti.

42.     È certo che, ai sensi dell’art. 21 dello Statuto della Corte di giustizia e dell’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, l’istanza deve contenere, tra altri elementi, un’esposizione sommaria dei motivi invocati. Spetta alla Commissione, in tutti i ricorsi proposti ai sensi dell’art. 226 CE, indicare gli addebiti esatti sui quali la Corte di giustizia è chiamata a pronunciarsi nonché, in maniera quanto meno sommaria, gli elementi di fatto e di diritto sui quali tali addebiti sono fondati  (9) .

43.      Il governo italiano non può avvalersi di una situazione che ha contribuito a creare. La mancanza di precisione del ricorso è conseguenza dello stesso comportamento processuale del convenuto, per cui la detta obiezione non può essere accolta.

44.      Occorre, inoltre, esaminare le cinque censure sollevate dalla Commissione, in quanto l’inadempimento di uno Stato non può essere presunto, e l’onere della prova incombe a colui che lo denuncia  (10) .

45.      In primo luogo, si lamenta che il diritto italiano viola l’art. 3, n. 1, della direttiva, in quanto non ammette il brevetto su un prodotto consistente, parzialmente o totalmente, in materiale biologico o su un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato tale materiale.

46.      Il governo convenuto ha fatto riferimento, nel controricorso, agli artt. 12 e 13 del Regio Decreto n. 1127/39 e all’ampia definizione di invenzioni brevettabili che quest’ultimo contiene, come interpretati dalla giurisprudenza nazionale.

47.      Nella replica non è stato chiarito in che modo tale comportamento sarebbe contrario all’obbligo imposto dall’art. 3, n. 1, della direttiva e, in generale, ai fini che esso persegue.

Non sono stati confutati gli argomenti del convenuto né è stata dimostrata la violazione. Pertanto, la prima censura non dev’essere accolta.

48.      In secondo luogo, si contesta che la normativa italiana non ha recepito l’art. 5, n. 2, della direttiva, che consente di brevettare un elemento isolato dal corpo umano (art. 5, n. 2).

49.      Il governo di cui si asserisce l’inadempimento fa nuovamente riferimento all’ampia nozione di invenzione brevettabile vigente in tale paese. Esso aggiunge che il solo contenuto normativo dell’art. 5, n. 2, risiede nel suo ultimo inciso: «anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale», ipotesi che non pone alcun problema, dato che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene brevettabili i procedimenti artificiali idonei a far evolvere lo stato della tecnica, situazione che si realizza sempre allorché si riesce a riprodurre in modo artificiale la mera causalità naturale.

50.     È opportuno ribadire il criterio applicato alla violazione di cui sopra: non è stato prodotto alcun indizio del fatto che la nozione di invenzione idonea ad essere brevettata vigente in Italia non corrisponda alla lettera o allo spirito della normativa comunitaria né, in particolare, del fatto che esso pregiudichi l’uniformità dell’ordinamento giuridico comunitario in tale ambito.

Ciononostante, nutro dubbi in merito alla spiegazione relativa all’ultimo inciso dell’art. 5, n. 2, ma tale nuova censura non è stata fatta valere dalla ricorrente, a cui spetta provare l’inadempimento, e non vi è alcuna ragione per esaminarla d’ufficio.

51.      Pertanto, anche tale seconda censura dev’essere integralmente respinta.

52.      Il terzo addebito verte sul mancato riconoscimento dell’esigenza di considerare non brevettabili determinati metodi, come la clonazione di esseri umani o le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali, nei termini indicati dall’art. 6, n. 2, della disposizione comunitaria.

Secondo la Commissione, l’art. 13 del Regio Decreto n. 1127/39 contiene soltanto la regola generale secondo cui è vietato brevettare le invenzioni il cui sfruttamento sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume, cosa che riflette esattamente quanto previsto dall’art. 6, n. 1, della direttiva.

53.      Il governo convenuto fa valere l’art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in tema di procreazione medicalmente assistita, che vieta la sperimentazione su embrioni umani e ne punisce la produzione, la selezione a scopo eugenetico, la clonazione e la fecondazione con gameti di specie diversa con pene detentive, multe e sospensione dell’esercizio della professione. Inoltre, esso afferma che una norma di questo tenore qualifica indubbiamente le pratiche di clonazione e di modifica dell’identità genetica degli esseri umani come contrarie all’ordine pubblico, escludendone completamente la brevettabilità.

54.      Occorre anzitutto sottolineare che la disposizione nazionale di cui trattasi è stata adottata dopo la scadenza del termine assegnato nel parere motivato, e anche dopo l’avvio del presente ricorso per inadempimento da parte della Commissione, avvenuto il 27 ottobre 2003. Di conseguenza, essa non può essere presa in considerazione per giudicare il comportamento addebitato.

55.      A scopi meramente didattici occorre segnalare che, nonostante sia probabile che, dato il tenore dell’art. 13 della legge n. 40/2004, le autorità competenti, ai sensi dell’art. 13 del Regio Decreto n. 1127/39, rifiutino di brevettare procedimenti di clonazione o di manipolazione di embrioni umani a fini commerciali o industriali, è altrettanto probabile che l’art. 6, n. 1, della direttiva imponga di escludere anche le invenzioni il cui sfruttamento violi l’ordine pubblico, tenuto conto del fatto che «lo sfruttamento di un’invenzione non può di per sé essere considerato contrario all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare».

Tale precisazione ammetterebbe un’interpretazione nel senso che richiede che sia esplicitamente aggiunto il principio della non brevettabilità di procedimenti commerciali che comportino interventi su embrioni umani. Ad ogni modo, una lettura attenta della direttiva conduce a tale aggiunta.

56.      Per le ragioni esposte al paragrafo 54 delle presenti conclusioni, dev’essere dichiarato l’inadempimento in relazione a questa terza censura.

57.      La quarta censura sollevata dalla Commissione riveste un carattere più ambiguo di quelle precedenti, in quanto si basa sulla questione se il diritto italiano conferisca una protezione equivalente a quella che la direttiva attribuisce per i brevetti su invenzioni biotecnologiche agli artt. 8‑11.

58.      Secondo il governo convenuto, tali disposizioni si riducono ad estendere la tutela conferita dal brevetto biotecnologico ai materiali derivanti dall’applicazione del procedimento brevettato.

A suo parere, l’art. 1 bis, lett. b), del Regio Decreto n. 1127/39 soddisfa tali criteri, in quanto conferisce al titolare del brevetto il diritto esclusivo di applicare un procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione.

59.      La difesa svolta in tale punto non mi convince. Senza effettuare un’interpretazione del diritto interno, la mera lettura degli artt. 8‑11 della direttiva e dell’art. 1 bis del Regio Decreto è sufficiente per dimostrare che le disposizioni comunitarie disciplinano situazioni specifiche che vanno oltre l’ambito di tutela del prodotto di un brevetto conseguito ai sensi della normativa italiana.

60.      Così, ad esempio, l’art. 8 è dedicato alla protezione del prodotto, ma, a differenza della norma italiana, si riferisce non solo a procedimenti brevettabili, ma anche ai materiali biologici in sé, sempre che essi siano riproducibili o moltiplicabili.

L’art. 9 della direttiva prevede il presupposto concreto di estensione della protezione al prodotto con materiale genetico brevettato, nel quale quest’ultimo continui a svolgere la sua funzione. Tale ipotesi differisce concettualmente dal legame tra procedimento e prodotto, l’unico disciplinato in Italia.

Gli artt. 10 e 11 prevedono eccezioni precise alla regola generale di estensione della protezione (riproduzione o moltiplicazione per la commercializzazione; particolarità dello sfruttamento agricolo) che non trovano alcun corrispondente nell’art. 1 bis del Regio Decreto n. 1127/39.

61.      Ciò premesso, tale parte del ricorso dev’essere accolta.

62.      Da ultimo, la quinta censura della Commissione denuncia la presunta carenza normativa in merito al diritto dei titolari di una privativa su ritrovati vegetali di ottenere, a condizioni ragionevoli, una licenza obbligatoria dal proprietario di un’invenzione biotecnologica allorché ciò risulti imprescindibile per lo sfruttamento della varietà vegetale di cui si tratta.

63.      Il governo convenuto fa valere l’art. 5 del Regio Decreto n. 1127/39, che vieta l’attuazione o l’utilizzazione di un’invenzione protetta per sfruttare un’altra invenzione industriale senza il consenso del suo titolare. Inoltre, esso indica che lo stesso Regio Decreto prevede un sistema estensivo di licenze obbligatorie.

L’art. 54, n. 2, lett. b), consente tali licenze qualora l’invenzione brevettata non possa essere utilizzata senza pregiudizio dei diritti relativi ad un brevetto precedente. In tali casi, occorre proteggere il titolare del brevetto posteriore nella misura necessaria a sfruttare l’invenzione, purché questa rappresenti, rispetto all’oggetto del precedente brevetto, un’importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica.

Il detto governo fa valere inoltre che, sebbene dal tenore del testo normativo si deduca che, in linea di principio, le autorità amministrative godono di una certa discrezionalità nel concedere licenze di questo tipo, in pratica esse le rilasciano solo quando le altre condizioni sono soddisfatte.

64.      La normativa italiana non comprende tutti i presupposti di licenze obbligatorie dipendenti disciplinati nell’art. 12 della direttiva, sebbene evidentemente essi si ispirino alla stessa filosofia.

A parte l’apparente carattere facoltativo della licenza nel Regio Decreto n. 1127/39, un’interpretazione del diritto nazionale conforme alla direttiva richiede l’estensione, per analogia, del sistema dei brevetti ai ritrovati vegetali e l’introduzione simultanea della nozione di «canone adeguato» per retribuire l’uso della licenza. Inoltre, l’art. 12, n. 3, lett. a), subordina espressamente la concessione della licenza alla prova del fatto che colui che la richiede si è rivolto invano al titolare del brevetto o della privativa sui ritrovati vegetali per conseguire una licenza contrattuale, condizione assente nella normativa italiana.

65.      Per le ragioni esposte, tale parte del ricorso dev’essere accolta.

Spese

66.      La Repubblica italiana non ha chiesto la condanna della ricorrente, per cui deve sopportare le proprie spese, ai sensi dell’art. 69, n. 5, del regolamento di procedura.

67.      Per quanto riguarda le spese della Commissione, tenuto conto del fatto che ciascuna parte è rimasta parzialmente soccombente e, soprattutto, della sfuggente strategia processuale dello Stato convenuto, che ha vanificato il normale svolgimento del dibattito, concludo che ciascuna parte ne sopporti la metà, ai sensi dell’art. 69, n. 3, del regolamento di procedura.

Conclusione

68.      Alla luce delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di giustizia di dichiarare che la Repubblica italiana ha violato quanto disposto dagli artt. 6, n. 2, e 8‑12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, di respingere il ricorso quanto al resto e di condannare espressamente lo Stato convenuto al pagamento delle proprie spese e della metà di quelle sostenute dalla Commissione.


1
Lingua originale: lo spagnolo.


2
GU L 213, pag. 13.


3
Nota che non riguarda la versione italiana.


4
Cass. 28 giugno 2001, n. 8879.


5
Causa 363/85 (Racc. pag. 1733, punto 7).


6
Sentenza 28 febbraio 1991, causa C‑131/88, Commissione/Germania (Racc. pag. I-825, punto 8).


7
V., ad esempio, sentenze 10 maggio 2001, causa C‑152/98, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑3463, punto 21); 25 maggio 2000, causa C‑84/97, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑3823, punto 35), e 25 novembre 1998, causa C‑214/96, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑7661, punto 25).


8
Conclusioni 3 luglio 2001, cause C‑367/98, Commissione/Portogallo; C‑483/99, Commissione/Francia, e C‑503/99, Commissione/Belgio (Racc. 2002, pag. I‑4733, paragrafo 76).


9
Sentenza 13 dicembre 1990, causa C‑347/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑4747, punto 28).


10
V., in particolare, sentenze 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 1791, punto 6); 26 giugno 2003, causa C‑404/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑6695, punto 26), e 6 novembre 2003, causa C‑434/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑13239, punto 21).