CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
PHILIPPE LÉGER
presentate il 21 ottobre 2004(1)



Causa C-215/03



Salah Oulane
contro
Minister voor Vreemdelingenzaken en Integratie



[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rechtbank 's-Gravenhage (Paesi Bassi)]

«Libera prestazione dei servizi – Diritto di soggiorno – Turista cittadino di un altro Stato membro – Obbligo di esibire una carta d'identità o un passaporto validi – Discriminazione in base alla cittadinanza – Misura di custodia cautelare finalizzata all'espulsione»






1.        Il presente procedimento pone la questione del nesso esistente tra il diritto di un cittadino di uno Stato membro di soggiornare in un altro Stato membro e la prova che lo stesso deve produrre in merito alla sua cittadinanza. La Corte è dunque chiamata a stabilire se il diritto di soggiorno di una tale persona possa essere subordinato all’esibizione di una carta d’identità o di un passaporto validi e se, in caso di inosservanza di tale obbligo, un cittadino comunitario possa essere sottoposto ad una misura di custodia cautelare finalizzata all’espulsione.

I – Contesto normativo

A – Il diritto comunitario

2.        La direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi  (2) , determina le modalità pratiche di attuazione degli articoli del Trattato relativi alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Adottata sulla base degli artt. 54, n. 2 (divenuto, in seguito a modifica, art. 54, n. 2, del Trattato CE, divenuto a sua volta, in seguito a modifica, art. 44, n. 2, CE), e 63, n. 2 (divenuto, in seguito a modifica, art. 63, n. 2, del Trattato CE, divenuto a sua volta, in seguito a modifica, art. 52, n. 2, CE), del Trattato CEE, essa annovera tra i suoi obiettivi quello di garantire al prestatore e al destinatario di servizi un diritto di soggiorno la cui durata corrisponda a quella della prestazione.

3.        A tal fine, l’art. 4, n. 2, della direttiva 73/148 dispone quanto segue:

«Per i prestatori e per i destinatari di servizi il diritto di soggiorno corrisponde alla durata della prestazione.

Se la prestazione ha durata superiore a tre mesi, lo Stato membro in cui tale prestazione è effettuata rilascia un permesso di soggiorno per comprovare tale diritto.

Se la prestazione ha durata inferiore o uguale a tre mesi, la carta d’identità o il passaporto in virtù del quale l’interessato è entrato nel territorio dello Stato membro equivale a un documento di soggiorno. Tuttavia lo Stato membro può imporre all’interessato di notificare la sua presenza nel territorio».

B – La normativa nazionale

4.        Il Vreemdelingenwet (legge olandese sugli stranieri) 23 novembre 2000 (in prosieguo: la «legge 2000 sugli stranieri») prevede, all’art. 50, che le persone sospettate di soggiorno irregolare possono essere arrestate al fine di determinarne l’identità, la cittadinanza e lo status nell’ambito del diritto di soggiorno. Qualora l’identità della persona arrestata non possa essere provata immediatamente, tale persona può essere condotta in un luogo previsto per un interrogatorio ed esservi trattenuta per una durata massima di sei ore, durata che può essere prorogata per un massimo di quarantott’ore qualora si possa ancora presumere che la persona arrestata non si trovi in una situazione di soggiorno regolare.

5.        La detta legge dispone inoltre, all’art. 59, che, qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale lo richiedano, lo straniero il cui soggiorno non sia regolare può essere sottoposto ad una misura di custodia cautelare finalizzata alla sua espulsione.

6.        Inoltre, il Vreemdelingenbesluit (decreto olandese in materia di stranieri) 23 novembre 2000, che attua la legge dello stesso giorno, contiene disposizioni che si applicano ai cittadini di Stati membri diversi dai Paesi Bassi. Esso dispone, al suo art. 8:13, n. 1, che «non si procede all’espulsione di un cittadino comunitario fintantoché non risulti che quest’ultimo non dispone di un diritto di soggiorno o che il suo diritto di soggiorno si è estinto».

7.        Infine, la Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare olandese sugli stranieri 2000) dispone che lo straniero che soggiorni nei Paesi Bassi e faccia valere i diritti del Trattato CE, ma non abbia esibito una carta d’identità o un passaporto validi, «è messo in condizioni di esibire tale documento». Per fare ciò, gli è concesso un termine di due settimane.

II – Fatti e procedimento nella causa principale

8.        In data 2 dicembre 2001 il sig. Salah Oulane è stato interrogato nei Paesi Bassi dalle forze dell’ordine e trattenuto in un luogo previsto a tale scopo in quanto sospettato di tentato furto. Poiché a suo carico non è stato avviato alcun procedimento penale, egli è stato rilasciato il 3 dicembre 2001.

9.        Subito dopo, il sig. Oulane è stato interrogato a titolo di vigilanza interna sugli stranieri ai sensi della legge 2000 sugli stranieri. Non avendo potuto dimostrare in loco la sua identità, è stato trattenuto per essere interrogato. In seguito, è stato sottoposto ad un provvedimento di custodia cautelare finalizzata alla sua espulsione ai sensi della stessa legge.

10.      Durante gli interrogatori il sig. Oulane ha indicato la sua data di nascita e ha dichiarato di essere cittadino francese. Egli ha affermato inoltre che si trovava in vacanza nei Paesi Bassi da circa tre mesi, e ha dichiarato di non disporre al momento di un passaporto né di un altro documento d’identità, di non avere fissa dimora nei Paesi Bassi, di non disporre di denaro e di non essersi mai denunziato presso l’ufficio stranieri.

11.      Con atto datato 4 dicembre 2001 il sig. Oulane ha proposto dinanzi al Rechtbank’s-Gravenhage (Tribunale di Gravenhage) un ricorso diretto ad ottenere la revoca della custodia cautelare finalizzata all’espulsione e l’attribuzione di un risarcimento.

12.      Il 7 dicembre 2001 il sig. Oulane ha infine esibito alle autorità olandesi una carta d’identità francese.

13.      Il 10 dicembre 2001, vale a dire otto giorni dopo essere stato sottoposto a custodia cautelare, le autorità olandesi hanno revocato il provvedimento di custodia cautelare finalizzata all’espulsione.

14.      Questa prima richiesta di risarcimento presentata dinanzi al giudice nazionale costituisce una delle due fasi della controversia che quest’ultimo è chiamato a dirimere.

15.      Infatti, altre circostanze hanno indotto il sig. Oulane ad avviare un secondo procedimento giurisdizionale.

16.      In data 27 luglio 2002 quest’ultimo è stato arrestato dalla polizia ferroviaria in un tunnel merci della stazione di Rotterdam centro per violazione dell’art. 7 dell’Algemeen Reglement Vervoer (regolamento olandese generale sui trasporti), in quanto si trovava senza autorizzazione in un luogo non accessibile al pubblico. Non essendo stato promosso alcun procedimento penale a suo carico, il sig. Oulane è stato rilasciato due ore più tardi.

17.      Sentito ancora una volta ai sensi della legge 2000 sugli stranieri, egli è stato nuovamente trattenuto per essere interrogato. In seguito, è stato sottoposto ad un nuovo provvedimento di custodia cautelare finalizzata alla sua espulsione ai sensi della stessa legge.

18.      Durante il suo interrogatorio, il sig. Oulane ha dichiarato in particolare di non disporre di documenti d’identità e di essere stato derubato del passaporto. Inoltre ha dichiarato di trovarsi nei Paesi Bassi da diciotto giorni e di non disporre di residenza o di fissa dimora in tale Stato. Peraltro ha comunicato l’indirizzo di sua madre nonché il suo numero di telefono in Francia.

19.     È dimostrato che, durante tale custodia cautelare, le autorità disponevano di una copia della carta d’identità nazionale del sig. Oulane.

20.      Con atto datato 29 luglio 2002 il sig. Oulane ha proposto dinanzi al Rechtbank’s-Gravenhage un ricorso diretto ad ottenere la revoca del provvedimento di custodia cautelare finalizzata all’espulsione nonché l’attribuzione di un risarcimento.

21.      Con atto giunto presso la cancelleria del detto Tribunale in data 29 luglio 2002 le autorità olandesi hanno comunicato al detto giudice la revoca del provvedimento di custodia cautelare.

22.      Infine, in data 2 agosto 2002 il sig. Oulane è stato espulso verso la Francia.

III – Rinvio pregiudiziale

23.      Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale il Rechtbank’s-Gravenhage afferma di essere regolarmente confrontato con il problema che solleva l’applicazione della legge 2000 sugli stranieri a persone che dichiarano di avere un diritto di soggiorno derivante dal diritto comunitario senza poter tuttavia esibire immediatamente una carta d’identità o un passaporto validi.

24.      Il giudice del rinvio, nei due procedimenti avviati dinanzi ad esso, deve risolvere la questione se il risarcimento danni sia dovuto al richiedente a titolo dei periodi in cui è stato sottoposto al regime di custodia cautelare finalizzata all’espulsione. Esso è inoltre chiamato a determinare se la custodia cautelare del sig. Oulane fosse lecita o meno durante tali periodi.

25.      Per fare ciò, esso chiede se il diritto comunitario osti a che le autorità di uno Stato membro emanino un provvedimento di custodia cautelare finalizzata all’espulsione nei confronti di un soggetto che soggiorna nel detto Stato qualora quest’ultimo sia cittadino di un altro Stato membro senza tuttavia poter giustificare immediatamente la detta cittadinanza esibendo una carta d’identità o un passaporto validi.

26.      Per questo motivo esso sottopone alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«In merito al primo procedimento:

1)
Se, a causa del venir meno dei controlli doganali all’ingresso nel territorio, la disposizione di cui all’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148/CEE (…) debba essere intesa nel senso che il diritto di soggiorno ivi sancito a favore di una persona che afferma di essere cittadina di un altro Stato membro e turista debba essere riconosciuto dalle autorità dello Stato membro in cui la persona invoca il suo diritto di soggiorno solo nel momento in cui tale persona esibisce una carta d’identità o un passaporto validi.

2a)
Qualora la questione sub 1) vada risolta in senso affermativo, se allo stato attuale il diritto comunitario, con particolare riferimento al divieto di discriminazione e al principio della libera circolazione dei servizi, consenta di fare un’eccezione nel senso che le autorità di uno Stato membro debbono porre la persona in grado di esibire una carta d’identità o un passaporto validi.

2b)
Se, ai fini della soluzione della questione sub 2a) sia rilevante la circostanza che il diritto nazionale dello Stato membro in cui la persona invoca il suo diritto di soggiorno non impone in generale ai propri cittadini alcun obbligo di fornire le generalità.

2c)
Qualora la questione sub 2a) vada risolta in senso affermativo, se allo stato attuale il diritto comunitario imponga allo Stato membro determinati requisiti per quanto concerne la durata del periodo durante il quale lo Stato membro deve comunque porre l’interessato per esibire una carta d’identità o un passaporto validi prima di infliggerli una sanzione di diritto amministrativo, adottata nelle forme di un provvedimento per presunto soggiorno illegale.

2d)
Se una sanzione di diritto amministrativo adottata nelle forme di un provvedimento quale indicato nella questione sub 2c), consistente nell’applicazione di una misura di custodia cautelare finalizzata all’espulsione in osservanza del disposto dell’art. 59 [della legge 2000 sugli stranieri] prima che sia scaduto il termine indicato nella questione sub 2c), costituisca un’eccessiva restrizione della libera circolazione dei servizi.

3a)
Qualora la questione sub 1) vada risolta in senso negativo, se allo stato attuale del diritto comunitario si possa parlare di un ostacolo alla libera circolazione dei servizi qualora a una persona che afferma di essere cittadina di un altro Stato membro e turista, fintantoché essa non dimostri il proprio diritto di soggiorno esibendo una carta d’identità o un passaporto validi, venga applicato un provvedimento di custodia cautelare finalizzata all’espulsione, in osservanza del disposto dell’art. 59 [della legge 2000 sugli stranieri] per ragioni di ordine pubblico, anche in assenza di una minaccia seria ed effettiva per l’ordine pubblico medesimo.

3b)
Se, qualora si tratti di un ostacolo quale indicato nella questione sub 3a), per stabilire se il medesimo è giustificato sia rilevante il termine concesso dallo Stato membro all’interessato per esibire una carta d’identità o un passaporto validi.

3c)
Se, qualora si debba parlare di un ostacolo quale indicato nella questione sub 3a), per stabilire se l’ostacolo medesimo è giustificato sia rilevante la circostanza che lo Stato membro in seguito riconosca o meno un diritto al risarcimento per il periodo durante il quale la persona è rimasta sotto custodia cautelare, non avendo ancora provato la propria cittadinanza esibendo un passaporto o una carta d’identità validi, qualora tale prassi sia corrente nello Stato membro nel caso di custodie cautelari illegittime riguardanti gli stranieri.

4)
Nel caso in cui uno Stato membro non preveda esso stesso, in generale, alcun obbligo di fornire le generalità, se allo stato attuale il diritto comunitario osti, soprattutto alla luce del divieto di discriminazione, a che uno Stato membro, nell’ambito della vigilanza interna sugli stranieri, nei confronti di una persona che afferma di essere un turista possa giungere all’emanazione di un provvedimento quale la custodia cautelare finalizzata all’espulsione, in osservanza del disposto dell’art. 59 [della legge 2000 sugli stranieri], fintantoché la persona non provi il suo asserito diritto di soggiorno esibendo una carta d’identità o un passaporto validi.

Per quanto concerne il secondo procedimento:

5)
Se allo stato attuale il diritto comunitario osti a che, fintantoché il cittadino di uno Stato membro non invochi egli stesso, in quanto destinatario di servizi, un diritto di soggiorno nei confronti dello Stato membro nel cui territorio egli soggiorna, questi non venga considerato dal detto Stato membro come un cittadino tutelato in forza del diritto di soggiorno previsto dall’ordinamento comunitario.

6)
Se la nozione di destinatario di servizi, valida ai fini della libera circolazione dei servizi, debba essere intesa nel senso che, quando qualcuno si trattenga in un altro Stato membro per un periodo di tempo abbastanza lungo, anche per più di sei mesi, sia ivi arrestato per un reato, non indichi una fissa residenza o dimora e inoltre non disponga né di denaro né di bagagli, il soggiorno in un altro Stato membro costituisce motivo sufficiente per presumere che questa persona è destinataria di servizi turistici o di altri servizi collegati a un breve soggiorno, quali, ad esempio, l’alloggio e il consumo di pasti».

IV – Analisi

27.      Ritengo che l’insieme delle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio debba essere scisso in quattro filoni.

28.      Il giudice del rinvio chiede alla Corte, in primo luogo, di precisare i contorni della nozione di «destinatario di servizi» al fine di determinare se un cittadino di uno Stato membro che si trattenga in un altro Stato membro per un periodo di tempo abbastanza lungo, anche per più di sei mesi, sia ivi arrestato per un reato, non indichi una fissa residenza o dimora e inoltre non disponga né di denaro né di bagagli possa rientrare nell’ambito di applicazione ratione personae delle disposizioni comunitarie relative alla libera prestazione dei servizi. Con le questioni sub 5) e 6) il giudice del rinvio chiede dunque se sia possibile presumere che un cittadino di uno Stato membro, quale il sig. Oulane, che soggiorni in un altro Stato membro sia destinatario di servizi turistici. Infatti, se così fosse, egli potrà beneficiare della tutela garantita dalle disposizioni comunitarie relative alla libera prestazione dei servizi.

29.      In secondo luogo, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148 debba essere interpretato nel senso che il riconoscimento da parte di uno Stato membro di un diritto di soggiorno a favore di un cittadino di un altro Stato membro che possieda lo status di destinatario di servizi può essere subordinato all’esibizione da parte di quest’ultimo di una carta d’identità o di un passaporto validi e, in caso di soluzione affermativa, se il diritto comunitario imponga al detto Stato membro di porre la persona in grado di esibire comunque una carta d’identità o un passaporto validi, e ciò entro un determinato termine [questioni pregiudiziali sub 1), 2a) e 2c)].

30.      In terzo luogo, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza osti a che i cittadini di altri Stati membri siano sottoposti, in applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa agli stranieri, all’obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi al fine di provare la propria cittadinanza, corredato di una misura di custodia cautelare finalizzata all’espulsione in caso di impossibilità ad esibire uno di tali documenti, mentre il diritto olandese non impone un tale obbligo ai propri cittadini [questioni pregiudiziali sub 2b) e 4].

31.      Infine, in quarto luogo, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se la custodia cautelare finalizzata all’espulsione di cittadini di altri Stati membri in caso di inosservanza da parte di questi ultimi del loro obbligo di essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi costituisca un ostacolo alla libera prestazione dei servizi e, in caso di soluzione affermativa, se il detto ostacolo possa essere giustificato [questioni pregiudiziali sub 2d), 3a), 3b) e 3c)].

A – Sulla nozione di destinatario di servizi

32.      Con le questioni pregiudiziali sub 5) e 6), il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare la nozione di «destinatario di servizi» al fine di determinare se un cittadino di uno Stato membro che si trattenga in un altro Stato membro per un periodo di tempo abbastanza lungo, anche per più di sei mesi, sia ivi arrestato per un reato, non indichi una fissa residenza o dimora e inoltre non disponga né di denaro né di bagagli possa rientrare nell’ambito di applicazione ratione personae delle disposizioni comunitarie relative alla libera prestazione dei servizi.

33.     È opportuno precisare anzitutto che la soluzione di tale questione che proporrò riguarda un cittadino di uno Stato membro che soggiorni in un altro Stato membro per una durata inferiore o uguale a tre mesi, conformemente alla descrizione dei fatti riportata dell’ordinanza di rinvio. Infatti, da quest’ultima risulta che il sig. Oulane ha dichiarato, in occasione del suo primo arresto, di soggiornare nei Paesi Bassi da circa tre mesi. In seguito, al momento del secondo arresto, avvenuto sei mesi dopo, egli ha dichiarato di trovarsi nel detto Stato da 18 giorni.

34.      Pertanto, non prenderò in considerazione la situazione di un cittadino di uno Stato membro che soggiorni in un altro Stato membro «per un periodo di tempo abbastanza lungo, eventualmente per più di sei mesi»  (3) .

35.      Infatti, dalla lettura dell’insieme delle questioni sollevate dal giudice del rinvio risulta chiaramente che esso non mette in discussione le dichiarazioni del sig. Oulane, poiché le dette questioni riguardano esclusivamente i documenti esigibili in caso di soggiorno inferiore a tre mesi, vale a dire un passaporto o una carta d’identità validi.

36.      Per quanto riguarda l’ambito di applicazione ratione personae delle disposizioni comunitarie relative alla libera prestazione dei servizi, la Corte dichiara costantemente che «il principio della libera prestazione dei servizi istituito dall’art. 59 del Trattato, che è uno dei suoi principi fondamentali, comprende la libertà per i destinatari dei servizi di recarsi in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio, senza essere ostacolati da restrizioni, e che i turisti vanno considerati destinatari di servizi»  (4) .

37.      Non tenterò qui di dare una definizione del «turista» in diritto comunitario, come fece l’avvocato generale Lenz nelle sue conclusioni all’origine della citata sentenza Cowan. Infatti, condivido i dubbi manifestati da quest’ultimo in merito all’utilità di dare una definizione del turista in diritto comunitario: «collegare a definizioni rigide e delimitare gli eventuali singoli gruppi di virtuali destinatari di servizi non è (…) rilevante dal punto di vista giuridico. Il nostro compito è unicamente quello di dare concretezza al concetto di destinatario di servizi»  (5) .

38.      Al fine di condurre a buon fine tale iniziativa, l’avvocato generale, in merito alle diverse disposizioni comunitarie relative all’ingresso e al soggiorno dei cittadini comunitari, si pronunciava a favore del concetto secondo cui un soggetto «può invocare la propria condizione di destinatario di servizi già alla frontiera, prima di trovarsi sul territorio di un altro Stato membro e prima quindi di aver usufruito di una prestazione di servizi». La condizione di destinatario di servizi è quindi affermata a priori e in via generale, in considerazione delle «prestazioni di servizi cui si ricorre nel corso di un viaggio», nel momento in cui il viaggio ha inizio  (6) . Non si tratta, pertanto, di stabilire a posteriori la condizione di destinatario di servizi riferendosi ai servizi di cui si è effettivamente usufruito durante il viaggio.

39.      Di conseguenza, tale iter logico mi induce a rilevare che il fatto che un soggetto proveniente da uno Stato membro si trovi in un determinato momento in un altro Stato membro consente di presumere che egli sia o sarà destinatario di servizi nel detto Stato membro. La presenza di tale persona nel territorio di uno Stato membro la predispone, infatti, a ricevere un’intera serie di servizi, in maniera sporadica o continuata.

40.      A tale proposito, le circostanze precisate dal giudice del rinvio non sono tali da negare ad un cittadino di uno Stato membro, quale il sig. Oulane, lo status di destinatario di servizi. Infatti, il fatto di essere arrestato per un reato o persino di essere riconosciuto colpevole di determinate infrazioni non è incompatibile con lo status di destinatario di servizi, come risulta in particolare dalla sentenza Calfa  (7) . Lo stesso vale nel caso di mancata dimora o residenza fissa nello Stato membro ospitante, che, al contrario, è indice proprio dell’esistenza di un soggiorno a carattere turistico.

41.      Inoltre, la circostanza che una persona non disponga né di denaro, né di bagagli al momento del suo arresto non consente di presumere che essa sia assolutamente priva di mezzi  (8) . Tuttavia, mi sembra necessario indicare che la dimostrazione di una totale mancanza di mezzi di sussistenza di una tale persona in uno Stato membro ospitante sarebbe incompatibile con la definizione comunitaria dei servizi, che costituiscono «prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione»  (9) . A tale proposito, si può ritenere che non sia totalmente priva di tali mezzi di sussistenza la persona che, ad esempio, sia aiutata economicamente da un cittadino dello Stato membro ospitante, ovvero sia in grado di procurarsi denaro proveniente dal suo Stato di origine.

42.      Alla luce degli elementi che precedono, propongo di risolvere la questione posta dal giudice nazionale dichiarando che la circostanza che un cittadino di uno Stato membro si trovi in un determinato momento nel territorio di un altro Stato membro è sufficiente per presumere che egli sia o sarà destinatario di servizi nel detto Stato membro e che rientri quindi, a tale titolo, nell’ambito di applicazione ratione personae delle disposizioni comunitarie relative alla libera prestazione dei servizi.

43.      Prima di iniziare l’esame delle altre questioni sollevate dal giudice del rinvio, preciso che è importante, a mio avviso, accertare nel caso di specie se l’interessato rientri nella categoria dei destinatari di servizi.

44.      Infatti, si potrebbe osservare che lo status di cittadino di uno Stato membro è di per sé sufficiente, in seguito al Trattato di Maastricht e all’introduzione della nozione di cittadinanza comunitaria nel diritto primario, per beneficiare di un diritto di soggiorno in un altro Stato membro, senza che sia necessario che l’interessato eserciti o partecipi ad un’attività economica, subordinata o autonoma.

45.      Poiché il diritto di soggiorno sul territorio degli Stati membri è quindi «riconosciuto direttamente ad ogni cittadino dell’Unione da una disposizione chiara e precisa del Trattato»  (10) , il solo status di cittadino di uno Stato membro, e quindi di cittadino dell’Unione, è di per sé sufficiente per avvalersi di tale diritto.

46.      Tuttavia, ed è a tale proposito che permane l’interesse a specificare e qualificare opportunamente i beneficiari della libera circolazione, l’art. 18, n. 1, CE precisa che il diritto di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri di cui gode ogni cittadino dell’Unione esiste solo «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato CE e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso»  (11) .

47.      Orbene, per individuare tali limitazioni e condizioni e poterne cogliere tutta la portata, occorre anche chiedersi quali disposizioni del diritto primario e del diritto derivato siano materialmente applicabili ad una determinata situazione giuridica.

48.      Più precisamente, per quanto riguarda la controversia che il giudice del rinvio è chiamato a dirimere, le limitazioni e condizioni relative al diritto di soggiorno applicabili all’epoca dei fatti figurano nei testi comunitari che disciplinano la libera prestazione dei servizi.

49.      L’evoluzione del diritto comunitario tende sicuramente all’uniformazione, se non addirittura all’unificazione, dei regimi applicabili in materia di libera circolazione dei cittadini degli Stati membri  (12) . Nel frattempo, e per le cause che rientrano ancora in legislazioni comunitarie settoriali  (13) , ritengo che la distinzione per categorie dei beneficiari della libera circolazione conservi la sua utilità giuridica.

50.      Preciso infine che le disposizioni del diritto primario e del diritto derivato relative alla libera prestazione dei servizi mi sembrano sufficienti per fornire una soluzione utile alle questioni poste dal giudice del rinvio, il che rende dunque «superfluo ricorrere all’ulteriore valenza protettrice della cittadinanza dell’Unione»  (14) . Tuttavia, aggiungo che, anche se la tutela garantita dallo status di cittadino dell’Unione non dev’essere invocata sistematicamente in quanto tale, non si può comunque ignorare che siffatta nozione impone l’evoluzione del diritto comunitario della libera circolazione delle persone, intesa in senso lato. È per questo che lo status di cittadino dell’Unione, che «è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri»  (15) , è un dato che dev’essere preso in considerazione, in un’ottica dinamica, per l’interpretazione di tutte le disposizioni comunitarie relative alla libera circolazione delle persone, in particolare delle norme relative alla libera prestazione dei servizi.

B – Sull’esibizione da parte di un destinatario di servizi di una carta d’identità o di un passaporto validi come condizione del riconoscimento del suo diritto di soggiorno da parte dello Stato membro ospitante

51.      Con le questioni pregiudiziali sub 1), 2a) e 2c), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148 debba essere interpretato nel senso che il riconoscimento da parte di uno Stato membro di un diritto di soggiorno a favore di un cittadino di un altro Stato membro che possieda lo status di destinatario di servizi può essere subordinato all’esibizione da parte di quest’ultimo di una carta d’identità o di un passaporto validi e, in caso di soluzione affermativa, se il diritto comunitario imponga al detto Stato membro di porre la persona interessata in grado di esibire una carta d’identità o un passaporto validi, e ciò entro un determinato termine.

52.      L’art. 4, n. 2, di detta direttiva dispone, in primo luogo, che «per i prestatori e per i destinatari di servizi il diritto di soggiorno corrisponde alla durata della prestazione». In secondo luogo, esso stabilisce una distinzione a seconda che tale durata sia o meno superiore a tre mesi.

53.      Se la durata della prestazione, e quindi del soggiorno, è superiore a tre mesi: «lo Stato membro in cui tale prestazione è effettuata rilascia un permesso di soggiorno per comprovare tale diritto» (secondo comma).

54.      Se la prestazione ha durata inferiore o uguale a tre mesi: «la carta d’identità o il passaporto in virtù del quale l’interessato è entrato nel territorio dello Stato membro equivale a un documento di soggiorno » (terzo comma)  (16) .

55.      Dal tenore letterale di quest’ultima disposizione relativa al soggiorno inferiore o uguale a tre mesi, che è quella di cui il giudice del rinvio chiede alla Corte l’interpretazione, non si evince se l’esibizione di una carta d’identità o di un passaporto validi da parte di un destinatario di servizi sia una condizione necessaria per il riconoscimento a quest’ultimo di un diritto di soggiorno da parte dello Stato membro ospitante.

56.      Per questo motivo ritengo che l’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148 debba essere oggetto di un’interpretazione teleologica. Il ricorso a tale metodo interpretativo mi pare giustificato in quanto la soluzione della questione posta dal giudice del rinvio non risulta chiaramente dal tenore letterale della disposizione del diritto comunitario da interpretare  (17) .

57.      Ritengo inoltre che l’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148 debba essere interpretato nel senso che, pur se l’esibizione da parte di un destinatario di servizi di una carta d’identità o di un passaporto validi alle autorità competenti dello Stato membro ospitante obbliga quest’ultimo a riconoscere all’interessato un diritto di soggiorno di una durata inferiore o uguale a tre mesi, l’impossibilità di esibire immediatamente un tale documento non può, di per sé, far venir meno tale diritto di soggiorno.

58.      A tale proposito occorre sottolineare che la Corte, nella sua sentenza Royer del 1976, ha dichiarato che «il diritto dei cittadini di uno Stato membro di entrare nel territorio di un altro Stato membro e di [soggiornarvi], per gli scopi voluti dal trattato (…) è un diritto attribuito direttamente dal trattato o, a seconda dei casi, dalle disposizioni adottate per la sua attuazione »  (18) . La Corte ne traeva la conclusione che «questo diritto si acquista indipendentemente dal rilascio di un documento di soggiorno da parte della competente autorità di uno Stato membro», e che un documento siffatto «va quindi considerato non già come un atto costitutivo di diritti, ma come un atto destinato a comprovare, da parte di uno Stato membro, la posizione individuale del cittadino di un altro Stato membro nei confronti delle norme comunitarie»  (19) .

59.      Dalla giurisprudenza citata si può dedurre che il diritto comunitario non lascia allo Stato membro ospitante alcun margine discrezionale per attribuire un diritto d’ingresso e di soggiorno ai cittadini di altri Stati membri, in quanto il suo potere consiste solo nel controllare le modalità di esercizio di tale diritto e nel sanzionarne, se del caso ed entro determinati limiti, l’inosservanza.

60.      Per quanto riguarda proprio le condizioni imposte all’esercizio dei diritti di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri e il potere di controllo di cui gli Stati membri dispongono, la Corte ha precisato, nella sua sentenza Wijsenbeek del 1999, che «finché non siano state adottate disposizioni comunitarie relative ai controlli alle frontiere esterne della Comunità (…), l’esercizio di tali diritti presuppone che la persona interessata sia in grado di comprovare di possedere la cittadinanza di uno Stato membro »  (20) . La prova dello status di cittadino di uno Stato membro fa ancora parte, chiaramente, delle «limitazioni e (…) condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso»  (21) all’esercizio del diritto dei cittadini degli Stati membri di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di altri Stati membri.

61.      Prendendo le mosse da questo postulato, la Corte ha poi dichiarato che, «anche nel caso in cui, in forza dell’art. 7 A o dell’art. 8 A del Trattato, i cittadini degli Stati membri avessero un diritto incondizionato di circolare liberamente sul territorio degli Stati membri, questi ultimi conserverebbero il diritto di effettuare controlli d’identità alle frontiere interne della Comunità, obbligando ogni interessato a presentare una carta d’identità o un passaporto validi, come previsto dalle direttive 68/360, 73/148, 90/364, 90/365 e 93/96, al fine di poter accertare se la persona interessata sia un cittadino di uno Stato membro, avente quindi il diritto di circolare liberamente sul territorio degli Stati membri, o un cittadino di un paese terzo, non avente tale diritto»  (22) . Ciò significa che, da un lato, controlli sull’identità alle frontiere interne della Comunità possono essere effettuati legalmente dagli Stati membri e che, dall’altro, l’obbligo per gli interessati di esibire una carta d’identità o un passaporto validi deriva direttamente dal diritto comunitario. Un tale obbligo ha lo scopo di determinare se gli interessati abbiano il diritto, in quanto cittadini di uno Stato membro, di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri.

62.      La Corte aggiunge che la violazione di un tale obbligo in occasione dell’ingresso nel territorio di uno Stato membro può essere validamente sanzionata dagli Stati membri, a condizione, tuttavia, che le dette sanzioni siano analoghe a quelle applicate a violazioni nazionali simili e che non siano sproporzionate al punto di creare un ostacolo alla libera circolazione delle persone  (23) .

63.      A mio avviso, dall’iter logico seguito dalla Corte possono essere dedotte le considerazioni seguenti. In primo luogo, i controlli d’identità alle frontiere interne della Comunità e l’obbligo correlato per un cittadino circolante di assoggettarvisi esibendo una carta d’identità o un passaporto validi perseguono entrambi un unico scopo : garantire che la persona benefici del diritto alla libera circolazione in quanto cittadino di uno Stato membro. È per questo che la posizione espressa dalla Corte dev’essere letta, a mio avviso, in un’ottica finalistica anziché formalistica, in quanto l’obbligo di esibire ad una frontiera interna una carta d’identità o una passaporto validi non è fine a se stesso: ciò che rileva in definitiva è la prova della cittadinanza dell’interessato.

64.      In secondo luogo, mi pare che tale accertamento legittimo dello status di cittadino di uno Stato membro della persona controllata al momento del suo ingresso nel territorio di un altro Stato membro possa essere realizzato anche quando si tratta soltanto di verificare il diritto di soggiorno considerato isolatamente, dopo l’ingresso nel territorio, nel qual caso l’iter logico seguito dalla Corte in materia di controllo alle frontiere interne sarebbe quindi, entro certi limiti, applicabile al detto aspetto del diritto della libera circolazione. Del resto, in merito ai diritti di circolare e di soggiornare la Corte afferma che il loro esercizio «presuppone che la persona interessata sia in grado di comprovare di possedere la cittadinanza di uno Stato membro»  (24) .

65.      In terzo luogo, occorre operare una distinzione tra ciò che condiziona l’esercizio del diritto di soggiorno, vale a dire la prova della cittadinanza, e l’obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi, che costituisce solo una delle «formalità di legge relative all’ingresso, al trasferimento e al soggiorno degli stranieri»  (25) . L’inosservanza di tale obbligo può quindi, come si è visto, essere sanzionata dallo Stato membro ospitante, ma non può in nessun caso comportare il rifiuto del diritto di soggiorno.

66.      L’insieme degli elementi indicati rafforza la mia opinione, condivisa anche dalla Commissione, secondo cui gli obblighi amministrativi di cui all’art. 4, n. 2, della direttiva 73/148 – come quello che, a giustificazione di un soggiorno inferiore o uguale a tre mesi del destinatario di servizi, prevede una carta di identità o passaporto – devono essere intesi alla luce della finalità della direttiva, ossia la soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi  (26) .

67.      In tale prospettiva, e secondo un’impostazione pragmatica, la Commissione sottolinea un elemento determinante, ossia che la funzione dell’obbligo previsto all’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148 è duplice in quanto mira, da un lato, a semplificare l’onere della prova del diritto di soggiorno non solo per i cittadini di altri Stati membri, ma anche per gli Stati membri stessi  (27) , e, dall’altro, a fissare una norma massima in merito ai requisiti formali che uno Stato membro può imporre riguardo all’onere della prova del diritto di soggiorno, escludendo così i requisiti più gravosi  (28) .

68.      La Commissione ritiene pertanto che, partendo dall’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148, non si possa affermare a contrario che l’inosservanza di tale obbligo provochi il mancato riconoscimento della cittadinanza e quindi, nel caso di specie, del diritto di soggiorno. Secondo la stessa, un siffatto formalismo potrebbe avere conseguenze assurde, in contraddizione con la ratio degli strumenti comunitari, che sono diretti ad un’interpretazione in senso lato – ma certo non illimitata – del diritto di soggiorno.

69.      In linea con tale iter logico, e alla luce della finalità della direttiva in questione, ritengo che, se, conformemente all’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148, il possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi costituisce la regola, perché si tratta della maniera più semplice e più evidente di rilevare la cittadinanza di un individuo, la detta disposizione non può essere interpretata nel senso di escludere che la cittadinanza sia rilevata in una maniera diversa  (29) .

70.      La detta interpretazione non contraddice, a mio avviso, i termini stessi dell’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148. Infatti, se il principio è che i documenti ufficiali come la carta d’identità o il passaporto equivalgono a un documento di soggiorno per il destinatario di servizi che si trattenga per una durata massima di tre mesi, e che la mancata esibizione di uno di questi due documenti può provocare l’applicazione di una sanzione da parte dello Stato membro ospitante, per contro quest’ultimo non può per tale motivo impedire alla persona controllata di esercitare il suo diritto di soggiorno, il che significherebbe concretamente negarne l’esistenza.

71.      Aggiungo che la mia analisi non dev’essere intesa nel senso che è sufficiente che un cittadino comunitario faccia valere il suo diritto alla libera circolazione per poter soggiornare legalmente nello Stato membro ospitante. Al contrario, l’ottica finalistica su cui la mia analisi si basa impone al cittadino comunitario di provare la sua cittadinanza su richiesta delle autorità competenti dello Stato membro ospitante, e ciò, va precisato, in maniera convincente, vale a dire sulla base di un qualsiasi documento o contatto ufficiale che fornisca un indizio serio del possesso della cittadinanza di uno Stato membro.

72.      Peraltro, il cittadino di un altro Stato membro dovrebbe essere sempre messo in condizioni di esibire una carta d’identità o un passaporto validi, e ciò entro un termine ragionevole, vale a dire tenendo conto in particolare dei normali termini di rilascio e di inoltro di tali documenti.

73.      L’insieme di tali elementi mi induce a proporre alla Corte di risolvere la questione sollevata dal giudice del rinvio dichiarando che l’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva 73/148 dev’essere interpretato nel senso che il riconoscimento da parte di uno Stato membro di un diritto di soggiorno a favore di un cittadino di un altro Stato membro che possieda lo status di destinatario di servizi non può essere subordinato all’esibizione da parte di quest’ultimo di una carta d’identità o di un passaporto validi. Tuttavia, il destinatario di servizi che eserciti così il suo diritto di soggiorno per una durata inferiore o uguale a tre mesi in uno Stato membro ospitante è tenuto, su richiesta delle autorità competenti di tale Stato, a provare il suo status di cittadino di uno Stato membro con ogni mezzo. Infine, egli dev’essere messo in grado di esibire, entro un termine ragionevole, una carta d’identità o un passaporto validi.

C – Sulla disparità di trattamento tra cittadini comunitari e cittadini di uno Stato membro nei confronti dell’obbligo di provare la propria cittadinanza

74.      Con le questioni pregiudiziali sub 2b) e 4) il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza osti a che i cittadini di altri Stati membri siano sottoposti, in applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa agli stranieri, all’obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi al fine di provare la propria cittadinanza, corredato di una misura di custodia cautelare finalizzata all’espulsione in caso di impossibilità ad esibire uno di tali documenti, mentre il diritto olandese non impone un tale obbligo ai propri cittadini.

75.      Conformemente a una giurisprudenza costante della Corte e trattandosi della libera prestazione dei servizi, preciso che tale questione dev’essere esaminata alla luce dell’art. 49 CE. Infatti, anche se l’art. 12 CE sancisce il principio generale del divieto di discriminazione in base alla cittadinanza, esso «tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto comunitario per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche di non discriminazione». Orbene, per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi, «tale principio è stato attuato e concretizzato» dall’art. 49 CE  (30) .

76.      La questione pregiudiziale dev’essere intesa, pertanto, nel senso che il giudice del rinvio chiede se il principio generale del divieto di discriminazione in base alla cittadinanza, contenuto nell’art. 49 CE, osti a che i cittadini di altri Stati membri siano sottoposti, in applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa agli stranieri, all’obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi al fine di provare la propria cittadinanza, mentre il diritto olandese non impone un tale obbligo ai propri cittadini  (31) .

77.      Il giudice del rinvio espone nella maniera seguente ciò che, a suo avviso, potrebbe costituire una discriminazione in base alla cittadinanza contraria al diritto comunitario: il diritto olandese non prevede un obbligo universale e generale di fornire le generalità, bensì obblighi ben circoscritti, puntualmente disciplinati in apposite leggi e limitati a determinate circostanze  (32) . Il giudice del rinvio indica che la legge 2000 sugli stranieri è classificata dalle autorità olandesi nella categoria degli obblighi circoscritti di fornire le proprie generalità.

78.      Inoltre, il detto giudice ritiene rilevante, per quanto concerne l’obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi, fare un confronto tra una persona che, nell’ambito di un controllo, affermi di essere cittadina olandese e un’altra che sostenga di essere cittadina di un altro Stato membro.

79.      A tale proposito, il giudice del rinvio precisa che, ai sensi della giurisprudenza amministrativa nazionale, la persona che sostenga di essere cittadina olandese deve rendere attendibile la propria identità mediante elementi oggettivi, riconducibili direttamente alla sua persona. In mancanza di una carta d’identità o di un passaporto olandesi, l’interessato potrebbe allora rendere attendibile la sua identità, per esempio, esibendo una patente di guida rilasciata nei Paesi Bassi. Infine, se necessario, la consultazione dei dati dell’amministrazione locale potrebbe dissipare qualsiasi dubbio in merito all’identità.

80.      Per contro, riguardo alla persona che, nell’ambito della vigilanza interna sugli stranieri, dichiari di essere cittadina di un altro Stato membro e faccia appello alla libera circolazione delle persone e dei servizi, il giudice del rinvio osserva che in genere, con giustificazioni collegate a motivi di ordine pubblico, essa è posta sotto custodia cautelare, in applicazione della legge 2000 sugli stranieri, fintantoché non esibisca una carta d’identità o un passaporto validi.

81.      Di conseguenza, il giudice del rinvio si chiede se i detti elementi non costituiscano una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario a danno del cittadino comunitario rispetta al cittadino olandese, il quale, ai sensi della normativa nazionale, non è obbligato ad esibire un passaporto o una carta d’identità validi, in mancanza di altri documenti, per provare la sua cittadinanza.

82.      In merito a tale problema, la Commissione ritiene che, per quanto riguarda il diritto di soggiorno, la situazione dei cittadini nazionali e dei cittadini di altri Stati membri, ai sensi dello stesso Trattato, sia fondamentalmente diversa in quanto il diritto di soggiorno dei primi, per definizione, è permanente ed assoluto, in particolare alla luce del divieto di espulsione di questi ultimi. Infatti, la disparità di trattamento, nei confronti dell’obbligo relativo all’esibizione di una carta d’identità o di un passaporto validi, non sarebbe connessa con la cittadinanza propriamente detta, bensì con la situazione giuridica obiettivamente distinta sul piano del diritto di soggiorno.

83.      A mio avviso, occorre ricordare anzitutto che, anche se l’obbligo per il cittadino di un altro Stato membro di essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi non è di per sé costitutivo, come si è visto, di un diritto di soggiorno, si tratta nondimeno di una formalità prevista dal diritto comunitario, in particolare dalla direttiva 73/148. Pertanto, si può affermare che gli Stati membri trovano nel diritto comunitario un solido fondamento per imporre ai cittadini di altri Stati membri che soggiornino nel loro territorio di essere in possesso di un valido documento d’identità. Del resto, è per questa ragione che la Corte dichiara che «non si può contestare, in linea di principio, il potere degli Stati membri d’infliggere sanzioni a chiunque non (…) rispetti [tale obbligo]»  (33) .

84.      Sottolineo inoltre che la Corte ha ammesso in più occasioni situazioni in cui il mero fatto di non essere cittadino dello Stato può giustificare l’esigenza di una condizione che non è imposta ai propri cittadini, quale l’obbligo di dichiarare la loro presenza nel territorio alle autorità competenti  (34) . Essa ha inoltre dichiarato che, «poiché [la direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità] prevede, a carico dei cittadini di uno Stato membro che entrano o dimorano nel territorio d’un altro Stato membro, obblighi specifici – quali il possesso di un passaporto o d’una carta d’identità –, tali persone non possono essere puramente e semplicemente equiparate ai cittadini dello Stato di dimora»  (35) .

85.      I detti elementi confermano la teoria secondo cui la circostanza che assoggettamenti specifici, esistenti in forza del diritto comunitario, gravino sui cittadini degli Stati membri che desiderano soggiornare in un altro Stato membro spiegherebbe il fatto che la loro situazione non sia paragonabile a quella dei cittadini di quest’ultimo quanto agli obblighi normativi relativi all’esercizio del diritto di soggiorno.

86.      Tale teoria, tuttavia, non mi convince. Infatti, mi sembra che essa trovi un limite essenziale, per quanto riguarda proprio e unicamente l’obbligo imposto ai cittadini di altri Stati membri di essere sempre in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi, nella soluzione adottata dalla Corte nella sentenza Commissione/Belgio del 1989: anche se era in causa solo il diritto di entrare nel territorio di uno Stato membro, essa ha dichiarato, in una formula che si estende oltre tale caso specifico, che «il diritto comunitario non osta a che il Belgio faccia controllare nel suo territorio l’osservanza dell’obbligo, imposto ai titolari di un diritto di soggiorno comunitario, di essere sempre muniti del loro titolo di soggiorno o di stabilimento, dal momento che un obbligo identico è imposto ai cittadini belgi per quel che riguarda la loro carta d’identità»  (36) . Questa stessa posizione è espressa in una sentenza Commissione/Germania del 1998, con un’affermazione ancora più netta ai sensi della quale i controlli statali dell’osservanza da parte dei cittadini di altri Stati membri dell’obbligo di essere sempre muniti di un titolo di soggiorno sono autorizzati dal diritto comunitario solo a condizione che lo Stato membro ospitante imponga ai suoi cittadini un obbligo identico per quel che riguarda la loro carta d’identità  (37) . Il detto parallelismo effettuato tra le situazioni dei cittadini di altri Stati membri e dei propri cittadini implica, inoltre, che le sanzioni dell’inosservanza di tale obbligo devono essere analoghe nei due casi  (38) .

87.      Come si vede, la Corte è stata indotta, nell’ambito della giurisprudenza citata, ad ammettere l’analogia delle situazioni dei cittadini di altri Stati membri e dei cittadini nazionali in merito al loro obbligo di essere in possesso, rispettivamente, di un permesso di soggiorno o di un valido documento d’identità, e di conseguenza l’analogia del trattamento che dev’essere loro riservato nell’ambito del controllo dell’osservanza di tale obbligo. Ciò equivale ad ammettere che queste due categorie di persone si trovano in una situazione analoga per quanto riguarda la necessità di comprovare la loro cittadinanza, e devono, per tale ragione e in questo ambito, essere trattate in maniera identica.

88.      Indicherò di conseguenza che mi paiono contrarie al principio del divieto di discriminazione in base alla cittadinanza la giurisprudenza e la prassi delle amministrazioni nazionali che obbligano un cittadino di un altro Stato membro che faccia valere il suo diritto di soggiorno a provare tale status unicamente presentando una carta d’identità o un passaporto validi, mentre ad un cittadino che fa valere la cittadinanza olandese, ugualmente oggetto di vigilanza interna, viene riconosciuta la facoltà di rendere attendibile la sua identità con ogni altro mezzo.

89.      Infatti, in una tale situazione, si può ritenere applicabile la giurisprudenza della Corte succitata, dato che i cittadini di altri Stati membri che soggiornano in quanto destinatari di servizi, per una durata inferiore o uguale a tre mesi, in uno Stato membro ospitante hanno l’obbligo di essere sempre in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi, mentre un obbligo identico non è imposto ai cittadini olandesi per quanto riguarda i loro documenti d’identità  (39) .

90.      Di conseguenza, propongo alla Corte di risolvere la questione sollevata dal giudice del rinvio dichiarando che il principio generale del divieto di discriminazione in base alla cittadinanza, contenuto nell’art. 49 CE, osta a che i cittadini di altri Stati membri siano sottoposti, in applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa agli stranieri, ad un obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi al fine di provare la propria cittadinanza, mentre il diritto olandese non impone un tale obbligo ai propri cittadini.

D – Sulla custodia cautelare finalizzata all’espulsione di un cittadino di uno Stato membro, destinatario di servizi, in caso d’inosservanza dell’obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi

91.      In quest’ultimo gruppo di questioni pregiudiziali [sub 2d), 3a), 3b) e 3c)] il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se la custodia cautelare finalizzata all’espulsione di cittadini di altri Stati membri in caso di inosservanza da parte di questi ultimi del loro obbligo di essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi costituisca un ostacolo alla libera prestazione dei servizi e, in caso di soluzione affermativa, se il detto ostacolo possa essere giustificato.

92.      Per risolvere la detta questione, occorre ricordare che la Corte ha dichiarato, nella sua sentenza Sagulo e a., che, «sebbene gli Stati membri abbiano la facoltà di sanzionare, entro limiti ragionevoli, l’obbligo imposto alle persone tutelate dal diritto comunitario d’essere munite d’una carta d’identità o di un passaporto validi, in nessun caso siffatte sanzioni possono assumere una gravità tale da divenire un ostacolo alla libertà d’ingresso e di soggiorno prevista dal Trattato». Partendo da tale postulato, la Corte si rivolgeva al giudice nazionale nella maniera seguente: «il giudice nazionale dovrà far uso della libertà di valutazione riservatagli al fine di pervenire all’applicazione di una pena adeguata alla natura ed allo scopo delle norme comunitarie di cui si vuole reprimere l’infrazione»  (40) .

93.      Tale giurisprudenza consolidata esclude che l’inosservanza di formalità quali il possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi possa essere sanzionata per mezzo di un’espulsione, «in quanto tale provvedimento costituisce la negazione del diritto stesso conferito e garantito dal Trattato»  (41) . La Corte ha inoltre indicato che, per quanto riguarda provvedimenti provvisori restrittivi della libertà adottati nei confronti di uno straniero protetto dal Trattato, in funzione della sua espulsione, «si deve affermare (…) che provvedimenti del genere non sono concepibili nel caso in cui l’espulsione dal territorio sia in contrasto col Trattato»  (42) .

94.      Tuttavia, è importante precisare che quest’ultima affermazione, a mio avviso, non può essere intesa nel senso che esclude il potere di cui deve disporre uno Stato membro ospitante di trattenere temporaneamente, in un luogo idoneo, un cittadino di un altro Stato membro al fine di effettuare gli accertamenti necessari in merito alla sua cittadinanza. In un tale caso, infatti, il provvedimento amministrativo di cui trattasi è svincolato da un’eventuale misura di espulsione e non costituisce una misura adottata al fine dell’espulsione dal territorio. Esso ha lo scopo di mettere il cittadino di un altro Stato membro in grado di provare la sua cittadinanza con ogni mezzo.

95.      Del resto, la Corte dichiara anche in modo altrettanto costante che, in caso di violazione da parte di un cittadino di un altro Stato membro del suo obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi all’ingresso nel territorio dello Stato membro ospitante, il detto Stato membro non può comminare «sanzioni sproporzionate, come una pena detentiva, che creerebbero un ostacolo alla libera circolazione delle persone»  (43) .

96.      Inoltre, ricordo che il principio della libera prestazione dei servizi sancito dall’art. 49 CE, «che è uno dei (…) principi fondamentali [del Trattato], comprende la libertà per i destinatari dei servizi di recarsi in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio, senza essere ostacolati da restrizioni (…)»  (44) .

97.      Tenuto conto di tali elementi, sono del parere che costituisca un ostacolo manifesto alla libera circolazione dei destinatari di servizi un provvedimento di custodia cautelare finalizzato all’espulsione degli stessi nel caso in cui essi non abbiano potuto provare il loro status di cittadini di uno Stato membro per mezzo di una carta d’identità o di un passaporto validi. Infatti, una tale misura privativa della libertà di soggiorno costituisce la negazione di un diritto conferito ai destinatari di servizi direttamente dall’art. 49 CE e dalle direttive adottate in applicazione dello stesso.

98.      Occorre nondimeno esaminare se un provvedimento siffatto possa essere giustificato dall’eccezione di ordine pubblico prevista in particolare dall’art. 46 CE  (45) . Infatti, secondo la Corte, il detto articolo consente «agli Stati membri di adottare, nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri, specie per ragioni di ordine pubblico, provvedimenti che essi non possono disporre nei confronti dei propri cittadini, nel senso che ad essi manca il potere di allontanare questi ultimi dal territorio nazionale o di vietare loro di accedervi»  (46) .

99.      Mi sembra che la risposta da fornire al giudice del rinvio su tale punto debba essere individuata nella soluzione indicata dalla Corte nella sentenza Royer, in cui ha precisato che l’omissione delle formalità di legge relative all’ingresso, al trasferimento e al soggiorno degli stranieri non può essere considerata, «trattandosi dell’esercizio di un diritto acquistato in forza dello stesso Trattato (…), come di per sé lesiv[a] dell’ordine o della sicurezza pubblici»  (47) .

100.    Quindi, senza che sia necessario esaminare se il provvedimento nazionale in questione rispetti il principio di proporzionalità, è sufficiente rilevare che l’eccezione di ordine pubblico prevista in particolare dall’art. 46 CE non si applica per giustificare l’ostacolo alla libera prestazione dei servizi costituito da un provvedimento di custodia cautelare finalizzata all’espulsione di cittadini di altri Stati membri in caso di inosservanza da parte di questi ultimi del loro obbligo di essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi.

101.    Peraltro, occorre indicare al giudice del rinvio che, comunque, l’eccezione di ordine pubblico per giustificare talune restrizioni alla libera circolazione delle persone può essere utilmente fatta valere da uno Stato membro solo in caso di «una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività»  (48) . La «perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge»  (49) non è quindi sufficiente. Va inoltre ricordato che l’eccezione di ordine pubblico, come tutte le deroghe a un principio fondamentale sancito dal Trattato, dev’essere interpretata in modo restrittivo.

102.    Inoltre, dall’art. 3 della direttiva del Consiglio 64/221/CEE  (50) risulta che provvedimenti di ordine pubblico «devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’individuo nei riguardi del quale essi sono applicati» e che «la sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l’adozione di tali provvedimenti»  (51) . Inoltre, va indicato al giudice del rinvio che l’eccezione di ordine pubblico, come interpretata dalla Corte, può essere fatta valere solo nel caso in cui sia dimostrato «un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l’ordine pubblico»  (52) .

103.    Ritengo infine che il fatto che un giudice nazionale possa concedere a posteriori un risarcimento danni al destinatario di servizi a causa dell’illiceità della sua custodia cautelare sia irrilevante per giustificare un ostacolo alla libera prestazione dei servizi.

104.    Di conseguenza, propongo alla Corte di risolvere la questione sollevata dal giudice del rinvio dichiarando che la custodia cautelare finalizzata all’espulsione di un destinatario di servizi in caso di inosservanza da parte di quest’ultimo dell’obbligo di essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi non giustificato e, in quanto tale, incompatibile con l’art. 49 CE. Tuttavia, le autorità competenti dello Stato membro ospitante possono decidere di trattenere temporaneamente un cittadino di un altro Stato membro al fine di metterlo in grado di provare la sua cittadinanza con ogni mezzo.

V – Conclusione

105.    Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dal Rechtbank’s-Gravenhage nei termini seguenti:

«1)
La circostanza che un cittadino di uno Stato membro si trovi in un determinato momento nel territorio di un altro Stato membro è sufficiente per presumere che egli sia o sarà destinatario di servizi nel detto Stato membro e che rientri quindi, a tale titolo, nell’ambito di applicazione ratione personae delle disposizioni comunitarie relative alla libera prestazione dei servizi.

2)
L’art. 4, n. 2, terzo comma, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi, dev’essere interpretato nel senso che il riconoscimento da parte di uno Stato membro di un diritto di soggiorno a favore di un cittadino di un altro Stato membro che possieda lo status di destinatario di servizi non può essere subordinato all’esibizione da parte di quest’ultimo di una carta d’identità o di un passaporto validi. Tuttavia, il destinatario di servizi che eserciti così il suo diritto di soggiorno per una durata inferiore o uguale a tre mesi in uno Stato membro ospitante è tenuto, su richiesta delle autorità competenti di tale Stato, a provare il suo status di cittadino di uno Stato membro con ogni mezzo. Infine, egli dev’essere messo in grado di esibire, entro un termine ragionevole, una carta d’identità o un passaporto validi.

3)
Il principio generale del divieto di discriminazione in base alla cittadinanza, contenuto nell’art. 49 CE, osta a che i cittadini di altri Stati membri siano sottoposti, in applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa agli stranieri, ad un obbligo di esibire una carta d’identità o un passaporto validi al fine di provare la propria cittadinanza, mentre il diritto olandese non impone un tale obbligo ai propri cittadini.

4)
La custodia cautelare finalizzata all’espulsione di un destinatario di servizi in caso di inosservanza da parte di quest’ultimo dell’obbligo di essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi non giustificato e, in quanto tale, incompatibile con l’art. 49 CE. Tuttavia, le autorità competenti dello Stato membro ospitante possono decidere di trattenere temporaneamente un cittadino di un altro Stato membro al fine di metterlo in grado di provare la sua cittadinanza con ogni mezzo».


1
Lingua originale: il francese.


2
GU L 172, pag. 14. Tale direttiva è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77).


3
Contrariamente alla formulazione iniziale della questione pregiudiziale sub 6) posta dal giudice del rinvio.


4
V., in particolare, sentenza 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa (Racc. pag. I-11, punto 16). La libera circolazione dei destinatari di servizi, non prevista espressamente dal Trattato, è stata riconosciuta anzitutto dalla direttiva 73/148, prima che la Corte dichiarasse che tale libertà costituisce il «necessario complemento» delle disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi e «risponde allo scopo di liberalizzare ogni attività retribuita e non regolata dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali» (v. sentenza 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone, Racc. pag. 377, punto 10). Per quanto riguarda i destinatari di servizi turistici, v. anche sentenza 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan (Racc. pag. 195).


5
V. conclusioni dell'avvocato generale Lenz 6 dicembre 1988 nella causa Cowan, cit., punto 22.


6
Ibidem, punto 28.


7
Sentenza Calfa, cit. Nella detta causa, la sig.ra Calfa è stata ritenuta destinataria di servizi sebbene fosse stata riconosciuta colpevole di un'infrazione alla legge sugli stupefacenti e condannata ad una pena di reclusione di tre mesi nonché alla pena accessoria dell'espulsione a vita dal territorio greco.


8
Nella fattispecie della causa principale, risulta, del resto, dal fascicolo che sulla persona del sig. Oulane è stata trovata una ricevuta della Postbank.


9
Art. 50, primo comma, CE.


10
Sentenza 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R (Racc. pag. I-7091, punto 84).


11
Art. 18, n. 1, CE. Per un'applicazione delle limitazioni e delle condizioni derivanti dalla direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE, relativa al diritto di soggiorno (GU L 180, pag. 26), v. citata sentenza Baumbast e R, punti 85 e segg. Ricordo inoltre che, secondo la Corte, le dette limitazioni e condizioni non impediscono all'art. 18, n. 1, CE di avere effetto diretto: «l'applicazione delle limitazioni e delle condizioni consentite dall'art. 18, n. 1, CE ai fini dell'esercizio del diritto di soggiorno è soggetta a sindacato giurisdizionale. Conseguentemente, le eventuali limitazioni e condizioni relative a tale diritto non impediscono che le disposizioni [di tale articolo] attribuiscano ai singoli diritti soggettivi che essi possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare» (stessa sentenza, punto 86).


12
V. direttiva 2004/38, alle cui disposizioni gli Stati membri devono conformarsi entro il 30 aprile 2006.


13
La direttiva 2004/38 è motivata in particolare dalla volontà di «superare tale carattere settoriale e frammentario delle norme concernenti il diritto di libera circolazione e soggiorno (…) [in] uno strumento legislativo unico (…)» (quarto ‘considerando’).


14
Per riprendere i termini utilizzati in una situazione analoga dall'avvocato generale La Pergola nelle sue conclusioni 17 febbraio 1998 nella causa Calfa, cit., paragrafo 10.


15
Sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I-6193, punto 31).


16
Il corsivo è mio.


17
Riguardo all'utilizzazione dei metodi di interpretazione letterale e teleologica v., in particolare, quanto indicato nelle mie conclusioni del 27 settembre 2001 all'origine della sentenza 16 maggio 2002, causa C-63/00, Schilling e Nehring (Racc. pag I-4483, punti 17 e segg.).


18
Sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75 (Racc. pag. 497, punto 31; il corsivo è mio).


19
Sentenza Royer, cit., rispettivamente punti 32 e 33; il corsivo è mio.


20
Sentenza 21 settembre 1999, causa C-378/97 (Racc. pag. I-6207, punto 42; il corsivo è mio). I fatti all'origine di tale causa possono essere così riassunti: contro il signor Wijsenbeek, di cittadinanza olandese, era stato avviato un procedimento penale nel suo paese per aver rifiutato, in violazione dell'art. 25 del decreto nazionale sugli stranieri, al momento del suo ingresso nei Paesi Bassi avvenuto il 17 dicembre 1993 all'aeroporto di Rotterdam, di presentare e consegnare il proprio passaporto all'ufficiale della polizia nazionale preposto al controllo delle frontiere, e di comprovare con ogni altro mezzo la propria cittadinanza.


21
Art. 18, n. 1, CE.


22
Sentenza Wijsenbeek, cit., punto 43.


23
Ibidem, punto 44.


24
Ibidem, punto 42.


25
Sentenza Royer, cit., punto 38.


26
Punto 34 delle osservazioni della Commissione.


27
La Commissione osserva infatti che, in via di principio, l'esibizione di una carta d'identità o di un passaporto validi è la maniera più semplice di far rilevare la cittadinanza e che gli Stati membri sono legittimati ad imporre detto obbligo.


28
Ritengo che tale impostazione sia mantenuta all'art. 6 della direttiva 2004/38, il quale prevede al n. 1 che «i cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità , salvo il possesso di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità» (il corsivo è mio). Faccio osservare che la discussione che può suscitare la questione sollevata dal giudice del rinvio si riflette perfettamente nella formulazione scelta dal legislatore comunitario, che manifesta d'altronde più esattamente una «non scelta» che alimenta l'ambiguità: il possesso di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità è una condizione cui è subordinato il diritto di soggiorno oppure una formalità del diritto di soggiorno? Ritengo che si tratti unicamente di una formalità da rispettare nell'ambito dell'esercizio del diritto di soggiorno.


29
Si pensi all'effetto che un iter logico inverso produrrebbe sulla situazione di un turista che abbia perso o a cui sia stato rubato il passaporto e/o la carta d'identità, situazione che non può essere qualificata come eccezionale: è in tal caso ragionevole porre fine al soggiorno di questa persona?


30
V., in particolare, sentenza 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Vestergaard (Racc. pag. I-7641, punti 16 e 17). V., inoltre, sentenza 14 luglio 1994, causa C-379/92, Peralta (Racc. pag. I-3453, punto 18).


31
Ritengo che la dimensione della problematica relativa alla sanzione costituita da una misura di custodia cautelare finalizzata all'espulsione, applicabile in caso di inosservanza dell'obbligo di essere sempre in grado di esibire una carta d'identità o un passaporto validi, debba essere valutata alla luce della giustificazione degli ostacoli alla libera circolazione, e non, in maniera isolata, solo alla luce del divieto di discriminazione. Infatti, dagli stessi termini della legge 2000 sugli stranieri risulta che le dette misure, per definizione, possono applicarsi solo agli stranieri in quanto hanno come scopo l'espulsione degli stessi. Analizzerò pertanto tale parte del problema in occasione dell'esame dell'ultimo gruppo di questioni pregiudiziali.


32
Il giudice del rinvio sottolinea che scopo della maggior parte di tali obblighi circoscritti di fornire le generalità è di prevenire gli abusi rilevati in materia di sussidi e di contributi concessi da talune leggi in campo previdenziale e tributario.


33
Sentenza 14 luglio 1977, causa 8/77, Sagulo e a. (Racc. pag. 1495, punto 10).


34
Sentenza 7 luglio 1976, causa 118/75, Watson e Belmann (Racc. pag. 1185).


35
Sentenza Sagulo e a., cit., punto 11.


36
Sentenza 27 aprile 1989, causa 321/87, Commissione/Belgio (Racc. pag. 997, punto 12).


37
Sentenza 30 aprile 1998, causa C-24/97, Commissione/Germania (Racc. pag. I-2133, punto 13).


38
Sentenza Commissione/Germania, cit., punto 14. La Corte ha dichiarato che la Repubblica federale di Germania era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi del diritto comunitario per aver applicato ai cittadini degli altri Stati membri che soggiornavano sul suo territorio «un trattamento sproporzionatamente diverso», per quanto riguarda il grado di colpa e le ammende irrogabili, da quello applicato ai propri cittadini «quando violano in modo analogo l'obbligo di essere in possesso di un valido documento d'identità».


39
Il giudice del rinvio indica come esempi di tali documenti «una valida carta d'identità, sulla quale sia indicata la cittadinanza olandese, o un passaporto olandese valido» (pag. 16 dell’ordinanza di rinvio).


40
Sentenza Sagulo cit., punto 12.


41
Sentenza Watson e Belmann, cit., punto 20.


42
Sentenza Royer, cit., punto 43.


43
Sentenza Wijsenbeek, cit., punto 44.


44
Sentenza Calfa, cit., punto 16.


45
Secondo il giudice del rinvio, i due provvedimenti che dispongono le misure di custodia cautelare indicano a giustificazione di quest'ultima «motivi di ordine pubblico connessi al rischio di elusione di un provvedimento di espulsione motivato dal fatto che lo straniero non dispone di carta d'identità ai sensi dell'art. 4.21 del Vreemdelingenbesluit (decreto olandese in materia di stranieri), non si è denunziato presso il comando di polizia, non dispone di fissa residenza o dimora ed è sospettato di aver commesso un reato» (pag. 5 dell’ordinanza di rinvio).


46
Sentenza Calfa, cit., punto 20.


47
Sentenza Royer, cit., punto 39.


48
V., in particolare, sentenza 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau (Racc. pag. 1999, punto 35).


49
Sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C-482/01 e C-493/01, Orfanopoulos e Oliveri (Racc. pag. I-0000, punto 66).


50
Direttiva 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850). Si noti che tale direttiva riguarda, ai sensi del suo art. 1, i cittadini di uno Stato membro che soggiornano o si trasferiscono in un altro Stato membro della Comunità allo scopo di esercitare un'attività subordinata o autonoma o in qualità di destinatari di servizi .


51
Rispettivamente nn. 1 e 2 dell’art. 3 della direttiva citata.


52
Sentenza Bouchereau, cit., punto 28.