CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER
presentate il 30 novembre 2004(1)



Causa C-6/03



Deponiezweckverband Eiterköpfe
contro
Land Rheinland-Pfalz



(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Koblenz)

«Ambiente – Discarica di rifiuti – Direttiva 1999/31/CE – Compatibilità di una norma nazionale più rigorosa»






1.        Il Verwaltungsgericht di Coblenza, giudice amministrativo tedesco di primo grado, ha sottoposto alla Corte due questioni pregiudiziali relative all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 1999/31/CE  (2) e all’art. 176 CE, per sapere se il diritto comunitario applicabile alle discariche di rifiuti sia compatibile con alcune disposizioni nazionali che prevedono misure di protezione rafforzata.

I – Ambito normativo comunitario

2.        Il titolo XIX del Trattato CE, dedicato all’«ambiente», è composto da tre disposizioni: l’art. 174, che stabilisce gli obiettivi della politica comunitaria in questo settore, l’art. 175, che costituisce il fondamento giuridico dell’azione della Comunità, e l’art. 176 CE, che dispone quanto segue:

«I provvedimenti di protezione adottati in virtù dell’articolo 175 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore. Tali provvedimenti devono essere compatibili con il presente trattato. Essi sono notificati alla Commissione».

3.        La direttiva 75/442/CEE  (3) riguarda la gestione dei rifiuti; l’art. 3, n. 1, lett. a), impone agli Stati membri di adottare misure appropriate per ridurre la produzione di rifiuti, e l’art. 4 li obbliga a garantire che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.

4.        Il deposito in discarica costituisce una delle fasi dello smaltimento dei rifiuti. In questo ambito particolare la direttiva 1999/31/CE (in prosieguo: la «direttiva»), «[p]er adempiere i requisiti della direttiva 75/442/CEE, in particolare degli articoli 3 e 4», ha lo scopo generale di prevedere «(…) misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente (…) risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l’intero ciclo di vita della discarica» (art. 1).

5.        L’art. 5 della direttiva dispone quanto segue:

«1. Non oltre due anni dopo la data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1, gli Stati membri elaborano una strategia nazionale al fine di procedere alla riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare a discarica e la notificano alla Commissione. Detta strategia dovrebbe includere misure intese a realizzare gli obiettivi di cui al paragrafo 2, in particolare mediante il riciclaggio, il compostaggio, la produzione di biogas o il recupero di materiali/energia. (…)

2. In base a tale strategia:

a)       non oltre cinque anni dopo la data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1, i rifiuti urbani biodegradabili da collocare a discarica devono essere ridotti al 75% del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti nel 1995 o nell’ultimo anno prima del 1995 per il quale siano disponibili dati EUROSTAT normalizzati;

b)       non oltre otto anni dopo la data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1, i rifiuti urbani biodegradabili da collocare a discarica devono essere ridotti al 50% del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti nel 1995 o nell’ultimo anno prima del 1995 per il quale siano disponibili dati EUROSTAT normalizzati;

c)       non oltre quindici anni dopo la data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1, i rifiuti urbani biodegradabili da collocare a discarica devono essere ridotti al 35% del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti nel 1995 o nell’ultimo anno prima del 1995 per il quale siano disponibili dati EUROSTAT normalizzati.

(…)».

6.        La data risultante dall’art. 18, n. 1, lett. b), della direttiva è quella del 16 luglio 2001  (4) .

II – Legislazione nazionale

7.        Per conformarsi ai precetti della direttiva, la Germania ha adottato il Verondnung über die umweltverträgliche Ablagerung von Siedlungsabfällen, (regolamento sul deposito ecocompatibile dei rifiuti urbani) 20 febbraio 2001, che è entrato in vigore il 1° marzo seguente  (5) .

8.        Secondo il giudice nazionale che ha proposto le questioni pregiudiziali, occorre tenere conto delle seguenti disposizioni:

«Articolo 3. Requisiti generali per lo scarico

1.       I rifiuti urbani ed i rifiuti ai sensi dell’art. 2, n. 2, possono essere scaricati solo nelle discariche o nei settori di discariche che soddisfano i requisiti stabiliti per le discariche di categoria I o II. Tali requisiti sono descritti al n. 10 della circolare tecnica sui rifiuti urbani.

(…)

3.       I rifiuti urbani ed i rifiuti ai sensi dell’art. 2, n. 2, ad eccezione dei rifiuti trattati con procedimenti meccanico-biologici, possono essere scaricati solo se rispettano i criteri di ripartizione contenuti all’allegato 1 per le discariche di categoria I o II.

Articolo 4. Requisiti per lo scarico di rifiuti trattati con procedimenti meccanico-biologici

1.       I rifiuti trattati con procedimenti meccanico-biologici possono essere scaricati solo qualora

a)       lo scarico avvenga in discariche o settori di discariche che soddisfano i requisiti stabiliti per le discariche di categoria II,

b)       i rifiuti soddisfino i criteri di ripartizione contenuti all’allegato 2 per le discariche di categoria II,

c)       i rifiuti non vengano mischiati tra loro per il raggiungimento dei criteri di ripartizione di cui all’allegato 2 e un loro scarico sui rifiuti già scaricati, con una quota elevata di biodegradabilità (ad esempio, rifiuti domestici non trattati), non conduca ad una limitazione della formazione di gas da parte di questi ultimi, ove l’infiltrazione di acqua per il mantenimento di processi di biodegradazione sia tecnicamente possibile o non sia necessaria e non si verifichino fuoriuscite incontrollate di gas,

d)       nell’ambito del trattamento meccanico-biologico siano stati separati rifiuti ad alto potenziale energetico, o altri elementi riutilizzabili o dannosi, a fini di recupero o di trattamento termico.

Nei casi previsti dalla prima frase, sub a), i requisiti sono quelli fissati dal n. 10 della circolare tecnica sui rifiuti urbani.

2.       Per garantire un ordinato scarico di rifiuti trattati con procedimento meccanico-biologico, il gestore della discarica deve

a)       rispettare i requisiti stabiliti dall’allegato 3 per lo smaltimento dei rifiuti trattati con procedimenti meccanico-biologici e

b)       assicurarsi che le emissioni residuali di gas da discarica conseguenti al riempimento di un settore della discarica vengano rilasciate nell’atmosfera solo in seguito ad ossidazione; all’amministrazione competente che lo richieda devono essere presentate relazioni di controllo sulle emissioni residuali redatte da organi di vigilanza esterni ai sensi dell’allegato C, n. 6, terza frase, della circolare tecnica sui rifiuti urbani.

Articolo 6. Disposizioni transitorie

(…)

2. Su domanda del gestore della discarica, l’autorità competente può autorizzare, alle condizioni stabilite al n. 3, le seguenti operazioni:

a)       i rifiuti domestici, i rifiuti industriali assimilabili a quelli domestici, i depositi di filtrazione ed altri rifiuti ad alto contenuto organico possono continuare ad essere depositati anche qualora non vengano soddisfatti i requisiti posti per i rifiuti conformemente all’allegato 1 o 2. Lo scarico deve avvenire in discariche precedenti (discariche per rifiuti domestici) anche se queste non soddisfano i requisiti posti dall’art. 3, n. 1, ma rispettano almeno quelli di cui al n. 11 della circolare tecnica sui rifiuti urbani, ovvero in settori separati di discariche di categoria II. L’autorizzazione deve essere limitata al 31 maggio 2005, al più tardi.

b)       I rifiuti urbani ed i rifiuti di cui all’art. 2, n. 2, che soddisfano i criteri di ripartizione per le discariche di categoria I fissati all’allegato 1 possono continuare ad essere depositati in discariche precedenti che non soddisfano i requisiti posti dall’art. 3, n. 1, ma rispettano almeno quelli di cui al n. 11 della circolare tecnica sui rifiuti urbani. L’autorizzazione deve essere limitata al 15 luglio 2009, al più tardi.

c)       I rifiuti urbani ed i rifiuti di cui all’art. 2, n. 2, che soddisfano i criteri di ripartizione per le discariche di categoria II fissati all’allegato 1, o i rifiuti pretrattati con procedimento meccanico-biologico che soddisfano i criteri di ripartizione fissati all’allegato 2 possono anch’essi essere depositati in discariche precedenti (discariche per rifiuti domestici), eventualmente in settori separati della discarica, se vengono rispettati i requisiti posti dall’art. 3, n. 1, per le discariche di categoria II, salvo i nn. 10.3.1 e 10.3.2 della circolare tecnica sui rifiuti urbani, nonché dal n. 11 della circolare tecnica sui rifiuti urbani. L’autorizzazione deve essere limitata al 15 luglio 2009, al più tardi. Da tale termine si può prescindere qualora venga provato, in casi specifici, che gli obiettivi di tutela menzionati ai nn. 10.3.1 e 10.3.2 della circolare tecnica sui rifiuti urbani sono stati realizzati mediante misure di sicurezza tecnicamente equivalenti e che l’interesse generale –rappresentato dai requisiti posti dal presente regolamento – non viene ostacolato. Per quanto riguarda i requisiti tecnici per le discariche, fino al 31 maggio 2005 trova pertanto applicazione, mutatis mutandis, la lett. a).

3.       Le eccezioni menzionate al n. 2 possono essere consentite solo ove non sia ostacolato l’interesse generale e

a)       nel caso descritto al n. 2, lett. a), non sia esigibile l’utilizzazione di capacità di trattamento a disposizione;

b)       nel caso descritto al n. 2, lett. b) e c), non sia esigibile l’utilizzazione di discariche che soddisfano i requisiti cui di cui all’art. 3, n. 1.

4.       Le eccezioni autorizzate dall’autorità competente alla ripartizione di rifiuti nelle discariche prima dell’entrata in vigore del presente regolamento ai sensi del n. 12.1, prima e seconda frase, lett. a) della circolare tecnica sui rifiuti urbani restano in vigore per i rifiuti domestici, i rifiuti industriali assimilabili a quelli domestici, i depositi di filtrazione ed altri rifiuti ad alto contenuto organico come autorizzazione ai sensi del n. 2, lett. a), del presente regolamento fino al 1° giugno 2005, al più tardi.

Allegato 1. Criteri di ripartizione tra le discariche

Ai fini della ripartizione dei rifiuti tra le discariche, si devono osservare i seguenti criteri:

N.

Parametri

Criteri di ripartizione

Discarica di categoria I

Discarica di categoria II

2

Quota organica del residuo secco della sostanza originale

         
2.01

definita come perdita per ignizione

<= 3 massa%

<= 5 massa%

2.02

definita come COT

<= 1 massa%

<= 3 massa%

4

Criteri eluenti

         
4.03

COT

<= 20 mg/l

<= 100 mg/l

Allegato 2. Criteri di ripartizione tra le discariche nel caso dei rifiuti sottoposti a trattamento meccanico-biologico

Ai fini della ripartizione tra le discariche dei rifiuti sottoposti a trattamento meccanico-biologico, si devono osservare i seguenti criteri:

N.

Parametri

Criteri di ripartizione

2

Quota organica del residuo secco della sostanza originale definita come COT

<= 18 massa%

4

Criteri eluenti

    
4.03

COT

<= 250 mg/l

5

Biodegradabilità del residuo secco della sostanza originale definita in termini di volatilità (AT 4) ovvero definita in termini di tasso di formazione gassosa nel test di fermentazione (GB 21 )

<= 5 mg/g

<=20 l/kg

(…)».

III – Fatti della causa principale

9.        La Deponienzweckverband Eiterköpfe è un consorzio costituito dai Landkreise (province) di Mayen-Coblenza e di Cochem-Zell e dal comune di Coblenza, che gestisce la discarica centrale di Eiterköpfe.

10.      In data 28 febbraio 2000, il consorzio chiedeva al Land Rheinland-Pfalz (Renania-Palatinato) l’autorizzazione ad occupare le aree di discarica 5 e 6 con rifiuti trattati solo meccanicamente per il periodo compreso tra il 31 maggio 2005 e il 31 dicembre 2013  (6) .

11.      La richiesta veniva respinta e il consorzio adiva i giudici nazionali, facendo valere che il regolamento tedesco sulle discariche contravviene alle norme comunitarie.

IV – Questioni pregiudiziali

12.      A seguito di un’udienza svoltasi il 4 dicembre 2002, ritenendo che il diritto invocato possa essere riconosciuto solo nel caso in cui le disposizioni nazionali che vietano il collocamento in discarica di rifiuti sottoposti unicamente a pretrattamento meccanico siano in contrasto con il diritto comunitario, la settima sezione del Verwaltungsgericht di Coblenza ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se l’art. 5, n. 1, della direttiva e le norme comunitarie per una strategia di riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare a discarica debbano essere interpretati nel senso che, nell’ambito dell’art. 176 CE e discostandosi dalle misure menzionate dall’art. 5, n. 2, della direttiva, quanto alla riduzione quantitativa dei rifiuti urbani biodegradabili ad una data percentuale del peso della quantità complessiva di rifiuti urbani biodegradabili, con riferimento ad un determinato anno solare, tali misure possono essere rafforzate con una disposizione nazionale di trasposizione dei detti obiettivi comunitari che subordina il deposito dei rifiuti urbani e dei rifiuti che possono essere smaltiti come i rifiuti urbani al rispetto del criterio di ripartizione chiamato “quota organica del residuo secco della sostanza originale” (definita in termini di perdita per ignizione o in termini di COT).

2. a)            In caso di soluzione affermativa, se gli obiettivi comunitari riportati all’art. 5, n. 2, della direttiva debbano essere interpretati nel senso che per il rispetto dei requisiti ivi citati, cioè

- 75% del peso a partire dal 16 luglio 2006,

- 50% del peso a partire dal 16 luglio 2009 e

- 35% del peso a partire dal 16 luglio 2016,

sia sufficiente, alla luce del principio comunitario di proporzionalità, una normativa nazionale la quale preveda che, per i rifiuti urbani e per i rifiuti che possono essere smaltiti come i rifiuti urbani, a partire dal 1° giugno 2005, la quota organica del residuo secco della sostanza originale sia inferiore o pari al 5% della massa se definita in termini di perdita per ignizione e inferiore o pari al 3% della massa se definita in termini di COT;

e che, a partire dal 1° marzo 2001 e fino al 15 luglio 2009 al più tardi, in singoli casi anche oltre, i rifiuti trattati con processi meccanico-biologici possano essere depositati nelle discariche precedenti solo qualora la quota organica del residuo secco della sostanza originale sia inferiore o pari al 18% della massa se definita in termini di COT e la biodegradabilità del residuo secco della sostanza originale sia inferiore o pari a 5 mg/g se definita in termini di volatilità (AT4) ovvero pari o inferiore a 20 l/kg se definita in termini di tasso di formazione gassosa nel test di fermentazione (GB21);

2. b)            in sede di valutazione delle conseguenze in caso di copertura di rifiuti non pretrattati con rifiuti pretrattati con processi termici o meccanico-biologici, se il principio comunitario di proporzionalità consenta un margine discrezionale ampio o restrittivo. Se dal principio di proporzionalità si possa dedurre la possibilità di compensare con diverse misure di sicurezza i rischi derivanti da rifiuti pretrattati solo meccanicamente».

V – Procedimento dinanzi alla Corte

13.      Hanno presentato osservazioni scritte la Deponienzweckverband Eiterköpfe, il Land Rheinland-Pfalz, i governi olandese, austriaco e tedesco e la Commissione.

14.      All’udienza svoltasi il 15 settembre 2004 sono comparsi, per esporre oralmente i loro argomenti, i rappresentanti del consorzio ricorrente e del Land convenuto nella causa principale, i rappresentanti dei governi tedesco, olandese e austriaco e l’agente della Commissione.

VI – L’ambiente nel diritto comunitario

A – Riferimento agli sviluppi normativi

15.      L’ambiente non costituiva una preoccupazione per gli autori del Trattato, che inizialmente non offriva alcuna copertura giuridica alla Comunità per intraprendere azioni in questa materia  (7) . Tuttavia, la Conferenza dei Capi di Stato e di Governo riunitasi a Parigi nel 1972 decise di adottare una propria politica e propose di porre rimedio alla mancanza di una normativa in questo settore facendo ricorso agli artt. 100 del Trattato CE e 235 del Trattato CE (divenuti, rispettivamente, artt. 94 CE e 308 CE)  (8) . Ciò spiega perché le prime pronunce della Corte fossero dirette a precisare il fondamento normativo di quest’azione comunitaria  (9) .

16.      L’Atto unico europeo  (10) ha introdotto nel Trattato CE un titolo specificamente dedicato all’ambiente – il titolo VII (divenuto titolo XIX) –  (11) , che comprende gli artt. 130 R e 130 S (attualmente, in seguito a modifica, rispettivamente artt. 174 e 175 CE) e 130 T (divenuto art. 176 CE)  (12) , 12 nonché l’art. 100 A, n. 3 (divenuto, in seguito a modifica, art. 95, n. 3, CE), che impone alla Commissione di basare le proposte di cui al n. 1 «su un livello di protezione elevato»  (13) .

17.      L’attenzione per l’ambiente è aumentata nel diritto comunitario fino al punto che conseguire «un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo» è divenuto uno scopo della Comunità (art. 2 CE)  (14) e si è quindi resa necessaria «una politica nel settore dell’ambiente» (art. 3, n. 1, lett. l)]. Inoltre, «[l]e esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all’articolo 3, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile» (art. 6). Questa preoccupazione emerge chiaramente da altre disposizioni del Trattato, come l’art. 95 CE, citato, o l’art. 161 CE, che prevede l’istituzione di un Fondo di coesione «per l’erogazione di contributi finanziari a progetti in materia di ambiente».

18.      Il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa si inserisce in quest’ottica  (15) e precisa che in questo settore le competenze sono ripartite tra l’Unione e gli Stati membri [art. I‑14, n. 2, lett. e)]  (16) , come già avviene in base alla legislazione vigente.

B – Le competenze concorrenti in materia di ambiente: limiti

19.      Le competenze concorrenti costituiscono una categoria a sé nell’ambito delle disposizioni del Trattato in materia di competenza. Esse danno luogo a varie situazioni, tra le quali rileva la possibilità che le legislazioni nazionali siano più rigorose di quella comunitaria.

20.      Per quanto riguarda l’ambiente, l’art. 176 CE consente agli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore, purché siano compatibili con il Trattato e siano notificati alla Commissione. Per altro verso, l’art. 95 CE permette agli Stati membri di mantenere (n. 4) o introdurre (n. 5) disposizioni nazionali, anche in presenza di esigenze di armonizzazione, quando siano giustificate da motivi di tutela dell’ambiente, comunicando dette disposizioni alla Commissione. Infine, l’art. 174, n. 2, secondo comma, prevede che le misure di armonizzazione possono comportare «una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie» soggette a controllo  (17) .

21.      Ciò spiega perché la Corte si sia preoccupata di dichiarare che il regime previsto dal Trattato in questa materia non è inteso a realizzare un’armonizzazione completa  (18) , per cui gli Stati membri sono chiamati a svolgere un ruolo importante, il che determina una coesistenza di norme comunitarie con altre norme di diritto nazionale, come avviene nel caso di specie.

22.      Le questioni sollevate dal Verwaltungsgericht di Coblenza sembrano presupporre la determinazione del limite comunitario di questa azione di livello nazionale.

23.      Orbene, le condizioni esistenti nei vari Stati membri differiscono in misura significativa. Alcuni di essi sono più sensibili all’ambiente, altri subiscono una maggiore pressione sociale in questo settore, altri ancora adottano tecniche più avanzate per lo smaltimento dei rifiuti. La direttiva sulle discariche, a differenza di altre misure comunitarie in materia  (19) , è una normativa che stabilisce condizioni minime.

24.      Il suo scopo è prevenire o ridurre «le ripercussioni negative sull’ambiente (…) durante l’intero ciclo di vita della discarica», mediante «requisiti (…), misure, procedure e orientamenti» (art. 1). A tal fine, la direttiva classifica le discariche a seconda che siano destinate a contenere rifiuti pericolosi, non pericolosi o inerti (art. 4), precisa i criteri e le procedure per la ripartizione dei rifiuti tre le varie categorie di discariche (art. 6 e allegato II), enuncia i metodi di controllo e di sorveglianza nelle fasi operativa e postoperativa (allegato III) e, infine, impone agli Stati membri di elaborare una strategia nazionale al fine di procedere alla riduzione dei rifiuti biodegradabili (art. 5, n. 1), che, nel caso dei rifiuti urbani, deve garantire una riduzione in tre fasi (art. 5, n. 2).

25.      Se si interpreta la direttiva in combinato disposto con l’art. 176 CE, non si può impedire agli Stati membri di adottare misure più rigorose che riguardino altri tipi di rifiuti, impongano condizioni di ammissione più selettive, rendano obbligatori pretrattamenti più complessi o abbrevino i termini stabiliti, purché tali misure soddisfino i due requisiti espressamente enunciati dalla disposizione citata: compatibilità con il Trattato e notifica alla Commissione.

26.      Il primo di tali requisiti implica il rispetto dell’intero ordinamento giuridico dell’Unione, e in particolare della direttiva.

27.      Tuttavia tale rispetto non implica, come emerge da alcune osservazioni scritte presentate nel procedimento pregiudiziale in esame, che la direttiva stessa avalli disposizioni nazionali più rigorose: quando ha inteso stabilire eccezioni, lo ha fatto espressamente, come dimostra l’art. 3, nn. 3, 4, e 5. Pertanto, la copertura giuridica è fornita dal Trattato, che autorizza gli Stati membri ad andare oltre le norme comunitarie, senza infrangerle  (20) .

28.      Inoltre non si deve dimenticare che, come già ricordato, realizzare un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo è divenuto uno degli scopi dell’integrazione europea, per il quale occorre sviluppare una politica adeguata [artt. 2 e 3, n. 1, lett. l), CE]  (21) ; pertanto l’adozione di misure nazionali più severe dev’essere conforme agli orientamenti comunitari, nel senso che l’incompatibilità può riguardare non solo norme specifiche, ma anche i programmi adottati in tale contesto sovranazionale  (22) .

C – La direttiva sulle discariche

29.      Tale direttiva, già citata, prevede che ogni normativa in materia di smaltimento dei rifiuti «deve essenzialmente mirare alla protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi» determinati dalla loro raccolta e dal loro trasporto, trattamento, ammasso e deposito  (23) . Con l’obiettivo di creare un coordinamento in questa materia, la direttiva persegue «una regolamentazione efficace e coerente (…), tale da non ostacolare gli scambi intracomunitari e da non alterare le condizioni di concorrenza»  (24) .

30.      Il Consiglio, nella risoluzione 7 maggio 1990  (25) , ha richiamato l’attenzione sull’esigenza di dotare la Comunità di una politica globale per tutti i tipi di rifiuti, sia quelli riciclabili che quelli riutilizzabili o da smaltire, insistendo sulla necessità di promuovere una «armonizzazione delle misure a livello comunitario (…) compatibile con lo sviluppo del mercato interno» (punto 1). Esso ha inoltre sottolineato che uno degli obiettivi prioritari è «garantire opportune infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti (…) ricorrendo alle tecnologie e ai metodi più appropriati», pur precisando che «la costituzione di una siffatta rete è principalmente compito degli Stati membri» (punto 7). Infine, il Consiglio ha dichiarato che occorreva incoraggiare i processi di pretrattamento (punto 8).

31.      Oltre ad altre iniziative  (26) , la risoluzione del Consiglio 24 febbraio 1997, sulla strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti  (27) , enuncia che in futuro dovrebbero essere espletate unicamente operazioni di discarica in maniera sicura e controllata, lasciando agli Stati membri la flessibilità di applicare la migliore opzione in materia di smaltimento dei rifiuti per tenere conto delle loro particolari condizioni (punto 32).

32.      La direttiva insiste su questo aspetto, come emerge dai suoi ‘considerando’, ad esempio il sesto, in cui si enuncia che il «trattamento di rifiuti (…) andrebbe controllato e gestito in modo adeguato per prevenire o ridurre i potenziali effetti negativi sull’ambiente nonché rischi per la salute umana».

33.      Infine, si deve tenere conto della decisione del Consiglio 19 dicembre 2002  (28) , che stabilisce criteri e procedure per l’ammissione dei rifiuti nelle discariche ai sensi dell’articolo 16 e dell’allegato II della direttiva. Benché sia entrata in vigore il 16 luglio 2004 (art. 7), essa può fornire alcuni spunti interpretativi.

VII – Esame delle questioni pregiudiziali

34.      Il Verwaltungsgericht di Coblenza vuole sapere se determinate misure preventive contenute nel regolamento tedesco sulle discariche di rifiuti siano compatibili con il diritto comunitario. Considerata la formulazione delle questioni, concordo con la Commissione nel raggrupparle, per esaminare, da un lato, la prima questione e la prima parte della seconda questione, sub a), che riguardano l’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva e dell’art. 176 CE, e, dall’altro, la seconda parte della seconda questione, sub a) e la seconda questione, sub b), relative al principio comunitario di proporzionalità  (29) .

35.      Tuttavia non si può separare il disposto del succitato art. 5, nn. 1 e 2, dalle altre parti della direttiva, né dal contesto generale, quale definito in precedenza. L’obiettivo perseguito e i requisiti minimi da esso imposti sono enunciati nei ‘considerando’ e negli articoli della direttiva; spetta al giudice nazionale verificare se la norma nazionale sia conforme a quanto enunciato nella direttiva, alla luce della nozione di compatibilità di cui all’art. 176 CE. La Corte non deve interferire con questa competenza e semmai deve concentrare i suoi sforzi nel precisare il significato delle norme comunitarie allo scopo di fornire i criteri necessari per garantire l’uniformità della loro applicazione; la sua funzione consiste nel definire la portata delle disposizioni comunitarie o la predetta nozione di compatibilità, e non nello svolgere un’analisi approfondita di ogni possibile difformità della normativa nazionale. Ciò vuol dire che la Corte non può pronunciarsi su una norma di diritto nazionale che presenta aspetti così tecnici come quelli esaminati nel caso di specie: non vi è dubbio che il criterio di ripartizione tra le discariche basato sulla «quota di materia organica del residuo secco della sostanza originale» (definita in termini di perdita per ignizione o COT) utilizzato nel regolamento tedesco sia più rigoroso di quello del «totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti» in un anno, previsto dalla direttiva, mentre è meno agevole stabilire l’incidenza di tale circostanza sulla realizzazione degli obiettivi comunitari  (30) .

Nondimeno, è opportuno esaminare le questioni pregiudiziali nell’ordine sopra indicato.

A – Prima questione e prima parte della seconda questione, sub a)

36.      Il giudice del rinvio ritiene che la normativa tedesca contenga misure più severe di quelle previste dalla direttiva e dubita della loro legittimità. Le differenze sono le seguenti:

         adozione del criterio di ripartizione dei rifiuti costituito dalla «quota organica del residuo secco della sostanza originale» (definita in termini di perdita per ignizione o COT);

         fissazione di termini più brevi per ridurre la produzione di rifiuti;

         ambito di applicazione comprendente sia i rifiuti biodegradabili che quelli non biodegradabili;

         equiparazione del trattamento dei rifiuti urbani al trattamento dei rifiuti che possono essere smaltiti come i rifiuti urbani, in particolare quelli industriali.

37.      Da tali constatazioni emerge un complesso di strumenti di tutela che, a suo parere, configurerebbero una strategia diversa da quella comunitaria.

38.      Occorre pertanto esaminare la portata di queste differenze.

a)       Il criterio di ripartizione dei rifiuti

39.      Conformemente al regolamento tedesco, i rifiuti urbani e i rifiuti che possono essere smaltiti come i rifiuti urbani devono essere collocati in discarica se soddisfano i requisiti di cui all’allegato 1, tra i quali rientra la quota organica del residuo secco della sostanza originale definita in termini di perdita per ignizione o COT  (31) . L’art. 5, n. 2, della direttiva fa invece riferimento al totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti in un anno solare di riferimento.

40.      Per sua stessa natura, questo tipo di atto è vincolante sotto il profilo del risultato da raggiungere, mentre lascia alle autorità nazionali la scelta della forma e dei mezzi (art. 249 CE), per cui, trattandosi di una direttiva che stabilisce «condizioni minime»  (32) , non si contravviene al diritto comunitario nel caso in cui si stabilisca un criterio di collocazione alla discarica diverso da quello costituito dal loro peso complessivo, sempreché siano rispettati i limiti fissati dalla Comunità.

41.      D’altro canto, come hanno rilevato i governi austriaco e olandese, il criterio di ripartizione tra le discariche non costituisce un obiettivo, bensì uno strumento per la riduzione dei rifiuti. Tra i principi generali enunciati all’allegato II della direttiva, si menzionano anzi le «restrizioni sul quantitativo di sostanze organiche presenti» come esempio di criterio basato sulle proprietà dei rifiuti.

b)       Abbreviazione dei termini per la riduzione dei rifiuti

42.      L’art. 5, n. 2, della direttiva, già citato, dispone che le strategie nazionali devono garantire determinati tassi di riduzione dei rifiuti biodegradabili destinati a discarica in tre fasi, che terminano «non oltre» cinque, otto e quindici anni dalla data del 16 luglio 2001, e prevede per dette fasi una riduzione rispettivamente al 75%, 50% e 35%.

43.      Pertanto, poiché sono state fissate scadenze – e percentuali – massime, gli Stati membri, in base alla loro politica ambientale, possono ridurle, purché l’effetto prescritto si produca entro e non oltre le date stabilite. È irrilevante che tale effetto venga ottenuto in una data anteriore.

c)       Applicazione ai rifiuti biodegradabili e non biodegradabili

44.      L’art. 5, nn. 1 e 2, citato, fa riferimento a rifiuti «biodegradabili», per cui si domanda se detta disposizione riguardi anche i rifiuti «non biodegradabili»  (33) .

45.      Alla luce del contesto e dello scopo della norma comunitaria, le condizioni minime imposte dalle disposizioni citate riguardano solo i rifiuti del primo tipo, anche se gli Stati membri possono legittimamente ampliarne la portata, dato che in realtà si intende istituire misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o ridurre le ripercussioni negative sull’ambiente risultanti dalle discariche di «rifiuti» (art. 1), senza ulteriori precisazioni, termine che rinvia alla definizione ampia di cui alla direttiva 75/442/CEE [art. 1, lett. a)]  (34) .

46.      Di conseguenza, non si contravviene al diritto comunitario neanche estendendo l’applicazione delle norme ai rifiuti non biodegradabili.

d)       Applicazione ai rifiuti industriali

47.      Benché l’art. 5, n. 1, preveda l’elaborazione di una strategia al fine di ridurre i «rifiuti biodegradabili», il n. 2 fa riferimento ad una strategia per la riduzione dei «rifiuti urbani biodegradabili», per cui sorge il dubbio che l’aggiunta di tale aggettivo osti all’inclusione di altri rifiuti non urbani – rientranti nella nozione di cui all’art. 2, lett. b), della direttiva –, come quelli industriali.

48.     È evidente che la soluzione dev’essere identica a quella proposta nei paragrafi precedenti. La direttiva contiene alcune disposizioni finali cui devono conformarsi i provvedimenti di attuazione degli Stati membri, i quali sono autorizzati ad adottare misure più rigorose, purché non eccedano i limiti stabiliti né l’obiettivo menzionato all’art. 1, in cui compare l’espressione più generica «discariche di rifiuti». Pertanto, la strategia può essere intesa a garantire la riduzione non solo dei rifiuti urbani biodegradabili, ma anche dei rifiuti di tipo diverso.

49.      Inoltre, come rilevano i governi olandesi e tedesco, i rifiuti industriali possono essere biodegradabili – se non del tutto, quanto meno in parte – per cui dovrebbero rientrare nella strategia nazionale di riduzione prevista all’art. 5, n. 1.

50.      Pertanto la direttiva non osta a che le norme relative ai rifiuti urbani vengano applicate anche ai rifiuti industriali.

e)       Analisi congiunta

51.      Da quanto precede si evince che la condizione prescritta dall’art. 176 CE, secondo cui i provvedimenti di tutela rafforzata devono essere conformi al Trattato, è soddisfatta per ognuno degli aspetti esaminati in relazione alla direttiva.

52.      Nondimeno, occorre precisare, come richiesto dal giudice tedesco, se un’analisi congiunta di tali aspetti possa condurre ad una soluzione diversa.

53.      Questa ipotesi va sicuramente esclusa, dato che la legislazione federale non sembra in contrasto con la politica definita dagli strumenti normativi comunitari di riferimento. In concreto, la direttiva prevede una riduzione in tre fasi del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili destinati a discarica fino al 35% del totale dei rifiuti prodotti nel 1995, senza precisare le modalità di attuazione. Il regolamento tedesco riguarda anche i rifiuti che possono essere smaltiti come i rifiuti urbani, richiede un trattamento non esclusivamente meccanico, il che presumibilmente determina una maggiore riduzione dei rifiuti  (35) , e abbrevia alcuni termini. Esso pertanto va al di là di quanto disposto dalla direttiva, ma ne rispetta le condizioni minime, per cui è compito del giudice nazionale, e non della Corte, verificare gli scopi della normativa nazionale e confrontarli con quelli perseguiti a livello comunitario.

54.      Per il resto, la giurisprudenza ha rammentato che, anche se la politica della Comunità nel settore ambientale richiede un livello di tutela elevato, non è necessario che tale livello sia il più elevato sotto il profilo tecnico, per cui gli Stati membri che integrano tale politica possono sempre migliorarlo  (36) .

55.      Alla luce di quanto esposto ai paragrafi precedenti, propongo alla Corte di risolvere la prima questione e la prima parte della seconda questione, sub a), nel senso che, nell’ambito dell’art. 176 CE, gli Stati membri, nel trasporre la direttiva 1991/31/CE, possono adottare misure per una protezione dell’ambiente ancora maggiore, sempreché esse perseguano gli obiettivi e rispettino quanto prescritto dalla normativa comunitaria, come avviene subordinando la collocazione a discarica dei rifiuti urbani e dei rifiuti che possono essere smaltiti come i rifiuti urbani ad un criterio costituito dalla quota di materia organica del residuo secco della sostanza originale (definita in termini di perdita per ignizione o COT), imponendo che le quote vengano raggiunte in date anteriori a quelle indicate dalla detta direttiva e, in sintesi, subordinando la collocazione a discarica dei rifiuti ad un pretrattamento non esclusivamente meccanico  (37) .

B – Seconda parte della seconda questione, sub a), e seconda questione, sub b): il principio comunitario di proporzionalità

56.      La proporzionalità implica opportunità e adeguatezza tra il fine perseguito e i mezzi adottati per raggiungerlo, ovvero tra due nozioni, valori o parametri. Nel campo del diritto essa costituisce un principio generale che presenta varie dimensioni ed opera a livello internazionale, comunitario e statale.

57.      Fatta salva l’analisi della proporzionalità della normativa tedesca che il Verwaltungsgericht di Coblenza può svolgere alla luce del diritto nazionale, i dubbi da esso espressi riguardano la proiezione di detta normativa sul piano comunitario.

58.      Prima di esaminare tali questioni, occorre risolvere il problema sollevato dalla Commissione e dal governo federale nelle loro osservazioni scritte, in cui essi negano che tale principio comunitario sia applicabile alla normativa nazionale in quanto, tra l’altro, a tenore dell’art. 5 CE, detto principio riguarda solo le azioni della Comunità e tali azioni non sono in discussione nel presente procedimento pregiudiziale.

59.      Sebbene in un primo momento il ragionamento proposto − in particolare quello della Commissione – possa sembrare convincente, si tratta di una regola generale di diritto, la cui applicazione non è circoscritta all’ambito delle suddette azioni comunitarie. L’art. 5 CE ha definito il principio, limitandolo, secondo una giurisprudenza costante della Corte, a questo contesto, ma non ne ha ridotto l’incidenza su tutto il diritto comunitario. Per altro verso, l’art. 176 CE, laddove subordina la validità delle misure nazionali di tutela rafforzata alla compatibilità con il Trattato, fa riferimento non solo, come ho già ricordato, al diritto positivo  (38) , ma anche agli obiettivi, alle libertà fondamentali, alle politiche e ai principi che ne sono alla base. Pertanto l’espressione «presente Trattato» non dev’essere ridotta alle specifiche disposizioni che lo costituiscono  (39) .

60.      Date queste premesse, il principio di proporzionalità produce i suoi effetti su tutte le azioni comunitarie, siano esse realizzate dalla stessa Comunità o dagli Stati che ne fanno parte, allorché esercitano una competenza qualificata come comunitaria.

61.      Pertanto il problema consiste nello stabilire se la norma o il comportamento nazionale costituiscano un’azione di questo tipo. Solo in caso di soluzione affermativa entra in gioco il principio. La sua applicazione non dipende dall’incidenza della norma nazionale sull’ordinamento dell’Unione, bensì dall’integrazione in tale ordinamento giuridico. In altre parole, se la proporzionalità implica un nesso adeguato tra l’obiettivo perseguito e le misure dirette a realizzarlo  (40) , sembra logico che la sua verifica in ambito comunitario esiga la presenza di obiettivi e di misure rientranti in tale ambito, condizione che non sussiste quando, ad esempio, il presupposto sia uno scopo comunitario ma si ricorra ad uno strumento di natura diversa.

62.      In tale contesto, spetta al giudice nazionale procedere a tale classificazione, tenendo conto del fatto che gli Stati membri adottano normative che si relazionano in modi diversi con la sfera sovranazionale, oscillando tra la mera esecuzione e il totale distacco. D’altro canto, a livello nazionale il detto principio non potrebbe comunque assumere la stessa importanza che riveste nel diritto dell’Unione  (41) . In ogni caso, la Corte non è competente a valutare la conformità di una normativa nazionale al principio comunitario di proporzionalità, soprattutto quando, come nel caso di specie, entrino in gioco aspetti tecnici molto precisi e non siano stati forniti i dati necessari per effettuare una prudente valutazione  (42) .

63.      In base a quanto precede, propongo di risolvere la seconda parte della seconda questione, sub a), e la seconda questione, sub b), nel senso che spetta al giudice nazionale verificare se una norma o un comportamento di uno Stato membro siano conformi al principio comunitario di proporzionalità, nel caso in cui debbano essere qualificati come atti comunitari.

VIII – Conclusione

64.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dal Verwaltungsgericht di Coblenza dichiarando quanto segue:

1)
Per quanto riguarda la prima questione e la prima parte della seconda questione, sub a), nell’ambito dell’art. 176 CE, gli Stati membri, nel trasporre la direttiva 1991/31/CE, possono adottare misure per una protezione dell’ambiente ancora maggiore, sempreché esse perseguano gli obiettivi e rispettino quanto prescritto dalla normativa comunitaria, come avviene subordinando la collocazione a discarica dei rifiuti urbani e dei rifiuti che possono essere smaltiti come i rifiuti urbani ad un criterio costituito dalla quota di materia organica del residuo secco della sostanza originale (definita in termini di perdita per ignizione o COT), imponendo che le quote vengano raggiunte in date anteriori a quelle indicate dalla detta direttiva e subordinando la collocazione a discarica dei rifiuti ad un pretrattamento non esclusivamente meccanico.

2)
Per quanto riguarda la seconda parte della seconda questione, sub a), e la seconda questione, sub b), spetta al giudice nazionale verificare se una norma o un comportamento di uno Stato membro siano conformi al principio comunitario di proporzionalità, nel caso in cui debbano essere qualificati come atti comunitari.


1
Lingua originale: lo spagnolo.


2
Direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti (GU L 182 del 16 luglio 1999, pag. 1). L’art. 17 è stato modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1882 (GU L 284 del 31 ottobre 2003, pag. 1).


3
Direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), modificata dalle direttive del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32) e 23 dicembre 1991, 91/692/CEE (GU L 377, pag. 48), nonché dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32) e dal regolamento n. 1882/2003, citato.


4
Due anni dopo la sua entrata in vigore, che, ai sensi dell’art. 19, ha avuto luogo alla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 16 luglio 1999.


5
BGBl, I pag. 305.


6
In precedenza, con decisione 26 settembre 1995, il convenuto nella causa principale aveva stabilito che potevano essere ammassati nella discarica solo rifiuti che non potessero essere recuperati e rispettassero i criteri di ripartizione stabiliti all’allegato B, colonna II, della circolare tecnica sui rifiuti urbani, definiti in termini di perdita per ignizione e COT (carbonio organico totale) nell’eluito.


7
Indicare la base giuridica del diritto comunitario in materia di ambiente si è rivelato uno dei problemi più complessi e controversi. V. M. Bravo-Ferrer Delgado: «La determinación de la base jurídica en el derecho comunitario del medio ambiente», in Gaceta Jurídica, marzo 1994, pag. 13.


8
L’art. 100 costituiva la base per l’armonizzazione delle norme che incidono direttamente sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune e l’art. 235, di portata più ampia, prevedeva l’adozione di misure idonee a conseguire gli obiettivi comunitari non espressamente menzionati nel Trattato. Il punto 15 della dichiarazione adottata dalla suddetta Conferenza dei Capi di Stato e di Governo del 1972 enuncia che «per realizzare segnatamente i compiti definiti nei vari programmi d’azione è opportuno utilizzare nella maniera più ampia possibile tutte le disposizioni dei trattati, compreso l’articolo 235». Il fondamento normativo della direttiva 75/442/CEE, citata alla nota 3, è costituito dal «Trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare gli articoli 100 e 235».


9
La sentenza 18 marzo 1980, causa 91/79, Commissione/Italia (Racc. pag. 1099), non ha escluso che i provvedimenti in materia di ambiente possano fondarsi sull’art. 100 del Trattato CE. Anzi, conformemente alla sentenza 7 febbraio 1985, causa 240/83, ADBHU (Racc. pag. 531), la tutela dell’ambiente dev’essere considerata «uno degli scopi essenziali della Comunità», anche se le misure adottate a tal fine non devono «eccedere le restrizioni inevitabili giustificate dal perseguimento dello scopo d’interesse generale costituito dalla tutela dell’ambiente». Nello stesso senso v. sentenza 20 settembre 1988, causa 302/86, Commissione/Danimarca (Racc. pag. 4607).


10
GU L 169 del 29 giugno 1987.


11
Il titolo VII è stato aggiunto alla terza parte del Trattato con l’art. 25 dell’Atto unico europeo e l’art. 100 A con l’art. 18 dello stesso Atto. Con il Trattato sull’Unione europea (art. G, punto 28), il titolo VII è divenuto titolo XVI.


12
V. paragrafo 2 delle presenti conclusioni.


13
La Corte ha interpretato queste norme in varie occasioni. Nella sentenza 11 giugno 1991, causa C-300/89, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I-2867), ha ammesso che un provvedimento comunitario di tutela dell’ambiente non doveva fondarsi necessariamente sull’art. 130 S del Trattato CE, in quanto tale scopo poteva essere efficacemente perseguito mediante le misure di armonizzazione previste dall’art. 100 A del Trattato CE , anche se nella sentenza 17 marzo 1993, causa C-155/91, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I-939), ha dichiarato che, considerati lo scopo e il contenuto della direttiva impugnata – direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti (GU L 78, pag. 32) – era corretto basarsi sull’art. 130 S del Trattato CE, fondamento che ha ritenuto adeguato anche nella sentenza 28 giugno 1994, causa C-187/93, Parlamento europeo/Consiglio (Racc. pag. I-2857), in relazione ad un regolamento di carattere generale il cui contenuto rientrava nella politica comunitaria dell’ambiente – il regolamento (CEE) del Consiglio 1° febbraio 1993, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio (GU L 30, pag. 1) – anche se detto regolamento, armonizzando le condizioni relative alla circolazione dei rifiuti, incideva sulla realizzazione del mercato interno. D'altro canto, l’avvocato generale Tesauro, nelle conclusioni relative alla causa definita con sentenza 17 marzo 1993, Commissione/Consiglio, citata, ha distinto due tipi di direttive: quelle di carattere generale, fondate sull’art. 130 S del Trattato CE, e quelle relative ad un settore specifico, la cui base giuridica è da ricondursi all’art. 100 A del Trattato CE. Normalmente, le prime perseguono un elevato livello di tutela dell’ambiente, mentre le seconde sono intese ad evitare gravi distorsioni del principio della libera concorrenza. In dottrina, Krämer e Kromarek hanno sostenuto che nella pratica tale distinzione non potrebbe funzionare: L. Krämer e P. Kromarek, «Droit Communautaire de l’Environnement. 1 octobre 1991-31 décembre 1993», in Revue Juridique de l´Environnement, vol. 2-3, 1994, pag. 231.


14
Con la firma del Trattato sull’Unione europea di Maastricht la tutela dell’ambiente è stata elevata a principio fondamentale.


15
L’art. II‑97 prevede che «[u]n livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile», disposizione che trae origine dall’art. 2 CE. L’art. III‑119, secondo cui «[l]e esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione di cui alla presente parte, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile», riprende il contenuto dell’art. 6 CE. L’art. III‑172 è analogo all’art. 95 CE e l’art. III‑223 al 161 CE. Infine, gli articoli III‑223 e III‑234 riproducono, in sostanza, gli artt. 174-176 CE.


16
Ai sensi dell’art. I-12, n. 2, dello stesso Trattato, «[q]uando la Costituzione attribuisce all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, l’Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di esercitarla».


17
Parte della dottrina ha negato che tale disposizione costituisca uno strumento adeguato per rafforzare la tutela dell’ambiente; v., ad esempio, B. Verhoeve, G. Bennet e D. Wilkinson, Maastricht and the Environment, Londra, Institute for European Environmental Policy, 1992, pag. 24.


18
Sentenza 22 giugno 2000, causa C-318/98, Fornasar e a. (Racc. pag. I-4785).


19
Come il regolamento n. 258/93, citato alla nota 12, che, conformemente alla sentenza 13 dicembre 2001, causa C-324/99, DaimlerChrysler (Racc. pag. I-9897), armonizza le spedizioni di rifiuti (punto 42), con la conseguenza che qualsiasi provvedimento nazionale in questo settore «deve essere valutato in rapporto alle disposizioni di tale regolamento» (punto 43), giacché, «quando un problema è disciplinato in modo armonizzato a livello comunitario, qualunque provvedimento nazionale in materia deve essere valutato in rapporto alle disposizioni di tale misura di armonizzazione» (punto 32). In alcuni casi, la Corte ha considerato una direttiva come una normativa armonizzata (sentenza 12 ottobre 1993, causa C‑37/92, Vanacker e Lesage, pag. I-4947), ma, contrariamente al parere del giudice del rinvio, non ritengo che la direttiva sulle discariche possa essere considerata allo stesso modo, per i motivi di seguito esposti.


20
Come si vede, seguo un’impostazione diversa da quella proposta all’udienza dal governo dei Paesi Bassi, in quanto ritengo che, per verificare la compatibilità tra il diritto comunitario e quello nazionale, vi siano tre possibilità: a) se la misura nazionale rientra nell’ambito di applicazione della direttiva, l’analisi dev’essere condotta alla luce delle disposizioni di quest’ultima; b) se non vi rientra, l’esame dev’essere svolto prendendo come riferimento il Trattato; c) se va al di là di detto ambito, ma rientra nel campo di applicazione del diritto originario, si devono applicare i criteri previsto da quest’ultimo. Nel caso di specie, la legislazione tedesca dà attuazione a quella comunitaria, ma prevede una tutela dell’ambiente rafforzata, il che presuppone la presa in considerazione sia della direttiva che del Trattato.


21
V. paragrafo 17 delle presenti conclusioni.


22
Occorre fornire una soluzione equilibrata al problema sollevato dalla dottrina tedesca − che è alla base delle questioni pregiudiziali deferite (paragrafo IV, punto 2, dell’ordinanza di rinvio), cui fa riferimento anche il governo dei Paesi Bassi nelle sue osservazioni scritte (punti 20 e segg.) –, ossia se le misure adottate dagli Stati membri ai sensi dell’art. 176 CE abbiano la stessa natura di quelle comunitarie, dato che la disposizione citata subordina la validità delle disposizioni nazionali alla loro compatibilità con il Trattato, dal che emerge un esplicito interesse per l’ambiente e risulta quindi esclusa qualsiasi regolamentazione difforme. In caso contrario, si ostacolerebbe la futura armonizzazione, condizionando l’azione della Comunità nonché, senza dubbio, quella degli altri Stati che ne fanno parte. In altre parole, l’autorizzazione a stabilire misure di tutela rafforzata non costituisce una giustificazione, e tale facoltà è soggetta a determinati limiti. Orbene, la conformità al Trattato non implica che le misure nazionali e quelle comunitarie debbano avere identica natura, bensì è sufficiente che esse vadano nella stessa direzione, rispettando gli obiettivi e attuando, in definitiva, la politica comunitaria in materia di ambiente, circostanza che, nella maggior parte dei casi – compreso il procedimento in esame – dev’essere verificata di volta in volta.


23
Terzo ‘considerando’ della direttiva, citata alla nota 2 delle presenti conclusioni.


24
Sesto ‘considerando’ della direttiva.


25
Risoluzione del Consiglio 7 maggio 1990, sulla politica in materia di rifiuti (GU C 122 del 18 maggio 1990, pag. 2).


26
V., tra l’altro, risoluzioni del Parlamento europeo 19 febbraio 1991 (GU C 72, pag. 34) e 22 aprile 1994 (GU C 128, pag. 471); direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20); regolamento del Consiglio 1 febbraio 1993, n. 259, citato; decisione del Consiglio 1° febbraio 1993, 93/38/CEE, sulla conclusione, a nome della Comunità, della convenzione sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (GU L 39, pag. 1), e direttiva del Consiglio 16 dicembre 1994, 94/67/CE, sull’incenerimento dei rifiuti pericolosi (GU L 365, pag. 34).


27
GU C 76 dell’11 marzo 1997, pag. 1.


28
GU L 11 del 16 gennaio 2003, pag. 27.


29
Inoltre la ricorrente nel procedimento principale chiede che sia valutata la compatibilità del regolamento tedesco con altre disposizioni comunitarie, come l’art. 28 CE o l’art. 30 CE. Dall’ordinanza di rinvio emerge invece che il Verwaltungsgericht Koblenz «esclude» espressamente la «verifica» −- e, di conseguenza, qualunque dubbio rispetto alle disposizioni citate (sub IV, punto 4) –, per cui non occorre esaminare la compatibilità con tali disposizioni. Conformemente ad una giurisprudenza reiterata, spetta esclusivamente ai giudici nazionali, nell’ambito del sistema di cooperazione con la Corte di giustizia previsto dall’art. 234 CE, valutare la rilevanza delle questioni che essi sottopongono alla Corte rispetto ai fatti della causa dinanzi ad essi pendente (sentenze 14 luglio 1988, causa 298/87, Smanor, Racc. pag. 4489; 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont, Racc. pag. I-10663, e 23 ottobre 2001, causa C‑510/99, Tridon, Racc. pag. I-7777).


30
La Corte ha ripetutamente dichiarato che la valutazione dei fatti di causa spetta al giudice nazionale (v., tra l’altro, sentenza 15 novembre 1979, causa 36/79, Denkavit, Racc. pag. 3439), escludendo la propria competenza ad applicare a provvedimenti o a situazioni nazionali le norme comunitarie di cui deve fornire l’interpretazione (v., per tutte, sentenza 5 ottobre 1999, cause riunite C-175/98 e C-177/98, Lirussi e Bizzaro, Racc. pag. I-6881, punti 37 e 38). V. anche nota 34 delle presenti conclusioni.


31
Art. 3, n. 3, del regolamento, in combinato disposto con i punti 2.01 e 2.02 dell’allegato 1. V. paragrafo 8 delle presenti conclusioni.


32
V. paragrafi 23 e 24 delle presenti conclusioni.


33
Si noti che la direttiva precisa cosa debba intendersi per «rifiuto», «rifiuti urbani», «pericolosi», «non pericolosi» o «inerti», ma non enuncia una nozione di «rifiuti biodegradabili». D’altro canto, gli altri due numeri dell’art. 5, il 3 e il 4, utilizzano il termine generico «rifiuti».


34
Conformemente alla direttiva 75/442/CEE, citata alla nota 3 delle presenti conclusioni, si considera «rifiuto» qualsiasi sostanza od oggetto che rientri in una delle categorie elencate all’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi. L’elenco comprende 16 ipotesi ed include, ad esempio, gli «[e]lementi inutilizzabili» (Q6), i «[r]esidui di processi industriali» (Q8) e i «[r]esidui provenienti dall’estrazione e dalla preparazione delle materie prime» (Q11).


35
Il fascicolo non contiene informazioni tecniche dettagliate da cui possa desumersi l’incidenza della scelta dell’uno o dell’altro criterio di ripartizione sul processo di smaltimento dei rifiuti. A tale proposito non sono state presentate nemmeno perizie o analisi economico-finanziarie degli effetti dell’applicazione della normativa comunitaria e di quella tedesca sull’efficienza della discarica dal punto di vista economico, che sarebbero utili per risolvere altre questioni connesse, come l’eventuale compensazione dell’ente di gestione.


36
Sentenza 14 luglio 1998, causa C-284/95, Safety Hi-Tech (Racc. pag. I-4301, punto 49).


37
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, l’art. 6, lett. a), della direttiva obbliga gli Stati membri a provvedere affinché «solo i rifiuti trattati vengano collocati a discarica», intendendosi per trattamento, ai sensi dell’art. 2, lett. h), «i processi fisici, termici, chimici o biologici, compresa la cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero». Pertanto si deve ritenere che l’elenco di cui all’art. 5, n. 1, che impone agli Stati membri di elaborare una strategia nazionale comprensiva di misure che consentano di conseguire gli obiettivi di cui al n. 2, «in particolare mediante il riciclaggio, il compostaggio, la produzione di biogas o il recupero di materiali/energia», non sia esaustivo.


38
Paragrafo 28 delle presenti conclusioni.


39
Tra le quali rientra l’art. 10 CE, secondo cui gli Stati membri devono adottare «tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità». L’aggettivo «atte» dev’essere valutato anche in base ai principi generali del diritto comunitario. La Corte, nella sentenza Daimler-Chrysler, citata alla nota 18, ha interpretato l’espressione «nel rispetto del Trattato», contenuta nel regolamento n. 259/93, «nel senso che le suddette misure nazionali, oltre ad essere conformi al regolamento, devono anche rispettare le norme o i principi generali del Trattato che non sono direttamente previsti dalla normativa adottata nell’ambito delle spedizioni di rifiuti» (punto 45).


40
Come rileva il governo austriaco rileva nelle sue osservazioni scritte, in cui cita la sentenza 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder (Racc. pag. 2237), la proporzionalità di un provvedimento dev’essere esaminata in base alla sua adeguatezza e pertinenza, nonché al divieto di imporre obblighi sproporzionati.


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Come sostiene Guy Isaac, «la proporcionalidad significa que, en la aplicación de una competencia, si la Comunidad puede elegir entre varios modos de acción, debe optar, a eficacia igual, por aquel que deje más libertad a los Estados, a los particulares, a las empresas», Manual de Derecho Comunitario General, traduzione di G.-L. Ramos Ruano, Ariel, Barcellona, 5ª ed., 2000, pag. 76.


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In questo senso, nella sentenza 6 maggio 1986, causa 304/84, Muller e a. (Racc. pag. 1511), la Corte ha dichiarato che il diritto comunitario, nel suo stato attuale, non ostava a che un Stato membro sottoponesse a divieto lo smercio di derrate alimentari provenienti da altri Stati membri alle quali fossero state aggiunte alcune sostanze, ma ha aggiunto che «il principio di proporzionalità, che costituisce il fondamento dell’ultimo inciso dell’art. 36 del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 30 CE), esige che questo divieto sia limitato a ciò che è necessario per conseguire gli scopi di tutela della salute legittimamente perseguiti» (punto 23), precisando che «[s]petta alle competenti autorità nazionali dimostrare di volta in volta, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi contemplati dall’art. 36 del Trattato». Analogamente, nella sentenza Tridon, citata, la Corte ha ammesso che «la valutazione della proporzionalità del divieto di commercializzazione oggetto della causa principale, in particolare al fine di accertare se l’obiettivo perseguito possa essere raggiunto mediante misure che ledano in misura minore gli scambi intracomunitari, non può essere effettuata, nel caso specifico, senza elementi d’informazione supplementari e che tale valutazione presuppone una concreta analisi, basata segnatamente su studi scientifici e circostanze di fatto che caratterizzano la situazione nella quale rientra la controversia oggetto della causa principale, analisi che spetta al giudice del rinvio effettuare» (punto 58).