ORDINANZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

3 luglio 2007 ( *1 )

Nella causa T-212/02,

Comune di Champagne (Svizzera),

«Défense de l’appellation Champagne ASBL», con sede in Champagne (Svizzera),

Cave des viticulteurs de Bonvillars, con sede in Bonvillars (Svizzera), e gli altri ricorrenti i cui nomi figurano in allegato alla presente ordinanza, rappresentati dagli avv.ti D. Waelbroeck e A. Vroninks,

ricorrenti,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente dal sig. J. Carbery, successivamente dai sigg. F. Florindo Gijón e F. Ruggeri Laderchi, in qualità di agenti,

e

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dal sig. J. Forman e dalla sig.ra D. Maidani, successivamente dai sigg. Forman e F. Dintilhac, in qualità di agenti,

convenuti,

sostenuti da

Repubblica francese, rappresentata dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A. Colomb, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda di annullamento dell’art. 1 della decisione del Consiglio e, per quanto riguarda l’Accordo sulla Cooperazione Scientifica e Tecnologica, della Commissione 4 aprile 2002, 2002/309/CE, Euratom, relativa alla conclusione di sette accordi con la Confederazione svizzera (GU L 114, pag. 1), in quanto essa approva l’art. 5, n. 8, del titolo II dell’allegato 7 dell’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sul commercio di prodotti agricoli nonché una domanda di risarcimento del preteso danno subito dai ricorrenti a motivo di detto accordo,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dal sig. J. Azizi e dalla sig.ra E. Cremona, giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

ha pronunciato la seguente

Ordinanza

Contesto normativo

1

Il vino spumante prodotto nella regione francese della Champagne beneficia, nella Comunità, della denominazione protetta «vino di qualità prodotto in regioni determinate» (v.q.p.r.d.), conformemente al regolamento (CEE) del Consiglio 16 marzo 1987, n. 823, che stabilisce disposizioni particolari per i v.q.p.r.d. (GU L 84, pag. 59), come modificato, e all’elenco dei v.q.p.r.d., pubblicato in forza dell’art. 1, n. 3, di tale regolamento (GU 1999, C 46, pag. 113).

2

Ai sensi dell’art. 29, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1989, n. 2392, che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve (GU L 232, pag. 13):

«Per la designazione di un vino importato, il nome di una unità geografica utilizzato per la designazione di un vino da tavola o di un v.q.p.r.d. o di una regione determinata situata nella Comunità non può essere utilizzato, né nella lingua del paese produttore nel quale è situata detta unità o regione, né in un’altra lingua».

3

Ai sensi dell’art. 29, n. 3, secondo comma, di tale regolamento:

«Possono essere decise deroghe al paragrafo 2 quando vi sia identità tra il nome geografico di un vino prodotto nella Comunità e quello di un’unità geografica situata in un paese terzo, quando in tale paese detto nome è impiegato per un vino in conformità di usi antichi e costanti e a condizione che il suo impiego sia da detto paese regolamentato».

4

Il regolamento (CE) del Consiglio 17 maggio 1999, n. 1493, relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo (GU L 179, pag. 1), ha abrogato, in forza degli artt. 81 e 82, il regolamento n. 823/87 e il regolamento n. 2392/89 con effetto a decorrere dal 1o agosto 2000. Ai sensi del regolamento (CE) della Commissione 24 luglio 2000, n. 1608, che fissa misure transitorie in attesa delle misure definitive per l’applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999, come modificato, da ultimo, dal regolamento (CE) della Commissione 24 aprile 2002, n. 699 (GU L 109, pag. 20), in deroga a determinate disposizioni del regolamento n. 1493/1999, l’applicazione di talune disposizioni del regolamento n. 823/87 e di tutto il regolamento n. 2392/89 è stata tuttavia prorogata fino al 31 maggio 2002 nell’attesa del completamento e dell’adozione delle misure di esecuzione del regolamento n. 1493/1999.

5

Il 29 aprile 2002 è stato adottato il regolamento (CE) della Commissione n. 753, che fissa talune modalità di applicazione del regolamento n. 1493/1999 per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli (GU L 118, pag. 1). Tale regolamento, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 25 novembre 2002, n. 2086 (GU L 321, pag. 8), è applicabile dal 1o agosto 2003.

6

L’art. 48 del regolamento n. 753/2002 abroga il regolamento n. 1608/2000; l’art. 47, n. 2, del suddetto regolamento n. 753/2002, come modificato, prevede comunque che, in deroga a talune disposizioni del regolamento n. 1493/1999, determinate disposizioni del regolamento n. 823/87 nonché tutto il regolamento n. 2392/89 restino applicabili fino al 31 luglio 2003.

7

Ai sensi dell’art. 52 del regolamento n. 1493/1999:

«Se uno Stato membro attribuisce il nome di una regione determinata ad un v.q.p.r.d. nonché, se del caso, ad un vino destinato ad essere trasformato nel v.q.p.r.d. in questione, questo nome non può essere utilizzato per la designazione di prodotti del settore vitivinicolo che non provengono da questa regione e/o ai quali questo nome non è stato attribuito in conformità alle normative comunitaria e nazionale in vigore. Lo stesso dicasi se uno Stato membro ha attribuito il nome di un comune, di una frazione o di una località unicamente ad un v.q.p.r.d. nonché, eventualmente, ad un vino destinato ad essere trasformato in tale v.q.p.r.d.

Fatte salve le disposizioni comunitarie riguardanti specificamente taluni tipi di v.q.p.r.d., gli Stati membri possono consentire, secondo condizioni di produzione da essi fissate, che il nome di una regione determinata sia connesso con una precisazione relativa alle modalità di preparazione o al tipo di prodotto, ovvero con il nome di una varietà di vigne od un suo sinonimo».

8

La denominazione «Champagne» per i vini della regione francese della Champagne figura nell’elenco dei v.q.p.r.d. pubblicato conformemente all’art. 54, n. 5, del regolamento n. 1493/1999 (GU 2006, C 41, pag. 1, nella sua versione più recente).

9

L’art. 36, n. 1, del regolamento n. 753/2002 stabilisce che:

«Il nome di un’indicazione geografica riportata nell’allegato VII, (…) A. 2, [lettera] d), del regolamento (…) n. 1493/1999 può figurare sull’etichettatura di un vino importato, compreso un vino ottenuto da uve stramature o un mosto di uve parzialmente fermentato destinato al consumo umano diretto di un paese terzo che è membro dell’Organizzazione mondiale del commercio, a condizione che essa serva a identificare un vino come vino originario del territorio di un paese terzo o di una regione o località di detto paese terzo, qualora la reputazione, una qualità o un’altra caratteristica determinata del vino possa essere attribuita essenzialmente a tale origine geografica».

10

Ai sensi del n. 3 di tale stessa disposizione:

«Le indicazioni geografiche di cui ai paragrafi 1 e 2 non possono dar adito a confusione con le indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d., un vino da tavola o un altro vino importato che figura negli elenchi degli accordi conclusi fra i paesi terzi e la Comunità.

Tuttavia, alcune indicazioni geografiche dei paesi terzi di cui al primo comma, omonime di indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d., un vino da tavola o un vino importato, possono essere utilizzate in condizioni pratiche che consentano di differenziarle tra loro, tenuta presente la necessità di garantire un equo trattamento dei produttori interessati e di non indurre in errore i consumatori.

(…)

Tali indicazioni e menzioni, come pure le condizioni pratiche, sono indicate nell’allegato VI».

11

Ai sensi dell’art. 36, n. 5, del regolamento n. 753/2002, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 20 febbraio 2004, n. 316 (GU L 55, pag. 16):

«Sull’etichettatura di un vino importato può essere utilizzata un’indicazione geografica di un paese terzo contemplata dai paragrafi 1 e 2 anche se tale vino è ottenuto soltanto per l’85% da uve raccolte nella zona di produzione di cui reca il nome».

12

La denominazione «Champagne» per i vini del comune di Champagne nel cantone di Vaud, in Svizzera, non figura nell’allegato VI, intitolato «Elenco delle indicazioni geografiche omonime di cui all’articolo 36, paragrafo 3, e (delle) condizioni pratiche per la loro utilizzazione».

Fatti all’origine della controversia

13

Il comune di Champagne è situato nel cantone di Vaud in Svizzera, nella regione vinicola di Bonvillars. Nel territorio del comune di Champagne viene prodotto un vino bianco non spumante a base di chasselas puro, commercializzato con la denominazione «Champagne».

14

La Comunità europea e la Confederazione svizzera firmavano il 21 giugno 1999, sette accordi, tra i quali l’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sul commercio di prodotti agricoli (GU 2002, L 114, pag. 132; in prosieguo: l’«accordo»).

15

L’art. 5 dell’allegato 7 dell’accordo dispone:

«1.   Le Parti adottano tutte le misure necessarie, a norma del presente Allegato, per garantire la protezione reciproca delle denominazioni di cui all’articolo 6 utilizzate per la designazione e la presentazione dei prodotti vitivinicoli di cui all’articolo 2, originari del territorio delle Parti. A tal fine, ciascuna Parte attua i mezzi legali per garantire una protezione efficace e per impedire l’uso di un’indicazione geografica o di una dicitura tradizionale per designare un prodotto vitivinicolo non coperto da tale indicazione o dicitura.

2.   Le denominazioni protette di una Parte sono riservate esclusivamente ai prodotti originari della Parte ai quali si applicano e possono essere utilizzate soltanto alle condizioni stabilite dalle disposizioni legislative e regolamentari di detta Parte.

(…)

4.   In caso di omonimia tra indicazioni geografiche:

a)

se due indicazioni protette in virtù del presente Allegato sono omonime, la protezione è accordata ad entrambe le indicazioni, a condizione che il consumatore non sia indotto in errore circa la vera origine del prodotto vitivinicolo;

(…)

5.   In caso di omonimia tra diciture tradizionali:

a)

se due diciture protette in virtù del presente Allegato sono omonime, la protezione è accordata ad entrambe le diciture, a condizione che il consumatore non sia indotto in errore circa la vera origine del prodotto vitivinicolo;

(…)

8.   La protezione esclusiva di cui ai paragrafi [da] 1 [a] 3 del presente articolo si applica alla denominazione “Champagne” che figura nell’elenco della Comunità contenuto nell’appendice 2 del presente Allegato. Tale protezione esclusiva non ostacola tuttavia, per un periodo transitorio di due anni a decorrere dall’entrata in vigore del presente Allegato, l’uso della parola “Champagne” per designare e presentare alcuni vini originari del cantone di Vaud in Svizzera, a condizione che essi non siano commercializzati sul territorio della Comunità e che il consumatore non sia indotto in errore circa la vera origine del vino».

16

L’art. 6 dell’allegato 7 dell’accordo dispone che:

«Sono protette le seguenti denominazioni:

a)

per quanto concerne i prodotti vitivinicoli originari della Comunità:

i riferimenti allo Stato membro di cui il prodotto vitivinicolo è originario,

i termini specifici comunitari che figurano nell’appendice 2,

le indicazioni geografiche e le diciture tradizionali che figurano nell’appendice 2;

b)

per quanto concerne i prodotti vitivinicoli originari della Svizzera:

i termini “Suisse”, “Schweiz”, “Svizzera”, “Svizra” o altri termini utilizzati per indicare questo paese,

i termini specifici svizzeri che figurano nell’appendice 2,

le indicazioni geografiche e le diciture tradizionali che figurano nell’appendice 2».

17

Lo strumento di ratifica della Confederazione svizzera veniva depositato il 16 ottobre 2000, in seguito all’approvazione dell’accordo da parte dell’assemblea federale della Confederazione svizzera l’8 ottobre 1999 e con consultazione popolare svoltasi il 21 maggio 2000.

18

Con decisione del Consiglio e della Commissione 4 aprile 2002, 2002/309/CE, Euratom, per quanto riguarda l’Accordo sulla cooperazione scientifica e tecnologica, relativa alla conclusione di sette accordi con la Confederazione svizzera (GU L 114, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»), l’accordo veniva approvato a nome della Comunità europea.

19

Conformemente al suo art. 17, n. 1, l’accordo entrava in vigore il 1o giugno 2002.

Procedimento

20

Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 1o luglio 2002, i ricorrenti hanno presentato il ricorso in esame.

21

Con atti separati pervenuti nella cancelleria del Tribunale, rispettivamente, in data 16 e 30 ottobre 2002, il Consiglio e la Commissione hanno sollevato un’eccezione d’irricevibilità, conformemente all’art. 114, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale.

22

Il 25 ottobre 2002 la Repubblica francese ha chiesto di intervenire nella causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio e della Commissione. Con ordinanza del 18 novembre 2002, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha accolto tale domanda.

23

La Repubblica francese ha depositato la sua memoria di intervento limitata alla ricevibilità il 20 gennaio 2003.

24

I ricorrenti hanno presentato le proprie osservazioni sulle eccezioni di irricevibilità il 3 febbraio 2003 e le proprie osservazioni sulla memoria di intervento il 24 marzo 2003. Il Consiglio e la Commissione hanno rinunciato a presentare osservazioni sulla memoria di intervento.

25

Con ordinanza del 17 giugno 2003, il Tribunale ha deciso di riunire l’eccezione di irricevibilità al merito, e, a titolo di misure di organizzazione del procedimento ai sensi dell’art. 64 del regolamento di procedura, ha invitato le parti a rispondere ad alcuni quesiti scritti nell’ambito delle loro memorie. Gli interessati hanno ottemperato a tale richiesta entro i temini impartiti.

Conclusioni delle parti

26

I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

dichiarare ricevibile il presente ricorso;

annullare l’art. 1 della decisione impugnata, in quanto con esso il Consiglio ha approvato l’art. 5, n. 8, del titolo II dell’allegato 7 dell’accordo;

se necessario, annullare tale decisione in quanto il Consiglio e la Commissione con essa hanno approvato le altre disposizioni dell’accordo, nonché l’accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e la Confederazione svizzera, dall’altro, sulla libera circolazione delle persone, l’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera nel settore del trasporto aereo, l’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sul trasporto di merci e di passeggeri su strada e per ferrovia, l’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sul reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità, l’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera su alcuni aspetti relativi agli appalti pubblici e l’accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra le Comunità europee e la Confederazione svizzera;

dichiarare la responsabilità extracontrattuale della Comunità, rappresentata dal Consiglio e dalla Commissione e condannare questi ultimi a risarcire integralmente i ricorrenti dei danni ai sensi dell’art. 5, n. 8, del titolo II dell’allegato 7 dell’accordo;

condannare le parti a presentare, entro un termine ragionevole, le cifre esatte dell’importo dei danni sulle quali le parti si saranno messe d’accordo, ovvero, in mancanza, condannarle a comunicare conclusioni supplementari contenenti cifre esatte ovvero, in mancanza, condannare il Consiglio a versare ai ricorrenti viticoltori la somma di 1108108 franchi svizzeri (CHF) fatte salve le precisazioni da fornire in corso di causa;

condannare il Consiglio e la Commissione alle spese.

27

Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare irricevibile il ricorso;

in subordine, respingerlo in quanto infondato;

condannare i ricorrenti alle spese.

28

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare irricevibile il ricorso;

in subordine, respingerlo in quanto infondato;

condannare i ricorrenti alle spese.

29

La Repubblica francese chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare irricevibile il ricorso;

in subordine, respingerlo in quanto infondato;

condannare i ricorrenti alle spese.

In diritto

30

Ai sensi dell’art. 113 del regolamento di procedura, il Tribunale può, statuendo nelle forme previste dall’art. 114, nn. 3 e 4, del medesimo regolamento, in qualsiasi momento esaminare d’ufficio, sentite le parti, le questioni di irricevibilità di ordine pubblico tra cui figurano, secondo una costante giurisprudenza, i presupposti di ricevibilità di un ricorso stabiliti dall’art. 230, quarto comma, del Trattato CE (sentenza della Corte 24 marzo 1993, causa C-313/90, CIRFS e a./Commissione, Racc. pag. I-1125, punto 23; ordinanze del Tribunale 26 marzo 1999, causa T-114/96, Biscuiterie-confiserie LOR e Confiserie du Tech/Commissione, Racc. pag. II-913, punto 24, e 8 luglio 1999, causa T-194/95, Area Cova e a./Consiglio, Racc. pag. II-2271, punto 22).

31

Inoltre, ai sensi dell’art. 111 del regolamento di procedura, quando è manifestamente incompetente a conoscere di un ricorso o quando il ricorso è manifestamente irricevibile o manifestamene infondato in diritto, il Tribunale, può, senza proseguire il procedimento, statuire con ordinanza motivata.

32

Nella fattispecie, il Tribunale si ritiene sufficientemente edotto dagli atti di causa e dalle spiegazioni fornite dalle parti durante la fase scritta. Poiché nel fascicolo sono contenuti tutti gli elementi necessari per pronunciarsi, il Tribunale, sentite le parti, decide che non occorre aprire la fase orale.

1. Sulle conclusioni dirette all’annullamento

Sulla ricevibilità

Sulla natura dell’atto pregiudizievole dell’art. 5, n. 8, dell’allegato 7 dell’accordo

— Argomenti delle parti

33

Il Consiglio e la Commissione sostengono che l’art. 5, n. 8, dell’allegato 7 dell’accordo (in prosieguo: la «clausola Champagne») non arreca pregiudizio ai ricorrenti. Infatti, l’impossibilità di utilizzare la denominazione «Champagne» per designare e presentare i vini di cui alcuni ricorrenti sono produttori risulterebbe dalla sola lettura del combinato dell’art. 5, nn. 1-3, dell’art. 6, nonché dell’appendice 2 dell’allegato 7 dell’accordo. La clausola Champagne avrebbe così il solo effetto di instaurare, a beneficio di alcuni vini del cantone di Vaud, un periodo transitorio di due anni durante il quale l’uso della parola «Champagne» sarebbe autorizzata a condizione che tali vini non siano commercializzati sul territorio della Comunità e che il consumatore non sia indotto in errore circa la vera origine del vino.

34

La Commissione ne deduce che, poiché i ricorrenti chiedono l’annullamento della decisione impugnata in quanto essa approva la clausola Champagne, le presenti conclusioni dirette all’annullamento devono essere dichiarate irricevibili.

35

I ricorrenti sostengono che se è vero che, in maniera generale, la protezione esclusiva delle denominazioni dei prodotti vitivinicoli risulta dall’art. 5, nn. 1-3, dell’allegato 7 dell’accordo, la clausola Champagne prevede un regime più rigoroso per la denominazione «Champagne». Infatti, mentre per gli altri prodotti vitivinicoli l’eccezione di omonimia opererebbe alle condizioni previste dall’art. 5, nn. 4 e 5, dell’allegato 7 dell’accordo, la clausola Champagne avrebbe l’effetto, una volta scaduto il periodo transitorio, di vietare la commercializzazione dei prodotti con la denominazione «Champagne» e quindi di escludere l’eventuale eccezione di omonimia di cui avrebbero potuto avvalersi i vini originari del comune di Champagne.

36

Poiché la clausola Champagne priva i ricorrenti della possibilità di far valere un’eccezione di omonimia a favore dei vini prodotti dal comune di Champagne, l’annullamento delle disposizioni impugnate avrebbe l’effetto, in forza dell’art. 233 CE, di costringere le istituzioni comunitarie a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza del Tribunale comporta e, in tal modo, ad avviare nuovi negoziati con la Confederazione svizzera conformemente alle esigenze espresse dal Tribunale. Di conseguenza, i ricorrenti ritengono che la clausola Champagne pregiudichi direttamente la loro situazione.

— Giudizio del Tribunale

37

Occorre osservare che il presente ricorso ha lo scopo dichiarato di annullare l’art. 1 della decisione impugnata in quanto approva la clausola Champagne. È solo in via subordinata, e nella sola ipotesi in cui i sette accordi settoriali approvati da detta decisione costituiscano un tutt’uno indissociabile, che il ricorso è diretto anche all’annullamento della decisione impugnata in quanto approva l’insieme dell’accordo nonché i sei altri accordi settoriali.

38

Ne consegue che, almeno formalmente, i ricorrenti, secondo gli stessi termini delle loro conclusioni, identificano la disposizione che arreca loro pregiudizio con la clausola Champagne, e solo per il fatto che la decisione impugnata approva detta clausola ne chiedono l’annullamento e ciò sia che si consideri la domanda principale di annullamento parziale, sia che si consideri la domanda, in via subordinata, di annullamento integrale di detta decisione. Infatti, la questione della portata dell’annullamento richiesto è descritta dai ricorrenti come dipendente dal solo carattere dissociabile dei sette accordi approvati dalla decisione impugnata e non ha pertanto incidenza sull’identificazione della disposizione che secondo i ricorrenti arreca loro pregiudizio.

39

Secondo una giurisprudenza costante, un ricorso d’annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo se il ricorrente abbia interesse a far annullare l’atto (sentenze del Tribunale 14 settembre 1995, cause riunite T-480/93 e T-483/93, Antillean Rice Mills e a./Commissione, Racc. pag. II-2305, punto 59; 25 marzo 1999, causa T-102/96, Gencor/Commissione, Racc. pag. II-753, punto 40; 30 gennaio 2002, causa T-212/00, Nuove Industrie Molisane/Commissione, Racc. pag. II-347). Un simile interesse presuppone che l’annullamento di tale atto possa produrre di per sé conseguenze giuridiche (v. sentenza del Tribunale 28 settembre 2004, causa T-310/00, MCI/Commissione, Racc. pag. II-3253, punto 44, e giurisprudenza ivi citata) o, secondo un’altra formulazione, che il ricorso possa, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto (ordinanza del Tribunale 17 ottobre 2005, causa T-28/02, First Data e a./Commissione, Racc. pag. II-4119, punto 34).

40

Di conseguenza, occorre stabilire se la clausola Champagne pregiudichi, a loro detrimento, i diritti dei ricorrenti, per determinare se essi abbiano un interesse ad ottenere l’annullamento della decisione impugnata in quanto approva detta clausola, poiché tale annullamento costituisce l’oggetto del loro ricorso.

41

Al riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 5, n. 2, dell’allegato 7 dell’accordo, le denominazioni protette di una Parte sono riservate ai prodotti originari della Parte ai quali si applicano. Le denominazioni protette ai sensi di detto allegato sono elencate all’art. 6.

42

Ai sensi dell’art. 6, lett. a), dell’allegato 7 dell’accordo, per quanto riguarda i prodotti vitivinicoli originari della Comunità, sono indicati:

i riferimenti allo Stato membro di cui il prodotto vitivinicolo è originario,

i termini specifici comunitari che figurano nell’appendice 2,

le indicazioni geografiche e le diciture tradizionali che figurano nell’appendice 2.

43

Ai sensi delle disposizioni dell’art. 6, lett. b), di tale stesso allegato, per quanto riguarda i prodotti vitivinicoli originari della Svizzera, sono contemplati:

i termini «Suisse», «Schweiz», «Svizzera», «Svizra» o altri termini utilizzati per indicare questo paese,

i termini specifici svizzeri che figurano nell’appendice 2,

le indicazioni geografiche e le diciture tradizionali che figurano nell’appendice 2.

44

La denominazione d’origine controllata francese «Champagne» figura nella detta appendice 2 come indicazione geografica ai sensi dell’art. 6, lett. a), terzo trattino, dell’allegato 7 dell’accordo.

45

Tuttavia, la denominazione «Champagne» non figura tra le denominazioni protette per i prodotti vitivinicoli originari della Svizzera citate nell’appendice 2, né come indicazione geografica svizzera né come dicitura tradizionale svizzera, in quanto la detta appendice non cita, d’altro canto, alcuno dei termini specifici di cui all’art. 6, lett. b), secondo trattino, dell’allegato 7 dell’accordo. Inoltre, poiché la denominazione «Champagne» non costituisce un nome che designa la Svizzera, essa non deve essere considerata come una denominazione svizzera protetta ai sensi dell’allegato 7 dell’accordo.

46

Ora, occorre ricordare che l’art. 5, n. 4, lett. a), dell’allegato 7 dell’accordo stabilisce che «se due indicazioni protette in virtù del presente Allegato sono omonime, la protezione è accordata ad entrambe le indicazioni, a condizione che il consumatore non sia indotto in errore circa la vera origine del prodotto vitivinicolo». Analogamente, l’art. 5, n. 5, lett. a), di tale allegato stabilisce che «se due diciture protette in virtù del presente Allegato sono omonime, la protezione è accordata ad entrambe le diciture, a condizione che il consumatore non sia indotto in errore circa la vera origine del prodotto vitivinicolo».

47

Di conseguenza, le eccezioni di omonimia previste dall’art. 5, nn. 4 e 5, dell’allegato 7 dell’accordo, di cui i ricorrenti ritengono non beneficiare in forza della clausola Champagne, sono idonee ad applicarsi solo in presenza di due indicazioni o diciture omonime e protette in forza dell’allegato 7 dell’accordo.

48

Orbene, come è stato esposto in precedenza, la denominazione «Champagne» non era una denominazione svizzera protetta in forza dell’allegato 7 dell’accordo.

49

Ne consegue che l’impossibilità, per i ricorrenti, di invocare una delle eccezioni di omonimia previste dall’art. 5, nn. 4 e 5, dell’allegato 7 dell’accordo risulta dalla ratio stessa di tali disposizioni e dalla circostanza che la denominazione «Champagne» non costituisce una denominazione svizzera protetta ai sensi dell’allegato 7 dell’accordo.

50

I ricorrenti affermano quindi erroneamente che la clausola Champagne li priva della possibilità di invocare una delle eccezioni di omonimia previste dall’art. 5, nn. 4 e 5, dell’allegato 7 dell’accordo.

51

Infatti, occorre ricordare che, ai sensi di detta clausola:

«La protezione esclusiva di cui ai paragrafi [da] 1 [a] 3 del presente articolo si applica alla denominazione “Champagne” che figura nell’elenco della Comunità contenuto nell’appendice 2 del presente Allegato. Tale protezione esclusiva non ostacola tuttavia, per un periodo transitorio di due anni a decorrere dall’entrata in vigore del presente Allegato, l’uso della parola “Champagne” per designare e presentare alcuni vini originari del cantone di Vaud in Svizzera, a condizione che essi non siano commercializzati sul territorio della Comunità e che il consumatore non sia indotto in errore circa la vera origine del vino».

52

La clausola Champagne ha quindi il solo effetto di autorizzare, per un periodo transitorio di due anni, la commercializzazione al di fuori del territorio comunitario di alcuni vini originari del cantone di Vaud con la denominazione «Champagne». Pertanto, la clausola Champagne costituisce un adattamento, a favore di alcuni vini originari del cantone di Vaud, della protezione esclusiva di cui beneficia, ai sensi dell’art. 5, nn. 1-3, dell’allegato 7 dell’accordo, la denominazione «Champagne» indicata nell’elenco comunitario che figura nell’appendice 2 di tale stesso allegato, come indicano peraltro la prima frase di detta clausola e l’avverbio «tuttavia» collocato all’inizio della seconda frase.

53

In tali circostanze, si deve rilevare che l’annullamento della decisione impugnata in quanto approva la clausola Champagne non solo non sarebbe di alcun beneficio per i ricorrenti, ma andrebbe addirittura a loro svantaggio in quanto esso sopprimerebbe il periodo transitorio previsto a loro favore. In tal senso, i ricorrenti non hanno nessun interesse a impugnare la clausola Champagne e il loro ricorso deve essere pertanto respinto in quanto irricevibile.

54

Tuttavia, occorre osservare che, al di là della rigorosa formulazione delle loro conclusioni, risulta dai motivi sviluppati dai ricorrenti che questi ultimi contestano, in sostanza, il divieto loro imposto, in forza dell’accordo, di commercializzare i vini prodotti dal comune vodese di Champagne con la denominazione «Champagne» alla fine del periodo transitorio di due anni previsto dalla clausola Champagne.

55

Ora, se è vero, come è stato esposto in precedenza, che la clausola Champagne non costituisce il fondamento giuridico di tale divieto, ciò non toglie che l’accordo, ai sensi dell’art. 5, nn. 1-6, del suo allegato 7 e dell’appendice 2 di tale stesso allegato, impone effettivamente alla Confederazione svizzera di garantire la protezione esclusiva della denominazione comunitaria «Champagne» ed esclude qualsiasi possibilità di eccezione di omonimia a favore dei vini originari del comune vodese di Champagne. Inoltre, occorre osservare che la clausola Champagne sottolinea in maniera esplicita tale circostanza nella sua prima frase, ai termini della quale «la protezione esclusiva di cui ai paragrafi [da] 1 [a] 3 del presente articolo si applica alla denominazione “Champagne” che figura nell’elenco della Comunità contenuto nell’appendice 2 del presente Allegato» ragion per cui essa costituisce una formulazione espressa del regime derivante dall’iscrizione della denominazione «Champagne» nel solo elenco delle denominazioni protette per i prodotti vitivinicoli originari della Comunità.

56

Ne consegue che il ricorso deve, in realtà, essere considerato come diretto contro il regime di protezione esclusiva della denominazione comunitaria «Champagne», come risulta dall’art. 5, nn. 1-6, e dall’appendice 2 dell’allegato 7 dell’accordo, e di cui la clausola Champagne, segnatamente la sua prima frase, costituisce una manifestazione esplicita. Si deve necessariamente rilevare, peraltro, che, al di là delle loro obiezioni legittime circa la natura della clausola Champagne quale atto che arreca pregiudizio, risulta dalle loro memorie che è in questo modo che il Consiglio e la Commissione hanno inteso il ricorso, ragion per cui il dibattito in contraddittorio non è stato inficiato dall’inesattezza dei ricorrenti riguardo all’identificazione dell’atto che arreca loro pregiudizio.

57

In siffatte circostanze, il Tribunale esaminerà anche la ricevibilità del ricorso laddove ha ad oggetto l’annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata in quanto approva il regime di protezione esclusiva della denominazione comunitaria «Champagne», come risulta dall’art. 5, nn. 1-6, e dall’appendice 2 dell’allegato 7 dell’accordo (in prosieguo: le «disposizioni controverse dell’accordo»).

58

A tal riguardo, occorre operare una distinzione a seconda che si consideri il pregiudizio arrecato ai ricorrenti dalle disposizioni controverse dell’accordo sul territorio Svizzero, da un lato, o su quello della Comunità, dall’altro.

Sul pregiudizio arrecato ai ricorrenti dalla decisione impugnata sul territorio della Svizzera

— Argomenti delle parti

59

Il Consiglio sostiene che la Confederazione svizzera non fa parte della Comunità e che, di conseguenza, nessuna decisione o atto della Comunità vi trova applicazione, conformemente all’art. 299, n. 1, CE. La decisione impugnata non può quindi comportare il recepimento dell’accordo nell’ordinamento giuridico svizzero, tenuto conto del fatto che non produrrebbe nessun effetto.

60

Il Consiglio ricorda che, ai sensi dell’art. 26 della Convenzione sul diritto dei trattati, conclusa a Vienna il 23 maggio 1969 (in prosieguo: la «convenzione di Vienna»), ogni trattato in vigore vincola le parti e queste devono eseguirlo in buona fede e che, ai sensi dell’art. 29 di detta convenzione, salvo che un diverso intendimento non risulti dal trattato o non sia stato altrimenti accertato, un trattato vincola ciascuna delle parti rispetto all’intero suo territorio. Di conseguenza, per quanto riguarda i sette accordi firmati il 21 giugno 1999 tra la Confederazione svizzera, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, ogni parte sarebbe tenuta a rispettare ed eseguire i detti accordi e la loro applicazione sul territorio della Svizzera riguarderebbe esclusivamente le autorità svizzere.

61

A tal proposito, il Consiglio osserva che l’art. 16 dell’accordo precisa che l’ambito d’applicazione, è, da un lato, il territorio sul quale si applica il Trattato che istituisce la Comunità, e dall’altro, il territorio della Svizzera, e che l’allegato 7 di detto accordo precisa, all’art. 5, n. 1, che «ciascuna Parte attua i mezzi legali per garantire una protezione efficace e per impedire l’uso di un’indicazione geografica o di una dicitura tradizionale per designare un prodotto vitivinicolo non coperto da tale indicazione o dicitura».

62

Il Consiglio ne deduce che è solo in forza della decisione svizzera che ratifica l’accordo, conformemente alle disposizioni costituzionali svizzere, che detto accordo diventa applicabile sul territorio della Svizzera, alle condizioni e secondo le modalità proprie del suo ordinamento giuridico. Solo le autorità svizzere sarebbero competenti e responsabili dell’attuazione degli strumenti giuridici adeguati per applicare sul territorio della Svizzera i diritti e gli obblighi di cui all’art. 5 dell’allegato 7 dell’accordo, eventualmente applicabili alla situazione dei ricorrenti. Il Consiglio sottolinea che se la Confederazione svizzera ammette, come la Comunità, un sistema di recepimento degli accordi internazionali di tipo monista, tale Stato ha tuttavia delle regole autonome per determinare in quale misura un accordo di cui fa parte conferisce diritti ai singoli, sicché i suoi tribunali possono adottare soluzioni differenti da quelle dei giudici comunitari riguardanti l’applicabilità diretta delle disposizioni degli accordi conclusi dalla Comunità. Il Consiglio, cita, come esempio di tale divergenza, la sentenza del tribunale federale svizzero del 25 gennaio 1979, Bosshard Partners Intertrading/Sunlight AG.

63

Infine, la giurisprudenza ricordata dai ricorrenti riguardante la questione se una disposizione di un accordo concluso dalla Comunità con paesi terzi debba essere considerata come avente applicazione diretta, sarebbe irrilevante ai fini della presente causa in quanto la decisione impugnata non si applicherebbe alla situazione dei ricorrenti. Il Consiglio osserva, peraltro, che l’eventuale annullamento da parte del Tribunale della decisione impugnata non condurrebbe ad inficiare la validità dell’accordo, conformemente all’art. 46 della convenzione di Vienna, ragion per cui le autorità svizzere continuerebbero ad essere obbligate a rispettarlo e le misure adottate dalle autorità svizzere in applicazione dell’accordo resterebbero in vigore.

64

La Commissione rileva che la decisione impugnata mira a ratificare in nome e per conto della Comunità i sette accordi firmati il 21 giugno 1999 con la Confederazione svizzera e renderli così applicabili sul territorio della Comunità.

65

Al riguardo, risulterebbe da una giurisprudenza costante che un accordo concluso dal Consiglio e/o dalla Commissione in conformità alle disposizioni del Trattato costituisce, per quanto riguarda la Comunità, un atto compiuto da una delle sue istituzioni e che le disposizioni di un siffatto accordo formano, dal momento della sua entrata in vigore, parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario (sentenze della Corte 30 aprile 1974, causa 181/73, Haegeman, Racc. pag. 449, punti 4 e 5, e 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, Racc. pag. 3719, punto 7).

66

Ora, gli atti delle istituzioni avrebbero, in linea di principio, lo stesso ambito di applicazione del Trattato costitutivo sul quale essi sono fondati. Cosicché, in forza dell’art. 299, n. 1, del Trattato, un atto adottato da un’istituzione comunitaria non sarebbe applicabile sul territorio di uno Stato terzo e non potrebbe inficiare i diritti sorti ed esercitati sul territorio di tale Stato, conformemente alla regolamentazione di detto Stato.

67

Le disposizioni controverse dell’accordo sarebbero quindi applicabili e potrebbero essere applicate ai ricorrenti solo in forza dell’atto di ratifica adottato dalle autorità svizzere mediante il quale esse esprimono ufficialmente il loro consenso a essere vincolate dall’accordo e il loro impegno ad adottare le misure necessarie alla sua applicazione sul loro territorio, ai sensi degli artt. 14 e 16 dell’accordo.

68

La Commissione ne deduce che la decisione impugnata, vale a dire l’atto di ratifica adottato in nome e per conto della Comunità, non è applicabile sul territorio della Svizzera, e non ha lo scopo — e non può avere per effetto — di regolare l’attività dei ricorrenti in Svizzera, né, di conseguenza, far sorgere qualsivoglia divieto nei loro confronti. Così, l’eventuale annullamento della decisione impugnata non avrebbe alcuna incidenza sulla loro situazione sul territorio della Svizzera, la quale resterebbe disciplinata dalle decisioni delle sole autorità svizzere, cosicché i ricorrenti non sarebbero titolari di un interesse ad agire contro la decisione impugnata.

69

La Repubblica francese, parte interveniente, sostiene che la decisione impugnata è quella con la quale sono stati conclusi, in nome della Comunità, i sette accordi firmati il 21 giugno 1999. Essa avrebbe lo scopo di renderli applicabili sul territorio della Comunità. Orbene, risulterebbe dall’art. 299, n. 1, CE, che un atto adottato da un’istituzione comunitaria sarebbe applicabile solo sul territorio degli Stati membri della Comunità e non su quello di uno Stato terzo. Tale atto non sarebbe quindi applicabile sul territorio della Svizzera, ragion per cui i diritti dei ricorrenti non possono essere pregiudicati dalla decisione impugnata. Affinché tali accordi si applichino sul territorio della Svizzera, occorrerebbe infatti la loro previa ratifica da parte delle autorità di tale Stato.

70

Peraltro, per quanto riguarda le indicazioni geografiche, l’art. 5, n. 1, dell’allegato 7 dell’accordo preciserebbe che «ciascuna Parte attua i mezzi legali per garantire una protezione efficace e per impedire l’uso di un’indicazione geografica o di una dicitura tradizionale per designare un prodotto vitivinicolo non coperto da tale indicazione o dicitura». Pertanto, solo una decisione delle autorità svizzere potrebbe avere per effetto di pregiudicare i diritti e gli obblighi dei ricorrenti in Svizzera.

71

I ricorrenti sostengono che, conformemente alla giurisprudenza, qualsiasi atto del Consiglio relativo alla conclusione di un accordo internazionale è di per sé un atto impugnabile ai sensi dell’art. 230 CE (sentenze della Corte 9 agosto 1994, causa C-327/91, Francia/Commissione, Racc. pag. I-3641, punto 16, e 10 marzo 1998, causa C-122/95, Germania/Consiglio, Racc. pag. I-973, punti 41 e 42; parere della Corte 13 dicembre 1995, 3/94, Racc. pag. I-4577, punto 22, emesso ai sensi dell’art. 228 del Trattato CE).

72

Essi ritengono che gli argomenti del Consiglio e della Commissione si fondino sull’erronea premessa secondo cui un atto comunitario non può, per sua natura, produrre effetti al di fuori del territorio della Comunità. Infatti, l’atto con il quale la Comunità conclude un accordo con uno Stato terzo condizionerebbe l’esistenza stessa di detto accordo sul piano internazionale. Nel caso di specie, l’accordo sarebbe quindi diventato obbligatorio solo successivamente alla decisione di ratifica del Consiglio federale svizzero del 16 ottobre 2000, da un lato, e alla decisione del Consiglio del 4 aprile 2002 relativa all’approvazione di detto accordo, dall’altro. Pertanto, non sarebbe esatto affermare che i ricorrenti sono danneggiati solo dalla ratifica delle disposizioni controverse dell’accordo da parte della Confederazione svizzera, in quanto, in mancanza della decisione impugnata, i ricorrenti non sarebbero stati privati del loro diritto di commercializzare il vino che producono con la denominazione «Champagne».

73

Al riguardo, i ricorrenti sottolineano che la decisione impugnata è successiva alla ratifica dell’accordo da parte della Confederazione svizzera. Prima dell’azione di tale decisione, la Confederazione svizzera non sarebbe stata quindi soggetta all’obbligo derivante dalle disposizioni controverse dell’accordo e tale obbligo sarebbe sorto solo in seguito all’adozione di detta decisione, la quale condizionerebbe l’entrata in vigore dell’accordo. Il divieto per i ricorrenti di continuare a usufruire della denominazione comunale «Champagne» troverebbe quindi direttamente la sua origine nella decisione impugnata.

74

Il fatto che l’illegittimità di un atto sia dovuta all’associazione di due fattori, vale a dire le decisioni di ratifica della Comunità e della Confederazione svizzera, non significherebbe che nessuno di tali due fattori non possa essere contestato mediante ricorso di annullamento, conseguenza che deriverebbe dalla posizione del Consiglio.

75

Peraltro, la Corte avrebbe ammesso la ricevibilità di ricorsi di annullamento presentati contro atti relativi all’approvazione di trattati internazionali senza operare una distinzione a seconda dei loro effetti esterni o interni (sentenze Francia/Commissione, cit. supra al punto 71; Germania/Consiglio, cit. supra al punto 71; sentenze della Corte 10 dicembre 2002, causa C-29/99, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-11221, e 12 dicembre 2002, causa C-281/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-12049).

76

Inoltre, se si adottasse la tesi del Consiglio, le istituzioni comunitarie sarebbero libere di violare le regole del diritto comunitario, in particolare i diritti fondamentali, in quanto agirebbero nell’ambito della loro competenza esterna e l’atto di cui trattasi produrrebbe effetti solo sul territorio di uno Stato terzo.

77

Quanto all’interpretazione del Consiglio dell’art. 299 CE, i ricorrenti sostengono che essa ignora che la sfera di applicazione spaziale dell’ordinamento giuridico comunitario supera la somma dei territori degli Stati membri e si estende a qualunque luogo in cui lo Stato membro agisce a qualsiasi titolo nell’ambito delle competenze attribuite alla Comunità. La Comunità avrebbe così la competenza di sanzionare accordi o vietare concentrazioni extracomunitarie (sentenze della Corte 27 settembre 1988, cause riunite 89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, Racc. pag. 5193, e 28 aprile 1998, causa C-306/96, Javico, Racc. pag. I-1983; sentenza Gencor/Commissione, cit. supra al punto 39).

78

Ora, nella fattispecie, risulterebbe espressamente dai termini della clausola Champagne che quest’ultima è diretta a produrre effetti sia sul territorio della Comunità sia su quello della Svizzera. Infatti, essa vieterebbe su quest’ultimo territorio l’utilizzo della denominazione «Champagne», anche se riservata, in forza del diritto svizzero, ai viticoltori del comune vodese di Champagne. Al tal riguardo, i ricorrenti sostengono che il trattato tra la Repubblica francese e la Confederazione svizzera relativo alla protezione delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni di origine e di altre denominazioni geografiche, firmato a Berna il 14 maggio 1974 (in prosieguo: il «trattato franco-svizzero»), autorizzava, in virtù dell’eccezione di omonimia prevista dall’art. 2, n. 3, l’utilizzo di detta denominazione per i vini originari di Champagne nel cantone di Vaud. Tale circostanza non sarebbe stata peraltro contestata dai produttori della regione Champagne.

79

D’altro canto, l’art. 46 della convenzione di Vienna, che il Consiglio menziona per suffragare la sua argomentazione, prevedrebbe semplicemente che il fatto che il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un trattato sia stato espresso violando una disposizione del suo diritto interno concernente la competenza a concludere trattati, non può essere invocato da tale Stato per infirmare il proprio consenso. Ora, tale ipotesi non riguarderebbe affatto la situazione della fattispecie, nella quale sarebbe violato un diritto fondamentale. In ogni caso, l’art. 46 di detta convenzione farebbe salva l’ipotesi in cui la violazione sia manifesta, il che corrisponderebbe al caso di specie, in quanto le disposizioni controverse dell’accordo costituirebbero una violazione manifesta e grave del diritto di proprietà e della libertà di esercizio di un’attività economica dei ricorrenti. Inoltre, l’annullamento della decisione impugnata priverebbe le disposizioni controverse dell’accordo di qualsiasi valore e non vi sarebbe più motivo, per le parti dell’accordo, di applicarle, ai sensi degli artt. 60 e seguenti della convenzione di Vienna.

80

Infine, riguardo all’argomentazione del Consiglio relativa alla pretesa mancanza di un pregiudizio diretto arrecato ai ricorrenti ad opera delle disposizioni controverse dell’accordo, questi ultimi ricordano che, secondo la giurisprudenza della Corte e del Tribunale, un ricorrente è direttamente interessato se il provvedimento comunitario contestato ha un effetto immediato nei suoi confronti, senza che si interponga alcun intervento discrezionale successivo di un’autorità nazionale o comunitaria. Tuttavia, l’interposizione di un atto di mera esecuzione non interromperebbe il legame diretto tra l’atto comunitario e il ricorrente (sentenza della Corte 13 maggio 1971, cause riunite da 41/70 a 44/70, International Fruit Company e a./Commissione, Racc. pag. 411).

81

Risulterebbe così da una giurisprudenza costante che la condizione secondo cui il singolo deve essere direttamente interessato dal provvedimento comunitario impugnato richiede che quest’ultimo produca direttamente effetti sulla sua situazione giuridica e non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari del provvedimento stesso incaricati della sua applicazione, applicazione avente carattere meramente automatico e derivante dalla sola normativa comunitaria senza intervento di altre norme intermedie (sentenza della Corte 5 maggio 1998, causa C-386/96 P, Dreyfus/Commissione, Racc. pag. I-2309, punto 43).

82

In tal modo, i ricorrenti ammettono che, nell’ipotesi di un provvedimento che lasci effettivamente un ampio margine di manovra agli Stati incaricati di garantirne la trasposizione nel loro ordinamento interno, solo le disposizioni di esecuzione adottate potrebbero incidere sulla situazione delle parti.

83

Tuttavia, lo stesso non varrebbe nel presente caso, in quanto la clausola Champagne sarebbe chiara, precisa ed espressa in termini univoci, non lasciando alcun margine di valutazione nell’adozione dei provvedimenti necessari a garantire l’attuazione e l’applicazione effettiva delle disposizioni controverse dell’accordo. Il Consiglio e la Commissione insisterebbero peraltro essi stessi sul fatto che la Confederazione svizzera è tenuta, ai sensi dell’art. 14 dell’accordo, ad adottare tutte le disposizioni generali e particolari atte a garantire l’esecuzione dell’accordo, salvo impegnare la sua responsabilità sul piano internazionale.

84

Inoltre, la violazione del diritto comunitario troverebbe la sua origine non nel comportamento eventuale della Svizzera, bensì nelle disposizioni controverse dell’accordo, che obbligherebbero quest’ultima ad adottare i provvedimenti necessari a garantirne la buona esecuzione, analogamente alla situazione di cui alla sentenza della Corte 5 novembre 2002, causa C-476/98, Commissione/Germania (Racc. pag. I-9855).

85

Pertanto, i ricorrenti ritengono che la decisione impugnata produca effetti giuridici nei loro confronti e che il Tribunale sia competente a pronunciarsi sul ricorso, in quanto il contesto internazionale convenzionale è irrilevante al riguardo, e in quanto la Corte ha sottolineato che l’esercizio delle competenze devolute alla Comunità nel campo internazionale non può essere sottratto al controllo giurisdizionale previsto dall’art. 230 CE (sentenze Francia/Commissione, cit. supra al punto 71, e Germania/Consiglio, cit. supra al punto 71).

— Giudizio del Tribunale

86

Occorre preliminarmente ricordare che, affinché un ricorso sia ricevibile ai sensi dell’art. 230, primo comma, CE, l’atto impugnato deve essere un atto di un’istituzione che produce effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questo (sentenza della Corte 31 marzo 1998, cause riunite C-68/94 e C-30/95, Francia e a./Commissione, Racc. pag. I-1375, punto 62; sentenza del Tribunale 4 marzo 1999, causa T-87/96, Assicurazioni Generali e Unicredito/Commissione, Racc. pag. II-203, punto 37; v. anche, in tal senso, sentenze della Corte 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, detta «AETR», Racc. pag. 263, e Francia/Commissione, cit. supra al punto 71, punto 14).

87

Se un accordo tra la Comunità, da un lato, e uno Stato terzo o un’organizzazione internazionale, dall’altro, in quanto strumento che esprime la volontà congiunta di tali entità, non può essere considerato come un atto delle istituzioni, e non può, di conseguenza, essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 230 CE, secondo una consolidata giurisprudenza, l’atto con il quale l’istituzione comunitaria competente ha inteso concludere il detto accordo è un atto delle istituzioni, in forza di tale stesso articolo, e può, di conseguenza, costituire oggetto di un ricorso di annullamento (v., in tal senso, sentenza Francia/Commissione, cit. supra al punto 71, punto 17; parere 3/94, cit. supra al punto 71, punto 22, e sentenza Germania/Consiglio, cit. supra al punto 71, punto 42).

88

Ne consegue che il ricorso dei ricorrenti può avere ad oggetto solo l’annullamento della decisione impugnata ed è ricevibile solo in quanto tale decisione comporti effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questi.

89

A tal riguardo, occorre ricordare che il principio di sovranità degli Stati enunciato dall’art. 2, n. 1, della Carta delle Nazioni Unite implica che spetta, in linea di massima, ad ogni Stato legiferare sul proprio territorio e, correlativamente, che uno Stato può, in linea di massima, unilateralmente imporre regole obbligatorie solo sul proprio territorio. Analogamente, per quanto riguarda la Comunità, occorre mettere in evidenza che, ai sensi dell’art. 299 CE, e secondo le modalità particolari riguardanti determinati territori elencati in tale disposizione, il Trattato CE si applica al solo territorio degli Stati membri.

90

Ne discende che un atto delle istituzioni adottato in applicazione del Trattato non può, in quanto atto unilaterale della Comunità, far sorgere diritti e obblighi al di fuori del territorio così definito. Di conseguenza, la decisione impugnata può avere come campo di applicazione solo il detto territorio ed è priva di qualsiasi effetto giuridico sul territorio della Svizzera. Solo l’accordo, il quale non può essere oggetto di ricorso, in conformità a quanto esposto in precedenza, può produrre effetti giuridici sul territorio della Svizzera, secondo le modalità specifiche dell’ordinamento giuridico di tale Stato e una volta che sarà stato ratificato secondo le procedure ivi applicabili.

91

Di conseguenza, occorre considerare che la decisione impugnata, adottata dal Consiglio e dalla Commissione, in nome e per conto della Comunità, non modifica la situazione giuridica dei ricorrenti sul territorio della Svizzera, in quanto tale situazione è disciplinata dalle sole disposizioni adottate da tale Stato nell’esercizio della sua competenza sovrana. Gli effetti assertivamente pregiudizievoli che l’accordo produce sul territorio della Svizzera nei confronti dei ricorrenti trovano, infatti, la loro unica fonte nella circostanza che, decidendo in maniera sovrana di ratificare il detto accordo, la Confederazione svizzera ha dato il consenso ad essere vincolata da quest’ultimo e si è impegnata, ai sensi dell’art. 14 di detto accordo, ad adottare tutte le disposizioni atte a garantire l’esecuzione degli obblighi che ne conseguono, tra i quali quelli derivanti dalle disposizioni controverse dell’accordo.

92

Ciò è peraltro conforme all’art. 16 dell’accordo, il quale prevede che quest’ultimo si applica, da un lato ai territori in cui è in applicazione il Trattato che istituisce la Comunità europea, nei modi previsti dal Trattato stesso e, dall’altro, al territorio della Svizzera, in combinato disposto con l’art. 17, n. 1, prima frase, dell’accordo, secondo il quale quest’ultimo sarà ratificato o approvato dalle parti secondo le rispettive procedure.

93

Il semplice fatto che, in applicazione del dispositivo formale di entrata in vigore previsto dall’art. 17, n. 1, seconda frase, dell’accordo, ai sensi del quale l’accordo entrerà in vigore il primo giorno del secondo mese successivo all’ultima notifica del deposito degli strumenti di ratifica o di approvazione dei sette accordi settoriali, la decisione impugnata ha comportato la sua entrata in vigore, non può avere alcuna incidenza sul principio generale summenzionato, secondo il quale ogni Stato è, in linea di massima, il solo competente ad imporre unilateralmente regole obbligatorie sul suo territorio. Infatti, anche se si ammettesse che, ai sensi dell’art. 17 dell’accordo, l’annullamento della decisione impugnata sarebbe tale da comportare la sua sospensione, si deve necessariamente constatare che, da un lato, ciò si verificherebbe anche nel caso dell’annullamento della decisione di ratifica dell’accordo da parte della Confederazione svizzera, e soprattutto, dall’altro, tale eventualità sarebbe solo la semplice conseguenza delle condizioni procedurali e formali di entrata in vigore dell’accordo e non può, evidentemente, condurre alla conclusione che l’ambito di applicazione della decisione impugnata si estenda al territorio della Svizzera.

94

Infine, se è vero che è stato stabilito che l’esercizio delle competenze devolute alle istituzioni della Comunità nel campo internazionale non può essere sottratto al controllo giurisdizionale di legittimità previsto dall’art. 230 CE (sentenza Francia/Commissione, cit. supra al punto 71, punto 16), occorre sottolineare che, nella fattispecie, ammettere la ricevibilità del ricorso laddove riguarda gli effetti delle disposizioni controverse dell’accordo sul territorio della Svizzera condurrebbe il giudice comunitario a pronunciarsi sulla legittimità, alla luce del diritto comunitario, di diritti conferiti ad uno Stato terzo, o di obblighi assunti da quest’ultimo, derivanti da un accordo internazionale al quale ha liberamente e sovranamente acconsentito nell’ambito delle sue relazioni esterne. Un tale controllo si situerebbe manifestamente al di fuori dell’ambito delle competenze del Tribunale come definito dal Trattato CE.

95

Risulta da quanto precede che la decisione impugnata non implica alcun effetto giuridico obbligatorio tale da modificare la situazione giuridica dei ricorrenti sul territorio della Svizzera e, sotto questo profilo, non costituisce un atto che possa essere oggetto di ricorso sulla base dell’art. 230 CE. Per tali motivi, l’argomentazione dei ricorrenti diretta a dimostrare che essi sono direttamente interessati da tale decisione, ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE, deve essere respinta come priva di qualsiasi pertinenza, in quanto tale questione presuppone previamente che l’atto impugnato comporti effetti giuridici obbligatori nei loro confronti.

96

Pertanto occorre respingere il presente ricorso come irricevibile laddove è diretto all’annullamento della decisione impugnata relativamente al territorio della Svizzera.

Sul pregiudizio arrecato ai ricorrenti dalla decisione impugnata sul territorio della Comunità

— Argomenti delle parti

97

Il Consiglio sostiene che il vino originario della regione francese della Champagne beneficia di una protezione esclusiva nella Comunità come v.q.p.r.d., che le disposizioni controverse dell’accordo non modificherebbero assolutamente.

98

Nel controricorso il Consiglio aggiunge, in risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, che, ai sensi dell’art. 36 del regolamento n. 753/2002, il quale stabilisce le condizioni in cui il nome di un’indicazione geografica può figurare sull’etichetta di un vino importato nella Comunità, una tale indicazione geografica non può dar adito a confusione con un’indicazione geografica utilizzata per designare un v.q.p.r.d., un vino da tavola o un altro vino importato che figura negli elenchi degli accordi conclusi fra i paesi terzi e la Comunità.

99

Nella fattispecie, il Consiglio reputa che l’eccezione di omonimia di cui all’art. 36, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 753/2002 non possa applicarsi ai vini prodotti dal comune vodese di Champagne, tenuto conto del rischio palese di confusione che tale omonimia provocherebbe nei confronti dei consumatori. Inoltre, lo statuto e la reputazione assai superiori della denominazione di origine controllata francese renderebbero particolarmente iniqua la condivisione di una tale denominazione, contrariamente alle esigenze di tale disposto.

100

Inoltre, il Consiglio osserva che nessuna indicazione geografica di uno Stato terzo è stata oggetto di un’autorizzazione, ai sensi di detto art. 36, n. 3, per poter essere utilizzata sul territorio comunitario. Infatti, l’allegato VI del regolamento n. 753/2002, il quale cita le indicazioni geografiche e menzioni tradizionali che beneficiano dell’eccezione di omonimia, sarebbe privo di riferimenti. Di conseguenza, l’indicazione geografica svizzera «Champagne» non beneficerebbe in alcun modo dell’eccezione di omonimia prevista da tale regolamento, per cui i ricorrenti non sarebbero autorizzati a commercializzare i vini prodotti dal comune di Champagne con detta denominazione.

101

Pertanto, il Consiglio sostiene che, sia precedentemente sia successivamente all’accordo, la tutela da garantire nonché le regole di utilizzazione nella Comunità della denominazione di origine controllata «Champagne» sono disciplinate dal regolamento n. 1493/1999 e dal regolamento n. 753/2002. Inoltre, anche se tali regolamenti avessero reso possibile per i ricorrenti l’utilizzo della denominazione «Champagne» per i vini prodotti dal comune di Champagne nel cantone di Vaud, tale possibilità non sarebbe stata modificata dall’accordo, il quale non prevedrebbe regole sulla protezione che ogni parte deve accordare alle proprie indicazioni geografiche sul proprio territorio. Di conseguenza, la decisione impugnata non introdurrebbe alcuna nuova disposizione relativa alla commercializzazione sul territorio comunitario di vini importati dalla Svizzera con la denominazione «Champagne», quindi detta decisione non riguarderebbe direttamente i ricorrenti.

102

Tale conclusione non sarebbe contraddetta dal trattato franco-svizzero, il quale riconoscerebbe una sola denominazione «Champagne», vale a dire quella che designa vini spumanti provenienti dalla regione francese della Champagne. Infatti, l’art. 2, terzo comma, di detto trattato stabilirebbe una deroga agli obblighi previsti dal primo comma, che recita:

«Se una denominazione protetta in conformità del capoverso 1 corrisponde al nome di una regione o di un luogo situato fuori del territorio della Repubblica francese, il capoverso 1 non esclude che la denominazione sia utilizzata per prodotti o merci fabbricati in tal regione o luogo. Tuttavia, prescrizioni complementari possono essere emanate mediante un protocollo».

103

Tale disposizione avrebbe quindi l’effetto di consentire alla Confederazione svizzera di derogare all’obbligo previsto dal suo primo comma, ai sensi del quale la denominazione «Champagne» è riservata «sul territorio della Confederazione svizzera, esclusivamente ai prodotti o alle merci francesi». Tale disposizione non avrebbe tuttavia lo scopo di determinare la protezione da accordare alla denominazione «Champagne» sul territorio della Francia e non interferirebbe, di conseguenza, con la legislazione vitivinicola comunitaria, la quale riserverebbe tale denominazione di origine controllata, sul territorio comunitario, a determinati vini della regione francese della Champagne.

104

Peraltro, in risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, il Consiglio ha sostenuto che i ricorrenti non dimostrerebbero a sufficienza che la denominazione «Champagne» era protetta come denominazione di origine controllata ai sensi del diritto svizzero.

105

Infatti, l’ordinanza del Consiglio federale svizzero del 7 dicembre 1998, concernente la viticoltura e l’importazione di vino, menzionerebbe tre tipi di denominazioni: la denominazione d’origine, la denominazione d’origine controllata e l’indicazione di provenienza. Ai sensi di tale regolamento, la denominazione d’origine sarebbe riservata ai vini di uve raccolte nell’area geografica interessata che presentano tenori naturali minimi in zuccheri. Per contro, la denominazione d’origine controllata risponderebbe, oltre a detti tenori in zuccheri, previsti dalla denominazione d’origine, ad «esigenze supplementari previste dal cantone» che devono riguardare almeno «la delimitazione delle zone di produzione (…), i vitigni (…), i metodi di coltivazione (…), i tenori naturali minimi in zuccheri (…), le rese massime per unità di superficie (…), le tecniche di vinificazione [e] l’analisi e l’esame organolettico».

106

Il Consiglio riconosce che, ai sensi dell’art. 16 del regolamento del 19 giugno 1985 sulle denominazioni d’origine dei vini vodesi (in prosieguo: il «regolamento sulle denominazioni d’origine dei vini vodesi»), «il vino raccolto sul territorio di un comune ha diritto alla denominazione di tale comune». Tale diritto sarebbe tuttavia in contrasto con l’ordinanza del Consiglio federale svizzero del 7 dicembre 1998, concernente la viticoltura e l’importazione di vino, successiva a tale regolamento, che riserva le denominazioni d’origine controllate ai vini che soddisfano condizioni di qualità più rigorose rispetto alla semplice condizione, relativa alle denominazioni comunali, che consiste nel richiedere che il 51% del vino sia stato raccolto sul territorio del comune di cui trattasi.

107

Il Consiglio aggiunge che, ai sensi dell’art. 3 del regolamento del 28 giugno 1995 sulle denominazioni d’origine dei vini vodesi, le denominazioni d’origine dei vini vodesi sono riservate ai soli vini di denominazione d’origine controllata e che per denominazione d’origine controllata si intendono le denominazioni tradizionali, geografiche o meno, dei vini di categoria 1, ai sensi delle disposizioni degli artt. 1-4 del regolamento del 26 marzo 1993 sulla qualità dei vini vodesi.

108

Al riguardo, il Consiglio sostiene che, ai sensi dell’art. 1 del regolamento del 26 marzo 1993 sulla qualità dei vini vodesi, possono avere una denominazione d’origine di regione viticola, di luogo di produzione o di una suddivisione del luogo di produzione (comune, vigneto, castello, abbazia, tenuta, designazione catastale o località) solo i vini prodotti da vendemmie che hanno raggiunto determinati tenori minimi naturali in zuccheri, fissati per vitigno e per denominazione. Ora, sottolinea il Consiglio, se la denominazione «Bonvillars» figura nell’elenco delle denominazioni, così non è per quella di «Champagne».

109

Il Consiglio ritiene infatti che la denominazione «Champagne» non sia né una denominazione d’origine controllata, né una denominazione d’origine, bensì una semplice indicazione geografica priva di qualsiasi legame con la qualità o la reputazione. Tale denominazione, nel diritto svizzero, comporterebbe, infatti, solo un requisito meramente geografico, ossia che il vino sia prodotto, per almeno il 51%, da uve raccolte nel comune di Champagne.

110

Tale interpretazione sarebbe confermata dal regolamento del cantone di Vaud del 16 luglio 1993 concernente la limitazione della produzione e il controllo ufficiale della vendemmia. Il Consiglio osserva che, ai sensi dell’art. 1 di tale regolamento, il registro cantonale delle vigne fornisce le condizioni delle parcelle viticole di ogni proprietario, il quale, ai sensi dell’art. 3 di detto regolamento, deve indicare la denominazione, ai sensi del regolamento sulle denominazioni d’origine dei vini vodesi. Ora, il registro cantonale delle vigne presentato dai ricorrenti indicherebbe chiaramente che la denominazione di cui beneficiano tutti i ricorrenti è «Bonvillars».

111

La Commissione sostiene, da parte sua, che l’utilizzo della denominazione «Champagne» sul territorio comunitario è riservata da molto tempo ai vini prodotti dalla regione francese della Champagne, che le disposizioni controverse dell’accordo non modificherebbero in alcun modo.

112

In risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, la Commissione osserva che l’eccezione di omonimia prevista dall’art. 29, n. 3, ultimo comma, del regolamento n. 2392/89, in vigore fino al 1o agosto 2003, poteva essere accordata mediante decisione della Commissione in seguito ad una domanda di deroga alle disposizioni del n. 2 di tale stesso articolo. Ora, una siffatta domanda non sarebbe stata presentata con riferimento ai vini prodotti dal comune di Champagne in Svizzera.

113

Inoltre, l’eccezione di omonimia prevista dall’art. 36, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 753/2002, in vigore dal 1o agosto 2003, si applicherebbe soltanto a condizione che l’indicazione geografica interessata sia riconosciuta e protetta in quanto tale dallo Stato terzo, e ciò conformemente all’art. 24, n. 9, dell’accordo del 15 aprile 1994 sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (GU L 336, pag. 214; in prosieguo: l’«accordo ADPIC»), ai sensi del quale «non sussiste alcun obbligo ai sensi del presente accordo di proteggere le indicazioni geografiche che non siano o cessino di essere protette nel loro paese d’origine, o che siano ivi cadute in disuso».

114

Così, poiché la Confederazione svizzera non avrebbe inteso proteggere l’indicazione geografica «Champagne» nel cantone di Vaud nell’ambito dell’accordo, l’eccezione di omonimia prevista dal regolamento n. 753/2002 non si applicherebbe. Inoltre, l’allegato VI di detto regolamento, il quale menziona le indicazioni e condizioni pratiche delle indicazioni geografiche omonime dei paesi terzi, sarebbe privo di riferimenti in quanto nessuna domanda di omonimia è stata presentata sino ad oggi.

115

Peraltro, la Commissione, in risposta a un quesito scritto posto dal Tribunale relativo all’esistenza di una denominazione comunale d’origine controllata a favore del comune di Champagne, ha indicato che risultava dal regolamento sulle denominazioni d’origine dei vini vodesi che la denominazione «Champagne» era una semplice indicazione di provenienza che non configurava un qualunque diritto di proprietà industriale e commerciale in mancanza di ogni riconoscimento e di ogni identificazione, nella normativa svizzera applicabile, delle qualità proprie dei vini prodotti sul territorio di tale comune.

116

Infine, la Commissione rileva che i ricorrenti ammettono essi stessi di non aver mai commercializzato il vino che producono con la denominazione «Champagne» sul territorio comunitario, ma che esportano circa mille bottiglie di vino all’anno nella Comunità con la denominazione «Arquebuse», il che dimostrerebbe che l’eccezione di omonimia prevista dalla normativa comunitaria non è mai stata applicata nei loro confronti.

117

La Commissione deduce da quanto precede che l’atto impugnato non modifica la situazione giuridica dei ricorrenti sul territorio comunitario, quindi questi ultimi non dispongono di un interesse ad agire contro detto atto.

118

La Repubblica francese, interveniente, sostiene che il vino francese della Champagne è protetto nella Comunità come v.q.p.r.d. e beneficia, in tal senso, dell’esclusività della denominazione «Champagne». Pertanto, l’atto impugnato non inficerebbe direttamente la situazione giuridica dei ricorrenti, quindi il ricorso sarebbe irricevibile.

119

Inoltre, la Repubblica francese osserva che, in forza della normativa svizzera applicabile, la menzione del comune è assimilabile all’indicazione di una precisazione sulla provenienza del vino nell’ambito del luogo di produzione, che costituisce una sola entità, e una tale menzione non può essere equiparata ad una denominazione d’origine. Infatti, una denominazione d’origine comporterebbe il ricorrere di determinate condizioni relative alle caratteristiche del prodotto, le quali esisterebbero per la denominazione «Bonvillars», ma non per il comune di Champagne. A tal riguardo, la Repubblica francese rileva che, nell’ipotesi contraria, tale comune avrebbe costituito oggetto di una menzione specifica nel regolamento sulle denominazioni d’origine dei vini vodesi, il che non sarebbe avvenuto. Essa ritiene pertanto che l’esistenza di una denominazione d’origine controllata «Champagne» protetta dal diritto svizzero non sia garantita.

120

I ricorrenti contestano l’affermazione del Consiglio, della Commissione e della Repubblica francese, secondo cui la loro situazione giuridica sul territorio comunitario non risulta modificata dalle disposizioni controverse dell’accordo. A tal riguardo, essi sostengono che se la denominazione «Champagne» costituisce effettivamente una denominazione d’origine controllata ai sensi del diritto comunitario, tale circostanza non ha ostacolato la commercializzazione nella Comunità del vino vodese da loro prodotto. Facendo affidamento a lettere del rappresentante dei produttori della Champagne, i ricorrenti affermano che questi ultimi non si sono peraltro opposti alla commercializzazione del vino prodotto sul territorio del comune vodese di Champagne con la denominazione «Champagne».

121

In risposta a un quesito scritto posto dal Tribunale, i ricorrenti hanno precisato che, a seguito di verifica, era emerso che le esportazioni in Belgio, citate in sede di ricorso, del vino prodotto nel comune di Champagne, per circa 1000 bottiglie l’anno, non erano effettuate con la denominazione «Champagne», ma con quella di «Arquebuse».

122

Tuttavia, i ricorrenti osservano che, ai sensi degli artt. 26, n. 1, e 29 del regolamento n. 2392/89, in caso di omonimia, la denominazione di un vino proveniente da un paese terzo può essere utilizzata quando in tale paese il nome è impiegato per un vino in conformità di usi antichi e costanti e a condizione che il suo impiego sia da detto paese regolamentato, il che corrisponderebbe palesemente al caso di specie. La circostanza che l’art. 29, n. 3, di detto regolamento preveda l’adozione di decisioni derogatorie per beneficiare dell’eccezione di omonimia sarebbe priva di pertinenza nel caso di specie in quanto l’art. 2, terzo comma, del trattato franco-svizzero attribuirebbe un’eccezione di omonimia di pieno diritto. Infatti, risulterebbe da tale disposizione che se una delle denominazioni protette ai sensi del primo comma corrisponde al nome di una regione o di un luogo situato al di fuori del territorio della Repubblica francese, tale protezione non esclude che la denominazione sia utilizzata per prodotti o merci fabbricati in tale regione o in tale luogo. Ciò sarebbe peraltro confermato dal parere del Consiglio di Stato del cantone di Vaud del 22 dicembre 2003.

123

Riguardo al regolamento n. 753/2002, i ricorrenti sottolineano che l’art. 36 prevede altresì che alcune indicazioni omonime di indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d. possono essere utilizzate in condizioni pratiche che consentano di differenziarle tra loro, tenuta presente la necessità di garantire un equo trattamento dei produttori interessati e di non indurre in errore i consumatori. Ora, sarebbe incontestabile che la denominazione «Champagne» per i vini prodotti dai ricorrenti costituisce un’indicazione geografica ai sensi dell’art. 22 dell’ADPIC, cui fa rinvio l’art. 3 dell’allegato 7 dell’accordo. Peraltro, l’utilizzo di tale denominazione da parte dei ricorrenti adempirebbe le condizioni previste dall’art. 36 del regolamento n. 753/2002 ragion per cui detta denominazione beneficerebbe dell’eccezione di omonimia. Sarebbe a questo proposito irrilevante che l’allegato VI di tale regolamento non menzioni alcuna denominazione, tenuto conto che qualsiasi altra interpretazione priverebbe di ogni significato l’art. 36 di tale regolamento e violerebbe gli obblighi della Comunità derivanti dall’art. 23, n. 3, dell’ADPIC. In ogni caso, il regolamento n. 753/2002 sarebbe diventato applicabile solo a decorrere dal 1o gennaio 2003, ossia dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Poiché quest’ultimo esclude l’eccezione di omonimia per i vini del comune di Champagne, non può pretendersi che la Confederazione svizzera chieda di beneficiare di tale eccezione nell’ambito del regolamento n. 753/2002.

124

Per quanto riguarda la protezione della denominazione «Champagne» conformemente al diritto svizzero applicabile, i ricorrenti sostengono che, ai sensi dell’art. 16 del regolamento del 28 giugno 1995 sulle denominazioni d’origine controllate dei vini vodesi, il vino raccolto sul territorio di un comune ha diritto alla denominazione di tale comune.

125

A tal riguardo, essi osservano che il cantone di Vaud comprende sei regioni viticole. La loro estensione geografica sarebbe definita dall’art. 2 di detto regolamento, il quale preciserebbe che la regione di Bonvillars comprende tutti i comuni viticoli del distretto di Grandson nonché i comuni di Montagny e Valuyres-sous-Montagny del distretto d’Yverdon. Tali sei regioni sarebbero costituite da 26 luoghi di produzione che raggruppano 148 comuni viticoli. Ai sensi degli artt. 13-15 di detto regolamento, tre delle regioni citate costituirebbero ciascuna un solo luogo di produzione. Quanto a queste tre regioni che costituiscono un solo luogo di produzione, di cui fa parte la regione Bonvillars, non si potrebbe aver nessun dubbio sull’appartenenza, all’uno o all’altro luogo di produzione, dei comuni situati sul loro territorio, in base all’identità tra regione viticola e luogo di produzione. Ciò spiegherebbe per quale motivo il regolamento del 28 giugno 1995 sulle denominazioni d’origine controllate dei vini vodesi non menziona espressamente tali comuni. Ai sensi dell’art. 16 di detto regolamento, i produttori di vino provenienti da tali comuni avrebbero tuttavia il diritto di avvalersi del nome di questi ultimi come denominazione dei loro prodotti.

126

I ricorrenti sottolineano che il Consiglio di Stato del cantone di Vaud, con due pareri dell’8 gennaio e del 22 dicembre 2003, ha confermato che, conformemente al diritto svizzero, la denominazione «Champagne» costituiva una denominazione comunale d’origine controllata. A tal riguardo, i ricorrenti ritengono che, in ogni caso, l’affermazione del Consiglio secondo la quale la denominazione svizzera «Champagne» non costituisce una denominazione d’origine controllata, bensì una semplice denominazione d’origine, sia priva di pertinenza. Infatti, poiché tale denominazione costituirebbe un diritto specifico dei ricorrenti, sarebbe irrilevante, ai fini dell’applicazione dell’eccezione di omonimia prevista dal regolamento n. 2392/1989 e dal regolamento n. 753/2002, stabilire se, in forza del diritto svizzero, quest’ultima benefici di un rango superiore, inferiore o uguale alla denominazione francese «Champagne».

— Giudizio del Tribunale

127

Il Consiglio e la Commissione, sostenuti dalla Repubblica francese, dichiarano, in sostanza, che la protezione accordata, in forza del diritto comunitario, ai vini prodotti nella regione francese della Champagne vieta ai ricorrenti di commercializzare il loro vino con la denominazione «Champagne» sul territorio comunitario. Di conseguenza, le disposizioni controverse dell’accordo non modificherebbero la situazione giuridica dei ricorrenti su detto territorio.

128

A tal riguardo, occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 86 supra, un ricorrente è legittimato a proporre un ricorso ai sensi dell’art. 230 CE solo se l’atto impugnato produce effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sui suoi interessi modificando in misura rilevante la sua situazione giuridica.

129

Occorre così determinare se, come sostenuto dal Consiglio, dalla Commissione e dalla Repubblica francese, ai ricorrenti fosse impedita, prima dell’entrata in vigore delle disposizioni controverse dell’accordo, in forza del diritto comunitario applicabile, la commercializzazione del vino da loro prodotto con la denominazione «Champagne» nella Comunità, ragion per cui le disposizioni controverse dell’accordo non modificherebbero in misura rilevante la loro situazione giuridica.

130

In tale ottica, occorre rilevare che, come è stato esposto ai punti 4-6 supra, il giorno della presentazione del ricorso, il 10 luglio 2002, il regolamento in vigore applicabile alla situazione dei ricorrenti era il regolamento n. 2392/89.

131

Ai sensi dell’art. 29, n. 2, di detto regolamento, per la designazione di un vino importato, il nome di un’unità geografica utilizzato per la designazione di un vino da tavola o di un v.q.p.r.d. o di una regione determinata situata nella Comunità non può essere utilizzato, né nella lingua del paese produttore nel quale è situata detta unità o regione, né in un’altra lingua.

132

Ora, come è stato esposto al punto 1 supra, al momento della presentazione del ricorso, i vini prodotti nella regione francese della Champagne con la denominazione d’origine controllata «Champagne» beneficiavano, nella Comunità, della denominazione v.q.p.r.d., ciò che i ricorrenti peraltro non contestano.

133

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 29, n. 2, del regolamento n. 2392/89, al momento della presentazione del ricorso, la denominazione «Champagne» non poteva, in linea di principio, essere utilizzata per la designazione di alcun vino importato, e in particolare del vino prodotto nel comune vodese di Champagne.

134

D’altro canto, occorre osservare che, ai sensi dell’art. 29, n. 3, del regolamento n. 2392/89, possono essere decise deroghe al paragrafo 2 di questo stesso articolo quando vi sia identità tra il nome geografico di un vino prodotto nella Comunità e quello di un’unità geografica situata in un paese terzo, quando in tale paese detto nome è impiegato per un vino in conformità di usi antichi e costanti e a condizione che il suo impiego sia da detto paese regolamentato.

135

L’eccezione di omonimia prevista da tale regolamento non si applica pertanto di pieno diritto, ma in conseguenza di una decisione esplicita di deroga. A tal riguardo, in risposta ad un quesito scritto posto dal Tribunale, la Commissione ha osservato, da un lato, che una tale decisione doveva essere preceduta da una domanda in tal senso, e, dall’altro, nessuna domanda di deroga era stata presentata con riferimento ai vini provenienti dal territorio del comune vodese di Champagne.

136

Peraltro, si deve necessariamente constatare che se i ricorrenti hanno asserito, in un primo momento, di non essere mai stati ostacolati, in forza del diritto comunitario applicabile, nella commercializzazione del loro vino con la denominazione «Champagne» nella Comunità, essi non hanno, in seguito, né contestato il fatto che l’eccezione di omonimia prevista dal regolamento n. 2392/89 richiedeva l’adozione di una decisione di deroga, né asserito che una qualsiasi decisione fosse stata adottata a tale riguardo, né, tanto meno, che una domanda di deroga riguardante i vini prodotti sul territorio del comune vodese di Champagne fosse stata presentata.

137

Inoltre, pur avendo inizialmente affermato di aver venduto annualmente, in Belgio, circa un migliaio di bottiglie con la denominazione «Champagne», i ricorrenti hanno precisato, in risposta ad un quesito scritto posto dal Tribunale, che, a seguito di verifica, tali bottiglie erano state, in realtà, commercializzate con la denominazione di «Arquebuse». Peraltro, i ricorrenti non hanno fornito la prova di altre esportazioni di loro prodotti nella Comunità con la denominazione «Champagne» o con un’altra denominazione.

138

Oltre al fatto che, da quanto precede, l’argomentazione dei ricorrenti risulta confusa, o addirittura contraddittoria, si deve constatare che questi ultimi non sono stati in grado di contestare l’affermazione della Commissione secondo la quale, al giorno della presentazione del ricorso, il vino prodotto sul territorio del comune vodese di Champagne non beneficiava di nessuna decisione di deroga al divieto di cui all’art. 29, n. 2, del regolamento n. 2392/89, ragion per cui i ricorrenti non potevano, sotto il profilo giuridico, commercializzare i loro prodotti con la denominazione «Champagne». Secondo le verifiche effettuate dai ricorrenti stessi, e contrariamente alle loro affermazioni iniziali, emerge peraltro che questi ultimi non hanno, di fatto, commercializzato il loro vino con la denominazione «Champagne» nella Comunità.

139

Ne consegue che se, conformemente a quanto esposto ai punti 41-49 supra, le disposizioni controverse dell’accordo garantiscono l’esclusività, sul territorio comunitario, del diritto alla denominazione «Champagne» a beneficio di alcuni vini prodotti nella regione francese della Champagne, vietando così la commercializzazione su tale stesso territorio di alcuni vini vodesi prodotti sul territorio del comune di Champagne con tale denominazione, occorre affermare che tale situazione giuridica era già vigente, per i ricorrenti, al momento dell’entrata in vigore dell’accordo del 1o giugno 2002, nonché al momento della presentazione del ricorso, il 10 luglio 2002.

140

Riguardo al regolamento n. 753/2002, senza che occorra nemmeno determinare se i ricorrenti possano giustificare un interesse ad agire fondandosi sulla situazione giuridica risultante dall’applicazione di tale regolamento, tenuto conto della circostanza che, sebbene applicabile solo a decorrere dal 1o agosto 2003, ovvero successivamente alla presentazione del ricorso, esso è entrato in vigore l’11 maggio 2002, ovvero precedentemente a tale presentazione, occorre osservare che neppure in forza di detto regolamento essi beneficerebbero, in alcun caso, del diritto di commercializzare nella Comunità il vino che producono sul territorio del comune vodese di Champagne con la denominazione «Champagne».

141

Infatti, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 36, n. 1, del regolamento n. 753/2002, «il nome di un’indicazione geografica (…) può figurare sull’etichettatura di un vino importato (…) di un paese terzo che è membro dell’Organizzazione mondiale del commercio, a condizione che essa serva a identificare un vino come vino originario del territorio di un paese terzo o di una regione o località di detto paese terzo, qualora la reputazione, una qualità o un’altra caratteristica determinata del vino possa essere attribuita essenzialmente a tale origine geografica».

142

Ai sensi dell’art. 36, n. 3, del regolamento 753/2002 «[l]e indicazioni geografiche di cui ai paragrafi 1 e 2 non possono dar adito a confusione con le indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d.». Tale disposizione prevede tuttavia l’eccezione di omonimia seguente:

«[A]lcune indicazioni geografiche dei paesi terzi di cui al primo comma, omonime di indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d. (…), possono essere utilizzate in condizioni pratiche che consentano di differenziarle tra loro, tenuta presente la necessità di garantire un equo trattamento dei produttori interessati e di non indurre in errore i consumatori.

(…)

Tali indicazioni e menzioni, come pure le condizioni pratiche, sono indicate nell’allegato VI».

143

In tal modo, l’eccezione di omonimia di cui sopra non è destinata ad applicarsi di pieno diritto, ma è condizionata all’iscrizione nell’allegato VI del regolamento n. 753/2002 tanto delle indicazioni geografiche dei paesi terzi omonime di indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d. che possono beneficiarne, quanto delle condizioni pratiche che consentono di differenziare tra di loro tali indicazioni geografiche.

144

Ora, come fanno osservare il Consiglio e la Commissione, occorre notare che l’allegato VI del regolamento n. 753/2002 è privo fino ad oggi di riferimenti e non menziona quindi la denominazione «Champagne» tra le indicazioni geografiche dei paesi terzi che possono beneficiare dell’eccezione di omonimia.

145

Ne deriva che neppure le disposizioni del regolamento n. 753/2002 consentono ai ricorrenti, in ogni caso, di commercializzare i vini che producono con la denominazione «Champagne».

146

Peraltro, occorre osservare che, ai sensi dell’art. 36, n. 5, di tale regolamento, come modificato dal regolamento n. 316/2004, applicabile a partire dal 1o febbraio 2004, sull’etichettatura di un vino importato «può essere utilizzata un’indicazione geografica di un paese terzo contemplata dai paragrafi 1 e 2 anche se tale vino è ottenuto soltanto per l’85% da uve raccolte nella zona di produzione di cui reca il nome». Inoltre, risulta implicitamente da tale formulazione e dalla ratio dell’art. 36, n. 1, del regolamento n. 753/2002 che, precedentemente alla modifica introdotta dal regolamento n. 316/2004, che consentiva anche ai vini ottenuti soltanto per l’85% da uve provenienti dalla zona di produzione di cui recano il nome di utilizzare l’indicazione geografica corrispondente a tale zona, un’indicazione geografica poteva figurare sull’etichettatura di un vino importato soltanto a condizione che tale vino fosse ottenuto totalmente da uve provenienti dalla zona geografica di cui reca il nome.

147

Ora, sebbene, in risposta ad un quesito scritto posto dal Tribunale, i ricorrenti abbiano affermato che, ai sensi dell’art. 16 del regolamento sulle denominazioni d’origine dei vini vodesi, la denominazione «Champagne» era riconosciuta e protetta per i vini prodotti nel territorio di tale comune, si deve constatare che una lettura completa di tale disposizione fa emergere che, ai sensi del suo secondo comma, «ha del pari diritto alla denominazione di un comune, il vino raccolto in maggior parte (almeno il 51%) su tale comune e per il resto sul luogo di produzione al quale quest’ultimo appartiene».

148

Perciò, senza doversi nemmeno pronunciare sulla natura e sulla qualifica precise della denominazione «Champagne», si deve dichiarare che tale denominazione è riconosciuta dal diritto svizzero ai vini provenienti in maggioranza dal territorio del comune vodese di Champagne, ragion per cui essa non soddisfa la condizione che figura implicitamente all’art. 36, n. 5, del regolamento n. 753/2002, come modificato, e secondo la quale solo i vini ottenuti almeno per l’85% da uve raccolte nella zona di produzione di cui portano il nome, ovvero, nel caso di specie, del territorio del comune vodese di Champagne, possono essere commercializzati con l’indicazione geografica di tale zona di produzione. A fortiori, tale denominazione non può neppure essere intesa nel senso che designa vini ottenuti totalmente da uve raccolte nella zona di produzione di cui recano il nome.

149

Così, contrariamente a quanto hanno affermato inizialmente i ricorrenti, non soltanto i vini che, in forza del diritto svizzero, avevano diritto alla denominazione «Champagne» non hanno mai beneficiato dell’eccezione di omonimia prevista dall’art. 29, n. 3, del regolamento n. 2392/89, o dall’art. 36, n. 3, del regolamento n. 753/2002, ma non sembra nemmeno ipotizzabile che tali vini possano, in futuro, beneficiare dell’eccezione di omonimia prevista dalla seconda di tali disposizioni qualora la decisione impugnata fosse annullata, tenuto conto dell’insufficienza delle condizioni stabilite dal diritto svizzero per beneficiare della denominazione comunale «Champagne» alla luce del requisito di provenienza delle uve di cui all’art. 36, n. 5, del regolamento n. 753/2002.

150

Peraltro, non si può nemmeno ritenere che un’eventuale modifica della situazione giuridica dei ricorrenti risultante, ad esempio, dalla modifica delle condizioni di concessione della denominazione comunale vodese «Champagne» possa giustificare la ricevibilità del ricorso, ciò che i ricorrenti peraltro non sostengono. Infatti, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, l’interesse ad agire di un ricorrente non può essere valutato in relazione ad un avvenimento futuro e ipotetico (v. sentenza del Tribunale 30 aprile 1998, causa T-16/96, Cityflyer Express/Commissione, Racc. pag. II-757, punto 30, e giurisprudenza ivi citata).

151

Risulta da quanto precede che la decisione impugnata non modifica in modo significativo la situazione giuridica dei ricorrenti sul territorio comunitario, cosicché questi ultimi non dispongono di un interesse ad agire contro quest’ultima.

152

Nessun altro argomento dei ricorrenti può rimettere in discussione tale conclusione.

153

Questi ultimi si limitano ad affermare, in primo luogo, che è irrilevante che l’allegato VI del regolamento n. 753/2002 non menzioni nessuna denominazione e che, affinché un’indicazione geografica benefici dell’eccezione di omonimia, è sufficiente che essa soddisfi le condizioni previste dall’art. 36, n. 3, secondo comma. Qualsiasi altra interpretazione priverebbe di ogni significato l’art. 36 di tale regolamento e violerebbe gli obblighi della Comunità risultanti dall’art. 23, n. 3, dell’ADPIC.

154

Tale argomento è manifestamente privo di ogni fondamento.

155

Infatti, da un lato, occorre rilevare, in primo luogo, che l’art. 36, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 753/2002 prevede che, alle condizioni da esso elencate, «alcune indicazioni geografiche» possono beneficiare di un’eccezione di omonimia, e, in secondo luogo, l’art. 36, n. 3, ultimo comma, prevede espressamente che le indicazioni geografiche che beneficiano dell’eccezione di omonimia che soddisfano le condizioni stabilite al n. 2 di tale stesso articolo «sono indicate nell’allegato VI». Ne consegue che l’iscrizione dell’indicazione geografica che beneficia di un’eccezione di omonimia nel detto allegato VI non è semplicemente informativa e facoltativa, ma costituisce una formalità imperativa che presuppone un previo esame della conformità dell’indicazione geografica alle condizioni di cui all’art. 36, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 753/2002, nonché alle condizioni pratiche che consentono di differenziare tra di loro le indicazioni geografiche omonime. Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, tale interpretazione è la sola conforme alla ratio e al testo dell’art. 36, n. 3, di tale regolamento, e ciò a maggior ragione considerando che l’art. 36, n. 3, secondo comma, quale eccezione al principio che figura all’art. 36, n. 3, primo comma, secondo il quale le indicazioni geografiche dei paesi terzi non possono creare confusione con un’indicazione geografica utilizzata per la designazione di un v.q.p.r.d., deve essere interpretato restrittivamente.

156

Dall’altro lato, per quanto riguarda l’asserita incompatibilità di tale interpretazione con l’art. 23, n. 3, dell’ADPIC, occorre rilevare che, nel ricorso, i ricorrenti hanno al contrario sottolineato in sostanza che, a differenza delle disposizioni controverse dell’accordo, il regolamento n. 753/2002 non vietava in modo assoluto l’utilizzo, per alcuni vini importati, di indicazioni geografiche omonime di indicazioni geografiche utilizzate per la designazione di v.q.p.r.d. e costituiva in tal modo una misura proporzionata.

157

Così, se l’argomento dei ricorrenti, sollevato nelle loro osservazioni sulle eccezioni di irricevibilità del Consiglio e della Commissione e riguardante l’ADPIC, deve essere inteso come un’eccezione di illegittimità del regolamento n. 753/2002, occorre qualificarlo come un motivo nuovo dedotto in corso di causa e rigettarlo in quanto irricevibile, ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

158

In ogni caso, i ricorrenti non dimostrano, né tanto meno spiegano, perché l’interpretazione del regolamento n. 753/2002 esposta supra sarebbe contraria all’art. 23, n. 3, dell’ADPIC. Un’analisi obiettiva e completa dell’ADPIC rivela peraltro, al contrario, che il regolamento n. 753/2002 è conforme alle disposizioni di tale accordo relative alla protezione delle indicazioni geografiche. Infatti, si deve necessariamente constatare, da un lato, che l’art. 22, n. 1, di tale accordo definisce le indicazioni geografiche come indicazioni che identificano un prodotto come originario del territorio di un membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), o di una località di detto territorio, quando una determinata qualità, la notorietà o altre caratteristiche del prodotto siano essenzialmente attribuibili alla sua origine. Peraltro, il suo art. 23, n. 3, prevede che, nel caso di indicazioni geografiche omonime relative a vini, la protezione viene accordata a ciascuna indicazione, fatte salve le disposizioni dell’art. 22, n. 4, dell’ADPIC, il quale stabilisce che la protezione accordata alle indicazioni geografiche è applicabile contro un’indicazione geografica che, per quanto letteralmente vera in ordine al territorio, alla regione o alla località di cui il prodotto è originario, indica falsamente al pubblico che i prodotti sono originari di un altro territorio.

159

Contrariamente a quanto sembrano sostenere i ricorrenti, l’ADPIC non impone affatto ai membri dell’OMC di garantire, in maniera generale e assoluta, una protezione di tutte le indicazioni geografiche omonime, ma prevede che la protezione non viene accordata ad un’indicazione geografica che indica falsamente che i prodotti sono originari di un altro Stato membro. Inoltre, ai sensi della seconda frase dell’art. 23, n. 3, dell’ADPIC, ciascun membro determina le condizioni pratiche alle quali le indicazioni omonime, cui la protezione viene accordata, sono distinte l’una dall’altra, tenendo conto della necessità di fare in modo che i produttori interessati ricevano un trattamento equo e che i consumatori non siano tratti in inganno.

160

Ora, occorre osservare che questo è precisamente il sistema adottato dal regolamento n. 753/2002. Infatti, da un lato, ai sensi dell’art. 36, n. 1, di tale regolamento, il nome di un’indicazione geografica può figurare sull’etichettatura di un vino importato di un paese terzo che è membro dell’OMC, a condizione che essa serva a identificare un vino come vino originario del territorio di un paese terzo o di una regione o località di detto paese terzo, qualora la reputazione, una qualità o un’altra caratteristica determinata del vino possa essere attribuita essenzialmente a tale origine geografica, essendo tale condizione una riproduzione quasi letterale della definizione della nozione d’indicazione geografica di cui all’art. 22, n. 1, dell’ADPIC. Dall’altro, analogamente all’art. 22, n. 4, dell’ADPIC, l’art. 36, n. 3, del regolamento n. 753/2002, prevede che le indicazioni geografiche dei paesi terzi membri dell’OMC non possono dar adito a confusione con le indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d.

161

Riguardo alla disposizione che figura all’art. 36, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 753/2002, secondo la quale, facendo eccezione al principio di divieto delle indicazioni geografiche di paesi terzi che possono dar adito a confusione con le indicazioni geografiche utilizzate per designare un v.q.p.r.d., alcune indicazioni geografiche dei paesi terzi omonime di queste ultime possono essere utilizzate in condizioni pratiche che consentano di differenziarle tra loro, tenuta presente la necessità di garantire un equo trattamento dei produttori interessati e di non indurre in errore i consumatori, si deve constatare che essa figura in termini identici all’art. 23, n. 3, seconda frase, dell’ADPIC.

162

Infine, l’esigenza derivante, conformemente a quanto esposto supra, dall’art. 36, n. 3, ultimo comma, del regolamento n. 753/2002, e secondo la quale le indicazioni geografiche dei paesi terzi che beneficiano di un’eccezione di omonimia e le condizioni pratiche destinate a differenziarle dalle indicazioni geografiche utilizzate per la designazione di un v.q.p.r.d. devono essere menzionate nell’allegato di detto regolamento, non può essere in alcun modo considerata come incompatibile con le disposizioni dell’ADPIC. Infatti, non solo l’ADPIC non prevede affatto che l’eccezione di omonimia si applichi di pieno diritto, senza intervento di qualsivoglia autorità, a qualsiasi indicazione geografica omonima che ne possieda i requisiti, ma precisa, inoltre, espressamente che «[c]iascun membro determina le condizioni pratiche alle quali le indicazioni omonime in questione saranno distinte l’una dall’altra», lasciando così ai detti membri un certo margine di valutazione quanto alle modalità di concessione dell’eccezione di omonimia.

163

In secondo luogo, i ricorrenti ritengono che l’art. 29, n. 3, del regolamento n. 2392/89, che prevede l’adozione di decisioni di deroga per far beneficiare alcune indicazioni geografiche di un’eccezione di omonimia, sia privo di pertinenza in quanto il trattato franco-svizzero permetteva espressamente l’utilizzo della denominazione «Champagne» per alcuni vini prodotti dal comune vodese di Champagne. Infatti, tale trattato prevedrebbe, ai sensi del suo art. 2, terzo comma, un’eccezione di omonimia di pieno diritto, senza che debba essere adottata al riguardo alcuna decisione. Ciò sarebbe stato peraltro confermato dal Consiglio di Stato del cantone di Vaud in un parere del 22 dicembre 2003.

164

A tal riguardo, occorre osservare che, pur nell’ipotesi che il trattato franco-svizzero debba essere interpretato nel senso sostenuto dai ricorrenti, l’argomento di questi ultimi potrebbe giustificare la ricevibilità del ricorso solo qualora le disposizioni di tale trattato, relative all’eccezione di omonimia di indicazioni geografiche, fossero applicabili nonostante l’adozione del regolamento n. 2392/89, indi del regolamento n. 753/2002.

165

Ora, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 307, primo comma, del Trattato CE, le disposizioni del Trattato stesso non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente all’entrata in vigore del Trattato CE, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra.

166

Secondo una giurisprudenza consolidata, questa disposizione è diretta a precisare, conformemente ai principi di diritto internazionale, che l’applicazione del Trattato non pregiudica l’impegno dello Stato membro interessato di rispettare i diritti degli Stati terzi derivanti da una convenzione anteriore e di adempiere gli obblighi corrispondenti. Conseguentemente, per stabilire se una norma comunitaria possa essere resa inoperante da una convenzione internazionale anteriore, è necessario esaminare se questa imponga allo Stato interessato obblighi il cui adempimento può essere ancora preteso dagli Stati terzi che sono parti contraenti della convenzione (sentenza della Corte 10 marzo 1998, cause riunite C-364/95 e C-365/95, T. Port, Racc. pag. I-1023, punto 60; sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, causa T-3/99, Banatrading/Consiglio, Racc. pag. II-2123, punto 70).

167

Quindi, la possibilità che una norma comunitaria sia resa inoperante da una convenzione internazionale è subordinata alla duplice condizione che si tratti di una convenzione conclusa precedentemente all’entrata in vigore del Trattato CE e che il paese terzo interessato ne tragga diritti di cui può chiedere il rispetto da parte dello Stato membro interessato (sentenze T. Port, cit. supra al punto 166, punto 61, e Banatrading/Consiglio cit. supra al punto 166, punto 71).

168

Ora, nella fattispecie, il trattato franco-svizzero, sul quale i ricorrenti si basano, è stato concluso nel 1974, ovvero successivamente all’entrata in vigore del Trattato CE. Di conseguenza, le disposizioni del trattato franco-svizzero non possono essere utilmente fatte valere dai ricorrenti per ostacolare l’applicazione del regolamento n. 2392/89, indi del regolamento n. 753/2002. L’argomento deve pertanto essere respinto in quanto non pertinente.

169

In ogni caso, occorre osservare che, ai sensi dell’art. 2, primo comma, del trattato franco-svizzero, «le denominazioni che figurano nell’allegato A del presente trattato, in quanto i capoversi da 2 a 4 non prescrivano altrimenti, sono riservate, sul territorio della Confederazione svizzera, esclusivamente ai prodotti o alle merci francesi e non possono esservi adoperate se non alle condizioni previste dalla legislazione della Repubblica francese».

170

L’art. 3, primo comma, di tale trattato prevede, reciprocamente, che «le denominazioni contenute nell’allegato B del presente trattato, in quanto le disposizioni dei capoversi da 2 a 4 non prescrivano altrimenti, sono riservate sul territorio della Repubblica francese esclusivamente ai prodotti o alle merci svizzeri e non possono esservi adoperate se non alle condizioni previste dalla legislazione svizzera».

171

Orbene, mentre la denominazione d’origine controllata francese «Champagne» figura nell’allegato A, l’allegato B non menziona la denominazione comunale vodese con lo stesso nome.

172

In tal modo, conformemente a tali disposizioni, da un lato, la denominazione «Champagne» è esclusivamente riservata, sul territorio della Svizzera, ai prodotti francesi, fatto salvo l’art. 2, dal secondo al quarto comma, e, dall’altro, la denominazione comunale vodese «Champagne» non beneficia di alcuna protezione sul territorio della Francia.

173

Ne deriva che, quand’anche i vini provenienti dal comune vodese di Champagne potessero beneficiare dell’art. 2, terzo comma, del trattato franco-svizzero, ai sensi del quale «[s]e una denominazione protetta in conformità del capoverso 1 corrisponde al nome di una regione o di un luogo situato fuori del territorio della Repubblica francese, il capoverso 1 non esclude che la denominazione sia utilizzata per prodotti o merci fabbricati in tal regione o luogo», tale circostanza costituirebbe semplicemente un’eccezione alla protezione esclusiva di cui beneficia la denominazione d’origine controllata francese «Champagne» sul territorio della Svizzera ai sensi dell’art. 2, primo comma, e dell’allegato A di tale trattato. Tale eccezione di omonimia non avrebbe tuttavia l’effetto di autorizzare, sul territorio della Francia, la commercializzazione dei vini prodotti dal comune vodese di Champagne con la denominazione «Champagne», che solo un’iscrizione nell’allegato B di detto trattato consentirebbe.

174

Risulta peraltro dalla corrispondenza tra il capo dipartimento delle istituzioni e delle relazioni esterne del cantone di Vaud e il comune di Champagne, prodotta dagli stessi ricorrenti, e in particolare dalla lettera del sig. C.R. dell’8 settembre 1998, che, al momento dei negoziati dell’accordo, tale interpretazione del trattato franco-svizzero è stata quella fornita non solo della Repubblica francese, ma anche dalla Confederazione svizzera, che si interrogava sui motivi dell’assenza della denominazione vodese «Champagne» negli elenchi e nel protocollo del trattato franco-svizzero.

175

Ne consegue che l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale il trattato franco-svizzero li autorizzava a commercializzare, sul territorio della Francia, i vini provenienti dal comune di Champagne con la denominazione «Champagne» è infondata.

176

D’altro canto, è significativo rilevare che, come esposto in precedenza, invitati dal Tribunale a provare in maniera convincente l’affermazione secondo la quale essi esportavano circa 1000 bottiglie all’anno con la denominazione «Champagne», i ricorrenti non solo non hanno presentato elementi probatori, come fatture, che dimostrassero di aver venduto la loro produzione con tale denominazione in Francia, ma hanno anche affermato che la parte più rilevante di tali esportazioni era diretta in Belgio con la denominazione «Arquebuse».

177

Riguardo alla lettera di uno studio legale inviata alla Cave des viticulteurs de Bonvillars, prodotta dai ricorrenti, oltre ad essere priva di pertinenza circa l’analisi della loro situazione giuridica, essa non può in alcun caso essere interpretata nel senso che dimostrerebbe che i produttori della Champagne non si sono opposti alla commercializzazione del vino prodotto dai ricorrenti con la denominazione «Champagne». Infatti, ne risulta, tutt’al più che, dopo aver adottato una posizione molto rigorosa consistente nel minacciare la Cave de Bonvillars di azioni giudiziarie, il comitato interprofessionale del vino della Champagne ha sottolineato che esso non aveva lo scopo di impedire «la fabbricazione di prodotti del comune di Champagne ma semplicemente di evitare qualsiasi malinteso inutile, in particolare per il futuro» proponendo un incontro «per chiarire la situazione futura». In mancanza di qualsiasi altra precisazione da parte dei ricorrenti, e nonostante un quesito scritto in tal senso rivolto dal Tribunale a questi ultimi, in particolare sul contenuto o il risultato di tale incontro, non se ne può dedurre che il comitato interprofessionale del vino della Champagne non si sia opposto all’utilizzo, sul territorio della Francia, della denominazione «Champagne» per la designazione dei vini esportati dai ricorrenti.

178

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che le disposizioni controverse dell’accordo non modificano in modo significativo la situazione giuridica dei ricorrenti, quindi le conclusioni dirette all’annullamento della decisione impugnata devono essere respinte in quanto irricevibili.

179

Si deve dichiarare, ad abundantiam, che i ricorrenti non possono essere considerati come individualmente interessati, ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE, dalla decisione impugnata.

180

Infatti, occorre ricordare che le disposizioni controverse dell’accordo, che la decisione impugnata approva, hanno l’effetto, ai sensi dell’art. 5, n. 2, dell’allegato 7 dell’accordo, di riservare, in modo esclusivo, la denominazione protetta «Champagne» ai prodotti originari della Comunità alle condizioni previste dalla normativa comunitaria. Inoltre, conformemente a quanto esposto ai punti 41-49 supra, tenuto conto della mancanza di menzione della denominazione «Champagne» tra le denominazioni svizzere protette ai sensi dell’accordo e contenute nell’appendice 2 di quest’ultimo, l’eccezione di omonimia prevista dall’art. 5, n. 4, lett. a) dell’allegato 7 dell’accordo non è destinata ad applicarsi con riferimento alla denominazione francese «Champagne», la quale è menzionata, come v.q.p.r.d. originario della Francia, tra le denominazioni comunitarie protette ai sensi dell’accordo.

181

Ne consegue che le disposizioni controverse dell’accordo hanno l’effetto di vietare qualsiasi utilizzo della denominazione «Champagne» per vini non originari della Comunità, più in particolare della Francia, e che non soddisfano i requisiti previsti dalla normativa comunitaria per beneficiare della denominazione v.q.p.r.d. «Champagne». Di conseguenza, le disposizioni controverse dell’accordo riguardano, allo stesso modo, tutte le persone — presenti e future — che producono o commercializzano prodotti vitivinicoli che non possono beneficiare della denominazione v.q.p.r.d. «Champagne», in quanto, in particolare, non provengono dalla regione francese della Champagne, e tra loro, tutti i produttori di prodotti vitivinicoli originari della Svizzera. Le disposizioni controverse dell’accordo costituiscono pertanto una misura di portata generale che si applica a situazioni determinate oggettivamente e che produce effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo astratto (v., in tal senso, ordinanza del Tribunale 13 dicembre 2005, causa T-397/02, Arla Foods e a./Commissione, Racc. pag. II-5365, punti 52 e 53, e giurisprudenza ivi citata).

182

Tuttavia, non è escluso che una disposizione che possiede, per sua natura e portata, un carattere d’atto di portata generale possa riguardare individualmente una persona fisica o giuridica. Ciò avviene quando l’atto di cui trattasi la riguarda a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerla dalla generalità e, quindi, la identifica alla stregua della destinataria di una decisione (sentenze della Corte 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione, Racc. pag. 195, in particolare pag. 220, e 18 maggio 1994, causa C-309/89, Codornìu/Consiglio, Racc. pag. I-1853, punti 19 e 20; ordinanza del Tribunale 6 luglio 2004, causa T-370/02, Alpenhain-Camembert-Werk e a./Commissione, Racc. pag. II-2097, punto 56).

183

Nella fattispecie, i ricorrenti affermano di trovarsi in una simile situazione per il fatto che, da un lato, la clausola Champagne è stata inclusa nell’accordo allo scopo di regolare la situazione di una determinata cerchia di produttori riconoscibili e riconosciuti al momento della sua adozione e, dall’altro, essi sono i soli a disporre del diritto specifico alla denominazione d’origine «Champagne» in forza del diritto svizzero.

184

Tali argomenti non possono tuttavia permettere di considerare i ricorrenti come individualmente interessati dalle disposizioni controverse dell’accordo.

185

Infatti, da un lato, come esposto supra, tali disposizioni non hanno l’unico scopo di disciplinare la situazione particolare dei produttori di vini prodotti dal comune vodese di Champagne, ma sono dirette, in maniera generale, a garantire l’utilizzo esclusivo della denominazione «Champagne» ai vini originari della Francia che beneficiano di tale denominazione in forza del diritto comunitario. Solo l’art. 5, n. 8, dell’allegato 7 dell’accordo menziona la situazione particolare di «alcuni vini originari del cantone di Vaud in Svizzera», e concede una deroga transitoria che consente l’uso della parola «Champagne» per designarli e presentarli alle condizioni ivi previste. Ora, il semplice fatto che tale disposizione preveda un regime transitorio più favorevole per «alcuni vini originari del cantone di Vaud» non è, di per sé, tale da inficiare la conclusione secondo la quale le disposizioni controverse dell’accordo che garantiscono l’esclusività della denominazione «Champagne» costituiscono una misura di ordine generale che non riguarda individualmente i ricorrenti.

186

Dall’altro lato, il diritto dei ricorrenti di beneficiare della denominazione svizzera «Champagne» non può nemmeno conferire loro un interesse individuale a contestare le disposizioni controverse dell’accordo, e ciò senza che sia neppure necessario pronunciarsi sulla natura e la qualifica precise di tale denominazione. Infatti, contrariamente al diritto di marchio di cui beneficiava in modo esclusivo la ricorrente nella causa che ha dato luogo alla sentenza Codornìu/Consiglio, cit. supra al punto 182, poiché la Corte aveva sottolineato, a tal riguardo, che quest’ultima aveva registrato il marchio denominativo Gran Cremant de Codornìu in Spagna nel 1924 e che aveva fatto uso tradizionalmente di tale marchio sia prima sia dopo tale registrazione, il diritto per i ricorrenti di utilizzare la denominazione «Champagne» risulta dalla normativa svizzera che riconosce a tutte le imprese i cui prodotti rispondano ai requisiti geografici e qualitativi prescritti il diritto di commercializzare i prodotti medesimi con la denominazione «Champagne» e rifiuta tale diritto a tutte quelle i cui prodotti non rispondano a tali requisiti, i quali sono identici per tutte le imprese (v., in tal senso, ordinanze del Tribunale 15 settembre 1998, causa T-109/97, Molkerei Großbraunshain e Bene Nahrungsmittel/Commissione, Racc. pag. II-3533, punto 50, e 13 dicembre 2005, causa T-381/02, Confédération générale des producteurs de lait de brebis et des industriels de Roquefort/Commissione, Racc. pag. II-5337, punto 51).

187

Analogamente alle disposizioni controverse dell’accordo, la normativa svizzera applicabile non riguarda pertanto unicamente i ricorrenti, bensì produce i propri effetti giuridici altresì nei confronti di un numero indeterminato di produttori, tanto svizzeri quanto originari di paesi terzi, che intendano commercializzare sul territorio della Svizzera i loro prodotti con la denominazione «Champagne», oggi o in futuro.

188

Così, il semplice fatto che i ricorrenti beneficino, ad oggi, del diritto alla denominazione comunale «Champagne» per alcuni vini che essi producono non è tale da condurre alla conclusione che essi siano interessati individualmente dalle disposizioni controverse dell’accordo, dato che tale circostanza risulta dall’applicazione ad una situazione oggettivamente determinata di una misura di portata generale, vale a dire la normativa svizzera in materia di denominazione d’origine, che produce i propri effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo generale e astratto, cioè tutte le imprese che fabbricano un prodotto che presenta caratteristiche oggettivamente definite (v., in tal senso, ordinanza Molkerei Großbraunshain e Bene Nahrungsmittel/Commissione, cit. supra al punto 186, punto 51).

189

Tale constatazione trova del resto conferma nel parere del Consiglio di Stato del cantone di Vaud dell’8 gennaio 2003, presentato dagli stessi ricorrenti, ai sensi del quale «tutti i viticoltori o associazioni vitivinicole che producono vini prodotti con uve raccolte su parcelle del comune di Champagne hanno diritto a tale denominazione. È a tale titolo che la Cave des viticulteurs de Bonvillars utilizza, tra l’altro, la denominazione “Champagne” per i vini che commercializza e che sono prodotti da tale comune. Nessun altro viticoltore vodese ha il diritto di utilizzare tale denominazione se non è proprietario o locatario di vigne ubicate sul territorio del comune di Champagne o se non commercializza vino prodotto da vendemmie provenienti da tale comune».

190

A tal riguardo, occorre infine ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la portata generale e, di conseguenza, la natura normativa di un atto non sono poste in discussione dalla possibilità di determinare con maggiore o minor precisione il numero o persino l’identità dei soggetti di diritto cui esso si applica in un dato momento, fintantoché è pacifico che tale applicazione si compie in forza di una situazione oggettiva di diritto o di fatto, definita dall’atto in relazione con la finalità di quest’ultimo (v. sentenza della Corte 31 maggio 2001, causa C-41/99 P, Sadam Zuccherifici e a./Consiglio, Racc. pag. I-4239, punto 29, e giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, ordinanza della Corte 26 ottobre 2000, causa C-447/98 P, Molkerei Großbraunshain e Bene Nahrungsmittel/Commissione, Racc. pag. I-9097, punto 64).

191

Da quanto precede, risulta che i ricorrenti non possono essere considerati come individualmente interessati dalle disposizioni controverse dell’accordo, quindi il loro ricorso deve del pari essere respinto in quanto irricevibile sotto tale profilo.

192

L’argomento dei ricorrenti relativo al diritto di una tutela giurisdizionale effettiva non può modificare tale conclusione, in quanto la Corte ha chiaramente dichiarato, circa il requisito dell’interesse individuale richiesto dall’art. 230, quarto comma, CE, che se è vero che quest’ultimo requisito doveva essere interpretato alla luce del principio di una tutela giurisdizionale effettiva, tenendo conto delle diverse circostanze atte a individuare un ricorrente, tale interpretazione non poteva condurre ad escludere il requisito di cui trattasi, espressamente previsto dal Trattato, senza eccedere le competenze attribuite da quest’ultimo ai giudici comunitari (sentenza della Corte 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I-6677, punto 44).

2. Sulla domanda di risarcimento danni

Argomenti delle parti

193

I ricorrenti sostengono che la decisione impugnata costituisce una violazione del diritto di proprietà, del diritto al libero esercizio di un’attività professionale nonché del principio di proporzionalità tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità.

194

Tale violazione cagionerebbe loro un danno derivante, da un lato, dalle spese che dovrebbero sostenere per introdursi nel mercato del vino con una denominazione diversa dalla denominazione «Champagne» e, dall’altro, dal lucro cessante conseguente al ribasso prevedibile, di circa CHF 4, del prezzo di ogni bottiglia di vino che essi producono se le 150000 bottiglie vendute attualmente all’anno con la denominazione «Champagne» dovessero essere private di tale denominazione. I ricorrenti si riservano tuttavia la possibilità di presentare al Tribunale dati numerici più specifici quando i primi effetti della decisione impugnata si saranno manifestati nei loro confronti.

195

Il nesso di causalità tra il comportamento contestato alle istituzioni e il danno subito consisterebbe nel fatto che la Repubblica francese avrebbe indotto il Consiglio e la Commissione a negoziare le disposizioni controverse dell’accordo. Orbene, senza la pressione di tale Stato membro, la Confederazione svizzera non avrebbe mai dato il consenso a tali disposizioni, cosa a cui essa sarebbe stata tuttavia costretta per ottenere la firma dei sette accordi bilaterali.

196

Poiché le autorità svizzere sono obbligate ad adottare le misure necessarie per attuare le disposizioni controverse dell’accordo, il danno sarebbe imputabile alla Comunità, analogamente a quanto sarebbe stato dichiarato nella sentenza del Tribunale 11 gennaio 2002, causa T-174/00, Biret International/Consiglio (Racc. pag. II-17, punti 33 e 34).

197

Sarebbe a questo proposito irrilevante che, in ragione della sua qualità di parte dell’accordo, la Confederazione svizzera sia corresponsabile del danno, in quanto tutti i requisiti richiesti per il risarcimento del danno dei ricorrenti sarebbero soddisfatti (sentenza della Corte 17 dicembre 1959, causa 23/59, Feram/Alta Autorità, Racc. pag. 487).

198

Il Consiglio e la Commissione ritengono che nessuno dei presupposti della responsabilità della Comunità sia soddisfatto nel caso di specie. In particolare essi sostengono che, poiché la decisione impugnata non produce effetti giuridici sulla situazione dei ricorrenti, manca il nesso di causalità tra il danno che si asserisce subito e la sostenuta illegittimità della decisione impugnata. Infatti, da un lato, la decisione impugnata non creerebbe alcun obbligo nuovo per i ricorrenti sul territorio comunitario e, dall’altro, l’eventuale danno che i ricorrenti potrebbero subire sul territorio della Svizzera deriverebbe dall’azione delle autorità svizzere, sia se dichiarassero l’accordo applicabile sul loro territorio, sia se approvassero la legislazione che attua gli impegni ai quali essi avrebbero dato il consenso in forza dell’accordo, in quanto quest’ultimo lascia loro la scelta delle modalità a tal riguardo.

199

La Commissione aggiunge che l’eventuale pressione della Repubblica francese per l’inclusione della clausola Champagne è priva di pertinenza. I negoziati sarebbero meri atti preparatori e non potrebbero essere la causa di un danno, in quanto solo l’atto normativo che ne è il risultato può essere oggetto di un diritto di risarcimento. Poiché la Confederazione svizzera ha ratificato l’accordo come Stato sovrano, i ricorrenti che si ritengono danneggiati da detto accordo dovrebbero rivolgersi alle autorità svizzere.

Giudizio del Tribunale

200

Secondo una giurisprudenza consolidata, il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE, presuppone che ricorrano congiuntamente varie condizioni, relative all’illiceità del comportamento di cui si fa carico alle istituzioni, all’effettività del danno e all’esistenza di un nesso di causalità fra il comportamento stesso e il danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; sentenze del Tribunale 11 luglio 1996, causa T-175/94, International Procurement Services/Commissione, Racc. pag. II-729, punto 44; 16 ottobre 1996, causa T-336/94, Efisol/Commissione, Racc. pag. II-1343, punto 30, e 11 luglio 1997, causa T-267/94, Oleifici Italiani/Commissione, Racc. pag. II-1239, punto 20). Quando una di queste condizioni non è stata adempiuta, il ricorso per risarcimento danni deve essere interamente respinto senza che sia necessario esaminare gli altri presupposti della responsabilità suddetta (sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C-146/91, KYDEP/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-4199, punto 19, e sentenza del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T-170/00, Förde-Reederei/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II-515, punto 37).

201

Nella fattispecie, occorre anzitutto esaminare le conclusioni per risarcimento danni alla luce della terza di tali condizioni, relativa all’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento asserito e il danno lamentato. Per quanto riguarda tale condizione, la giurisprudenza stabilisce che il danno lamentato deve essere il risultato diretto del comportamento asserito (v., in tal senso, sentenza della Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier frères e a./Consiglio, Racc. pag. 3091, punto 21; sentenze del Tribunale 18 settembre 1995, causa T-168/94, Blackspur e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II-2627, punto 49, e 29 ottobre 1998, causa T-13/96, TEAM/Commissione, Racc. pag. II-4073, punto 74).

202

I ricorrenti reputano che il danno, costituito dalle spese che dovranno sostenere per introdursi nel mercato del vino con una denominazione diversa dalla denominazione «Champagne» e dal lucro cessante conseguente al ribasso prevedibile del prezzo della loro produzione quando quest’ultima sarà privata di tale denominazione, risulta in maniera diretta dall’adozione, da parte del Consiglio e della Commissione, della decisione impugnata, che approva le disposizioni controverse dell’accordo.

203

Analogamente a quanto esposto nell’ambito delle conclusioni per l’annullamento, occorre esaminare, nell’ordine, la situazione dei ricorrenti sul territorio comunitario e sul territorio della Svizzera.

204

Sul territorio comunitario, risulta dai precedenti punti 130-139 che le disposizioni controverse dell’accordo non hanno avuto incidenza sulla situazione dei ricorrenti, i quali al momento dell’entrata in vigore dell’accordo già non potevano commercializzare la loro produzione con la denominazione «Champagne» in forza del regolamento n. 2392/89. Conformemente a quanto esposto ai precedenti punti 140-150, tale impossibilità risulta anche dal regolamento n. 753/2002, divenuto applicabile a decorrere dal 1o agosto 2003.

205

Ne deriva che, sul territorio comunitario, la decisione impugnata non può essere all’origine del danno che i ricorrenti asseriscono di aver subito, in quanto quest’ultimo, come evidenziato dai ricorrenti, risulta già dalla normativa comunitaria applicabile. A tal riguardo, occorre peraltro osservare che, in occasione della vendita di loro prodotti con la denominazione «Arquebuse» in Belgio, i ricorrenti hanno già dovuto inserirsi nel mercato comunitario utilizzando una denominazione diversa, prima dell’entrata in vigore dell’accordo.

206

Sul territorio della Svizzera, risulta dal precedente punto 91 che i presunti effetti pregiudizievoli che l’accordo produce nei confronti dei ricorrenti trovano la loro unica fonte nella circostanza che, decidendo in maniera sovrana di firmare e ratificare il detto accordo, la Confederazione svizzera ha dato il consenso ad essere vincolata da quest’ultimo e si è impegnata, ai sensi dell’art. 14 di detto accordo, ad adottare tutte le disposizioni atte a garantire l’esecuzione degli obblighi che ne conseguono, tra i quali quelli derivanti dalle disposizioni controverse.

207

Ne consegue che l’eventuale danno che i ricorrenti potrebbero subire, sul territorio della Svizzera, per le misure adottate dalle autorità svizzere in esecuzione dell’accordo non può essere considerato imputabile alla Comunità, ragion per cui il Tribunale non è competente a conoscere di un’azione diretta ad ottenerne il risarcimento.

208

Se è pur vero che, quando la Confederazione svizzera ha firmato e ratificato l’accordo, essa si è impegnata, conformemente al diritto internazionale, a garantirne la piena esecuzione, nell’ambito del quale essa non ha un potere discrezionale, ciò non toglie che tale obbligo deriva, a monte, dalla manifestazione di una scelta sovrana da parte della Confederazione svizzera nelle trattative che hanno portato alla conclusione dell’accordo e, ulteriormente, dalle sue relazioni esterne.

209

L’argomento dei ricorrenti secondo cui la Confederazione svizzera non avrebbe avuto, in definitiva, altra scelta che accettare le disposizioni controverse pena il fallimento della stipula dei sette accordi settoriali non può quindi indurre a considerare che il danno asserito è imputabile alla Comunità. Infatti, pur nell’ipotesi che tale argomento si basi su una realtà accertata, occorre osservare che l’accettazione da parte della Confederazione svizzera di dette disposizioni s’inserisce nell’ambito di negoziati fondati su concessioni e vantaggi reciproci, in esito ai quali tale Stato ha potuto decidere in modo libero e sovrano di rinunciare alla difesa della denominazione comunale «Champagne», tenuto conto dell’interesse che aveva globalmente ad ottenere la stipula tanto dell’accordo che, più in generale, dei sette accordi settoriali.

210

Tale circostanza è, del resto, suffragata dalla lettera del capo del dipartimento federale degli Affari esteri inviata il 24 marzo 1999 all’associazione dei viticoltori-cantinieri, nella quale quest’ultimo sottolinea quanto segue:

«Secondo la vostra interpretazione, l’agricoltura “farebbe le spese di cattivi accordi” conclusi con l’Unione europea a favore degli altri settori della nostra economia. Il Consiglio federale non condivide tale analisi, in quanto l’esame dettagliato degli accordi siglati il 26 febbraio 1999 hanno dimostrato che l’accordo concluso nel settore agricolo è, di per sé, equilibrato e offrirà opportunità di esportazione interessanti all’agricoltura svizzera nel mercato dell’Unione europea con oltre 370 milioni di consumatori».

211

La questione se la posizione della Comunità nell’ambito dei negoziati delle disposizioni controverse dell’accordo trovi la sua origine nella volontà della Repubblica francese di tutelare la denominazione d’origine controllata francese «Champagne» è del tutto irrilevante a tal riguardo. Infatti, è giuridicamente irrilevante conoscere la posizione che ha potuto avere la Repubblica francese durante i negoziati dell’accordo, in quanto solo la Comunità e la Confederazione svizzera vi hanno partecipato.

212

Infine, occorre osservare che, se il presunto danno subito sul territorio della Svizzera è, in definitiva, imputabile alle autorità di tale Stato, spetta ai giudici svizzeri competenti pronunciarsi sull’eventuale diritto di risarcimento del danno che dette autorità avrebbero loro cagionato.

213

Così, senza che occorra nemmeno pronunciarsi sui motivi di irricevibilità dedotti dal Consiglio e dalla Commissione (v., in tal senso, sentenze della Corte 26 febbraio 2002, causa C-23/00 P, Consiglio/Boehringer, Racc. pag. I-1873, punto 52, e 23 marzo 2004, causa C-233/02, Francia/Commissione, Racc. pag. I-2759, punto 26), occorre respingere le presenti conclusioni per risarcimento danni in quanto manifestamente infondate in diritto, laddove esse riguardano il presunto danno subito sul territorio comunitario, e per incompetenza del Tribunale, laddove esse riguardano il presunto danno subito sul territorio della Svizzera.

214

Pertanto, il ricorso dev’essere respinto in toto, senza che occorra accogliere il quinto capo delle conclusioni dei ricorrenti.

3. Sui motivi nuovi dedotti in corso di causa

215

Con lettera 7 marzo 2007, i ricorrenti hanno chiesto al Tribunale di poter presentare motivi nuovi sulla base dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

216

Essi invocano l’adozione della decisione del Consiglio 20 dicembre 2005, 2006/232/CE relativa alla conclusione dell’accordo tra la Comunità europea e gli Stati Uniti d’America sul commercio del vino (GU 2006, L 87, pag. 1), da cui risulterebbe che le denominazioni qualificate in tale Stato come semigeneriche possono continuare a figurare sulle etichette dei prodotti da queste designate a condizione che facciano parte di un insieme oggetto di un’omologazione. In tal modo, i ricorrenti affermano che alcuni viticoltori degli Stati Uniti potranno, a determinate condizioni, utilizzare sul loro territorio la denominazione «Champagne». Tale circostanza dimostrerebbe il carattere sproporzionato e discriminatorio della decisione impugnata.

217

A tal riguardo, basta rilevare che gli argomenti dei ricorrenti riguardano esclusivamente il merito del ricorso, ragion per cui essi non possono rimettere in discussione né l’irricevibilità del ricorso in annullamento né l’incompetenza parziale del Tribunale a pronunciarsi sul ricorso di risarcimento del presunto danno subito sul territorio della Svizzera, constatate in precedenza. D’altro canto, poiché tali argomenti sono volti a dimostrare l’eventuale illecito commesso dalla Comunità all’origine del danno che i ricorrenti asseriscono di aver subito sul territorio comunitario, essi non possono nemmeno rimettere in discussione la mancanza, constatata in precedenza, del nesso di causalità, sul territorio comunitario, tra tale danno e il preteso illecito.

218

Senza che occorra nemmeno determinare se le condizioni di ricevibilità di cui all’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura siano soddisfatte nella fattispecie, gli argomenti dei ricorrenti fondati sulla decisione 2006/232 devono, pertanto, in ogni caso, essere respinti.

Sulle spese

219

Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché i ricorrenti sono rimasti soccombenti, occorre condannarli a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal Consiglio e dalla Commissione, conformemente alle conclusioni di questi ultimi.

220

La Repubblica francese sopporterà le proprie spese, ai sensi dell’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

così provvede:

 

1)

La domanda di annullamento è irricevibile.

 

2)

La domanda di risarcimento del danno è respinta.

 

3)

I ricorrenti sopporteranno le proprie spese nonché quelle del Consiglio e della Commissione.

 

4)

La Repubblica francese sopporterà le proprie spese.

 

Lussemburgo, 3 luglio 2007

Il cancelliere

E. Coulon

Il presidente

M. Jaeger

ALLEGATO

Jacqueline Gonin Péroset-Grandson, residente in Champagne (Svizzera),

De Rahm e Cie SA, con sede in Losanna (Svizzera),

Françoise Grin, residente in Champagne,

Janine Payot, residente in Champagne,

Rose-Marie Richard, residente in Morges (Svizzera),

Yolande Richardet, residente in Les Tuileries-de-Grandson (Svizzera),

Antoinette Schopfer, residente in Yverdon-les-Bains (Svizzera),

Huguette Verraires-Banderet, residente in Renens (Svizzera),

Dominique Dagon, residente in Onnens (Svizzera),

Susy Dagon, residente in Champagne,

Élisabeth Giroud, residente in Champagne,

Huguette Giroud, residente in Champagne,

Serge Gonin Péroset-Grandson, residente in Champagne,

Gilbert Guilloud, residente in Champagne,

Claude Loup, residente in Champagne,

Charles Madörin, residente in Champagne,

Claude Madörin, residente in Jongny (Svizzera),

Rudolf Moser-Perrin, residente in Payerne (Svizzera),

Marc Perdrix, residente in Champagne,

René Perdrix, residente in Giez (Svizzera),

Éric Schopfer, residente in Champagne,

Denis Tharin, residente in Champagne,

José Tharin, residente in Champagne,

Maxime Tharin, residente in Champagne,

Albert Banderet, residente in Champagne,

Gilbert Banderet, residente in Champagne,

Jean-Pierre Banderet, residente in Yverdon-les-Bains,

Emmanuel Borgeaud, residente in Champagne,

Paul André Cornu, residente in Champagne,

Ronald Dagon, residente in Champagne,

Jean-Michel Duvoisin, residente in Bonvillars (Svizzera),

Daniel Forestier, residente in Bonvillars,

Michel Forestier, residente in Champagne,

Edgar Giroud, residente in Torgon (Svizzera),

Edmond Giroud, residente in Champagne,

Georges Giroud, residente in Champagne,

Cofigo SA, con sede in Morges,

Jean Vogel, residente in Grandvaux (Svizzera),

Commune d’Yverdon (Svizzera).


( *1 ) Lingua processuale: il francese.