Parole chiave
Massima

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1. Aiuti concessi dagli Stati — Divieto — Deroghe — Aiuti che possono essere considerati compatibili col mercato comune — Discrezionalità della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Limiti

(Artt. 87, n. 3, CE e 88 CE)

2. Aiuti concessi dagli Stati — Divieto — Deroghe — Comunicazione della Commissione relativa alla disciplina degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese — Definizione della nozione di «piccole e medie imprese» — Interpretazione del criterio dell’indipendenza

(Raccomandazione della Commissione 96/280 relativa alla definizione delle piccole e medie imprese; comunicazione della Commissione relativa alla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese)

Massima

1. Qualora persone fisiche o giuridiche, giuridicamente autonome, costituiscano un’unità economica, occorre considerarle come una sola impresa ai fini dell’applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza.

Nel campo degli aiuti di Stato, è necessario verificare se ci si trovi di fronte ad un’unità economica nel momento in cui si deve identificare il beneficiario di un aiuto. Al riguardo la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale nel determinare se talune società appartenenti ad un gruppo debbano essere considerate come unità economica o come giuridicamente e finanziariamente autonome ai fini dell’applicazione del regime degli aiuti di Stato. Tale potere discrezionale della Commissione implica la considerazione e la valutazione di fatti e di circostanze economiche complesse. Poiché il giudice comunitario non può sostituire la propria valutazione dei fatti, specificamente sul piano economico, a quella dell’autore della decisione, il sindacato del Tribunale deve, in quest’ambito, limitarsi alla verifica dell’osservanza delle norme relative alla procedura e alla motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, come anche dell’insussistenza di errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere. Inoltre, dalla formulazione stessa degli artt. 87, n. 3, lett. c), CE e 88 CE risulta che la Commissione «può» considerare compatibili con il mercato comune gli aiuti contemplati dalla prima di queste due disposizioni. Pertanto, la Commissione, pur dovendo sempre pronunciarsi sulla compatibilità con il mercato comune degli aiuti di Stato sui quali essa esercita il suo controllo, quand’anche questi non le siano stati notificati, non è tenuta a dichiarare tali aiuti compatibili con il mercato comune.

(v. punti 50-53)

2. La Commissione è vincolata dalle discipline e dalle comunicazioni da essa emanate in materia di controllo degli aiuti di Stato, nei limiti in cui esse non derogano alle norme del Trattato e vengono accettate dagli Stati membri.

A tal riguardo, risulta dal punto 1.2 della comunicazione della Commissione relativa alla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese (PMI), pubblicata nel 1996, che l’approccio favorevole della Commissione nei confronti di questi aiuti è giustificato dalle imperfezioni del mercato a causa delle quali tali imprese devono far fronte ad un certo numero di ostacoli e che limitano il loro sviluppo socialmente ed economicamente auspicabile, e dal punto 3.2 della stessa comunicazione risulta che, per essere qualificata come PMI ai sensi di tale disciplina, un’impresa deve soddisfare tre requisiti: quello del numero di dipendenti, quello finanziario e quello dell’indipendenza. Per quanto riguarda quest’ultimo criterio, l’art. 1, n. 3, dell’allegato alla raccomandazione della Commissione 96/280, relativa alla definizione delle PMI, prevede che siano considerate imprese indipendenti quelle il cui capitale o i cui diritti di voto non sono detenuti per il 25% o più da una sola impresa, oppure, congiuntamente, da più imprese non conformi alle definizioni di PMI. L’art. 1, n. 4, dello stesso allegato prevede altresì che, ai fini del calcolo delle soglie di cui al n. 1, si debbano sommare i dati dell’impresa destinataria e di tutte le imprese di cui essa detiene, direttamente o indirettamente, il 25% o più del capitale o dei diritti di voto.

Orbene, il dispositivo di un atto è indissociabile dalla sua motivazione e va pertanto interpretato, se necessario, tenendo conto dei motivi che hanno portato alla sua adozione.

Nel caso di specie emerge, in particolare dal diciottesimo, dal diciannovesimo e dal ventiduesimo ‘considerando’ della citata raccomandazione, nonché dal punto 3.2 della comunicazione relativa alla disciplina PMI, che l’obiettivo del criterio dell’indipendenza è di garantire che le misure destinate alle PMI avvantaggino effettivamente le imprese che subiscono lo svantaggio della loro dimensione e non quelle che appartengono ad un grande gruppo e che pertanto hanno accesso a mezzi e sostegni inesistenti per le imprese concorrenti di dimensioni equivalenti, ma che non fanno parte di grandi gruppi. Ne consegue altresì che, per selezionare unicamente le imprese che effettivamente sono PMI indipendenti, occorre eliminare le costruzioni giuridiche di PMI che formano un gruppo economico la cui potenza supera quella di una siffatta impresa e assicurare che la definizione di PMI non sia aggirata per motivi puramente formali.

Occorre pertanto interpretare alla luce di tale obiettivo i nn. 3 e 4 dell’art. 1 dell’allegato alla raccomandazione 96/280, di modo che i dati di un’impresa, anche se le sue quote sono detenute per meno del 25% da un’altra impresa, devono essere presi in considerazione ai fini del calcolo delle soglie di cui al n. 1 dello stesso articolo quando tali imprese, pur se formalmente distinte, costituiscono un’unità economica.

(v. punti 54, 56-63)