CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L. A. GEELHOED
presentate il 29 aprile 2004(1)



Causa C-304/02



Commissione delle Comunità europee
contro
Repubblica francese



(Ricorso proposto il 27 agosto 2002 dalla Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica francese)

«Inadempimento di uno Stato, art. 228 CE – Omessa esecuzione della sentenza della Corte 11 giugno 1991, causa C – 64/88 – Omessa garanzia del rispetto delle misure tecniche di conservazione relative alle dimensioni minime dei pesci, in particolare dei naselli – Omessa rilevazione degli inadempimenti di cui le autorità nazionali hanno potuto accertare l'esistenza e il mancato perseguimento dei trasgressori – Penalità»






I – Introduzione

1.        Il procedimento in esame è stato avviato dalla Commissione ai sensi dell’art. 228, n. 2, secondo comma, CE, a seguito della sentenza della Corte 11 giugno 1991, causa C‑64/88, Commissione/Repubblica francese  (2) In detta sentenza la Corte aveva dichiarato che, non avendo assicurato, tra il 1984 e il 1988, dei controlli che garantissero il rispetto delle misure tecniche comunitarie per la conservazione delle risorse di pesca  (3) , la Repubblica francese era venuta meno agli obblighi imposti dall’art. 1 del regolamento (CEE) del Consiglio 29 giugno 1982, n. 2057, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca esercitate dai pescherecci degli Stati membri  (4) , nonché dall’art. 1 del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987 n. 2241, che istituisce alcune di controllo delle attività di pesca (in prosieguo: il «regolamento sul controllo»)  (5) .

2.        Più in particolare, la Corte aveva rilevato che la Repubblica francese non aveva vigilato in maniera adeguata sul rispetto delle norme comunitarie in tema di:

dimensioni minime delle maglie delle reti,

dispositivi di agganciamento delle reti,

catture accessorie e

dimensioni minime dei pesci che potevano essere venduti.

La Corte aveva inoltre dichiarato che la Repubblica francese era venuta meno all’obbligo di perseguire i trasgressori delle pertinenti disposizioni comunitarie, come prescritto dai regolamenti in tema di controlli.

3.        Alcuni mesi dopo la sentenza della Corte, la Commissione richiedeva al governo francese di fornirle informazioni in ordine alle misure adottate in attuazione della sentenza, come prescritto dall’art. 228 CE. È stato questo l’inizio di un prolungato dialogo tra la Commissione e il governo francese, durato circa 11 anni, avente ad oggetto gli sforzi prodotti dalla Francia per dare attuazione ai regolamenti comunitari sulla pesca. Pur avendo ammesso, nel corso di tale dialogo, che progressi erano stati compiuti con riguardo alla maggior parte delle dette questioni, la Commissione si dichiarava non convinta del fatto che la Repubblica francese avesse pienamente rispettato i propri obblighi in tema di catture e di vendita dei pesci sotto misura, in particolare i naselli, nonché di perseguimento dei trasgressori delle norme applicabili.

4.        Pertanto, la Commissione chiede ora alla Corte di dichiarare che, persistendo l’assenza di attività di controllo al fine di garantire il rispetto delle misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca, e quindi persistendo l’inadempimento agli obblighi prescritti dai regolamenti comunitari in tema di controlli, la Repubblica francese non ha applicato tutte le misure necessarie per l’attuazione della sentenza 11 giugno 1991 e, di conseguenza, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 228 CE. La Commissione chiede, inoltre, che la Corte voglia ingiungere alla Repubblica francese di versare a favore delle «risorse proprie della CE» un’ammenda di EUR 316 500 per ogni giorno di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla suddetta sentenza, a decorrere dall’emanazione della presente pronuncia e sino alla piena esecuzione della sentenza 11 giugno 1991. Infine, essa chiede che la Corte voglia condannare la Repubblica francese alle spese del giudizio.

5.        La Repubblica francese chiede, in primo luogo, che la Corte voglia dichiarare infondato il ricorso della Commissione. In subordine, qualora la Corte dovesse ritenere opportuno irrogare una sanzione, la Repubblica francese chiede che essa voglia tener conto nella sua valutazione di tutte le circostanze del caso di specie.

II – Disposizioni comunitarie pertinenti

6.        Le disposizioni comunitarie in tema di controlli sul settore della pesca di cui si discute nel caso in oggetto erano contenute, inizialmente, nel regolamento del Consiglio n. 2057/82 e, successivamente, nel regolamento del Consiglio n. 2241/87, entrambi menzionati al paragrafo 1. Il regolamento sul controllo attualmente in vigore è il regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847  (6) , che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca (in prosieguo: il «regolamento n. 2847/93»).

7.        Ai sensi dell’art. 1, il regolamento n. 2847/93 istituisce un regime comunitario per garantire l’osservanza delle disposizioni della politica comune della pesca. Tale regime comprende, in particolare, disposizioni sul controllo tecnico, tra l’altro, delle misure di conservazione e di gestione delle risorse, nonché disposizioni relative all’efficacia delle sanzioni da applicare in caso di inosservanza delle misure medesime. L’art. 1, n. 2, detta gli obblighi fondamentali degli Stati membri in merito al controllo dell’esecuzione delle disposizioni comunitarie in tema di pesca:

«A tal fine ogni Stato membro adotta, conformemente alla normativa comunitaria, provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime. Esso dota altresì le proprie autorità competenti di mezzi sufficienti all’espletamento delle loro funzioni ispettive e di controllo definite nel presente regolamento (…)».

8.        L’art. 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93 stabilisce quanto segue:

«Per garantire l’osservanza di tutta la normativa vigente in materia di conservazione e controllo, ogni Stato membro controlla, nel proprio territorio e nelle acque marittime sotto la sua sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca e delle attività connesse. Esso ispeziona i pescherecci e controlla tutte le attività permettendo in tal modo di verificare l’applicazione del presente regolamento, in particolare le attività di sbarco, di vendita, di trasporto e di magazzinaggio dei prodotti della pesca, nonché la registrazione degli sbarchi e delle vendite (…)».

9.        Per quanto riguarda l’attuazione delle misure che gli Stati membri debbono adottare riguardo alle violazioni delle disposizioni comunitarie in tema di pesca, l’art. 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93 dispone infine quanto segue:

«1.     Gli Stati membri garantiscono che siano prese adeguate misure, compreso [l’avvio] di azioni amministrative o penali conformemente alle legislazioni nazionali, contro le persone fisiche o giuridiche responsabili, qualora sia stata constatata una violazione [delle norme] della politica comune della pesca, in particolare in seguito all’ispezione o al controllo effettuati in conformità del presente regolamento  (7) .

2.       Le azioni promosse ai sensi del paragrafo 1 devono, secondo le pertinenti disposizioni legislative nazionali, privare effettivamente i responsabili del beneficio economico derivante dall’infrazione o produrre effetti proporzionati alla gravità delle infrazioni, tali da fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo».

10.      Nel caso in esame la Commissione sostiene che le autorità francesi non avrebbero posto in essere un’adeguata attività di controllo e di esecuzione delle misure comunitarie di conservazione volte ad impedire lo sbarco e la vendita di pesci sotto misura, in particolare dei naselli. Le pertinenti disposizioni comunitarie sono dettate in una serie di regolamenti del Consiglio che istituiscono misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca  (8) . Attualmente è in vigore il regolamento (CE) del Consiglio 30 marzo 1998, n. 850, per la conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche per la protezione del novellame  (9) . Senza necessità di riportare in extenso le disposizioni rilevanti, ritengo opportuno sottolineare, in via generale, che tale regolamento contiene una serie di norme dirette a impedire la cattura, lo sbarco e la vendita di pesci sotto misura. Tra di esse, vi sono disposizioni in tema di dimensioni minime delle maglie delle reti, il divieto di dispositivi che possano ostruire le maglie o comunque ridurne effettivamente le dimensioni e il divieto, tra l’altro, di sbarco o di vendita di pesci sotto misura, fatta eccezione per le catture che rappresentino solo una percentuale limitata del totale.

III – Fase precontenziosa del procedimento

11.      Come indicato in precedenza, il problema dell’adozione, da parte della Repubblica francese, di misure atte a porre fine alle violazioni accertate dalla Corte nella sentenza 11 giugno 1991 ha costituito oggetto di un lungo dialogo tra la Commissione e le autorità francesi, protrattosi dal novembre 1991 fino all’avvio del presente procedimento, avvenuto il 27 agosto 2002. Nel corso della fase precontenziosa del procedimento, la posizione della Commissione è stata espressa nelle relazioni presentate dagli ispettori comunitari per la pesca  (10) , contenenti accertamenti di fatti rilevati nel corso di regolari controlli effettuati in porti e aste in diverse regioni costiere della Francia.

12.      Nella corrispondenza iniziale tra la Commissione e la Repubblica francese relativa alle misure adottate da quest’ultima per porre termine alle violazioni accertate nella sentenza 11 giugno 1991, le autorità francesi spiegavano di «star facendo tutto il possibile per agire in conformità con le disposizioni rilevanti del Trattato al fine di dare attuazione alla sentenza». Esse facevano riferimento, tra l’altro, ad un’azione «di lungo respiro» («action de longue haleine») volta a ridurre gli sbarchi di pesci sotto misura.

13.      In seguito ad ispezioni effettuate presso numerosi porti francesi nel 1992, gli ispettori comunitari della pesca riferivano miglioramenti della situazione, specie con riguardo alle disposizioni legislative relative al controllo dell’osservanza delle disposizioni comunitarie in tema di pesca. Tuttavia, i controlli restavano insoddisfacenti sotto numerosi profili. I problemi principali riguardavano i calibri utilizzati per misurare le dimensioni delle maglie e il controllo delle catture accessorie e delle dimensioni dei pesci. Inoltre, il perseguimento dei trasgressori non era adeguato. Di conseguenza, la Commissione inviava alla Repubblica francese, in data 11 ottobre 1993, una lettera di diffida indicando i suddetti punti e invitando il governo francese a presentare osservazioni.

14.      Le informazioni e le spiegazioni fornite in merito dal governo francese consentivano alla Commissione di concludere che le violazioni riguardanti il controllo delle norme comunitarie in tema di catture accessorie erano cessate. Tuttavia, essa rilevava la persistenza di numerose altre carenze, attinenti in particolare alla misurazione delle dimensioni delle maglie nonché allo sbarco e alla vendita all’asta di pesci sotto misura. Da tale ultima circostanza la Commissione desumeva che le autorità francesi mantenessero un atteggiamento permissivo nei confronti dello sbarco e della vendita di pesci sotto misura in violazione delle norme comunitarie. Inoltre, l’azione «di lungo respiro» era stata apparentemente sospesa in parte della Bretagna, nella regione Bigouden  (11) , a causa della difficile situazione socio‑economica della regione e alla luce del carattere politicamente rilevante del problema. L’atteggiamento «permissivo» riguardo al controllo risultava confermato da azioni legali che, nel complesso, non conducevano all’irrogazione di sanzioni proporzionate alla gravità delle violazioni.

15.      La Commissione notificava pertanto alla Repubblica francese, ai sensi dell’art. 171, n. 2, del Trattato CE (divenuto art. 228, n. 2, CE), in data 14 aprile 1996, un parere motivato nel quale rilevava che alla sentenza della Corte 11 giugno 1991 non era stata ancora data piena attuazione quanto ai punti seguenti:

mancata osservanza delle disposizioni comunitarie in tema di misurazione delle dimensioni minime delle maglie;

insufficienza dei controlli, che consentivano la vendita di pesci sotto misura;

atteggiamento permissivo da parte delle autorità francesi, avvalorato dal fatto che il perseguimento delle infrazioni aveva portato, nel complesso, all’irrogazione di sanzioni non proporzionate alla gravità delle violazioni e pertanto non dissuasive.

La Commissione richiamava l’attenzione della Repubblica francese sulla possibilità che la Corte le irrogasse sanzioni pecuniarie in caso di mancata esecuzione della sentenza 11 giugno 1991, ingiungendole di rispondere entro due mesi dalla notificazione del parere motivato.

16.      Nelle risposte al parere motivato inviate il 26 luglio 1996 e il 27 maggio 1997, la Repubblica francese asseriva che i regolamenti comunitari sulle dimensioni minime delle maglie delle reti erano stati correttamente applicati e che in merito non le era giunto alcun reclamo da parte degli ispettori comunitari per la pesca. Essa forniva, inoltre, informazioni e dati relativi alle ispezioni effettuate, alle sanzioni irrogate nonché alle risorse destinate a vigilare sul rispetto delle disposizioni comunitarie in tema di pesca. Infine, la Repubblica francese lamentava il fatto che le relazioni contenenti gli accertamenti degli ispettori comunitari per la pesca non erano stati messi a sua disposizione, sicché essa era stata privata dell’opportunità di replicare adeguatamente ai fatti contestatile nel parere motivato.

17.      In successive comunicazioni, il governo francese forniva informazioni aggiuntive alla Commissione in merito all’intensificazione delle operazioni di controllo effettuate dalla Francia e alle misure da essa adottate per migliorare l’organizzazione interna dei servizi responsabili della vigilanza sul rispetto delle norme comunitarie in tema di pesca. In una lettera datata 31 ottobre 1997 esse osservano che sembrava essere stato raggiunto un equilibrio soddisfacente nell’applicazione delle disposizioni comunitarie e nazionali «al di là dei problemi residui relativi alle dimensioni dei naselli piccoli (“merluchon”) nella regione di Bigouden».

18.      Malgrado le suddette osservazioni e i positivi sviluppi sul piano organizzativo menzionati dalle autorità francesi, ulteriori controlli effettuati tra il 1996 e il 2000 dagli ispettori comunitari per la pesca presso porti francesi e aste nelle regioni costiere rivelavano la persistenza del problema dello sbarco e della vendita di pesci sotto misura. In diverse occasioni, gli ispettori comunitari osservavano che non vi erano pubblici ufficiali che assistessero agli sbarchi e alle aste o che quelli presenti non assumevano alcuna iniziativa contro la vendita di naselli sotto misura (ispezioni effettuate a Le Guilvinec e a Concarneau nel settembre 1997, e a Marennes‑Oleron, Arcachon e Bayonne nell’ottobre 1997). In una delle relazioni (ispezioni effettuate a Lorient, Le Guilvinec e Concarneau nell’agosto 1996) si riferisce dell’esistenza di «un accordo tacito tra l’industria e le autorità per consentire lo sbarco di naselli di 24 cm anziché che della lunghezza di 27 cm prevista per legge». In un’altra relazione (ispezioni effettuate a Douarnenez, Lorient e Le Guilvinec nel marzo 1999) viene menzionato il fatto che agli ufficiali pubblici locali era stata data verbalmente l’istruzione di escludere dall’asta i pesci di lunghezza inferiore ai 17 cm, ma di consentire la vendita dei pesci di dimensioni comprese tra 17 e 23 cm e tra 23 e 26 cm. Era stato inoltre rilevato che questi naselli sotto misura, spesso venduti come «naselli da frittura» («mercluchon friture») venivano di solito messi all’asta esplicitamente con la classificazione «00», riservata per queste categorie di pesci così come per i pesci sotto misura di specie diverse (ispezioni effettuate a Lorient, Benodet, Loctudy, Le Guilvinec, Lesconil e St. Guénolé nel luglio 1999). Infine, nel corso di un’ispezione nei porti di Sète, Agde e Port Vendres sul Mediterraneo nell’aprile 2000, era emerso come non si trattasse di pratiche confinate alla Bretagna, bensì di un problema esteso all’intera Repubblica francese.

19.      Gli accertamenti degli ispettori comunitari per la pesca inducevano la Commissione ad emanare un secondo parere motivato il 6 giugno 2000. In tale parere la Commissione concludeva che, successivamente al parere motivato del 17 aprile 1996 e dalla risposta del governo francese, era proseguita la vendita dei pesci sotto misura nelle aste o direttamente agli acquirenti, che gli ispettori nazionali non vigilavano sugli sbarchi e sulle aste al fine di individuare la presenza di pesci sotto misura, in particolare di naselli, e che le violazioni venivano perseguite solo sporadicamente. A parere della Commissione, l’uso del codice «00» nei documenti ufficiali relativi alle aste sarebbe particolarmente grave, in quanto violazione manifesta delle disposizioni del regolamento (CE) del Consiglio 26 novembre 1996, n. 2406, che stabilisce norme comuni di commercializzazione per taluni prodotti della pesca  (12) , e in particolare dell’art. 2 dello stesso. Il fatto che il problema del nasello di piccola taglia («merluchon») sia politicamente delicato, che riguardi una regione in particolare e che il problema si sia ridimensionato significativamente negli anni recenti non potrebbe giustificare, secondo la Commissione, la mancata applicazione delle misure tecniche di conservazione. Essendo tali misure dirette alla tutela del novellame, il mancato rispetto sistematico delle disposizioni comunitarie potrebbe avere ripercussioni disastrose sulla condizione delle riserve disponibili. La violazione di tali disposizioni sarebbe pertanto grave, specie perché risulta che le autorità francesi abbiano impartito istruzioni dirette alla loro mancata applicazione. La Commissione invitava il governo francese ad adottare le misure necessarie per porre rimedio alle violazioni da essa riscontrate entro due mesi dalla notificazione del nuovo parere motivato.

20.      Il governo francese rispondeva in data 1° agosto 2000, mettendo in rilievo tre punti in particolare. In primo luogo, esso sosteneva che il codice «00» non era mai stato utilizzato per indicare i pesci sotto misura, bensì i pesci non selezionati di diverse dimensioni. In secondo luogo, esso affermava che gli ispettori comunitari per la pesca nelle loro relazioni sembravano aver confuso i soggetti responsabili delle operazioni commerciali delle strutture di vendita con i soggetti incaricati dell’applicazione dei regolamenti sulla pesca, gli unici competenti ad accertare l’esistenza di trasgressioni. Il governo francese riteneva eccessivo, e persino ingiusto, concludere che i servizi di vigilanza avessero mostrato un atteggiamento permissivo sulla base dei dati comunicati alla Commissione in merito alle azioni intraprese dalle autorità francesi contro le violazioni delle norme sulle dimensioni minime dei pesci. In terzo luogo, esso spiegava che sin dalla relazione degli ispettori comunitari del luglio 1999 erano stati apportati notevoli miglioramenti alla struttura organizzativa e normativa per il controllo del rispetto dei regolamenti in tema di pesca. La riorganizzazione dei servizi di controllo dimostrerebbe la ferma intenzione delle autorità francesi d’intensificare l’efficacia dei controlli nel settore della pesca.

21.      La Commissione replicava il 15 febbraio 2001 chiedendo ulteriori informazioni in ordine alle misure adottate dalla Repubblica francese per far cessare l’uso del codice «00». Inoltre, avendo preso atto della volontà della Repubblica francese di rafforzare i propri strumenti di vigilanza, la Commissione sottolineava che il parere motivato aggiuntivo si concentrava sul problema dello sbarco e della vendita di naselli sotto misura, in particolare nelle regioni bretoni del Finistère e del Morbihan. Essa chiedeva quindi alle autorità francesi di trasmetterle osservazioni in ordine a tale particolare tipo di violazioni. Le informazioni venivano fornite dal governo francese il 16 ottobre 2001. In primo luogo, il detto governo menzionava una circolare indirizzata alle autorità regionali e dipartimentali per far cessare l’utilizzazione del codice «00» al massimo entro la fine del 2001. Inoltre, esso faceva riferimento al fatto che alla Commissione erano state inviate copie di relazioni ufficiali su illeciti, confische e provvedimenti rilevanti. Il governo francese metteva inoltre in risalto che dal 1998 il numero delle azioni legali promosse contro le violazioni delle norme sulle dimensioni minime dei pesci era aumentato e che erano state irrogate sanzioni penali a scopo dissuasivo. Infine, esso menzionava l’esistenza di un piano di controllo generale per la pesca adottato nel 2001, con cui venivano stabilite priorità per vigilare sul rispetto delle disposizioni in tema di pesca. Tali priorità includevano l’esecuzione di un piano per il ripopolamento dei naselli e un controllo rigido sulle dimensioni minime dei pesci.

22.      Nel frattempo, gli ispettori comunitari per la pesca effettuavano nuove ispezioni (nel giugno 2001) presso numerosi porti nella regione di Bigouden, rilevando nuovamente l’inadeguatezza del livello e della qualità dei controlli. Gli ispettori concludevano che il livello di rispetto delle misure tecniche in questo settore non poteva ancora essere considerato accettabile. Lo sbarco e l’immissione in commercio di naselli sotto misura proseguivano, senza che venissero intrapresi sforzi tangibili di controllo per porre termine a tali pratiche. Essi rilevavano, inoltre, che le autorità nazionali responsabili disponevano di scarse risorse, erano mal equipaggiate e non sufficientemente addestrate. Le procedure amministrative non erano sufficientemente sviluppate per rispondere alle esigenze della situazione. Infine, essi sottolineavano come il livello e la qualità dei controlli nelle aste e nei negozi al dettaglio fossero estremamente bassi.

23.      Ritenendo che le informazioni fornite dalla Repubblica francese in ordine all’intensificazione delle azioni generali di controllo non affrontassero in termini sufficienti il problema dell’attuazione, nella regione del Bigouden, delle disposizioni comunitarie in tema di naselli sotto misura, la Commissione concludeva che la Repubblica francese non aveva ancora adottato misure adeguate per conformarsi alla sentenza 11 giugno 1991. Di conseguenza, con atto introduttivo depositato il 27 agosto 2002, essa proponeva il presente ricorso ex art. 228, n. 2, CE. Le domande di entrambe le parti sono già state esposte nei paragrafi 4 e 5 delle presenti conclusioni.

IV – La situazione attuale

24.      In vista dell’udienza, svoltasi il 19 dicembre 2003, la Corte ha rivolto una serie di quesiti scritti alla Commissione e alla Repubblica francese in merito alla situazione vigente riguardo al problema dello sbarco e della vendita di pesci sotto misura. Alla Commissione è stato chiesto se gli ispettori comunitari per la pesca avessero effettuato controlli in loco fin dall’avvio del procedimento in oggetto e, in caso di risposta affermativa, di fornire le relazioni degli ispettori e, qualora da tali relazioni fosse emerso che persistesse la vendita di ingenti quantità di pesci sotto misura, di indicare quali misure le autorità francesi avrebbero dovuto adottare per porre termine a tale situazione. Alla Repubblica francese è stato chiesto di fornire informazioni sul numero dei controlli effettuati in mare e a terra (sia nel corso sia al di fuori delle aste) a partire dall’avvio del procedimento in oggetto, al fine di garantire il rispetto delle disposizioni sulle dimensioni minime dei pesci, nonché di indicare il numero di violazioni e di azioni legali intraprese con riguardo alle violazioni stesse. Entrambe le parti hanno fornito le informazioni richieste il 30 gennaio 2004.

25.      La Commissione ha risposto che dall’avvio del presente procedimento sono state effettuate tre ispezioni in loco. Durante tali ispezioni è stato accertato che l’offerta di naselli sotto misura era diminuita nella Bretagna, e in particolare nella regione di Bigouden, ma non nelle regioni mediterranee. Gli ispettori comunitari avevano rilevato la mancanza di controlli diretti a prevenire la vendita di pesci sotto misura durante lo sbarco, nonché l’assenza di relazioni ufficiali per ciascun caso di trasgressione. Nonostante le misure, adottate dalle autorità francesi a decorrere dal 1998, dirette a migliorare i controlli, la Commissione non era in grado di stabilire se fossero state realmente efficaci e aveva, anzi, motivo di ritenere che così non fosse. Per poter concludere che le violazioni fossero effettivamente cessate, essa avrebbe dovuto ricevere informazioni complete ed esaurienti su tutti i controlli effettuati nel 2001, 2002 e 2003 sui pesci sotto misura e, in particolare, sui naselli. All’udienza la Commissione ha aggiunto che, per una corretta attuazione del regolamento n. 2847/93, occorre che venga seguita l’intera catena di attività relative alla pesca e che il controllo degli sbarchi è particolarmente importante in questi casi. Le informazioni e i dati forniti dal governo francese non sarebbero sufficientemente dettagliati per poter concludere che le violazioni siano cessate.

26.      Nella propria risposta, il governo francese ha fornito dati in ordine alle ispezioni effettuate in mare e a terra negli anni 2001‑2003. Da tali dati risulta che vi era stato un considerevole decremento in entrambi i tipi di controlli nel 2003, rispetto ai due anni precedenti. La riduzione dei controlli in mare nel 2003 era dovuta allo spiegamento di navi per combattere l’inquinamento conseguente all’affondamento della petroliera «Prestige». Secondo il governo francese, la diminuzione dei controlli a terra era dovuta ad un miglioramento della disciplina da parte dei pescatori, rilevata anche dagli ispettori comunitari durante un’ispezione effettuata senza preavviso nel giugno 2003. In tale occasione non erano stati notati pesci sotto misura. Anche dai dati relativi alle sanzioni irrogate è emerso un decremento tra il 2001 e il 2002. La situazione era dovuta ad una legge  (13) che amnistiava i soggetti condannati a multe inferiori a EUR 750 e garantiva l’amnistia ai soggetti condannati a multe di importo superiore solo dopo il loro debito pagamento. Le sanzioni comminate per la violazione delle norme sulle dimensioni dei pesci erano state notevolmente aumentate.

27.      In udienza, il governo francese ha replicato all’argomento della Commissione secondo cui, pur dovendosi riconoscere una diminuzione degli sbarchi di naselli sotto misura nell’area che suscitava le maggiori preoccupazioni, ossia la regione di Bigouden nella Bretagna, permaneva un problema nella costa mediterranea. Secondo il governo francese, poiché all’epoca della sentenza della Corte 11 giugno 1991 non venivano applicate misure di conservazione specifiche alla pesca nel Mediterraneo, il fatto che il rispetto del regolamento n. 2847/93 non fosse ancora soddisfacente in tale regione non poteva essere considerato come un’inosservanza della sentenza della Corte.

V – Analisi

A – Osservazioni preliminari: l’obbligo di attuazione nel contesto della politica comune della pesca

28.      Prima di iniziare la disamina delle misure adottate dalla Repubblica francese per conformarsi alle disposizioni comunitarie rilevanti in materia di pesca a seguito della sentenza della Corte 11 giugno 1991, è necessario collocare il problema in esame nel proprio contesto, ossia l’importanza dell’attuazione delle norme di diritto comunitario, in particolare nel campo della politica comune della pesca.

29.      In linea generale, benché autonomo, quello comunitario è un ordinamento giuridico subordinato, nel senso che, in numerosi settori, esso dipende dall’adoperarsi degli Stati membri al fine di garantire il pieno rispetto degli obblighi da esso derivanti sugli operatori economici. Sugli Stati membri incombe l’obbligo generale sancito dall’art. 10 CE di adottare tutte le misure atte ad assicurare che al diritto comunitario venga data piena applicazione ed esecuzione e che ne sia realizzato «l’effetto utile». Più in particolare, gli Stati membri sono tenuti a garantire la realizzazione di un’opportuna struttura normativa per l’applicazione e l’esecuzione delle misure comunitarie, la nomina di autorità competenti, la messa a disposizione di risorse sufficienti e l’adozione di misure adeguate contro i trasgressori. Qualora l’opera di attuazione negli Stati membri dovesse essere insufficiente, gli obiettivi delle disposizioni comunitarie rilevanti non potranno essere realizzati in maniera più o meno uniforme in tutta la Comunità.

30.      Benché gli Stati membri godano di un ampio margine di discrezionalità nel decidere come raggiungere tali obiettivi, la giurisprudenza della Corte ha dettato alcuni criteri relativi alle norme procedurali applicabili all’attuazione dei diritti e degli obblighi comunitari. Più specificamente, essa ha dichiarato, con consolidata giurisprudenza, che tali norme non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio dell’equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio dell’effettività)  (14) . Inoltre, la Corte ha chiarito che, in forza degli obblighi di attuazione su di essi incombenti ex art. 10 CE, gli Stati membri sono tenuti a vegliare a che «le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva. Inoltre, le autorità nazionali devono procedere nei confronti delle violazioni del diritto comunitario con la stessa diligenza usata nell’esecuzione delle rispettive legislazioni nazionali»  (15) .

31.      La rigorosa osservanza di questi obblighi generali in tema di effettiva applicazione ed attuazione delle misure comunitarie è, per svariati motivi, di particolare importanza nell’ambito della politica comunitaria della pesca (in prosieguo: la «PCP»). Tali motivi attengono al carattere di attività economica proprio della pesca, al fatto che le riserve ittiche nelle acque comunitarie debbono essere considerate come risorse comuni agli Stati membri, all’interdipendenza tra gli interessi degli Stati membri in tale settore e al rischio, sotto il profilo personale, costituito dall’imposizione di limitazioni allo sfruttamento delle risorse.

32.      La gestione di risorse naturali come le riserve ittiche implica la conciliazione di interessi economici (a breve termine) diretti al massimo sfruttamento, da un lato, con l’interesse alla conservazione delle riserve ad un livello accettabile sotto il profilo biologico ed ecologico, al fine di garantire lo sfruttamento nel lungo termine, dall’altro lato. Questo equilibrio fondamentale è sancito dall’art. 2 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 2002, n. 2371, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca  (16) , a norma del quale il principale obiettivo della PCP è di garantire «lo sfruttamento delle risorse acquatiche vive in condizioni sostenibili dal punto di vista sia economico che ambientale e sociale». In tale formula il principio‑guida è costituito dal concetto di sostenibilità, in quanto una delle peculiarità della pesca in quanto attività economica è data dal fatto che il prodotto è anche la fonte di produzione, è una risorsa rinnovabile. Ciò significa che esiste un limite naturale e biologicamente sostenibile al livello di sfruttamento delle riserve ittiche. Il mancato rispetto delle misure volte a limitare le attività di pesca o a tutelare il novellame si ripercuote necessariamente sulla capacità riproduttiva delle risorse ittiche nel lungo termine. Questa circostanza fondamentale spiega perché regole dettagliate sui controlli e sull’esecuzione abbiano costituito sin dall’inizio una parte integrante della PCP.

33.      Anche la Corte ha sottolineato la necessità di un rigoroso rispetto delle misure di conservazione nel settore della pesca al fine di salvaguardare la capacità produttiva nel lungo termine, dichiarando che «[i]l rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri nell’ambito del regime comunitario di conservazione e gestione delle risorse della pesca è da ritenersi imperativo per garantire la protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile e a condizioni economiche e sociali appropriate»  (17) . Analogamente, essa ha chiarito che «se le autorità competenti di uno Stato membro si astenessero sistematicamente dal perseguire i responsabili di (…) infrazioni, sarebbero pregiudicate sia la conservazione e la gestione delle risorse della pesca, sia l’applicazione uniforme della politica comune della pesca»  (18) .

34.      Le risorse ittiche vanno considerate come risorse comuni degli Stati membri che debbono essere gestite da tutti nell’interesse di tutti. Il mancato rispetto da parte di uno Stato membro delle misure comunitarie in tema di conservazione si ripercuote automaticamente sugli interessi (dell’industria ittica) di altri Stati membri. Esiste, in altri termini, un elevato grado di interdipendenza in questo settore che implica una «responsabilità congiunta»  (19) degli Stati membri per il controllo del regime di limitazione delle catture e per l’attuazione delle disposizioni dirette a tutelare le riserve ittiche da un eccessivo sfruttamento.

35.      Un altro risvolto di tale interdipendenza è che la realizzazione degli obiettivi della PCP dipende ovviamente, in primo luogo, dalla cooperazione da parte dell’industria ittica. È lecito supporre che la volontà di accettare e di osservare le limitazioni imposte all’attività della pesca sarà maggiore se i pescatori possono fare affidamento sul fatto che tali limitazioni verranno applicate equamente da tutti gli Stati membri e che, di conseguenza, essi opereranno in condizioni analoghe a quelle in cui versano i loro concorrenti di altri Stati membri. Differenze nelle modalità di attuazione delle disposizioni della PCP da parte degli Stati membri possono essere percepite come discriminatorie e come elementi di distorsione della concorrenza. L’uguaglianza nell’attuazione della pertinente normativa costituisce uno degli aspetti della regolarità del terreno su cui essi dovrebbero poter operare.

36.      Occorre comprendere, inoltre, che, se una data attività di pesca è soggetta a limitazioni per motivi di conservazione, ciò implica il rischio, sotto il profilo soggettivo, della mancata osservanza delle relative norme. Le limitazioni derivanti dalla possibilità di sbarcare minori quantità di pesce possono comportare un aumento dei prezzi che, di per sé, può rendere conveniente per i pescatori violare le norme applicabili. È quindi possibile che l’imposizione di restrizioni determini un incentivo economico a proseguire lo sfruttamento delle riserve già sotto pressione. Questa è, di per sé, una ragione per incrementare la vigilanza e gli sforzi di attuazione riguardo alle attività di pesca minacciate da eccessivo sfruttamento.

37.      Tali osservazioni dimostrano che un adeguato controllo e un’adeguata applicazione nel settore della pesca sono essenziali per garantire che le riserve ittiche vengano sfruttate in modo sostenibile. Poiché le carenze sotto questo profilo si ripercuotono sulla conservazione di risorse comuni a tutti gli Stati membri, le operazioni di applicazione debbono rispondere a criteri elevati. Ciò implica che gli obblighi imposti agli Stati membri dal regolamento n. 2847/93 debbono essere interpretati rigorosamente.

38.      Nel suo complesso, l’art. 1 del regolamento n. 2847/93 impone agli Stati membri di adottare «provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime» istituito al fine di «garantire l’osservanza delle disposizioni della politica comune della pesca». L’art. 2 aggiunge che essi sono tenuti a controllare l’esercizio della pesca e delle attività connesse, ispezionare i pescherecci e controllare tutte le attività, permettendo di verificare l’applicazione del regolamento, comprese, tra le altre, le attività di sbarco e di vendita del pesce. Infine, l’art. 31 impone agli Stati membri di adottare adeguate misure contro le persone fisiche o giuridiche responsabili di violazioni delle norme della PCP, privandoli del beneficio economico derivante dall’infrazione o adottando provvedimenti «proporzionati alla gravità delle infrazioni, tali da fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo».

39.      Il risultato che gli Stati membri debbono raggiungere in forza del regolamento n. 2847/93 è, pertanto, quello di garantire che la loro vigilanza e le loro attività di applicazione siano realmente efficaci. In tale contesto il termine «efficacia» va inteso nel senso che esista l’effettiva possibilità che, in caso di mancata osservanza, i pescatori incorrano nel serio rischio di essere scoperti e di subire sanzioni che, come minimo, li priveranno di tutti i benefici economici derivanti dalla violazione delle disposizioni in tema di pesca. L’attività di controllo e la minaccia di azioni repressive debbono generare una pressione sufficiente da rendere l’inadempimento non allettante sotto il profilo economico, in modo da garantire che la situazione prevista dalle disposizioni rilevanti in materia di pesca venga realizzata nella pratica.

40.     È questo il criterio che occorre applicare nel valutare se sussistano ancora le asserite infrazioni da parte della Repubblica francese.

B – Due questioni generali: date di riferimento e prove

41.      In primo luogo, nei procedimenti ex art. 228, n. 2, CE, l’inadempimento da parte di uno Stato membro degli obblighi su di esso incombenti deve essere valutato in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione. Nel caso in esame, la Commissione ha notificato alla Repubblica francese un primo parere motivato il 14 aprile 1996, cui ha fatto seguito un secondo parere motivato, in data 6 giugno 2000. In quest’ultimo documento veniva fissato un termine di due mesi per porre termine alle violazioni: di conseguenza, il momento per stabilire se la Repubblica francese avesse adempiuto all’obbligo, derivante dall’art. 228, n. 1, CE, di conformarsi alla sentenza della Corte 11 giugno 1991, è il 6 agosto 2000  (20) .

42.      Ciò implica che, per valutare l’esistenza o meno dell’asserito inadempimento, non può tenersi conto dei mutamenti successivi al detto termine  (21) . Tali mutamenti, però, acquistano rilevanza per valutare se sia opportuno comminare il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità, come previsto dall’art. 228, n. 2, terzo comma, CE. Tornerò su questo aspetto nel prosieguo delle conclusioni.

43.      La seconda questione riguarda le prove. Le affermazioni della Commissione in merito all’insufficienza dei controlli e delle azioni intraprese contro la violazione delle norme comunitarie in tema di dimensioni minime dei pesci si basano, per lo più, sulle relazioni (allegate agli atti di causa) redatti dagli ispettori comunitari per la pesca sui controlli in loco da essi effettuati regolarmente nelle regioni costiere della Francia. Tali relazioni riguardano il periodo compreso tra il maggio 1994 e il luglio 2003.

44.      Il governo francese contesta il fatto che la Commissione si limiti a dichiarare che le misure adottate dalle autorità francesi per far cessare le violazioni restanti sarebbero state inadeguate, senza però indicare quali sarebbero state le misure auspicabili. Esso lamenta, inoltre, che la Commissione ha semplicemente dichiarato insufficienti i fatti e i dati da esso forniti, senza peraltro confutarli, quando spetterebbe invece, Commissione dimostrare che lo Stato membro interessato continui a violare gli obblighi derivanti dal Trattato  (22) . Il detto governo sostiene, inoltre, di non aver mai ricevuto copia delle relazioni degli ispettori comunitari per la pesca sulle quali si basa la Commissione e di non aver avuto, quindi, la possibilità di replicare agli accertamenti in essi contenuti. A suo avviso, i vari argomenti dedotti dalla Commissione non sono sostenuti da fatti precisi e si basano su semplici supposizioni, il che conferisce loro carattere soggettivo.

45.      Vero è che per valutare un inadempimento ai sensi degli artt. 226 e 228 CE occorre basarsi su un accertamento oggettivo (23) del mancato rispetto, da parte di uno Stato membro, degli obblighi derivanti dal Trattato o da un atto di diritto derivato. Sotto questo profilo, si pone il problema se le informazioni contenute nelle relazioni degli ispettori comunitari per la pesca siano sufficienti per costituire un simile accertamento oggettivo.

46.      Nelle circostanze del caso di specie, ritengo in effetti che le relazioni costituiscano una fonte attendibile sullo stato delle azioni di controllo intraprese nei porti francesi e nelle aste oggetto delle ispezioni. Considerate nel loro complesso, tali relazioni forniscono un quadro generale e coerente delle prassi seguite dalla Francia negli ultimi 10 anni nel controllo sul rispetto delle misure comunitarie in tema di conservazione. Benché il governo francese dichiari di non aver ricevuto le dette relazioni, queste contengono effettivamente resoconti di riunioni consultive, nel corso delle quali le competenti autorità nazionali furono informate in merito agli esiti delle ispezioni di controllo. Inoltre, va ricordato che nella sentenza 11 giugno 1991 la Corte ha ritenuto sufficienti relazioni analoghe redatte dagli ispettori comunitari quale prova della violazione di regolamenti in materia di controllo, considerato che il governo francese disponeva di relazioni redatte dai propri servizi in merito alle ispezioni in questione, ed era quindi in grado di contestare l’esattezza degli accertamenti effettuati dagli ispettori comunitari  (24) .

C – Primo motivo di ricorso: l’insufficienza dei controlli

47.      Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso dedotto dalla Commissione, il governo francese rileva di non aver mai cessato d’intensificare la propria attività di vigilanza sin dalla sentenza della Corte 11 giugno 1991. In tale contesto, esso fa riferimento in particolare a tre aspetti: a) l’aumento del numero delle ispezioni; b) l’adozione di piani di controllo, e c) il fatto che durante un’ispezione degli ispettori comunitari effettuata nel settembre 2002 non erano stati rinvenuti pesci sotto misura.

48.      La Commissione ribatte che i dati sull’aumento delle ispezioni fanno riferimento a ispezioni in mare e che queste non sono efficaci quanto i controlli sulle catture sbarcate e sulla vendita di pesci nelle aste. Pur felicitandosi per l’adozione di piani di controllo nel 2001 e 2002, la Commissione rileva che, essi di per sé, non possono porre termine alle violazioni, in quanto ciò dipende dal modo in cui vengono attuati in pratica. La Commissione non è stata in grado di stabilire se la situazione fosse effettivamente migliorata. Per quanto riguarda il mancato rinvenimento di pesci sotto misura nel corso dell’ispezione del settembre 2002, la Commissione spiega che oggetto di tale ispezione era la gestione delle quote di pesce e che tale fatto non può essere considerato quale accertamento implicito con riguardo al controllo del rispetto delle norme sui pesci sotto misura.

49.      Il governo francese censura il fatto che la Commissione non spieghi il motivo per cui le ispezioni in mare sarebbero meno efficaci di quelle a terra e considera incoerenti e infondati gli argomenti addotti dall’istituzione in relazione al primo motivo di ricorso. Esso rileva che nei piani di controllo del 2001 e del 2002 è prevista l’effettuazione di verifiche in tutte le fasi della catena di produzione, sia in mare sia a terra, nonché in tutti gli stadi della commercializzazione. L’incremento nel numero dei controlli sarebbe confermato dai dati relativi al periodo settembre 2001‑febbraio 2002. Secondo il governo francese, le risposte fornite dalla Commissione riguardo all’ispezione svolta nel mese di settembre sarebbero in contraddizione con il fatto che, al fine di dimostrare l’insufficienza dei controlli, tali risposte si basano proprio sugli accertamenti emersi dalla detta ispezione.

50.      Il regolamento n. 2847/93 impone agli Stati membri di vigilare in modo efficace su tutte le attività di pesca, dalle catture all’immissione in commercio. Si deve riconoscere che la Repubblica francese ha adottato numerosi provvedimenti volti a rafforzare i controlli sul rispetto delle disposizioni della PCP in generale, come l’aumento delle ispezioni in mare, l’assegnazione di ulteriori risorse alla sorveglianza, la riorganizzazione dei propri servizi di controllo interno, il perfezionamento del proprio quadro legislativo e l’elaborazione di piani di controllo, di programmi e circolari, per addestrare gli ufficiali pubblici regionali a vigilare sul rispetto delle norme comunitarie in tema di dimensioni minime dei pesci. Tuttavia, come rilevato supra al paragrafo 39, tali misure, benché ovviamente necessarie per realizzare gli obiettivi del regolamento sul controllo, si possono considerare efficaci solo in quanto diano luogo ad una situazione corrispondente, nella pratica, a quella prevista dalle disposizioni della PCP.

51.      Le relazioni degli ispettori comunitari per la pesca costituiscono una valida fonte di informazioni al fine di verificare se ciò avvenga. Tali relazioni contengono numerose e ripetute indicazioni del fatto che l’esecuzione dei regolamenti non è stata controllata in modo efficiente ed efficace nel senso sopra indicato. In tali relazioni, pur rilevandosi miglioramenti nell’apparato normativo e nelle operazioni dirette a rafforzare i controlli, vengono regolarmente registrati lo sbarco e la vendita all’asta di pesci sotto misura, specie nella Bretagna, nella regione di Bigouden, ma anche in altre regioni, come la Normandia e il Mediterraneo. In alcuni casi, ciò è avvenuto in assenza delle autorità nazionali competenti per l’individuazione delle violazioni delle disposizioni in materia di pesca. In altri casi, erano presenti pubblici ufficiali nazionali, che però non hanno intrapreso alcuna azione contro i trasgressori. In generale, più di una volta sono stati rilevati il basso livello e la scarsa qualità dei controlli, la mancanza di risorse umane e l’inefficienza delle ispezioni, ove effettuate. In un caso, è stato anche riferito che, dato il carattere politicamente rilevante del problema, gli ispettori nazionali avevano ricevuto verbalmente l’istruzione di agire solo in caso di sbarco e vendita di casi estremi di naselli sotto misura (inferiori a 17 cm di lunghezza), e di consentire la vendita di naselli sotto misura superiori a tali dimensioni. Si è fatto inoltre riferimento all’esistenza di un accordo tacito tra i pescatori e le autorità per consentire lo sbarco di pesci sotto misura. Il fatto che esistesse un mercato per i naselli sotto misura era evidenziato dall’uso di un diminutivo per il nasello («merlu»), ossia dei termini «merluchon» o «merluchon friture», solitamente messi all’asta con il codice speciale «00», in contrasto con le norme comunitarie in tema di criteri di commercializzazione dei prodotti ittici.

52.      Ciò premesso, ritengo pienamente giustificato che gli ispettori comunitari abbiano riferito l’impressione generale che le autorità francesi avessero mostrato un atteggiamento tollerante o permissivo verso il controllo del rispetto delle disposizioni comunitarie sulle dimensioni dei pesci. Secondo il governo francese, la Commissione si baserebbe su una mera presunzione, ma io ritengo che il fatto che potessero essere proseguiti lo sbarco e la vendita di pesci sotto misura è chiaramente indicativo dell’inadeguatezza e dell’inefficacia delle operazioni di controllo  (25) . Inoltre, è significativo il fatto che in una fase della procedura precontenziosa la stessa Repubblica francese abbia ammesso, nella propria corrispondenza con la Commissione, che il problema nella regione di Bigouden era «persistente».

53.      La sussistenza di questa situazione insoddisfacente risulta confermata da una relazione redatta in seguito ad un’ispezione sulla costa bretone nel giugno 2001, ossia successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato aggiuntivo. Qui di seguito menziono le principali conclusioni di tale relazione:

«Anche se nella regione di Bigouden non sono più immessi in commercio naselli di dimensione minime (sotto i 20 cm), continua lo sbarco di naselli sotto misura, ivi messi all’asta e poi commercializzati.

Le risorse disponibili a fini di controllo nella regione di Bigouden sono evidentemente insufficienti.

Le autorità responsabili, sebbene presenti agli sbarchi, non effettuano controlli efficaci su di essi.

Non è prestata sufficiente attenzione per escludere dall’immissione in commercio i pesci sotto misura.

Le procedure di classificazione a Le Guilvinec e Lesconil includono l’uso del codice NT 00 per i naselli di dimensioni minime, già selezionati prima dello sbarco.

Il controllo delle attività connesse alle aste non viene effettuato in modo adeguato (…)».

54.      Le relazioni successive redatti negli ultimi 10 anni non registrano, a mio avviso, semplicemente incidenti isolati. Essi stanno a testimoniare una situazione strutturale che è durata per anni, in particolare nella Bretagna, nella regione di Bigouden. Cosa più importante ai fini del presente procedimento, tale situazione continuava a sussistere allo scadere del termine fissato nel parere motivato aggiuntivo del 6 giugno 2000.

55.      Il governo francese, laddove sostiene di aver posto termine alle asserite violazioni, si riferisce al rafforzamento delle proprie operazioni di controllo in mare, ai piani generali di controllo del 2001 e 2002 e al piano di controllo specifico per il 2002 avente ad oggetto i pesci sotto misura, nonché al fatto che, nel corso di un’ispezione degli ispettori comunitari per la pesca nel settembre 2002, non erano stati rinvenuti pesci sotto misura.

56.      A mio parere, nessuno di questi argomenti è sufficiente per confutare le prove fornite dalle relazioni degli ispettori comunitari per la pesca. Secondo il governo francese, la Commissione si limiterebbe ad affermare che le ispezioni in mare sarebbero state meno efficaci di quelle a terra, ma questa asserzione può considerarsi irrilevante, in quanto l’art. 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93 impone agli Stati membri non solo di ispezionare i pescherecci, ma anche di controllare tutte le attività consentendo, in tal modo, di verificare l’applicazione del regolamento stesso, in particolare le attività di sbarco, di vendita, di trasporto e di magazzinaggio dei prodotti della pesca. Gli Stati membri sono pertanto tenuti ad effettuare controlli sia in mare che a terra, a prescindere dal tipo di vigilanza che essi ritengano più o meno efficace. Per quanto riguarda i piani di controllo del 2001 e 2002, va sottolineato che, per poterli definire idonei a far cessare le asserite violazioni, occorre dimostrarne la pratica efficacia. In ogni caso, tali piani sono stati adottati solo successivamente alla scadenza del termine imposto nel parere motivato aggiuntivo, per cui, già soltanto per questa ragione, non possono essere presi in considerazione  (26) . Per gli stessi motivi, è irrilevante il riferimento all’ispezione del settembre 2002.

57.      Nel complesso, dai documenti e dalle informazioni presentate alla Corte emerge che la Repubblica francese ha iniziato a porre in essere misure per conformarsi alla sentenza 11 giugno 1991 solo gradualmente e che i piani di controllo sono stati adottati solo con molto ritardo. Dalle ripetute rilevazioni di sbarchi e vendite di naselli sotto misura, è evidente che le misure effettivamente applicate non erano efficaci ai fini di garantire il rispetto delle norme comunitarie in tema di dimensioni dei pesci. Negli anni in esame, le riserve di naselli hanno subito un calo che ha comportato una notevole riduzione del totale ammissibile delle catture per i naselli verso la fine del 2000, l’adozione di misure di conservazione speciali e l’elaborazione di un programma per il recupero dei naselli. In simili circostanze, gli Stati membri hanno una responsabilità particolare a rafforzare le pertinenti misure di conservazione.

58.      Sulla base di quanto precede ritengo che, non avendo adeguatamente vigilato sul rispetto delle misure tecniche di conservazione relative alle dimensioni minime dei pesci, conformemente a quanto disposto dall’art. 1, n. 2 e dall’art. 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93, alla data del 6 agosto 2000, la Repubblica francese non si è conformata alla sentenza della Corte 11 giugno 1991 alla scadenza del termine indicato nel secondo parere motivato del 6 giugno 2000.

59.      Considerato che il presente ricorso è stato presentato ai sensi dell’art. 228, n. 2, CE, e che la Commissione ha chiesto l’irrogazione di una penalità dal giorno della pronuncia dell’emananda sentenza sino alla piena esecuzione, da parte della Francia, degli obblighi di cui trattasi, occorre inoltre valutare se la situazione attuale sia conforme al regolamento n. 2847/93.

60.      Essendo scaduto il termine indicato nel secondo parere motivato, l’adozione dei piani di controllo nel 2001 e nel 2002 dimostra che il problema della vigilanza sul rispetto delle misure comunitarie di conservazione è stato ora preso maggiormente sul serio a livello politico in Francia. Come ho sottolineato in precedenza, il problema è se l’attuazione dei suddetti piani (a proposito dei quali si deve dire che sono stati adottati con estremo ritardo, considerata la durata delle violazioni) abbia condotto ad una situazione conforme a quella prevista dalle disposizioni comunitarie in tema di conservazione delle risorse ittiche.

61.      Le informazioni fornite dalla Commissione in risposta ai quesiti scritti della Corte lasciano intendere che, nonostante i miglioramenti della situazione nella regione di Bigouden, permangono problemi in altre regioni costiere e, in particolare, nella regione mediterranea. D’altro canto, la Repubblica francese si richiama a dati dai quali emergerebbe una tendenziale diminuzione nel numero delle ispezioni effettuate in mare e a terra nel 2003 rispetto al 2002. Essa attribuisce il calo del numero delle ispezioni a terra ad un miglioramento della disciplina da parte dei pescatori, ma io ritengo che questa affermazione sia contraddittoria. Se il rispetto dei regolamenti comunitari in tema di pesca è aumentato nella regione di Bigouden a seguito di controlli più efficaci, sembrerebbe più logico che le operazioni di controllo vengano mantenute allo stesso livello, soprattutto in una regione in cui il sovrasfruttamento delle riserve di naselli è stato endemico per oltre dieci anni.

62.      All’udienza il governo francese ha osservato che la Commissione, pur dando atto del miglioramento della situazione nella regione di Bigouden, sembra ora preoccuparsi dei controlli effettuati nella regione mediterranea. A suo avviso, tale problema non potrebbe peraltro considerarsi come una mancata esecuzione della sentenza della Corte 11 giugno 1991, poiché le misure comunitarie di conservazione sono state adottate in tale regione solo alcuni anni dopo la sentenza.

63.      A tale riguardo desidero sottolineare che nella sentenza 11 giugno 1991 la Corte ha dichiarato che la Repubblica francese era venuta meno agli obblighi derivanti dai regolamenti sul controllo allora in vigore, ossia il regolamento n. 2057/82/CEE e il regolamento n. 2241/87/CEE. Va ricordato che la PCP si evolve nel corso del tempo, tanto ratione loci quanto ratione materiae, in base agli sviluppi nel settore della pesca e allo stato delle riserve ittiche. Anche se, sotto un profilo sostanziale, l’obbligo di vigilare sul rispetto e sull’attuazione delle misure di conservazione dipende dalla portata che tali misure presentano in un dato momento, si tratta di obblighi autonomi. La Commissione censura l’insufficienza dei controlli in quanto tali, come emerge con estrema chiarezza dal riferimento ai controlli sulla pesca dei naselli sotto misura in particolare nella regione di Bigouden. In ogni caso, tanto nella causa C‑64/88, quanto nella causa in oggetto, il tema della controversia resta l’insufficienza dei controlli. Nella sentenza 11 giugno 1991 la Corte aveva accertato l’assenza di attività di controllo sulle disposizioni in tema di pesca allora in vigore, indipendentemente dalla portata territoriale di tali disposizioni. Il fatto che le norme che sono oggetto esse stesse degli obblighi di controllo possano mutare non incide sull’obbligo fondamentale di vigilare sul loro rispetto e sulla loro applicazione. A mio avviso, pertanto, l’argomento del governo francese secondo il quale la situazione nella regione del Mediterraneo non potrebbe essere presa in considerazione, questione alla quale, per di più, il detto governo non ha fatto riferimento in precedenza ancorché fosse stata sollevata dalla Commissione nel corso della fase precontenziosa del procedimento (v. supra, paragrafo 18) resta irrilevante al fine di stabilire se le violazioni continuino o meno a sussistere.

64.      In base alle più recenti informazioni sulla situazione attuale desumibili dagli atti di causa, durante l’ispezione effettuata nella regione di Bigouden nel giugno 2003 gli ispettori comunitari non avevano rinvenuto pesci sotto misura. Essi però avevano rilevato una notevole carenza di controlli sugli sbarchi, che presumibilmente costituiscono il momento essenziale dei controlli nella catena delle attività connesse alla pesca. Osservazioni analoghe erano state effettuate nella regione mediterranea nel corso di ispezioni svolte nei mesi di maggio e giugno 2003, durante le quali erano stati notati naselli sotto misura. D’altro canto, nel corso di una di tali ispezioni, vertente in parte sul rispetto delle dimensioni minime del tonno rosso, non era stato rinvenuto alcun esemplare.

65.      Nelle risposte ai quesiti scritti formulati dalla Corte, la Commissione dichiara di non essere stata in grado di stabilire se i piani di controllo adottati dalle autorità francesi avessero avuto reale efficacia. Sulla base delle più recenti relazioni dei propri ispettori per la pesca, l’istituzione è piuttosto incline a ritenere il contrario. Al tempo stesso, essa deduce che, per poter ritenere che le violazioni siano cessate, dovrebbe disporre di informazioni dettagliate ed esaurienti su numerose questioni.

66.      Nella specie, è già stato accertato che, allo scadere del termine fissato nel secondo parere motivato, la Repubblica francese non si era ancora conformata alla sentenza della Corte 11 giugno 1991. In base alle informazioni di cui dispone la Corte e alla luce della struttura e del carattere continuativo delle violazioni, non si può ritenere in conclusione che al momento attuale, momento che non può essere considerato indipendentemente dalla situazione passata, la Repubblica francese abbia conformato le sue prassi di controllo sul rispetto e sull’attuazione delle misure comunitarie di conservazione della pesca ai criteri stabiliti dal regolamento n. 2847/93.

D – Il secondo motivo di ricorso: l’insufficienza delle azioni intraprese nei confronti dei trasgressori

67.      In risposta al secondo motivo di ricorso della Commissione, il governo francese si richiama all’aumento del numero di azioni legali intraprese e all’entità delle sanzioni irrogate.

68.      La Commissione osserva che i dati presentati dal governo francese sono molto generici, perché riguardano tutto il territorio francese, e che la maggior parte delle condanne concerne infrazioni accertate in mare e non riguardanti la cattura di pesci sotto misura. Dalle statistiche attinenti ai procedimenti penali avviati nel 2001 in merito a violazioni gravi delle disposizioni della PCP, emerge che sono state comminate sanzioni soltanto nell’11% dei casi relativi a pesci sotto misura. Per quanto riguarda l’entità delle sanzioni comminate, dai dati forniti per il 2001 la Commissione non può desumere che sia stata seguita una politica di rigore in merito all’applicazione delle norme sulle dimensioni minime dei pesci. Il solo caso in cui è stata comminata una multa considerevole riguardava un peschereccio spagnolo e si riferiva a sei diverse violazioni, una soltanto delle quali consistente nella cattura di naselli sotto misura. La Commissione ammette che una circolare del Ministro della Giustizia, inviata il 16 ottobre 2002 ai pubblici ministeri delle regioni costiere e che li invitava a perseguire con severità i trasgressori dei regolamenti sulle dimensioni dei pesci, costituisce un passo nella giusta direzione verso la cessazione delle violazioni. Tuttavia, essa non può da sola garantire l’irrogazione di sanzioni a carattere dissuasivo. Occorre verificare sia le modalità con cui tale circolare viene applicata, sia la sua portata geografica.

69.      Secondo la Repubblica francese, visti i dati sulle azioni intraprese contro le violazioni accertate nell’ambito del suo piano del 2001 per il ripristino delle riserve di naselli, non si può sostenere che le autorità francesi non perseguano i trasgressori delle norme comunitarie in materia di dimensioni dei pesci e, in particolare, dei naselli. Essa aggiunge che una semplice analisi statistica del numero delle azioni legali non è sufficiente per giudicare l’efficacia di un sistema di controllo e attuazione. La Commissione si limita a far riferimento a una di dette statistiche, senza dimostrare le ragioni per le quali le misure nazionali non sarebbero «adeguate» ai sensi dell’art. 31 del regolamento n. 2847/93. Quanto al rigore delle azioni intraprese, il governo francese osserva che risulta abbastanza chiaramente dalle informazioni fornite alla Commissione che le violazioni sono continuate sistematicamente. La circolare del Ministro della Giustizia 16 ottobre 2002, che dà attuazione al piano sul controllo delle dimensioni minime dei pesci, impone: i) il sistematico perseguimento delle violazioni; ii) un’applicazione limitata della possibilità di offrire ai trasgressori una transazione, e iii) l’irrogazione di sanzioni a carattere dissuasivo. In tale circolare si aggiunge che la violazione dei regolamenti sulla pesca marina non è automaticamente soggetta all’amnistia prevista dalla legge del 2002, ma che ciò dipende dall’entità delle ammende. I primi rapporti sull’applicazione della circolare nel periodo fino al marzo 2003 indicano che essa è stata realmente efficace.

70.      Al fine di stabilire se la Repubblica francese abbia posto termine alle violazioni indicate nel secondo capo del ricorso, occorre nuovamente distinguere tra la situazione vigente allo scadere del termine indicato nel secondo parere motivato e la situazione attuale.

71.      Va ricordato che, ai sensi dell’art. 31, n. 1, del regolamento n. 2847/93, gli Stati membri adottano «adeguate misure» qualora constatino una violazione delle disposizioni della PCP. Il termine «adeguate» in tale contesto significa semplicemente che tali misure debbono essere in grado di stimolare il rispetto di tali disposizioni, come già spiegato supra ai paragrafi 37‑39. Le misure adottate debbono produrre non solo un effetto preventivo nei confronti specificamente dei responsabili delle violazioni, ma anche un effetto preventivo generale. Ciò è confermato dall’art. 31, n. 2, ai sensi del quale le azioni intraprese contro tali infrazioni debbono «privare effettivamente i responsabili del beneficio economico derivante dall’infrazione o produrre effetti proporzionati alla gravità delle infrazioni, tali da fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo». L’ultima parte di tale disposizione, a mio avviso, sta ad indicare questo più generale effetto preventivo.

72.      Occorre rilevare, in limine, che il testo inglese dell’art. 31, n. 1, del regolamento n. 2847/93 distingue tra «administrative action» e «criminal proceedings», creando così l’impressione che il n. 2 di tale articolo (che fa riferimento ai «proceedings») si applichi soltanto alle azioni penali. Nella maggior parte della altre versioni linguistiche tale distinzione manca, cosicché il n. 2 dell’articolo si applica ad entrambi i tipi di azioni esecutive. Considerato che lo scopo del regolamento n. 2847/93 è quello di garantire effettivamente il rispetto delle disposizioni della PCP, è evidente che tali altre versioni linguistiche esprimono più esattamente la ratio dell’art. 31.

73.      Perché siano realizzati gli obiettivi della PCP è necessario che le trasgressioni siano soggette ad una politica di repressione chiara e credibile. Questo implica che le violazioni delle disposizioni comunitarie in tema di pesca vengano sistematicamente seguite da azioni amministrative o penali che comportino l’irrogazione di sanzioni efficaci. Questa politica di attuazione deve avere un grado di credibilità tale da fungere da deterrente. Occorre che le possibili conseguenze negative della violazione delle norme in tema di pesca vengano percepite come superiori ai benefici economici legati al loro mancato rispetto.

74.      Nel corso della fase precontenziosa del procedimento, la Repubblica francese ha fornito alla Commissione diverse statistiche per dimostrare che nel corso degli anni successivi alla sentenza della Corte 11 giugno 1991 essa aveva adottato un numero sempre maggiore di provvedimenti nei confronti dei trasgressori dei regolamenti sulla pesca e che le sanzioni irrogate erano divenute più severe. La Commissione ha ribattuto che tali dati erano di carattere troppo generico: essi riguardavano l’intero territorio francese, si riferivano a diversi tipi di violazione delle disposizioni sulla pesca, ma non affrontavano il problema specifico di cui essa si preoccupava, ossia lo sbarco e la vendita di naselli sotto misura nel sud‑ovest della Bretagna.

75.      Come sottolineato dal governo francese, l’efficacia di un sistema di controllo e attuazione non può essere giudicata semplicemente sulla base di statistiche, ma dev’essere valutata con riferimento ai risultati che esso è diretto a raggiungere. Anche in questo caso, ritengo che gli accertamenti descritti nelle relazioni degli ispettori comunitari della pesca siano decisivi riguardo alla situazione esistente alla scadenza del termine indicato nel parere motivato aggiuntivo. Sebbene i dati forniti dalla Repubblica francese indichino un aumento delle azioni legali intraprese contro le violazioni e un crescente rigore delle sanzioni irrogate, resta il fatto che in quello specifico momento il problema fondamentale dello sbarco e della vendita di pesci sotto misura, in particolare dei naselli nella regione di Bigouden, non era stato risolto. Questo costituisce di per sé un chiaro indice del fatto che l’attività diretta a incrementare l’attuazione non era efficace nel senso sopra indicato.

76.      Aggiungo inoltre che, anche se il governo francese lamenta che la Commissione non ha indicato quali misure sarebbero state adeguate per porre fine alle restanti violazioni, spetta principalmente allo Stato membro interessato garantire il rispetto, da parte sua, degli obblighi derivanti dal Trattato e dal diritto derivato con i mezzi e le risorse di cui dispone.

77.      Di conseguenza concludo che, non avendo assicurato, entro il 6 agosto 2000, l’adozione di misure adeguate nei confronti delle persone fisiche e giuridiche responsabili della violazione delle norme della politica comune della pesca come imposto dall’art. 31 del regolamento n. 2847/93, la Repubblica francese non si è conformata alla sentenza della Corte 11 giugno 1991 entro il termine indicato nel secondo parere motivato del 6 giugno 2000.

78.      La situazione attuale in tema di attuazione dev’essere valutata alla luce delle informazioni fornite da entrambe le parti in risposta ai quesiti scritti della Corte, come chiarite ulteriormente all’udienza.

79.      Nelle relazioni della Commissione relative alle ispezioni compiute nel 2003 vi sono numerose indicazioni del fatto che, contrariamente alla circolare del ministro della Giustizia 16 ottobre 2002, non erano stati sempre redatti rapporti ufficiali dopo l’accertamento delle violazioni e che, di conseguenza, tali violazioni non erano state neppure perseguite in sede giurisdizionale. Le più recenti informazioni statistiche fornite dal governo francese non possono essere considerate interamente rappresentative, poiché i dati relativi al 2002 risentivano dell’amnistia disposta ex lege, i dati del 2003 erano incompleti e, comunque, non erano sufficientemente specifici. I dati relativi al livello medio delle sanzioni irrogate indicano, in effetti, un atteggiamento più efficace. Eppure, allo stesso tempo, riferendosi semplicemente alla vendita, al magazzinaggio e all’acquisto di pesci sotto misura, essi non forniscono dettagli in merito alle catture, allo sbarco o al trasporto di pesci sotto misura.

80.      In base alle più recenti informazioni fornite, ritengo in conclusione che non possa dirsi con sufficiente certezza che la prassi attualmente seguita dalla Repubblica francese ai fini dell’attuazione delle disposizioni della PCP sia conforme al regolamento n. 2847/93. Pertanto, la Repubblica francese non si è ancora totalmente conformata alla sentenza della Corte 11 giugno 1991 neppure sotto questo profilo.

E – Conseguenze derivanti dai suddetti accertamenti

81.      Ai sensi dell’art. 228, n. 2, terzo comma, CE, la Corte, qualora riconosca che uno Stato membro non si è conformato ad una sentenza pronunciata ex art. 226, la quale dichiari che tale Stato membro è venuto meno agli obblighi su di esso derivanti in forza del Trattato, può comminare il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

82.      Secondo la Commissione, l’imposizione del pagamento di una penalità costituirebbe lo strumento più adeguato per indurre uno Stato membro a porre termine quanto prima alla violazione degli obblighi su di esso incombenti in forza del Trattato. Conformemente all’impostazione e ai metodi di calcolo indicati, rispettivamente, nelle proprie comunicazioni 21 agosto 1996  (27) e 28 febbraio 1997  (28) , l’istituzione chiede ora alla Corte di condannare la Repubblica francese al pagamento di una penalità giornaliera pari a EUR 316 500. Tale importo è stato calcolato sulla base di un’aliquota costante di EUR 500 moltiplicata per una serie di coefficienti commisurati alla gravità della violazione (su una scala da 1 a 20), alla sua durata (su una scala da 1 a 3), e alla capacità finanziaria dello Stato membro (calcolata sulla base del suo prodotto interno lordo e sul numero dei voti nel Consiglio). Nel caso presente, la Commissione sostiene che, considerate le gravi conseguenze derivanti dall’inosservanza delle norme comunitarie relative alle dimensioni dei pesci sullo stato delle riserve, risulterebbe giustificata l’applicazione del fattore 10 della scala di gravità. La Commissione sottolinea inoltre che la Bretagna meridionale è zona di riproduzione per i naselli ed è pertanto di enorme importanza per la conservazione delle riserve. Considerato il tempo trascorso dalla sentenza 11 giugno 1991 e tenendo conto che l’art. 228, n. 2, CE (in precedenza art. 171, n. 2, del Trattato CE), è entrato in vigore il 1° novembre 1993, essa suggerisce di applicare il coefficiente 3 con riguardo alla durata della violazione. Poiché la capacità finanziaria della Repubblica francese è valutata con un coefficiente di 21,1, il calcolo della penalità giornaliera sarebbe il seguente: 10 x 3 x 21,1 x EUR 500 = EUR 316 500.

83.      Secondo la Repubblica francese, qualora la Corte dovesse ritenere necessario imporre il pagamento di una penalità, l’importo suggerito dalla Commissione sarebbe sproporzionato. Essa si richiama alla sentenza della Corte Commissione/Grecia  (29) , nella quale era stato applicato un coefficiente 6 con riguardo alla gravità di una violazione che metteva in serio rischio la salute pubblica. Quanto alla durata della violazione, essa sostiene che, poiché le misure adottate per attuare la sentenza della Corte non potevano produrre effetti immediati, la Corte non dovrebbe tener conto dell’intero periodo trascorso tra la prima sentenza e quella emananda nella specie.

84.      La Corte ha già avuto modo di precisare nelle due sentenze sinora pronunciate con riguardo all’art. 228, n. 2, CE, che essa non è vincolata dalle proposte della Commissione circa le conseguenze pecuniarie connesse all’accertamento del mancato rispetto, da parte di uno Stato membro, di una sua precedente sentenza  (30) . Tali proposte costituiscono solo una base di riferimento utile alla Corte nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispone in base a tale articolo. In altri termini, l’applicazione di questo articolo rientra nella piena competenza della Corte.

85.      A mio giudizio, per poter stabilire se la Repubblica francese si sia conformata alla sentenza 11 giugno 1991, occorre distinguere tra le situazioni vigenti in due momenti: quella sussistente alla scadenza del termine indicato nel secondo parere motivato, e quella attuale. La distinzione è, a mio avviso, rilevante per stabilire come debba essere applicato nella specie l’art. 228, n. 2, CE.

86.      Lo scopo principale dell’art. 228, n. 2, CE, è di garantire che gli Stati membri si conformino, in definitiva, agli obblighi su di essi incombenti in forza del Trattato, ponendo termine alle violazioni nel più breve tempo possibile. Occorre peraltro ricordare che il problema dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria si pone solo dopo che la Corte abbia accertato nell’ambito di un precedente procedimento ex art. 226 CE l’inadempimento, da parte dello Stato membro interessato ai propri obblighi derivanti dal Trattato e dopo che a quest’ultimo sia stata offerta la possibilità, nell’ambito di un secondo procedimento precontenzioso, di porre rimedio alla situazione, come prescritto dall’art. 228, n. 1, CE. Nel periodo di tempo intercorrente tra la prima sentenza e la seconda che accerti la mancata esecuzione della prima, sussiste la violazione, che generalmente compromette l’efficacia delle norme comunitarie applicabili e che può pregiudicare gli interessi di altri Stati membri o di altri soggetti.

87.      Alla luce delle possibili conseguenze dannose derivanti dal continuato inadempimento degli obblighi derivanti dal Trattato per la realizzazione degli obiettivi delle misure adottate dalle istituzioni comunitarie, ritengo che l’art. 228, n. 2, CE, debba essere applicato in modo tale che, in alcune circostanze, le sanzioni pecuniarie non solo siano idonee a garantire l’osservanza, ma abbiano anche un effetto preventivo. In questo senso, esse dovrebbero possedere un effetto deterrente simile a quello indicato supra al paragrafo 73.

88.      Il pagamento di una penalità periodica non deve avere necessariamente un effetto dissuasivo riguardo alle future violazioni degli obblighi comunitari di cui trattasi al pari di una sanzione di natura condizionata. Nel caso in cui uno Stato membro riesca ad adempiere agli obblighi da esso trascurati prima dell’irrogazione di una sanzione di tal genere, può accadere che, in definitiva, nessuna sanzione venga comminata. L’irrogazione di una sanzione, pur riuscendo a garantire in definitiva il rispetto degli obblighi, non costituisce tuttavia sempre un rimedio adeguato alla violazione di cui trattasi. Per produrre un effetto dissuasivo, una sanzione pecuniaria irrogata ex art. 228, n. 2, CE, deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti della violazione de qua.

89.      Nel caso in esame sono giunto alla conclusione che, da un lato, alla scadenza del termine indicato nel secondo parere motivato del 6 giugno 2000 la Repubblica francese non si era ancora conformata alla sentenza della Corte 11 giugno 1991 e, dall’altro lato, che, malgrado i progressi da allora raggiunti nell’applicazione del regolamento n. 2847/93, essi non possano ancora essere considerati sufficienti per costituire una esecuzione piena.

90.      Come ripetutamente dichiarato dalla Corte, sebbene l’art. 228, n, 1, CE, non precisi alcun termine, «l’esigenza di un’immediata e uniforme applicazione del diritto comunitario impone che tale esecuzione sia iniziata immediatamente e conclusa entro termini il più possibile ristretti»  (31) . Atteso che la cattura di pesci sotto misura è particolarmente pericolosa per la sostenibilità dello sfruttamento, era lecito attendersi che, successivamente all’accertamento di tale infrazione, le autorità francesi avrebbero agito con prontezza, conformemente all’art. 228, n. 1, CE, per garantire il controllo sul rispetto delle disposizioni rilevanti nel proprio ordinamento giuridico e che avrebbero adottato misure adeguate contro i trasgressori di tali disposizioni. Il fatto che gli ispettori comunitari per la pesca nel corso delle loro ispezioni nelle regioni costiere avessero rilevato che fino al 2000 erano proseguiti lo sbarco e la vendita di pesci sotto misura, spesso in assenza degli ispettori nazionali, è un chiaro indice del fatto che l’obbligo di porre termine all’infrazione «entro termini il più possibile ristretti» non era comunque stato rispettato. Alla stessa conclusione si può giungere anche ove si tenga conto del fatto che l’adozione delle misure necessarie per dare piena attuazione ai regolamento sul controllo è una questione di «lungo respiro», come osservato dalle autorità francesi in una fase del procedimento precontenzioso.

91.      Anche se, ovviamente, occorre del tempo prima che la situazione, sotto il profilo pratico, possa essere uniformata agli obblighi comunitari, dai documenti presentati alla Corte emerge che la Repubblica francese ha adottato provvedimenti solo in modo graduale e che quelli più importanti cui essa fa riferimento erano i programmi di controllo adottati nel 2001 e nel 2002, nonché le istruzioni rivolte ai pubblici ministeri dal Ministro della Giustizia nell’ottobre 2002, vale a dire successivamente all’avvio del presente procedimento. Inoltre, tali provvedimenti presentavano, di regola, natura amministrativa e non potevano in nessun caso essere qualificati come misure adeguate nel senso stabilito dai regolamenti sul controllo. Inoltre, le autorità francesi non avevano poi affrontato in modo adeguato il problema specifico sul quale la Commissione aveva ripetutamente richiamato la loro attenzione. Ritengo che, al riguardo, l’atteggiamento delle autorità francesi sia stato evasivo.

92.      Non bisogna dimenticare che la Commissione ha dato ampiamente modo alla Repubblica francese, durante la fase precontenziosa del procedimento, di adottare le misure necessarie per porre termine alla violazione del regolamento n. 2847/93. Un parere motivato è stato emanato solo circa cinque anni dopo la sentenza della Corte 11 giugno 1991, e ad esso ha fatto seguito, quattro anni più tardi, un secondo parere motivato, non necessario sotto il profilo procedurale. Durante tale periodo, le autorità francesi hanno collaborato con la Commissione solo in senso formale, rispondendo alla richiesta di informazioni e chiarimenti, ma senza intraprendere azioni concrete per rimediare effettivamente alla situazione. A mio avviso, questa mancanza di leale collaborazione, prescritta dall’art. 10 CE  (32) , costituisce una circostanza aggravante.

93.      La mancata vigilanza ed attuazione delle disposizioni comunitarie in tema di dimensioni minime dei pesci, protratta dalla Repubblica francese per almeno vent’anni, va considerata quale inadempimento particolarmente grave ai suoi obblighi comunitari. Come già spiegato supra ai paragrafi 31‑37, la rigorosa osservanza delle misure dirette alla conservazione delle riserve ittiche è essenziale per garantire uno sfruttamento sostenibile nel lungo periodo. Ho sottolineato inoltre che, dovendosi considerare tali riserve ittiche come una risorsa comune agli Stati membri, il venir meno a tali obblighi compromette gli interessi degli (operatori economici di) altri Stati membri interessati allo sfruttamento delle riserve di cui trattasi. Nel caso in cui le riserve ittiche siano minacciate da un eccessivo sfruttamento, come nel caso delle riserve di naselli oggetto del presente procedimento, gli Stati membri hanno un particolare dovere d’intraprendere le azioni necessarie per garantire il pieno rispetto delle disposizioni dirette alla loro conservazione.

94.      In termini più generali, ritengo che, una volta accertato che uno Stato membro ha agito in violazione del propri obblighi comunitari, più a lungo esso consente il protrarsi di tale situazione, verosimilmente a beneficio dei propri cittadini e a detrimento degli interessi dei cittadini di altri Stati membri, maggiormente si espone all’irrogazione di sanzioni.

95.      Nelle circostanze del caso di specie, ritengo che sarebbe opportuno reagire al mancato rispetto da parte della Repubblica francese della sentenza della Corte 11 giungo 1991, con l’irrogazione di una somma forfettaria, ai sensi dell’art. 228, n. 2, CE. Inoltre, considerato che la situazione attuale presenta ancora carenze, appare opportuno applicare una penalità periodica accompagnata da provvedimenti adeguati, fino a quando non si possa dichiarare che la violazione è cessata.

96.      Durata ed entità di entrambe le penalità vanno stabilite tenendo conto dei criteri e dei principi che la Corte ha già applicato nelle due sentenze pronunciate con riguardo all’art. 228, n. 2, CE. Sebbene nessuna di tali sentenze abbia disposto l’irrogazione di una somma forfettaria, i suddetti criteri e principi sono applicabili, mutatis mutandis, ad entrambe le categorie di sanzioni pecuniarie.

97.      Una sanzione pecuniaria dev’essere stabilita in funzione della gravità e della durata della violazione e dev’essere fissata a un livello tale da costituire un deterrente contro la continuazione della violazione e contro successive trasgressioni. Tale impostazione è stata suggerita dalla Commissione ed è stata poi ampiamente confermata dalla Corte  (33) , ancorché quest’ultima conservi la responsabilità ultima di stabilire i criteri di calcolo e l’importo della sanzione e di determinare le condizioni alle quali essa va applicata.

98.      L’importo proposto dalla Commissione costituisce un punto di riferimento utile per calcolare l’ammontare tanto della somma forfettaria, quanto della penalità periodica. Tale somma è stata ottenuta applicando coefficienti di gravità, durata e capacità finanziaria ad una aliquota di base (v. supra, paragrafo 82). Il governo francese contesta il grado di gravità applicato e fa riferimento all’impostazione accolta nella sentenza Commissione/Grecia. Esso contesta inoltre, in maniera più implicita, il fatto che la Commissione abbia applicato il coefficiente di durata più elevato. A mio avviso, non può esservi dubbio sul fatto che l’applicazione del coefficiente 3 con riguardo alla durata della violazione sia pienamente giustificato, considerato che perdura effettivamente dal 1984. Per quanto riguarda la gravità, ritengo che applicare un coefficiente di 10 di una scala che va da 1 a 20 sia un atto di indulgenza. Il raffronto operato dal governo francese con la fattispecie oggetto della causa Commissione/Grecia evidenzia come esso abbia gravemente sottovalutato la gravità di tale violazione. Ove si consideri, inoltre, che in tale pronuncia la Corte ha dichiarato che, nell’applicazione dei suddetti criteri, occorre tener conto delle conseguenze dell’omessa esecuzione sugli interessi privati e pubblici e dell’urgenza d’indurre lo Stato membro interessato a conformarsi ai suoi obblighi  (34) , ritengo opportuno, nel caso in esame, assumere come base di calcolo l’importo di EUR 316 500 al giorno suggerito dalla Commissione.

99.      Quanto alla somma forfettaria, occorre rilevare in primo luogo che la Commissione non ha proposto di applicare tale penalità nella specie, né ha elaborato criteri specifici per determinarne l’entità. Nella sentenza Commissione/Grecia, la Corte ha osservato che gli orientamenti della Commissione in merito al calcolo della penalità contribuiscono a garantire che la sua azione sia improntata a criteri di trasparenza, di prevedibilità ed a quello della certezza del diritto, pur perseguendo la proporzionalità degli importi delle penalità che essa intende proporre  (35) . Tali orientamenti, pur riferendosi all’impostazione seguita dalla Commissione con riguardo all’art. 228, n. 2, CE e pur non vincolando la Corte, servono come schema generale relativo all’applicazione di questa disposizione del Trattato che costituisce un elemento di chiarezza per gli Stati membri.

100.    Non ritengo che l’assenza di orientamenti specifici possa indurre la Corte ad astenersi dall’irrogazione, nella specie, di una somma forfettaria. Come osservato supra al paragrafo 29, l’ordinamento giuridico comunitario dipende dagli sforzi posti in essere dagli Stati membri per vigilare sul rispetto delle disposizioni comunitarie e per intraprendere azioni legali contro le violazioni di tali disposizioni. Tali sforzi sono essenziali per il raggiungimento degli obiettivi del Trattato. La mancata reazione contro il perdurante inadempimento, da parte di uno Stato membro, dei propri obblighi fondamentali metterebbe in pericolo l’efficacia e la credibilità dell’ordinamento giuridico comunitario in gioco. Come la Corte ha dichiarato in numerose occasioni: «nel consentire agli Stati membri di trarre vantaggio dalla Comunità, il Trattato impone loro l’obbligo di osservarne le norme. Il fatto che uno Stato, in considerazione dei propri interessi nazionali, rompa unilateralmente l’equilibrio tra i vantaggi e gli oneri derivanti dalla sua appartenenza alla Comunità lede l’uguaglianza degli Stati membri dinanzi al diritto comunitario e determina discriminazioni a carico dei loro cittadini. Questo venir meno ai doveri di solidarietà accettati dagli Stati membri con la loro adesione alla Comunità scuote dalle fondamenta l’ordinamento giuridico comunitario»  (36) .

101.    Inoltre, rinunciare ad irrogare una sanzione pecuniaria nelle circostanze del caso in esame equivarrebbe ad ammettere che uno Stato membro, dopo che la Corte ha accertato una prima volta che uno Stato membro è venuto meno agli obblighi derivanti dal Trattato, tale Stato sia libero di consentire il persistere di tale situazione, verosimilmente a detrimento degli interessi comunitari e di altri Stati membri, fino a che la Commissione non decida di avviare un secondo ricorso per inadempimento, stavolta ex art. 228, n. 2, CE.

102.    A mio avviso, peraltro, il fatto che il problema dell’irrogazione di una sanzione forfettaria sia stato sollevato ora per la prima volta dall’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea, che la Commissione non abbia proposto di comminare tale penalità e che finora non esista una prassi che serva da orientamento a tal proposito, costituiscono validi motivi per determinare tale sanzione secondo criteri di maggiore indulgenza di quanto sarebbe giustificato considerata la gravità della violazione.

103.    La somma giornaliera calcolata dalla Commissione come base di calcolo per la penalità periodica è espressione della gravità e della durata della violazione nonché dell’effetto deterrente della penalità stessa. L’importo di una sanzione forfettaria dovrebbe essere calcolata, di regola, tenendo conto di questi stessi criteri generali e, in particolare, del carattere continuato e la gravità della violazione. Nel caso in esame, suggerisco di applicare come somma forfettaria la penalità proposta dalla Commissione calcolata solo su un anno, complessivamente pari alla somma di EUR 316 500 x 365 giorni, per un totale di EUR 115 522 500.

104.    Quanto al pagamento della penalità periodica, la sua entità e le condizioni che ne accompagnano l’irrogazione devono mirare a garantire un pieno, efficace e persistente rispetto degli obblighi comunitari di cui trattasi, tenendo conto delle informazioni più recenti sullo stato attuale della situazione.

105.    Allo stato attuale, sembrerebbe che la Repubblica francese abbia adottato una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi volti a migliorare l’applicazione dei regolamenti sul controllo, ma resta il fatto che tali misure debbono essere attuate nella pratica in modo tale che i risultati prescritti dalle disposizioni comunitarie in tema di pesca siano praticamente realizzati in tutto il paese. La Commissione, da parte sua, ha fatto presente di necessitare di informazioni dettagliate relative, tra l’altro, ai controlli, alle azioni legali e alle penalità irrogate, per poter stabilire se le autorità francesi abbiano posto termine alla violazione continuata dei regolamenti comunitari sul controllo.

106.    Poiché l’adattamento delle prassi di controllo e di esecuzione non può essere immediato, è evidente che non sarebbe opportuno, nelle circostanze della specie, irrogare una penalità periodica su base giornaliera  (37) . Da un lato, dovrebbe essere concesso alla Repubblica francese un periodo ragionevole ma definito per poter disporre i provvedimenti di adattamento, mentre, dall’altro, dovrebbe essere lasciato alla Commissione uno spazio di tempo sufficiente per poter valutare, sulla base delle informazioni integrative da essa richieste e di ulteriori verifiche in loco, se tali misure siano realmente efficaci nel senso indicato supra al paragrafo 39.

107.    Ritengo che un periodo iniziale di sei mesi sarebbe sufficiente per consentire alla Repubblica francese di avviare le azioni necessarie e, in tal modo, la penalità potrebbe essere pagata subordinatamente a verifiche effettuate dalla Commissione ad intervalli semestrali. Inoltre, tale periodo sarebbe più che sufficiente perché la Repubblica francese possa fornire alla Commissione le informazioni necessarie per l’elaborazione di un parere definitivo sulla situazione vigente in merito all’attuazione del regolamento n. 2847/93.

108.    Alla luce di tali considerazioni, la penalità dovrebbe essere fissata all’importo di EUR 316 500 x 182,5 giorni, complessivamente pari a EUR 57 761 250 per ciascun semestre per il quale la Commissione accerti che persista la violazione, a decorrere dalla pronuncia dell’emananda sentenza della Corte.

VI – Conclusione

109.    Alla luce di tutte le suesposte ragioni, suggerisco alla Corte di:

dichiarare che, non essendosi conformata alla sentenza della Corte 11 giugno 1991 allo scadere del termine indicato nel secondo parere motivato della Commissione del 6 giugno 2000, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti ai sensi dell’art. 228, n. 1, CE;

imporre, conseguentemente, il pagamento di una somma forfettaria pari a EUR 115 522 500;

dichiarare che, non avendo garantito, allo stato attuale, una piena e completa esecuzione della sentenza della Corte 11 giugno 1991, la Repubblica francese non ha ancora posto in essere tutte le misure necessarie per conformarsi pienamente alla sentenza medesima;

imporre, al fine di garantire la piena e completa esecuzione di detta sentenza, il pagamento di una penalità pari a EUR 57 761 250 per ciascun semestre per il quale la Commissione accerti che la persistenza della violazione, a decorrere dalla pronuncia dell’emananda sentenza della Corte;

condannare la Repubblica francese alle spese.


1
Lingua originale: l'inglese.


2
Racc. pag. I‑2727.


3
Regolamento (CEE) del Consiglio 25 gennaio 1983, n. 171, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca (GU L 24, pag. 14), e regolamento (CEE) del Consiglio 7 ottobre 1986, n. 3094, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca (GU L 288, pag. 1).


4
GU L 220, pag. 1.


5
GU L 207, pag. 1.


6
GU L 261, pag. 1.


7
Dato che la versione inglese della Gazzetta ufficiale risulta incompleta, i termini nelle parentesi quadre sono stati aggiunti in seguito al confronto con altre versioni linguistiche della medesima disposizione.


8
Il primo regolamento emanato in tale settore è stato il regolamento (CEE) del Consiglio n. 171/83, citato alla nota 1. A seguito di ripetute modifiche, detto regolamento è stato abrogato e sostituito dal regolamento (CEE) del Consiglio n. 3094/86, citato alla nota 3, il quale a sua volta è stato abrogato e sostituito dal regolamento (CEE) del Consiglio 29 aprile 1997, n. 894 (GU L 132, pag. 1).


9
GU L 125, pag. 1.


10
L’art. 29 del regolamento n. 2847/93 prevede la verifica dell’applicazione del regolamento sui controlli attraverso l’esame di documenti e l’effettuazione di missioni in loco da parte di ispettori comunitari.


11
La regione di Bigouden si trova nel Finistère, nel Sud‑Est della Bretagna. In tale regione si trovano i porti di Le Guilvinec, Loctudy, Lesconil e St. Guénole.


12
GU L 334, pag. 1.


13
Legge 6 agosto 2002, n. 2002‑1062 (legge sull’amnistia).


14
Farò riferimento unicamente ad una delle più recenti affermazioni di tale principio, operata nella sentenza 4 dicembre 2003, causa C‑63/01, Evans (Racc. pag. I‑0000, punto 45).


15
V. sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. 2965, punti 24 e 25).


16
GU L 358, pag. 59.


17
V. sentenza 25 aprile 2002, cause riunite C‑418/00 e C‑419/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑3969, punto 57).


18
V. sentenze 7 dicembre 1995, causa C‑52/95, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑4443, punto 35); 14 novembre 2002, causa C‑454/99, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑10323, punto 60), e 14 novembre 2002, causa C‑140/00, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑10379, punto 57).


19
Sentenza 27 marzo 1990, causa C‑9/89, Spagna/Consiglio (Racc. pag. I‑1383, punti 10 e 31).


20
Sentenze 13 giugno 2002, causa C‑474/99, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑5293, punto 27), e causa C‑33/01, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑5447, punto 13).


21
Sentenze 15 marzo 2001, causa C‑147/00, Commissione/Francia (Racc. pag. 2387, punto 26), e cause riunite C‑419/00 e C‑419/00, Commissione/Francia, citata alla nota 17 (punto 66).


22
Sentenza 4 luglio 2000, causa C‑387/97, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑5017, punti 72 e ss.).


23
Sentenze 1° ottobre 1998, causa C‑71/97, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑5991, punto 14), e 1° febbraio 2001, causa C‑333/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑1025, punto 33).


24
Sentenza Commissione/Francia, causa C‑64/88, citata alla nota 2 (punto 11).


25
V. sentenza C‑333/99, Commissione/Francia, citata alla nota 23 (punto 35).


26
V. i casi riferiti alla nota 21.


27
GU C 242, pag. 6.


28
GU C 63, pag. 2.


29
Causa C‑387/97, citata alla nota 22.


30
Sentenze Commissione/Grecia, causa C‑387/93, citata alla nota 22 (punto 89), e 25 novembre 2003, causa C‑278/01, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑0000, punto 41).


31
Sentenze Commissione/Grecia, causa C‑387/98, citata alla nota 22 (punto 82), e Commissione/Spagna, causa C‑287/01, citata alla nota 30 (punto 27).


32
V. sentenza 6 dicembre 1990, causa 2/88, Zwartweld (Racc. pag. 3365, punto 17).


33
V. il calcolo del pagamento della penalità effettuato nella sentenza Commissione/Spagna, causa C‑278/01, citata alla nota 30 (punti 52‑62).


34
Sentenza Commissione/Grecia, causa C‑387/97, citata alla nota 22 (punto 92).


35
Sentenza Commissione/Grecia, causa C‑387/97 (punto 87).


36
Sentenze 7 febbraio 1973, causa 39/72, Commissione/Italia (Racc. pag. 101, punti 24 e 25), e 7 febbraio 1979, causa 128/78, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 419, punto 12).


37
V. l’approccio seguito dalla Corte nella sentenza Commissione/Spagna, causa C‑278/02, citata alla nota 30 (punto 42).