CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
PHILIPPE LÉGER
presentate il 14 dicembre 2004(1)



Causa C-281/02



Andrew Owusu
contro
N. B. Jackson, che opera con il nome commerciale «Villa Holidays Bal - Inn Villas»

contro
Mammee Bay Resorts Ltd

contro
Mammee Bay Club Ltd

contro
The Enchanted Garden Resorts & Spa Ltd

contro
Consulting Services Ltd

contro
Town & Country Resorts Ltd



[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Court of Appeal (Regno Unito)]

«Convenzione di Bruxelles – Ambito di applicazione territoriale o personale – Incidente verificatosi in uno Stato non contraente – Danno biologico – Azione intentata in uno Stato contraente contro una persona domiciliata in tale Stato e altri convenuti domiciliati nello Stato non contraente in cui si è verificato l'incidente – Teoria del forum non conveniens nei rapporti tra uno Stato contraente e uno Stato non contraente – Incompatibilità con la Convenzione di Bruxelles»





Indice

I – Ambito normativo
A – La Convenzione di Bruxelles
B – La teoria del forum non conveniens nel diritto inglese
C – La sorte della teoria del forum non conveniens dopo l’entrata in vigore della Convenzione di Bruxelles nel Regno Unito
II – Fatti e procedimento nella causa principale
III – Il senso e la portata delle questioni pregiudiziali
IV – Analisi
A – L’ambito di applicazione personale o territoriale dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles
1. La relazione Jenard e l’ampio dibattito che ne è derivato
2. Il dettato dell’art. 2 della Convenzione
3. L’economia complessiva della Convenzione
4. Gli obiettivi della Convenzione
5. I presunti ostacoli all’applicazione dell’art. 2 della Convenzione ad un rapporto giuridico collegato unicamente ad uno Stato contraente e ad uno Stato terzo
a) I presunti ostacoli derivanti dal diritto internazionale
b) I presunti ostacoli derivanti dal diritto comunitario
B – Quanto alla compatibilità della teoria del forum non conveniens con la Convenzione di Bruxelles
1. La volontà degli autori della Convenzione
2. Il tenore letterale dell’art. 2, primo comma, della Convenzione
3. L’economia complessiva della Convenzione
4. Gli obiettivi e l’effetto utile della Convenzione
V – Conclusione

1.        La Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale  (2) , osta a che un giudice di uno Stato contraente, adito con un ricorso contro una persona domiciliata sul territorio del detto Stato e che pertanto, in base all’art. 2 della Convenzione stessa, sarebbe competente a conoscere di tale ricorso, rinunci discrezionalmente ad esercitare tale competenza, in applicazione del proprio diritto interno, per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato ai fini della soluzione della controversia?

2.        Tale è, in sostanza, la questione sollevata dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) nel procedimento in oggetto. Il problema non è nuovo, in quanto una decina di anni or sono una giurisdizione nazionale suprema, la House of Lords, aveva già proposto alla Corte una questione analoga. Tuttavia, la Corte all’epoca non ebbe modo di pronunciarsi sul punto, poiché il giudice del rinvio alla fine ritirò la domanda pregiudiziale a seguito della conciliazione della controversia tra le parti  (3) .

3.        Come nel precedente citato, la causa in oggetto offre alla Corte l’occasione di esaminare la compatibilità della cosiddetta teoria del «forum non conveniens» con la Convenzione di Bruxelles. Secondo tale teoria, ben nota nei paesi di «common law», qualsiasi organo giurisdizionale di uno Stato ha diritto di declinare l’esercizio della competenza ad esso conferita per legge qualora ritenga che il foro di un altro Stato sia più appropriato ai fini della soluzione della controversia.

4.        Nella causa in oggetto, così come nella precedente, la questione della compatibilità della teoria del forum non conveniens con la Convenzione di Bruxelles si pone unicamente nei rapporti tra un giudice di uno Stato contraente e un giudice di uno Stato non contraente, ad esclusione dei rapporti tra giudici di Stati contraenti diversi. La questione porta dunque a chiedersi quale sia l’ambito di applicazione territoriale o personale della Convenzione di Bruxelles. Al riguardo, benché la problematica in esame sia assai diversa, si può stabilire un nesso con la procedura di parere, attualmente pendente, a proposito della futura Convenzione di Lugano revisionata concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale  (4) .

5.       È peraltro interessante ricordare che la Corte ha di recente esaminato un altro meccanismo ben noto nei paesi di «common law», comunemente chiamato «anti-suit injunctions» (ordine inibitorio di giudizio). Tale meccanismo consente a un giudice nazionale di emettere un’ingiunzione che vieta, ad una parte di un procedimento dinanzi ad esso pendente, di avviare o di proseguire un’azione instaurata dinanzi al giudice di un altro Stato, qualora risulti che essa agisce in malafede allo scopo di ostacolare il procedimento già pendente. La House of Lords ha interrogato la Corte circa la compatibilità di tale meccanismo con la Convenzione di Bruxelles nel caso in cui intervenga nei rapporti tra giudici di Stati contraenti diversi. Nella sentenza Turner  (5) la Corte ha dato soluzione negativa a tale domanda.

6.        Questa sentenza merita di essere segnalata, anche se il meccanismo delle «anti-suit injunctions» e quello del forum non conveniens hanno oggetto e condizioni di attuazione assai diversi e anche se, contrariamente alla fattispecie in esame, nella causa Turner non erano state sollevate questioni circa l’ambito di applicazione territoriale o personale della Convenzione di Bruxelles. In effetti, come sottolineato dall’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle sue conclusioni relative alla sentenza Turner, i due meccanismi implicano «una qualche valutazione sul fatto se sia o meno adeguato promuovere un’azione in giudizio dinanzi ad un organo giurisdizionale specifico»  (6) .

I – Ambito normativo

A – La Convenzione di Bruxelles

7.        Adottata sulla base dell’art. 220 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea (divenuto art. 220 del Trattato CE, poi divenuto art. 293 CE)  (7) , la Convenzione di Bruxelles, come specificato nel preambolo, si pone lo scopo di «potenziare nella Comunità la tutela giuridica delle persone residenti nel suo territorio».

8.        Nell’unico ‘considerando’ della Convenzione è spiegato «che a tal fine è necessario determinare la competenza dei rispettivi organi giurisdizionali nell’ordinamento internazionale, facilitare il riconoscimento [e] creare una procedura rapida intesa a garantire l’esecuzione delle decisioni, degli atti autentici e delle transazioni giudiziarie».

9.        Pertanto, la Convenzione di Bruxelles costituisce ciò che comunemente si definisce una Convenzione «duplice», in quanto contiene non soltanto regole di riconoscimento e di esecuzione, ma anche regole di competenza diretta applicabili nello Stato contraente di origine, ossia fin dalla fase del procedimento di adozione della decisione giudiziaria suscettibile di riconoscimento e di esecuzione in un altro Stato contraente.

10.      Le regole di competenza diretta si applicano quando la controversia presenta un certo grado di integrazione o di collegamento con il territorio di uno Stato contraente. Questa situazione di integrazione o di collegamento dipende il più delle volte dal domicilio del convenuto e, in alcuni casi, dall’oggetto della controversia o dalla volontà delle parti.

11.      Il domicilio del convenuto pone una regola di competenza generale. Infatti, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della Convenzione di Bruxelles, «[s]alve le disposizioni della presente Convenzione, le persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato». Pertanto, se il convenuto ha il proprio domicilio in uno Stato contraente, in linea di principio sono competenti i giudici di tale Stato.

12.      L’art. 3 della Convenzione precisa la portata di questa regola generale. Da un lato, al primo comma esso dispone che «[l]e persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente possono essere convenute davanti agli organi giurisdizionali di un altro Stato contraente solo in virtù delle norme enunciate alle sezioni da 2 a 6 del presente titolo». Dall’altro lato, conformemente a tale logica, il secondo comma di tale articolo vieta all’attore di invocare, nei confronti di tali persone, regole di competenza cosiddette «esorbitanti» (che sarebbero in vigore negli Stati contraenti), ossia regole che produrrebbero l’effetto di sottrarre tali persone alla competenza di principio degli organi giurisdizionali dello Stato contraente in cui esse hanno il domicilio, come previsto dall’art. 2 della Convenzione.

13.      Le sezioni da 2 a 6 del titolo II della Convenzione (cui fa riferimento l’art. 3, primo comma) elencano, in primo luogo, una serie di regole di competenza a carattere facoltativo che permettono all’attore di scegliere se presentare la sua domanda dinanzi al tribunale di uno Stato contraente diverso da quello in cui il convenuto è domiciliato  (8) .

14.      Esse inoltre contengono talune regole di competenza che impongono di adire i giudici di uno Stato contraente, escludendo quelli di ogni altro Stato contraente (compreso quello in cui il convenuto ha il proprio domicilio)  (9) , oppure consentono a un giudice di uno Stato contraente di statuire nonostante il fatto che, in base alle regole poste dalla Convenzione, esso non sia normalmente competente a pronunciarsi  (10) .

15.      Queste ultime regole di competenza (contenute negli artt. 16, 17 e 18 della Convenzione) si basano sull’esistenza di un elemento di collegamento della controversia che non è quello del domicilio del convenuto. Tale elemento di collegamento deriva o dall’oggetto della controversia (art. 16 della Convenzione) oppure dalla volontà delle parti (artt. 17 e 18 della Convenzione).

16.      Se la controversia non si incardina nel territorio di uno Stato contraente a causa del domicilio del convenuto, dell’oggetto stesso della controversia o perfino della volontà delle parti, in linea di principio restano efficaci le regole di competenza esorbitanti in vigore negli Stati contraenti. Infatti, l’art. 4, primo comma, della Convenzione dispone che, «[s]e il convenuto non è domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, la competenza è disciplinata, in ciascuno Stato contraente, dalla legge di tale Stato, salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 16»  (11) .

17.      Nella scia del complesso di tali disposizioni in materia di attribuzione di competenza, la Convenzione di Bruxelles prevede alcuni meccanismi procedurali relativi all’attuazione delle regole sulla competenza. Tali meccanismi, in tema di litispendenza e di connessione, mirano a prevenire decisioni contraddittorie tra giudici di Stati contraenti differenti.

18.      Per esempio, l’art. 21 della Convenzione, in tema di litispendenza, stabilisce che «[q]ualora davanti a giudici di Stati contraenti differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito (...) [è tenuto a sospendere] il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice preventivamente adito» e, nel caso in cui essa sia accertata, a declinare la propria competenza a favore di quest’ultimo.

19.      Per quanto riguarda la connessione, l’art. 22 della Convenzione dispone che, qualora più cause connesse siano proposte davanti a giudici di Stati contraenti differenti e siano pendenti in primo grado, il giudice successivamente adito può sospendere il procedimento oppure può dichiarare la propria incompetenza su richiesta di una delle parti a condizione che la propria legge consenta la riunione di procedimenti connessi e che il giudice preventivamente adito sia competente a conoscere delle due domande. Ai sensi del terzo comma dell’art. 22, tale meccanismo è riservato alle «cause aventi tra di loro un legame così stretto da rendere opportune una trattazione e decisione uniche per evitare soluzioni tra di loro incompatibili ove le cause fossero trattate separatamente».

20.      Nella logica del complesso delle disposizioni in tema di attribuzione di competenza o di attuazione delle competenze, la Convenzione di Bruxelles ha istituito, al titolo III, un meccanismo semplificato di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni giudiziarie. Tale meccanismo si applica alle decisioni pronunciate dai giudici di uno Stato contraente nell’ambito del loro riconoscimento e della loro esecuzione in un altro Stato contraente.

21.      A seguito della comunitarizzazione del settore della cooperazione giudiziaria in materia civile operata dal Trattato di Amsterdam, il Consiglio ha adottato il regolamento n. 44/2001 sulla base degli artt. 61, lett. c), CE, e 67, n. 1, CE. Tale regolamento, destinato a sostituire la Convenzione di Bruxelles, ne riprende in sostanza le disposizioni, pur apportandovi alcuni adattamenti.

22.      Detto regolamento si applica in tutti gli Stati membri, tranne che in Danimarca  (12) , per le azioni iniziate a partire dalla data della sua entrata in vigore, ossia il 1° marzo 2002. Nella controversia della causa principale, la procedura è stata avviata prima del 1° marzo 2002. Di conseguenza solo la Convenzione di Bruxelles può essere applicata, e non il regolamento n. 44/2001.

B – La teoria del forum non conveniens nel diritto inglese

23.      La teoria del forum non conveniens ha trovato la sua prima espressione nel diritto scozzese, vale a dire in un sistema giuridico di ispirazione sostanzialmente civilistica. Essa sarebbe comparsa nella sua forma più compiuta soltanto alla fine del XIX secolo per poi diffondersi sotto forme diverse in altri paesi, principalmente in quelli di «common law» e in particolare in Inghilterra, in Irlanda e negli Stati Uniti d’America.

24.      Nel diritto inglese la teoria del forum non conveniens ha conosciuto uno sviluppo costante e significativo.

25.      Attualmente, la sua applicazione risponde alle condizioni enunciate nel 1986 dalla House of Lords nella sentenza Spiliada Marittime Corporation v. Cansulex Ltd  (13) .

26.      Tale organo giurisdizionale ha stabilito il principio in base al quale «la sospensione del giudizio viene concessa sulla base del forum non conveniens soltanto se il giudice è convinto che esista un altro giudice, parimenti competente, che costituisce il foro adeguato per la controversia, ossia dinanzi al quale la controversia può essere giudicata in modo adeguato, avendo riguardo agli interessi di tutte le parti e ai fini della giustizia»  (14) . Difatti, contrariamente a quanto potrebbe far pensare l’espressione forum non conveniens, non si tratta, per il giudice adito, di una semplice questione di «convenienza» pratica o personale, legata in particolare al sovraccarico del tribunale, ma piuttosto di una questione connessa al carattere oggettivamente appropriato del foro riguardo alla contestazione in oggetto  (15) .

27.      Come stabilito nella sentenza Spiliada, l’iter che il giudice inglese deve seguire consta delle seguenti fasi.

28.      In primo luogo, deve stabilire se un foro straniero sia «chiaramente e distintamente più adeguato»  (16) . Questo esercizio conduce all’individuazione del «foro naturale della controversia», vale a dire «quello con cui la contestazione possiede i contatti più stretti»  (17) . Tra i fattori di collegamento da tenere in considerazione vi sono non soltanto elementi di ordine pratico o economico (come la disponibilità dei testimoni)  (18) , ma anche fattori come la legge applicabile all’operazione di cui si discute e il luogo di residenza delle parti, ovvero la sede delle loro attività  (19) .

29.      In secondo luogo, dopo aver individuato un foro straniero «chiaramente e distintamente più adeguato», il giudice adito è tenuto a verificare che in tale foro il ricorrente abbia la garanzia di «ottenere giustizia»  (20) e, più precisamente, una «giustizia effettiva»  (21) . Questa condizione va intesa in senso restrittivo. Così, per regola generale, non si può negare la sospensione del giudizio per il semplice motivo che si priverebbe l’attore di un vantaggio previsto dal diritto inglese, come un elevato livello di risarcimento, un sistema di raccolta delle prove più efficace, un termine di prescrizione dell’azione più lungo rispetto al paese del foro straniero in questione  (22) . Difatti, secondo la House of Lords, «permettere all’attore di usufruire del vantaggio di un processo in Inghilterra a detrimento del convenuto sarebbe contrario all’approccio oggettivo» proprio del forum non conveniens  (23) . Tuttavia, in alcune circostanze particolarissime, si è tenuto conto dei limiti legali o pratici legati alla possibilità di ottenere una consulenza dinanzi al foro straniero nonché dell’impossibilità di ottenere un aiuto legale per il prosieguo del procedimento dinanzi al suddetto foro, nel caso in cui tale assistenza sia disponibile in Inghilterra e sia evidente che in mancanza di essa l’attore rinuncerebbe all’azione  (24) .

30.      Nel diritto inglese un esame di questo tipo non viene eseguito dal giudice adito d’ufficio, ma solo su richiesta di una delle parti  (25) . Spetta al convenuto che invoca l’eccezione del forum non conveniens, per opporsi a che il procedimento prosegua dinanzi al tribunale competente in questione, dimostrare l’esistenza di un foro straniero ugualmente competente e chiaramente e distintamente più appropriato  (26) . Ove sia soddisfatta questa prima condizione, l’attore che intende sottrarsi all’eccezione procedurale di cui trattasi è tenuto a dimostrare che non gli sarà possibile ottenere giustizia nel foro straniero in questione, ossia che non sussiste la seconda condizione necessaria perché operi la detta eccezione.

31.      Queste condizioni di applicazione della teoria del forum non conveniens vengono esaminate dal giudice adito «discrezionalmente», nel senso che esso dispone di un ampio potere di valutazione in materia.

32.      Allo stato attuale del diritto inglese, l’applicazione di tale teoria si traduce in uno «stay of proceedings», vale a dire in una sospensione provvisoria, o meglio sine die, del giudizio, pur conservando il giudice la cognizione della causa. Da ciò deriva che il procedimento può essere riassunto dinanzi al giudice inglese nell’ipotesi in cui, per esempio, risulti alla fine che il foro straniero non è competente a conoscere della controversia o che il ricorrente non otterrebbe una giustizia effettiva in tale foro. Spetta al ricorrente che intenda avviare nuovamente il procedimento fornire la prova degli elementi a tal fine necessari.

33.     È tradizionalmente escluso che la decisione di sospendere il giudizio sia accompagnata da un trasferimento o da un rinvio della causa al foro straniero. Questa procedura, infatti, equivarrebbe ad imporre al foro straniero di riconoscersi competente e di esercitare la propria eventuale competenza. Ora, è generalmente riconosciuto che i giudici di uno Stato possono statuire solo in merito alla loro propria competenza e non su quella dei giudici di un altro Stato. Spetta pertanto all’attore che intenda mantener ferme le proprie pretese compiere tutti i passi necessari per introdurre una nuova azione dinanzi al foro straniero.

34.      In linea di principio, la decisione di un giudice di primo grado che valuti in maniera discrezionale l’eccezione del forum non conveniens può essere riformata su questo punto da parte di un giudice d’appello soltanto se quest’ultimo, valutando le motivazioni seguite dal giudice di primo grado, ritenga che esso abbia manifestamente abusato del proprio ampio potere discrezionale  (27) .

C – La sorte della teoria del forum non conveniens dopo l’entrata in vigore della Convenzione di Bruxelles nel Regno Unito

35.      La Convenzione di Bruxelles, come modificata dalla Convenzione di adesione del 1978, è entrata in vigore nel Regno Unito il 1° gennaio 1987.

36.      In previsione di tale evento, è stato adottato il Civil Jurisdiction and Judgments Act 1982 (legge del 1982 sulla competenza e sulle decisioni giudiziarie in materia civile). L’art. 49 della detta legge stabilisce che «nessuna disposizione della presente legge osta a che, nell’ambito di un procedimento pendente dinanzi ad esso, un giudice britannico pronunci la sospensione del ricorso, sospenda il giudizio (...) per motivi ispirati alla dottrina del forum non conveniens (...) qualora tali misure non siano incompatibili con la Convenzione del 1968».

37.      Il riferimento all’eventuale incompatibilità della teoria del forum non conveniens con la Convenzione di Bruxelles ha dato luogo a valutazioni assai divergenti da parte dei giudici inglesi, in particolare quando si tratta di applicare tale dottrina nei rapporti tra uno Stato contraente e uno Stato terzo.

38.      Per esempio, contrariamente alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division  (28) , nella sentenza Harrods (Buenos Aires) Ltd  (29) la Court of Appeal ha ammesso la possibilità che i tribunali inglesi, in applicazione della teoria del forum non conveniens, declinino l’esercizio della competenza ad essi attribuita dall’art. 2 della Convenzione (sulla base del domicilio del convenuto nel Regno Unito) qualora sussista un foro più adeguato in uno Stato non contraente e la competenza dei tribunali di uno Stato contraente diverso dal Regno Unito non ne sia affatto coinvolta. Gli argomenti su cui la Court of Appeal ha fondato la propria decisione possono essere sintetizzati come segue.

39.      In primo luogo, dall’art. 220 del Trattato CEE, sulla base del quale è stata adottata la Convenzione di Bruxelles, deriverebbe che le regole di competenza in essa contenute vanno applicate solo nei rapporti tra gli Stati contraenti  (30) .

40.      Inoltre, nell’ipotesi in cui l’art. 2 della Convenzione avesse natura imperativa nelle relazioni tra uno Stato contraente e uno Stato non contraente, un giudice inglese – che risultasse competente in base a tale articolo – non potrebbe sospendere il giudizio, per ragioni attinenti all’esistenza di una clausola attributiva di competenza o all’esistenza di una situazione di litispendenza o di connessione, nel caso in cui il foro alternativo non si trovi in uno Stato contraente. Infatti, gli artt. 17, 21 e 22 della Convenzione di Bruxelles, che prevedono meccanismi di ripartizione delle competenze ispirati a tali motivi, si applicherebbero soltanto nei rapporti tra giudici di Stati contraenti diversi. Secondo la Court of Appeal, esiti di tal genere sarebbero contrari alle intenzioni degli autori della Convenzione di Bruxelles. Di conseguenza, l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles non avrebbe carattere imperativo nel caso in cui il solo conflitto di competenza in gioco riguardasse i giudici di un solo Stato contraente e quelli di uno Stato terzo  (31) .

41.      Infine, l’applicazione della teoria del forum non conveniens nei rapporti tra un giudice inglese e un giudice di uno Stato non contraente non sarebbe contraria all’obiettivo della libera circolazione dei provvedimenti giurisdizionali in Europa, perseguito dalla Convenzione, proprio perché, se il giudice inglese in questione declina l’esercizio della propria competenza, non pronuncerà alcun provvedimento nel merito che sia suscettibile di riconoscimento e di esecuzione in altri Stati contraenti  (32) .

42.      La conclusione tratta dalla Court of Appeal è che la Convenzione di Bruxelles non osta a che un giudice inglese sospenda il giudizio, in attuazione della teoria del forum non conveniens, «nel caso in cui il solo foro alternativo sia situato in uno Stato non contraente»  (33) .

43.      La House of Lords, dinanzi alla quale era stato proposto un ricorso contro tale sentenza, aveva deciso di interrogare la Corte sul punto  (34) . Come ho già detto, questa serie di questioni pregiudiziali è stata alla fine ritirata in seguito a composizione amichevole della controversia tra le parti.

44.      Qualche anno dopo, nella citata sentenza Lubbe  (35) , la House of Lords ha avuto cura di sottolineare che «la risposta alla domanda non è chiara», preferendo però non adire nuovamente la Corte perché, in ogni modo, qualunque fosse stata la risposta, la teoria del forum non conveniens non sarebbe stata applicata al caso di specie, in quanto non esisteva un foro «alternativo» accessibile da parte dei ricorrenti  (36) .

45.      Questa notazione incidentale della House of Lords è stata da alcuni interpretata come espressione di seri dubbi sulla fondatezza della linea giurisprudenziale formulata dalla Court of Appeal nella sentenza Harrods  (37) .

II – Fatti e procedimento nella causa principale

46.      Il 10 ottobre 1997 il sig. Andrew Owusu, cittadino britannico domiciliato in Inghilterra, è rimasto vittima di un grave incidente mentre si trovava in vacanza in Giamaica. Tuffatosi in mare in un punto in cui l’acqua gli arrivava alla vita, egli ha sbattuto contro un banco di sabbia sommerso, subendo la frattura della quinta vertebra cervicale, con conseguente tetraplegia.

47.      A seguito di tale incidente, il sig. Owusu ha proposto in Inghilterra un’azione per responsabilità nei confronti del sig. Jackson, anche lui domiciliato nel medesimo Stato membro  (38) . Questi aveva affittato all’interessato la villa in cui aveva trascorso il suo soggiorno in Giamaica e nelle cui vicinanze aveva avuto l’incidente. A sostegno della sua domanda, il sig. Owusu sostiene che nel contratto, col quale si stabiliva che egli avrebbe avuto accesso ad una spiaggia privata, era implicitamente previsto che quest’ultima sarebbe stata ragionevolmente sicura o priva di pericoli nascosti.

48.      A sua difesa, il primo convenuto ha sollevato l’eccezione del forum non conveniens, chiedendo di conseguenza la sospensione del giudizio. Oltre al fatto che la controversia presenterebbe un legame più stretto con la Giamaica anziché con l’Inghilterra, il predetto ha sostenuto, da un lato, che la sua polizza assicurativa riguardante la fornitura di un alloggio in Giamaica non coprirebbe i danni accertati da giudici diversi da quelli giamaicani e, dall’altro lato, che le questioni attinenti al principio della responsabilità ed alla liquidazione del danno sarebbero in gran parte regolate allo stesso modo in Giamaica e in Inghilterra.

49.      Il sig. Owusu ha invocato dinanzi ai giudici inglesi anche la responsabilità di diverse società giamaicane. Tale azione riguarda, in particolare, le società «Mammee Bay Club Ltd» (proprietario e gestore della spiaggia Mammee Bay al cui accesso il sig. Owusu era stato autorizzato)  (39) , «The Enchanted Garden Resorts & Spa Ltd» (che gestisce un centro vacanze in prossimità della spiaggia in questione, alla quale anche i suoi clienti avevano accesso)  (40) , e «Town & Country Resorts Ltd» (gestore di un grande albergo adiacente alla suddetta spiaggia e titolare di una licenza di accesso alla stessa, con obbligo di curarne la gestione, la manutenzione ed il controllo)  (41) .

50.      Queste società giamaicane sono state tutte chiamate in causa sulla base di una responsabilità da delitto o quasi-delitto. Viene ad esse contestata la mancata adozione delle misure necessarie per avvertire i bagnanti dei pericoli legati alla presenza di banchi di sabbia sommersi, quando invece dette misure sarebbero state particolarmente necessarie, dal momento che un incidente di analoga gravità si era verificato due anni prima in circostanze analoghe a danno di una turista inglese, dando origine peraltro ad un procedimento per risarcimento danni dinanzi ai giudici giamaicani (dato che tutti i convenuti avevano il proprio domicilio in tale Stato).

51.      Conformemente alle regole di procedura civile applicabili in Inghilterra, il sig. Owusu ha chiesto l’autorizzazione a citare in giudizio le società giamaicane dinanzi ai giudici inglesi. Un’autorizzazione in tal senso gli è stata accordata da un giudice inglese (il sostituto giudice distrettuale Beevers). Risulta però che l’atto introduttivo del giudizio sia stato notificato soltanto a tre di queste società (ossia al terzo, al quarto e al sesto convenuto).

52.      Costoro hanno contestato la competenza del giudice inglese adito. Alcuni di essi hanno inoltre presentato domanda affinché tale giudice declinasse la propria giurisdizione autorizzando la prosecuzione all’estero del procedimento. A loro parere, alla luce dei vari elementi di collegamento della controversia con la Giamaica, soltanto i giudici giamaicani sarebbero competenti.

53.      Con ordinanza 16 ottobre 2001, il giudice Bentley QC (in qualità di sostituto giudice di High Court a Sheffield), ha respinto tutti i motivi di difesa invocati dai convenuti.

54.      Per quanto riguarda l’eccezione del forum non conveniens invocata dal primo convenuto, egli ha osservato che la sentenza della Corte di giustizia 15 luglio 2000, Group Josi  (42) , impedisce che si disponga la sospensione di un procedimento per il solo motivo che il giudice adito non sarebbe quello appropriato per risolvere la controversia. Difatti, in tale sentenza la Corte avrebbe dichiarato che, in linea di principio, le regole di competenza contenute nella Convenzione di Bruxelles si applicano ad una controversia quando il convenuto ha la propria sede sociale o il proprio domicilio in uno Stato contraente  (43) . Secondo il giudice di primo grado, questa interpretazione della Convenzione di Bruxelles effettuata dalla Corte smentirebbe quella seguita qualche anno prima da parte della Court of Appeal nella sentenza Harrods  (44) . Non potendo sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte per chiarire il punto  (45) , egli ha dichiarato che, alla luce della citata sentenza Group Josi, non gli era consentito disporre la sospensione del giudizio contro il primo convenuto (il sig. Jackson), essendo quest’ultimo domiciliato in uno Stato contraente.

55.      Il giudice di primo grado ha respinto anche i motivi di difesa invocati dagli altri convenuti (il terzo, il quarto e il sesto convenuto) sebbene, da un lato, le regole di competenza contenute nella Convenzione di Bruxelles non fossero ad essi applicabili nella controversia in oggetto e, dall’altro lato, la Giamaica costituisse con evidenza un foro più adatto ad occuparsene rispetto all’Inghilterra.

56.      Non potendo sospendere il giudizio contro il primo convenuto, egli ha ritenuto di dover fare altrettanto nei confronti degli altri convenuti. In caso contrario, si sarebbe corso il rischio che giudici diversi appartenenti a due Stati (il Regno Unito e la Giamaica), chiamati a giudicare degli stessi fatti sulla base di prove identiche o analoghe, giungessero a conclusioni differenti. Il giudice di primo grado ha pertanto considerato che l’Inghilterra, e non la Giamaica, costituisse il foro adeguato per occuparsi dell’intera controversia.

57.      Il primo, il terzo, il quarto e il sesto convenuto hanno impugnato questa ordinanza del giudice di primo grado dinanzi alla Court of Appeal.

58.      Essi sostengono che la Convenzione di Bruxelles non trova applicazione alla situazione de qua e che di conseguenza non può impedire, nella fattispecie, l’applicazione della teoria del forum non conveniens. A sostegno della detta tesi, i convenuti invocano una serie di argomenti che riprendono sostanzialmente quelli accolti dalla Court of Appeal nella citata sentenza Harrods.

59.      Essi sostengono che il sistema di ripartizione delle competenze giurisdizionali istituito dalla Convenzione di Bruxelles si impone unicamente nelle relazioni tra gli Stati contraenti e non in quelle tra uno Stato contraente e uno Stato terzo che non coinvolgano questioni di ripartizioni di competenze con un altro Stato contraente.

60.      Inoltre, essi mettono in rilievo che, nell’ipotesi in cui l’art. 2 della Convenzione fosse vincolante – anche nelle relazioni tra uno Stato contraente e uno Stato non contraente – il giudice inglese dovrebbe dichiararsi competente a conoscere di un’azione promossa contro una persona domiciliata in Inghilterra, anche qualora un procedimento identico o simile fosse già pendente dinanzi ai giudici di uno Stato non contraente e anche qualora a favore di questi ultimi fosse stata stipulata una clausola attributiva di competenza. In caso contrario, si perverrebbe ad un risultato contrastante con lo spirito della Convenzione.

61.      Il sig. Owusu sostiene, da parte sua, che la Convenzione di Bruxelles non riguarda soltanto conflitti di competenza fra i giudici di più Stati contraenti. Limitare l’applicazione della Convenzione a questi conflitti pregiudicherebbe il principale obiettivo perseguito dall’art. 2 della Convenzione, ossia la garanzia della certezza del diritto grazie alla prevedibilità del foro competente.

62.      Inoltre, basandosi sulla sentenza Group Josi, il sig. Owusu sostiene che la norma generale sulla competenza prevista dall’art. 2 della Convenzione possiede carattere imperativo e non vi si può derogare se non in situazioni espressamente previste dalla Convenzione, il che non vale per la situazione controversa.

63.      Tuttavia, a suo giudizio, si potrebbero ammettere delle eccezioni all’art. 2 in situazioni particolari (che non corrispondono a quella della controversia nella causa principale), anche se non esplicitamente previste dalla Convenzione. Ciò potrebbe avvenire quando una controversia promossa dinanzi ad un giudice di uno Stato contraente sia già pendente dinanzi ad un giudice di uno Stato non contraente oppure quando la controversia in questione verta su diritti reali sopra un immobile situato in uno Stato terzo o ancora quando le parti concordino nel portare la controversia dinanzi ai giudici di tale Stato.

III – Il senso e la portata delle questioni pregiudiziali

64.      Alla luce delle tesi esposte dalle parti, la Court of Appeal ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)
Se, quando l’attore sostiene che la giurisdizione è fondata sull’art. 2 della Convenzione di Bruxelles del 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni, l’esercizio del potere discrezionale di un organo giurisdizionale di uno Stato contraente, consentito dalla sua legge nazionale, di declinare la giurisdizione in un procedimento intentato nei confronti di una persona domiciliata in tale Stato a favore degli organi giurisdizionali di uno Stato non contraente, sia contrario alla suddetta Convenzione:

a)
nel caso in cui non sia in questione la giurisdizione di nessun altro Stato contraente;

b)
nel caso in cui il procedimento non abbia altri elementi di connessione con nessun altro Stato contraente.

2)
In caso di soluzione affermativa della questione sub 1), a), o sub 1), b), se la fattispecie configuri una violazione in ogni caso o soltanto in presenza di determinate circostanze e, in tal caso, di quali».

65.      Secondo la Court of Appeal, la giurisprudenza della Corte, ivi compresa la sentenza Group Josi, non offre risposte precise a tali questioni. Ciò detto, essa dichiara di aver avuto più volte l’occasione di esaminare questioni simili e di confermare la propria giurisprudenza Harrods, tanto a proposito della Convenzione di Bruxelles quanto a proposito della Convenzione di Lugano  (46) .

66.      Il giudice del rinvio, peraltro, richiama l’attenzione della Corte sul fatto che, nell’ipotesi in cui essa accogliesse l’interpretazione dell’art. 2 della Convenzione sostenuta dall’attore, e qualora il giudice del rinvio ritenesse che la controversia tra quest’ultimo e il primo convenuto sia effettiva (e non puramente fittizia), si porrebbe il problema della chiamata in causa degli altri convenuti nel procedimento inglese, che rischierebbe di sollevare difficoltà particolari.

67.      Infatti, in caso di riunione, la sentenza pronunciata in Inghilterra che ponesse fine alla controversia nel merito e fosse eseguibile in Giamaica potrebbe contrastare con alcune regole vigenti in tale paese in tema di riconoscimento e di esecuzione delle pronunce giurisdizionali straniere. Inoltre, nel caso opposto di mancata riunione, potrebbe accadere che il giudice inglese e il giudice giamaicano pronuncino decisioni contrastanti, pur trovandosi a statuire sulla stessa controversia e in base ad elementi di prova identici o simili  (47) .

68.      Questi sviluppi riguardanti la situazione del terzo, del quarto e del sesto convenuto sono invocati dal giudice del rinvio unicamente a titolo di elementi di contorno, al fine di attirare l’attenzione della Corte sull’incidenza che la sua possibile interpretazione dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles, riguardo alla sola situazione del primo convenuto, avrebbe sulla soluzione della controversia nel suo complesso. Infatti, è assodato che la parte della controversia riguardante il terzo, il quarto e il sesto convenuto non rientra nell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles, trattandosi di soggetti domiciliati in uno Stato non contraente.

69.      Al fine di precisare ulteriormente la portata delle questioni pregiudiziali, occorre sottolineare, come fa la Commissione  (48) , che la controversia nella causa principale non rientra né in una situazione di litispendenza o di connessione con un procedimento pendente, instaurato dinanzi ad un giudice di uno Stato terzo prima di adire il giudice di uno Stato contraente, né in una clausola attributiva di competenza a favore di organi giurisdizionali di Stati terzi. Non è pertanto necessario esaminare se, come suggeriscono i convenuti nella controversia della causa principale (facendo eco alla sentenza Harrods della Court of Appeal), l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles possa essere esclusa nella situazione sopra evocata.

70.      Inoltre, come sottolineato dal sig. Owusu  (49) , se la controversia principale presenta effettivamente un elemento di connessione con uno Stato terzo, è chiaro che si tratta di un nesso di natura diversa da quello su cui si basa la competenza esclusiva di un giudice di uno Stato contraente, conformemente all’art. 16 della Convenzione di Bruxelles. Pertanto, non occorre esaminare neppure se, nella fattispecie, si possa escludere l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles, in particolare in virtù di un eventuale «effetto riflesso» delle regole di competenza esclusiva di cui all’art. 16, qualora gli elementi di connessione previsti da detto articolo si situino sul territorio di uno Stato terzo.

71.      Al pari del sig. Owusu, della Commissione e del governo del Regno Unito (che si sono espressi tutti all’udienza su queste differenti ipotesi), ritengo che occorra limitare la portata della risposta della Corte a quanto strettamente necessario alla soluzione della controversia nella causa principale.

72.      Suggerisco pertanto, in primo luogo, di procedere ad una riformulazione della prima questione pregiudiziale, mettendo in evidenza le diverse angolazioni della problematica in esame e, in secondo luogo, di dichiarare irricevibile la seconda questione pregiudiziale.

73.      A mio avviso occorre scindere la prima questione pregiudiziale in due questioni diverse, una preliminare all’altra, in modo da stabilire un ordine di priorità nelle risposte. Infatti, prima di valutare se sia contrario alla Convenzione di Bruxelles il fatto che un giudice di uno Stato contraente declini la giurisdizione ad esso derivante dall’art. 2 della Convenzione stessa per il fatto che un giudice di uno Stato terzo sarebbe più appropriato ai fini della soluzione della controversia nel merito, occorre stabilire se, come sostenuto dal ricorrente, l’art. 2 della Convenzione possa effettivamente applicarsi nella fattispecie concreta, in modo da costituire il fondamento della competenza del giudice adito.

74.      Ritengo pertanto che la prima questione pregiudiziale debba essere interpretata come composta di due capi, nei termini che vado ad illustrare.

75.      In primo luogo, con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles sia applicabile quando il ricorrente e il convenuto hanno il proprio domicilio nel medesimo Stato contraente e la controversia tra essi esistente dinanzi ai giudici di tale Stato contraente presenti taluni elementi di collegamento con uno Stato terzo, e non con un altro Stato contraente, di modo che la sola questione di ripartizione di competenze che possa profilarsi in tale controversia si ponga unicamente riguardo ai rapporti tra i giudici di uno Stato contraente e quelli di uno Stato terzo, e non tra giudici di diversi Stati contraenti.

76.      In altri termini, si tratta di stabilire se la situazione oggetto della controversia nella causa principale rientri nell’ambito di applicazione territoriale o personale dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles.

77.      In secondo luogo, in caso di soluzione affermativa a tale questione preliminare, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se sia contrario alla Convenzione di Bruxelles il fatto che un giudice di uno Stato contraente – la cui competenza sussista in forza dell’art. 2 della Convenzione stessa – declini discrezionalmente l’esercizio di tale competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia, qualora quest’ultimo giudice non sia stato designato mediante alcuna clausola attributiva di competenza, dinanzi ad esso non sia stata previamente proposta alcuna domanda idonea a determinate una situazione di litispendenza o di connessione e gli elementi di collegamento di tale controversia con lo Stato terzo abbiano natura diversa da quelli contemplati dall’art. 16 della Convenzione di Bruxelles.

78.      In altri termini, si tratta di sapere se la Convenzione di Bruxelles osti all’applicazione della teoria del forum non conveniens in una situazione come quella in esame nella causa principale.

79.      Soltanto in caso di soluzione negativa alla seconda questione il giudice del rinvio chiede, con la seconda questione pregiudiziale, se la Convenzione di Bruxelles osti all’applicazione della suddetta teoria in ogni caso o soltanto in talune circostanze e, in tale ipotesi, quali. A mio avviso, la seconda questione pregiudiziale dev’essere dichiarata irricevibile.

80.      Infatti, leggendo l’ordinanza di rinvio, tutto lascia pensare che la seconda questione pregiudiziale miri prima di tutto ad accertare se la risposta della Corte alla prima questione sarebbe diversa qualora la controversia della causa principale fosse caratterizzata da una situazione di litispendenza o di connessione con un procedimento pendente dinanzi a un giudice di uno Stato terzo, ovvero dall’esistenza di una clausola attributiva di competenza a favore di un tale giudice, oppure ancora da un collegamento a tale Stato in modo identico ai casi contemplati dall’art. 16 della Convenzione di Bruxelles  (50) . Come ho già spiegato, si tratta di situazioni di fatto che non sussistono nella controversia della causa principale.

81.      Intesa in questo modo, la seconda questione pregiudiziale ha natura ipotetica e va pertanto dichiarata irricevibile. Nell’ambito di un procedimento di rinvio pregiudiziale, spetta infatti alla Corte esaminare le condizioni in cui viene adita dal giudice nazionale, al fine di verificare la propria competenza. Al riguardo la Corte ha costantemente dichiarato che «lo spirito di collaborazione che deve presiedere allo svolgimento del rinvio pregiudiziale implica che il giudice nazionale, dal canto suo, tenga presente la funzione di cui la Corte è investita, che è quella di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche»  (51) . Di conseguenza, secondo una giurisprudenza costante, tali questioni pregiudiziali sono irricevibili. Concludo pertanto che la seconda questione pregiudiziale dev’essere dichiarata irricevibile.

IV – Analisi

82.      Prenderò in esame in primo luogo la questione attinente all’ambito di applicazione territoriale o personale dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles (ossia, il primo capo della prima questione pregiudiziale). In secondo luogo, alla luce della soluzione data a tale questione preliminare, esaminerò quella relativa alla compatibilità della teoria del forum non conveniens con la Convenzione stessa (vale a dire, il secondo capo della prima questione pregiudiziale).

A – L’ambito di applicazione personale o territoriale dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles

83.      Ricordo che il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles si applichi nel caso in cui sia l’attore sia il convenuto abbiano il domicilio nel medesimo Stato contraente e la controversia tra essi esistente dinanzi ai giudici di tale Stato contraente presenti elementi di collegamento con uno Stato terzo, e non con un altro Stato contraente, di modo che la sola questione di ripartizione di competenze che possa profilarsi in tale controversia si ponga unicamente riguardo ai rapporti tra i giudici di uno Stato contraente e quelli di uno Stato terzo, e non tra giudici diversi Stati contraenti.

84.      In sintesi, con tale questione si intende sapere se l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles sia subordinata all’esistenza di un rapporto giuridico tra diversi Stati contraenti.

85.      Dal momento che la Convenzione non definisce precisamente la sfera di applicazione territoriale di tale articolo, la questione ha suscitato notevoli discussioni, per lo più di origine dottrinale, specie dopo che la Court of Appeal si è pronunciata sul punto circa dieci anni or sono nella celebre sentenza Harrods.

86.      Secondo alcune delle parti nella causa principale, una soluzione a tale questione poteva essere desunta chiaramente dalla relazione Jenard sulla Convenzione di Bruxelles  (52) (come adottata dal 27 settembre 1968).

87.      Prenderò quindi in esame, innanzi tutto, la relazione Jenard e il dibattito da essa suscitato, in particolare da parte della dottrina. In seguito prenderò in esame il dettato dell’art. 2, l’economia complessiva della Convenzione e gli obiettivi da essa perseguiti. Infine, analizzerò una serie di argomenti dedotti da alcune delle parti per opporsi all’applicazione dell’art. 2 della Convenzione alla controversia nella causa principale.

1. La relazione Jenard e l’ampio dibattito che ne è derivato

88.      Come già ricordato, il preambolo della Convenzione prevede, all’unico ‘considerando’, che essa mira a «determinare la competenza [degli] organi giurisdizionali [degli Stati contraenti] nell’ordinamento internazionale (...)».

89.      Nella sua relazione, Jenard trae da tali disposizioni le conclusioni seguenti  (53) :

«La Convenzione [di Bruxelles] modifica le norme di competenza vigenti nei vari Stati contraenti soltanto quando sussiste un elemento d’estraneità. Tale concetto non è definito nella Convenzione, dato che il carattere internazionale del rapporto giuridico può dipendere da circostanze peculiari alla controversia deferita al giudice. Nell’ipotesi di una controversia sottoposta ai giudici di uno Stato contraente e relativa soltanto a persone domiciliate in tale Stato, la Convenzione in linea di principio non si applica; l’articolo 2 rinvia semplicemente alle regole di competenza vigenti in detto Stato. È tuttavia possibile che una controversia del genere presenti un aspetto internazionale. Tale ipotesi si verificherebbe se, per esempio, il convenuto fosse uno straniero: in tal caso potrebbe trovare applicazione il principio di equiparazione previsto all’articolo 2, secondo comma; oppure qualora la controversia si riferisse ad una materia per la quale un altro Stato si dichiari esclusivamente competente (articolo 16), oppure ancora se vi fosse litispendenza o connessione con una controversia sottoposta alle giurisdizioni di un altro Stato (articoli 2-23)».

90.      I convenuti nella causa principale e il governo del Regno Unito si avvalgono di tale relazione per sostenere che le uniche questioni di competenza internazionale rientranti nelle regole dettate dalla Convenzione di Bruxelles sono quelle che insorgono tra gli Stati contraenti nelle loro reciproche relazioni. Da ciò deriverebbe che la Convenzione, in particolare l’art. 2, non è applicabile ad una controversia che non presenti elementi di collegamento con più di uno Stato contraente, ossia ad un rapporto giuridico puramente interno ad uno Stato contraente oppure extracomunitario o non puramente intracomunitario, in altri termini ad un rapporto giuridico non limitato a diversi Stati contraenti, ma che coinvolge uno Stato contraente e uno Stato terzo.

91.      Il primo convenuto nella causa principale e il governo del Regno Unito sostengono che questa tesi troverebbe conferma nella giurisprudenza della Corte. Difatti, nella sentenza 6 ottobre 1976, Tessili  (54) , nonché nella sentenza 15 maggio 1990, Hagen  (55) , la Corte ha spiegato in termini generali che le regole di competenza contenute nella Convenzione si applicano nell’ambito delle relazioni intracomunitarie.

92.      A mio avviso, è eccessivo considerare tale giurisprudenza come espressione di un principio generale che consente di stabilire l’ambito di applicazione territoriale o personale di tutte le regole di competenza contenute nella Convenzione, in qualunque caso ipotizzabile.

93.      Difatti, in nessuna delle due cause citate venivano sollevate questioni di tal genere, per cui non era necessario che la Corte si pronunciasse su questo punto. Inoltre, tali cause riguardavano unicamente l’art. 5, n. 1, della Convenzione, nonché l’art. 6, n. 2, e non l’art. 2 come avviene nella causa principale. Come vedremo in seguito  (56) , l’art. 5, n. 1, e l’art. 6, n. 2, della Convenzione non pongono alcun problema particolare d’interpretazione quanto alla loro applicazione nello spazio poiché, con tutta evidenza, essi riguardano situazioni che necessariamente coinvolgono più Stati contraenti.

94.      Ne consegue, a mio parere, che la Corte non si è mai pronunciata a favore della tesi sviluppata nella relazione Jenard e sostenuta dai convenuti nella causa principale e dal governo del Regno Unito, sulla scia di parte della dottrina inglese  (57) .

95.     È inoltre interessante rilevare come questa tesi sia lungi dall’essere seguita all’unanimità dalla dottrina. Si può anzi affermare che si sta delineando una forte tendenza a favore di una tesi diametralmente opposta: si tratta di quella avanzata da Droz, che ha preso parte, come Jenard, all’elaborazione della Convenzione di Bruxelles  (58) .

96.      Secondo questa tesi, condivisa da numerosi autori  (59) , l’espressione contenuta nel preambolo (ossia la determinazione della competenza degli organi giurisdizionali degli Stati contraenti nell’ordinamento internazionale) non dev’essere intesa nel senso che l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione sarebbe subordinata alla realizzazione di una condizione particolare, attinente al carattere internazionale del rapporto giuridico considerato.

97.      Infatti, secondo Droz vi sarebbe un interesse a limitare l’applicazione della Convenzione ai rapporti giuridici internazionali soltanto se alcune regole di competenza in essa contenute rischiassero di inserirsi nell’ordinamento giuridico interno. Orbene, l’art. 2 in questione si limita a rinviare alle regole di competenza interne vigenti nello Stato contraente in cui il convenuto ha il proprio domicilio, ossia alle regole sulla ripartizione delle competenze territoriali all’interno del detto Stato. Pertanto, non vi sarebbe alcun pericolo che l’art. 2 influisca direttamente sull’ordinamento giuridico interno.

98.      Secondo l’autore, per l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione è indifferente che il ricorrente abbia o meno il proprio domicilio nello Stato contraente del convenuto e che si faccia una distinzione tra rapporti internazionali e rapporti interni  (60) .

99.      Seguendo la stessa logica, aggiunge che, contrariamente alla norma di competenza generale di cui all’art. 2, le regole di competenza speciale contenute nell’art. 5 designano, per talune controversie, un determinato giudice, per esempio, in materia di responsabilità da delitto o quasi-delitto, il giudice del luogo in cui l’evento dannoso si è prodotto. Egli precisa che lo stesso vale per le regole di competenza in materia di assicurazioni (titolo II, sezione 3, della Convenzione), nonché per quelle riguardanti i contratti stipulati dai consumatori (titolo II, sezione 4, della Convenzione).

100.    Droz sottolinea che proprio in queste differenti ipotesi il contesto è necessariamente internazionale, poiché si tratta unicamente di casi in cui un convenuto domiciliato sul territorio su uno Stato contraente viene chiamato dinanzi al giudice di un altro Stato contraente. In altri termini, l’espressione «nell’ordinamento internazionale», contenuta nel preambolo della Convenzione, avrebbe una portata semplicemente dichiarativa e non costitutiva per quel che riguarda le suddette disposizioni, nel senso che si limiterebbe a constatare l’esistenza di un dato già acquisito, per cui non sarebbe affatto necessario esigerla per garantirsi della sua sussistenza.

101.    A suo giudizio, infine, l’unico caso in cui l’espressione in oggetto potrebbe presentare interesse, ossia avere una portata costitutiva, sarebbe quello in cui le parti in causa fossero domiciliate nel medesimo Stato contraente e avessero designato un giudice di tale Stato per risolvere la loro controversia, dando per assodato che il merito della controversia stessa non possieda carattere internazionale.

102.    Infatti, è vero che l’art. 17 della Convenzione ammette la competenza esclusiva del giudice o dei giudici designato/i in una clausola attributiva di competenza solo a certe condizioni, ma non esige espressamente che il rapporto giuridico di cui trattasi possieda un elemento di estraneità. Se ci si attiene semplicemente alla lettera di tale articolo, non si può quindi escludere che l’art. 17 si applichi a rapporti giuridici semplicemente interni. Soltanto in tale caso ipotetico si potrebbe invocare il riferimento all’internazionalità delle regole di competenza, contenuto nel preambolo della Convenzione di Bruxelles, allo scopo di escludere l’applicazione dell’art. 17  (61) .

103.    Riassumendo, si può desumere dalla tesi suddetta che l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione non è subordinata all’esistenza di alcun rapporto giuridico internazionale, indipendentemente dalla forma di questo, ossia dal fatto che tale rapporto giuridico coinvolga uno Stato contraente e uno Stato terzo oppure due Stati contraenti.

104.    Vi è chi ha sostenuto una tesi intermedia secondo la quale, supponendo che il carattere internazionale del rapporto giuridico interessato costituisca una condizione per l’applicabilità dell’art. 2 della Convenzione, non vi sarebbe alcun motivo di ritenere che l’internazionalità derivante da un rapporto che coinvolge uno Stato contraente e uno Stato terzo non sia sufficiente a soddisfare tale condizione  (62) . Questa tesi è stata sostenuta dal governo tedesco  (63) .

105.    Questa sintetica esposizione delle diversi tesi esposte dimostra che gli argomenti contenuti nella relazione Jenard in merito all’ambito di applicazione territoriale o personale della Convenzione sono ben lungi dal riscuotere un consenso diffuso.

106.    A mio avviso, la tesi che si avvale della suddetta relazione non regge ad un esame approfondito della Convenzione. Infatti, né il dettato dell’art. 2, né l’economia complessiva della Convenzione ostano a che tale articolo si applichi ad un rapporto giuridico che coinvolge unicamente uno Stato contraente e uno Stato terzo. Inoltre, ragionando a contrario, gli obiettivi perseguiti dalla Convenzione ostano a che l’applicazione del suddetto art. 2 sia subordinata all’esistenza di un rapporto giuridico che coinvolga più Stati contraenti, per cui l’attuazione di tale disposizione sarebbe esclusa nell’ambito di una controversia collegata ad uno Stato contraente e ad un paese terzo.

2. Il dettato dell’art. 2 della Convenzione

107.    Ricordo qui di seguito il testo dell’art. 2 della Convenzione:

«Salve le disposizioni della presente Convenzione, le persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato.

Alle persone che non sono in possesso della cittadinanza dello Stato nel quale esse hanno il domicilio, si applicano le regole di competenza vigenti per i cittadini».

108.    Va osservato che nulla, nella lettera di tale articolo, indica che l’applicazione della regola sulla competenza in esso enunciata è subordinata ad una condizione attinente all’esistenza di un rapporto giuridico tra più Stati contraenti. L’unica condizione prevista per la sua applicazione è quella relativa al domicilio del convenuto. Stando alla lettera dell’art. 2, perché esso sia applicabile è pertanto sufficiente che il convenuto abbia il proprio domicilio sul territorio di uno Stato contraente.

109.    Difatti, viene esplicitamente indicato che la nazionalità del convenuto è indifferente. Poco importa che quest’ultimo sia cittadino dello Stato contraente in cui ha il proprio domicilio, di un altro Stato contraente o di uno Stato terzo.

110.    Sebbene l’art. 2 non lo preveda espressamente, lo stesso vale, necessariamente, per il ricorrente: poco importano il suo domicilio o la sua cittadinanza.

111.    Tutto ciò è stato evidenziato dalla Corte nella già citata sentenza Group Josi, a proposito di una controversia tra una società di assicurazioni di diritto canadese con sede in Vancouver (attore) e una società riassicuratrice di diritto belga con sede a Bruxelles (convenuta), in seguito alla partecipazione di quest’ultima ad un’operazione di riassicurazione, che le era stata offerta da una società di diritto francese con sede in Francia, secondo le istruzioni della società canadese in questione. La società belga aveva eccepito l’incompetenza del giudice francese investito della controversia, invocando in particolare l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles. La Cour d’appel di Versailles (Francia) ha chiesto alla Corte se le regole di competenza previste dalla Convenzione si applichino quando il convenuto ha il domicilio o la sede nel territorio di uno Stato contraente, mentre l’attore è domiciliato in un paese terzo. Tale organo giurisdizionale ha sottoposto la questione alla Corte perché intendeva verificare se le norme della Convenzione si potessero far valere contro un attore domiciliato in uno Stato non contraente in quanto, a suo avviso, ciò avrebbe condotto ad un’estensione del diritto comunitario a paesi terzi  (64) .

112.    Rispondendo a tale questione pregiudiziale, la Corte ha dichiarato che «di norma, il luogo del domicilio dell’attore non rileva ai fini dell’applicazione delle regole di competenza poste dalla Convenzione, giacché tale applicazione dipende in linea di massima dal solo criterio del domicilio del convenuto in uno Stato contraente»  (65) . Essa ha precisato che «[l]a regola opposta varrebbe solo nei casi eccezionali in cui la Convenzione fa esplicitamente dipendere l’applicazione delle norme sulla competenza dal fatto che l’attore sia domiciliato in uno Stato contraente»  (66) . La Corte ha da ciò concluso che «in linea di massima la Convenzione non osta a che le norme sulla competenza che essa pone si applichino ad una controversia tra un convenuto domiciliato in uno Stato contraente e un attore domiciliato in paese terzo»  (67) .

113.    Ritengo che tale giurisprudenza si possa applicare nell’ipotesi in cui sia l’attore sia il convenuto siano domiciliati nello stesso Stato contraente.

114.    Infatti, sono del parere che se gli autori della Convenzione avessero davvero avuto l’intenzione di escludere l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione in questo caso ipotetico, si sarebbero preoccupati di indicarlo esplicitamente nel testo stesso della Convenzione. Invece non è così. Questa osservazione non è smentita dalle riflessioni contenute nella relazione Jenard, che impegnano solo l’autore e non gli Stati contraenti. A mio avviso, pertanto, l’art. 2 della Convenzione è applicabile anche quando l’attore abbia il domicilio nel medesimo Stato contraente in cui è domiciliato il convenuto.

115.    La stessa conclusione vale anche nel caso in cui, come nella fattispecie in oggetto, il merito della controversia non presenti elementi di collegamento con nessun altro Stato contraente, ma soltanto con un paese terzo.

116.    Risulta infatti dalla lettera dell’art. 2 che la norma sulla competenza da esso enunciata si applica «[s]alve le disposizioni della presente Convenzione». Come vedremo esaminando l’economia complessiva della Convenzione, se alcune regole di competenza – diverse da quelle dell’art. 2 – sono applicabili solo nell’ipotesi particolare in cui il merito della controversia o la situazione delle parti presentino elementi di collegamento con più Stati contraenti, ciò non vuol dire che lo stesso valga anche per l’art. 2. Sostenere il contrario equivarrebbe a negare la specificità di queste altre regole di competenza.

117.    Inoltre, estendendo in questo modo la necessità di una condizione legata all’esistenza di un rapporto giuridico che coinvolge più Stati contraenti, si finirebbe con l’aggiungere al dettato dell’art. 2 della Convenzione un requisito supplementare che esso non prevede. Tale aggiunta sarebbe verosimilmente in contrasto con la volontà degli autori della Convenzione. In effetti, come giustamente sottolineato dal governo tedesco, se questi ultimi avessero voluto limitare l’applicazione dell’art. 2 all’ipotesi di coinvolgimento di più Stati contraenti, avrebbero avuto cura di indicarlo espressamente, così come hanno fatto per le altre regole di competenza in questione.

118.    Concludo pertanto che il dettato dell’art. 2 della Convenzione non osta a che esso si applichi ad un rapporto giuridico che presenti elementi di collegamento unicamente con uno Stato contraente e con uno Stato terzo. Questa interpretazione è corroborata dall’economia complessiva della Convenzione.

3. L’economia complessiva della Convenzione

119.    A mio avviso, neppure l’economia complessiva della Convenzione osta a che l’art. 2 della stessa si applichi ad un rapporto giuridico che presenti elementi di collegamento unicamente con uno Stato contraente e con uno Stato terzo.

120.    Difatti, come vedremo in dettaglio, lo spazio giudiziario istituito dalla Convenzione di Bruxelles è uno spazio a geometria variabile il quale può – secondo le circostanze e le disposizioni della suddetta Convenzione che vengono in rilievo – essere ridotto a rapporti giuridici coinvolgenti più Stati contraenti o estendersi su scala mondiale nell’ambito di controversie che presentino elementi di collegamento con uno Stato contraente e uno o più Stati terzi.

121.    Ne deduco che, se è vero che talune disposizioni della Convenzione si applicano, in linea di massima, solo a rapporti giuridici coinvolgenti più Stati contraenti, non contrasta con l’economia complessiva della Convenzione stessa il fatto che accada diversamente per le disposizioni dell’art. 2. A mio parere, da ciò deriva che il suddetto articolo è applicabile, a seconda delle circostanze, a rapporti giuridici coinvolgenti più Stati contraenti o a controversie che presentino elementi di collegamento con uno Stato contraente e uno o più Stati terzi.

122.   È quanto mi accingo ora ad illustrare esaminando in successione le diverse disposizioni della Convenzione.

123.    Innanzi tutto, occorre ricordare che l’art. 4, primo comma, della Convenzione dispone che «[s]e il convenuto non è domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, la competenza è disciplinata, in ciascuno Stato contraente, dalla legge di tale Stato, salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 16». In altri termini, se il convenuto è domiciliato in uno Stato terzo, la competenza del giudice adito, in linea di massima, è determinata dalle regole di competenza vigenti nello Stato contraente sul cui territorio tale giudice si trova e non dalle regole di competenza diretta definite dalla Convenzione.

124.    Pertanto, l’applicazione delle regole di competenza diretta stabilite dalla Convenzione è esclusa (fatte salve quelle contenute nell’art. 16) soltanto nell’ipotesi in cui il convenuto abbia il proprio domicilio in uno Stato terzo. Da ciò deriva che nulla lascia pensare che l’applicazione della regola di competenza di cui all’art. 2 della Convenzione sarebbe esclusa nel caso in cui l’attore e il convenuto, oppure uno dei convenuti (come nella controversia della causa principale) fossero domiciliati nel medesimo Stato contraente e il rapporto giuridico in questione presentasse elementi di collegamento con uno Stato terzo e non con un altro Stato contraente (a causa del merito della controversia e/o, se del caso, del domicilio degli altri convenuti).

125.    La mia conclusione è che l’art. 4, primo comma, della Convenzione tende a confermare la tesi secondo cui la regola di competenza dettata dall’art. 2 della Convenzione stessa è applicabile ad una situazione come quella della controversia nella causa principale.

126.    Vero è, come ho già spiegato, che alcune regole di competenza – diverse da quelle dell’art. 2 – si applicano solo se il merito della controversia o la situazione delle parti sono ricollegabili a più Stati contraenti. È il caso delle regole di competenza speciali contenute negli artt. 5 e 6 della Convenzione, nonché delle regole di competenza particolari, elencate al titolo II, sezioni 3 e 4, della Convenzione, in materia di assicurazioni e di contratti conclusi dai consumatori.

127.    Tuttavia, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata  (68) , queste regole di competenza speciali o particolari derogano alla regola di principio stabilita dall’art. 2, nel senso che offrono al ricorrente, in casi tassativamente elencati, la facoltà di scegliere se promuovere l’azione e quindi citare il convenuto dinanzi ai giudici di uno Stato contraente diverso da quello in cui quest’ultimo ha il domicilio.

128.    Queste regole di competenza derogatorie sono dovute ad esigenze di buona amministrazione della giustizia e di utile organizzazione del processo, tenuto conto dell’esistenza di un elemento di collegamento diretto o particolarmente stretto tra la contestazione e i giudici di uno Stato contraente diverso da quello in cui il convenuto interessato ha il domicilio  (69) , oppure alla necessità di tutelare taluni attori la cui particolare situazione giustifica l’ammissione, in via eccezionale, della competenza dei giudici dello Stato contraente in cui sono domiciliati, che per ipotesi si situi in uno Stato contraente diverso da quello del convenuto  (70) .

129.    Soltanto in questo ambito specifico la Convenzione di Bruxelles subordina l’applicazione delle regole di competenza all’esistenza di un rapporto giuridico che presenti elementi di collegamento con più Stati contraenti in virtù del merito della controversia o del domicilio rispettivo delle parti di una controversia.

130.    Infatti, se è pacifico che l’applicazione di regole di competenza concorrenti a quella derivante dal domicilio del convenuto presuppone l’esistenza di un elemento di connessione ad uno Stato contraente diverso da quello in cui il convenuto ha il domicilio, diversamente vale per la regola di competenza di cui all’art. 2, proprio perché essa è esclusivamente fondata su tale domicilio.

131.    Ne concludo che quel che vale per l’applicazione delle regole di competenza speciali o particolari della Convenzione non vale per l’applicazione della regola generale di cui all’art. 2.

132.    Inoltre, è interessante sottolineare che l’applicazione delle regole di competenza particolari (elencate al titolo II, sezioni 3 e 4, della Convenzione) non presuppone necessariamente che il convenuto sia realmente domiciliato in uno Stato contraente (nel senso del diritto interno di tale Stato, mancando nella Convenzione una definizione del concetto di domicilio). È pertanto possibile che tali regole di competenza si applichino quando il rapporto giuridico in questione coinvolge uno Stato contraente e uno Stato terzo, anziché due Stati contraenti.

133.    In effetti, l’art. 8 (in materia di assicurazioni) e l’art. 13 della Convenzione (in materia di contratti conclusi dai consumatori) stabiliscono rispettivamente che qualora l’assicuratore o la controparte del consumatore non abbia il proprio domicilio nel territorio di uno Stato contraente, ma possieda una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra filiale in uno Stato contraente, si considera, per le contestazioni relative al loro esercizio, come avente domicilio nel territorio di tale Stato.

134.    Da tali disposizioni risulta che un assicuratore o la controparte di un consumatore, domiciliati in uno Stato terzo, sono considerati, per quanto necessario all’applicazione delle regole di competenza a tutela della parte più debole esistenti in materia, come aventi il domicilio in uno Stato contraente. Questa finzione giuridica consente di sottrarsi all’applicazione dell’art. 4 della Convenzione, ossia all’insieme delle regole di competenza vigenti nello Stato contraente sul cui territorio si trova il giudice adito allorché il convenuto sia domiciliato in uno Stato terzo  (71) .

135.    Sarebbe pertanto eccessivo ritenere che l’applicazione delle regole di competenza particolari, di cui al titolo II, sezioni 3 e 4, della Convenzione, rientri necessariamente nell’ambito di un rapporto giuridico che coinvolga, realmente o in modo significativo, due Stati contraenti.

136.    Per quanto riguarda le regole di competenza esclusiva di cui all’art. 16 della Convenzione, viene espressamente indicato che esse si applicano «indipendentemente dal domicilio». Difatti, tali regole, che costituiscono un’eccezione alla regola generale dell’art. 2 della Convenzione, si basano sull’esistenza di nessi particolarmente stretti tra il merito della controversia e il territorio di uno Stato contraente  (72) . È il caso, per esempio, di una controversia in materia di diritti reali immobiliari o di contratti d’affitto di immobili. In tale ipotesi, la controversia è profondamente collegata allo Stato contraente sul cui territorio è situato l’immobile di cui trattasi, per cui i soli giudici competenti a conoscere di una simile controversia sono quelli di tale Stato contraente.

137.    La Corte ha precisato che queste regole di competenza esclusiva si applicano «a prescindere dal domicilio delle parti»  (73) . Questa precisazione mirava a dimostrare che, in linea di principio, perché siano applicabili le regole di competenza previste dalla Convenzione non occorre che l’attore sia domiciliato in uno Stato contraente, per cui generalmente tali regole si applicano anche quando il ricorrente abbia il domicilio in uno Stato terzo.

138.    Sulla scia di tale giurisprudenza, si può affermare che le regole di competenza di cui all’art. 16 della Convenzione si applicano anche quando il convenuto è domiciliato in uno Stato terzo o anche quando tutte le parti hanno il domicilio in tale Stato  (74) .

139.    Difatti, indipendentemente dalle conseguenze che deriverebbero da un eventuale «effetto riflesso» dell’art. 16 della Convenzione, nell’ipotesi in cui uno degli elementi di collegamento previsti in tale articolo si situasse sul territorio di uno Stato non contraente  (75) , si può affermare che le regole di competenza contenute in tale articolo sono applicabili a rapporti giuridici collegati unicamente ad uno Stato contraente (in ragione di uno degli elementi di collegamento previsti allo stesso articolo) e a uno Stato terzo (in ragione del domicilio dell’attore e/o del convenuto). Al riguardo, l’ambito di applicazione territoriale o personale dell’art. 16 può essere avvicinato a quello dell’art. 2.

140.    Lo stesso dicasi per le norme della Convenzione in materia di proroga espressa delle competenze. Infatti, è espressamente previsto che tali norme possono applicarsi quando una delle parti di una clausola attributiva di competenza o alcune di esse (art. 17, primo comma), o anche tutte le parti (art. 17, secondo comma), sono domiciliate in uno Stato terzo. Le norme in questione possono dunque venire in rilievo esclusivamente nei rapporti tra uno o più Stati terzi (sul territorio del quale o dei quali le parti hanno il domicilio) e uno Stato contraente (sul cui territorio si situa il foro eletto).

141.    Difatti, le norme della Convenzione, sia quelle in materia di competenza esclusiva sia quelle in materia di proroga espressa della competenza, sono applicabili a rapporti giuridici che coinvolgono unicamente uno Stato contraente e uno o più Stati terzi. Si tratta della prova del fatto che l’applicazione di tutte le regole di competenza poste dalla Convenzione non è limitata a rapporti giuridici implicanti più Stati contraenti.

142.    Quanto alle altre regole della Convenzione di Bruxelles, in materia di litispendenza e di connessione, nonché di riconoscimento e di esecuzione, è vero che esse si applicano nell’ambito dei rapporti tra diversi Stati contraenti. È quel che risulta chiaramente dalla lettera dell’art. 21 in tema di litispendenza, dell’art. 22 in tema di connessione, nonché degli artt. 25, 26 e 31 in materia di riconoscimento e di esecuzione.

143.    Infatti, secondo una giurisprudenza costante, l’art. 21 e l’art. 22 della Convenzione mirano, nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia nell’ambito della Comunità, ad evitare procedimenti paralleli dinanzi ai giudici di diversi Stati contraenti e il contrasto tra le decisioni che potrebbe conseguirne, allo scopo di escludere, per quanto possibile, l’ipotesi che una decisione pronunciata in uno Stato contraente non venga riconosciuta in un altro Stato contraente  (76) .

144.    Il meccanismo semplificato di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni giudiziarie è stato istituito dalla Convenzione di Bruxelles in un contesto specifico, caratterizzato dalla fiducia che gli Stati membri della Comunità contraenti accordano reciprocamente ai loro sistemi giuridici e alle loro istituzioni giudiziarie  (77) . Lo stesso contesto non si ritrova necessariamente nelle relazioni tra gli Stati membri e gli Stati terzi. È questa la ragione per cui il suddetto meccanismo convenzionale si applica unicamente alle decisioni pronunciate dai giudici di uno Stato membro nell’ambito del loro riconoscimento e della loro esecuzione in un altro Stato membro.

145.    Difatti, nella sentenza 20 gennaio 1994, Owens Bank  (78) , la Corte ha dichiarato che le regole della Convenzione in materia di riconoscimento e di esecuzione non si applicano ai procedimenti intesi a dichiarare esecutive sentenze in materia civile e commerciale pronunciate in uno Stato terzo. Essa ne ha dedotto che le regole sulla litispendenza e la connessione non possono risolvere problemi che sorgano nell’ambito di procedimenti promossi parallelamente in diversi Stati contraenti in ordine al riconoscimento e all’esecuzione di sentenze emanate in Stati terzi  (79) .

146.    Occorre pertanto rilevare che le regole della Convenzione di Bruxelles in materia di litispendenza e di connessione, nonché di riconoscimento e di esecuzione, sono applicabili in linea di principio solo nell’ambito di rapporti tra diversi Stati contraenti.

147.    Nulla osta, tuttavia, a che la soluzione sia differente per la regola di competenza posta dall’art. 2 della Convenzione.

148.    Va inoltre precisato che le regole di competenza in oggetto non si limitano sempre all’ambito dei soli rapporti fra più Stati contraenti, giacché possono operare altresì nell’ambito di controversie che presentano elementi di collegamento con uno Stato contraente e con uno Stato terzo.

149.    Infatti, riguardo alle regole in tema di litispendenza e di connessione, perché siano applicabili l’art. 21 o l’art. 22 non occorre che una delle parti della controversia abbia il domicilio sul territorio di uno Stato contraente. È quanto la Corte ha messo in evidenza nella citata sentenza Overseas Union Insurance e a., in merito all’art. 21, dichiarando che «questa norma va applicata tanto nel caso in cui la competenza del giudice sia determinata dalla stessa Convenzione quanto nel caso in cui essa scaturisca dalla legge di uno Stato contraente ai sensi dell’art. 4 della Convenzione», ossia quando il convenuto è domiciliato in uno Stato terzo  (80) . Lo stesso vale per l’art. 22, in assenza di disposizioni che stabiliscano condizioni sul punto.

150.    Parimenti, come sottolineato dal governo tedesco e dalla Commissione, le regole della Convenzione in tema di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni si applicano indipendentemente dal titolo di competenza su cui si sono basati i giudici che hanno pronunciato le decisioni di cui trattasi. Detta competenza può essere desunta dalla Convenzione o dalla legislazione dello Stato contraente sul cui territorio sono situati gli organi giurisdizionali interessati.

151.    Di conseguenza, per l’applicazione di queste regole della Convenzione, poco importa che la controversia in questione presenti elementi di collegamento con un solo Stato contraente  (81) , con più Stati contraenti o con uno Stato contraente e uno Stato terzo.

152.    In altri termini, se dal loro dettato risulta chiaramente che le regole della Convenzione in tema di litispendenza e di connessione o di riconoscimento e di esecuzione si applicano nell’ambito di rapporti tra diversi Stati contraenti, qualora riguardino procedimenti pendenti dinanzi a giudici di diversi Stati contraenti o decisioni pronunciate da giudici di uno Stato contraente al fine del loro riconoscimento e della loro esecuzione in un altro Stato contraente, è altresì vero che le controversie oggetto di tali procedimenti o le decisioni in questione possono avere un carattere puramente interno o un carattere internazionale che coinvolge uno Stato contraente e uno Stato terzo, e non sempre due Stati contraenti.

153.    Del resto, proprio perché le controversie in questione possono presentare elementi di collegamento con Stati terzi, gli autori della Convenzione hanno ritenuto necessario prevedere regole specifiche in tema di riconoscimento.

154.    Per esempio, l’art. 27, n. 5, della Convenzione prevede che una decisione pronunciata in uno Stato contraente non sia riconosciuta in un altro Stato contraente (lo Stato richiesto) quando tale decisione è in contrasto con una decisione resa precedentemente tra le medesime parti in uno Stato non contraente, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, allorché la decisione dello Stato terzo in questione riunisce le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato richiesto (in forza del diritto internazionale comune dello Stato richiesto o di accordi internazionali conclusi da detto Stato).

155.    Inoltre, dal combinato disposto degli artt. 28, primo comma, e 59, primo comma, della Convenzione risulta che uno Stato contraente ha diritto di non riconoscere una decisione pronunciata dai giudici di un altro Stato contraente, in applicazione di una regola di competenza esorbitante vigente in tale Stato (ai sensi dell’art. 4 della Convenzione), contro un convenuto che aveva il proprio domicilio o la propria residenza abituale sul territorio di uno Stato terzo, qualora lo Stato richiesto abbia concluso con tale Stato terzo un accordo con cui si è impegnato nei suoi confronti a non effettuare il riconoscimento di una decisione di tal genere in questo specifico caso.

156.    Questo meccanismo di blocco è stato previsto dalla Convenzione allo scopo di rispondere ai timori di taluni Stati terzi di fronte alla prospettiva di attuazione delle norme della Convenzione di Bruxelles dirette ad assicurare la libera circolazione delle decisioni all’interno della Comunità, nei confronti di convenuti stabiliti in questi stessi Stati terzi  (82) .

157.    Tutti questi sviluppi dimostrano che lo spazio giudiziario istituito dalla Convenzione di Bruxelles non si limita alle frontiere esterne della comunità degli Stati contraenti. Si può dire infatti, riecheggiando il professor Gaudemet-Tallon, che «sarebbe errato e semplicistico ritenere che i sistemi europei e quelli degli Stati terzi si fiancheggino senza mai incontrarsi, ignorandosi reciprocamente (...); al contrario, le occasioni di incontro, di interferenza reciproca sono numerose e spesso sollevano questioni complesse»  (83) .

158.    La mia conclusione è che l’economia complessiva della Convenzione non osta a che l’art. 2 della Convenzione stessa si applichi a controversie che presentino elementi di collegamento unicamente con uno Stato contraente e uno Stato terzo. Tale conclusione in merito all’ambito di applicazione territoriale o personale dell’art. 2 si impone a maggior ragione quando si considerano gli obiettivi della Convenzione.

4. Gli obiettivi della Convenzione

159.    Come indicato nel preambolo, la Convenzione di Bruxelles mira a «potenziare nella Comunità la tutela giuridica delle persone residenti sul suo territorio». Sempre nel preambolo è specificato che, a tal fine, la Convenzione prevede, da un lato, regole di competenza giurisdizionale comuni agli Stati contraenti e, dall’altro lato, regole volte a facilitare il riconoscimento delle decisioni giudiziarie e a creare una procedura rapida per garantirne l’esecuzione.

160.    La Corte ha precisato il senso di questo obiettivo della Convenzione, in particolare per quel che riguarda le regole comuni di competenza in essa contenute. Essa ha dichiarato che il rafforzamento della tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità implica che tali regole permettano «all’attore di identificare facilmente il giudice che può adire così come al convenuto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice può essere citato»  (84) . La Corte ha inoltre specificato che si tratta di regole «tali da assicurare certezza in merito alla ripartizione delle competenze tra i vari giudici nazionali che possono essere aditi in occasione di una controversia determinata»  (85) .

161.    Difatti, soltanto regole di competenza rispondenti a siffatte esigenze possono garantire il rispetto del principio della certezza del diritto che, secondo una costante giurisprudenza  (86) , costituisce parimenti uno degli obiettivi della Convenzione di Bruxelles.

162.    A mio avviso, entrambi i due suddetti obiettivi della Convenzione, sia quello relativo al potenziamento della tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità, sia quello relativo al rispetto del principio della certezza del diritto, ostano a che l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione sia subordinato all’esistenza di una controversia collegata a Stati contraenti diversi.

163.    Infatti, imporre una condizione siffatta renderebbe inevitabilmente più complessa l’attuazione della regola di competenza stabilita dall’art. 2, mentre tale regola costituisce quel che si può definire la «chiave di volta» del sistema istituito dalla Convenzione.

164.    Stabilire il carattere intracomunitario della controversia è un esercizio che può risultare particolarmente difficile e nel corso del quale inevitabilmente si porrebbero numerose domande: quali criteri è opportuno adottare? In quali casi si può ritenere che una controversia sia effettivamente o sufficientemente collegata a più Stati contraenti? È necessario stabilire una gerarchia tra i differenti criteri da prendere in considerazione? Vi sono criteri più pertinenti o interessanti di altri? Qual è il momento in cui dev’essere valutata la situazione di cui si tratta: il giorno in cui essa si determina, il giorno della designazione o quello in cui il giudice adito si pronuncia? Nell’ipotesi in cui la controversia non presenti nel merito un collegamento con più Stati contraenti, per escludere l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione è sufficiente che l’attore (che ha il proprio domicilio in uno Stato contraente diverso da quello nel cui territorio è domiciliato il convenuto e al quale il merito della controversia risulta connesso in tutto o in parte) cambi di domicilio, nel corso del periodo considerato, stabilendosi nel medesimo Stato contraente? O al contrario, affinché tale articolo trovi finalmente applicazione, basta che l’attore, domiciliato in questo stesso Stato contraente, si stabilisca, nel corso del periodo in questione, in uno Stato contraente diverso?

165.    Si tratta di questioni delicate che molto probabilmente si porrebbero, tanto alle parti della controversia quanto al giudice adito, qualora l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione fosse subordinata all’esistenza di un rapporto giuridico tra più Stati contraenti.

166.    In questa ipotesi, non vedo come si potrebbe continuare a ritenere che la regola generale di competenza stabilita dall’art. 2 permetta all’attore di identificare facilmente il giudice che può adire così come al convenuto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice può essere citato. Contrariamente ai requisiti individuati dalla Corte, saremmo lontani da qualsiasi certezza riguardo alla ripartizione delle competenze tra le varie giurisdizioni nazionali che possono essere adite per una determinata controversia. Simile prospettiva si pone in contrasto con l’obiettivo della Convenzione diretto a potenziare la tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità, nonché con quello legato al rispetto del principio della certezza del diritto.

167.    Detta conclusione s’impone tanto più che esiste un rischio forte che il problema della natura intracomunitaria della controversia interessata divenga un «focolaio di contenzioso», ossia che inneschi una serie di contestazioni tra le parti portando, di conseguenza, ad un uso dei mezzi di ricorso vertente su questa unica questione preliminare, a prescindere dal merito della controversia. Si tratta evidentemente di una prospettiva di moltiplicazione delle procedure tutt’altro che soddisfacente in termini di certezza del diritto. Per di più, non si può escludere che il problema venga sfruttato da taluni convenuti nell’ambito di manovre puramente dilatorie contrastanti con il potenziamento della tutela giuridica dei ricorrenti.

168.    Oltre alle suddette considerazioni, in termini più generali occorre tenere bene a mente che il diritto internazionale privato è una disciplina di non facile gestione. La Convenzione di Bruxelles risponde proprio all’obiettivo di semplificare le regole vigenti nei diversi Stati membri in materia tanto di competenza giurisdizionale, quanto di riconoscimento e di esecuzione. Tale semplificazione contribuisce, nell’interesse dei privati, a promuovere la certezza del diritto e mira altresì a facilitare il compito del giudice nazionale nella gestione delle procedure. È preferibile, dunque, che in questo sistema convenzionale non vengano introdotti elementi che possano complicarne in modo serio il funzionamento.

169.    Inoltre, indipendentemente dalla complessità della questione relativa alla natura intracomunitaria di una controversia, ritengo che subordinare l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione alla prova di tale natura porterebbe inevitabilmente a ridurre i casi in cui il suddetto articolo può essere applicato.

170.    Come precisato dalla Corte, questa regola generale si spiega con il fatto che essa consente al convenuto di difendersi, in linea di massima, più agevolmente  (87) . Essa contribuisce in tal modo a potenziarne la tutela giuridica. Proprio a motivo delle garanzie assicurate al convenuto nel procedimento di origine, in tema di rispetto dei diritti della difesa, la Convenzione si mostra molto liberale quanto al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni giudiziarie  (88) . La regola generale di competenza di cui all’art. 2 costituisce pertanto una regola fondamentale su cui è basata gran parte della Convenzione.

171.    Secondo una giurisprudenza consolidata, da ciò la Corte ha dedotto che le regole di competenza derogatorie rispetto alla regola generale non possono dar luogo ad un’interpretazione che vada oltre le ipotesi espressamente previste dalla Convenzione  (89) . Ebbene, si perverrebbe ad un risultato simile, mutatis mutandis, qualora l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione fosse esclusa nel caso in cui il rapporto giuridico di cui trattasi non fosse collegato a più Stati contraenti.

172.    Difatti, in tale ipotesi, anche se domiciliato in uno Stato contraente, un convenuto sarebbe esposto all’insieme delle regole di competenza esorbitanti vigenti in un altro Stato contraente, per cui potrebbe essere citato dinanzi ai giudici del detto Stato semplicemente a causa, poniamo, della sua presenza occasionale sul territorio di quest’ultimo (come nel diritto inglese), o dell’esistenza su tale territorio di certi beni che gli appartengono (come nel diritto tedesco), o del fatto che il ricorrente è cittadino di tale Stato (come nel diritto francese). Il convenuto domiciliato in uno Stato contraente sarebbe pertanto soggetto allo stesso regime riservato in via esclusiva, ai sensi dell’art. 4 della Convenzione, a un convenuto domiciliato in uno Stato non contraente.

173.    Si derogherebbe in tal modo alla regola generale dell’art. 2 in un’ipotesi che non solo non sarebbe espressamente prevista dalla Convenzione, ma sarebbe altresì implicitamente e necessariamente esclusa dalla Convenzione stessa, tenuto conto degli obiettivi che la stessa persegue.

174.    Da ciò consegue che limitare l’applicazione dell’art. 2 a controversie intracomunitarie equivale a limitare indebitamente la portata di tale articolo, in contrasto con l’obiettivo della Convenzione relativo al potenziamento della tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità, in particolare del convenuto.

175.    In sintesi, ritengo che non solo la lettera dell’art. 2 e l’economia complessiva della Convenzione non ostino a che detto articolo su applichi ad una controversia collegata unicamente ad uno Stato contraente e a un paese terzo, ma inoltre, che gli obiettivi della Convenzione esigano che il suddetto articolo sia applicabile in tal senso.

176.    Poiché secondo alcune delle parti esistono numerosi ostacoli che si oppongono all’accoglimento di questa tesi, è necessario prenderli ora in esame.

5. I presunti ostacoli all’applicazione dell’art. 2 della Convenzione ad un rapporto giuridico collegato unicamente ad uno Stato contraente e ad uno Stato terzo

177.    Gli ostacoli invocati dai convenuti nella causa principale e dal governo del Regno Unito per opporsi al riconoscimento della tesi in oggetto sono essenzialmente derivati dal diritto comunitario. In tal senso sono state effettuate anche alcune considerazioni legate al diritto internazionale. Su queste ultime mi soffermerò brevemente, prima di esaminare quelle relative al diritto comunitario.

a) I presunti ostacoli derivanti dal diritto internazionale

178.    Secondo i convenuti nella causa principale  (90) , la Convenzione di Bruxelles non ha applicazione universale. Si tratterebbe di un semplice accordo tra gli Stati contraenti operante solo nelle loro reciproche relazioni. Al di là del caso particolare della Convenzione di Bruxelles, questo argomento evoca una problematica più generale, relativa al diritto dei trattati e degli accordi internazionali. Anche il governo del Regno Unito ha suggerito l’interesse di simile approccio  (91) .

179.    A questo proposito, va precisato che è comunemente ammesso che uno Stato è vincolato da un accordo internazionale soltanto se ha espresso il proprio consenso in merito. In altri termini, conformemente al principio dell’effetto relativo dei trattati, un accordo internazionale non crea né obblighi né diritti in capo ad uno Stato se quest’ultimo non vi ha acconsentito  (92) .

180.    Orbene, è assodato che la Convenzione di Bruxelles non impone alcun obbligo agli Stati che non abbiano acconsentito ad essere vincolati da essa. Infatti, gli obblighi previsti da tale Convenzione, tanto in materia di attribuzione di competenza quanto in tema di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni, sono rivolti unicamente agli Stati contraenti e ai relativi organi giurisdizionali.

181.    Sotto questo profilo, né l’oggetto della Convenzione di Bruxelles in generale né l’interpretazione dell’art. 2 da me difesa sono contrari al principio dell’effetto relativo dei trattati.

182.   È vero che, come abbiamo già visto, tale Convenzione può esplicare alcuni dei propri effetti nei confronti di Stati terzi, specie in tema di attribuzione di competenza. Le regole stabilite in materia dalla Convenzione, come quella di cui all’art. 2, si possono pertanto applicare a controversie collegate, per alcuni elementi, a Stati terzi.

183.    Tuttavia, tale situazione non è del tutto insolita. Può difatti accadere che gli Stati parti di una Convenzione internazionale si autorizzino ad esercitare alcune competenze nei confronti di cittadini di Stati terzi in situazioni in cui, fino ad allora, questi ultimi avevano una competenza esclusiva. È il caso, per esempio, di numerose convenzioni sulla tutela dell’ambiente marino  (93) .

184.    In materia di diritto internazionale privato, è questo inoltre il caso, per esempio, della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali  (94) . Difatti, l’art. 1, n. 1, di tale Convenzione dispone che le regole uniforme da essa stabilite si applicano alle obbligazioni contrattuali nelle situazioni che implicano un conflitto di leggi. Per esempio, perché le regole uniformi di tale Convenzione siano applicabili, è sufficiente che la situazione di cui trattasi dia luogo ad un conflitto tra più sistemi giuridici. Poco importa che tale situazione sia collegata a più Stati contraenti o ad uno Stato contraente e ad uno Stato terzo  (95) .

185.    Peraltro, la vocazione universale delle regole uniformi della Convenzione di Roma è particolarmente marcata, dato che, secondo l’art. 2 della stessa, le regole di conflitto in essa contenute possono condurre all’applicazione della legge di uno Stato non contraente  (96) . Al riguardo, gli effetti di tale Convenzione nei confronti di Stati terzi si spingono molto più lontano di quelli derivanti dalla Convenzione di Bruxelles, poiché, come abbiamo visto, le regole di conflitto stabilite da quest’ultima sono volte unicamente a designare la competenza dei giudici degli Stati contraenti, e non quelle di Stati terzi.

186.    La mia conclusione è che nel diritto internazionale nulla si oppone a che le regole di competenza poste dalla Convenzione di Bruxelles, come quella contenuta nell’art. 2, siano applicabili a controversie che presentano alcuni elementi di collegamento a Stati terzi. A mio avviso, lo stesso vale con riferimento al diritto comunitario.

b) I presunti ostacoli derivanti dal diritto comunitario

187.    Il primo convenuto e il governo del Regno Unito sostengono che le libertà fondamentali garantite dal Trattato CE non sono applicabili in situazioni puramente interne ad uno Stato membro, vale a dire in situazioni che non posseggano carattere transfrontaliero tra più Stati membri. Da ciò conseguirebbe, per analogia, che la regola di competenza stabilita dall’art. 2 della Convenzione di Bruxelles, e ripetuta in modo identico dal regolamento n. 44/2001, non è applicabile alla controversia della causa principale, non essendo essa collegata a più Stati contraenti. Difatti, tale regola di competenza sarebbe solo accessoria rispetto all’obiettivo della libera circolazione delle sentenze tra gli Stati contraenti, perseguito dalla Convenzione prima e dal regolamento poi per quanto riguarda gli Stati contraenti: pertanto, l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione sarebbe correlativamente subordinata all’esistenza di una controversia transfrontaliera collegata a più Stati contraenti.

188.    Questi argomenti, a mio avviso, non convincono.

189.    Vero è che, nella sentenza 10 febbraio 1994, Mund & Fester  (97) , la Corte ha dichiarato che l’art. 220, quarto trattino, del Trattato, sul fondamento del quale è stata adottata la Convenzione di Bruxelles, «ha lo scopo di agevolare il funzionamento del mercato comune mediante l’adozione di regole di competenza in relazione alle controversie vertenti su tale funzionamento e la soppressione, nei limiti del possibile, delle difficoltà connesse al riconoscimento e all’esecuzione delle sentenze nel territorio degli Stati aderenti». La Corte ne ha tratto la conclusione che le disposizioni della Convenzione sono collegate al Trattato  (98) .

190.    Si può solo concordare con tale conclusione in quanto, come sottolineato dall’avvocato generale Tesauro nelle conclusioni relative alla citata sentenza Mund & Fester, «[l]a libera circolazione delle sentenze riveste (...) importanza fondamentale, al fine di evitare le difficoltà che possono derivare al funzionamento del mercato comune qualora risulti impossibile far accertare e realizzare con facilità, anche in via giudiziaria, i diritti individuali derivanti dalla molteplicità delle relazioni giuridiche che si intrecciano al suo interno»  (99) .

191.    Tuttavia, da ciò non è possibile dedurre, come sostiene il governo del Regno Unito  (100) , che le regole uniformi di competenza poste dalla Convenzione mirano unicamente a disciplinare conflitti positivi di competenza (reali o potenziali) tra i giudici di diversi Stati contraenti, al solo scopo di evitare che i giudici di uno Stato contraente siano obbligati a riconoscere e dichiarare esecutive le decisioni rese dai giudici di un altro Stato contraente nell’ipotesi in cui anche i giudici dello Stato richiesto si ritengano competenti, in forza delle leggi di tale Stato, a risolvere la controversia che ha dato luogo alle decisioni di cui trattasi.

192.    Infatti, limitare le regole di competenza uniformi della Convenzione a questa semplice finalità sarebbe in contrasto, come abbiamo già visto, con l’economia complessiva della Convenzione e con gli obiettivi da essa perseguiti, attinenti sia al potenziamento della tutela delle persone residenti nella Comunità, sia al rispetto del principio della certezza del diritto.

193.    Questa analisi, a mio parere, non può essere rimessa in discussione dal fatto che la Convenzione di Bruxelles è stata sostituita dal regolamento n. 44/2001, ossia da un atto di diritto comunitario, adottato in attuazione e per l’applicazione di talune disposizioni del Trattato. Vari sono gli elementi che depongono in tal senso.

194.    Innanzi tutto, come sottolineato dal ‘considerando’ n. 19 di tale regolamento, è opportuno garantire una continuità tra la Convenzione e il regolamento stesso, in particolare per quanto riguarda l’interpretazione, ad opera della Corte di giustizia, delle disposizioni della Convenzione in questione. Nell’ipotesi in cui le regole uniformi di competenza previste dal regolamento fossero interpretate dalla Corte nel senso che esse mirano unicamente a regolare conflitti di competenza tra i giudici di diversi Stati contraenti, tale interpretazione si allontanerebbe dalla copiosa giurisprudenza della Corte riguardante la Convenzione, in particolare per quanto concerne gli obiettivi della stessa (attinenti alla tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità e al rispetto del principio della certezza del diritto). Si tratterebbe pertanto di un’inversione di giurisprudenza manifestamente contraria all’intenzione del legislatore comunitario di garantire la continuità nell’interpretazione dei due strumenti. Senza voler esprimere anticipati giudizi sull’eventuale interpretazione da parte della Corte in merito all’ambito territoriale o personale dell’art. 2 del regolamento, mi limito a indicare che ho qualche difficoltà ad immaginare che la Corte si possa impegnare in una simile inversione di giurisprudenza.

195.    Inoltre, è vero che l’art. 65 CE, richiamato dall’art. 61, lett. c), CE (costituente la base normativa sostanziale del regolamento), contempla espressamente, nel settore in questione, determinate misure aventi implicazioni transfrontaliere, la cui adozione deve servire nella misura necessaria al corretto funzionamento del mercato interno; non sono però convinto che da ciò occorra dedurre che le situazioni ricadenti sotto le regole di competenza dettate dal suddetto regolamento – che riprendono in sostanza quelle della Convenzione – debbano necessariamente presentare elementi di collegamento con più Stati membri.

196.    Infatti, come sottolineato dal secondo e dall’ottavo ‘considerando’ del regolamento, le regole di competenza da questo fissate mirano – dinanzi alla diversità delle norme nazionali esistenti in materia ed alle difficoltà che ne derivano per il buon funzionamento del mercato interno – ad «unificare le norme sui conflitti di competenza in materia civile e commerciale», in modo da definire «norme comuni» agli Stati membri. Tale azione di unificazione delle regole di competenza si inserisce in una logica analoga a quella prevista dall’art. 94 CE per l’adozione delle direttive, in quanto tale base normativa sostanziale mira «al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune».

197.    Orbene, la Corte ha recentemente statuito, nella sentenza 20 maggio 2003, Österreichischer Rundfunk e a.  (101) , che «il ricorso alla base giuridica dell’art. 100 A del Trattato [ossia la base giuridica procedurale attualmente prevista all’art. 95 CE] non presuppone l’esistenza di un nesso effettivo con la libera circolazione tra [gli] Stati membri in ciascuna delle situazioni previste dall’atto fondato su tale base». Essa ha ricordato che «ciò che rileva, per giustificare il ricorso alla base giuridica dell’art. 100 A del Trattato, è che l’atto adottato su tale fondamento abbia effettivamente ad oggetto il miglioramento delle condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno»  (102) .

198.    La Corte ne ha concluso che «l’applicabilità della direttiva 95/46 [ (103) ] non può dipendere dalla soluzione del problema se le situazioni concrete di cui trattasi nelle cause principali presentino un nesso sufficiente con l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato e in particolare, nelle dette cause, con la libera circolazione dei lavoratori»  (104) .

199.    Tale conclusione si fonda sulla considerazione secondo cui «un’interpretazione in senso contrario rischierebbe di rendere particolarmente incerti ed aleatori i limiti del campo di applicazione della detta direttiva, il che sarebbe contrario al suo obiettivo essenziale, che è quello di ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari, ed amministrative degli Stati membri per eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno derivanti proprio dalle disparità esistenti tra le normative nazionali»  (105) .

200.    Tali considerazioni sono state confermate dalla sentenza 6 novembre 2003, Lindqvist  (106) , con riguardo alla medesima direttiva 95/46.

201.    Si può affermare che quanto è valido per tale direttiva, in materia di protezione delle persone fisiche in relazione al trattamento di dati personali e di libera circolazione di tali dati, è valido altresì per il regolamento n. 44/2001, in materia di competenza giurisdizionale e di libera circolazione delle sentenze, sebbene questi due atti comunitari di diritto derivato abbiano natura differente.

202.    Infatti, subordinare l’applicabilità della regola di competenza di cui all’art. 2 del suddetto regolamento all’esistenza, in ciascuna controversia, di un collegamento effettivo e sufficiente con più Stati membri rischierebbe (come ho già illustrato trattando delle finalità della Convenzione) di rendere particolarmente incerti ed aleatori i limiti di applicabilità della norma stessa. Questa eventuale interpretazione dell’ambito di applicazione territoriale o personale dell’art. 2 sarebbe contraria alla finalità del regolamento, che è di unificare le regole sui conflitti di giurisdizione e di semplificare il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giurisdizionali, al fine di eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno derivanti precisamente dalla diversità delle normative nazionali in materia.

203.    A questo proposito, si può anche affermare che quanto è valido per la direttiva 95/46 è valido a maggior ragione per il regolamento n. 44/2001, in quanto il ricorso ad un regolamento, piuttosto che ad una direttiva, per sostituire la Convenzione corrisponde ampiamente all’esigenza di garantire un’unificazione delle regole in questione, e non invece a quella di procedere ad un semplice ravvicinamento delle disposizioni nazionali mediante la trasposizione di una direttiva negli ordinamenti interni, con tutte le vicissitudini che possono risultarne in termini di uniforme applicazione del diritto comunitario.

204.    Oltre alle suddette considerazioni circa l’incidenza del ricorso alla base normativa di cui all’art. 95 CE sull’ambito di applicazione territoriale di una direttiva, aggiungo che l’applicazione di un regolamento, così come di una direttiva  (107) , non presuppone necessariamente che le situazioni in esso rientranti presentino un collegamento esclusivamente con il territorio degli Stati membri e non anche di Stati terzi.

205.    Questo è evidentemente il caso dei regolamenti che contengono disposizioni che disciplinano espressamente gli scambi tra la Comunità ed i paesi terzi. È questo il caso, per esempio, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1), nonché del regolamento (CEE) del Consiglio 1° febbraio 1993, n. 259, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio (GU L 30, pag. 1).

206.   È altresì il caso, per esempio, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2).

207.    Tale regolamento, che mira a garantire, nel settore della previdenza sociale, la libera circolazione dei lavoratori, non definisce espressamente il suo ambito di applicazione territoriale, sebbene venga comunemente descritto come avente un carattere «materialmente territoriale», nel senso che la sua applicazione è determinata da un «elemento attinente ad un luogo»  (108) .

208.    Orbene, si può dire che, sebbene l’ambito spaziale del suddetto regolamento, vale a dire lo spazio in cui deve situarsi tale elemento di collegamento caratteristico, corrisponda necessariamente a quello delle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione delle persone, e dunque l’applicazione di queste ultime richieda una localizzazione nel «territorio della Comunità», non è affatto necessario, affinché le dette disposizioni (segnatamente quelle intese a garantire la parità di trattamento) conservino i loro effetti, che l’attività professionale di cui trattasi venga esercitata nel suddetto territorio  (109) .

209.    Invero, il fatto che le prestazioni previdenziali contemplate trovino la loro origine, anche esclusivamente, in periodi assicurativi maturati al di fuori del territorio per cui vale il Trattato CE non può di per sé portare ad escludere l’applicazione del regolamento n. 1408/71, in quanto esiste uno stretto collegamento tra il diritto alle prestazioni previdenziali e lo Stato membro debitore delle medesime  (110) .

210.    A mio avviso, tale giurisprudenza relativa al regolamento n. 1408/71 potrebbe essere trasposta al regolamento n. 44/2001. Infatti, è importante ricordare come quest’ultimo sia stato adottato sulla base di disposizioni del titolo IV del Trattato CE, relative alle politiche connesse alla libera circolazione delle persone. Inoltre, come nel caso del regolamento n. 1408/71, l’applicazione del regolamento n. 44/2001 presuppone l’esistenza di un certo collegamento con il territorio degli Stati membri cui esso si applica. Infatti, quanto all’art. 2 del regolamento in questione (identico all’art. 2 della Convenzione), la sua applicazione richiede che il convenuto abbia il domicilio nel territorio di uno Stato membro. Seguendo la logica della giurisprudenza poco sopra menzionata, occorre affermare che, per l’applicazione dell’art. 2 del regolamento in questione (o della Convenzione), non è affatto necessario che la controversia di cui trattasi presenti elementi di collegamento esclusivamente con il territorio cui il detto regolamento (o la Convenzione) si applica e non anche con il territorio di Stati terzi.

211.    Nello stesso senso, è importante sottolineare come l’ottavo ‘considerando’ del regolamento n. 44/2001 preveda che «[l]e controversie alle quali si applica il presente regolamento devono presentare elementi di collegamento con il territorio degli Stati membri vincolati dal regolamento stesso»  (111) . In tal modo, «[l]e norme comuni in materia di competenza giurisdizionale devono quindi, in linea di principio, applicarsi nei casi in cui il convenuto è domiciliato in uno di tali Stati».

212.    A nostro avviso, tale ‘considerando’ conferma chiaramente che per l’applicazione dell’art. 2 del regolamento (identico all’art. 2 della Convenzione) è sufficiente che il convenuto sia domiciliato in uno Stato membro vincolato dal regolamento stesso, in modo che la controversia in questione presenti un elemento di connessione con uno degli Stati membri della Comunità. Poco importa, pertanto, che tale controversia non presenti alcun elemento di collegamento supplementare con un altro Stato membro, ovvero che presenti un tale collegamento con uno Stato terzo.

213.    Ne concludo che il regolamento n. 44/2001 non è tale da rimettere in discussione la tesi secondo cui l’ambito di applicazione dell’art. 2 della Convenzione non è affatto limitato alle controversie che presentano elementi di collegamento con più Stati contraenti.

214.    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che gli argomenti addotti da alcune parti del presente procedimento pregiudiziale per contrastare la tesi suddetta, siano essi ricavati dal diritto internazionale oppure dal diritto comunitario, debbono ritenersi inconferenti.

215.    Di conseguenza, occorre risolvere la prima parte della prima questione pregiudiziale dichiarando che l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui l’attore ed il convenuto abbiano il loro domicilio nel medesimo Stato contraente e la controversia tra essi esistente dinanzi ai giudici di tale Stato contraente presenti taluni elementi di collegamento con uno Stato terzo, e non con un altro Stato contraente, di modo che l’unica questione di ripartizione di competenze che possa profilarsi in tale controversia sorga unicamente nei rapporti tra i giudici di uno Stato contraente e quelli di uno Stato terzo, e non tra i giudici di differenti Stati contraenti.

216.    Posto che l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles può trovare applicazione nell’ipotesi suddetta, è importante verificare se, in una situazione come quella di cui alla causa principale, la Convenzione osti a che un giudice di uno Stato contraente – la cui competenza sussista in forza del suddetto art. 2 – rinunci discrezionalmente ad esercitare tale competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia. In altri termini, si tratta di stabilire se, in una situazione come quella di cui alla causa principale, la teoria del forum non conveniens sia compatibile con la Convenzione.

B – Quanto alla compatibilità della teoria del forum non conveniens con la Convenzione di Bruxelles

217.    Al fine di circoscrivere l’oggetto del nostro esame ad una situazione come quella di cui alla causa principale, è importante ricordare che, con la seconda parte della prima questione, il giudice di rinvio chiede in sostanza se la Convenzione di Bruxelles osti a che un giudice di uno Stato contraente – la cui competenza sussista in forza dell’art. 2 della Convenzione – rinunci discrezionalmente ad esercitare tale competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia, qualora quest’ultimo giudice non sia stato designato mediante alcuna clausola attributiva di competenza, dinanzi ad esso non sia stata previamente proposta alcuna domanda idonea a determinare una situazione di litispendenza o di connessione e gli elementi di collegamento di tale controversia con il suddetto Stato terzo abbiano natura diversa rispetto a quelli contemplati dall’art. 16 della Convenzione di Bruxelles.

218.    Per rispondere a tale questione, prenderò in esame anzitutto la volontà degli autori della Convenzione e successivamente il tenore letterale dell’art. 2, primo comma, della Convenzione stessa, la sua economia complessiva, nonché gli obiettivi da essa perseguiti.

1. La volontà degli autori della Convenzione

219.    Al momento dell’elaborazione della Convenzione di Bruxelles, il Regno Unito e l’Irlanda non erano ancora Stati membri della Comunità. Pertanto, essi non hanno partecipato ai negoziati che si sono svolti tra gli Stati membri, ai sensi dell’art. 293 CE, e che hanno portato all’adozione della Convenzione in data 27 settembre 1968. I due Stati suddetti sono entrati a far parte della Comunità soltanto il 1° gennaio 1973, esattamente un mese prima dell’entrata in vigore della Convenzione, avvenuta il 1° febbraio 1973.

220.    Orbene, la teoria del forum non conveniens si è sviluppata essenzialmente solo nei due Stati membri sopra indicati  (112) . Infatti, questa teoria è perlopiù ignota agli Stati membri rientranti nel sistema giuridico di «civil law», ossia agli Stati che hanno negoziato la Convenzione di Bruxelles. Ne consegue che quest’ultima non contiene alcuna disposizione che si ricolleghi ad una teoria siffatta.

221.    Soltanto in occasione dell’elaborazione della Convenzione di adesione del Regno Unito, dell’Irlanda e del Regno di Danimarca alla Convenzione di Bruxelles – adottata il 9 ottobre 1978 – è stata evocata la questione della compatibilità della teoria del forum non conveniens  (113) .

222.    La relazione predisposta dal prof. Schlosser, in merito alla suddetta Convenzione di adesione, rispecchia la vastità del dibattito che la questione di cui sopra ha suscitato  (114) .

223.    Infatti, al punto 78 di tale relazione si afferma che «[s]econdo il parere delle delegazioni degli Stati membri continentali della Comunità gli organi giurisdizionali di uno Stato membro della Comunità non dispongono di simili facoltà [segnatamente quella di astenersi dallo statuire in applicazione della teoria del forum non conveniens] se vengono aditi in quanto competenti in base alla Convenzione d’esecuzione».

224.    Al riguardo si precisa che «è stato rilevato che la Convenzione dà agli Stati contraenti non solo il diritto di esercitare la giurisdizione alle condizioni di cui al titolo II, ma anzi ve li obbliga». In proposito è stato sostenuto che «[u]n attore deve avere certezza circa la competenza del giudice», in quanto egli «non deve sacrificare tempo e denaro col rischio che il giudice adito si ritenga meno adatto di un altro».

225.    Inoltre, nella relazione in questione si afferma, sempre al punto 78, che, «[l]addove siano competenti gli organi giurisdizionali di più Stati, all’attore è stato volutamente attribuito un diritto di scelta, diritto che con l’applicazione della “doctrine of the forum conveniens” non dovrebbe venire indebolito». Al riguardo si sottolinea che «[l]’attore può avere scelto fra quelli competenti un organo giurisdizionale apparentemente “inadatto”, per ottenere una decisione nello Stato in cui desidera farla eseguire».

226.    Il medesimo punto della relazione aggiunge che «[n]on sarebbe da escludere peraltro il pericolo di conflitti di competenza negativi: il giudice continentale potrebbe parimenti ritenersi non competente nonostante la decisione dell’organo giurisdizionale del Regno Unito».

227.    Infine, al punto suddetto si legge che, «[d]el resto, i motivi di fatto su cui si basa [attualmente] la “doctrine of the forum conveniens” [e quella correlata del forum non conveniens] perder[anno] notevolmente rilevanza non appena la Convenzione d’esecuzione si applicherà anche al Regno Unito e all’Irlanda». A questo proposito, la relazione precisa, sempre al punto 78, che la normativa nazionale destinata ad attuare la Convenzione nei due Stati suddetti dovrebbe portare, da un lato, ad una concezione della nozione di domicilio più ristretta di quella finora esistente e, dall’altro, all’abbandono della regola nazionale di competenza esorbitante fondata sulla pura e semplice notificazione dell’atto introduttivo del giudizio al convenuto che si trovi temporaneamente nel territorio degli Stati in questione, in conformità dell’art. 3, secondo comma, della Convenzione.

228.    Tali sono gli argomenti in forza dei quali, secondo il suddetto punto 78, «l’Irlanda ed il Regno Unito hanno rinunciato ad adattamenti formali su questo punto».

229.    Dall’insieme di tali elementi deduco che gli Stati membri che hanno negoziato e concluso la Convenzione di Bruxelles, ovvero la Convenzione di adesione del 1978, non hanno assolutamente inteso consentire l’ingresso del meccanismo del forum non conveniens nel sistema pattizio istituito o che vi si sono opposti in modo fermo e maggioritario.

230.    Ammettere il contrario significherebbe dunque violare la volontà degli Stati parti della Convenzione, come modificata dalla Convenzione di adesione del 1978, tenendo presente che tale volontà non è stata successivamente smentita in occasione dell’adozione delle ulteriori convenzioni di adesione o del regolamento n. 44/2001. Anche l’esame del tenore letterale dell’art. 2, primo comma, della Convenzione, dell’economia complessiva della medesima, nonché del suo effetto utile alla luce degli obiettivi da essa perseguiti, gioca a sfavore di un accoglimento della teoria del forum non conveniens.

2. Il tenore letterale dell’art. 2, primo comma, della Convenzione

231.    Ricordo che l’art. 2, primo comma, della Convenzione stabilisce che, «[s]alve le disposizioni della presente Convenzione, le persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato».

232.   È importante altresì ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, le norme comunitarie devono essere interpretate e applicate in modo uniforme alla luce delle versioni vigenti nelle altre lingue della Comunità  (115) . A mio avviso, lo stesso vale necessariamente per l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione di Bruxelles, alla luce dell’intento, assiduamente affermato dalla Corte, di assicurare il rispetto del principio della certezza del diritto nonché l’uguaglianza e l’uniformità dei diritti e degli obblighi derivanti dalla Convenzione, tanto nei riguardi degli Stati contraenti quanto a favore dei soggetti interessati  (116) .

233.   È pacifico che l’esame delle diverse versioni linguistiche dell’art. 2, primo comma, della Convenzione dimostra che la regola di competenza in esso enunciata ha carattere imperativo, e non facoltativo, e che a detta regola si può derogare soltanto nei casi espressamente previsti dalla Convenzione stessa. Ora, altrettanto pacifico è che una situazione come quella di cui alla causa principale non rientra in alcuno dei casi tassativamente elencati dalla Convenzione, che esaminerò con maggior precisione trattando dell’economia complessiva della Convenzione.

234.    Ne concludo che il tenore letterale dell’art. 2, primo comma, della Convenzione osta a che, in una situazione come quella di cui alla causa principale, un giudice di uno Stato contraente, investito di una controversia sulla base della detta disposizione, rinunci discrezionalmente a statuire sul merito per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe a tal fine più appropriato. Tale conclusione si impone anche per quanto riguarda l’economia complessiva della Convenzione.

3. L’economia complessiva della Convenzione

235.    Nel caso in cui sussista la competenza di un giudice di uno Stato contraente come il Regno Unito, in conformità dell’art. 4 della Convenzione, sulla base delle regole di competenza esorbitanti in vigore in tale Stato (nell’ipotesi in cui il convenuto abbia il suo domicilio in un paese terzo), riconosco che a priori la Convenzione non osta a che il giudice in questione rinunci ad esercitare la propria competenza, in applicazione della teoria del forum non conveniens (in vigore nello Stato contraente interessato), per il fatto che un giudice di uno Stato terzo sarebbe più appropriato oppure in miglior posizione per statuire sul merito della controversia.

236.    Tuttavia, tale eventualità si profila solo nel caso (che non è quello del sig. Owusu) in cui il convenuto abbia il suo domicilio in uno Stato non contraente, in quanto questa è la sola fattispecie contemplata dall’art. 4 della Convenzione.

237.    Per contro, qualora il convenuto abbia il suo domicilio in uno Stato contraente e sussista pertanto la giurisdizione di un giudice di uno Stato contraente, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della Convenzione, l’economia complessiva di quest’ultima osta a che, in una situazione come quella di cui alla causa principale, tale giudice rinunci discrezionalmente ad esercitare la propria competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia.

238.    Infatti, se è vero che talune disposizioni della Convenzione tendono ad attenuare la forza obbligatoria della regola di competenza fissata dall’art. 2, ciò si verifica soltanto in alcune circostanze del tutto particolari, non sussistenti nella causa principale, ragion per cui l’economia complessiva della detta Convenzione osta a che un giudice di uno Stato contraente rinunci ad esercitare tale competenza obbligatoria nelle circostanze del caso di specie, vale a dire in circostanze diverse da quelle espressamente e tassativamente previste dalla Convenzione.

239.    Inoltre, è importante sottolineare come alcune di queste disposizioni della Convenzione siano ispirate da considerazioni in larga misura differenti da quelle inerenti alla teoria del forum non conveniens. Tale dato mi conforta nell’idea che l’economia complessiva della Convenzione osti all’applicazione della teoria in questione in sede di esercizio di una competenza fondata sull’art. 2.

240.   È quanto mi accingo a trattare qui di seguito.

241.    Anzitutto, segnalo che, se è vero che le regole di competenza speciali o particolari della Convenzione (previste dagli artt. 5 e 6 nonché dal titolo II, sezioni 3 e 4) consentono di derogare alla regola di competenza obbligatoria di cui all’art. 2, segnatamente in forza di un elemento di collegamento diretto o particolarmente stretto tra la materia del contendere e i giudici di uno Stato diverso da quello del domicilio del convenuto interessato, la scelta tra tali competenze alternative può essere esercitata soltanto nell’ambito delle relazioni tra più Stati contraenti, e non nel quadro delle relazioni tra uno Stato contraente ed uno Stato terzo, ipotesi quest’ultima sussistente nella causa principale.

242.    Inoltre, e soprattutto, è importante sottolineare come tale facoltà di scelta tra più competenze si offra soltanto all’attore, in sede di formazione della sua azione. Di conseguenza, un giudice, una volta adito in base alla regola di competenza di cui all’art. 2, non può rinunciare a statuire sulla base delle regole di competenza speciali o particolari previste dalla Convenzione, anche se la controversia di cui trattasi presenti un elemento di collegamento significativo con i tribunali di uno Stato (contraente o meno) diverso da quello del domicilio del convenuto.

243.    Inoltre, se è vero che, a norma dell’art. 17, primo comma, nonché degli artt. 19, 21 e 22 della Convenzione, un giudice di uno Stato contraente è tenuto a dichiararsi incompetente oppure dispone della facoltà di rinunciare a statuire se adito sulla base della regola di competenza generale ed obbligatoria di cui all’art. 2, è pacifico che la causa principale non rientra in alcuna delle dette ipotesi, di modo che la forza vincolante della regola di competenza fissata dall’art. 2 resta immutata. È quanto vedremo più in dettaglio esaminando ciascuna delle disposizioni in questione.

244.    Anzitutto, l’art. 17, primo comma, della Convenzione, in materia di proroga espressa di competenza, stabilisce che, qualora almeno una delle parti sia domiciliata nel territorio di uno Stato contraente, il giudice o i giudici di tale Stato che siano stati designati dalle parti (in conformità delle condizioni imposte dalla detta disposizione) hanno competenza esclusiva. Pertanto, qualsiasi altro tribunale adito da una parte, segnatamente sulla base dell’art. 2 della Convenzione, è in linea di principio incompetente, salvo che, ai sensi dell’art. 18, il convenuto accetti di comparire dinanzi al giudice adito senza eccepire l’incompetenza di quest’ultimo fondandosi sulla clausola di elezione del foro. Pertanto, fatta salva l’ipotesi contemplata all’art. 18, il giudice adito da una parte in violazione di una clausola attributiva di giurisdizione deve dichiararsi incompetente a statuire.

245.    Lo stesso vale nel caso in cui un giudice di uno Stato contraente, e segnatamente dello Stato contraente in cui è domiciliato il convenuto, sia stato adito in violazione delle regole di competenza esclusive fissate dall’art. 16 della Convenzione, in virtù dell’esistenza di elementi di collegamento particolarmente stretti tra il merito della controversia ed il territorio di uno Stato contraente. D’altronde, la forza vincolante di tali regole è particolarmente significativa, posto che l’art. 19 della Convenzione dispone che il giudice investito a titolo principale di una controversia per la quale l’art. 16 prescrive la competenza esclusiva di un giudice di un altro Stato contraente è tenuto a dichiarare d’ufficio la propria incompetenza.

246.    Soltanto le regole di competenza a carattere esclusivo sono idonee ad impedire l’applicazione della regola di competenza generale ed obbligatoria di cui all’art. 2 della Convenzione. Orbene, ricordo che tali regole di competenza a carattere esclusivo non si applicano in una situazione come quella di cui alla causa principale.

247.    Lo stesso vale per i meccanismi previsti dagli artt. 21 e 22 della Convenzione, relativamente all’applicazione delle regole di competenza.

248.    Ricordo infatti che l’art. 21 della Convenzione, in materia di litispendenza, stabilisce che, qualora davanti a giudici di Stati contraenti differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito deve sospendere il processo fino a che non sia accertata la competenza a favore del giudice preventivamente adito e, ove tale competenza sia accertata, dichiarare la propria incompetenza a favore di quest’ultimo.

249.    Ora, come ho già indicato, la situazione di cui alla causa principale non rientra in tale ipotesi, in quanto non è stato attivato alcun procedimento parallelo dinanzi ad un giudice di uno Stato contraente diverso da quello del domicilio del primo convenuto.

250.    Inoltre, come ricordato dalla Corte al punto 47 della sentenza Gasser, già citata, tale regola procedurale «si basa chiaramente ed unicamente sull’ordine cronologico in cui i giudici di cui trattasi sono stati aditi». Essa, pertanto, non lascia alcuno spazio ad un qualsivoglia potere di valutare se uno dei giudici aditi si trovi in una posizione migliore rispetto all’altro per statuire sul merito della controversia. Ne consegue che, contrariamente a quanto talvolta sostenuto, il meccanismo previsto dalla Convenzione in materia di litispendenza risponde ad una logica profondamente diversa da quella inerente alla teoria del forum non conveniens, in quanto, come abbiamo visto, quest’ultima implica che il giudice adito possa discrezionalmente valutare se un foro straniero sia chiaramente più appropriato per statuire sul merito della controversia.

251.    Quanto all’art. 22 della Convenzione, ricordo che esso stabilisce che, ove più cause connesse siano proposte davanti a giudici di Stati contraenti differenti e siano pendenti in primo grado, il giudice successivamente adito può sospendere il procedimento oppure può dichiarare la propria incompetenza su richiesta di una delle parti, a condizione che la propria legge consenta la riunione di procedimenti connessi e che il giudice preventivamente adito sia competente a conoscere delle due domande.

252.    Contrariamente a quanto previsto dall’art. 21 in materia di litispendenza, l’art. 22 non si fonda unicamente sull’ordine cronologico in cui i giudici in questione sono stati aditi. Esso lascia un certo spazio al potere discrezionale del giudice successivamente adito, avendo questi facoltà di scegliere tra la sospensione del procedimento e la dichiarazione della propria incompetenza. Si può affermare che tale scelta può dipendere in particolare dalla questione dell’eventuale migliore posizione del giudice preventivamente adito al fine della risoluzione della controversia su cui il giudice successivamente adito è chiamato a pronunciarsi. A questo proposito, tale meccanismo potrebbe essere accostato (ma soltanto sotto questo profilo) a quello relativo alla teoria del forum non conveniens.

253.    Tuttavia, è importante sottolineare che la facoltà offerta al giudice di sospendere il procedimento oppure di dichiarare la propria incompetenza, in conformità dell’art. 22 della Convenzione, sussiste soltanto nell’ipotesi in cui siano stati avviati procedimenti paralleli dinanzi a giudici di Stati contraenti differenti, al fine di evitare i contrasti di decisioni che potrebbero derivarne e di escludere così, per quanto possibile, la possibilità che una decisione resa in uno Stato contraente non venga riconosciuta in un altro Stato contraente.

254.    Ora, anche a supporre che la causa di risarcimento avviata dalla turista inglese che sarebbe rimasta vittima di un incidente analogo a quello del sig. Owusu sia ancora pendente e possa considerarsi connessa alla causa principale all’origine del presente procedimento pregiudiziale, va rilevato che tale procedimento parallelo è stato avviato in Giamaica, ossia davanti ai giudici di uno Stato terzo, cosicché, in linea di principio, l’art. 22 non può trovare applicazione.

255.    Inoltre, indipendentemente da tali considerazioni specifiche, la logica di questo meccanismo di coordinamento dell’esercizio della funzione giurisdizionale tra i giudici di Stati contraenti differenti si rivela assai diversa da quella della teoria del forum non conveniens, in quanto l’applicazione di quest’ultima non è in linea di principio subordinata all’esistenza di un procedimento parallelo in un altro Stato contraente. Infatti, come precisato dalla citata sentenza Spiliada  (117) , per il giudice adito è importante stabilire il «foro naturale» della controversia, vale a dire «quello con il quale la materia del contendere presenta i collegamenti più stretti», in base a criteri di ordine pratico o pecuniario, come la disponibilità dei testimoni, o a criteri come la legge applicabile all’operazione in questione. Pertanto, il carattere appropriato o meno del giudice adito non dipende necessariamente ed esclusivamente dall’esistenza di un procedimento parallelo dinanzi ad un giudice di un altro Stato contraente.

256.    Da tali elementi risulta che, qualora sussista la competenza di un giudice di uno Stato contraente in base all’art. 2 della Convenzione (ed essa non contrasti con le regole di competenza a carattere esclusivo poste dagli artt. 16 e 17), tale giudice non è legittimato a rinunciare all’esercizio della propria competenza, salvo nelle ipotesi particolari previste dagli artt. 21 e 22 della Convenzione stessa, non sussistenti nella causa principale.

257.    Questa disamina dell’economia complessiva della Convenzione conforta dunque la tesi secondo cui quest’ultima osta a che, in una situazione come quella di cui alla causa principale, un giudice di uno Stato contraente, la cui competenza sussista in forza dell’art. 2 della Convenzione stessa, rinunci discrezionalmente ad esercitare tale competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia.

258.    A mio avviso, la suddetta tesi non può essere messa in discussione per il fatto che, come avviene nel caso di specie, la controversia sottoposta al giudice di uno Stato contraente in forza dell’art. 2 della Convenzione riguarda non soltanto un convenuto domiciliato nello Stato contraente cui appartiene tale giudice, ma anche vari convenuti domiciliati in uno Stato terzo.

259.    Infatti, se è vero che l’applicazione dell’art. 4 della Convenzione, nel caso in cui vari convenuti siano domiciliati in uno Stato terzo, può indurre il giudice adito a porsi la questione del carattere appropriato della sua richiesta cognizione, alla luce dei criteri inerenti alla teoria del forum non conveniens, ciò non toglie che la medesima norma non impone affatto a tale giudice l’obbligo di rinunciare ad esercitare la competenza che gli viene dall’art. 2 per quanto riguarda il convenuto domiciliato nel territorio dello Stato contraente cui il giudice stesso appartiene. Al giudice adito spetta semplicemente, tenuto conto della situazione delle parti e dei diversi interessi in gioco, valutare se occorra statuire sull’intera controversia o soltanto sulla parte di questa riguardante il convenuto domiciliato nello Stato contraente di cui trattasi.

4. Gli obiettivi e l’effetto utile della Convenzione

260.    Anche a supporre che la teoria del forum non conveniens costituisca una regola di natura procedurale ricadente a tale titolo sotto la sola legge nazionale, l’applicazione di una regola siffatta non può pregiudicare l’effetto utile della Convenzione. È quanto la Corte ha recentemente ricordato nella citata sentenza Turner, a proposito del meccanismo dell’«anti-suit injunctions»  (118) .

261.    Ritengo che l’applicazione di tale eventuale regola procedurale tenda a pregiudicare gli obiettivi della Convenzione e, in via correlata, il suo effetto utile, ragion per cui tali due elementi ostano all’applicazione della teoria del forum non conveniens.

262.    Vari argomenti depongono in tal senso.

263.    Anzitutto, concedendo al giudice adito la possibilità di rinunciare – in modo del tutto discrezionale – all’esercizio della competenza conferitagli da una regola fissata dalla Convenzione, come quella di cui all’art. 2, la teoria del forum non conveniens pregiudica seriamente la prevedibilità delle regole di competenza previste dalla Convenzione stessa, in particolare quella di cui all’art. 2. Ora, come ho già indicato, soltanto tale prevedibilità delle regole di competenza è in grado di garantire il rispetto del principio della certezza del diritto e di assicurare il rafforzamento della tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità, conformemente agli obiettivi perseguiti dalla Convenzione. Pertanto, incidere in tal modo sulla prevedibilità delle regole di competenza stabilite dalla Convenzione, in particolare di quella di cui all’art. 2 (che è una regola di competenza generale) finisce per pregiudicare l’effetto utile della Convenzione.

264.    Al riguardo, è importante tener presente che la Convenzione si ispira ampiamente al sistema giuridico di «civil law», il quale annette una particolare importanza alla prevedibilità ed all’intangibilità delle regole di competenza. Tale dimensione è meno presente nel sistema di «common law», in quanto l’applicazione delle regole vigenti viene piuttosto effettuata in maniera elastica e caso per caso. A questo proposito, la teoria del forum non conveniens si inserisce agevolmente nell’ambito del sistema di «common law», in quanto lascia al giudice adito il potere di valutare discrezionalmente se occorra esercitare o no la competenza ad esso conferita. Pertanto, tale teoria appare difficilmente compatibile con lo spirito della Convenzione.

265.    Al di là di tali considerazioni generali, occorre esaminare più precisamente le conseguenze procedurali derivanti dall’applicazione della teoria del forum non conveniens. A mio avviso, tali conseguenze sono difficilmente conciliabili con gli obiettivi perseguiti dalla Convenzione che, ricordiamolo, attengono tanto al rispetto del principio della certezza del diritto, quanto al rafforzamento della tutela giuridica delle persone stabilite nella Comunità.

266.    Infatti, come abbiamo visto, allo stato attuale del diritto inglese l’applicazione della suddetta teoria si traduce in una provvisoria rinuncia a statuire, vale a dire in una sospensione del processo, che può protrarsi anche sine die. Tale situazione è di per sé poco soddisfacente in termini di certezza del diritto.

267.    Inoltre, anziché rafforzare la tutela giuridica delle persone stabilite nella Comunità, la teoria del forum non conveniens tende piuttosto ad indebolirla. Ciò è particolarmente vero per l’attore.

268.    Infatti, ricordo che è all’attore intenzionato a sfuggire agli effetti della regola procedurale in questione che spetta dimostrare l’impossibilità, per lui, di ottenere giustizia dinanzi al foro straniero di cui trattasi. Ed anche sotto questo profilo la situazione è poco soddisfacente, in quanto occorre temere che tale eccezione venga sollevata da alcuni convenuti al solo fine di ritardare l’avanzamento di procedimenti avviati nei loro confronti.

269.    Inoltre, qualora il giudice adito abbia infine deciso di accogliere l’eccezione di forum non conveniens, spetta ancora una volta all’attore che intenda riattivare il procedimento fornire la prova degli elementi a tal fine necessari. Gli incombe pertanto dimostrare che il foro straniero non è in definitiva competente a conoscere della controversia, ovvero che dinanzi a tale foro egli non potrà ottenere, o non ha potuto ottenere, una giustizia effettiva. Questo onere della prova incombente sull’attore può rivelarsi particolarmente pesante. Pertanto, sotto questo profilo, l’applicazione della teoria del forum non conveniens può pregiudicare sensibilmente la tutela dei suoi interessi, di modo che essa tende ad indebolire, anziché rafforzare, la tutela giuridica dell’attore, in contrasto con l’obiettivo della Convenzione.

270.    Infine, nell’ipotesi in cui l’attore non riuscisse a fornire la prova degli elementi in questione, per opporsi ad una sospensione del giudizio (che può essere disposta sine die) o per riattivare il procedimento già sospeso, la sola possibilità che gli resterebbe, qualora intendesse mantenere ferme le proprie pretese, sarebbe quella di provvedere a quanto necessario per introdurre una nuova azione dinanzi al foro straniero. Va da sé che tali incombenze hanno un costo e possono ritardare sensibilmente i termini di procedura cui l’attore è esposto per veder finalmente trattata la propria causa. D’altra parte, al riguardo, il meccanismo inerente alla teoria del forum non conveniens potrebbe essere considerato incompatibile con le prescrizioni di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

271.    Da ciò concludo che tale teoria pregiudica l’effetto utile della Convenzione, in quanto va a colpire gli obiettivi di certezza del diritto e di rafforzamento della tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità, perseguiti dalla Convenzione mediante l’introduzione di regole di competenza obbligatorie come quella di cui all’art. 2.

272.    A mio avviso, tale conclusione si impone anche per quanto riguarda le regole fissate dalla Convenzione per facilitare, tra gli Stati contraenti, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giurisdizionali. Infatti, rinunciando ad esercitare la competenza attribuitagli dalle regole della Convenzione, in particolare quella di cui all’art. 2, per il fatto che il giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per risolvere la controversia, il giudice di uno Stato contraente priva l’attore della possibilità di beneficiare del meccanismo semplificato di riconoscimento ed esecuzione previsto dalla Convenzione. Tale situazione contrasta con gli obiettivi della Convenzione attinenti al rispetto della certezza del diritto ed al rafforzamento della tutela giuridica delle persone residenti nella Comunità. Al riguardo, il meccanismo inerente alla teoria del forum non conveniens pregiudica, anche in questo caso, l’effetto utile della Convenzione.

273.    Inoltre, è importante sottolineare che tale teoria è idonea a pregiudicare l’uniforme applicazione delle regole fissate dalla Convenzione e ad entrare così in contrasto con una costante giurisprudenza della Corte.

274.    Infatti, come abbiamo visto, la Corte ha assiduamente espresso l’esigenza di garantire l’uguaglianza e l’uniformità dei diritti e degli obblighi derivanti dalla detta Convenzione, tanto nei riguardi degli Stati contraenti quanto a favore dei soggetti interessati.

275.    Ora, ricordo che la teoria del forum non conveniens si è sviluppata in maniera significativa soltanto nel Regno Unito e in Irlanda, e non negli altri Stati contraenti.

276.    Pertanto, ammettere l’applicazione di tale teoria soltanto nei due suddetti Stati contraenti che la conoscono avrebbe come effetto di introdurre una discriminazione tra i soggetti di diritto stabiliti nella Comunità, a seconda che lo Stato contraente nel cui territorio è domiciliato il convenuto conosca o meno la teoria in questione. Una tale teoria sarebbe certamente contraria al principio giurisprudenziale di uguaglianza ed uniformità dei diritti derivanti dalla Convenzione.

277.    Dall’insieme di tali argomenti risulta che sia il tenore letterale dell’art. 2, primo comma, della Convenzione, sia l’economia complessiva della stessa, nonché i suoi obiettivi ed il suo effetto utile, ostano a che un giudice di uno Stato contraente – la cui competenza sussista in forza dell’art. 2 della detta Convenzione – rinunci discrezionalmente ad esercitare tale competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia, qualora quest’ultimo giudice non sia stato designato mediante alcuna clausola attributiva di competenza, dinanzi ad esso non sia stata previamente proposta alcuna domanda idonea a determinare una situazione di litispendenza o di connessione e gli elementi di collegamento di tale controversia con il suddetto Stato terzo abbiano natura diversa rispetto a quelli contemplati dall’art. 16 della Convenzione di Bruxelles.

278.    Aggiungo che il regolamento n. 44/2001 conferma chiaramente questa tesi. Infatti, il suo undicesimo ‘considerando’ stabilisce che «[l]e norme sulla competenza devono presentare un alto grado di prevedibilità ed articolarsi intorno al principio della competenza del giudice del domicilio del convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l’autonomia delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento» (il corsivo è mio).

279.    Tali considerazioni escludono in modo implicito, ma necessario, la possibilità per il giudice adito ex art. 2 della Convenzione di rinunciare ad esercitare la propria competenza per il fatto che, in virtù della teoria del forum non conveniens, un giudice di un altro Stato non contraente sarebbe in una posizione migliore per risolvere la controversia  (119) . A mio avviso, tale conclusione non s’impone soltanto quando il giudice concorrente è situato in uno Stato membro diverso da quello del domicilio del convenuto, ma altresì quando il foro concorrente si situa in uno Stato terzo.

280.    Di conseguenza, occorre risolvere la seconda parte della prima questione pregiudiziale dichiarando che la Convenzione di Bruxelles osta a che un giudice di uno Stato contraente – la cui competenza sussista in forza dell’art. 2 della detta Convenzione – rinunci discrezionalmente ad esercitare tale competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia, qualora quest’ultimo giudice non sia stato designato mediante alcuna clausola attributiva di competenza, dinanzi ad esso non sia stata previamente proposta alcuna domanda idonea a determinare una situazione di litispendenza o di connessione e gli elementi di collegamento di tale controversia con il suddetto Stato terzo abbiano natura diversa rispetto a quelli contemplati dall’art. 16 della Convenzione di Bruxelles.

V – Conclusione

281.    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) nella maniera che segue:

«1)
L’art. 2 della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982, relativa all’adesione della Repubblica ellenica, dalla Convenzione 26 maggio 1989, relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, e dalla Convenzione 29 novembre 1996, relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia (in prosieguo: la “Convenzione di Bruxelles”) dev’essere interpretato nel senso che esso è applicabile anche nel caso in cui l’attore ed il convenuto abbiano il loro domicilio nel medesimo Stato contraente e la controversia tra essi esistente dinanzi ai giudici di tale Stato contraente presenti taluni elementi di collegamento con uno Stato terzo, e non con un altro Stato contraente, di modo che l’unica questione di ripartizione di competenze che possa profilarsi in tale controversia sorga unicamente nei rapporti tra i giudici di uno Stato contraente e quelli di uno Stato terzo, e non tra i giudici di differenti Stati contraenti.

2)
La Convenzione di Bruxelles osta a che un giudice di uno Stato contraente – la cui competenza sussista in forza dell’art. 2 della detta Convenzione – rinunci discrezionalmente ad esercitare tale competenza per il fatto che un giudice di uno Stato non contraente sarebbe più appropriato per statuire sul merito della controversia, qualora quest’ultimo giudice non sia stato designato mediante alcuna clausola attributiva di competenza, dinanzi ad esso non sia stata previamente proposta alcuna domanda idonea a determinare una situazione di litispendenza o di connessione e gli elementi di collegamento di tale controversia con il suddetto Stato terzo abbiano natura diversa rispetto a quelli contemplati dall’art. 16 della Convenzione di Bruxelles».


1
Lingua originale: il francese.


2
GU 1972, L 299, pag. 32, come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU L 304, pag. 1 e – testo modificato – pag. 77), dalla Convenzione 25 ottobre 1982, relativa all’adesione della Repubblica ellenica (GU L 388, pag. 1), dalla Convenzione 26 maggio 1989, relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (GU L 285, pag. 1) e dalla Convenzione 29 novembre 1996, relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia (GU 1997, C 15, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles» o la «Convenzione»). Una versione consolidata di tale Convenzione, come modificata dalle quattro suddette Convenzioni di adesione, è pubblicata in GU 1998, C 27, pag. 1.


3
Si tratta della causa C-314/92, Ladenimor (ordinanza di cancellazione dal ruolo 21 febbraio 1994). Dato che la causa viene assai spesso citata con il nome di «Harrods», è con questa denominazione che verrà indicata nel prosieguo.


4
Parere 1/03. La Convenzione di Lugano 16 settembre 1998, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, costituisce una Convenzione cosiddetta «parallela» alla Convenzione di Bruxelles, essendo di contenuto quasi identico a quest’ultima. La Convenzione di Lugano vincola tutti gli Stati membri della Comunità (parti contraenti della Convenzione di Bruxelles) nonché la Repubblica d'Irlanda, il Regno di Norvegia, la Confederazione svizzera e la Repubblica di Polonia. Tale Convenzione dev’essere revisionata allo scopo di uniformarne il contenuto a quello del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), che, come vedremo in seguito, ha di recente sostituito la Convenzione di Bruxelles. La richiesta di parere di cui la Corte è investita mira ad accertare se la conclusione del progetto di Convenzione revisionata rientri nella competenza esclusiva della Comunità o in una competenza condivisa tra la Comunità e gli Stati membri. La questione porta in particolare a valutare entro quali limiti l’ambito di applicazione territoriale o personale del progetto di Convenzione coincida con quello del suddetto regolamento. Tale questione non è priva di legami con quella relativa alla sfera di applicazione territoriale o personale della Convenzione di Bruxelles, dal momento che il regolamento che ha sostituito la detta Convenzione ne riprende in sostanza le disposizioni.


5
Sentenza 27 aprile 2004, causa C-159/02 (Racc. pag. I-0000).


6
V. paragrafo 35.


7
Ai sensi del detto articolo «[g]li Stati membri avvieranno fra di loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini (…) la semplificazione delle formalità cui sono sottoposti il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie (…)».


8
Queste regole di competenza opzionali si applicano, in particolare, in materia contrattuale (art. 5, n. 1: competenza concorrente del giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o dev’essere eseguita), in materia di delitti o quasi-delitti (art. 5, n. 3: competenza concorrente del giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto), in materia di contratti stipulati dai consumatori (art. 14, primo comma: competenza concorrente dei giudici dello Stato contraente nel cui territorio è domiciliato il consumatore), nonché in caso di pluralità di convenuti (art. 6, n. 1: competenza concorrente del giudice in cui è situato il domicilio di uno di essi).


9
Tali regole di competenza si applicano, in particolare, in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d’affitto di immobili [art. 16, n. 1, lett. a): competenza esclusiva dei giudici dello Stato contraente in cui l’immobile è situato], nonché in situazioni di proroga esplicita di competenza (art. 17: competenza esclusiva del giudice o dei giudici designati dalle parti nell’ambito di una clausola attributiva di competenza, fatto salvo in particolare il rispetto delle regole di competenza esclusiva di cui all’art. 16).


10
L’art. 18 della Convenzione di Bruxelles attribuisce competenza al giudice dello Stato contraente davanti al quale il convenuto è comparso, pur non essendo domiciliato in detto Stato, a meno che la comparizione non avvenga solo per eccepire l’incompetenza della giurisdizione adita o che esista un'altra giurisdizione esclusivamente competente ai sensi dell'art. 16 della Convenzione stessa. Si parla allora di proroga tacita di competenza.


11
Sebbene il regolamento n. 44/2001 non sia applicabile alla controversia della causa principale, segnalo che esso ha aggiunto, all’art. 4, una riserva supplementare al gioco delle regole di competenza esorbitante relativa alla volontà delle parti.


12
Questa particolare situazione dipende dal protocollo sulla situazione del Regno di Danimarca, allegato ai trattati UE e CE. Ne deriva che il regolamento n. 44/2001 non è applicabile alla Danimarca, mentre la Convenzione di Bruxelles continua ad applicarsi fra questo Stato membro e gli altri Stati membri che sono vincolati dal regolamento. Una situazione analoga è stata riservata al Regno Unito e all’Irlanda tramite un protocollo specifico, anch’esso allegato ai trattati UE e CE. Tuttavia, ai sensi dell’art. 3, n. 1, di tale protocollo, il Regno Unito e l’Irlanda hanno notificato il desiderio di partecipare all’adozione e all’applicazione del regolamento n. 44/2001, che, di conseguenza, è loro applicabile.


13
In prosieguo: la «sentenza Spiliada» (1987, AC 460). A quanto sembra, i principi stabiliti dalla sentenza Spiliada corrisponderebbero a quelli seguiti in Giamaica. V., in tal senso, le osservazioni del sig. Jackson, primo convenuto nella controversia della causa principale (punto 25).


14
V. pag. 476 della sentenza Spiliada, cit.


15
Ibidem, pag. 474. A tale proposito, il meccanismo del forum non conveniens, applicabile ad un’azione proposta contro un convenuto che si trova in Inghilterra (il che, nel diritto inglese, attiva una regola di competenza cosiddetta «ordinaria»), può essere accostato a quello del forum conveniens. In base a quest’ultimo meccanismo, se viene proposta un’azione contro un convenuto che non si trova in Inghilterra (circostanza, questa, che nel diritto inglese attiva una norma sulla competenza cosiddetta «straordinaria»), il giudice inglese può rifiutarsi di autorizzare la notificazione all’estero dell’atto introduttivo del giudizio, dal momento che il giudice straniero costituisce il forum conveniens, e di conseguenza il procedimento in questione non potrà proseguire in Inghilterra. Al riguardo, v. pagg. 480-482.


16
V. pag. 477 [lett. c)] della sentenza Spiliada, cit.


17
Ibidem, pagg. 477 e 478 [lett. d)].


18
Deve ricordarsi che nei paesi di «common law» è riservata un’importanza particolare all’audizione dei testimoni in udienza, tra i quali sono compresi, in particolare, i periti.


19
V. pag. 478 [lett. d)] della sentenza Spiliada, cit.


20
Ibidem, pag. 482.


21
Questa espressione è stata utilizzata dalla House of Lords in una pronuncia successiva alla sentenza Spiliada, ossia nella sentenza Lubbe v. Cape plc (2000, 1 WLR, 1545, HL) (in prosieguo: la «sentenza Lubbe»).


22
Idem.


23
V. pag. 482 della sentenza Spiliada, cit.


24
V., in tal senso, la giurisprudenza della House of Lords citata da A. Nuyts, L’exception de forum non conveniens (étude de droit international privé comparé), tesi ULB, 2001-2002, vol. II, punto 218. Più in particolare, v. sentenze Cornelly v. RTZ Corporation plc (1998, AC 854, pagg. 873 e 874), e Lubbe, cit.


25
V. A. Nuyts, op. cit., punto 202.


26
Nel diritto inglese, dopo la riforma delle regole di procedura civile del 1998, l’eccezione del forum non conveniens dev’essere sollevata in limine litis, ossia prima di qualsiasi difesa nel merito, e non più in qualunque stadio del procedimento. In proposito, v. A. Nuyts, op. cit., punto 204.


27
V. A. Nuyts, op. cit., punto 208.


28
V., in tal senso, sentenze Berisford plc v. New Hampshire Insurance Co. (1990, 2 QB 631) e Arkwright Mutual Insurance Co. V. Bryanston Insurance Co. Ltd (1990, 2 QB 649). In tali sentenze la High Court ha dichiarato che l’applicazione della teoria del forum non conveniens sarebbe contraria al carattere imperativo dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles e metterebbe a repentaglio l’uniforme applicazione delle regole di competenza negli Stati contraenti.


29
In prosieguo: la «sentenza Harrods» (1992, Ch. 72, CA). Questa sentenza è stata pronunciata nell’ambito di una causa tra una società di diritto inglese che era domiciliata in Inghilterra ma svolgeva tutte le sue attività in Argentina, dove erano situati i suoi organismi decisionali e di controllo (la società Harrods Buenos Aires) e il suo socio di maggioranza (la società svizzera Intercomfinanz), da un lato, e il socio minoritario di tale società (la società svizzera Ladenimor) dall’altro lato, a proposito di una controversia riguardante la gestione della suddetta società inglese.


30
Ibidem, pagg. 96 e 103.


31
Ibidem, pagg. 97 e 98.


32
Ibidem, pag. 97.


33
Ibidem, pag. 103 [lett. d)].


34
Le questioni pregiudiziali in merito erano formulate nel modo seguente:

«1) Se la Convenzione di Bruxelles disciplini i conflitti di giurisdizione tra i giudici di uno Stato contraente qualora non sussista conflitto di giurisdizione con giudici di un altro Stato contraente.

2.a) Se sia in contrasto con la Convenzione di Bruxelles, ove la giurisdizione si fondi sull’art. 2 della medesima, che il giudice di uno Stato contraente, nell’esercizio della propria discrezionalità attribuitagli dall’ordinamento nazionale, declini la propria giurisdizione in ordine ad un’azione proposta nei confronti di un soggetto residente in tale Stato, riconoscendo la giurisdizione di un giudice di uno Stato terzo, qualora non vi sia conflitto di giurisdizione con altri Stati contraenti ai sensi della Convenzione di Bruxelles.

b) In caso affermativo, se tale contrasto sussista in ogni caso o solamente in presenza di circostanze determinate e, in tale ipotesi, quali.

3.a) In caso di soluzione affermativa della questione sub 2), se sia compatibile con la Convenzione di Bruxelles che il giudice di uno Stato contraente, nell’esercizio della propria discrezionalità attribuitagli dal diritto nazionale, declini la propria giurisdizione in ordine ad un’azione proposta nei confronti di un convenuto intervenuto nel giudizio non residente in uno Stato contraente, riconoscendo la giurisdizione di un giudice di uno Stato terzo.

b) Se la questione sub 3) debba ricevere soluzione diversa qualora in conseguenza del provvedimento con cui viene declinata la giurisdizione in ordine all’azione proposta contro il convenuto intervenuto venga rigettata la domanda nei confronti del convenuto residente».


35
V. nota 21.


36
V. paragrafo 28 delle presenti conclusioni.


37
V., in particolare, A. Nuyts, op. cit., punto 181, e R. fentiman, «Ousting Jurisdiction in the European judicial Area», Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 2000, pag. 109, e Stays and the European Conventions: End-Game?, CLJ 10, 2001, pag. 11.


38
In prosieguo: il «primo convenuto».


39
In prosieguo: il «terzo convenuto».


40
In prosieguo: il «quarto convenuto».


41
In prosieguo: il «sesto convenuto».


42
Causa C-412/98 (Racc. pag. I-5925).


43
Al riguardo, il giudice Bentley QC rinvia in particolare ai punti 59-61 della sentenza Group Josi, cit.


44
V. paragrafi 35-39 delle presenti conclusioni.


45
Ciò risulta effettivamente dall’art. 2 del protocollo 3 giugno 1971, relativo all’interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.


46
V. punto 47 dell’ordinanza di rinvio.


47
V. punti 33-35 dell’ordinanza di rinvio.


48
V. punti 47 e 48, nonché punti 82-88 delle osservazioni scritte della Commissione.


49
V. punto 32 delle sue osservazioni scritte.


50
È quanto sembra emergere dai punti 44 e 45 dell’ordinanza di rinvio, nonché dai punti 48 (paragrafo 5), 55 e 56, nei quali sono contenuti gli argomenti delle parti nella causa principale, che, come si ricorderà, corrispondono in larga parte a quelli esposti nella causa Harrods e sui quali la Court of Appeal si è già pronunciata.


51
V., in particolare, sentenze 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punto 59); 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I-2099, punto 38); 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital (Racc. pag. I-607, punto 18); 21 marzo 2002, causa C-451/99, Cura Anlagen (Racc. pag. I-3193, punto 16), e 30 marzo 2004, causa C‑147/02, Alabaster (Racc. pag. I-0000, punto 54).


52
JO 1979, C 59, pag. 1.


53
V. pag. 8 della relazione.


54
Causa 12/76 (Racc. pag. 1473, punto 9).


55
Causa C-365/88 (Racc. pag. I-1845, punto 17).


56
V. paragrafi 99 e 100, nonché 126-131 delle presenti conclusioni.


57
Per questa parte della dottrina inglese, v., in particolare, L. Collins, 1990, 106 LQR, pagg. 538 e 539, citato dalla Court of Appeal nella sentenza Harrods (pag. 103), e P. Kaye, Civil jurisdiction and enforcement of foreign judgments, Professional Books Limited, 1987, pagg. 216-225.


58
V. G. Droz, Compétence judiciaire et effets des jugements dans le marché commun (Étude de la convention de Bruxelles du 27 septembre 1968), 1972, pagg. 23-25.


59
V., in particolare, per la dottrina belga, F. Rigaux, F. e M. Fallon, Droit international privé, Maison Larcier, 2a edizione rifusa, 1993, tome II, Droit positif belge, pag. 173; M. Weser, Convention communautaire sur la compétence judiciaire et l’exécution des décisions, CIDC, e A. Pédone, 1975, pagg. 215-217; per la dottrina tedesca R. Geimer e R. Schütze, Internationale Urteilsanerkennung, C. H. Beck’Sche Verlagsbuchhandlung, 1983, Band I, 1. Halbband, pagg. 220-222; R. Geimer, «The right of access to the Courts under the Brussels convention», Civil Jurisdiction and Judgments in Europe, Proceedings of the Colloquium on the Interpretation of the Brussels Convention by the Court of Justice considered in the context of the European Judicial Area, Luxembourg, 11 and 12 march 1991, Butterworths, 1992, pagg. 39 e 40 (a proposito della sentenza Harrods della Court of Appeal); per la dottrina olandese, H. Duintjer Tebbens, «The english Court of Appeal in re Harrods: An unwelcome Interpretation of the Brussels Convention», Law and Reality: Essays on National and International Procedural Law in Honour of Cornelis Carel Albert Voskuil, Martinus Nijhoff Publishers, 1992, pagg. 47 ss.


60
Secondo Droz, lo stesso dovrebbe valere per le regole di competenza esclusiva contenute nell’art. 16 della Convenzione.


61
Secondo la maggior parte della dottrina, lo stesso dovrebbe valere quando il foro eletto sia situato in uno Stato contraente diverso da quello in cui le parti hanno il proprio domicilio. Infatti, le clausole attributive di competenza sono generalmente viste con sfavore nel diritto interno e di conseguenza la loro ammissione, ai sensi dell’art. 17 della Convenzione, dovrebbe essere limitata a rapporti giuridici che possiedano un carattere internazionale intrinseco, indipendentemente dal luogo in cui si trova il foro eletto. V., in tal senso, H. Gaudemet-Tallon, Compétence et exécution des jugements en Europe, LGDJ, 3a edizione, 2002, pag. 97, che contiene numerosi riferimenti dottrinali.


62
V., in particolare, J. Kropholler, Europäisches Zivilprozeßrecht – Kommentar zu EuGvO und Lugano-Übereinkommen, Verlag Recht und Wirtschaft GmbH, 2002, pag. 106.


63
Nella causa in oggetto, la Commissione si è limitata a sostenere che l’applicazione dell’art. 2 della Convenzione non è esclusa dal fatto che il ricorrente sia domiciliato nello stesso Stato contraente del primo convenuto e che la causa principale rientri nel quadro di una relazione tra uno Stato contraente e uno Stato terzo. Essa non ha preso una posizione precisa sul problema di stabilire se l’applicazione dell’art. 2 esiga o meno che la controversia abbia carattere internazionale e, nel primo caso, se basti che l’elemento di estraneità richiesto si situi in uno Stato terzo. Ciò detto, faccio notare che, nell’ambito della procedura di parere 1/03 riguardante la futura Convenzione di Lugano revisionata, la Commissione ha dichiarato (al punto 170 delle sue osservazioni scritte) che qualunque controversia sottoposta ad un giudice di uno Stato membro e che abbia un elemento di connessione con un altro Stato, membro o meno, rientra nell’ambito del regolamento n. 44/2001. Essa ha aggiunto che dalla sfera di applicazione di tale regolamento non esula alcuna controversia che non sia puramente interna (caso in cui tutti gli elementi di connessione si situino all’interno di uno stesso Stato).


64
V. punto 30.


65
Ibidem, punto 57.


66
Ibidem, punto 58 (il corsivo è mio).


67
Ibidem, punto 59.


68
V., in particolare, sentenze 17 giugno 1992, causa C-26/91, Handte (Racc. pag. I‑3967, punto 14); 19 gennaio 1993, causa C-89/91, Shearson Lehman Hutton (Racc. pag. I‑139, punti 15 e 16); 3 luglio 1997, causa C-269/95, Benincasa (Racc. pag. I‑3767, punto 13); 27 ottobre 1998, causa C-51/97, Réunion européenne e a. (Racc. pag. I‑6511, punto 16); Group Josi, cit. (punti 36-40), e, più recentemente, 10 giugno 2004, causa C-168/02, Kronhofer (Racc. pag. I-0000, punti 12 e 13).


69
V., in particolare, a proposito dell’art. 5, n. 1, in materia contrattuale, sentenza 17 gennaio 1980, causa 56/79, Zelger (Racc. pag. 89, punto 3); a proposito dell’art. 5, n. 3, in materia di delitti o quasi delitti, sentenza 30 novembre 1976, causa 21/76, Bier, detta «Mines de potasse d’Alsace» (Racc. pag. 1735, punto 11); a proposito dell’art. 6, n. 1, in caso di pluralità di convenuti, sentenza 27 settembre 1988, causa 189/98, Kalfelis (Racc. pag. 5565, punto 11), e, a proposito dell’art. 6, n. 2, in caso di azione di garanzia o di intervento, sentenza Hagen, cit. (punto 11).


70
È il caso dei crediti alimentari (art. 5, n. 2), nonché dei consumatori (artt. 13 e 14) o del contraente dell'assicurazione (artt. 8, 9 e 10), parti di un contratto ritenute economicamente più deboli e giuridicamente meno esperte delle loro controparti professionali. A proposito dell’obiettivo perseguito dagli artt. 13 e 14 della Convenzione, v., in particolare, sentenza 11 luglio 2002, causa C-96/00, Gabriel (Racc. pag. I‑6367, punto 39).


71
È quel che la Corte ha sottolineato a proposito dell’art. 13, secondo comma, nella sentenza 15 settembre 1994, causa C-318/93, Brenner e Noller (Racc. pag. I‑4275, punto 18).


72
V., in particolare, in tal senso, sentenza Group Josi, cit. (punto 46).


73
Idem.


74
V., in particolare, H. Gaudemet-Tallon, cit. alla nota 61, pag. 71.


75
La questione resta aperta. Come ho già spiegato al paragafo 70, non la prendo in considerazione, in quanto la controversia nella causa principale non ne esige l’esame.


76
V., in particolare, sentenze 27 giugno 1991, causa C-351/89, Overseas Union Insurance e a. (Racc. pag. I‑3317, punto 16), e 9 dicembre 2003, causa C-116/02, Gasser (Racc. pag. I-0000, punto 41).


77
V. sentenze Gasser e Turner, cit. (punto 24).


78
Causa C‑129/92 (Racc. pag. I‑117, punto 25).


79
Ibidem, punto 37.


80
V. punto 14.


81
In questo senso, v. sentenza 11 giugno 1985, causa 49/84, Debaecker e Plouvier (Racc. pag. 1779), a proposito dell’applicazione dell’art. 27, n. 2, della Convenzione nell’ambito del riconoscimento, nei Paesi Bassi, di una decisione pronunciata da un giudice belga in una controversia tra parti domiciliate in Belgio e riguardante la locazione di un immobile anch’esso situato in Belgio.


82
In proposito, v. F. Juenger, La Convention de Bruxelles du 27 septembre 1968 et la courtoisie internationale – Réflexions d’un Américain, RC, 1983, pag. 37.


83
«Les frontières extérieures de l’espace judiciaire européen: quelques repères», E Pluribus Unum – Liber Amicorum Georges A. L. Droz, Martinus Nijhoff Publishers, 1996, pag. 85, in particolare pagg. 103 e 104.


84
V., in particolare, sentenze 4 marzo 1982, causa 38/81, Effer (Racc. pag. 825, punto 6); 13 luglio 1993, causa C-125/92, Mulox IBC (Racc. pag. I‑4075, punto 11); Benincasa, cit. (punto 26); 17 settembre 1992, causa C-334/00, Tacconi (Racc. pag. I‑7357, punto 20); 5 febbraio 2004, causa C-18/02, DFDS Torline (Racc. Pag. I-0000, punto 36), e Kronhofer, cit. (punto 20).


85
V., in particolare, sentenze 29 giugno 1994, causa C-288/92, Custom Made Commercial (Racc. pag. I‑2913, punto 15), e 19 febbraio 2002, causa C-256/00, Besix (Racc. pag. I‑1699, punto 25).


86
V., in particolare, le già citate sentenze Effer (punto 6), Owens Bank (punto 32), Custom Made Commercial (punto 18), Besix (punti 24-26), nonché sentenze 28 settembre 1999, causa C‑440/97, GIE Groupe Concorde e a. (Racc. pag. I‑6307, punto 23), e 6 giugno 2002, causa C‑80/00, Italian Leather (Racc. pag. I‑4995, punto 51).


87
V., in particolare, sentenze Handte (punto 14) e Group Josi (punto 35), cit.


88
V., in particolare, sentenza 21 maggio 1980, causa 125/79, Denilauler (Racc. pag. 1553, punto 13).


89
V., in particolare, sentenze Handte (punto 14) e Group Josi (punto 36).


90
Punto 48 dell’ordinanza di rinvio.


91
Punto 21 delle osservazioni scritte.


92
V. N. Quoc Dinh, P. Daillier e A. Pellet, Droit international public, 6ª edizione interamente rifusa, 1999, LGDJ, pagg. 239 ss.


93
V. N. Quoc Dinh, P. Daillier e A. Pellet, op. cit., pag. 249. Si fa riferimento, in particolare, alla Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969, sull’intervento in alto mare in caso di incidente che abbia provocato o possa provocare un inquinamento da idrocarburi. Gli Stati parte di tale Convenzione si riservano il diritto di intervenire in alto mare al largo delle proprie coste anche nei confronti di imbarcazioni battenti bandiera di Stati terzi.


94
GU L 266, pag. 1.


95
Al riguardo, v. la relazione congiunta di Giuliano e Lagarde sulla Convenzione di Roma (GU 1980, C 282, pag. 1). In particolare, v. il punto 8 delle osservazioni introduttive, nonché il commento all’art. 1, n. 1, e all’art. 2 della suddetta Convenzione.


96
Al riguardo, v. il commento all’art. 2 della Convenzione di Roma contenuto nel rapporto appena citato, nonché J.-M. Jacquet, «Aperçu de la convention de Rome», L’européanisation du droit international privé, Académie de droit européen de Trèves, 1996, pag. 21.


97
Causa C‑398/92 [Racc. pag. I‑467, punto 11 (il corsivo è mio)].


98
V. punto 12. V. inoltre, in tal senso, sentenza Tessili, cit. (punto 9).


99
V. paragrafo 8.


100
V. punto 24 delle osservazioni scritte da esso presentate.


101
Cause riunite C‑465/00, C‑138/01 e C‑139/01 (Racc. pag. I‑4989, punto 41). V. inoltre, in tal senso, sentenze 18 febbraio 1987, causa 98/86, Mathot (Racc. pag. 809, punto 11); 12 dicembre 1990, causa C-241/89, SARPP (Racc. pag. I‑4695, punto 16), a proposito della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU L 33, pag. 1), e 25 aprile 1996, causa C‑87/94, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑2043, punti 30-33), a proposito della direttiva del Consiglio 17 settembre 1990, 90/531/CEE, relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 297, pag. 1). Al riguardo, v. M. Fallon, «Les conflits de lois et de juridictions dans un espace économique intégré – L’expérience de la Communauté européenne», Recueil des cours, Académie de droit international, Martinus Nijhoff Publishers, 1996, pagg. 49, 182 e 183.


102
V. sentenza Österreichischer Rundfunk e a., cit. (punto 41).


103
Si tratta della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31).


104
V. sentenza Österreichischer Rundfunk e a., cit. (punto 42).


105
Idem.


106
Causa C‑101/01 (Racc. pag. I-0000, punti 40 e 41).


107
In questo senso v., in particolare, sentenza 9 settembre 2004, causa C‑70/03, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-0000, punto 30), a proposito della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).


108
A tale riguardo, v. J. Aussant, R. Fornasier, J.-V. Louis, J.-C. Seché e S. Van Raepenbusch, Commentaire J. Mégret – Le droit de la CEE, vol. 3, Université de Bruxelles, 2a edizione, pagg. 113 ss., nonché M. Fallon, cit., pagg. 43 ss. (in particolare pagg. 45 e 46).


109
Idem. V., in tal senso, sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch (Racc. pag. 1405, punti 26-28), e 12 luglio 1984, causa 237/83, Prodest (Racc. pag. 3153, punto 6), a proposito, in generale, delle disposizioni comunitarie relative alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità e, in particolare, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).


110
V., in tal senso, in particolare, sentenze 23 ottobre 1986, causa 300/84, Van Roosmalen (Racc. pag. 3097, punti 30 e 31), e 9 luglio 1987, cause riunite 82/86 e 103/86, Laborero e Sabato (Racc. pag. 3401, punti 25-28).


111
Il corsivo è mio.


112
A quanto sembra, tale teoria è applicata anche nei Paesi Bassi, ma in modo assai più limitato.


113
Difatti, sin dal 1972, Droz ha affermato con vigore che detta teoria non aveva posto nella Convenzione di Bruxelles, concludendo che «è meglio soffocare sul nascere questa fonte di problemi», G. Droz, Droits de la demande dans les relations privées internationales, TCFDIP, 1993-1995, pag. 97.


114
GU 1979, C 59, pag. 71, punti 77 e 78.


115
V., in particolare, sentenze 5 dicembre 1967, causa 19/67, Van der Vecht (Racc. pag. 445); 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a. (Racc. pag. 3415, punto 18); 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione (Racc. pag. I‑4411, punto 15), e 29 aprile 2004, causa C‑371/02, Björnekulla Fruktindustrier (Racc. pag. I-0000, punto 16).


116
V., in particolare, sentenze 14 luglio 1977, cause riunite 9/77 e 10/77, Bavaria Fluggesellschaft e Germanair/Eurocontrol Bedarfsluftfahrt (Racc. pag. 1517, punto 4); 22 novembre 1978, causa 33/78, Somafer (Racc. pag. 2183, punto 8), e 15 novembre 1983, causa 288/82, Duijnstee (Racc. pag. 3663, punto 13).


117
V. paragrafo 27 delle presenti conclusioni.


118
V. punto 29, sulla scia giurisprudenziale della sentenza Hagen, cit. (punto 20).


119
V., in tal senso, H. Gaudemet-Tallon, cit. alla nota 61, pagg. 57 ss.