CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ANTONIO TIZZANO

presentate l'8 luglio 2004 (1)

Causa C-189/02 P

Dansk Rørindustri A/S

contro

Commissione delle Comunità europee

Causa C-202/02 P

Isoplus Fernwärmetechnik Vertriebsgesellschaft GmbH e altri

contro

Commissione delle Comunità europee

Causa C-205/02 P

Ke-Kelit Kunststoffwerk GmbH

contro

Commissione delle Comunità europee

Causa C-206/02 P

LR AF 1998 A/S

contro

Commissione delle Comunità europee

Causa C-207/02 P

Brugg Rohrsysteme GmbH

contro

Commissione delle Comunità europee

Causa C-208/02 P

LR AF 1998 (Deutschland) GmbH

contro

Commissione delle Comunità europee

Causa C-213/02 P

ABB Asea Brown Boveri Ltd

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza – Divieto di intese – Tubi per teleriscaldamento – Ammende – Orientamenti per il calcolo delle ammende – Legittimità – Parità di trattamento – Proporzionalità – Irretroattività – Legittimo affidamento»





Indice

I – Quadro normativo

1) L’articolo 81 CE e il Regolamento n. 17/62

2) Gli Orientamenti generali per il calcolo delle ammende

3) La comunicazione della Commissione sulla cooperazione delle imprese

II – Fatti e procedura

1) I fatti all’origine della controversia

2) La decisione impugnata

3) Il procedimento dinanzi al Tribunale e le sentenze impugnate

4) Il procedimento dinanzi alla Corte

III – Analisi giuridica

A – I motivi relativi al metodo di calcolo e all’entità delle ammende

1) Sull’eccezione di illegittimità degli Orientamenti

a) Sull’ammissibilità dell’eccezione

b) Sul merito dell’eccezione

c) Su alcuni aspetti specifici dell’eccezione

2) Sui motivi relativi alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento

3) Sui motivi relativi alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e di irretroattività

a) Sulla violazione del legittimo affidamento

b) Sulla violazione del principio di irretroattività

4) Sui motivi relativi alla violazione dei diritti della difesa

5) Sui motivi relativi alla violazione dell’obbligo di motivazione in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda

B – Motivi riguardanti la situazione delle singole ricorrenti

1) Sui motivi relativi all’errata applicazione dell’art. 81, n. 1, CE riguardo alla partecipazione di un’impresa ad un’intesa

2) Sui motivi relativi alla mancata presa in considerazione di circostanze attenuanti ed aggravanti

3) Sui motivi relativi alla violazione di regole procedurali

IV – Sulle spese

V – Conclusioni

1.     Le presenti cause hanno ad oggetto i ricorsi in appello presentati dalle società Dansk Rørindustri A/S, Isoplus Fernwärmetechnik Vertriebsgesellschaft mbH e a. (in prosieguo: il «gruppo Isoplus»), Ke‑Kelit Kunststoffwerk GmbH, LR AF 1998 A/S, Brugg Rohrsysteme GmbH, LR AF 1998 GmbH, ABB Asea Brown Boveri Ltd contro le sentenze del Tribunale di primo grado del 20 marzo 2002, cause T‑9/99, Isoplus/Commissione, T‑15/99, Brugg Rohrsysteme/Commissione, T‑16/99, Lögstör Rör/Commissione, T-17/99, Ke‑Kelit/Commissione, T‑21/99, Dansk Rørindustri/Commissione, T‑23/99, LR AF 1998 Commissione, e T‑31/99, ABB/Commissione (in prosieguo: le «sentenze impugnate») (2), con le quali è stata confermata, in buona sostanza, la decisione 1999/60/CE della Commissione, del 21 ottobre 1998, «relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del Trattato CE» (in prosieguo: la «decisione impugnata») (3).

I –    Quadro normativo

1) L’articolo 81 CE e il Regolamento n. 17/62

2.     Com’è noto, l’art. 81 CE vieta «tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune».

3.     La Commissione può sanzionare tali condotte infliggendo ammende alle imprese che le hanno poste in essere.

4.     L’art. 15, n. 2, del Regolamento del Consiglio n. 17/62 (in prosieguo: il «Regolamento 17») (4) stabilisce che:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni d’imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume di affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo 85, paragrafo 1, o dell’articolo 86 del Trattato;

b)      (...)

Per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tenere conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

2) Gli Orientamenti generali per il calcolo delle ammende

5.     Al fine di assicurare la trasparenza e il carattere obiettivo delle proprie decisioni in materia, la Commissione ha emanato nel 1998 gli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del Regolamento 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA (in prosieguo: gli «Orientamenti») (5).

6.     Secondo la metodologia contenuta negli Orientamenti, l’ammontare dell’ammenda viene sostanzialmente determinato attraverso una serie di passaggi successivi.

7.     In un primo momento, la Commissione fissa l’importo di base dell’ammenda «in funzione della gravità e della durata dell’infrazione» (punto 1 degli Orientamenti). Per il primo aspetto, le infrazioni sono classificate in «poco gravi, gravi e molto gravi» (6) in considerazione della natura, dell’impatto concreto sul mercato e dell’estensione del mercato geografico rilevante. Per quanto concerne la durata, esse sono divise in infrazioni di breve periodo (inferiore ad un anno), infrazioni di medio periodo (1-5 anni) ed infrazioni di lungo periodo (superiore a 5 anni).

8.     Una volta determinato l’importo di base dell’ammenda, la Commissione passa a valutare se esso debba essere aumentato a causa della presenza di circostanze aggravanti (7) ovvero ridotto a causa della presenza di circostanze attenuanti (8).

9.     Il punto 5, lett. a), degli Orientamenti stabilisce che:

«Ovviamente l’ammenda calcolata secondo lo schema di cui sopra (importo di base + o – le percentuali di maggiorazione e riduzione) non può in alcun caso superare il 10% del volume d’affari mondiale delle imprese, come previsto dall’articolo 15, paragrafo 2 del Regolamento n. 17».

10.   Nel rispetto del limite del 10%, l’importo così calcolato può poi subire un ulteriore adeguamento, ai sensi del punto 5, lett. b), degli Orientamenti, sulla base della valutazione da parte della Commissione di «taluni elementi obiettivi quali il contesto economico specifico, il vantaggio economico o finanziario realizzato dagli autori dell’infrazione (…), le caratteristiche delle imprese in questione nonché la loro capacità contributiva reale in un contesto sociale particolare».

3) La comunicazione della Commissione sulla cooperazione delle imprese

11.   Al fine di favorire la cooperazione delle imprese con i propri servizi, nel 1996 la Commissione ha emanato poi la Comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese (in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione») (9).

12.   Scopo della comunicazione è la definizione «[del]le condizioni alle quali le imprese che cooperano con la Commissione nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro ammontare» (punto 3).

13.   In detta comunicazione, la Commissione precisa che l’impresa che intenda beneficiare del trattamento favorevole previsto dalla comunicazione deve «mettersi in contatto con la direzione generale della Concorrenza della Commissione» per il tramite di una persona delegata a tale scopo dall’impresa stessa.

14.   Il comportamento collaborativo dell’impresa è poi valutato dalla Commissione al momento della determinazione delle ammende da infliggerle.

15.   In pratica, la collaborazione prestata dall’impresa può dar luogo, a seconda del momento in cui essa è intervenuta e della sua particolare utilità per i servizi della Commissione, a) alla non imposizione o notevole riduzione dell’importo dell’ammenda (10); b) ad un’importante riduzione di tale ammontare (11), ovvero c) ad una significativa riduzione dell’ammontare dell’ammenda (12).

16.   La Commissione precisa comunque che «la cooperazione di un’impresa è soltanto uno dei vari elementi di cui la Commissione tiene conto nel determinare l’ammontare di un’ammenda» e che l’applicazione delle disposizioni della comunicazione sulla cooperazione «non pregiudica la possibilità (…) di accordare una riduzione dell’ammenda per altri motivi».

II – Fatti e procedura

1) I fatti all’origine della controversia

17.   Nelle sentenze impugnate (13) il quadro fattuale all’origine della controversia è descritto come segue:

«1.      [Le ricorrenti sono società che operano nel settore del teleriscaldamento].

2.       Nei sistemi di teleriscaldamento, l’acqua riscaldata in una centrale viene distribuita, tramite una rete di tubi sotterranei, nei locali da riscaldare. Poiché la temperatura dell’acqua (o del vapore) trasportata è molto elevata, i tubi devono essere preisolati per garantire una distribuzione sicura ed efficiente. I tubi utilizzati sono preisolati e, a tal fine, sono composti generalmente d[i] un condotto d’acciaio rivestito da un tubo di plastica, con uno strato di schiuma isolante tra i due.

3.       I tubi per teleriscaldamento sono oggetto di consistenti scambi tra gli Stati membri. I maggiori mercati nazionali dell’Unione europea sono la Germania, con il 40% del consumo totale della Comunità, e la Danimarca, con il 20%. Con il 50% della capacità produttiva dell’Unione europea, la Danimarca è il principale centro di produzione dell’Unione [e] rifornisce tutti gli Stati membri in cui è utilizzato il teleriscaldamento.

4.      Con una denuncia in data 18 gennaio 1995, l’impresa svedese Powerpipe AB ha segnalato alla Commissione che gli altri produttori e fornitori di tubi per teleriscaldamento si erano ripartiti il mercato europeo nell’ambito di un’intesa e avevano concordato iniziative intese a danneggiare la sua attività ovvero a limitarla al mercato svedese, o financo, puramente e semplicemente, ad escluderla dal settore».

2) La decisione impugnata

18.   A seguito della denuncia di Powerpipe AB, la Commissione ha avviato un’indagine amministrativa per verificare eventuali violazioni dell’art. 85, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 81, n. 1, CE). Al termine dell’indagine, la Commissione ha adottato la decisione impugnata, con la quale:

–      ha accertato a carico di Dansk Rørindustri A/S, Henss/Isoplus Group, Pan‑Isovit GmbH, Ke-Kelit Kunststoffwerk GmbH, LR AF 1998 A/S, Brugg Rohrsysteme GmbH, LR AF 1998 GmbH, ABB Asea Brown Boveri Ltd, Sigma Tecnologie di rivestimento Srl e Tarco Energi A/S una violazione dell’art. 85, n. 1, del Trattato, consistente nell’aver partecipato «ad un complesso di accordi e di pratiche concordate, nel settore dei tubi preisolati, iniziati verso novembre/dicembre 1990 fra i quattro produttori danesi, che sono stati successivamente estesi ad altri mercati nazionali e ai quali hanno aderito Pan‑Isovit e Henss/Isoplus fino a costituire, alla fine del 1994, un’intesa generale per l’intero mercato comune» (art. 1);

–      ha imposto alle predette imprese di porre fine alle infrazioni contestate e di astenersi, «nelle loro attività relative ai tubi preisolati, da qualsiasi accordo o pratica concordata che possa avere lo stesso oggetto od effetto dell’infrazione od uno simile, compreso qualsiasi scambio di informazioni commerciali che possa consentire loro di controllare il rispetto di un eventuale accordo tacito o esplicito di ripartizione del mercato, la fissazione dei prezzi o la manipolazione delle offerte nella Comunità» (art. 2);

–      e ha inflitto a:

a) ABB Asea Brown Boveri Ltd un’ammenda di EUR 70 000 000;

b) Brugg Rohrsysteme GmbH un’ammenda di EUR 925 000;

c) Dansk Rørindustri A/S un’ammenda di EUR 1 475 000;

d) Henss/Isoplus Group un’ammenda di EUR 4 950 000 per la quale sono state ritenute solidalmente responsabili le imprese:

–      HFB Holding für Fernwärmetechnik Beteiligungsgesellschaft mbH & CO. KG;

–      HFB Holding für Fernwärmetechnik Beteiligungsgesellschaft mbH Verwaltungsgesellschaft;

–      Isoplus Fernwärmetechnik Vertriebsgesellschaft mbH;

–      Isoplus Fernwärmetechnik GmbH, Sondershausen;

–      Isoplus Fernwärmetechnik Gesellschaft mbH-Stille Gesellschaft;

–      Isoplus Fernwärmetechnik Ges. mbH, Hohenberg;

e) Ke-Kelit Kunststoffwerk Ges.mbH un’ammenda di EUR 360 000;

f) Oy KWH Tech AB un’ammenda di EUR 700 000,

g) Løgstør Rør A/S un’ammenda di EUR 8 900 000;

h) Pan-Isovit GmbH un’ammenda di EUR 1 500 000;

i) Sigma Tecnologie di rivestimento Srl, un’ammenda di EUR 400 000;

j) Tarco Energi A/S un’ammenda di EUR 3 000 000.

19.   Nella motivazione della decisione la Commissione ha accertato l’esistenza, a partire dalla fine del 1990, di una serie di accordi e pratiche concordate contrari all’art. 81 CE posti in essere dalle ricorrenti, inizialmente limitati al solo mercato danese (in prosieguo: il «cartello danese») e poi estesi a tutto il mercato europeo (in prosieguo il «cartello europeo») dei tubi per il teleriscaldamento e volti, in buona sostanza, a) a ripartire il mercato europeo tra i vari produttori attraverso un sistema di quote; b) ad eliminare l’unico concorrente diretto (Powerpipe AB) non facente parte dell’intesa; c) a fissare i prezzi dei prodotti; d) ad attribuire i progetti a produttori designati in precedenza, e) a manipolare le gare di appalto (punti 28‑127 della decisione).

20.   La Commissione ha inoltre sottolineato che i cartelli danese ed europeo costituivano l’espressione di un’unica intesa che, pur avendo avuto origine in Danimarca, aveva fin dall’inizio avuto l’obiettivo, più a lungo termine, di estendere il controllo delle partecipanti all’intero mercato europeo. Tale comportamento anticompetitivo aveva pregiudicato considerevolmente il commercio tra gli Stati membri.

21.   Per quanto riguarda l’aspetto più rilevante di cui siamo chiamati a discutere nelle presenti cause, ossia il calcolo delle ammende inflitte alle società, la Commissione ha ritenuto che i comportamenti tenuti dalle imprese sopra menzionate sul mercato europeo dei tubi per il teleriscaldamento integrassero gli estremi di un’infrazione molto grave dell’art. 81, n. 1, CE e giustificassero l’imposizione di un’ammenda avente un importo forfettario di base pari a EUR 20 milioni (punto 165 della decisione impugnata) per ciascuna impresa.

22.   Una volta stabilito l’importo base dell’ammenda in ragione della sola gravità dell’infrazione contestata, la Commissione è passata a valutare il peso specifico e quindi l’impatto reale sulla concorrenza dei comportamenti illeciti di ciascuna impresa, in modo a) da adeguare l’importo dell’ammenda a seconda dell’effettiva capacità degli autori dell’infrazione di arrecare un rilevante pregiudizio alla concorrenza e b) da garantire alla sanzione un effetto sufficientemente dissuasivo.

23.   Così, la Commissione ha suddiviso le imprese in quattro categorie in base alla loro dimensione rispettiva nel mercato comunitario rilevante. A ciascuna categoria la Commissione ha fatto corrispondere importi di base differenti, così suddivisi: al primo gruppo, composto da ABB, è stato imposto un importo forfettario di base pari a EUR 20 milioni; al secondo gruppo, composto da Lögstör, un importo di EUR 10 milioni; al terzo gruppo, composto da Tarco, Starpipe, Henss/Isoplus e Pan-Isovit, un importo di EUR 5 milioni; al quarto gruppo, composto da Brugg, KWH, Ke-Kelit e Sigma, un importo di EUR 1 milione.

24.   In seguito, per ciascuna delle imprese considerate, la Commissione ha fissato l’ammontare dell’ammenda, tenendo conto a) della durata della partecipazione alle intese, e b) dell’eventuale presenza di circostanze attenuanti o aggravanti. Per il caso in cui l’importo dell’ammenda così calcolata fosse risultato superiore al 10% del fatturato mondiale dell’impresa considerata, la Commissione ha ridotto l’ammontare dell’ammenda stessa in modo da non superare quella soglia (punto 167 della decisione impugnata).

25.   Infine, la Commissione ha applicato, se del caso, le riduzioni previste dalla comunicazione sulla cooperazione (punto 166 della decisione impugnata).

3) Il procedimento dinanzi al Tribunale e le sentenze impugnate

26.   Con ricorsi depositati nella cancelleria del Tribunale fra il 18 ed il 25 gennaio 1999, le società Brugg Rohrsysteme, Lögstör Rör, Ke‑Kelit Kunststoffwerk, Dansk Rørindustri, LR AF 1998, Sigma Tecnologie di Rivestimento, ABB Asea Brown Boveri, HFB Holding KG, HFB Holding GmbH, Isoplus Rosenheim, Isoplus Hohenberg e Isoplus GmbH hanno chiesto l’annullamento della decisione impugnata, ovvero, in subordine, la riduzione dell’importo delle ammende inflitte dalla Commissione.

27.   Ciascuna di esse ha sollevato obiezioni relative alla propria specifica situazione. Tutte però hanno a vario titolo preliminarmente mosso, con riferimento al procedimento di fissazione delle ammende, una serie di censure relative: a) all’illegittimità degli Orientamenti; b) alla violazione dei principi di proporzionalità e parità di trattamento; c) alla violazione dei principi di irretroattività e legittimo affidamento; d) alla violazione dei diritti di difesa delle ricorrenti ed e) alla motivazione della decisione impugnata.

28.   Riassumo qui invece la risposta del Tribunale a tali censure, non senza aver prima segnalato che, secondo il Tribunale, è pacifico nella specie che la Commissione aveva determinato l’ammenda inflitta alle imprese conformemente al metodo generale per il calcolo dell’ammontare delle ammende enunciato negli Orientamenti.

29.   a) Ciò posto, ricordo che il Tribunale ha innanzi tutto esaminato l’eccezione d’illegittimità degli Orientamenti sollevata, ai sensi dell’art. 241 CE, da alcune delle imprese ricorrenti.

30.   Ad avviso di queste ultime, in tali Orientamenti la Commissione avrebbe determinato importi di base per il calcolo delle ammende talmente elevati da privarsi del potere discrezionale, ad essa attribuito dall’art. 15 del Regolamento 17, di modulare tali ammende tenendo conto di tutti i fattori rilevanti, comprese eventuali circostanze attenuanti.

31.   Al riguardo, pur riconoscendo che la Commissione aveva adottato una metodologia di calcolo delle ammende non interamente fondata sul fatturato delle imprese interessate, il Tribunale ha tuttavia escluso che essa si fosse discostata dall’interpretazione del predetto art. 15. Ciò perché, a suo avviso, «la Commissione non è tenuta – in sede di determinazione dell’ammontare dell’ammenda in funzione della gravità e della durata dell’infrazione in questione – ad effettuare il calcolo dell’ammenda a partire dagli importi basati sul fatturato delle imprese interessate né ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli ammontari finali delle ammende a cui è giunto il suo calcolo per le imprese interessate rendano conto di ogni differenza tra le stesse imprese in ordine al loro fatturato complessivo o al loro fatturato sul mercato del prodotto di cui trattasi. A tale riguardo, occorre ricordare la giurisprudenza consolidata secondo cui la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, senza che sia stato fissato un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (…). Infatti, dalla giurisprudenza risulta che la Commissione può legittimamente determinare un’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione e senza tenere conto dei diversi fatturati delle imprese interessate» (14).

32.   In secondo luogo, il Tribunale ha rilevato che «contrariamente a quanto [sostengono] l[e] ricorrenti[i], gli Orientamenti non privano la Commissione del potere discrezionale conferitole dal regolamento n. 17 (…). Al riguardo, occorre osservare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, nel disporre che la Commissione può infliggere ammende per un importo che può essere aumentato fino al 10% del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, richiede, infatti, che l’ammenda definitivamente inflitta ad una impresa venga ridotta nel caso in cui il suo importo superi il 10% del suo volume d’affari, indipendentemente dalle operazioni di calcolo intermedie dirette a tenere conto della gravità e della durata dell’infrazione. Di conseguenza, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non vieta alla Commissione di fare riferimento, nel suo calcolo, ad un importo intermedio che supera il 10% del volume di affari dell’impresa interessata, sempre che l’importo dell’ammenda finale inflitta all’impresa stessa non superi tale limite massimo. Gli Orientamenti, d’altronde, vanno nella medesima direzione, disponendo che “l’ammenda calcolata secondo lo schema di cui sopra (importo di base più o meno le percentuali di maggiorazione e riduzione) non può in alcun caso superare il 10% del volume di affari mondiale delle imprese, come previsto dall’art. 15, paragrafo 2, del Regolamento n. 17”. Nel caso in cui la Commissione si riferisca, nel suo calcolo, ad un importo intermedio che supera il 10% del volume di affari dell’impresa interessata, non può esserle contestato il fatto che taluni fattori considerati durante lo stesso calcolo non si ripercuotano sull’ammontare finale dell’ammenda, dato che questa è la conseguenza del divieto, previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, di non superare il 10% del volume d’affari dell’impresa interessata» (15).

33.   b) Il Tribunale ha altresì escluso che nel determinare le ammende la Commissione avesse violato i principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

34.   In proposito esso ha osservato che «[nel determinare gli importi di base di ciascuna categoria] la Commissione ha spiegato, a seguito di un quesito del Tribunale, che tali importi riflettono l’importanza di ciascuna impresa nel settore dei tubi preisolati tenuto conto della loro dimensione e del loro peso specifico rispetto all’ABB e all’interno dell’intesa. A tal fine la Commissione ha tenuto conto non soltanto dei loro fatturati sul mercato rilevante, ma anche dell’importanza relativa che i membri dell’intesa attribuivano a ciascuno di loro (...). In tale contesto, occorre ritenere che, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti presi in considerazione per la fissazione degli importi di base specifici, la differenza tra l’importo di base utilizzato per [le ricorrenti], da una parte, e l’importo di base utilizzato per la ABB, dall’altra è obiettivamente giustificata. Poiché la Commissione non è tenuta a garantire che gli ammontari finali delle ammende a cui giunge il suo calcolo per le imprese interessate rendano conto di ogni differenza tra le stesse in ordine al loro fatturato, [le ricorrenti] non [possono] contestare alla Commissione di aver [loro] imposto un importo di base che ha determinato un’ammenda finale superiore, in percentuale del proprio fatturato complessivo, all’ammenda imposta all’ABB» (16).

35.   c) Il Tribunale ha poi respinto anche la censura relativa alla violazione del principio di irretroattività sollevata dalle parti in relazione al fatto che gli Orientamenti erano stati applicati a comportamenti posti in essere dalle imprese prima dell’entrata in vigore degli stessi Orientamenti.

36.   Esso ha riconosciuto che quel principio, da un lato, fa parte integrante dei principi generali di cui i giudici comunitari devono garantire l’osservanza e, dall’altro, impone che «le sanzioni inflitte ad una impresa per un’infrazione alle regole di concorrenza corrispondano a quelle che erano stabilite al momento in cui l’infrazione è stata commessa» (17).

37.   Il Tribunale ha tuttavia ritenuto che l’applicazione degli Orientamenti per il calcolo delle ammende non configurasse una violazione del principio di irretroattività dal momento che detti Orientamenti non trascendono il contesto giuridico delle sanzioni così come definito dall’art. 15 del Regolamento 17.

38.   Secondo questo articolo, nel determinare l’ammontare dell’ammenda conseguente ad una infrazione delle regole di concorrenza, la Commissione deve tenere conto della gravità della violazione commessa nonché della sua durata. L’importo così determinato non può, in ogni caso, superare il 10% del volume d’affari realizzato da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione nell’esercizio sociale precedente.

39.   Ora, anche gli Orientamenti in questione impongono alla Commissione di determinare l’importo di base della sanzione in funzione della gravità e della durata dell’infrazione. Inoltre, essi prescrivono che l’importo così calcolato non deve in nessun caso superare il 10% del volume d’affari mondiale delle imprese. Ne consegue, ad avviso del Tribunale, che «secondo la metodologia enunciata negli Orientamenti, il calcolo delle ammende viene effettuato in funzione dei due criteri di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, vale a dire la gravità dell’infrazione e la sua durata, nel rispetto del limite massimo in relazione al volume d’affari di ciascuna impresa stabilito con la medesima disposizione» (18).

40.   Quanto poi alla pretesa violazione del principio del legittimo affidamento, il Tribunale ha dichiarato che, «[q]uanto alla determinazione delle ammende per violazione delle regole di concorrenza, si deve rilevare che la Commissione esercita le proprie prerogative nei limiti del margine di discrezionalità concessole dal Regolamento n. 17. Ora, secondo una giurisprudenza consolidata, gli operatori economici non possono fare affidamento sulla conservazione di una situazione in atto che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie. Al contrario, la Commissione può elevare il livello generale delle ammende, nei limiti indicati dal Regolamento n. 17, se ciò è necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza. Ne consegue che le imprese coinvolte in un procedimento amministrativo che può concludersi con un’ammenda non possono maturare un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non innalzerà il livello delle ammende praticato precedentemente» (19).

41.   d) Con riferimento poi alla pretesa violazione dei diritti della difesa delle imprese ricorrenti, il Tribunale ha rilevato che «[nella comunicazione degli addebiti] la Commissione ha esposto (…) le ragioni per le quali riteneva che l’infrazione di cui trattasi costituisse un’infrazione molto grave nonché gli elementi costituenti circostanze aggravanti, vale a dire, la manipolazione delle procedure di appalto, l’attuazione aggressiva dell’intesa per garantire l’obbedienza da parte di tutti i partecipanti agli accordi e per estromettere l’unico concorrente importante che non vi prendeva parte e la prosecuzione dell’infrazione dopo gli accertamenti. Nello stesso punto, la Commissione ha precisato che, nella determinazione dell’ammenda da infliggere a ciascuna singola impresa, essa avrebbe tenuto conto, in particolare, del ruolo giocato da ciascuna [impresa] nelle pratiche anticoncorrenziali, di tutte le sostanziali differenze in ordine alla durata della loro partecipazione, della loro importanza nell’industria del teleriscaldamento, del loro fatturato nel settore del teleriscaldamento, del loro fatturato complessivo, all’occorrenza, per tenere conto della dimensione e del potere economico dell’impresa in causa e per garantire un effetto sufficientemente dissuasivo e, infine, di tutte le circostanze attenuanti (…). In tal modo, la Commissione ha precisato (…) gli elementi di fatto e di diritto su cui si sarebbe basata per il calcolo dell’ammenda da infliggere all[e] ricorrent[i] in modo da rispettare debitamente, a tale riguardo, il diritto di quest[e] ultim[e] di essere sentit[e]. Occorre rilevare che la Commissione non era tenuta – dato che aveva indicato gli elementi di fatto e di diritto su cui avrebbe basato il calcolo delle ammende – a precisare il modo in cui si sarebbe avvalsa di ciascun elemento per la determinazione dell’entità dell’ammenda. Infatti, dare indicazioni circa l’entità delle ammende previste prima che le imprese siano (...) poste in grado di esporre le loro difese circa gli addebiti contestati contro di loro equivarrebbe ad anticipare in modo inopportuno la decisione della Commissione. Pertanto la Commissione non era neppura tenuta, nel corso del procedimento amministrativo, a comunicare alle imprese interessate la propria intenzione di applicare una nuova metodologia per il calcolo delle ammende» (20).

42.   e) Da ultimo, il Tribunale ha respinto la censura sollevata da alcune delle imprese ricorrenti secondo cui nella decisione impugnata la Commissione non avrebbe adeguatamente motivato la metodologia seguita nella determinazione degli importi delle ammende.

43.   Secondo buona parte delle ricorrenti, infatti, la Commissione non avrebbe fornito spiegazioni sul fatto gli [importi di base] fissati per le ammende sulla base espressi in importi assoluti, indipendenti dal fatturato delle imprese e superiori al livello massimo legalmente consentito.

44.   Respingendo questa eccezione, il Tribunale ha rilevato che la decisione impugnata conteneva «un’indicazione sufficiente e pertinente degli elementi di valutazione presi in considerazione per determinare la gravità e la durata dell’infrazione commessa dall[e] ricorrent[i]» (21) e che pertanto non si poteva «contestare alla Commissione di non aver motivato in maniera più precisa l’entità degli importi di base e dell’ammontare finale dell’ammenda inflitta all[e] ricorrenti[i]» (22).

45.   A conclusione di tale analisi e dopo aver esaminato la situazione specifica delle singole ricorrenti, nelle sentenze appellate il Tribunale a) ha sostanzialmente confermato la valutazione dell’infrazione effettuata dalla impugnata decisione della Commissione; b) ha annullato quest’ultima per la parte concernente HFB Holding KG e HFB Holding GmbH (23); c) ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta a Sigma Tecnologie di rivestimento (24) e ad ABB Asea Brown Boveri (25), d) ha confermato per il resto la decisione impugnata.

4) Il procedimento dinanzi alla Corte

46.   Con ricorsi depositati fra il 21 maggio e il 7 giugno 2002, le società Dansk Rørindustri A/S, Isoplus Fernwärmetechnick Vertriebsgesellschaft mbH, Ke-Kelit Kunststoffwerk GmbH, LR AF 1998 A/S, Brugg Rohrsysteme GmbH, LR AF 1998 GmbH e ABB Asea Brown Boveri Ltd (in prosieguo indicate cumulativamente come: le «ricorrenti») hanno sostanzialmente chiesto alla Corte di giustizia di annullare le sentenze del Tribunale di primo grado e di porre fine al procedimento, oppure, in subordine, di annullare le sentenze e di rinviare le cause dinanzi al Tribunale ovvero, in ulteriore subordine, di ridurre le ammende che erano state loro irrogate, nonché di condannare la Commissione alle spese sostenute dinanzi al Tribunale e alla Corte.

47.   La Commissione chiede che la Corte voglia respingere i ricorsi e condannare le ricorrenti alle spese dei presenti procedimenti.

III – Analisi giuridica

48.   Inizierò l’analisi dei ricorsi con l’esame dei motivi di carattere generale, sollevati da tutte o parte delle ricorrenti, relativamente al metodo di calcolo delle ammende seguito dalla Commissione (A) per poi passare ai motivi specifici riguardanti particolari situazioni delle singole ricorrenti (B).

A –    I motivi relativi al metodo di calcolo e all’entità delle ammende

49.   Esaminerò tali motivi nello stesso ordine seguito in precedenza.

1) Sull’eccezione di illegittimità degli Orientamenti

50.   Tutte le ricorrenti hanno sollevato, a vario titolo, motivi che criticano le conclusioni del Tribunale secondo cui il metodo di calcolo delle ammende seguito dalla Commissione non avrebbe violato né i principi di proporzionalità e/o di parità di trattamento, né l’art. 15, n. 2, del Regolamento 17.

51.   In particolare, secondo alcune di loro, il Tribunale avrebbe errato nel considerare che la Commissione, con l’adozione degli Orientamenti, non si sarebbe discostata dal quadro giuridico definito dall’art. 15 del Regolamento 17, così come interpretato da una giurisprudenza consolidata della Corte, e che, così facendo, essa non avrebbe oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale.

52.   A loro avviso, invece, gli Orientamenti avrebbero sostanzialmente modificato il diritto vigente senza che la Commissione fosse stata abilitata dal Consiglio ad adottare nuove regole.

53.   Ne consegue che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel respingere l’eccezione di illegittimità sollevata nei confronti degli Orientamenti in quanto atto sul quale si è fondato il calcolo delle ammende nei casi in esame.

a) Sull’ammissibilità dell’eccezione

54.   Prima di entrare nel merito di tali censure, c’è da chiedersi se un atto formalmente privo di forza vincolante, come appunto gli Orientamenti, possa essere oggetto di un’eccezione d’illegittimità ai sensi dell’art. 241 CE.

55.   Come è noto, questa disposizione contempla la possibilità di fare valere, in via incidentale, l’illegittimità di un atto unicamente nel caso «di una controversia che metta in causa un regolamento adottato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio o un regolamento del Consiglio, della Commissione o della BCE».

56.   A partire però dalla sentenza Simmenthal (26), la Corte ha ampliato l’ambito di applicazione dell’eccezione a tutti «gli atti delle istituzioni che, pur non avendo la forma di regolamento, producono tuttavia effetti analoghi», vale a dire atti di carattere generale, che proprio per questo motivo, non possono essere direttamente impugnati dai singoli in base all’art. 230 CE.

57.   Essa ha, tuttavia, precisato che deve esistere un collegamento stretto tra l’atto impugnato e quello di cui si fa valere incidentalmente l’illegittimità. Quest’ultimo deve «essere (...) applicabile, direttamente o indirettamente, alla fattispecie controversa» (27) e deve sussistere «un nesso giuridico diretto» tra la decisione individuale impugnata e l’atto generale (28).

58.   Ora, a mio parere, gli Orientamenti soddisfano tali requisiti.

59.   E’ infatti innegabile che gli Orientamenti hanno portata generale, visto che si applicano a situazioni oggettivamente determinate e comportano effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo generale e astratto (29). D’altra parte, benché formalmente privi di forza vincolante, essi stabiliscono principi e regole che la Commissione si è impegnata a seguire ai fini del calcolo delle ammende in applicazione dell’art. 15, n. 2, del Regolamento 17. Orbene, la giurisprudenza della Corte ha avuto modo di chiarire che in questi casi la Commissione non può discostarsi a proprio piacimento dalle regole che essa stessa si è imposta (30). Norme di questo tipo, miranti a precisare i criteri che un’istituzione intende applicare nell’esercizio del proprio potere discrezionale, possono quindi produrre effetti giuridici.

60.   Né potrebbe opporsi che gli Orientamenti avrebbero un valore meramente interno e, pertanto, non avrebbero vocazione a produrre effetti giuridici verso l’esterno.

61.   Risulta infatti dagli stessi Orientamenti che la Commissione ha l’obbligo di seguire determinati passaggi nel procedimento di calcolo delle ammende e, in particolare, di riconoscere alle imprese determinate circostanze attenuanti e aggravanti; a tale obbligo non può non corrispondere il diritto delle imprese interessate a che la Commissione si comporti effettivamente e concretamente in modo conforme agli Orientamenti.

62.   Tale conclusione si iscrive pienamente nella linea della giurisprudenza comunitaria, la quale ha riconosciuto che solo gli atti aventi valore meramente interno ad un’istituzione sono inidonei a produrre effetti giuridici esterni. Tale non è però il caso di atti della Commissione, quali i «codici di condotta» (31) o le «istruzioni interne» (32), nei quali per l’appunto ad obbligazioni dei servizi e degli agenti della Commissione corrispondono diritti degli Stati membri ovvero degli operatori economici.

63.   Ciò posto, va ancora notato che è del tutto pacifico, come giustamente rilevato dal Tribunale, che la Commissione ha determinato l’importo delle ammende seguendo fedelmente il metodo di calcolo stabilito negli Orientamenti. Ne risulta che, benché questi non costituiscano formalmente la base giuridica delle decisioni impugnate (lo sono invece gli artt. 3 e 15 del Regolamento 17), sussiste un nesso diretto tra queste ultime e l’atto generale oggetto della contestazione incidentale.

64.   Ritengo pertanto che l’eccezione di illegittimità sia ricevibile.

b) Sul merito dell’eccezione

65.   Venendo ora al merito di tale eccezione, ricordo ancora una volta che, secondo alcune ricorrenti, la nuova metodologia di calcolo istituita dagli Orientamenti, in quanto si basa su importi forfettari determinati senza tener conto del fatturato delle imprese interessate e permette, d’altro canto, alla Commissione di superare il limite del 10% durante la operazioni di calcolo dell’ammenda, non consentirebbe una corretta “personalizzazione” della sanzione in funzione di tutti i fattori e circostanze rilevanti. In particolare, essa non permetterebbe più alla Commissione di tener adeguatamente conto della dimensione delle imprese e del ruolo svolto da ciascuna di esse nell’ambito di un’intesa.

66.   A questo proposito devo anzitutto osservare che né l’art. 15 del Regolamento 17 né la giurisprudenza della Corte impongono alla Commissione di applicare una specifica metodologia di calcolo nel procedimento di fissazione dell’importo delle ammende. Come ho prima chiarito, l’art. 15 del Regolamento 17 stabilisce solo un limite massimo per la commisurazione dell’importo dell’ammenda, oltre ad alcuni criteri di valutazione dell’infrazione.

67.   Si tratta quindi di stabilire se gli Orientamenti rimangono all’interno di tali confini nel loro intento di inquadrare l’ampio potere sanzionatorio di cui gode la Commissione in materia.

68.   A tale riguardo, convengo con il Tribunale sul fatto che, anche dopo l’adozione degli Orientamenti, il calcolo delle ammende continua ad essere espressamente svolto in funzione degli unici due criteri enunciati dall’art. 15 del Regolamento 17, vale a dire la gravità e la durata dell’infrazione, e continua ad essere sottoposto, per quanto riguarda l’ammontare finale, al limite massimo del 10% del volume d’affari globale stabilito dalla medesima norma [punto 5, lett. a)].

69.   Per il primo aspetto, convengo ancora con il Tribunale che, secondo una giurisprudenza costante, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità particolarmente ampio per quanto riguarda la scelta degli elementi da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione dei predetti criteri. Come ha osservato la stessa Corte, «la gravità delle infrazioni va accertata sulla scorta di un gran numero di elementi come, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione» (33). Tra questi numerosi elementi di valutazione dell’infrazione possono figurare il volume ed il valore dei prodotti rispetto ai quali l’infrazione è stata commessa, la dimensione e il potere economico delle imprese autrici dell’infrazione e l’influenza che sono in grado di esercitare sul mercato, la condotta di ciascuna delle imprese, il ruolo svolto da ciascuna di esse nella realizzazione dell’infrazione, il profitto che esse hanno tratto da tali pratiche anticoncorrenziali, il contesto economico e giuridico in cui si colloca l’infrazione ecc. (34)

70.   In particolare, per quanto riguarda la presa in considerazione del fatturato dell’impresa, la Corte, nell’importante sentenza Musique Diffusion française, ampiamente citata sia dalle ricorrenti sia dalla Commissione, ha precisato che «è possibile, per commisurare l’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa (...) quanto della parte di tale fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell’infrazione», senza che «si [debba] attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto ad altri criteri di valutazione» (35).

71.   Il volume d’affari, pur costituendo un’utile e rilevante indicazione della potenza economica dell’impresa (fatturato complessivo) nonché dell’impatto sulla concorrenza dei comportamenti da essa messi in atto (fatturato nel mercato rilevante), rappresenta quindi “solo” uno dei tanti criteri di valutazione di cui dispone la Commissione.

72.   Ad ogni modo, come giustamente rilevato dal Tribunale e dalla Commissione, gli Orientamenti non ostano alla presa in considerazione, in diversi momenti del procedimento di calcolo dell’ammenda, anche del fatturato complessivo e/o del fatturato realizzato sul mercato rilevante. In particolare, gli Orientamenti dispongono che, in caso di infrazioni che coinvolgono più imprese, «potrà essere opportuno, in certi casi, ponderare gli importi (…) in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione» (punto 1, parte A, sesto paragrafo).

73.   In altre parole, benché gli Orientamenti non prevedano una sistematica presa in considerazione del fatturato delle imprese interessate nel calcolo dell’importo di base o in un momento successivo del procedimento di commisurazione dell’ammenda (36), tale elemento non è affatto escluso a priori dal calcolo. Ciò è del resto dimostrato proprio dalla decisione della Commissione nelle cause oggetto dei presenti ricorsi, che ha suddiviso le ricorrenti in quattro gruppi in funzione delle loro dimensioni ed ha, di conseguenza, sostanzialmente differenziato gli importi di base.

74.   Non si può dire dunque, come sostenuto dalle ricorrenti, che il calcolo delle ammende secondo la metodologia contenuta negli Orientamenti si riduce ad una mera operazione aritmetica predeterminata. Oltre a quanto appena detto riguardo al fatturato e, in particolare, alla possibilità di ponderare l’entità delle ammende in funzione della dimensione delle impresse interessate, occorre rilevare che gli Orientamenti, nel contemplare una serie di circostanze aggravanti e attenuanti, nonché l’eventuale presa in considerazione di «taluni elementi obiettivi quali il contesto economico specifico, il vantaggio economico o finanziario realizzato dagli autori dell’infrazione (…) le caratteristiche delle imprese in questione (...)» [punto 5, lett. b)], prevedono espressamente che l’importo dell’ammenda sia fissato, come richiesto da una costante giurisprudenza, tenendo conto sia delle circostanze particolari della fattispecie sia del contesto in cui si colloca l’infrazione (37).

75.   Gli Orientamenti contengono quindi vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto dell’art. 15 del Regolamento 17, come interpretato dalla giurisprudenza.

76.   Per quanto riguarda poi il superamento del limite del 10% durante le operazioni di calcolo intermedie e le conseguenze asseritamente illegali che ne conseguirebbero, non mi pare che tale possibilità derivi espressamente o implicitamente dal testo degli Orientamenti. Questi si limitano infatti a richiamare il limite massimo fissato dal Regolamento 17 precisando, al punto 5 lett. a), che «[o]vviamente l’ammenda calcolata, secondo lo schema di cui sopra (importo di base + o – le percentuali di maggiorazione e riduzione) non può in alcun caso superare il 10% del volume d’affari mondiale delle imprese» (38). In altre parole, gli Orientamenti, in merito alla questione del superamento di tale valore massimo, nulla aggiungono e nulla tolgono a quanto già previsto dal Regolamento 17.

77.   Da questo punto di vista, dunque, non vedo alcun motivo per discostarmi dalle valutazioni del Tribunale in ordine alla legittimità degli Orientamenti, anche se il discorso non può considerarsi ancora concluso, come vedremo tra breve esaminando le censure relative alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

c) Su alcuni aspetti specifici dell’eccezione

78.   Prima però conviene menzionare altre due censure relative a disposizioni specifiche degli Orientamenti, sollevate dal gruppo Isoplus.

79.   i) In primo luogo, le ricorrenti fanno valere che gli Orientamenti, prevedendo la possibilità di «maggiorare la sanzione per superare l’importo degli utili illeciti realizzati grazie all’infrazione» (punto 2, quinto trattino), introducono nuove circostanze aggravanti in violazione dell’art. 15 del Regolamento 17. Al tempo stesso, tale previsione rischierebbe di far prendere due volte in considerazione la medesima circostanza in quanto, secondo lo schema definito dagli Orientamenti, gli utili ricavati dalla violazione del diritto della concorrenza sarebbero già presi in considerazione al momento della determinazione della gravità dell’infrazione.

80.   A me pare però che l’analisi svolta al riguardo dal Tribunale sia pienamente condivisibile (39). In effetti, come discende dalla giurisprudenza da esso citata, i vantaggi che le imprese traggono da violazioni del diritto della concorrenza fanno parte dei fattori di cui la Commissione può tener conto non solo per valutare la gravità dell’infrazione, ma anche per assicurare che la sanzione abbia carattere sufficientemente dissuasivo, in particolare quando si riferisce, come nel caso di specie, a comportamenti particolarmente lesivi del funzionamento del mercato unico. Evitare che gli autori di un’infrazione traggano un vantaggio dalla stessa mi sembra del resto uno dei principali obiettivi di qualsiasi sistema sanzionatario.

81.   Mi pare quindi che né il testo del Regolamento 17 né la giurisprudenza comunitaria si oppongano a che la Commissione, esercitando l’ampio potere discrezionale che le è stato riconosciuto anche dalla Corte, possa considerare opportuno maggiorare l’ammontare dell’importo di base per meglio tenere conto del profitto tratto da pratiche anticoncorrenziali (e quindi qualora l’importo di base del calcolo non rispecchi sufficientemente siffatto profitto) a condizione che, come giustamente precisato dagli Orientamenti, «la stima di tali utili sia obiettivamente possibile» (40).

82.   ii) In secondo luogo, le medesime ricorrenti fanno valere che gli Orientamenti sarebbero illegittimi in quanto al punto 2, secondo trattino, obbligherebbero un’impresa a collaborare forzatamente con la Commissione, anche testimoniando contro se stessa, pena un aggravamento dell’ammenda.

83.   Ciò costituirebbe, a loro avviso, una violazione dei diritti della difesa e, in particolar modo, del diritto a non testimoniare contro se stessi, riconosciuto in materia di concorrenza dalla Corte nella celebre sentenza Orkem (41).

84.   Al riguardo però devo anzitutto ricordare che lo stesso punto 2 degli Orientamenti precisa che la Commissione può infliggere una maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda per circostanze aggravanti quali «(...) [il] rifiuto di qualunque cooperazione o tentativi di ostruzionismo durante lo svolgimento dell’inchiesta».

85.   Inoltre, il Regolamento 17 attribuisce alla Commissione ampi poteri di investigazione nell’ambito di un procedimento volto ad accertare la violazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza. Il suo art. 11 autorizza infatti la Commissione ad obbligare un’impresa a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui quest’ultima sia a conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i documenti in suo possesso, ove utili ad accertare che l’impresa stessa o un’altra impresa hanno tenuto un comportamento anticoncorrenziale.

86.   Ora, è ben vero che nella citata sentenza Orkem la Corte ha stabilito che detti poteri investigativi ed inquisitori non possono essere interpretati nel senso di pregiudicare i diritti della difesa riconosciuti all’impresa. In particolare, «[l]a Commissione non può (…) imporre all’impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali questa sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza della trasgressione, che deve invece essere provata dalla Commissione» (42).

87.   Ma non è questo, a mio avviso, il caso del punto 2 degli Orientamenti. Al contrario, mi sembra che il suo significato letterale sia perfettamente compatibile sia con le disposizioni del Regolamento 17, sia con il senso e la portata della giurisprudenza Orkem.

88.   Gli Orientamenti, infatti, non impongono in alcun modo all’impresa di testimoniare contro se stessa o di fornire prove della propria colpevolezza; essi precisano semplicemente che l’ammenda subirà un aggravamento nel caso in cui l’impresa rifiuti «qualunque cooperazione» con i servizi della Commissione ovvero assuma atteggiamenti ostruzionistici.

89.   D’altronde, questa è anche la posizione su cui si è attestata la Corte nel caso Metsä-Serla Sales Oy del 2000 (43), giustamente richiamato dal Tribunale, in cui si precisa che «un’impresa che, contestando la posizione della Commissione, presta soltanto la collaborazione cui è tenuta in forza del regolamento 17 non vedrà infliggersi per tale motivo un’ammenda maggiorata» (44).

90.   Mi pare dunque che anche tali censure debbano essere respinte.

2) Sui motivi relativi alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento

91.   La maggior parte delle ricorrenti critica la sentenza del Tribunale per non aver accertato l’esistenza di una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

92.   Sotto questo profilo, esse contestano l’automatismo della metodologia di calcolo seguita nel caso in esame dalla Commissione, automatismo che avrebbe impedito di tenere effettivamente conto degli elementi e delle circostanze individuali che caratterizzavano la situazione di ciascuna impresa nell’ambito dell’intesa.

93.   In particolare, essendo basata su somme forfettarie, quella metodologia avrebbe impedito di prendere adeguatamente in considerazione il fatturato delle imprese, segnatamente il fatturato sul mercato rilevante, laddove la valutazione dello stesso avrebbe sempre rivestito una particolare importanza nella giurisprudenza della Corte, come nella prassi decisionale della Commissione, per assicurare il rispetto del principio di proporzionalità.

94.   Da tale giurisprudenza si evincerebbe, infatti, che l’importo di base dell’ammenda deve essere calcolato con riferimento al fatturato della singola impresa al fine di riflettere le sue dimensioni e potenza economica e, di conseguenza, l’influenza che essa ha potuto esercitare sul mercato. Si tratterebbe dunque di un calcolo teso a “personalizzare” l’ammenda rispetto alle singole imprese ed a “proporzionarla” rispetto alle altre imprese coinvolte.

95.   Per contro, secondo le ricorrenti, il metodo seguito dalla Commissione non avrebbe consentito di realizzare correttamente tale “personalizzazione” della sanzione. In particolare, ogniqualvolta il procedimento di calcolo della Commissione ha raggiunto o superato il limite massimo del 10% del fatturato, qualsiasi modulazione del calcolo (in funzione della durata dell’infrazione, di circostanze attenuanti ecc.) eseguita al di sopra di tale soglia restava un’operazione del tutto teorica; essa infatti non avrebbe avuto alcuna incidenza sull’ammontare finale dell’ammenda, dovendosi alla fine comunque riportare quest’ultima entro detta soglia. Tutto ciò in contrasto con la giurisprudenza della Corte (segnatamente, sentenza Musique Diffusion française (45)) secondo la quale l’importo dell’ammenda va determinato tenendo conto dell’insieme dei fattori rilevanti.

96.   Infine, alcune ricorrenti in questione fanno valere che, prendendo come importo di base una somma forfettaria determinata indipendentemente dal fatturato delle imprese interessate e in alcuni casi fissata fin dall’inizio del calcolo ad un livello superiore al 10% del fatturato, la Commissione avrebbe commesso una discriminazione nei confronti delle piccole e medie imprese, infliggendo loro ammende eccessivamente elevate rispetto al loro peso economico. Ed infatti, lamentano, le loro ammende sono relativamente più pesanti di quella inflitta ad ABB, impresa di maggiori dimensioni nonché leader dell’intesa, il che avrebbe determinato un ingiustificato trattamento discriminatorio.

97.   Su questo punto, ritengo opportuno precisare subito, in via preliminare, che la valutazione dell’adeguatezza di un’ammenda rispetto alla gravità ed alla durata dell’infrazione rientra nel potere di controllo giurisdizionale anche di merito conferito al Tribunale dall’art. 17 del Regolamento 17. Solo il Tribunale è quindi competente a controllare il modo in cui la Commissione ha valutato caso per caso la gravità e la durata dei comportamenti illeciti (46).

98.   Nell’ambito di un’impugnazione, il controllo della Corte può solo spingersi a verificare se il Tribunale abbia preso in considerazione in maniera giuridicamente corretta tutti i fattori essenziali per la valutazione dell’infrazione e se abbia compiuto errori di diritto nell’esaminare questioni sollevate dai ricorrenti (47).

99.   In particolare, in merito al carattere asseritamente sproporzionato e discriminatorio delle ammende, si deve osservare che non spetta alla Corte sostituire, per motivi di equità, la propria valutazione a quella che il Tribunale ha compiuto, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, quanto all’ammontare delle ammende inflitte ad imprese che hanno violato il diritto comunitario (48).

100. Nella specie, quindi, l’analisi della Corte si dovrà limitare a verificare se, confermando i criteri impiegati dalla Commissione per la fissazione delle ammende e controllando o addirittura correggendo la loro applicazione, il Tribunale abbia o meno commesso un errore manifesto e se abbia rispettato i principi di proporzionalità e di uguaglianza che disciplinano l’irrogazione delle ammende (49).

101. Tenendo presente tali limiti del sindacato giurisdizionale della Corte, passo ora all’esame delle censure in questione.

102. Per cominciare, osservo che è incontestabile che la Commissione, nel determinare l’importo delle ammende che decide di infliggere per violazioni del diritto della concorrenza, deve rispettare il principio di proporzionalità.

103. Nella materia in esame tale principio opera innanzi tutto, per così dire, in senso “assoluto” e si esprime nel rispetto del limite del 10% del volume d’affari complessivo stabilito dall’art. 15, n. 2, del Regolamento 17. Tale tetto mira infatti proprio ad evitare che le ammende siano sproporzionate alle dimensioni dell’impresa oggetto della sanzione (50).

104. Sotto questo profilo, mi sembra infondata la contestazione mossa da alcune ricorrenti sulla mancata presa in considerazione da parte della Commissione del loro fatturato nel mercato rilevante al momento dell’applicazione del limite del 10%. Concordo infatti con l’analisi del Tribunale secondo cui risulta da una giurisprudenza consolidata che tale limite deve essere inteso come relativo al fatturato globale dell’impresa considerata – il solo che possa dare un’indicazione approssimativa dell’importanza e dell’influenza delle imprese considerate – e che, quindi, nel rispetto dell’indicato tetto, la Commissione gode di un ampio potere discrezionale nel decidere in quale misura tener conto del fatturato globale e/o del fatturato nel mercato rilevante.

105. In altre parole, se l’importo dell’ammenda definitiva non supera il 10% del fatturato globale delle ricorrenti durante l’ultimo anno d’infrazione, questa non potrebbe essere considerata sproporzionata per il solo fatto che supera il fatturato realizzato nel mercato rilevante.

106. D’altra parte, neppure si può obbiettare, come ha sostenuto qualche ricorrente, che le ammende sarebbero discriminatorie per il solo fatto che, mentre per alcune delle imprese in causa si è dovuto ridurre l’importo per restare nel limite massimo del 10%, altrettanto non è avvenuto per le imprese per le quali, durante le operazioni di calcolo delle relative ammende, quel tetto non era mai stato superato. Come rilevato dal Tribunale (51), tale riduzione rappresenta, infatti, la conseguenza diretta ed inevitabile del limite tassativo fissato dal Regolamento 17. In tali circostanze, una mancata riduzione dell’ammenda, per questo unico motivo, non mi pare idonea a rendere discriminatorio l’importo di un’ammenda peraltro legittimamente fissata (52).

107. Ciò non toglie però che tale automatismo possa incidere ugualmente sul principio di proporzionalità, ove questo venga valutato non in senso assoluto, ma in senso “relativo”, come volto cioè ad assicurare che la sanzione sia “personalizzata” e quindi proporzionata alla gravità dell’infrazione e alle altre circostanze, soggettive e oggettive, di ciascun caso. In questa prospettiva, il carattere proporzionale e non discriminatorio dell’importo non risulta da un semplice rapporto aritmetico con il volume d’affari complessivo dell’esercizio precedente, bensì dall’insieme dei fattori che ho più sopra ricordato (v. supra, paragrafo 69).

108. Questo aspetto “relativo” del test di proporzionalità riveste una particolare importanza nel caso di infrazioni collettive, perché se un’infrazione è stata commessa da più imprese, l’esigenza di proporzionalità richiede che sia esaminato, in sede di fissazione dell’ammenda, «il peso relativo della partecipazione di ciascuna di esse» (53).

109. Ciò è anche quanto impone il principio della parità di trattamento, il quale, secondo costante giurisprudenza, viene violato quando situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse siano trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (54). Ne consegue, ai presenti fini, che l’ammenda deve essere uguale per tutte le imprese che si trovino nella stessa situazione e che comportamenti diversi non possono essere puniti con la stessa sanzione.

110. Ciò posto, veniamo ai casi di specie ripercorrendo l’analisi svolta dal Tribunale al riguardo.

111. Le sentenze impugnate hanno riconosciuto che i criteri utilizzati dalla Commissione per fissare l’importo delle ammende erano frutto di un’analisi attenta e dettagliata della particolare gravità dell’infrazione e della sua durata (55), nonché della situazione, del ruolo e del comportamento delle imprese sanzionate; che, per determinare l’importo di base delle ammende, la Commissione ha preso in considerazione, in modo corretto, la diversità del peso economico dei partecipanti al cartello, suddividendo le imprese in quattro categorie, «conformemente alla loro dimensione rispettiva nel mercato comunitario rilevante» (punto 166 della decisione), e imponendo importi di base differenti per ciascuna categoria; che, per la determinazione di tali categorie, «la Commissione ha tenuto conto non soltanto dei loro fatturati sul mercato rilevante, ma anche dell’importanza relativa che i membri dell’intesa attribuivano a ciascuno di loro, come risulta dalle quote convenute all’interno dell’intesa (…) e dai risultati ottenuti e previsti nel 1995 (…)» (56), con il risultato che la suddivisione delle imprese in quattro categorie e la determinazione dei rispettivi importi di base era obbiettivamente giustificata e presentava una propria coerenza interna (57).

112. In tal modo, ha rilevato il Tribunale, la Commissione ha correttamente applicato gli Orientamenti per le parti in cui prevedono che, in caso di infrazioni che coinvolgono più imprese tra le quali esistono disparità considerevoli di dimensioni, gli importi di base possono essere ponderati «in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa» (v. punto 1, parte A, sesto e settimo paragrafo).

113. Le ammende inflitte dalla Commissione, e confermate dal Tribunale, sono state insomma frutto di un’analisi attenta e dettagliata della particolare gravità dell’infrazione, della sua durata nonché della situazione, del ruolo e del comportamento di ciascuna delle imprese sanzionate.

114. Ciò posto, devo tuttavia osservare che se i criteri che governano l’imposizione delle ammende sono stati osservati, non per questo può dirsi che tutte le questioni legate al rispetto dei principi di proporzionalità e di non discriminazione possano considerarsi superate.

115. In effetti, nella decisione impugnata, come riconosciuto dalla stessa Commissione, gran parte delle operazioni di calcolo sono state effettuate al di sopra del limite massimo del 10% fissato dall’art. 15, n. 2, del Regolamento 17. La Commissione ha infatti superato tale limite nel corso del procedimento di calcolo delle ammende inflitte ad ognuna delle ricorrenti, tranne che per Ke-Kelit Kunststoffwerk, Brugg Rohrsysteme e ABB Asea Brown Boveri. In tre casi (gruppo Isoplus, LR AF 1998 (Deutschland) e Dansk Rørindustri) la Commissione ha addirittura calcolato le ammende partendo da un importo di base che già superava il limite massimo del 10%. Ed è solo al termine delle operazioni di calcolo, prima di passare all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, che essa ha proceduto alla riduzione dell’ammontare intermedio così determinato al fine di rispettare il tetto del 10% del fatturato complessivo.

116. In altri termini, il limite del 10% previsto dall’art. 15 non ha operato come un limite insuperabile fin dall’inizio delle operazioni di calcolo, ma solo come un limite finale ai fini dell’“abbattimento” dell’ammenda per la parte eccedente quella soglia.

117. Ora, secondo alcune ricorrenti, tale metodologia di calcolo sarebbe contraria all’art. 15, n. 2, del Regolamento 17 ed avrebbe determinato, nei casi di specie, delle violazioni dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento, in quanto gli importi delle ammende rispecchierebbero solo in modo molto parziale ed imperfetto la specificità di ciascuna fattispecie, nonché la posizione relativa delle singole imprese nell’ambito del cartello.

118. In effetti, ogniqualvolta la Commissione ha superato il limite del 10% durante le operazioni di calcolo, qualsiasi modulazione del calcolo (in funzione della durata dell’infrazione, di circostanze attenuanti ecc.) effettuata al di sopra di tale soglia non ha potuto ripercuotersi concretamente sull’importo finale delle ammende, come risulta evidenziato anche dalla tabella riepilogativa delle cifre relative alla determinazione di tale importo riprodotta dalle ricorrenti.

119. Per quanto non privi di fondamento, tali rilievi non mi sembrano però sufficienti per giustificare l’accoglimento del ricorso per i profili qui considerati.

120. In effetti, né la lettera né lo spirito dell’art. 15, n. 2, del Regolamento 17 si oppongono alla metodologia di calcolo seguita dalla Commissione. In particolare, come ha rilevato il Tribunale, quella disposizione non vieta alla Commissione di fare riferimento, nel corso del suo calcolo, ad un importo che superi il 10% del volume d’affari dell’impresa interessata, sempre che l’importo finale non superi tale limite massimo (58).

121. A questo proposito, mi pare importante osservare che l’art 15, n. 2, definisce l’ammontare delle ammende in due passaggi successivi e distinti:

–      in primo luogo, esso dispone che la Commissione può infliggere ammende «da un minimo di mille unità ad un massimo di un milione», fissando quindi una sanzione minima ed una sanzione massima;

–      in secondo luogo, esso permette alla Commissione di superare tale «pena massima» a condizione che l’importo finale dell’ammenda non superi il «10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione».

122. Discendono da ciò, a mio avviso, due importanti indicazioni.

123. Innanzitutto, come si può evincere dal primo trattino della disposizione, un sistema di commisurazione delle ammende in base ad una somma forfettaria non appare completamente estraneo alla logica del Regolamento 17.

124. Inoltre, nei casi in cui la Commissione ritenga opportuno uscire dalla forcella di sanzioni prevista al primo trattino, il secondo trattino si limita a fissare un “tetto”, lasciando la Commissione libera per quanto riguarda ogni altra modalità di calcolo.

125. Ora un sistema siffatto comporta inevitabilmente degli appiattimenti o livellamenti del tipo di quelli denunciati dalle ricorrenti poiché, per definizione, un tetto rappresenta un limite assoluto che si applica automaticamente, qualora venga raggiunta una determinata soglia, e indipendentemente da ogni altro elemento di valutazione. Ed infatti, come ha osservato la Commissione, le ricorrenti alle quali tale limite è stato applicato si sono viste infliggere un’ammenda ridotta rispetto a quella che, in assenza del tetto, sarebbe stata loro applicata sulla base di tutte le circostanze dell’infrazione, e in particolare della sua gravità e durata.

126. Ma tutto ciò, ripeto, è insito nel sistema stesso istituito dal Regolamento 17. Quello che infatti le ricorrenti descrivono come risultati sproporzionati e/o discriminatori del procedimento di calcolo seguito dalla Commissione altro non è in realtà che una conseguenza inevitabile dell’applicazione del limite del 10%.

127. Da questo punto di vista nulla si può quindi rimproverare alla Commissione una volta accertato che, in situazioni come quelle in esame, essa i) ha correttamente valutato la gravità, la durata e le altre circostanze dell’infrazione, e ii) ha mantenuto l’importo finale delle ammende entro la soglia del 10% del fatturato complessivo delle singole imprese.

128. Così stando le cose, devo concludere che i presenti motivi di impugnazione non sono confortati dal vigente sistema normativo.

129. Ciò detto, tuttavia, non posso non osservare che proprio l’esame fin qui condotto rivela che il metodo di calcolo applicato dalla Commissione presenta qualche rischio sotto il profilo dell’equità del sistema.

130. Non mi pare, infatti, pienamente coerente con le esigenze di individualizzazione e di gradazione della “pena” – due principi cardini di qualunque sistema sanzionatorio, in ambito sia penale sia amministrativo – il fatto che, come nei casi di specie, una parte delle operazioni di calcolo rivesta carattere essenzialmente formale ed astratto e quindi non si ripercuota concretamente sull’importo finale dell’ammenda. Né si può ignorare che, per lo stesso motivo, l’obiettivo di maggiore trasparenza perseguito dagli Orientamenti rischia di non essere pienamente raggiunto.

131. Aggiungo che le indicate situazioni non sono affatto eccezionali e rischiano addirittura di diventare sempre più frequenti. In effetti, con l’adozione degli Orientamenti nel 1998, la politica della Commissione in materia di ammende per violazione del diritto della concorrenza è entrata in una nuova fase, che, per motivi che non sta a me giudicare, è certamente più rigorosa ed ha portato ad un aumento del livello delle ammende, segnatamente per le infrazioni più gravi. Per giunta, tale inasprimento, in quanto fondato su una metodologia di calcolo basata su degli importi forfettari, rischia di colpire maggiormente le piccole e medie imprese (59).

132. Si delinea insomma una situazione nuova e più problematica rispetto alla fase in cui la metodologia seguita dalla Commissione non portava, in principio, ad un superamento, nel corso del calcolo, del limite del 10% del fatturato complessivo, rendendo così più agevole ed immediata l’integrazione nell’importo dell’ammenda dell’insieme delle circostanze del caso.

133. Ci si deve allora chiedere se le segnalate conseguenze del nuovo corso della politica delle ammende non rendano opportuna qualche correzione di rotta che consenta di garantire in ogni caso risultati conformi a generali esigenze di ragionevolezza ed equità.

3) Sui motivi relativi alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e di irretroattività

a)       Sulla violazione del legittimo affidamento

134. La maggior parte delle ricorrenti contesta che la decisione impugnata avrebbe fatto applicazione degli Orientamenti nei loro confronti, benché l’infrazione fosse iniziata ben prima della formulazione degli Orientamenti medesimi. Ne risulterebbe quindi violato il legittimo affidamento nutrito dalle ricorrenti in ordine all’applicazione del metodo di calcolo delle ammende seguito nella prassi precedente e fondato sul criterio del fatturato dell’impresa nel mercato rilevante.

135. Secondo le ricorrenti, ammesso e non concesso che la Commissione avesse potuto discostarsi da quella prassi, essa avrebbe dovuto comunque informare le imprese delle proprie intenzioni e fornire un’adeguata motivazione delle ragioni che la spingevano ad operare tale cambiamento.

136. Nella specie, poi, la violazione del principio del legittimo affidamento sarebbe ancora più grave dal momento che le ricorrenti avevano deciso di cooperare con i servizi della Commissione e che tale scelta era stata influenzata proprio dai benefici che esse si attendevano di poter trarre dall’applicazione della ricordata comunicazione sulla cooperazione anche alla prassi precedente in materia di calcolo delle ammende.

137. Dico subito che ho forti dubbi sul collegamento che le ricorrenti instaurano fra la comunicazione sulla cooperazione ed il livello delle ammende inflitte nella specie dalla Commissione.

138. È vero che, al punto E, n. 3, della comunicazione in questione, la Commissione si dichiara «consapevole del fatto che la (…) comunicazione crea aspettative legittime sulle quali faranno affidamento le imprese che intendono informarla dell’esistenza di un’intesa». Tuttavia, a me sembra evidente che le eventuali aspettative legittime delle ricorrenti in forza della comunicazione potevano riguardare solo le modalità della riduzione da effettuare a titolo della loro cooperazione e non l’importo dell’ammenda «che altrimenti sarebb[e] loro inflitt[a]» (60) o il metodo di calcolo seguito per determinarla.

139. Come giustamente rilevato dalla Commissione anche in udienza, la comunicazione sulla cooperazione non contiene alcun riferimento al livello delle ammende che sarebbero state inflitte in assenza di cooperazione. Né la comunicazione contiene riferimenti alle modalità che la Commissione dovrebbe seguire nella determinazione delle ammende irrogate alle imprese che hanno posto in essere una violazione dell’art. 81 CE.

140. Più precisamente, il punto A, n. 5, della comunicazione precisa che la collaborazione prestata da un’impresa ai servizi della Commissione non è che uno degli elementi di cui la Commissione può tenere conto nella fissazione dell’importo dell’ammenda.

141. Decisivo, nel senso della tesi qui sostenuta, mi pare del resto il punto A, n. 3, della comunicazione, il quale prevede che scopo di questa è «definire le condizioni alle quali le imprese che cooperano con la Commissione nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro ammontare».

142. Ciò detto, occorre ora chiedersi se, applicando la nuova metodologia di calcolo delle ammende contenuta negli Orientamenti, la Commissione abbia violato il legittimo affidamento delle imprese ricorrenti.

143. Le ricorrenti sottolineano a giusto titolo che il mantenimento nel tempo da parte di un’istituzione comunitaria di una prassi può, in linea di principio, suscitare aspettative fondate e legittime che il diritto comunitario deve tutelare.

144. Esse ricordano al riguardo il caso Ferriere San Carlo del 1987 (61), nel quale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una decisione della Commissione con la quale questa aveva contestato all’impresa Ferriere San Carlo di aver ecceduto la parte di quota di tondini per cemento che poteva essere fornita sul mercato comune ai sensi di una precedente decisione della Commissione, la Corte accolse il ricorso rilevando che il comportamento della Commissione era contrario ad una prassi seguita da questa istituzione nei due anni precedenti e che aveva portato a tollerare forniture di tondini per cemento in quantitativi superiori a quelli fissati dalla Comunità.

145. Sulla base di tale precedente, le ricorrenti sostengono quindi che anche nella specie il legittimo affidamento da esse nutrito sul mantenimento della prassi della Commissione in materia di calcolo di ammende avrebbe dovuto essere tutelato. Nel caso che ci occupa, infatti, la Commissione non avrebbe mai comunicato alle imprese la propria intenzione di applicare la nuova metodologia di calcolo delle ammende contenuta negli Orientamenti e di non rispettare, così, la prassi precedentemente seguita.

146. Devo obiettare però che le ricorrenti dimenticano che la Corte ha avuto modo altresì di precisare che il principio del legittimo affidamento può essere invocato solo allorché il mutamento di prassi dell’amministrazione non è prevedibile da parte di un «operatore economico prudente ed accorto» (62).

147. Occorre dunque stabilire se un cambiamento di metodologia nel calcolo dell’importo delle ammende, quale quello attuato dalla Commissione con gli Orientamenti, fosse prevedibile da parte di operatori economici «prudenti ed accorti».

148. A mio avviso, la soluzione di questo interrogativo si collega a quanto ho detto in precedenza in relazione alla questione della legittimità degli Orientamenti.

149. Mi sembra, cioè, che non possa rimproverarsi alla Commissione di aver violato il legittimo affidamento delle ricorrenti per il solo fatto di aver scelto una linea più severa nella fissazione delle ammende ovvero di aver adottato una nuova metodologia di calcolo delle stesse, restando però pur sempre in linea con la disciplina del Regolamento 17.

150. Credo infatti che un operatore accorto ed avveduto avrebbe potuto ragionevolmente prevedere sia un inasprimento dell’importo generale delle ammende sia, in alternativa, che la Commissione potesse adottare, nell’ambito della discrezionalità ad essa attribuita dall’art. 15 del Regolamento, un modello di calcolo delle ammende conforme alla normativa di diritto comunitario derivato.

151. Occorre infatti rilevare come, secondo un costante insegnamento della Corte di giustizia, «(…) anche se il principio del rispetto del legittimo affidamento è uno dei principi fondamentali della Comunità, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie» (63).

152. Ora, proprio nel settore che qui interessa, la Corte ha riconosciuto alla Commissione il diritto di procedere discrezionalmente ad un aumento del livello generale delle ammende inflitte per violazione del diritto comunitario della concorrenza precisando che «il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal Regolamento n. 17, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza. Al contrario, l’efficace applicazione delle norme comunitarie della concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica» (64).

153. Nella medesima sentenza, inoltre, la Corte ha escluso che la Commissione sia tenuta ad annunciare, nella comunicazione degli addebiti, la propria intenzione di cambiare la sua politica in materia di entità generale delle ammende, dal momento che una tale scelta dipende «da considerazioni generali di politica della concorrenza non direttamente connesse alle particolari circostanze delle pratiche ora in esame» (65).

154. Ciò malgrado, devo aggiungere, la Commissione non aveva mancato di attirare l’attenzione degli operatori economici circa un eventuale inasprimento del livello delle ammende e dell’effetto deterrente delle sanzioni (66). Ne consegue che gli operatori economici erano stati anche resi edotti delle intenzioni della Commissione al riguardo.

155. Ne concludo quindi che non vi è stata nella specie violazione del legittimo affidamento delle ricorrenti.

b)       Sulla violazione del principio di irretroattività

156. Come ho detto, le ricorrenti contestano altresì la violazione del principio di irretroattività delle sanzioni.

157. A questo proposito, esse condividono quanto afferma il Tribunale nelle sentenze impugnate, cioè che le sanzioni inflitte ad un’impresa per un’infrazione alle regole di concorrenza devono corrispondere a quelle stabilite al momento in cui l’infrazione è stata commessa.

158. A loro avviso però la Commissione avrebbe violato tale principio in quanto non avrebbe rispettato la pratica fino a quel momento seguita per il calcolo delle ammende, con il risultato che l’importo finale di queste ultime si è rivelato ben più elevato.

159. Per parte mia, osservo che il regime sanzionatorio in vigore quando sono state poste in essere le infrazioni contestate non era costituito, come pretendono le ricorrenti, dalla prassi decisionale della Commissione, bensì dall’art. 15, n. 2, del Regolamento 17. È solo tale disposizione, infatti, ad indicare quali sono i criteri ed i parametri di cui la Commissione deve tenere conto in materia di calcolo delle ammende.

160. Mi pare quindi evidente che si potrà parlare di una violazione del principio di irretroattività nella misura in cui si accerti che le sanzioni inflitte alle imprese ricorrenti esulano dal sistema delineato dal predetto art. 15 e non vi si conformano.

161. Tale però non è il caso di specie.

162. Come ho già detto in precedenza, infatti, gli Orientamenti emanati dalla Commissione rispettano il sistema cristallizzato in questa disposizione e rimangono ad esso conformi.  

163. In effetti, anche attenendosi al metodo indicato negli Orientamenti, il calcolo delle ammende continua ad essere effettuato in funzione dei due criteri menzionati all’art. 15, n. 2, vale a dire la gravità dell’infrazione e la sua durata, nel rispetto del limite massimo del 10% in relazione al fatturato di ciascuna delle imprese coinvolte.

164. Né potrebbe individuarsi una violazione del principio di irretroattività nel puro e semplice innalzamento del livello delle ammende. A questo proposito, valgono le considerazioni già espresse in precedenza secondo le quali la Commissione gode al riguardo di una discrezionalità tale da poter procedere, per ragioni di politica della concorrenza, ad un innalzamento e ad un inasprimento del livello delle ammende purché rimanga nel quadro giuridico generale vigente al momento in cui sono state commesse le infrazioni sanzionate.

165. Nel caso di specie, quindi, alla Commissione non può imputarsi di aver violato il principio di irretroattività, perché, pur applicando la metodologia di calcolo contenuta negli Orientamenti, essa è comunque rimasta nei limiti previsti dall’art. 15 del Regolamento 17.

4) Sui motivi relativi alla violazione dei diritti della difesa

166. Tutte le ricorrenti, tranne ABB, sostengono che il Tribunale ha commesso un errore quando ha affermato che il loro diritto di essere sentite non obbligava la Commissione a comunicare alle stesse, nel corso del procedimento amministrativo, la propria intenzione di applicare i nuovi Orientamenti per il calcolo delle ammende. Questa omissione sarebbe tanto più grave in quanto gli Orientamenti modificavano in maniera sostanziale il diritto allora vigente e comportavano un notevole inasprimento dell’importo delle ammende. Orbene, la Commissione non avrebbe fornito nella comunicazione degli addebiti alcuna indicazione che permettesse di prevedere l’introduzione di una nuova politica in materia di calcolo delle ammende. Durante la procedura amministrativa, le ricorrenti non hanno quindi potuto presentare alcuna osservazione sull’applicazione dei nuovi Orientamenti.

167. A tali contestazioni la Commissione risponde facendo essenzialmente valere che essa non ha alcun obbligo di informare in modo preciso le imprese, soggette ad istruttoria per violazione del diritto della concorrenza, sul metodo che intende applicare per il calcolo delle ammende, nonché di dare indicazioni sulla possibile entità di queste ultime.

168. In effetti, pare anche a me che la Commissione non abbia violato i diritti della difesa delle ricorrenti, in particolare il loro diritto di essere sentite per quanto riguarda la determinazione delle ammende.

169. Basta in proposito richiamare la giurisprudenza della Corte, correttamente citata dal Tribunale, secondo la quale l’obbligo di sentire le imprese è assolto qualora la Commissione dichiari espressamente, nella comunicazione degli addebiti, che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle imprese considerate e indichi le principali considerazioni di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione, ed il fatto di averla commessa intenzionalmente o per negligenza (67).

170. Orbene, come rilevato dal Tribunale nelle sentenze impugnate (68), la Commissione ha precisato, nella comunicazione degli addebiti, gli elementi di fatto e di diritto su cui si sarebbe basata nel commisurare l’entità dell’ammenda: il fatto che l’infrazione costituisse un’infrazione molto grave, la durata dell’infrazione che intendeva addebitare a ciascuna impresa, gli elementi costituenti circostanze aggravanti, gli altri fattori di cui avrebbe tenuto conto nella determinazione dell’ammenda, quali il ruolo svolto da ciascun impresa nell’ambito del cartello, il suo peso economico nel mercato rilevante ecc.

171. In tal modo, essa ha debitamente rispettato il diritto delle imprese di essere sentite sull’irrogazione dell’ammenda e su ciascuno degli elementi di cui intendeva tenere conto nella quantificazione della stessa. Secondo la giurisprudenza, il rispetto di tale diritto non comporta nessun altro obbligo a carico della Commissione e di certo, comunque, non quello di menzionare il modo in cui si sarebbe avvalsa di ciascun elemento per calcolare l’entità delle ammende, né quello di dare indicazioni concernenti l’entità delle stesse (69).

172. Ricordo d’altra parte che, secondo la Corte, la Commissione non è tenuta ad annunciare, nella comunicazione degli addebiti, l’intenzione di cambiare la propria politica in materia di entità generale delle ammende (70).

173. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo quindi alla Corte di respingere il presente motivo di impugnazione.

5) Sui motivi relativi alla violazione dell’obbligo di motivazione in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda

174. Alcune ricorrenti (segnatamente Ke-Kelit, LR AF 1998, e LR AF GmbH) fanno valere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto quando ha concluso che la decisione della Commissione era, per quanto riguarda la commisurazione dell’importo delle ammende, sufficientemente motivata e che, quindi, quest’ultima non aveva violato l’art. 253 CE. A loro avviso, invece, la Commissione avrebbe dovuto giustificare la decisione di discostarsi dalla sua prassi precedente – consistente nel determinare l’ammontare delle ammende in funzione del fatturato sul mercato rilevante – nonché l’asserita applicazione retroattiva degli Orientamenti.

175. Dico subito che, anche a prescindere dalle conclusioni che ho in precedenza formulato relativamente alle censure riguardanti il legittimo affidamento e l’irretroattività, ritengo infondato questo motivo.

176. È infatti sufficiente rilevare che, secondo una giurisprudenza consolidata, l’obbligo di motivare le modalità di calcolo delle ammende è soddisfatto se la Commissione indica gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione (71), e ciò in ossequio all’art. 15, n. 2, secondo comma, del Regolamento 17, a norma del quale «occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata». Solo quindi in difetto di tali elementi la decisione sarà viziata da carenza di motivazione.

177. Per quanto riguarda poi le decisioni che infliggono ammende a diverse imprese, nelle sentenze impugnate (72) il Tribunale ha giustamente ricordato che in tal caso la portata dell’obbligo di motivazione deve essere, in particolare, determinata alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali segnatamente – ma non esclusivamente – le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende (73).

178. Orbene, a mio parere, il Tribunale ha correttamente statuito che la Commissione aveva ottemperato a tali prescrizioni. In particolare, esso ha accertato, per ciascuna delle ricorrenti, che la decisione della Commissione conteneva un’indicazione sufficiente e pertinente degli elementi di valutazione presi in considerazione per determinare la gravità e la durata dell’infrazione (74).

179. Come ha giustamente rilevato il Tribunale, «anche supponendo che, per quanto riguarda l’entità dell’ammenda, la decisione traduca un aumento sensibile di tale entità rispetto alle decisioni precedenti, la Commissione ha motivato l’iter logico che l’ha indotta a determinare a tale livello l’ammontare dell’ammenda (…) in modo assolutamente chiaro» (75), facendo riferimento alla particolare gravità dell’infrazione, alla sua durata, alla presenza di circostanze aggravanti e/o attenuanti, alle dimensioni delle imprese, al ruolo svolto da ciascun impresa nell’ambito del cartello, nonché all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione.

180. In altre parole, la decisione della Commissione contiene l’insieme degli elementi di valutazione di cui essa si è servita nel commisurare l’importo delle ammende.

181. Occorre pertanto respingere il motivo tratto dall’insufficiente motivazione della decisione della Commissione.

B –    Motivi riguardanti la situazione delle singole ricorrenti

182. Le ricorrenti hanno poi sollevato numerose censure relative alla specifica situazione di ciascuna di esse. Nelle pagine che seguono procederò all’esame analitico di tali censure, omettendo tuttavia di soffermarmi su quelle che mi sono parse di interesse marginale e sulle quali comunque la sentenza del Tribunale mi sembra assolutamente convincente.

1) Sui motivi relativi all’errata applicazione dell’art. 81, n. 1, CE riguardo alla partecipazione di un’impresa ad un’intesa

183. i) Il gruppo Isoplus fa valere che il Tribunale avrebbe erroneamente applicato la giurisprudenza secondo la quale, un’impresa anche se non ha messo in pratica i risultati di riunioni aventi oggetto anticoncorrenziale, può essere ugualmente ritenuta responsabile di un’infrazione qualora non abbia preso pubblicamente le distanze dal contenuto delle dette riunioni.

184. In particolare, le ricorrenti contestano l’affermazione del Tribunale secondo la quale, per constatare una violazione dell’art. 81 CE, «non è rilevante (…) sapere se l’impresa in questione si riunisca con imprese che abbiano una posizione dominante o, perlomeno, economicamente preponderante sul mercato» (punto 224 della relativa sentenza). Proprio in tali circostanze, secondo le ricorrenti, dovrebbe essere invece preso in considerazione il minor peso economico di alcuni partecipanti, poiché per questi sarebbe difficile prendere pubblicamente le distanze dalle decisioni di riunioni in cui partecipano anche imprese aventi un potere economico superiore e che possono esercitare forti pressioni sui loro concorrenti. In tali situazioni, le imprese economicamente più “deboli” non dovrebbero essere ritenute responsabili di violazioni dell’art. 81 CE qualora, pur senza denunciarle pubblicamente, si siano astenute dall’agire conformemente alle decisioni prese in una riunione ad oggetto anticoncorrenziale.

185. Dico subito che condivido l’analisi svolta dal Tribunale e che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, tale analisi risponde esaurientemente alle obiezioni da esse formulate già nel giudizio di primo grado.

186. Aggiungo che, se si ammettesse l’interpretazione proposta dalle ricorrenti, ciò porterebbe ad un’applicazione differenziata dell’art. 81 CE in funzione delle dimensioni e/o della posizione economica delle imprese. Orbene, una tale concezione «a geometria variabile» sarebbe in contrasto con i principi del diritto comunitario della concorrenza, come interpretati da una giurisprudenza costante della Corte, secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art 81 CE, è indifferente che le parti ad un’intesa «si trovino o meno su un piede di uguaglianza per quanto riguarda la loro posizione e la loro funzione economica» (76) oppure che un’impresa «abbia svolto un ruolo secondario negli aspetti [dell’intesa] cui ha partecipato» (77).

187. Questo, ovviamente, non significa che la Commissione non debba tenere conto delle differenze esistenti tra partecipanti ad una intesa in termini di peso economico, né che da tali disparità non debbano essere tratte conseguenze. Significa solo che tali elementi rilevano non già nella fase di accertamento delle responsabilità individuali dei partecipanti all’intesa, ma ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione, e quindi in sede di determinazione dell’ammenda (78).

188. Inoltre, come giustamente osservato dalla Commissione, tali elementi possono svolgere un qualche ruolo nell’ambito della valutazione da parte del giudice nazionale della portata della responsabilità delle singole imprese per quanto riguarda le conseguenze civilistiche dell’infrazione (79).

189. ii) Brugg Rohrsysteme GmbH (in prosieguo: «Brugg») fa invece valere che il Tribunale avrebbe erroneamente dedotto la prova della sua attiva partecipazione all’azione di boicottaggio nei confronti di Powerpipe dalla sua presenza alla riunione del 24 marzo 1995, nella quale tale boicottaggio fu deciso.

190. All’uopo essa fa leva sul fatto che la sua unica attività è quella di rivenditore di tubi preisolati. Per tale motivo, non avrebbe potuto in alcun modo attuare un’azione di boicottaggio nei confronti di Powerpipe, azione che, per contro, avrebbero potuto porre in essere solo le imprese produttrici di tubi preisolati e direttamente concorrenti di Powerpipe.

191. Pertanto, continua la ricorrente, la Commissione ha sbagliato nel ritenere che la partecipazione della ricorrente alla ricordata riunione abbia potuto integrare l’ipotesi di una circostanza aggravante tale da determinare, di per sé considerata, un aumento dell’importo dell’ammenda pari al 20%.

192. A me pare però che tale tesi provi troppo.

193. Se infatti la si seguisse fino in fondo, si dovrebbe concludere che non devono rispondere di una violazione dell’art. 81 CE tutte le imprese che, pur avendo manifestato il proprio accordo sulla messa in atto di un comportamento anticompetitivo, non sono poi riuscite a metterlo in pratica.

194. La responsabilità di un’impresa, pertanto, si legherebbe non tanto alla sua manifesta volontà di violare le regole di concorrenza quanto alla materiale possibilità di farlo.

195. Ora, una tale posizione non trova alcun conforto nella giurisprudenza.

196. Mi limito a ricordare che nella sentenza Anic Partecipazioni la Corte ha affermato che un’impresa viola l’art. 81 CE non solo quando «ha inteso contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni», ma anche quando «era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o attuati da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure (…) poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi» (80).

197. Tale giurisprudenza è stata poi ancora di recente e più specificamente confermata nella sentenza Alborg Portland, nella quale la Corte ha chiarito tra l’altro che «è sufficiente che la Commissione dimostri che l’impresa interessata ha partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, affinché sia sufficientemente provata la partecipazione della detta impresa all’intesa. (…) [L]a tacita approvazione di un’iniziativa illecita, senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto o denunciarla agli organi amministrativi, ha l’effetto di incoraggiare la continuazione dell’infrazione e pregiudica la sua scoperta. Tale complicità rappresenta una modalità passiva di partecipazione all’infrazione, idonea quindi a far sorgere la responsabilità dell’impresa nell’ambito di un unico accordo» (81).

198. Come correttamente ritenuto dal Tribunale, Brugg avrebbe pertanto dovuto manifestare apertamente di non condividere la condotta anticompetitiva decisa nella riunione del 24 marzo 1995 in modo da rendere edotte le altre partecipanti che essa non condivideva la loro linea di condotta, che se ne dissociava e che non era in alcun modo pronta ad accettarne i relativi rischi.

199. Il che, come si è visto, non è avvenuto nella specie.

200. In conclusione, ritengo che i motivi sollevati dal gruppo Isoplus e da Brugg con riferimento ad una pretesa errata applicazione dell’art. 81, n. 1, CE debbano essere respinti.

2) Sui motivi relativi alla mancata presa in considerazione di circostanze attenuanti ed aggravanti

201. i) Le imprese del gruppo Isoplus obiettano poi che il Tribunale avrebbe erroneamente negato loro il diritto a vedersi applicare una riduzione dell’ammenda in base al punto D della comunicazione sulla cooperazione.

202. Esse ricordano che, in virtù di tale disposizione, la Commissione dovrebbe sempre concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda in caso di collaborazione, anche solo parziale e limitata come nel caso di specie, qualora tale cooperazione abbia contribuito a confermare la sussistenza dell’infrazione. Inoltre, le ricorrenti lamentano che la Commissione, nelle operazioni di calcolo, ha tenuto conto due volte dei tentativi di ostruzione dell’indagine: una prima volta come circostanza aggravante che ha portato ad una maggiorazione dell’ammenda, e una seconda volta come motivo per non accordare una riduzione dell’ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Con tale approccio, la Commissione avrebbe in particolare violato i diritti della difesa delle ricorrenti nonché il principio del «processo equo».

203. Anche su questo punto, però, ritengo più convincente l’analisi svolta dal Tribunale. Aggiungo solo qualche considerazione sull’asserita “doppia” presa in considerazione del comportamento ostruzionista delle ricorrenti.

204. Anzitutto osservo che, a mio avviso, la Commissione avrebbe leso i diritti fondamentali delle ricorrenti solo nell’ipotesi in cui avesse imputato due volte alle ricorrenti una stessa circostanza aggravante.

205. Completamente diversa è invece una situazione in cui, come nella specie, l’esistenza di una circostanza aggravante è inconciliabile con i presupposti di applicazione di una circostanza attenuante. In tal caso il comportamento collaborativo o meno di un’impresa dovrà essere valutato nel suo complesso.

206. Orbene, dalla decisione della Commissione emerge un contributo delle ricorrenti piuttosto parziale e limitato, nonché assai contrastato. In effetti, se è vero che esse hanno, in una certa misura, collaborato con la Commissione apportando alcuni elementi di prova a complemento di quelli già in suo possesso e riconoscendo in parte la loro partecipazione all’intesa, è anche vero che hanno nel contempo deliberatamente ostacolato le indagini fornendo informazioni incomplete e parzialmente inesatte, rendendo così più difficile l’inchiesta della Commissione. Tale circostanza, come si può evincere non solo dallo spirito della comunicazione sulla cooperazione, ma anche dalla costante giurisprudenza citata dal Tribunale, mi sembra difficilmente conciliabile con l’esigenza di un “comportamento cooperativo” in grado di giustificare una riduzione dell’ammenda.

207. ii) Per parte sua, LR AF 1998 lamenta che la Commissione abbia ingiustamente escluso la sussistenza di circostanze attenuanti nei suoi confronti e che il Tribunale abbia errato nel condividere tale decisione.

208. In particolare, la ricorrente fa valere di avere diritto ad una riduzione dell’ammenda inflittale a motivo delle seguenti circostanze: a) essa si trovava in un rapporto di «sudditanza» rispetto ad ABB, il principale operatore ed il solo gruppo multinazionale nel settore del riscaldamento urbano nonché l’impresa capofila dell’intesa; b) era stata vittima della pressione economica esercitata dalla medesima ABB al fine di costringerla a partecipare all’intesa ed a porre in essere le misure decise di comune accordo dalle imprese; c) le infrazioni al diritto della concorrenza addebitate ad ABB erano molto più gravi di quelle addebitate alla ricorrente.

209. Sotto un secondo profilo, LR AF 1998 rimprovera alla Commissione di aver ignorato le pressioni esercitate da ABB sulle altre imprese e contesta al Tribunale di aver giustificato la Commissione in base al rilievo che, «in sede di determinazione dell’ammenda da infliggere all’ABB, le pressioni che quest’ultima ha esercitato sono state ritenute un elemento che determinava un aumento della sua ammenda» (82).

210. Secondo la ricorrente, infatti, l’obbligo di determinare l’importo di un’ammenda sulla base dei fattori individuali pertinenti non potrebbe essere rispettato mediante una operazione di aggiustamento dell’ammenda inflitta ad un’altra impresa.

211. La ricorrente obietta infine che il Tribunale avrebbe errato nel giudicare che l’introduzione da parte sua di un programma interno di adeguamento al diritto comunitario non costituiva una circostanza attenuante tale da giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda a lei comminata.

212. Per parte mia, ritengo che il Tribunale abbia correttamente escluso che LR AF 1998 avesse il diritto di vedersi applicare le circostanze attenuanti da parte della Commissione.

213. Nessuna di siffatte circostanze può infatti, a mio avviso, rinvenirsi nella pressione economica che, a dire della ricorrente, ABB avrebbe esercitato nei suoi confronti.

214. In proposito, ricordo anzitutto che gli Orientamenti non includono espressamente tale ipotesi tra le circostanze attenuanti elencate al punto 3 di questi (83).

215. Inoltre, la Commissione, a mio avviso correttamente, ha dato finora un’interpretazione restrittiva dell’attenuante in questione, ritenendo che essa possa trovare applicazione solo nel caso in cui la partecipazione di un’impresa ad un cartello sia minima, ad esempio quando l’impresa non abbia mai preso parte ad alcuna riunione dell’intesa anticoncorrenziale (84). Diversamente, si dovrebbe riconoscere tale attenuante a tutte le imprese che non abbiano svolto il ruolo di istigatore ed iniziatore dell’intesa, dilatando oltremodo il suo ambito di applicazione.

216. Nel caso di specie, poi, il Tribunale ha potuto accertare, senza ombra di dubbio, non solo la presenza, ma anche la partecipazione attiva della ricorrente a numerose riunioni del cartello europeo. Né rileva il fatto che a ciò essa possa essere stata costretta da ABB, perché nulla le impediva di denunciare tali pressioni alle autorità nazionali preposte alla tutela della concorrenza o alla stessa Commissione, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento 17.

217. Meno convincente pare invece il ragionamento seguito dal Tribunale allorché ha ritenuto che, in ogni caso, «non si può contestare alla Commissione di aver ignorato tali pressioni, in quanto, in sede di determinazione dell’ammenda da infliggere all’ABB, le pressioni che quest’ultima ha esercitato sulle altre imprese per convincerle ad aderire all’intesa sono state ritenute elemento che determinava un aumento della sua ammenda».

218. Mi sembra infatti che, data la natura puramente individuale dell’ammenda, non si possa giustificare la mancata riduzione del suo importo ai danni di un operatore economico in nome del corrispondente aumento dell’ammenda inflitta ad un altro operatore.

219. Ciò detto, ritengo tuttavia che questo errore di valutazione del Tribunale non sia tale da inficiare la conclusione cui era giunta la decisione impugnata secondo cui LR AF 1998 non aveva diritto ad alcuna riduzione dell’ammenda. Mi sembra, infatti, che la Commissione abbia correttamente ritenuto che, per salvaguardare la propria posizione, la ricorrente avesse a disposizione mezzi legali più efficaci della partecipazione all’intesa anticoncorrenziale.

220. Nessuna rilevanza può infine essere attribuita al fatto che la ricorrente si era dotata di un programma interno di adeguamento al diritto comunitario. A questo proposito mi trovo in pieno accordo con quanto affermato dal Tribunale al punto 345 della sentenza impugnata e, pertanto, ritengo superfluo soffermarsi ulteriormente su tale punto.

221. Concludo quindi nel senso che anche i motivi di impugnazione appena esaminati devono essere respinti.

3) Sui motivi relativi alla violazione di regole procedurali

222. Con il suo primo mezzo di ricorso, ABB Asea Brown Boveri Ltd (prosieguo: «ABB») lamenta che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il parere del prof. J. Schwarze, allegato alla memoria di replica della ricorrente, non potesse essere preso in considerazione in quanto, contrariamente a quanto previsto dall’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, introduceva nuovi mezzi di impugnazione non sollevati nel ricorso.

223. Al riguardo, ricordo che secondo tale disposizione «[è] vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento».

224. Secondo il costante insegnamento della Corte (85), sono considerati «motivi nuovi» quegli argomenti introdotti nel corso del procedimento che non risultano in alcun modo collegati alle argomentazioni di diritto in esso già sviluppate.

225. Ne consegue che sono per contro ricevibili quegli argomenti che, pur essendo sollevati nel corso della procedura, sono riconducibili a motivi già precedentemente sollevati in quanto ne costituiscono uno sviluppo diretto o implicito.

226. Ciò chiarito, occorre dunque verificare se le argomentazioni svolte nel proprio parere dal prof. Schwarze costituiscano il naturale sviluppo dei motivi sollevati da ABB nel proprio ricorso al Tribunale. 

227. Ora, il parere del prof. Schwarze analizza, in buona sostanza, se la decisione impugnata sia conforme ad alcuni principi generali di diritto, quali, segnatamente, i principi del legittimo affidamento, dell’autolimitazione della pubblica amministrazione, dell’estoppel, di buona amministrazione e del diritto alla difesa.

228. Nel proprio ricorso, ABB si è soffermata solo su alcuni di questi principi. In particolare, ai punti 44 e seguenti del ricorso, la ricorrente ha contestato alla Commissione di avere violato, mediante un’applicazione retroattiva degli Orientamenti, il suo legittimo affidamento al mantenimento di una prassi in materia di calcolo dell’importo delle ammende, nonché di aver violato alcune garanzie procedurali della ricorrente.

229. Nella prima parte del ricorso, invece, essa ha lamentato che, nel corso del procedimento da cui è originata la decisione impugnata, la Commissione avrebbe violato il suo diritto alla difesa ed il suo diritto ad essere ascoltata.

230. La ricorrente non ha mai invece lamentato la violazione degli altri principi di cui il prof. Schwarze si occupa nel proprio parere, segnatamente i principi dell’autolimitazione della pubblica amministrazione, dell’estoppel e di buona amministrazione.

231. Così stando le cose, gran parte degli argomenti sviluppati nel parere non possono essere considerati «nuovi».

232. D’altra parte, neppure si può eccepire la ricevibilità delle argomentazioni del prof. Schwarze per il fatto di essere esposte in un parere giuridico allegato alla memoria di replica. Ritengo, infatti, che l’art. 48 non precluda alla parte che intende produrre nuovi mezzi di diritto ovvero sviluppare i motivi già sollevati (qualora ciò sia consentito) di avvalersi di un parere redatto da un giurista esterno al collegio di difesa.

233. Mi pare dunque che, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale, il parere del prof. Schwarze debba considerarsi ricevibile per le parti in cui analizza la pretesa violazione del principio del legittimo affidamento e dei diritti della difesa della ricorrente.

234. Osservo peraltro che, anche se tali parti del parere fossero state ammesse dal Tribunale, le argomentazioni ivi contenute non avrebbero intaccato le conclusioni cui è giunto il giudice di primo grado in merito a tali principi. Infatti, le valutazioni sviluppate dal prof. Schwarze non modificano nella sostanza le argomentazioni con le quali sia ABB sia le altre ricorrenti hanno, già nel giudizio di primo grado, lamentato la violazione dei predetti principi.

235. Ora, dato che, come ho cercato di dimostrare in precedenza, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nel rigettare i motivi di ricorso relativi all’asserita violazione di tali principi, ne consegue che la censura in esame non può essere accolta.

236. In conclusione, rilevo che nessuna delle censure formulate dalle ricorrenti è risultata fin qui fondata, con la conseguenza che i loro ricorsi non possono essere accolti.

IV – Sulle spese

237. Alla luce dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, e considerate le conclusioni cui sono giunto in merito al rigetto dei ricorsi, ritengo che le ricorrenti debbano essere condannate alle spese.

V –    Conclusioni

238. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di dichiarare che:

–      i ricorsi sono respinti;

–      le ricorrenti sono condannate alle spese.


1 – Lingua originale: l'italiano.


2  – Rispettivamente, Racc. pagg. II-1487; II-1613; II-1633; II-1647; II-1681; II-1705 e II‑1881.


3  – GU 1999, L 24, pag. 1.


4  – GU 1962, n. 13, pag. 204.


5  – GU 1998, C 9, pag. 3.


6  – In funzione della gravità dell’infrazione, gli Orientamenti fissano delle somme forfettarie che andranno a costituire, unitamente alla valutazione della durata dell’infrazione, l’importo di base del calcolo dell’ammenda. Per le infrazione «poco gravi» l’ammenda applicabile va da un minimo di EUR 1 000 a EUR 1 milione; per le infrazioni «gravi» da EUR 1 milione a EUR 20 milioni e per le infrazioni «molto gravi» oltre gli EUR 20 milioni (punto 1, parte A, degli Orientamenti).


7  – Il punto 2 degli Orientamenti prevede una «[m]aggiorazione dell’importo di base [dell’ammenda] per circostanze aggravanti particolari quali:


- recidiva della/delle medesima/e impresa/e per un’infrazione del medesimo tipo;


- rifiuto di qualunque cooperazione o tentativi di ostruzionismo durante lo svolgimento dell’inchiesta;


- organizzazione dell’infrazione o istigazione a commetterla;


- misure di ritorsione nei confronti di altre imprese per fare “rispettare” le pratiche configuranti infrazione;


– necessità di maggiorare la sanzione per superare l’importo degli utili illeciti realizzati grazie all’infrazione, quando la stima di tali utili sia obiettivamente possibile;


– altre circostanze».


8  – In tal senso, il punto 3 degli Orientamenti specifica che: «Riduzione dell’importo di base per circostanze attenuanti quali: ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione;


– non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite; 


– aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti); 


– esistenza di un dubbio ragionevole dell’impresa circa il carattere di infrazione del comportamento restrittivo della concorrenza; 


– infrazioni commesse per negligenza e non intenzionalmente; 


– collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura al di là del campo di applicazione della comunicazione del 18 luglio 1996 sulla non imposizione o sulla riduzione di ammende;


– altro».


9  – GU C 207, pag. 4.


10  – La parte B della comunicazione sulla cooperazione stabilisce che: «L’impresa la quale: a) denunci l’intesa segreta alla Commissione prima che quest’ultima abbia proceduto ad un accertamento, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa e senza che essa già disponga di informazioni sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’intesa denunciata; b) sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa; c) abbia cessato di partecipare all’attività illecita al più tardi al momento in cui denuncia l’intesa; d) fornisca alla Commissione tutte le informazioni utili nonché tutti i documenti e gli elementi probatori di cui dispone riguardanti l’intesa e assicuri una permanente e totale cooperazione per tutto il corso dell’indagine; e) non abbia costretto un’altra impresa a partecipare all’intesa ne abbia svolto un ruolo di iniziazione o determinante nell’attività illecita, beneficia di una riduzione pari almeno al 75% dell’ammontare dell’ammenda, che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione, o della totale non imposizione della medesima».


11  – La parte C della comunicazione sulla cooperazione precisa che: «L’impresa che, soddisfatte le condizioni di cui al punto B, lettere da b) ad e), denunci l’intesa segreta dopo che la Commissione abbia proceduto ad accertamenti, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa stessa, senza che tali accertamenti abbiano potuto fornire una base sufficiente per giustificare l’avvio del procedimento in vista dell’adozione di una decisione, beneficia di una riduzione dal 50% al 75% dell’ammontare dell’ammenda».


12  – La parte D della comunicazione sulla cooperazione prevede che: «1. Un’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B o C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione. 2. Ciò può verificarsi in particolare:


– se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,


– e, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».


13  – Devo avvertire che, per quanto riguarda la descrizione del quadro fattuale e le altre citazioni delle sentenze impugnate, farò principalmente riferimento, vista la sostanziale identità delle motivazioni delle sentenze impugnate, ad una sola delle stesse, segnatamente alla sentenza resa nella causa T-23/99, LR AF 1998/Commissione.


14  – Punti 278-281 della sentenza impugnata.


15  – Punti 286-290 della sentenza impugnata.


16  – Punti 295-298 della sentenza impugnata.


17  – Punto 221 della sentenza impugnata.


18  – Punto 231 della sentenza impugnata.


19  – Punti 241-243 della sentenza impugnata.


20  – Punti 202-207 della sentenza impugnata.


21  – Punto 383 della sentenza impugnata.


22  – Punto 384 della sentenza impugnata.


23  – Il Tribunale ha accertato che la HFB Holding für Fernwärmetechnik Beteiligungsgesellschaft mbH & CO. KG e la HFB Holding für Fernwärmetechnik Beteiligungsgesellschaft mbH Verwaltungsgesellschaft non esistevano ancora al momento in cui l’infrazione contestata era stata posta in essere.


24  – Il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta alla Sigma a EUR 300 000, avuto riguardo al fatto che la Sigma operava solo sul mercato italiano e non sull’insieme del mercato comune.  


25  – Il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta a ABB Asea Brown Boveri a EUR 65 000 000, perché la ABB non ha più contestato la sua partecipazione all’accordo ed ha cooperato con la Commissione fornendole prove dell’intesa dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti.


26  – Sentenza 6 marzo 1979, causa 92/78, Simmenthal/Commissione (Racc. pag. 777, punto 40).


27  – Sentenza 13 luglio 1966, causa 32/65, Italia/Consiglio e Commissione (Racc. pag. 295, in particolare pag. 323.


28  – Sentenze 31 marzo 1965, causa 21/64, Macchiorlati Dalmas e Figli/Alta Autorità (Racc. pag. 221, in particolare 238), e 10 giugno 1986, cause riunite 81/85 e 119/85, Usinor/Commissione (Racc. pag. 1777, punto 13).


29  – Sentenze 18 marzo 1975, cause riunite 44/74, 46/74 e 49/74, Acton e a./Commissione (Racc. pag. 383, punto 7), e 14 febbraio 1989, causa 206/87, Lefebvre Frère et Soeur/Commissione (Racc. pag. 275, punto 13).


30  – Sentenza 30 gennaio 1974, causa 148/73, Louwage/Commissione (Racc. pag. 81, punto 12).


31  – Sentenza 13 novembre 1991, causa C-303/90, Francia/Commissione (Racc. pag. I‑5315).


32  – Sentenza 9 ottobre 1990, causa C-366/88, Francia/Commissione (Racc. pag. I‑3571).


33  – Sentenza 17 luglio 1997, causa C-219/95 P, Ferriere Nord/Commissione (Racc. pag. I‑4411, punto 33). Il corsivo è mio.


34  – V., in particolare, sentenza 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française/Commissione (Racc. pag. 1825), e sentenza 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione (Racc. pag. 3461).


35  – Sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 121.


36  – Per esempio, al momento della considerazione del fatto che «le imprese di grandi dimensioni dispongono quasi sempre di conoscenze e di infrastrutture giuridico-economiche che consentono loro  di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento e delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo del diritto della concorrenza» (punto 1, parte A, quinto paragrafo), oppure al momento dell’eventuale presa in considerazione del «vantaggio economico o finanziario realizzato dagli autori dell’infrazione», nonché delle «caratteristiche delle imprese in questione» [punto 5, lett. b)].


37  – V., per esempio, sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 106.


38  – Il corsivo è mio.


39  – Cfr. punti  454-458 della sentenza impugnata.


40  – Punto 2, quinto trattino, degli Orientamenti.


41  – Sentenza 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione (Racc. pag. 3283).


42  – Sentenza Orkem, cit., punto 35.  


43  – Sentenza 16 novembre 2000, causa C-298/98 P, Finnboard/Commissione (Racc. pag. I‑10157).


44  – Ibidem, punto 58.


45  – Sentenza Musique Diffusion française, cit.


46  – Sentenze 17 dicembre 1998, causa C-185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione (Racc. pag. I‑8417, punto 128), e 29 aprile 2004, causa C‑359/01 P, British Sugar /Commissione (Racc. pag. I‑4933, punto 47).


47  – Citate sentenze Ferriere Nord, punto 31, e Baustahlgewebe, punto 128.


48  – Citate sentenze Baustahlgewebe, e British Sugar, punto 48.


49  – Sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P, C-219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione (Racc. pag. I‑123, punto 365).


50  – V., per esempio, sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 119.


51  – Sentenza del Tribunale Brugg Rohrsysteme cit., punto 155.


52  – Una questione diversa, che mi propongo di affrontare più avanti (v. paragrafo 113 e ss.), riguarda le conseguenze che può avere il superamento del limite massimo del 10% sulla legittimità delle ammende per le quali la Commissione ha dovuto applicare una riduzione per rispettare quel limite.


53  – Sentenza 8 luglio 1999, causa C-51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione (Racc. pag. I‑4235, punto 110). V. anche sentenze 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73-48/73, 50/73, 54/73‑56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione (Racc. pag. 1663, punto 623, e Aalborg Portland, cit., punto 92).


54  – Sentenze 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide (Racc. pag. 4209, punto 28), e 28 giugno 1990, causa C-174/89, Hoche (Racc. pag. I-2681, punto 25).


55  – Tranne che per quanto riguarda la Dansk Rørindustri, per la quale il Tribunale ha deciso che la Commissione aveva commesso un errore di valutazione nel contestare alla ricorrente una partecipazione all’intesa per il periodo compreso tra aprile e agosto 1994. Ciò malgrado, il Tribunale ha confermato l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione.


56  – Sentenza LR AF 1998/Commissione, cit., punto 296.


57  – V., per esempio, sentenza LR AF 1998/Commissione, cit., punto 304, ove il Tribunale afferma che, per quanto riguarda la fissazione dell’importo di base per le imprese appartenenti alla «seconda categoria», «alla luce dei criteri utilizzati (…) per la valutazione dell’importanza di ciascuna delle imprese sul mercato rilevante (...) la Commissione poteva legittimamente imporre, quantomeno, un importo di base due volte superiore rispetto a quello imposto alle imprese della terza categoria».


58  – V. sentenza LR AF 1998, cit., punto 288.


59  – Al riguardo, conviene osservare che, proprio per tali motivi, gli Orientamenti per la determinazione delle ammende adottati dalla Nederlandse Mededingingsautoriteit (l’autorità olandese per la concorrenza) si sono espressamente discostati dalla linea seguita dalla Commissione: “With regard to fines for infringements of the Competition Act, the Director‑General of NMa is of the opinion that the Guidelines drawn up by the European Commission cannot be taken as the point of departure without adaptation. The European Commission uses categories of infringements, in accordance with the aforementioned Guidelines, to which fixed fines apply. A disadvantage of a system of fixed fines is that small undertakings are affected relatively more harshly than larger undertakings (which often operate internationally). The policy of the Director-General of NMa with regard to fines must be applicable both to (very) large undertakings and to small and medium-sized undertakings, without losing the intended preventive effect, on the one hand, and generating disproportionate results, on the other.” (Richtsnoeren boetetoemeting – met betrekking tot het opleggen van boetes ingevolge artikel 57 van de Mededingingswet, 19 dicembre 2001, punto 5).


60  – Comunicazione sulla cooperazione, punto A, nn.  1-3.


61  – Sentenza 12 novembre 1987, causa 344/85, Ferriere San Carlo/Commissione (Racc. pag. 4435).


62  – Sentenza 15 aprile 1997, causa C-22/94, Irish Farmers Association e a. (Racc. pag. I-1809, punto 25); v. altresì sentenza 11 marzo 1987, causa 265/85, Van den Bergh en Jurgens/Commissione (Racc. pag. 1155, punto 44).


63  – V. sentenza 14 febbraio 1990, causa 350/88, Delacre (Racc. I-395), punto 33.


64  – Sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 109.


65– Sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 22.


66– V. XXI Relazione sulla politica di concorrenza, pag. 120.


67  – Sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 21. V. anche sentenza Michelin/Commissione, cit., punti 19 e 20.


68  – V., per esempio, sentenza LR AF 1998, cit., punti 201-203.


69  – Sentenze Musique Diffusion française, cit., punto 21, e Michelin, cit., punto 19.


70  – Sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 22.


71– Sentenze 16 novembre 2000, causa C-291/98 P, Sarrió/Commissione (Racc. pag. I‑9991, punto 73); causa C-279/98 P, Cascades/Commissione (Racc. pag. I‑9693, punto 43), e sentenza 15 ottobre 2002, cause riunite C-238/99 P, C‑244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, C-250/99 P, C‑252/99 P, C-254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij NV (LVM) e a./Commissione (Racc. pag. I‑375, punto 463).


72  – V., per esempio, sentenza LR AF 1998, cit., punto 378.


73  – Ordinanza 25 marzo 1996, causa C-137/95 P, SPO e a./Commissione (Racc. pag. I‑1611, punto 54).


74  – V. sentenze del Tribunale Lögstör Rör, cit., punto 372; Ke-Kelit, cit., punto 203, e LR AF 1998, cit., punto 383.


75  – Sentenza del Tribunale LR AF 1998, cit., punto 385. Il corsivo è mio.


76  – Sentenza 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig/Commissione (Racc. pag. 457, in particolare pag. 517).


77  – Sentenze 8 luglio 1999, causa C-49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni (Racc. pag. I‑4125, punto 90), e Aalborg Portland e a., cit., punto 86.


78  – V., per esempio, sentenza Anic Partecipazioni, cit., punto 90.


79  – Sentenza 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage e Crehan (Racc. pag. I‑6297, punto 35).


80  – Sentenza Anic Partecipazioni, cit., punto 87.


81  – Sentenza Alborg Portland e a., cit., punti 81 e ss.


82  – Sentenza LR AF 1998, cit., punto 339.


83  – Il punto 3 di tale comunicazione precisa infatti che sono circostanze attenuanti, tali da giustificare una riduzione dell’ammenda, «[il] ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione; [la] non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite; [l’] aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti); [l’]esistenza di un dubbio ragionevole dell’impresa circa il carattere di infrazione del comportamento restrittivo della concorrenza; infrazioni commesse per negligenza e non intenzionalmente; [la] collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione del 18 luglio 1996 sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende; altro».


84  – V. decisioni della Commissione del 7 giugno 2000, Acido amminico, (GU L 152 pag. 24) e 21 novembre 2001, Vitamine (GU L 6, pag. 1).


85  – Sentenze 21 dicembre 1954, causa 2/54, Italia/Alta Autorità (Racc. pag. 75, punto 6); 30 settembre 1982, causa 108/81, Amylum/Consiglio (Racc. pag. 3107, punto 25); 4 febbraio 1997, cause riunite C-71/95, C-155/95, C‑271/95, Belgio/Commissione (Racc. pag. I-687).