CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
M. POIARES MADURO
presentate il 14 settembre 2004(1)



Causa C-41/02



Commissione delle Comunità europee
contro
Regno dei Paesi Bassi


«Misure d'effetto equivalente – Tutela della salute – Alimenti arricchiti d'additivi – Commercializzazione subordinata ad un'esigenza nutrizionale»






1.        La presente causa costituisce una nuova occasione per risolvere il conflitto tra il principio della libera circolazione delle merci e l’esigenza di tutela della salute, entrambi garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario. La Commissione delle Comunità europee ha proposto un ricorso per inadempimento contro il Regno dei Paesi Bassi, affermando che la legge olandese che disciplina l’autorizzazione alla commercializzazione di taluni additivi alimentari nonché l’applicazione che ne è fatta dalle autorità amministrative e giudiziarie nazionali sono incompatibili con gli artt. 30 e 36 del Trattato CE  (2) (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 30 CE). Il Regno dei Paesi Bassi nega la sussistenza dell’inadempimento e giustifica la sua normativa e la sua prassi facendo riferimento alla necessità di tutelare la salute.

I – Fatti e fase precontenziosa del procedimento

2.        La Commissione ha riunito nel presente ricorso tre procedimenti inizialmente distinti. La fase precontenziosa del procedimento è stata avviata in seguito alle denunce di due operatori privati ed in occasione della comunicazione, da parte del Regno dei Paesi Bassi, di un testo legislativo attuativo della direttiva del Consiglio 28 marzo 1984, 83/189/CEE, che prevede una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche  (3) , come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 marzo 1994, 94/10/CE  (4) .

3.        La società Kellogg’s ha segnalato alla Commissione il diniego dell’autorizzazione alla commercializzazione di alcuni cereali per la prima colazione contenenti vitamina D e acido folico oppostole dalle autorità olandesi. Il 26 giugno 1996 la Commissione, con lettera di diffida al Regno dei Paesi Bassi, ha censurato tale provvedimento per la mancanza di prova del fatto che la commercializzazione dei cereali avrebbe potuto rappresentare un pericolo per la salute e perché l’obbligo di dimostrare un’effettiva esigenza nutrizionale della popolazione contrasterebbe con il diritto comunitario. La risposta del Regno dei Paesi Bassi del 6 maggio 1997 non ha persuaso la Commissione, che ha quindi inviato allo Stato membro un parere motivato datato 23 settembre 1997.

4.        Al contempo, anche la società Inkosport Nederland ha denunciato alla Commissione il diniego alla commercializzazione di barrette energetiche oppostole dalle autorità olandesi. Con riferimento a tale vertenza, il 26 giugno 1996 la Commissione ha indirizzato al Regno dei Paesi Bassi una lettera di diffida. Poiché la risposta di quest’ultimo non è stata ritenuta soddisfacente, la Commissione ha portato aventi il procedimento, inviando a tale Stato un parere motivato in data 23 settembre 1997.

5.        Peraltro, il Regno dei Paesi Bassi ha comunicato alla Commissione la Warenwetbesluit Toevoeging micro-voedingsstoffen aan levensmiddelen (decreto attuativo della legge sulle derrate alimentari relativo all’aggiunta di micronutrienti agli alimenti del 24 maggio 1996)  (5) . Tale decreto prevede un regime di esenzione dal divieto di commercializzazione di micronutrienti a condizione, da un lato, che sia provata l’innocuità della loro aggiunta, e, dall’altro, che tale aggiunta corrisponda ad un’effettiva esigenza nutrizionale. Esso si colloca nel quadro della normativa olandese sulla produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari.

6.        Inizialmente, ogni aggiunta di vitamine, composti del fluoro o dello iodio, di amminoacidi o di loro sali nei prodotti alimentari era vietata  (6) . Tale divieto è stato mitigato dal decreto del 24 maggio 1996, che consente la presenza delle vitamine incluse in un elenco allegato allo stesso decreto  (7) all’interno degli alimenti arricchiti, definiti come «un alimento integrato con uno o più micronutrienti, ma la cui finalità principale non è di fornire micronutrienti»  (8) . Dal canto loro, i micronutrienti sono definiti come «sostanze nutritive indispensabili al funzionamento dell’organismo umano, che esso non è in grado di produrre da sé e che devono essere consumate in piccole quantità»  (9) . Alcuni micronutrienti sono tuttavia sottoposti ad un regime particolare: «la vitamina A sotto forma di retinoidi, la vitamina D, l’acido folico, il selenio, il rame e lo zinco possono essere aggiunti ad un alimento arricchito esclusivamente per farne un alimento sostitutivo oppure un alimento ripristinato»  (10) . Ai sensi della normativa olandese, un prodotto sostitutivo è «un alimento arricchito che è volto a sostituire un alimento esistente e che si avvicina quanto più possibile a quest’ultimo per apparenza, consistenza, gusto, colore, odore e destinazione, ed al quale sono stati aggiunti uno o più micronutrienti in proporzioni che non superano quelle in cui tali sostanze sono naturalmente presenti nell’alimento da sostituire»  (11) . Un alimento ripristinato è un alimento arricchito al quale sono stati aggiunti uno o più micronutrienti al fine di compensare la loro scomparsa contemporanea o successiva alla lavorazione del prodotto  (12) .

7.        La Commissione, reputando tale regime giuridico non compatibile con la libera circolazione delle merci, con lettera del 22 dicembre 1997 ha intimato alle autorità olandesi di fornire spiegazioni al riguardo. Un parere motivato datato 31 agosto 1998 ed un parere motivato integrativo del 21 dicembre 1998 sono successivamente intervenuti a precisare le censure della Commissione. Le autorità olandesi hanno risposto confermando la loro divergenza di opinione.

8.        La Commissione ha quindi proposto il presente ricorso per inadempimento, basato sull’unica censura secondo cui la normativa olandese sulla commercializzazione degli alimenti arricchiti sarebbe incompatibile con la libera circolazione delle merci, e ciò avuto riguardo sia al testo normativo in sé, sia alla prassi applicativa seguita dalle autorità olandesi.

9.        Il 14 luglio 2004 si è svolta un’udienza nel corso della quale le parti hanno presentato le conseguenze che esse deducono, con riferimento alla causa di cui sono parti, dalla giurisprudenza recente della Corte ed in particolare dalla sentenza 23 settembre 2003, causa C‑192/01, Commissione/Danimarca  (13) , che fornisce alcune precisazioni sul settore in questione.

II – Impostazione del problema

10.      Il ricorso per inadempimento contro il Regno dei Paesi Bassi in esame presenta molti aspetti in comune con quello che la Commissione aveva proposto contro il Regno di Danimarca e che si è concluso con la condanna di quest’ultimo nella sentenza Commissione/Danimarca, sopra citata. Tuttavia, mentre la legge danese aveva un carattere generale, la normativa olandese di cui è causa si applica unicamente a sei nutrienti  (14) . Inoltre, la questione principale posta dalla presente causa è diversa da quella che la Corte doveva risolvere nel caso danese, poiché il Regno dei Paesi Bassi non ha una definizione di esigenza nutrizionale tanto rigida quanto quella vigente in Danimarca  (15) , ma, al contrario, tenta di legare tale nozione a quella di pericolo per la salute. Sostanzialmente, il Regno dei Paesi Bassi giustifica il regime giuridico speciale al quale sono assoggettate talune sostanze nutritive richiamandosi alla circostanza che la differenza tra la quantità raccomandata ed il livello di ingestione idoneo a comportare effetti nocivi è molto ridotta  (16) . Così, secondo il Regno dei Paesi Bassi, qualsiasi aggiunta di tali sostanze nutritive negli alimenti potrebbe comportare rischi per la salute.

11.      Prima di analizzare nei dettagli il regime giuridico olandese, occorre precisare i criteri interpretativi che sono stati elaborati dalla giurisprudenza con riferimento al settore in questione. Le parti concordano sul fatto che l’autorizzazione preventiva alla commercializzazione di un prodotto in uno Stato membro, qualora tale prodotto sia ammesso all’interno di altri Stati membri, rappresenta una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative alla libera circolazione delle merci ai sensi dell’art. 30 del Trattato.

12.      Poiché la commercializzazione degli alimenti arricchiti di micronutrienti non è ancora stata armonizzata a livello comunitario  (17) , gli Stati membri conservano la facoltà di dettarne la disciplina giuridica. I nutrienti  (18) sono definiti all’art. 4, n. 2, della direttiva 89/398 come «delle sostanze aventi uno scopo nutrizionale specifico, come vitamine, sali minerali, aminoacidi e altre sostanze da aggiungere ai prodotti alimentari destinati a un’alimentazione particolare». La legge olandese si applica a tutti i prodotti alimentari, indipendentemente dalla loro origine. Il sistema di autorizzazione preventiva alla commercializzazione degli alimenti contenenti nutrienti in vigore nel Regno dei Paesi potrebbe, quindi, essere giustificato a titolo di tutela della salute, la quale è anteposta agli altri interessi giuridicamente protetti enumerati all’art. 36 del Trattato CE  (19) .

13.      Secondo la giurisprudenza, l’analisi da effettuare per verificare se un regime di autorizzazione preventiva possa beneficiare della deroga prevista all’art. 36 del Trattato è costituita da due fasi: si devono dapprima esaminare le condizioni di validità di un procedimento di autorizzazione preventiva e, secondariamente, si deve valutare il criterio adottato per giustificare un divieto di immissione sul mercato.

A – Le condizioni di validità di un procedimento di autorizzazione preventiva

14.      In assenza di armonizzazione comunitaria nel settore dei nutrienti, gli Stati Membri restano in principio liberi di scegliere il livello di tutela della salute che essi intendono garantire. Si colloca in tale quadro l’istituzione di un procedimento che sottopone la commercializzazione di alimenti ammessi in altri Stati membri ad una previa autorizzazione  (20) .

15.      Tuttavia, il ricorso ad un sistema di autorizzazione preventiva è compatibile con le esigenze della libera circolazione delle merci soltanto qualora esso sia giustificato dalla tutela della salute pubblica e sia proporzionato all’obiettivo perseguito  (21) .

16.      Per queste ragioni, la permanenza in vigore di un tale sistema è subordinata alla prova della sua necessità  (22) . Il tipo di procedimento preventivo che si utilizza è altresì controllato al fine di evitare che, mediante una loro classificazione automatica come sostanze medicinali, venga ostacolata la commercializzazione degli alimenti contenenti vitamine  (23) . L’ambito di applicazione del procedimento di previa autorizzazione deve essere limitato quanto più possibile. Tra tutti i sistemi idonei a raggiungere il medesimo obiettivo di tutela della salute, dovrà adottarsi con preferenza quello meno restrittivo per gli scambi commerciali  (24) .

17.      Secondo una giurisprudenza costante  (25) , la Corte riconosce la liceità dei procedimenti nazionali di autorizzazione preventiva per i nutrienti. Infatti, questi ultimi, o almeno alcuni di essi, sono potenzialmente pericolosi per la salute. Peraltro, la normativa comunitaria in materia è così configurata: una direttiva quadro relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di additivi autorizzati nei prodotti alimentari destinati al consumo umano prescrive l’adozione, da parte del Consiglio a maggioranza qualificata e previo parere del comitato permanente per i prodotti alimentari, di misure indicanti con precisione gli additivi ammessi e le relative modalità di impiego  (26) . Gli Stati membri sono obbligati ad autorizzare gli additivi conformi alla direttiva quadro  (27) . Essi restano liberi di stabilire le norme applicabili agli additivi che non sono stati oggetto delle predette misure di attuazione, e, in particolare, di fissarne la soglia di pericolosità. In tale contesto, appare legittimo che gli Stati membri possano sottoporre ad una previa autorizzazione l’aggiunta di nutrienti potenzialmente pericolosi per la salute se consumati in quantità eccessive. Si può, al riguardo, notare la somiglianza con il ragionamento seguito dalla Corte per ammettere la legittimità dei procedimenti di autorizzazione preventiva relativi ai pesticidi o alle sostanze disinfettanti  (28) .

18.      Una volta accertata la necessità di istituire un procedimento di autorizzazione preventiva per tutelare la salute, occorre altresì verificare se esso sia conforme al principio di proporzionalità.

19.      Nell’ambito dell’analisi sulla proporzionalità, sono da annoverare quattro condizioni procedurali necessarie per la legittimità di un procedimento di previa autorizzazione. La Corte verifica che il procedimento nazionale non contenga duplicazioni rispetto a procedimenti già condotti in altri Stati Membri  (29) . Le regole applicabili devono essere pubblicate in modo chiaro, affinché la suddetta procedura sia agevolmente accessibile per gli operatori economici  (30) . Inoltre, il procedimento non è conforme al principio della libera circolazione delle merci se la sua durata ed i suoi costi sono talmente eccessivi da dissuadere gli operatori dal ricorrervi  (31) . Infine, ogni diniego dell’autorizzazione deve essere impugnabile mediante un ricorso esperibile in via giudiziaria  (32) . Del resto, tali criteri non incidono sulla tutela della salute  (33) .

B – Il criterio di autorizzazione alla commercializzazione degli alimenti soggetti a controllo preventivo

20.      Il principio di proporzionalità non si limita ad imporre ai sistemi di autorizzazione preventiva istituiti dagli Stati membri i requisiti procedurali-formali sopra ricordati, ma esige altresì di verificare che sia stato fatto ricorso ad un criterio idoneo a giustificare la decisione conclusiva di autorizzazione oppure di interdizione all’immissione sul mercato di un prodotto alimentare. Di fatto, la verifica della conformità delle decisioni adottate  ad esito del procedimento nazionale con le esigenze del principio di proporzionalità si concentra soprattutto sull’esame delle decisioni di divieto, che costituiscono le misure maggiormente restrittive degli scambi commerciali  (34) .

21.      Secondo la giurisprudenza della Corte, una decisione di divieto della commercializzazione a conclusione di un procedimento preventivo è legittima soltanto in quanto essa sia fondata sull’esistenza di un rischio reale per la salute. Quest’ultimo deve essere dimostrato «sulla base dei dati scientifici più recenti disponibili al momento dell’adozione di una tale decisione»  (35) .

22.      Orbene, il rischio per la salute deve essere dimostrato attraverso una «valutazione approfondita del rischio»  (36) , «alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale»  (37) . Esso potrà giustificare un divieto di commercializzazione unicamente in base ai risultati di una siffatta analisi del rischio stesso  (38) .

23.      La necessità di un analisi del rischio per dimostrare la pericolosità per la salute della sostanza in questione risale ad una vecchia giurisprudenza della Corte. Ad esempio, già nelle sentenze Muller (39) e Bellon (40) appare il riferimento ai «risultati della ricerca scientifica internazionale».

24.      Il rischio legato a un prodotto è accertato sulla base di due fattori: «la valutazione del grado di probabilità degli effetti nocivi dell’aggiunta di determinate sostanze nutritive ai prodotti alimentari per la salute umana e della gravità di tali effetti potenziali»  (41) . L’evidenziazione di un rischio mortale, anche se la probabilità della sua realizzazione fosse scarsa, giustifica l’adozione di misure di salvaguardia della salute. Analogamente, un rischio di scarsa entità che si potrebbe verificare con un grado di probabilità vicino alla certezza potrà determinare un intervento del legislatore.

25.      All’interno dei differenti Stati membri possono sussistere diversi rischi a seconda delle «abitudini alimentari nazionali»  (42) . Queste ultime possono essere tali da determinare la variazione del consumo totale di un certo nutriente. Pertanto, il divieto di immettere un additivo sul mercato di uno Stato membro potrà essere legittimo anche se lo stesso è autorizzato in un altro Stato membro.

26.      Tuttavia, è ormai pacifico che l’esigenza nutrizionale non può incidere quale criterio autonomo nella valutazione compiuta dallo Stato per autorizzare o meno la commercializzazione di un nutriente  (43) . Così, in assenza di rischi per la salute, l’argomento ricavato dall’assenza di necessità dietetiche della popolazione con riguardo ad un nutriente non è sufficiente per giustificare un divieto di commercializzazione. A maggior ragione, qualora sussistano sia la necessità dietetica sia l’assenza di rischi per la salute, lo Stato membro sarà obbligato ad autorizzare la commercializzazione del nutriente in questione  (44) .

27.      Allorché dai dati scientifici disponibili appaia un rischio effettivo e certo per la salute derivante dall’ingestione del prodotto in questione, il divieto della commercializzazione del prodotto è conforme al diritto comunitario, poiché in tal caso il diritto alla salute prevale sul principio della libera circolazione delle merci.

28.      Per contro, in caso di incertezza sulla sua esistenza o sulla sua portata, la soglia del rischio per la salute che può essere fissata da uno Stato membro per giustificare un divieto di commercializzazione non è definita con chiarezza  (45) . La giurisprudenza ha posto solo una condizione negativa: per dimostrare l’incertezza scientifica non è sufficiente riferirsi a considerazioni ipotetiche  (46) . Da ciò essa ha concluso che la prova dell’incertezza scientifica può essere fornita soltanto in seguito ad una valutazione dei rischi.

29.      Il Regno dei Paesi Bassi fa valere il principio di precauzione per giustificare il rifiuto opposto ai produttori che intendevano aggiungere ad alcuni alimenti uno dei sei nutrienti in causa, il quale non soddisfa una necessità dietetica della popolazione. Effettivamente, la persistenza di un’incertezza scientifica sul rischio consente il ricorso al principio di precauzione. Nel preciso contesto del bilanciamento tra la libera circolazione delle merci e la tutela della salute, tale principio consiste nella possibilità di adottare una misura di salvaguardia della salute allorché sussistono incertezze circa l’esistenza o la portata dei rischi, senza che si debba attendere che tali rischi manifestino i loro effetti in tutta la loro concretezza e gravità  (47) . La tutela della salute potrà quindi legittimare un divieto di commercializzazione, che dovrà essere rimesso in discussione nel momento in cui l’incertezza su cui esso si basa sarà scomparsa in seguito all’evoluzione scientifica  (48) . In conclusione, il principio di precauzione può giustificare l’adozione di misure limitative della libera circolazione delle merci soltanto qualora persista la probabilità di un danno reale per la salute nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse  (49) .

30.      Il ricorso al principio di precauzione comporta conseguenze differenti a seconda che esso sia effettuato dalle istituzioni comunitarie oppure dagli Stati membri. Infatti, nell’ipotesi in cui uno Stato si avvalga del principio di precauzione, la sua decisione comporterà un frazionamento del mercato unico. Inoltre, anche se la misura adottata non sarà dettata da ragioni protezionistiche, non potrà comunque essere preso in considerazione il punto di vista degli altri Stati membri, al contrario di ciò che accade allorché un’istituzione comunitaria emette una decisione sulla base del principio di precauzione  (50) . Con ciò si comprende, a mio avviso, la giurisprudenza della Corte, che interpreta il principio di precauzione in maniera restrittiva quando vi fanno ricorso gli Stati.

31.      Le critiche mosse al principio di precauzione concernono la mancanza di una soglia di rischio predeterminata, nonché l’accento troppo forte posto sul procedimento seguito per prendere la decisione  (51) . Si lamenta altresì che un siffatto principio alimenta l’illusione di poter raggiungere un «rischio zero». Al principio di precauzione si rimprovera anche di non tenere conto dei costi generati dalla misura protettiva, ma soltanto dei benefici attesi per la salute.

32.      E’ pur vero che il ricorso al principio di precauzione non può essere basato meramente su un’analisi scientifica. Infatti, se la valutazione giurisdizionale si fondasse unicamente sulla valutazione scientifica del rischio preventivo, si negherebbe la dimensione politica insita nella determinazione del rischio accettabile. Il controllo esercitato dal giudice comunitario in tale ambito si deve limitare a verificare il corretto svolgimento delle differenti fasi del processo decisionale, o piuttosto dovrà estendersi al giudizio sulla qualità dell’analisi scientifica effettuata, o, ancora, al controllo del margine di discrezionalità appartenente al potere politico in rapporto alla scienza? Al riguardo si deve sottolineare che il regolamento 178/2002 opera una distinzione tra valutazione e gestione dei rischi, la prima spettante alla scienza e la seconda alla politica. Analogamente, allorché adottano una decisione muovendo da una valutazione scientifica dei rischi, le autorità nazionali dispongono di un certo margine di discrezionalità. Del resto, la giurisprudenza ha ammesso che una decisione presa a livello comunitario a titolo di gestione del rischio può discostarsi dalle conclusioni a cui è pervenuta la scienza  (52) .

33.      Al riguardo, si possono ipotizzare tre tipi diversi di ragionamento legati al principio di precauzione, i quali non comportano lo stesso grado di discrezionalità politica. E’ innanzi tutto possibile che l’incertezza derivi da soluzioni scientifiche contraddittorie  (53) . In un secondo caso, per ottenere la certezza scientifica sarebbe necessaria la raccolta di dati non ancora disponibili, ad esempio perché la novità del prodotto impedisce la completa conoscenza dei suoi effetti sulla salute. Resta, infine, il caso in cui l’impossibilità di pervenire ad una certezza scientifica è meramente materiale, cioè dovuta all’effetto dissuasivo dei costi generati dalla ricerca scientifica o dall’adozione di una misura regolatrice. Procedendo dal primo al terzo dei casi ipotizzati, per l’applicazione del principio di precauzione il margine di intervento delle ragioni politiche è crescente. Tali ragioni devono essere chiare e distinte dalle valutazioni scientifiche. Allo stesso tempo, per i motivi sopra esposti con riferimento al rischio di frazionamento del mercato e alla mancanza di considerazione per gli interessi di tutti gli Stati potenzialmente colpiti da una misura, il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri nel ricorso al principio di precauzione è tanto più ristretto, quanto più essi si allontanano dall’analisi scientifica e si basano sul giudizio politico. Pertanto, non è assodato che gli Stati possano legittimamente intervenire nella seconda o nella terza ipotesi.

34.      Al fine di consentire un adeguato controllo sulle decisioni adottate in base al principio di precauzione, esse sono sottoposte a due condizioni. In primo luogo, secondo la giurisprudenza, il processo decisionale dovrà necessariamente prescrivere che, prima dell’adozione di una misura nazionale destinata a tutelare la salute, sia prodotta una valutazione scientifica che presti particolare attenzione alla qualità degli studi scientifici condotti  (54) . In secondo luogo, la motivazione delle decisioni dovrà fare apparire chiaramente le scelte politiche effettuate, distinguendole dai risultati scientifici sui quali le decisioni sono pure fondate, in modo tale che ogni cittadino possa identificarli  (55) . Nel corso del controllo relativo al principio di proporzionalità, la Corte è tenuta a verificare che gli Stati membri rispettino queste due condizioni.

III – Analisi

35.      Come si è già detto, la normativa olandese vieta in principio l’aggiunta di vitamina A sotto forma di retinoidi, di vitamina D, di acido folico, di selenio, di rame e di zinco ai prodotti alimentari, fatti salvi gli alimenti ripristinati e quelli sostitutivi  (56) . Tuttavia, il Ministro della Sanità pubblica, del benessere e dello sport può concedere una deroga attraverso l’autorizzazione alla commercializzazione. Contro la decisione del ministro si può proporre reclamo. Al termine di tale procedimento amministrativo, l’interessato potrà esperire un ricorso giurisdizionale dinanzi al College van Beroep voor het Bedrijfsleven (Collegio d’appello in materia economica)  (57) .

36.      Il ricorso della Commissione riguarda principalmente la prassi olandese consistente nel rifiutare la concessione della deroga da parte delle autorità competenti per la commercializzazione degli alimenti contenenti uno dei sei nutrienti di cui trattasi. Esaminerò quindi, innanzi tutto, la fondatezza di tale censura. Dopodiché, sarà possibile prendere posizione circa la conformità al principio della libera circolazione delle merci della normativa olandese in sé, la quale sottopone ad una procedura di autorizzazione preventiva specifica i suddetti sei nutrienti.

A – Analisi della prassi delle autorità olandesi

37.      Il presente ricorso per inadempimento riguarda sostanzialmente la prassi delle autorità olandesi di rifiutare in modo costante  (58) l’autorizzazione alla commercializzazione degli alimenti contenenti i sei nutrienti oggetto del presente procedimento. Durante l’udienza, la Commissione ha specificato che tale censura unica poteva articolarsi in tre parti. Da un lato, si contesta al Regno dei Paesi Bassi di sottoporre le istanze di autorizzazione a due condizioni cumulative : la non pericolosità per la salute e la rispondenza ad un’effettiva esigenza nutrizionale. In secondo luogo, le autorità olandesi competenti non fondano le proprie decisioni su un’analisi approfondita dei singoli casi che vengono loro sottoposti. Da ultimo, la ripartizione dell’onere della prova sarebbe comunque discutibile, in quanto esso grava esclusivamente sul produttore di alimenti che richiede un’autorizzazione alla commercializzazione, mentre dovrebbe spettare allo Stato membro che ne impedisce la commercializzazione di provare la pericolosità della sostanza in questione.

38.      Si rammenta da subito che la prassi olandese deriva dalle autorità amministrative (il ministro della sanità pubblica e la Commissione per i reclami interna a detto ministero), nonché dall'autorità giudiziaria (il College van Beroep voor het Bedrijfleven), le quali, in sostanza, hanno dichiarato a più riprese  (59) che, poiché certi nutrienti non rispondevano ad un’effettiva necessità dietetica della popolazione olandese, essi rappresentavano necessariamente un rischio per la salute, essendo molto ridotto lo scarto tra la quantità raccomandata ed il livello di ingestione tale da comportare effetti nocivi.

39.      Le parti hanno posizioni opposte circa la questione se il criterio relativo alla necessità nutrizionale della popolazione olandese sia autonomo in rapporto a quello dell’innocuità. Mentre la Commissione sostiene che dall’esposizione dei motivi del decreto relativo all’aggiunta di micronutrienti agli alimenti e dalla prassi delle autorità si può dedurre in modo chiaro che trattasi di criteri autonomi e cumulativi, il Regno dei Paesi Bassi ritiene invece che la necessità dietetica sia soltanto uno degli elementi per la valutazione generale dell’innocuità.

40.      L’argomento principale del Regno dei Paesi Bassi è che la pericolosità dei nutrienti di cui trattasi dipende dal ridotto scarto tra la quantità di ingestione raccomandata e la quantità pericolosa di questi sei nutrienti. Nelle proprie osservazioni dinanzi alla Corte, il Regno dei Paesi Bassi ribadisce di effettuare la valutazione del rischio «sulla base della dose giornaliera raccomandata, del limite massimo tossicologico e della dose alimentare (media) usuale»  (60) . Secondo lo Stato convenuto, il legame esistente tra le necessità nutrizionali della popolazione ed il rischio per la salute si spiega altresì con riguardo all’esigenza di prendere in considerazione l’ingestione complessiva dei nutrienti da parte del consumatore.

41.      Si deve in primo luogo evidenziare che, anche presupponendo che tale affermazione fosse esatta per i nutrienti in questione, essa resta indimostrata per ogni sostanza singolarmente considerata, come spiegherò meglio quando esaminerò la seconda parte del ricorso.

42.      In secondo luogo, l’asserito legame tra le necessità nutrizionali valutate alla luce degli studi sulle abitudini alimentari della popolazione olandese e la pericolosità dei nutrienti in causa, è di per sé discutibile. Sebbene il riferimento alle necessità nutrizionali basato sulla dose giornaliera raccomandata di vitamine o altri nutrienti presenti il pregio della chiarezza ed offra agli operatori economici il vantaggio della certezza del diritto  (61) , esso non può valere come criterio generale ed automatico per il giudizio sulla pericolosità dei nutrienti. La pericolosità di questi ultimi varia infatti in funzione delle caratteristiche loro proprie  (62) . Nella presente causa, il ridotto scarto tra la quantità raccomandata e quella oltre la quale possono prodursi rischi per la salute non è affatto identico per ciascun nutriente e, in ogni caso, il suo superamento non darà luogo a rischi per la salute uguali per ciascuno dei nutrienti presi in considerazione, sia dal punto di vista della natura dei rischi, che della loro intensità  (63) .

43.      Di conseguenza, il riferimento alla dose giornaliera raccomandata quale soglia al di là della quale un nutriente diviene potenzialmente dannoso per la salute, anche se fatta per un numero limitato di nutrienti, non costituisce un parametro adeguato in quanto non è direttamente collegato ai rischi propri di ciascun nutriente. Si deve quindi concludere che l’inadempimento sussiste su tale punto.

44.      Passando alla seconda parte del ricorso della Commissione, relativo alla necessità di effettuare un’analisi scientifica caso per caso, si osserva che in effetti, secondo la giurisprudenza della Corte, ogni restrizione alla libera circolazione delle merci per motivi di tutela della salute deve basarsi su una valutazione scientifica del rischio preciso connesso al singolo caso  (64) . Il Regno dei Paesi Bassi presuppone un’interpretazione identica alla giurisprudenza, ma sostiene di aver soddisfatto tale condizione e di avere quindi legittimamente applicato il principio di precauzione. Dal fascicolo prodotto emerge che il Regno dei Paesi Bassi ha tenuto conto dei rischi per la salute indotti dall’ingestione di acido folico e di vitamina D.

45.      Con riguardo all’acido folico, il Regno dei Paesi Bassi fa riferimento al rapporto dello Scientific Committee on Food dell’Unione Europea del 28 novembre 2000  (65) . Essi menzionano altresì un parere del Consiglio olandese della salute, richiesto dal Ministro della salute pubblica il 23 luglio 1998  (66) , secondo cui l’arricchimento degli alimenti con acido folico può comportare molteplici rischi. Tuttavia questi ultimi non sono descritti con precisione, quanto alla loro natura o intensità  (67) . Nel suddetto parere il Consiglio della salute conclude che, a titolo di misura precauzionale, ed in attesa della prova dell’innocuità di questo nutriente, sia opportuno limitare l’apporto di acido folico da parte della popolazione.

46.      Quanto alla vitamina D, il Regno dei Paesi Bassi si limita ad osservare che un consumo eccessivo può provocare danni per la salute, senza basare tale affermazione un qualsivoglia studio scientifico. Esso menziona, in particolare, il rischio «di una fissazione eccessiva di calcio e della manifestazione di sintomi più generali di intossicazione  (68) ».

47.      Al riguardo, senza che sia necessario che la Corte esamini la qualità delle valutazioni scientifiche effettuate, è opportuno constatare che le stesse non giungono ad una valutazione chiara dei rischi per la salute che si corrono in caso di ingestione eccessiva del nutrienti in questione. Gli studi citati non specificano né il grado di probabilità con cui tali rischi si verificano, né la soglia a partire dalla quale essi potrebbero realizzarsi  (69) . In assenza di un'incertezza scientifica sui rischi indotti dai nutrienti in causa, il Regno dei Paesi Bassi non può ragionevolmente far valere il principio di precauzione per giustificare la propria politica.

48.      Circa la valutazione dei rischi per la salute dei sei nutrienti oggetto del presente procedimento, il Regno dei Paesi Bassi fa riferimento altresì ad uno studio sui consumi effettuato nel 1992  (70) . Tale studio concerne il consumo complessivo di vitamine e nutrienti da parte della popolazione olandese, e non soltanto quello dei sei nutrienti che la normativa olandese assoggetta ad un regime specifico.

49.      Se anche lo studio realizzato dal Regno dei Paesi Bassi fosse utile per completare la valutazione del rischio specifico per la salute provocato da ciascuno dei sei nutrienti, esso non potrebbe, comunque, sostituirsi ad essa. Tale studio potrebbe soltanto affinare gli studi realizzati per ogni singolo nutriente, precisando quali sono le peculiari abitudini alimentari della popolazione olandese.

50.      Poiché i dati scientifici richiamati dal Regno dei Paesi Bassi per dimostrare i rischi per la salute causati dall’ingestione dei sei nutrienti in causa non consentono di compiere una valutazione scientifica tale da identificare la portata e la gravità di tali rischi, esso non può ragionevolmente ricorrere al principio di precauzione. Occorre pertanto constatare che, in relazione alla seconda parte del ricorso, sussiste l’inadempimento contestato al Regno dei Paesi Bassi.

51.      Nella terza parte del ricorso, la Commissione sostiene che la prassi olandese è incompatibile con il principio di proporzionalità in quanto fa gravare l’onere della prova della non pericolosità di un nutriente esclusivamente sul richiedente e non sullo Stato Membro.

52.      Il Regno dei Paesi Bassi contesta tale censura riferendosi alla natura del procedimento di autorizzazione preventiva, nel corso della quale colui che richiede l’autorizzazione è chiaramente tenuto a fornire informazioni relative ai prodotti che intende immettere sul mercato, senza che questo costituisca un’inversione dell’onere della prova.

53.      Poiché incombe al Regno dei Paesi Bassi l’onere di giustificare un divieto di commercializzazione attraverso argomenti relativi alla pericolosità scientificamente dimostrata mediante un’analisi preventiva e specifica dei rischi, non si può ravvisare al riguardo alcuna inversione dell’onere della prova. In sostanza, il Regno dei Paesi Bassi potrà adottare un provvedimento di divieto soltanto dopo aver fornito la prova che la sostanza in questione costituisce un pericolo per la salute  (71) . Non sembra pertanto sussistere un inadempimento su questo punto.

54.      In conclusione, per le ragioni sopra esposte, la prassi olandese deve ritenersi incompatibile con gli artt.  30 e 36 del Trattato ed con il principio di proporzionalità, in quanto, da un lato, essa stabilisce la pericolosità esclusivamente in rapporto alle necessità nutrizionali, e, dall’altro, essa non è fondata su un’analisi preventiva e specifica dei rischi per ciascun nutriente.

B – Analisi della normativa olandese

55.      Ribadisce che la portata del ricorso per inadempimento introdotto dalla Commissione è limitata al regime speciale al quale sono sottoposti sei nutrienti: le vitamine A, sotto forma di retinoidi, e D, il selenio, l’acido folico, lo zinco ed il rame  (72) .

56.      L’inadempimento addebitato dalla Commissione al Regno dei Paesi Bassi non si riferisce unicamente alla prassi delle autorità olandesi, ovverosia all’applicazione che esse fanno del diritto vigente, ma altresì alla normativa in sé considerata. A prima vista, è difficile distinguere un testo giuridico dall’interpretazione fattane dalle autorità incaricate di applicarlo. Inoltre, la Commissione non formula il proprio ricorso in modo molto chiaro. Sembra tuttavia che, in sostanza, essa addebiti al diritto olandese la creazione di una presunzione di pericolosità per i sei nutrienti in causa. In altri termini, sarebbe impossibile ottenere un’autorizzazione alla commercializzazione per un alimento contenente uno dei sei nutrienti non soltanto a causa della prassi delle autorità olandesi, ma anche perché la normativa vigente non lascia spazio ad interpretazioni diverse.

57.      La Commissione, nel contestare il principio stesso di un procedimento di autorizzazione preventiva per i sei nutrienti, ritiene che il ricorso all’etichettatura degli alimenti che indica l’eventuale presenza di tali nutrienti sarebbe sufficiente a tutelare la salute pubblica e ad informare il consumatore.

58.      Per contro, il Regno dei Paesi Bassi sostiene che l’etichettatura dei prodotti non potrebbe evitare il rischio che la popolazione o taluni gruppi di essa superino la soglia di sicurezza accettabile per il loro consumo, poiché, sebbene sia molto informato, il consumatore non è in grado di valutare la quantità totale di nutrienti quotidianamente ingerita.

59.      A tale riguardo, e tralasciando la questione del rispetto del principio di proporzionalità da parte della normativa olandese, mi sembra che, secondo la giurisprudenza costante, l’assoggettamento dell’arricchimento degli alimenti con nutrienti ad un’autorizzazione preventiva sia legittima, benché costituisca un ostacolo alla libera circolazione delle merci  (73) . L’argomento dedotto dal Regno dei Paesi Bassi circa l’impossibilità per il consumatore di conoscere la quantità cumulativa di nutrienti ingeriti è convincente. Inoltre, l’etichettatura è principalmente finalizzata ad informare il consumatore e non a proteggere la sua salute.

60.      Ciò nondimeno, dal fascicolo si deduce che la normativa olandese di cui è causa, da un lato, non esige la previa effettuazione di un’analisi specifica dei rischi per motivare un diniego della commercializzazione, e, dall’altro, attribuisce al criterio delle necessità nutrizionali un ruolo preponderante nella determinazione della pericolosità di un nutriente.

61.      Propongo pertanto di concludere che, avendo adottato e mantenuto in vigore una normativa quale quella di cui è causa, che sottopone sei nutrienti ad un regime specifico di autorizzazione preventiva, il Regno dei Paesi Bassi è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 30 e 36 del Trattato, in quanto tale normativa fonda la pericolosità dei nutrienti sul criterio delle necessità nutrizionali della popolazione olandese, e non prevede che sia effettuata un’analisi del rischio specifico indotto da ciascun nutriente.

IV – Conclusione

62.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di dichiarare che:

«1)
Il Regno dei Paesi Bassi, applicando un regime di deroga secondo cui prodotti alimentari legalmente fabbricati e commercializzati in un altro Stato membro, arricchiti in vitamina A (sotto forma di retinoidi), vitamina D, acido folico, selenio, rame o zinco, salvo si tratti di prodotti sostitutivi o ripristinati, non possono essere venduti sul mercato olandese ai sensi del Warenwetbesluit Bereiding en behandeling van levensmiddelen (decreto di attuazione della legge sulle derrate alimentari relativo alla preparazione e al trattamento degli alimenti) del 10 dicembre 1992 e al Warenwetbesluit Toevoeging micro‑voedingsstoffen aan levensmiddelen (decreto di attuazione della legge sulle derrate alimentari relativo all’aggiunta di micronutrienti agli alimenti) del 24 maggio 1996, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 30 e 36 del trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 30 CE), in quanto la sua prassi fonda la pericolosità dei nutrienti sul criterio delle necessità nutrizionali della popolazione e non prevede che sia effettuata un’analisi preventiva del rischio specifico indotto da ciascun nutriente.

2)
Il Regno dei Paesi Bassi, avendo adottato una normativa sugli additivi alimentari (il decreto sulla preparazione e il trattamento degli alimenti del 10 dicembre 1992 e il decreto del 24 maggio 1996 sull’aggiunta di micronutrienti agli alimenti) secondo cui alimenti legalmente fabbricati e commercializzati in un altro Stato membro, arricchiti in vitamina A (sotto forma di retinoidi), vitamina D, acido folico, selenio, rame o zinco, salvo si tratti di prodotti sostitutivi o ripristinati ai sensi dei decreti precitati, non possono essere venduti sul mercato olandese, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 30 e 36 del trattato, in quanto la sua normativa basa la pericolosità dei nutrienti sul criterio delle necessità nutrizionali della popolazione e non prevede che sia effettuata un’analisi preventiva del rischio specifico indotto da ciascun nutriente».


1
Lingua originale: il portoghese.


2
Poiché i fatti di cui è causa risalgono ad epoca anteriore al primo maggio 1999, le norme applicabili sono quelle precedenti l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.


3
GU L 109, pag. 8.


4
GU L 100, pag. 30.


5
Stbl. 1996, pag. 311, in prosieguo: «decreto relativo all'aggiunta di micronutrimenti agli alimenti».


6
Art. 10 del Warenwetbesluit Bereiding en behandeling van levensmiddelen (decreto attuativo della legge sulle derrate alimentari relativo alla preparazione ed al trattamento degli alimenti) del 10 dicembre 1992 (Stbl. 1992, pag. 678).


7
L’art. 10 del decreto del 24 maggio 1996 modifica l’art. 10 del decreto di attuazione della legge sulle derrate alimentari relativa alla preparazione e al trattamento degli alimenti. Quest’ultimo, come modificato, sarà in prosieguo menzionato come «il decreto sulla preparazione e il trattamento degli alimenti».


8
Art. 1, n. 1, lett. b) del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


9
Art. 1, n. 1, lett. a) del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


10
Art. 5 del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


11
Art. 1, n. 1, lett. c) del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


12
V. il testo dell’art. 1, n. 1, lett. d) del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


13
Non ancora pubblicata nella Raccolta.


14
La vitamina A sotto forma di retinoidi, la vitamina D, l’acido folico, il selenio, il rame e lo zinco, ai sensi dell’art. 5 del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


15
Secondo la prassi amministrativa danese, l’aggiunta di additivi era autorizzata soltanto in casi precisi: la risposta ad una necessità dietetica o tecnologica, l’aggiunta in un prodotto sostitutivo oppure destinato ad un’alimentazione speciale (sentenza Commissione/Danimarca, sopra menzionata, punto 11).


16
Esposizione dei motivi del decreto relativo all’aggiunta di micronutrienti agli alimenti, citata al punto 37 del ricorso.


17
Una parziale armonizzazione è intervenuta in materia di alimenti destinati ad un’alimentazione particolare attraverso la direttiva del Consiglio 3 maggio 1989, 89/398/CEE, relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare (GU L 186, pag. 27) modificata, da ultimo, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 giugno 1999, 1999/41/CE (GU L 172, pag. 38), nonché in materia di integratori alimentari con la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE (GU L 183, pag. 51). La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/107/CEE relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti gli additivi autorizzati nei prodotti alimentari destinati al consumo umano (GU 1989 L 40, pag. 27), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1994, 94/34/CE (GU L 237, pag. 1), (in prosieguo: la «direttiva 89/107»), non si applica alle sostanze aggiunte ai prodotti alimentari in quanto nutritive (ad esempio minerali, oligoelementi o vitamine) in forza del suo art. 1, n. 3, lett. d).


18
Nel prosieguo il termine «nutrienti» sarà utilizzato quale sinonimo del termine micronutrienti.


19
Sentenze 20 maggio 1976, causa 104/75, De Peijper (Racc. pag. 613, punto 15) e 10 novembre 1994, causa C‑320/93, Ortscheit (Racc. pag. I‑5143, punto 16): «tra i beni o gli interessi protetti dall’art. 36 del Trattato, la salute e la vita delle persone occupano il primo posto».


20
V. sentenza Commissione/Danimarca, cit. supra, punto 42 e sentenze citate.


21
V., in particolare, sentenza 14 luglio 1983, causa 174/82, Sandoz (Racc. pag. 2445, punto 18) e, da ultimo, sentenza 15 luglio 2004, causa C‑443/02, Schreiber, non ancora pubblicata nella Raccolta.


22
Sentenze 19 giugno 2003, causa C‑420/01, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑6445, punto 31) e 5 febbraio 2004, causa C‑270/02, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti da 22 a 24.


23
In tale ambito, l’adozione da parte della Repubblica federale di Germania e della Repubblica d'Austria di una normativa generale e sistematica basata esclusivamente sull’apporto giornaliero consigliato, e non sulla pericolosità della singola vitamina o gruppo di vitamine e del singolo sale minerale, è stata dichiarata non conforme agli artt. 30 e 36 del Trattato: sentenze 29 aprile 2004, causa C‑387/99, Commissione/Germania, punti 78 e 79 e causa C‑150/00, Commissione/Austria, punto 96, non ancora pubblicate nella Raccolta.


24
V., in particolare, sentenza 5 febbraio 2004, causa C‑24/00, Commissione/Francia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 75.


25
V., ad esempio, sentenze 5 febbraio 1981, causa 53/80 (Racc. pag. 409), 14 luglio 1983, Sandoz, cit., Motte (Racc. pag. 3887), 6 maggio 1986, causa 304/84, Muller e a. (Racc. pag. 1511), secondo le quali il diritto comunitario non osta ad una normativa nazionale che vieta, salvo autorizzazione amministrativa preventiva, la commercializzazione degli alimenti ai quali sono state aggiunte delle vitamine.


26
Art. 11 della direttiva 89/107.


27
Art. 12 n. 2 della direttiva 89/107 : «gli Stati membri non possono vietare, limitare od ostacolare la commercializzazione di additivi alimentari (…) se essi sono conformi alla presente direttiva».


28
Così, nella sentenza 19 settembre 1984, causa 94/83, Heijn (Racc. pag. 3263), al punto 13, la Corte osserva che «gli antiparassitari implicano gravi rischi per la salute degli uomini e degli animali, nonché per l’ambiente, cosa peraltro ammessa sul piano comunitario, specie nel quinto considerando della direttiva del Consiglio n.  76/895, summenzionata, nel quale si dichiara che “questi prodotti antiparassitari, essendo in genere sostanze tossiche o preparati con effetti pericolosi, non hanno sulla produzione vegetale soltanto incidenze favorevoli”». V., da ultimo, sentenza Schreiber, cit. supra, non ancora pubblicata, nella quale è stato dichiarato conforme al diritto comunitario un provvedimento nazionale che impone l’autorizzazione per l’immissione sul mercato di tavolette di legno di cedro rosso con proprietà naturali antitarme. Con riferimento ai prodotti disinfettanti, v. sentenza 17 dicembre 1981, causa 272/80, Frans-Nederlands Maatschappij voor Biologiche Producten (Racc. pag. 3277).


29
Sentenze 27 giugno 1996, causa C‑293/94, Brandsma (Racc. pag. I‑3159, punto 12) e 17 settembre 1998, causa C‑400/96, Harpegnies (Racc. pag. I‑5121, punto 35).


30
Sentenze sopra menzionate, Commissione/Danimarca, punto 53 e Commissione/Francia, punti 36 e 37.


31
V., ad esempio, sentenza 5 febbraio 2004, causa C‑95/01, Greenham e Abel, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 50.


32
V., ad esempio, sentenza 5 febbraio 2004, Commissione/ Francia, cit., punto 26.


33
Infatti, la sentenza Canal Satélite, intervenuta nel settore della normalizzazione, applica in modo simile il principio di proporzionalità ad un procedimento di autorizzazione preventiva (sentenza 22 gennaio 2002, causa C‑390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I-607, punto 43).


34
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 48.


35
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 48.


36
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 47; v. anche sentenza 14 luglio 1994, causa C‑17/93, Van der Veldt (Racc. pag. I‑3537, punto 17): il rischio dedotto deve essere «valutato non già alla stregua di considerazioni di ordine generale, bensì alla luce di specifiche ricerche scientifiche».


37
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 46.


38
L’importanza dell’analisi del rischio nella determinazione della politica alimentare da parte degli Stati membri è ribadita pure a livello comunitario dall’art. 6, n. 1 del regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1,), che recita: «la legislazione alimentare si basa sull’analisi del rischio (...)».


39
Sentenza citata alla nota 25, punto 24.


40
Sentenza 13 dicembre 1990, causa C‑42/90, Bellon, Racc. pag. I‑4863, punto 17.


41
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 48; v. anche art. 3, n. 9 del regolamento 178/2002 che definisce il rischio come «funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo». Infatti, emerge un parallelismo tra le condizioni di deroga ai principi del mercato interno, allorché sia realizzata un’armonizzazione (segnatamente sulla base dell’art. 95, n. 5, CE, o in applicazione delle clausole di salvaguardia contenute nella direttiva o nel regolamento applicabili) oppure in sua assenza (in virtù dell’art. 30 CE). V., al riguardo, Mortelmans, K., The relationship between the treaty rules and community measures for the establishment and functioning of the internal market – towards a concordance rule, 39 CMLRev 2002, pag. 1303.


42
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 54 : «il criterio dell’esigenza nutrizionale della popolazione di uno Stato membro può avere un’incidenza in sede della valutazione approfondita, effettuata da quest’ultimo, del rischio che l’aggiunta di nutrienti ai prodotti alimentari può presentare per la salute». L’avvocato generale Gulmann, al paragrafo 26 delle conclusioni presentate l’8 aprile 1992 nella causa Commissione/Italia (sentenza 16 luglio 1992, causa C‑95/89, Racc. pag. I-4545) attribuisce a tale espressione il seguente significato: «occorre valutare in quale misura specifiche abitudini alimentari attinenti al consumo del prodotto nello Stato membro di importazione possono far sorgere in tale Stato rischi particolari per la salute delle persone». V. anche Joerges, C., Scientific Expertise in Social Regulation and the European Court of Justice: Legal Frameworks for Denationalized Governance Structures, in Integrating Scientific Expertise into Regulatory Decision-Making, 1997, ed. Joerges, C., Ladeur, K.-H., e Vos, E., pag. 295 (pag. 320).


43
V. sentenze Commissione/Danimarca, cit., punto 54 : «tuttavia […] la mancanza di una tale esigenza non può, di per sé, giustificare un divieto assoluto, sulla base dell’art. 30 CE, di commercializzazione dei prodotti alimentari legalmente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri» e Greenham e Abel, cit., punto 46. Tali sentenze hanno chiarito la giurisprudenza anteriore, che sembrava talora accordare un ruolo indipendente alle esigenze nutrizionali e ritenere che la nocività di un additivo non fosse l’unico criterio da prendere in considerazione per decidere sulla sua autorizzazione (v. in particolare le sentenze Motte e Muller, citate alla nota 25, rispettivamente ai punti 21 e 25). Nell’esposizione dei loro argomenti, le parti facevano riferimento principalmente al punto 20 della sentenza Sandoz, citata alla nota 21.


44
Sentenze 4 giugno 1992, cause C‑13/91 e C‑113/91, Debus (Racc. pag. I-3617, punto 17) e 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione/Germania, «legge di purezza per la birra» (Racc. pag. 1227, punto 44).


45
V. gli argomenti sull’incertezza scientifica concernente i rischi della nisina al punto 13 della sentenza Eyssen, citata alla nota 25.


46
V. la sentenza 9 settembre 2003, causa C‑236/01, Monsanto Agricoltura Italia, non ancora pubblicata, punto 106, nonché la sentenza della Corte dell’AELS del 5 aprile 2001, Autorità di vigilanza AELS/Norvegia, Reports of EFTA Court 2000-2001, pag. 73, punti da 36 a 38.


47
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 52: «qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio dedotto a causa della natura insufficiente, inconcludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive». V. anche le sentenze Greenham e Abel, cit., punto 48, e Commissione/Francia, cit., punto 56. Tale formula si ritrova nella giurisprudenza della Corte concernente l’adozione di misure di salvaguardia da parte degli Stati membri: v. ad esempio le sentenze Monsanto Agricoltura Italia e a., cit. punto 111, e 5 maggio 1998, causa C‑157/96, National Farmers’ Union e.a. (Racc. pag. I-2211, punto 63) e causa C‑180/96, Regno Unito/Commissione (Racc. pag. I-2265, punto 99)


48
L'obbligo degli Stati membri di riesaminare la legislazione interna in base all’evoluzione della scienza è stata affermata nelle sentenze Heijn, citata alla nota 28, punto 18 e del 19 giugno 2003, Commissione/Italia, cit., punto 32. Tale riesame è peraltro previsto dall’art. 7 del regolamento n. 178/2002.


49
Sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 52. Nella valutazione della legittimità del ricorso al principio di precauzione nell’ambito dell’art. 95, n. 5 CE la Corte ha richiesto che «la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità nazionali riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati scientifici disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare che siano offerti sul mercato nuovi prodotti alimentari potenzialmente pericolosi per la salute umana» (sentenza Monsanto Agricoltura Italia e a., citata alla nota 44, punto 113).


50
V. al riguardo il contributo citato alla nota 42 di Joerges, C.: «Member states are requested to design their legislation in a way that enables integration of scientific findings and they are bound to give credit to scientific analyses undertaken beyond their territories» (pag. 307). Nel medesimo contributo si legge: «societies granting freedoms or imposing regulatory burdens must consider the adverse extraterritorial effects of their policies» (pag. 322).


51
Fisher, E., Precaution, Precaution Everywhere: Developing a ‘Common Understanding’ of the Precautionary Principle on the European Community, 9 Maastricht Journal of Comparative Law, 2002, pag. 7 ; Majone, G., What Price Safety? The Precautionary Principle and its Policy Implications, JCMS 2002 Volume 40, pag. 89.


52
E’ richiesto soltanto di prendere in considerazione le valutazioni scientifiche. V., al riguardo, la sentenza 20 marzo 2003, causa C‑3/00, Danimarca/Commissione, Racc. pag. I‑2643, punto 114.


53
L'avvocato generale Van Gerven richiama tale questione al paragrafo 5 delle sue conclusioni nella causa C‑290/90, Commissione/Germania (sentenza 20 maggio 1992, Racc. pag. I‑3317): «se la Commissione intende impugnare i dati forniti dallo Stato membro, dovrà farlo ricorrendo ad elementi ugualmente credibili». Poiché non sussiste alcuna gerarchia tra gli organismi di ricerca, in caso di divergenze non sarebbe possibile giustificare un’eventuale preferenza data all’una soluzione piuttosto che all’altra.


54
L'analisi di tale requisito procedurale è sviluppata da Cruz Vilaça, J.L., in The Precautionary Principle in EC Law, European Public Law, June 2004, pag. 369. La Corte potrebbe spingersi fino a determinare quale tipo di studio essa considera adeguato. Al riguardo, si possono ricordare la deferenza dei giudici americani nei confronti degli studi condotti dalle agenzie di regolazione (v. ad esempio le sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti: Industrial Union Dept. v. American Petrol. Inst., 448 U.S. 607 (1980) e Whitman, administrator of Environmental Protection Agency v. American Trucking, decisione del 27 febbraio 2001) e l’analisi più approfondita svolta dal giudice di appello nei recenti casi sorti nell’ambito dell’accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie (Rapporto dell'organo d'appello dell'OMC nei casi Misure comunitarie relative alla carne e ai derivati dalla carne (ormoni), WT/DS26/AB/R, Giappone- Misure destinate ai prodotti agricoli, WT/DS/76/8/AB/R, Misure comunitarie relative all’amianto e ai prodotti contenenti amianto, WT/DS135/AB/R).


55
In altri termini, la scienza non dovrebbe servire da «alibi» per l’adozione di scelte di natura politica. V. al riguardo: Shapiro, M., The Frontiers of Science Doctrine: American Experience with the Judicial Control of Science-Based Decision Making, in Integrating Scientific Expertise into Regulatory Decision-Making, citato alla nota 42, pag. 325.


56
Art. 5 del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


57
Art. 23 della legge sulle derrate alimentari.


58
All’udienza, la rappresentante del Regno dei Paesi Bassi ha precisato che un’autorizzazione alla commercializzazione era stata concessa nel 2000. Tuttavia, ella ha ammesso che fino a tale data, successiva alla scadenza del termine concesso nel parere motivato più recente, non era stata rilasciata alcuna autorizzazione.


59
La Commissione richiama nel proprio ricorso numerosi procedimenti che si sono conclusi con il diniego dell’autorizzazione da parte delle autorità olandesi: i cereali della Kellog’s e le barrette energetiche dell’Inkosport ne sono soltanto due esempi.


60
Replica, punto 7.


61
Conclusioni presentate il 16 maggio 2002 dall’avvocato generale Geelhoed nelle cause C‑387/99, Commissione/Germania e C‑150/00 Commissione/Austria, punto 56 (citata sentenza del 29 luglio 2004).


62
V. per analogia, citate sentenze 29 aprile 2004, Commissione/Germania, punto 60 e Commissione/Austria, punto 95.


63
Siffatte differenze emergono dalle indicazioni fornite dal Regno dei Paesi Bassi in relazione ai rischi prodotti dal consumo eccessivo di vitamina D o di vitamina A. Si possono altresì richiamare i Rapporti del Comitato scientifico per l’alimentazione umana (31a serie), parere emesso l’11 dicembre 1992 su «Sostanze nutritive e fabbisogno energetico per la Comunità europea». Da quest’ultimo parere si deduce che la soglia di pericolo per la salute è in media pari al triplo dell’Apporto di riferimento per popolazione (ARP) per lo zinco, a cinque volte l'ARP per la vitamina D, a dieci volte l’ARP per la vitamina A, il rame ed il selenio, e quasi venticinque volte per l’acido folico.


64
Oltre alla citata sentenza Commissione/Danimarca, si possono ricordare le sentenze sopra menzionate Commissione/Francia, sulla normativa francese, e Greenham e Abel, e 19 giugno 2003, Commissione/Italia, sulla normativa italiana, e 5 febbraio 2004, Commissione/Italia.


65
Controricorso, punto 9.


66
Controricorso, punto 11.


67
I dati citati dal Regno dei Paesi Bassi concernono soprattutto due categorie, le donne in stato di gravidanza e le persone anziane.


68
Controricorso, punto 45.


69
Sentenza 5 febbraio 2004, Commissione/Francia, cit., punto 61.


70
Secondo le osservazioni del Regno dei Paesi Bassi in udienza, tale studio verrebbe effettuato ogni cinque anni, il che consentirebbe di procedere all’eventuale aggiornamento della normativa vigente.


71
V., per esempio, la sentenza Bellon, citata alla nota 40, punto 16.


72
Art. 5 del decreto sull'aggiunta di micronutrienti agli alimenti.


73
V., in particolare, le sentenze Sandoz, citata alla nota 21, punto 17 ; Muller, citata alla nota 25, punto 23; 16 luglio 1992, causa C‑95/89, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4545, punti da 8 a 10; 23 settembre 2003, causa C‑192/01, Commissione/Danimarca, cit., punto 44 ; e 29 aprile 2004, Commissione/Germania, cit., punto 70.