I –Introduzione
1. Il Tribunal Tribútario de Primeira Instância de Lisboa (Tribunale tributario di primo grado di Lisbona) intende accertare
se l’ordinamento giuridico dell’Unione europea consenta di fissare un termine di novanta giorni al fine di impugnare gli avvisi
di liquidazione di imposta dinanzi alla giurisdizione del contenzioso amministrativo e, quindi, di esercitare l’azione di
ripetizione delle imposte pagate in contrasto con il diritto comunitario.
2. Tale questione incidentale si aggiunge alla ampia schiera delle domande di pronuncia pregiudiziale aventi ad oggetto la compatibilità
con il diritto comunitario di diverse disposizioni nazionali e, in sostanza, delle norme che disciplinano i termini e le modalità
per l’esercizio dell’azione diretta ad ottenere il rimborso dei tributi riscossi dall’erario in violazione del detto ordinamento
giuridico.
3. In riposta alle summenzionate questioni, la Corte di giustizia ha pronunciato numerose sentenze, ponendo in essere una giurisprudenza
ben consolidata, a tenore della quale, in mancanza di una disposizione comunitaria, spetta agli Stati membri il compito di
disciplinare i procedimenti preposti alla tutela dei diritti conferiti ai singoli dall’Unione europea. Tale facoltà rimane
tuttavia soggetta ad una duplice limitazione:
–
Gli Stati membri non possono opporre alle azioni di ripetizione fondate sul diritto comunitario un termine di decadenza diverso
e meno favorevole rispetto a quello applicabile a domande analoghe che si fondano sulla violazione del diritto interno
(2)
. Si tratta del cosiddetto principio di equivalenza.
–
Agli Stati membri non è neppure consentito strutturare le modalità procedurali di tali azioni in modo tale da renderne l’esercizio
eccessivamente difficile o praticamente impossibile. Tale regola è nota come principio di effettività del diritto comunitario
(3)
.
4. La giurisprudenza citata nei precedenti paragrafi costituisce una valida guida per fornire al giudice portoghese la soluzione
che esso chiede.
II –Fatti, causa principale e questione pregiudiziale
5. Con atto notarile 5 novembre 1997, iscritto nel Registro Nacional de Pessoas Colectivas (Registro nazionale delle persone
giuridiche) la Recheio‑Cash & Carry (in prosieguo: la «Recheio») ha proceduto ad un aumento del capitale sociale da PTE 100 000 000
a PTE 1 000 000 000.
6. Il 4 marzo 1998 la suddetta amministrazione emetteva nei confronti della Recheio un avviso di liquidazione di imposta, a titolo
di diritti di registro, per un importo pari a PTE 2 251 500, calcolato con riferimento alla Tabela de emolumentos do Registo Nacional de Pessoas Colectivas (tabella dei diritti del Registro nazionale delle persone giuridiche).
7. In data 11 luglio 2001 la Recheio ha proposto un’azione dichiarativa dinanzi Tribunal Tribútario de Primeira Instância de
Lisboa per ottenere il rimborso degli importi di imposta indebitamente riscossi, azione che è stata convertita d’ufficio in
un ricorso amministrativo contro la liquidazione dell’imposta, avendo il Tribunal ritenuto che quest’ultimo fosse il mezzo
di ricorso piú idoneo rispetto allo scopo perseguito.
8. In considerazione del fatto che, nella data suindicata, era già scaduto il termine per l’esercizio di tale azione, il giudice
portoghese adito, dopo aver sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
1)
Se il diritto comunitario osti a che, per le azioni di ripetizione di tributi riscossi in violazione delle sue disposizioni,
uno Stato membro fissi un termine di decadenza di 90 giorni a decorrere dalla scadenza del termine per il pagamento volontario,
in quanto in tal modo si rende eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al rimborso;
2)
in caso affermativo, quale sia il termine minimo che si considera compatibile con il detto divieto relativo all’eccesso di
difficoltà;
3)
ovvero quali siano i criteri da seguire per fissarlo.
III –Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia
9. Hanno presentato osservazioni scritte entro il termine stabilito dall’art. 20 dello Statuto CE della Corte di giustizia, la
Recheio, la Repubblica portoghese e la Commissione.
10. All’udienza, che si è tenuta il 13 novembre 2003, erano presenti per svolgere osservazioni orali i rappresentanti delle parti
intervenute nella fase scritta.
IV –Quadro normativo portoghese
11. Ai sensi del diritto portoghese, gli atti amministrativi, tra i quali rientrano gli avvisi di liquidazione di imposta, possono
essere nulli o annullabili. Sono nulli gli atti che difettano di un elemento essenziale ovvero gli atti per i quali la legge
prevede espressamente tale forma di invalidità. Tutti gli altri atti sono annullabili
(4)
.
12. Gli uni e gli altri vengono revocati mediante ricorso amministrativo, su istanza dei titolari dei diritti soggettivi o degli
interessi legittimi tutelati dalla legge, che risultano lesi dall’atto impugnato
(5)
. Esistono due mezzi di impugnazione: il ricorso in opposizione
(6)
e il ricorso gerarchico; la proposizione di quest’ultimo è facoltativa, se è previsto che l’atto possa venire impugnato in
sede giurisdizionale, e obbligatoria, in caso contrario
(7)
. Il termine per presentare ricorso è di quindici giorni, trenta giorni, ovvero quello previsto dalla legge per presentare
ricorso in sede giurisdizionale, a seconda che si tratti, rispettivamente, di un ricorso in opposizione, di un ricorso gerarchico
facoltativo o di un ricorso gerarchico obbligatorio
(8)
.
13. In ambito fiscale, salvo espressa disposizione contraria, il ricorso gerarchico ha carattere facoltativo e può venire esperito
entro lo stesso termine di trenta giorni
(9)
. È previsto anche un reclamo in via breve, per il quale è fissato un termine di novanta giorni, sebbene, qualora si il reclamo
si fondi sull’inosservanza di una delle formalità essenziali del procedimento o sull’inesistenza, totale o parziale, del fatto
imponibile, il termine si estenda fino ad un anno
(10)
. Contro la decisione relativa al reclamo è possibile proporre un ricorso gerarchico e, in esito a quest’ultimo, un’impugnazione
in sede giurisdizionale
(11)
.
14. Il procedimento giudiziario tributario è volto a garantire la tutela piena, effettiva e tempestiva dei diritti e degli interessi
legittimi protetti in questo settore dell’ordinamento
(12)
. Esso consente al cittadino di opporsi agli avvisi di liquidazione di imposte
(13)
, mediante la proposizione di un’impugnazione, il cui fine è quello di far dichiarare nullo, o di annullare, l’atto controverso
(14)
. Tale procedimento si rivela inoltre il mezzo maggiormente idoneo all’esercizio di azioni dichiarative che sono volte ad
ottenere il riconoscimento di un diritto o di un interesse legittimo in materia tributaria
(15)
, qualora non ne esistano altri più appropriati al fine di assicurare la tutela giurisdizionale di tale diritto o interesse
legittimo
(16)
.
15. Il termine per proporre impugnazione in sede giurisdizionale è di novanta giorni a decorrere dalla scadenza del termine per
il pagamento volontario del debito d’imposta, salvo che sia stato precedentemente proposto un reclamo in via breve, caso in
cui il suddetto termine si riduce a quindici giorni. L’azione fondata sulla nullità dell’avviso di liquidazione del tributo
può invece essere esercitata in qualunque momento
(17)
.
16. L’azione dichiarativa deve essere promossa entro quattro anni dalla data in cui è sorto il diritto o dalla data in cui l’interessato
ha avuto notizia della lesione del diritto o interesse di cui chiede la tutela
(18)
.
V –Analisi della questione pregiudiziale
A – Delimitazione dell’oggetto della discussione
17. Nel presente procedimento non viene messa in dubbio l’incompatibilità con il diritto comunitario dell’imposta liquidata alla
Recheio dal Registro Nacional de Pessoas Colectivas, né è messo in discussione il diritto della società menzionata ad esercitare
le azioni pertinenti nell’ordinamento interno
(19)
.
18. Il dubbio manifestato dal Tribunal Tribútario de Primeira Instância de Lisboa si riferisce alla questione se il diritto comunitario
ammetta il termine ultimo di novanta giorni per l’esercizio di un’azione giudiziale intesa al recupero di importi indebitamente
versati a titolo di tributi che, come i diritti di registro liquidati alla Recheio, sono incompatibili con l’ordinamento giuridico
dell’Unione europea.
19. Il giudice portoghese non ha dubbi sulla conformità del detto termine al principio di equivalenza. In tal senso egli si esprime
infatti nell’ordinanza di rinvio, quando indica che «il procedimento di impugnazione si applica a qualsiasi avviso di liquidazione
di tributi, sia esso fondato sulla normativa comunitaria o sulla normativa nazionale»
(20)
, per cui gli interrogativi da esso sollevati si riferiscono unicamente al principio di effettività, cui egli allude nella
parte finale della prima questione, quando chiede di accertare se la fissazione di un termine di novanta giorni «renda eccessivamente
difficile l’esercizio del diritto al rimborso».
20. Perciò, appare inutile lo sforzo, pur sempre encomiabile, effettuato dalla Recheio nelle osservazioni scritte per dimostrare
che il termine impartito dal diritto processuale portoghese disattende il principio di equivalenza, posto che, avendo lo stesso
giudice nazionale ammesso, dopo avere interpretato il proprio ordinamento giuridico, che tale termine si applica a tutti i
tipi di azione, la Corte di giustizia non ha niente da dire in proposito
(21)
.
21. L’esame riguardante la compatibilità del termine in questione con il diritto comunitario deve essere effettuato con riferimento
al solo principio di effettività, e, anche in merito a questo punto, occorre prescindere da ogni considerazione relativa all’esistenza
di un rimedio complementare – l’azione dichiarativa – esperibile nel lasso di tempo di quattro anni, o alla circostanza che,
quando si fonda sulla nullità ipso iure, l’impugnazione non è soggetta a termini di decadenza. È compito del giudice nazionale
stabilire se tale mezzo possa essere esperito nell’ipotesi in cui la Corte di Giustizia dichiarasse che il diritto comunitario
osta all’applicazione di una norma procedurale come quella contenuta nell’art. 102, n. 1, del Código de Procedimento e de Processo Tribútario
(22)
. Del pari, spetta al giudice portoghese pronunciarsi sulla natura del vizio che colpisce la liquidazione di imposta controversa
nella causa principale, e, di conseguenza, stabilire se tale atto debba essere impugnato nel termine di novanta giorni ovvero
in un qualsiasi altro momento.
22. In somma, la Corte di giustizia deve risolvere la questione precisa che le è stata sottoposta dal giudice portoghese, indipendentemente
dalla circostanza che la pretesa della Recheio possa essere fatta valere attraverso il ricorso ad altri mezzi con margini
di azione più ampi.
B – Il termine di novanta giorni considerato dal punto di vista del principio di effettività
1. È compito del giudice nazionale pronunciarsi in proposito.
23. Dal punto di vista del principio di effettività, in numerose occasioni la Corte di giustizia si è pronunciata direttamente
in merito a concreti termini di prescrizione o di decadenza stabiliti dagli ordinamenti degli Stati membri per l’esercizio
di azioni dirette alla ripetizione di somme riscosse dall’erario in violazione del diritto comunitario. I suoi criteri di
riferimento sono tuttavia rimasti indefiniti. Così, nelle sentenze Rewe e Comet, essa si è limitata ad indicare che la fissazione
di termini di impugnazione, che costituisce indubbiamente applicazione del principio della certezza del diritto, sarebbe incompatibile
con il diritto comunitario solo se, nella pratica, rendesse impossibile l’esercizio dei diritti, cosa che non si verifica
quando vengono fissati «termini ragionevoli d’impugnazione, a pena di decadenza»
(23)
. Quando ha dovuto esaminare termini specifici per l’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito, la Corte ha assunto
come criterio il principio di equivalenza: le sentenze Edis, Spac, oltre alla sentenza Prisco e Caser, nonché le tre sentenze
già citate, riconoscono che l’ordinamento giuridico dell’Unione europea non vieta la fissazione di un termine di decadenza
triennale, purché questo si applichi indistintamente a tutte le azioni di ripetizione, che siano fondate sul diritto interno
o sul diritto comunitario
(24)
. Anche quando ha esaminato la sostituzione di un determinato termine con un altro più breve, la Corte ha preso in considerazione
solamente il suddetto principio: nella sentenza Aprile, essa ha precisato che il diritto comunitario non osta all’applicazione
di una disposizione nazionale mirante a sostituire un termine ordinario di prescrizione di dieci anni con un termine di decadenza
prima quinquennale, poi triennale
(25)
.
24.È vero che nella motivazione delle sentenze Edis e Spac si ammette che «appare ragionevole un termine nazionale di decadenza
triennale, che decorra dalla data del pagamento contestato», per cui il diritto comunitario non vieta ad uno Stato membro
di farlo valere
(26)
. Tuttavia, a prescindere dal fatto che si tratta di obiter dicta che non hanno avuto riflesso sulla decisione finale, tali
asserzioni sono tautologiche, prive della benché minima motivazione, e non spiegano le ragioni fondamentali per cui un termine
di tale durata dovrebbe soddisfare il principio di effettività. Per la Corte di giustizia, il diritto comunitario ammette
la fissazione di termini ragionevoli ed un termine triennale lo è, senza ulteriori spiegazioni.
25. Orbene, la Corte ha seguito lo stesso orientamento quando si è espressa in merito alla compatibilità con il citato principio
di effettività di alcuni termini fissati dalle normative degli Stati membri per l’esercizio di azioni fondate sul diritto
comunitario. Nella sentenza Bassin e Salson/Administration des douanes et droits indirects
(27)
la Corte ha dichiarato che il diritto comunitario non osta alle disposizioni nazionali di uno Stato membro che prevedano
un termine perentorio di prescrizione triennale per la presentazione di qualsiasi domanda di rimborso di dazi indebitamente
riscossi
(28)
. Tale decisione poggia sul principio che considera ammissibili le procedure che non impediscono, nella pratica, l’esercizio
dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario, talché un termine di prescrizione triennale «corrispond[e] ad una scelta
legislativa nazionale che non ha l’effetto di pregiudicare l’esigenza sopra ricordata»
(29)
.
26. Analogamente, nella sentenza Haahr Petroleum
(30)
la Corte ha ribadito che il diritto comunitario non osta all’applicazione di un termine di prescrizione di cinque anni, poiché
tale lasso di tempo «deve essere considerato ragionevole»
(31)
.
27. In una sola occasione la Corte si è sforzata di motivare più adeguatamente la propria decisione: nella causa Grundig italiana,
in cui ho presentato le mie conclusioni il 14 marzo 2002, la Corte ha ritenuto non conforme al diritto comunitario un periodo
transitorio di novanta giorni per passare da un termine decennale o quinquennale di decadenza ad un termine triennale; essa
ha addotto che, affinché venga soddisfatto il principio di effettività, il detto periodo deve permettere ai contribuenti di
continuare a disporre di una possibilità ragionevole di far valere il proprio diritto al rimborso, qualora il loro ricorso
risulti tardivo con l’entrata in vigore del nuovo regime, di modo che essi possano predisporre la loro azione senza precipitazione
e senza sentirsi obbligati a procedere con un’urgenza sproporzionata rispetto al termine concesso inizialmente
(32)
. Di seguito, la Corte ha aggiunto che un periodo di novanta giorni risultava in tal caso insufficiente, poiché, assumendo
come riferimento un termine iniziale di cinque anni, i contribuenti i cui diritti erano sorti circa tre anni prima dovevano
agire in giudizio nell’arco di tre mesi, quando invece contavano sul fatto di disporre ancora di quasi due anni
(33)
; la Corte ha concluso ritenendo ragionevole un periodo transitorio di almeno sei mesi
(34)
.
28. Il ragionamento della Corte obbedisce ad una logica assai semplice: quando i termini per l’esercizio dell’azione in giudizio
vengono calcolati in anni, la loro idoneità a consentire l’esercizio effettivo dei diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico
comunitario è evidente, per cui non occorrono ulteriori spiegazioni. Al contrario, quando si tratta di periodi più ristretti,
di mesi o di giorni, il giudizio sulla loro utilità non è così ovvio, per cui si richiede una motivazione.
29. Tuttavia, come ho rilevato nelle conclusioni che ho presentato nella causa Grundig italiana, non spetta alla Corte di giustizia
formulare tale giudizio, bensì, salvo casi evidenti
(35)
, al giudice nazionale
(36)
. Per determinare se un termine specifico soddisfi o meno il principio di effettività, occorre prendere in considerazione
«la totalità delle condizioni di fatto e di diritto, formali e sostanziali, che l’ordinamento giuridico nazionale richiede
per l’esercizio delle azioni di ripetizione. Solo con questa visione globale, della quale dispongono unicamente i giudici
[nazionali], si può dare una soluzione definitiva»
(37)
.
30. In tal senso si è pronunciata la Corte di giustizia in alcune occasioni. Infatti, nella sentenza Dilexport essa ha affermato
che spetta al giudice nazionale decidere se, in pratica, le modalità processuali applicabili rendano impossibile o eccessivamente
difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario
(38)
, riferimento che include il termine per l’esercizio dell’azione, il quale costituisce il primo atto del detto procedimento.
31. Si può presumere che nella causa Grundig italiana concorressero elementi sufficienti affinché la Corte stessa si avventurasse
a formulare un giudizio, tenuto conto del fatto che si trattava del passaggio da un termine di decadenza quinquennale ad uno
triennale, cosicché i contribuenti, i cui diritti erano sorti circa tre anni prima, si vedevano in pratica costretti ad agire
in tre mesi, quando invece pensavano di poter disporre ancora di quasi due anni
(39)
. Tuttavia, l’argomento sviluppato in tale caso specifico non sembra riguardare tutti i sistemi giuridici nazionali, ma soltanto
l’ordinamento italiano, nei limiti in cui sono state valutate unicamente le condizioni del suo regime processuale; per cui
la sentenza era priva del carattere generale e oggettivo ad essa inerente per assolvere la sua funzione essenziale di assicurare
l’interpretazione uniforme del diritto comunitario, trasformandosi in una esegesi uti singulis, che si riferisce ad un ordinamento
giuridico in particolare.
32.È indubbio che, come la stessa Corte di giustizia ha ammesso in ripetute occasioni, il sistema di impugnazione di imposte
illegittimamente liquidate e il sistema del rimborso delle imposte indebitamente versate sono regolati in maniera diversa
nei singoli Stati membri. Di conseguenza, è difficile valutare in astratto se un termine transitorio di novanta giorni, come
quello controverso nella causa Grundig italiana, soddisfi il principio di effettività, poiché, per poter formulare un giudizio,
si deve tenere conto, oltre che della durata, di molte altre circostanze, quali, ad esempio, e senza pretendere di essere
esaustivo: se l’ordinamento ammetta l’autodifesa o invece richieda l’intervento di un avvocato; se il ricorrente possa stare
in giudizio di persona o se, invece, debba conferire un mandato di rappresentanza; in quest’ultima ipotesi, se la legge richieda
un atto pubblico; se, nel caso delle persone giuridiche, sia necessaria l’adozione di un accordo specifico al fine di agire
in giudizio, tenendo presenti, se del caso, i termini, le condizioni e le forme prescritte a tali effetti; se sia richiesta
la previa presentazione di un reclamo alla amministrazione competente; se tale reclamo abbia effetto sospensivo; se l’intenzione
di ricorrere in giudizio debba essere comunicata alle autorità pubbliche. Si potrebbe ampliare ancora l’elenco degli elementi
che condizionano l’esercizio dell’azione di ripetizione, ponderandone le relative difficoltà ed i costi in ciascuno Stato.
33. A fronte di tali disparità e di altre peculiarità dei sistemi nazionali – facilmente immaginabili da coloro che operano nel
campo del diritto comparato europeo –, l’ordinamento giuridico comunitario deve assicurare la salvaguardia dei diritti che
conferisce ai singoli
(40)
, e perciò stabilisce che le modalità procedurali nazionali applicabili alle azioni dirette a tutelare tali diritti non possano
essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, né rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario
(41)
.
34. Per tali ragioni, come ho già esposto nelle conclusioni nella causa Grundig italiana, il concetto giuridico indefinito di
«termine ragionevole», cui si riferisce la giurisprudenza comunitaria per considerare soddisfatto il principio di effettività,
deve essere precisato dai giudici nazionali, salvo casi eccezionali in cui, o perché il termine risulta chiaramente sufficiente
o perché la sua insufficienza non può essere messa in dubbio, il giudizio non richiede che ci si attenga alle condizioni specifiche
di ciascun sistema nazionale, per cui non presenta inconvenienti il fatto che a formularlo sia la Corte di giustizia.
35. Pertanto, non appare coerente che la Corte, nella sentenza Grundig italiana, dopo aver dichiarato insufficiente un particolare
termine, stabilisse il periodo minimo sufficiente per assicurare l’effettivo esercizio delle azioni fondate sul diritto comunitario,
attribuendosi funzioni di legislatore, non si sa bene se comunitario o italiano. Per di più, la citata sentenza non motiva
la scelta di un termine di sei mesi, né spiega perché considera adeguato tale termine, ma si limita ad addurre che esso consente
«ai contribuenti di ordinaria diligenza di conoscere il nuovo regime e di predisporre ed avviare la loro azione in condizioni
che non compromettano le loro opportunità di successo»
(42)
. Perché un termine di tre mesi non è idoneo e invece uno di sei lo è? La sentenza Grundig italiana si rivela così il frutto
di un atteggiamento volontaristico e di un’errata interpretazione del meccanismo pregiudiziale. Ai sensi dell’art. 234 CE,
la Corte di giustizia ha il compito di pronunciarsi sull’interpretazione del diritto comunitario e di fornire ai giudici nazionali
orientamenti precisi per l’applicazione dello stesso, non essendo in alcun modo legittimata a intervenire in quest’ultima
operazione giuridica, a pena di ignorare i fondamenti di questo strumento di collaborazione tra organi giurisdizionali, che
impone uno scrupoloso rispetto degli ambiti di competenza di ognuno
(43)
. In realtà, quando esprime pronuncie di tale natura, la Corte di giustizia si comporta allo stesso modo che nel ricorso diretto,
in quanto si attribuisce, in spregio delle norme del Trattato, poteri di piena giurisdizione che incidono pesantemente sulla
competenza sovrana del giudice nazionale a risolvere la controversia principale
(44)
. Il sistema instaurato dall’art. 234 CE poggia sulla differenza tra l’integrazione e l’applicazione delle norme, consentendo
in tal modo di conciliare la legittima autorità del giudice nazionale con la necessaria uniformità del diritto comunitario,
come, anni or sono, aveva segnalato Robert Lecourt
(45)
. Lo svolgimento di questo compito, richiede il rispetto scrupoloso della ripartizione delle competenze
(46)
. È pur vero che la distinzione tra interpretazione e applicazione è assai sottile, poiché risulta difficile interpretare
una norma senza applicarla, o applicarla senza interpretarla, tuttavia la Corte di giustizia deve evitare di sostituirsi al
giudice nazionale, e cercare invece di attenersi, entro i limiti tracciati dall’ordinanza di rinvio, al compito di fornire
risposte precise
(47)
. Ami Barav
(48)
ha riconosciuto che, nonostante le dichiarazioni solenni della Corte di giustizia sul rispetto dovuto nei confronti delle
competenze del giudice nazionale, la realtà appare ben diversa
(49)
.
36. Per le ragioni in precedenza esposte, propongo alla Corte di giustizia di risolvere la questione posta dal Tribunal Tribútario
de Primera Instância de Lisboa nei termini già indicati dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, e cioè nel senso
che:
–
il diritto comunitario e, in particolare, il principio che sancisce la sua effettività, osta all’applicazione disposizioni
di uno Stato membro che, con riguardo alle azioni di ripetizione di tributi percepiti in violazione della normativa comunitaria,
fissano un termine di decadenza che rende in pratica estremamente difficile l’esercizio del diritto al rimborso;
–
spetta al giudice nazionale, dopo aver valutato tutti gli elementi di fatto e di diritto, formali e sostanziali, che concorrono
nell’esercizio dell’azione, stabilire se il termine fissato dall’ordinamento interno sia ragionevole e assicuri il rispetto
del suddetto principio.
2. In subordine
37. Se la Corte ritenesse necessario pronunciarsi sulla domanda che costituisce oggetto della causa principale, esprimendosi in
merito all’adeguatezza di un termine concreto e specifico come quello di novanta giorni previsto all’art. 102, n. 1, del Código de Procedimento e de Processo Tribútario, mi sembra corretto ritenere che, alla luce delle circostanze di fatto all’origine della lite e considerata la conoscenza
inevitabilmente frammentaria dell’ordinamento giuridico portoghese, secondo i parametri forniti nella sentenza di rinvio,
il suddetto termine sia ragionevole e, quindi, tale da consentire alla Recheio l’esercizio dei suoi diritti con ogni garanzia
di effettività.
38. La lett. a) della citata norma indica come dies a quo per la decorrenza del termine il giorno successivo a quello in cui è
scaduto il periodo previsto per il pagamento volontario del tributo, che, in linea generale, dura trenta giorni a decorrere
dalla notifica dell’avviso di liquidazione del tributo
(50)
. Nella causa principale, l’atto impugnato è stato notificato il 4 marzo 1998, per cui, in via di principio, il periodo previsto
per il pagamento volontario spirava intorno al 15 aprile
(51)
seguente, talché la citata società aveva tempo approssimativamente fino al 19 agosto per presentare un ricorso in sede giurisdizionale
(52)
.
39. Un periodo che, in realtà, si estende per quasi cinque mesi e mezzo (dal giorno in cui è stato notificato l’avviso di liquidazione
del tributo impugnato fino alla scadenza del termine per presentare ricorso giurisdizionale), non rende difficile né impossibile
l’esercizio effettivo dei diritti di cui si discute nella causa principale.
40. In primo luogo, occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia
(53)
, il diritto comunitario non vieta ad uno Stato membro di opporre alle azioni di ripetizione di tributi riscossi in violazione
di una direttiva un termine nazionale di decadenza che inizia a decorrere dalla data del pagamento dei tributi di cui trattasi,
e questo anche se, a tale data, la direttiva non sia stata ancora correttamente attuata nell’ordinamento interno
(54)
. Siffatta soluzione, che cerca di mantenere un equilibrio tra l’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e il
principio di certezza del diritto, non si rivela, come ho già indicato nelle mie conclusioni nella causa Edis
(55)
, pienamente soddisfacente per i contribuenti, che si vedono obbligati a pagare un tributo contrario al diritto comunitario;
tuttavia, stante l’assenza di una norma uniforme in materia, spetta agli Stati membri stabilire, nel rispetto delle condizioni
più volte enunciate, i presupposti dell’azione di ripetizione
(56)
.
41. E in questa ricerca dell’equilibrio tra i diritti dei contribuenti e l’interesse generale, che impedisce di lasciare sine
die le decisioni amministrative sotto la spada di Damocle di un’eventuale impugnazione in sede giurisdizionale, la fissazione
di un termine ultimo per la presentazione di un ricorso in sede giurisdizionale, con le modalità previste dal diritto processuale
portoghese, merita di essere considerata ragionevole. Tale termine delinea un periodo sufficiente affinché, una volta che
sia venuto a conoscenza dell’avviso di liquidazione del tributo, l’interessato prenda la decisione di impugnarlo, raccolga
tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per l’impugnazione e prepari una difesa appropriata
(57)
. Se prendiamo in esame le normative di altri Stati membri in materia, si ottiene la conferma che tutte prevedono termini
simili per la presentazione del ricorso
(58)
, i quali operano nei rispettivi sistemi giuridici senza che venga posta in dubbio la loro idoneità a consentire all’interessato
di chiedere la tutela giurisdizionale dei propri diritti.
42. Inoltre, è indiscutibile il fatto che alle azioni fondate sul diritto interno debbano essere garantite le stesse modalità
temporali di esercizio applicabili alle azioni che si fondano sul diritto comunitario, poiché sul piano dei principi, non
si potrebbe sostenere il contrario.
43. La circostanza che l’amministrazione disponga di termini più ampi per l’esercizio della potestà tributaria
(59)
, non indica che il termine di novanta giorni concesso ai contribuenti per introdurre il ricorso amministrativo in sede giurisdizionale
leda il principio di effettività del diritto comunitario. Per cominciare, in quanto i principi e gli obiettivi che reggono
l’esercizio dell’una e dell’altra azione sono totalmente diversi, il giudizio circa l’adeguatezza dei termini prescinde dal
fatto che l’amministrazione disponga di periodi più ampi per agire. In secondo luogo, poiché in questo ambito l’imperativo
di uguaglianza non opera: è evidente che i pubblici poteri e i cittadini non debbono essere soggetti alle stesse norme. La
decadenza del diritto di liquidare i tributi e la prescrizione del debito fiscale rispondono a criteri molto diversi da quelli
su cui poggia l’assoggettamento a determinati termini del diritto dei cittadini di agire in giudizio. La Recheio effettua
un lodevole sforzo argomentativo nelle sue osservazioni scritte, tuttavia mescola istituti giuridici diversi, come la decadenza
e la prescrizione, e manifesta ancora più confusione nel suo ragionamento quando trascura il fatto che l’amministrazione portoghese
può revocare gli atti validi costitutivi di diritti e di interessi protetti dalla legge unicamente per la parte in cui essi
producono effetti sfavorevoli per i destinatari
(60)
, così come il fatto che gli atti invalidi devono essere revocati entro il termine previsto per il relativo ricorso contenzioso
(61)
.
VI –Conclusione
44. Sulla base delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di giustizia di risolvere le questioni pregiudiziali poste
dal Tribunal Tribútario de Primeira Instância de Lisboa nel seguente modo:
«Il diritto comunitario e, in particolare, il principio che sancisce la sua effettività, ostano all’applicazione di disposizioni
di uno Stato membro che, ai fini dell’esercizio delle azioni di ripetizione di tributi percepiti in violazione della normativa
comunitaria, fissano un termine che rende, in pratica, estremamente difficile l’esercizio del diritto al rimborso.
Spetta al giudice nazionale stabilire, in base alla valutazione di tutti gli elementi di fatto e di diritto, formali e sostanziali,
che concorrono all’esercizio dell’azione di ripetizione, se il termine previsto dall’ordinamento interno sia ragionevole e
assicuri il rispetto del suddetto principio».
45. In subordine, qualora la Corte, nonostante quanto disposto dall’art. 234 CE, ritenesse necessario pronunciarsi sull’applicazione
del diritto comunitario alla fattispecie della causa principale, proporrei di indicare che:
«Il diritto comunitario non osta alla fissazione di un termine, come quello controverso nella causa principale, per l’esercizio
dell’azione di ripetizione di tributi riscossi in violazione delle sue disposizioni, sempreché tale termine si applichi anche
alle domande di rimborso fondate sul diritto interno».
V. sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989, punto 1 del dispositivo), e causa 45/76, Comet (Racc. pag. 2043,
dispositivo); così come le sentenze 15 settembre 1998, causa C‑231/96, Edis (Racc. pag. I‑4951, punto 2 del dispositivo),
e C‑ 260/96, Spac (Racc. pag. I‑4997, punto 1 del dispositivo). V. inoltre le sentenze 27 febbraio 1980, causa 68/79, Just
(Racc. pag. 501, punto 3 del dispositivo); 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana [Racc. pag. 1205, punto 1 del dispositivo,
lett. a)]; 10 luglio 1980, causa 811/79, Ariete (Racc. pag. 2545, dispositivo), e causa 826/79, Mireco (Racc. pag. 2559, dispositivo);
10 luglio 1997, causa C‑261/95, Palmisani (Racc. pag. I‑4025, dispositivo); 17 novembre 1998, causa C‑228/96, Aprile (Racc.
pag. I‑7141, punto 1 del dispositivo), e 9 febbraio 1999, causa C‑343/96, Dilexport (Racc. pag. I‑579, punto 1 del dispositivo).
Tra la giurisprudenza più recente, v. le sentenze 10 settembre 2002, cause riunite C‑216/99 e C‑222/99, Prisco e Caser (Racc.
pag. I‑6761, punto 2 del dispositivo), e 2 ottobre 2003, causa C‑147/01, Weber’s Wine e a. (Racc. pag. I‑11365, punto 3 del
dispositivo).
V., in proposito, sentenze 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595, punto 12 e dispositivo); 8 febbraio
1996, causa C‑212/94, FMC e a. (Racc. pag. I‑389, punto 64 e punto 4 del dispositivo); sentenze 15 settembre 1998, Edis, cit.,
punto 34; Spac, cit., punto 18, e cause riunite da C‑279/96 a 281/96, Ansaldo Energia e a. (Racc. pag. I‑5025, punto 16);
17 novembre 1998, cit. nella nota precedente, punto 18; 9 febbraio 1999, Dilexport, già citata, punto 25; 24 settembre 2002,
causa C‑255/00, Grundig Italiana (Racc. pag. I‑8003, punto 33), e 2 ottobre 2003, Weber’s Wine e a., cit., punto 103.
V. gli artt. 133 e 135 del Código do Procedimento Administrativo, adottato con decreto legge 15 novembre 1991, n. 442. Ai sensi dell’art. 133, n. 2, sono nulli gli atti amministrativi viziati
da a) sviamento di potere; b) incompetenza dell’organo che adotta l’atto; ovvero gli atti c) il cui oggetto è impossibile,
indeterminato o illecito; d) che ledano il contenuto essenziale di un diritto fondamentale; e) ottenuti con l’uso della forza;
e) emanati senza il rispetto delle forme sostanziali; g) emanati da organi collegiali in esito a deliberazioni tumultuose
o con l’inosservanza del quorum o della maggioranza prescritti dalla legge; h) emanati in contrasto con la cosa giudicata,
o infine, i) emanati in conseguenza di atti precedentemente annullati o revocati.
Nel diritto portoghese, il ricorso rivolto alla stessa autorità che ha emanato l’atto impugnato prende il nome di reclamaçâo [v. art. 158, n. 2, lett. a) del Código do Procedimento Administrativo].
V. artt. 68, n. 1 e 70, nn. 1 e 2, in combinato disposto con l’art. 102, n. 1, tutti compresi all’interno del Código de Procedimento e de Processo Tribútario.
Artt. 76 e 67 del Código de Procedimento e de Processo Tribútario, quest’ultimo si legga in combinato disposto con l’art. 167, n. 1, del Código do Procedimento Administrativo: se il ricorso gerarchico in ambito fiscale ha sempre carattere facoltativo, ciò si deve alla previsione secondo cui l’atto
amministrativo è impugnabile in sede giurisdizionale.
V. art. 96, n. 1, del Código de Procedimento e de Processo Tribútario e gli artt. 9 e 95, n. 1, della Lei Geral Tribútaria, approvata con decreto legge 17 dicembre 1998, n. 398. Tali norme specificano, per l’ambito fiscale, il principio generale
sancito dall’art. 264, n. 4, della Costituzione della Repubblica portoghese, il quale: «garantisce il diritto del cittadino
di proporre un ricorso amministrativo in sede giurisdizionale per far valere l’illegittimità di qualsiasi atto amministrativo
che, a prescindere dalla forma, leda i suoi diritti o interessi legittimi».
V. sentenza 26 settembre 2000, causa C‑134/99, IGI (Racc. pag. I‑7717), il cui dispositivo è del seguente tenore:
«1) La direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, nel
testo risultante dalla direttiva del Consiglio 10 giugno 1985, 85/303/CEE, deve essere interpretata nel senso che la riscossione
di diritti come quelli controversi nella causa principale per l’iscrizione in un registro nazionale delle persone giuridiche
di un aumento del capitale sociale di una società di capitali costituisce imposta ai sensi della direttiva.
2) Dei diritti dovuti per l’iscrizione in un registro nazionale delle persone giuridiche di un aumento del capitale sociale
di una società di capitali, quando costituiscono un’imposta ai sensi della direttiva 69/335, nel testo risultante dalla direttiva
85/303, sono in linea di principio vietati ai sensi dell’art. 10, lett. c), della stessa.
3) Non hanno carattere remunerativo, ai sensi dell’art. 12, n. 1, lett. e), della direttiva 69/335, nel testo risultante
dalla direttiva 85/303, dei diritti riscossi per l’iscrizione in un registro nazionale delle persone giuridiche di un aumento
del capitale sociale di una società di capitali, quali i diritti controversi nella causa principale, il cui importo aumenta
direttamente e senza limiti in proporzione al capitale sociale sottoscritto.
4) L’art. 10 della direttiva 69/335, nel testo risultante dalla direttiva 85/303, attribuisce ai singoli diritti di cui questi
possono avvalersi dinanzi ai giudici nazionali».
Le considerazioni svolte dalla Recheio sull’eccezione di incostituzionalità (punti 92 e segg. delle osservazioni scritte)
sono, oltre tutto, superflue, poiché, sebbene una eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma regolante un tributo
come quello controverso nella causa principale, nei limiti in cui può produrre effetti ex tunc, possa avere come corollario
la nullità degli atti emanati in applicazione di tale norma, fatti salvi i limiti che la stessa Corte Costituzionale stabilisca
per gli effetti retroattivi della sua pronuncia (v. art. 282 della Costituzione portoghese), tale conseguenza non ha niente
a che fare con la possibilità di impugnare una liquidazione di imposta senza imposizione di termini di decadenza. La dichiarazione
di incostituzionalità di una legge comporta che gli atti emanati in applicazione di questa presentino un vizio di nullità
talché, se la Corte Costituzionale non delimita la portata della sentenza, gli interessati possono impugnare tali atti senza
un termine di decadenza, conformemente all’art. 102, n. 3, del Código de Procedimento e de Processo Tributário, ma lo stesso vale per gli atti che violano il diritto comunitario, qualora la violazione generi un vizio di nullità. In
altre parole, l’assoggettamento ad un termine di novanta giorni ovvero l’inesistenza di un termine entro il quale è possibile
impugnare un atto amministrativo non dipende dal settore dell’ordinamento giuridico in cui si produce la violazione, bensì
dalla natura del vizio che colpisce l’atto.
In ogni caso, la giurisprudenza portoghese considera che l’impugnazione dinanzi all’autorità giudiziaria costituisca il mezzo
di ricorso più adeguato per far valere pretese quali quella della Recheio, come è dimostrato dal fatto che tale società aveva
intentato un’azione dichiarativa, trasformata d’ufficio in impugnazione dal giudice del rinvio.
V. sentenza Rewe, punto 5, in fine, e sentenza Comet, punti 16‑18. In proposito, può inoltre essere utile consultare la sentenza
Denkavit Italiana, punto 23.
Si ricordi che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il diritto al rimborso delle somme riscosse in violazione
dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea è la conseguenza e il complemento dei diritti riconosciuti ai singoli dalle
norme comunitarie come interpretate dalla stessa Corte; pertanto gli Stati membri sono tenuti a rimborsare i tributi riscossi
in violazione del detto ordinamento (v., inter alia, sentenze 2 dicembre 1997, causa C‑188/95, Fantask, Racc. pag. I‑6783,
punto 38, e 9 febbraio 1999, Dilexport, cit., punto 23; si veda inoltre la sentenza 22 ottobre 1998, cause riunite da C‑10/97
a C‑22/97, IN.CO.GÈ90 e a., Racc. pag. I‑6307, punto).
Sentenza 22 novembre 1978, causa 93/78, Lothar Mattheus (Racc. pag. 2203, punto 5). Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale
Mayras ha posto in rilievo che la Corte di giustizia può fondare la propria competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale
solo nell’ambito delle precise condizioni alle quali tale potere le viene attribuito dall’art. 177 del Trattato CE (pag. 2212).
Nella sentenza 30 settembre 2003, causa C‑224/01, Köbler (Racc. pag. I‑10239), la Corte ha persistito nel medesimo errore.
Con riguardo alla responsabilità patrimoniale degli Stati membri per danni cagionati ai singoli da violazioni del diritto
comunitario imputabili ad un organo giurisdizionale nazionale, essa ha elencato i presupposti e le condizioni che devono concorrere
affinché possa essere fatta valere tale responsabilità (punto 59); tuttavia, dopo aver ammesso che l’applicazione dei presupposti
che fanno sorgere tale responsabilità spetta al giudice nazionale (punto 100), ha invaso un terreno che le è interdetto,
lanciandosi in un’operazione estranea alle competenze che le sono proprie (punto 101 e segg.). Nell’ambito di un ricorso di
impugnazione, la Corte di giustizia ha commesso un errore simile con la sentenza 20 settembre 2001, causa C‑383/99 P, Procter
& Gamble (Racc. pag. I‑6251), nota come sentenza «Baby‑dry», dove essa ha, di nuovo, travalicato i limiti della propria giurisdizione,
come ho avuto occasione di indicare, per la prima volta, nelle conclusioni che ho presentato il 31 gennaio 2002 nella causa
C‑363/99, KPN (v., in particolare, paragrafo 68), non ancora decisa con sentenza.
Lagrange, M. «L’action prégiudicielle dans le droit interne des États membres et en droit communautaire», Revue trimestrelle de droit européenne, 1974, pag. 268.
De Richemont, J., L’integration du droit communautaire dans l’ordre juridique interne, Ed. Librairie du Journal des notaires et des Avocats, Parigi, 1975, pag. 41 e segg.
Recentemente, lo stesso Barav, A. «Transmutations Préjudicielles», nel libro di autori vari Une communauté de droit, Festschrift für Gil Carlos Rodrigues Iglesias, Ed. BWV Berliner Wissenschafts‑verlag, Berlino, 2003, pag. 622, ribadisce che «la coopération entre les jurisdictions nationales et la Cour de justice dans le cadre de la procédure préjudicielle est articulée
autour d’une répartition “impérative” de fonctions dont le respect mutuel constitue la sève» [«la cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia nell’ambito del procedimento pregiudiziale si articola
intorno ad una ripartizione “imperativa” delle funzioni il cui rispetto reciproco costituisce la linfa»].
Per il computo dei termini v. art. 72 del Código do Procedimento Administrativo e gli artt. 20 del Código de Procedimento e de Processo Tribútario e 279 del codice civile portoghese.
Unicamente nella sentenza 25 luglio 1991, causa C‑208/90, Emmott (Racc. pag. I‑4369), la Corte ha sostenuto la tesi contraria,
anche se l’ha poi abbandonata nelle sentenze successive (v. quelle citate nella nota precedente, nonché sentenze 27 ottobre
1993, causa C‑338/91, Steenhorst‑Neerings, Racc. pag. I‑5475, e 6 dicembre 1994, causa C‑410/92, Johnson, pag. I‑5843), con
il motivo che la fattispecie di quella causa era del tutto particolare.
In ogni caso, il diritto processuale portoghese offre un rimedio suppletivo come l’azione dichiarativa, soggetta ad un termine
di esercizio di quattro anni, che può essere esperita quando risulta essere il mezzo più idoneo ad assicurare una tutela piena
ed efficace (v. art. 145 del Código de Procedimento e de Processo Tribútario). Ciononostante, il Tribunal Tribútario de Primera Instância de Lisboa ha ritenuto che tale azione non fosse il mezzo processuale
adatto per trattare la causa della Recheio [v. lett. i) dell’ordinanza di rinvio].
L’art. 108, n. 1, del Código de Procedimento e de Processo Tribútario dispone che «l’ impugnazione si formula con una domanda rivolta al giudice o al tribunale competente, in cui devono essere
indicati l’atto impugnato e l’autorità che lo ha emanato, e in cui devono essere esposti i fatti e i motivi di diritto sui
quali si fonda la pretesa».
In diritto spagnolo il termine, in linea generale, è di due mesi (art. 46, n. 1, della legge 13 luglio 1998, n. 29, recante
disciplina dei ricorsi amministrativi in sede giurisdizionale) come nel sistema francese (art. 1 del decreto 11 gennaio 1965,
n. 65, relativo ai termini per il ricorso contenzioso in materia amministrativa). Il diritto belga stabilisce un termine di
sessanta giorni (art. 30, n. 2, delle lois coordonnées sur le Conseil d’Etat) [leggi coordinate sul Consiglio di Stato], analogamente al diritto italiano, con riguardo alla proposizione del ricorso
in materia tributaria (art. 21, n. 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, Disposizioni sul processo tributario
in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413). L’ordinamento giuridico
tedesco fissa un termine di un mese (art. 74 della Verwaltungsgerichtsordnung (VwGO) [legge sulla giurisdizione amministrativa] del 21 gennaio 1960. Il dies a quo per la decorrenza dei termini è il giorno
successivo alla data di pubblicazione o di notificazione dell’atto impugnato o, se del caso, del rigetto del ricorso amministrativo
previo.
Il diritto di liquidare i tributi decade dopo quattro anni e il termine di prescrizione del debito d’imposta è di otto anni;
d’altra parte, l’amministrazione dispone di quattro anni per riesaminare d’ufficio gli atti emanati in questa materia (rispettivamente,
artt. 45, 48 e 78 della Ley Geral Tribútaria).
V. art. 140 del Código do Procedimento Administrativo, che si applica suppletivamente al Código de Procedimento e de Processo Tribútario [art. 2, lett. d), di quest’ultimo testo normativo].
V. art. 141 del Código do Procedimento Administrativo. L’art. 78 della Ley Geral Tribútaria, cui si riferisce la Recheio nelle sue osservazioni scritte, che assoggetta la revisione
degli atti tributari su istanza dell’interessato al termine indicato per l’introduzione del reclamo amministrativo, poiché
l’amministrazione dispone di quattro anni, si applica unicamente alle revisioni a favore dell’amministrato (Lima Guerreiro,
A., Ley Geral Tribútaria. Anotada, Editora Rei dos Libros, Lisbona, 2001, pag. 343).