Conclusioni dell'avvocato generale Tizzano del 29gennaio2002. - Commissione delle Comunità europee contro Granducato del Lussemburgo. - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 92/43/CEE - Conservazione degli habitat naturali - Fauna e flora selvatiche. - Causa C-75/01.
raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-01585
1. Con il presente ricorso, introdotto il 14 febbraio 2001 ai sensi dell'art. 226 CE, la Commissione europea ha chiesto alla Corte di giustizia di dichiarare che il Granducato di Lussemburgo non ha trasposto in modo completo e corretto alcune disposizioni della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7; in prosieguo: la «direttiva»).
I - Quadro giuridico
A - Le pertinenti disposizioni comunitarie
2. L'art. 1 della direttiva prevede che:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) Conservazione: un complesso di misure necessarie per mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche in uno stato soddisfacente ai sensi delle lettere e) e i).
b) Habitat naturali: zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, interamente naturali o seminaturali.
c) Habitat naturali di interesse comunitario: gli habitat che nel territorio di cui all'articolo 2:
i) rischiano di scomparire nella loro area di ripartizione naturale;
ovvero
ii) hanno un'area di ripartizione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è intrinsecamente ristretta;
ovvero
iii) costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle cinque regioni biogeografiche seguenti: alpina, atlantica, continentale, macaronesica e mediterranea.
Questi tipi di habitat figurano o potrebbero figurare nell'allegato I.
d) Tipi di habitat naturali prioritari: i tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire nel territorio di cui all'articolo 2 e per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza della parte della loro area di distribuzione naturale compresa nel territorio di cui all'articolo 2. Tali tipi di habitat naturali prioritari sono contrassegnati da un asterisco (*) nell'allegato I.
e) Stato di conservazione di un habitat naturale: l'effetto della somma dei fattori che influiscono sull'habitat naturale in causa, nonché sulle specie tipiche che in esso si trovano, che possono alterare a lunga scadenza la sua ripartizione naturale, la sua struttura e le sue funzioni, nonché la sopravvivenza delle sue specie tipiche nel territorio di cui all'articolo 2.
Lo "stato di conservazione" di un habitat naturale è considerato "soddisfacente" quando
- la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione,
- la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile e
- lo stato di conservazione delle specie tipiche è soddisfacente ai sensi della lettera i).
f) Habitat di una specie: ambiente definito da fattori abiotici e biotici specifici in cui vive la specie in una delle fasi del suo ciclo biologico.
g) Specie di interesse comunitario: le specie che nel territorio di cui all'articolo 2:
i) sono in pericolo, tranne quelle la cui area di ripartizione naturale si estende in modo marginale su tale territorio e che non sono in pericolo né vulnerabili nell'area del paleartico occidentale, oppure
ii) sono vulnerabili, vale a dire che il loro passaggio nella categoria delle specie in pericolo è ritenuto probabile in un prossimo futuro, qualora persistano i fattori alla base di tale rischio, oppure
iii) sono rare, vale a dire che le popolazioni sono di piccole dimensioni e che, pur non essendo attualmente in pericolo né vulnerabili, rischiano di diventarlo. Tali specie sono localizzate in aree geografiche ristrette o sparpagliate su una superficie più ampia, oppure
iv) sono endemiche e richiedono particolare attenzione, data la specificità del loro habitat e/o le incidenze potenziali del loro sfruttamento sul loro stato di conservazione.
Queste specie figurano o potrebbero figurare nell'allegato II e/o IV o V.
h) Specie prioritarie: le specie di cui alla lettera g), punto i), per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza della parte della loro area di distribuzione naturale compresa nel territorio di cui all'articolo 2. Tali specie prioritarie sono contrassegnate da un asterisco (*) nell'allegato II.
i) Stato di conservazione di una specie: l'effetto della somma dei fattori che, influendo sulle specie in causa, possono alterare a lungo termine la ripartizione e l'importanza delle sue popolazioni nel territorio di cui all'articolo 2.
Lo "stato di conservazione" è considerato "soddisfacente" quando
- i dati relativi all'andamento delle popolazioni della specie in causa indicano che tale specie continua e può continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene,
- l'area di ripartizione naturale di tale specie non è in declino né rischia di declinare in un futuro prevedibile e
- esiste e continuerà probabilmente ad esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si mantengano a lungo termine.
j) Sito: un'area geograficamente definita, la cui superficie sia chiaramente delimitata.
k) Sito di importanza comunitaria: un sito che, nella o nelle regioni biogeografiche cui appartiene, contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale di cui all'allegato I o una specie di cui all'allegato II in uno stato di conservazione soddisfacente e che può inoltre contribuire in modo significativo alla coerenza di Natura 2000 di cui all'articolo 3, e/o che contribuisce in modo significativo al mantenimento della diversità biologica nella regione biogeografica o nelle regioni biogeografiche in questione.
Per le specie animali che occupano ampi territori, i siti di importanza comunitaria corrispondono a luoghi, all'interno dell'area di ripartizione naturale di tali specie, che presentano gli elementi fisici o biologici essenziali alla loro vita e riproduzione.
l) Zona speciale di conservazione: un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato.
m) Esemplare: qualsiasi animale o pianta, vivi o morti, delle specie elencate nell'allegato IV e nell'allegato V; qualsiasi parte o prodotto ottenuti a partire dall'animale o dalla pianta, nonché qualsiasi altro bene che risulti essere una parte o un prodotto di animali o di piante di tali specie in base ad un documento di accompagnamento, all'imballaggio, al marchio, all'etichettatura o ad un altro elemento.
n) Il comitato: il comitato stabilito a norma dell'art. 20».
3. Ai sensi del suo art. 2, n. 1, scopo della direttiva è:
«contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato».
Il n. 2 della medesima disposizione precisa che
«Le misure adottate a norma della presente direttiva sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario».
4. L'art. 4 della direttiva fissa una procedura in più fasi per la selezione dei siti in cui si trovano specie e habitat protetti ai sensi della direttiva. Anzitutto, ogni Stato membro propone un elenco di tali siti, indicante quali tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e quali specie locali di cui all'allegato II vi si riscontrano; l'elenco viene trasmesso alla Commissione entro il triennio successivo alla notifica della direttiva, contemporaneamente alle informazioni su ogni sito (art. 4, n. 1). A partire dagli elenchi degli Stati membri e in base ai criteri di cui all'allegato III la Commissione elabora, d'accordo con ciascuno Stato interessato, un progetto di elenco dei siti di importanza comunitaria e stabilisce poi l'elenco definitivo nei modi previsti dall'art. 21 della direttiva (art. 4, n. 2); il tutto deve avvenire entro sei anni dalla notifica della direttiva (art. 4, n. 3). Una volta che un sito di importanza comunitaria è stato individuato in base alla descritta procedura, lo Stato membro interessato designa tale sito come una zona speciale di conservazione (in prosieguo: «ZSC») il più rapidamente possibile e entro un termine massimo di sei anni (art. 4, n. 4). Tali ZSC vanno a costituire la rete «Natura 2000», cioè una rete ecologica europea coerente di tali zone (v. art. 3, n. 1, della direttiva). L'art. 4, n. 5, infine, prevede che: «Non appena un sito è iscritto nell'elenco di cui al paragrafo 2, terzo comma, esso è soggetto alle disposizioni dell'articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4».
5. In virtù dell'art. 5 della direttiva:
«1. In casi eccezionali in cui la Commissione constata l'assenza da un elenco nazionale di cui all'articolo 4, paragrafo 1, di un sito in cui si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari o una o più specie prioritarie, che, in base a informazioni scientifiche pertinenti e attendibili, le sembra indispensabile per il mantenimento di detto tipo di habitat naturale prioritario o per la sopravvivenza di detta specie prioritaria, è avviata una procedura di concertazione bilaterale tra detto Stato membro e la Commissione per raffrontare i dati scientifici utilizzati da ambo le parti.
2. Se al termine di un periodo di concertazione non superiore a sei mesi la controversia non è stata risolta, la Commissione trasmette al Consiglio una proposta relativa alla scelta del sito in causa quale sito di importanza comunitaria.
3. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, decide entro un termine di tre mesi a decorrere dal momento in cui è stato adito.
4. Durante il periodo di concertazione ed in attesa di una decisione del Consiglio, il sito in causa è soggetto alle disposizioni dell'articolo 6, paragrafo 2».
6. L'art. 6 della direttiva prevede che:
«1. Per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano all'occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e delle specie di cui all'allegato II presenti nei siti.
2. Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.
3. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica.
4. Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell'incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.
Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico».
7. Ai sensi dell'art. 7 della direttiva:
«Gli obblighi derivanti dall'articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4 della presente direttiva sostituiscono gli obblighi derivanti dall'articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva 79/409/CEE, per quanto riguarda le zone classificate a norma dell'articolo 4, paragrafo 1, o analogamente riconosciute a norma dell'articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente direttiva o dalla data di classificazione o di riconoscimento da parte di uno Stato membro a norma della direttiva 79/409/CEE, qualora essa sia posteriore».
8. Ai sensi dell'art. 11 della direttiva:
«Gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di cui all'articolo 2, tenendo particolarmente conto dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritari».
9. L'art. 12, nn. 1, lett. b) e c), 2 e 4, della direttiva prevede che:
«1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui all'allegato IV, lettera a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di:
(...)
b) perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione;
c) distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell'ambiente naturale;
(...)
2. Per dette specie gli Stati membri vietano il possesso, il trasporto, la commercializzazione ovvero lo scambio e l'offerta a scopi commerciali o di scambio di esemplari presi dall'ambiente naturale, salvo quelli legalmente raccolti prima della messa in applicazione della presente direttiva.
(...)
4. Gli Stati membri instaurano un sistema di sorveglianza continua delle catture o uccisioni accidentali delle specie faunistiche elencate nell'allegato IV, lettera a). In base alle informazioni raccolte, gli Stati membri intraprendono le ulteriori ricerche o misure di conservazione necessarie per assicurare che le catture o uccisioni accidentali non abbiano un impatto negativo significativo sulle specie in questione».
10. L' art. 13, nn. 1, lett. b), e 2, della direttiva dispone che:
«1. Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti atti ad istituire un regime di rigorosa tutela della specie vegetali di cui all'allegato IV, lettera b), con divieto di:
(...)
b) possedere, trasportare, commercializzare o scambiare e offrire a scopi commerciali o di scambio esemplari delle suddette specie, raccolti nell'ambiente naturale, salvo quelli legalmente raccolti prima della messa in applicazione della presente direttiva.
2. I divieti di cui al paragrafo 1, lettere a) e b), sono validi per tutte le fasi del ciclo biologico delle piante cui si applica il presente articolo».
11. Ai sensi dell'art. 14 della direttiva:
«1. Gli Stati membri, qualora lo ritengano necessario alla luce della sorveglianza prevista all'articolo 11, adottano misure affinché il prelievo nell'ambiente naturale di esemplari delle specie della fauna e della flora selvatiche di cui all'allegato V, nonché il loro sfruttamento, siano compatibili con il loro mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente.
2. Nel caso in cui dette misure siano giudicate necessarie, esse debbono comportare la continuazione della sorveglianza prevista dall'articolo 11 e possono inoltre comprendere segnatamente:
- prescrizioni relative all'accesso a determinati settori,
- il divieto temporaneo o locale di prelevare esemplari nell'ambiente naturale e di sfruttare determinate popolazioni,
- la regolamentazione dei periodi e/o dei metodi di prelievo,
- l'applicazione, all'atto del prelievo, di norme cinegetiche o alieutiche che tengano conto della conservazione delle popolazioni in questione,
- l'istituzione di un sistema di autorizzazioni di prelievi o di quote,
- la regolamentazione dell'acquisto, della vendita, della messa in vendita, del possesso o del trasporto in vista della vendita di esemplari,
- l'allevamento in cattività di specie animali, nonché la riproduzione artificiale di specie vegetali, a condizioni rigorosamente controllate, onde ridurne il prelievo nell'ambiente naturale,
- la valutazione dell'effetto delle misure adottate».
12. In virtù dell'art. 15 della direttiva:
«Per quanto riguarda la cattura o l'uccisione delle specie faunistiche selvatiche elencate nell'allegato V, lettera a), qualora deroghe conformi all'articolo 16 siano applicate per il prelievo, la cattura o l'uccisione delle specie di cui all'allegato IV, lettera a), gli Stati membri vietano tutti i mezzi non selettivi suscettibili di provocare localmente la disparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di tali specie, e in particolare:
a) l'uso dei mezzi di cattura e di uccisione specificati nell'allegato VI, lettera a);
b) qualsiasi forma di cattura e di uccisione dai mezzi di trasporto di cui all'allegato VI, lettera b)».
13. L'art. 16, n. 1, della direttiva, prevede che:
«A condizione che non esista un'altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale, gli Stati membri possono derogare alle disposizioni previste dagli articoli 12, 13, 14 e 15, lettere a) e b):
a) per proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali;
b) per prevenire gravi danni, segnatamente alle colture, all'allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico e alle acque e ad altre forme di proprietà;
c) nell'interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente;
d) per finalità didattiche e di ricerca, di ripopolamento e di reintroduzione di tali specie e per operazioni di riproduzione necessarie a tal fine, compresa la riproduzione artificiale delle piante;
e) per consentire, in condizioni rigorosamente controllate, su base selettiva ed in misura limitata, la cattura o la detenzione di un numero limitato di taluni esemplari delle specie di cui all'allegato IV, specificato dalle autorità nazionali competenti».
14. Ai sensi dell'art. 22, lett. b) e c), della direttiva:
«Nell'attuare le disposizioni della presente direttiva, gli Stati membri:
(...)
b) controllano che l'introduzione intenzionale nell'ambiente naturale di una specie non locale del proprio territorio sia disciplinata in modo da non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna e alla flora selvatiche locali, e, qualora lo ritengano necessario, vietano siffatta introduzione. I risultati degli studi di valutazione effettuati sono comunicati al comitato per informazione;
c) promuovono l'istruzione e l'informazione generale sull'esigenza di tutelare le specie di fauna e flora selvatiche e di conservare il loro habitat nonché gli habitat naturali».
15. Infine, l'art. 23 della direttiva prevede che:
«1. Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro due anni a decorrere dalla sua notifica. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
2. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
3. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva».
16. Poiché la direttiva è stata comunicata al Granducato di Lussemburgo il 5 giugno 1992, nella specie il termine per la sua trasposizione è scaduto il 5 giugno 1994.
B - Le pertinenti disposizioni nazionali
17. Il Granducato di Lussemburgo ha trasmesso alla Commissione una nutrita serie di provvedimenti intesi a trasporre la direttiva. Secondo il governo resistente i principali tra questi sono: la loi concernant l'aménagement du territoire del 21 maggio 1999 (legge sulla pianificazione del territorio; in prosieguo: la «legge 21 maggio 1999») ; un projet de règlement grand-ducal instituant un ensemble de régimes d'aides pour la sauvegarde de la diversité biologique (bozza di regolamento granducale sulla biodiversità; in prosieguo: la «bozza di regolamento sulla biodiversità»); e la loi concernant la protection de la nature et des ressources naturelle dell'11 agosto 1982, come modificata (legge sulla protezione della natura e delle risorse naturali; in prosieguo: la «legge 11 agosto 1982») . Di queste e delle altre misure rilevanti ai fini della presente causa dirò più ampiamente in seguito.
II - Argomenti delle parti e analisi giuridica
A - Premessa
18. La Commissione ritiene che il complesso delle disposizioni nazionali comunicatele dal Lussemburgo non sia sufficiente ai fini di una corretta e completa trasposizione della direttiva. Per questo motivo, già il 29 aprile 1999 essa aveva inviato a tale Stato una lettera di messa in mora ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE (divenuto art. 226 CE). Nella loro risposta a tale lettera le autorità granducali avevano obiettato che numerose disposizioni nazionali, legislative e regolamentari, anche successive a quelle inizialmente trasmesse alla Commissione, realizzavano in sostanza gli obiettivi della direttiva. Tuttavia, nel replicare al parere motivato che, malgrado tale risposta, la Commissione aveva loro inviato il 22 febbraio 2000, dette autorità riconoscevano che per garantire la trasposizione della direttiva sarebbe stato necessario modificare ulteriormente il quadro normativo nazionale ed assicuravano, anzi, che erano già stati avviati i lavori parlamentari a tal fine necessari. Nella memoria di costituzione nel presente giudizio, tuttavia, il Lussemburgo si è limitato a riferire che un disegno di legge per la trasposizione della direttiva è stato approvato dal governo il 23 febbraio 2001. Per questo solo motivo, e astenendosi da ogni altra difesa ed anzi senza neppure richiamare le obiezioni sviluppate nel corso della fase precontenziosa, il governo convenuto ha chiesto formalmente alla Corte di rigettare il ricorso o, in alternativa, di sospendere una procedura destinata a diventare priva di oggetto, e alla quale, a suo giudizio, la stessa Commissione rinuncerà una volta che il ricordato progetto di legge sarà definitivamente approvato.
19. In definitiva, quindi, solo la Commissione ha sviluppato le proprie argomentazioni nel corso del presente giudizio, mentre il Lussemburgo ha in sostanza rinunciato a farlo, anche se per conoscerne le difese si può fare riferimento allo stesso ricorso della Commissione, oltre che al fascicolo di causa, comprendente, nella specie, copia delle osservazioni e dei documenti trasmessi da detto governo nel corso della fase precontenziosa. Devo notare, peraltro, che, malgrado quanto precede, il Lussemburgo non si è limitato a chiedere la sospensione del presente giudizio, ma ha altresì chiesto, e a titolo principale, di respingere il ricorso della Commissione. Anche per questo motivo, dunque, ma soprattutto per la natura del procedimento instaurato ai sensi dell'art. 226 CE, la mancata difesa nel merito da parte del governo resistente e perfino la sua acquiescenza non possono portare automaticamente ad una condanna . Poiché, infatti, come ha sottolineato la Corte di giustizia, la fase giurisdizionale della procedura per infrazione «si basa sull'accertamento oggettivo dell'inosservanza da parte di uno Stato membro degli obblighi impostigli dal Trattato o da un atto di diritto derivato» , se ne deve dedurre che la Corte è tenuta a procedere comunque all'esame della fondatezza delle contestazioni mosse in simili procedure dalla Commissione. Considerato allora che quest'ultima non ha ritenuto di dover ritirare il presente ricorso, occorre ugualmente verificare nel merito la fondatezza delle sue contestazioni, malgrado il descritto comportamento dello Stato convenuto.
B - Le contestazioni
20. Ciò posto, passo ora all'esame analitico di tali contestazioni.
1. L'art. 1 della direttiva
21. La Commissione sostiene che nessuna misura nazionale ha per oggetto o per effetto di trasporre in modo corretto, completo e preciso le definizioni di concetti importanti contenute nell'art. 1 della direttiva. Nel luglio del 1999 le autorità lussemburghesi avevano segnalato che le definizioni contenute in detto articolo sarebbero state riprese in un «piano settoriale» previsto dalla legge 21 maggio 1999 (in prosieguo: il «piano settoriale»). Tuttavia, allo scadere del termine di due mesi dalla comunicazione del parere motivato alle autorità lussemburghesi e, ancora, all'atto del deposito del ricorso introduttivo della presente causa alla Commissione non risultava che detto piano fosse stato adottato, né il governo resistente ha fornito alcuna indicazione al riguardo. Ritengo dunque che il primo mezzo di ricorso debba essere accolto.
2. L'art. 4, n. 5, della direttiva
22. Secondo la Commissione, le misure trasmessele dalle autorità lussemburghesi non hanno né per oggetto né per effetto di trasporre l'art. 4, n. 5, della direttiva. Come ho già detto, tale norma dispone che «[n]on appena un sito è iscritto nell'elenco [dei siti di importanza comunitaria] esso è soggetto alle disposizioni dell'articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4», le quali stabiliscono, come vedremo meglio in appresso (v. paragrafi 34-48), una serie di misure intese ad evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie e le perturbazioni delle specie protette. La ricorrente sostiene che, per questo motivo, allo scadere del termine per la trasposizione della direttiva le disposizioni nazionali intese ad attuare l'art. 6, nn. 2-4 (non ancora adottate, v. infra), non sarebbero state automaticamente applicabili ai siti di importanza comunitaria e non sarebbero quindi state opponibili ai terzi.
23. Nella risposta alla lettera di messa in mora le autorità lussemburghesi hanno obiettato che la pratica amministrativa, fondata sulla legge 11 agosto 1982 e consistente nel rifiutare l'autorizzazione per qualsiasi degrado degli habitat naturali e di quelli di specie, costituisce una misura appropriata ai fini della trasposizione dell'art. 4, n. 5. Esse hanno comunque riconosciuto che la legge 11 agosto 1982 è insufficiente ad assicurare una valutazione dell'incidenza di piani o progetti sulle zone speciali di conservazione nel senso voluto dall'art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva e si sono quindi limitate ad affermare che il piano settoriale di futura adozione avrebbe colmato tale lacuna.
24. Per parte mia potrei limitarmi a ribattere, come ha fatto la Commissione, che una soluzione fondata su pratiche amministrative non garantisce la corretta trasposizione di una direttiva, in quanto esse, come ha più volte chiarito la Corte, essendo per natura modificabili a piacimento dell'amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non assicurano la certezza giuridica richiesta per la trasposizione di una direttiva . Ad ogni modo, mi pare evidente che, dato che lo stesso governo lussemburghese riconosce che detto piano non è stato adottato (v. paragrafo 21), non si può sostenere che la norma in esame sia stata trasposta in modo completo e corretto.
25. Sono pertanto dell'avviso che il presente mezzo vada accolto.
3. L'art. 5, n. 4, della direttiva
26. Come si è visto (v. paragrafo 5), l'art. 5 fissa la procedura da seguire nei casi eccezionali in cui la Commissione constati l'assenza nell'elenco trasmessole ai sensi dell'art. 4, n. 1, di un sito che le sembra indispensabile per il mantenimento di un determinato habitat. Questa procedura comporta una fase di concertazione bilaterale con lo Stato membro interessato della durata massima di sei mesi e, se necessario, la trasmissione della questione al Consiglio, il quale deve deliberare entro tre mesi. Ora, durante il periodo di concertazione ed in attesa di una decisione del Consiglio, come ho detto, l'art. 5, n. 4, stabilisce che il sito in causa è soggetto alle disposizioni dell'art. 6, n. 2. Secondo le informazioni in possesso della Commissione, nel Granducato di Lussemburgo non vi sono disposizioni aventi per oggetto o per effetto di trasporre l'art. 5, n. 4, con il risultato che, nell'ipotesi prevista da questa disposizione, le misure nazionali destinate ad attuare l'art. 6, n. 2, non saranno automaticamente applicabili ai siti eventualmente interessati e non saranno quindi opponibili ai terzi nel corso di detto periodo transitorio.
27. E' vero che nella già citata risposta alla lettera di messa in mora le autorità lussemburghesi hanno sostenuto che la legge 11 agosto 1982 assicura il risultato voluto dall'art. 5, n. 4, della direttiva, al pari di quanto già accade per l'art. 4, n. 5, di cui ho detto poc'anzi. Ma, per gli stessi motivi che ho allora indicato, l'argomento mi pare inaccettabile.
28. Le autorità lussemburghesi hanno aggiunto che in ogni caso il Granducato ha probabilmente già incluso nell'elenco trasmesso alla Commissione ai sensi dell'art. 4, n. 1, tutti i siti presenti nel suo territorio indispensabili per la conservazione di determinati habitat e che, quindi, non sarebbe affatto necessario ricorrere alla procedura di cui all'art. 5, n. 4, della direttiva. Ma neppure questa tesi può essere accolta. A parte la pretesa di procedere in questa materia per supposizioni, resta il fatto che, come osserva la ricorrente, non si può dare per scontato l'esito dei lavori, ancora in corso presso la Commissione, per identificare i siti di importanza comunitaria della regione biogeografica continentale, cui appartiene il territorio lussemburghese.
29. Ritengo pertanto fondato il mezzo di ricorso relativo all'art. 5, n. 4, della direttiva.
4. L'art. 6 della direttiva
30. La Commissione premette che, conformemente all'art. 23, n. 1, della direttiva, l'art. 6 doveva formare l'oggetto di un'appropriata trasposizione entro il 5 giugno 1994. Risulta infatti dall'art. 4, n. 4, della direttiva che gli Stati membri sono tenuti a designare come ZSC i siti di interesse comunitario presenti nel loro territorio il più rapidamente possibile a seguito del riconoscimento del loro interesse comunitario e, al più tardi, entro sei anni da detto riconoscimento. Ora, aggiunge la Commissione, il fatto stesso che la direttiva preveda espressamente che gli Stati membri devono essere in grado di procedere il più rapidamente possibile alla designazione dei siti come ZSC conferma che essi devono essersi dotati prima di quella data degli strumenti giuridici e delle procedure a tal fine idonei.
31. Sulla base di questa premessa, che ritengo corretta, la Commissione sviluppa le contestazioni relative ai singoli paragrafi della norma ora in esame.
a) Art. 6, n. 1, della direttiva
32. La Commissione obietta che il Lussemburgo non ha adottato entro il termine stabilito le misure nazionali imposte dall'art. 6, n. 1, della direttiva. A parte il fatto, invero, che il diritto lussemburghese non sembra neppure conoscere la nozione di ZSC come tale, la Commissione è dell'avviso che la legge 11 agosto 1982 non sia idonea a garantire l'obiettivo imposto dalla disposizione in esame. Nel rispondere alla lettera di messa in mora, le autorità lussemburghesi hanno precisato che le carenze rilevate dalla Commissione sarebbero state colmate dal piano settoriale e dalla bozza di regolamento sulla biodiversità (v., rispettivamente, paragrafi 21 e 17). Né l'uno né l'altro però sono ancora stati adottati.
33. In queste condizioni, non mi resta che considerare fondata in parte qua la domanda della Commissione.
b) Art. 6, n. 2, della direttiva
34. L'art. 6, n. 2, della direttiva mira ad evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui sono state designate le ZSC. Pur riconoscendo che la legge 11 agosto 1982, considerata dalle autorità lussemburghesi come una fedele trasposizione della disposizione in esame, contiene alcune norme di natura protettiva, la Commissione la giudica tuttavia insufficiente a conseguire gli obiettivi perseguiti dalla direttiva.
35. Quanto alle misure di prevenzione del degrado degli habitat, la ricorrente sostiene che l'art. 14 della legge 11 agosto 1982, pur vietando la riduzione, la distruzione o la modifica di alcuni biotopi (quali gli stagni e gli acquitrini), non consente di determinare con sicurezza se tale protezione si estende a tutti i biotipi o solo ad alcuni di essi. In effetti, nella suddetta legge non viene fatto riferimento esplicito né agli habitat naturali né a quelli di specie, nel senso di cui alla direttiva (v. art. 1), situati nelle ZSC, né emergono da altre disposizioni lussemburghesi misure generali opponibili ai terzi che interdicano con chiarezza e precisione il deterioramento di questi habitat. Ciò appare in contrasto con la giurisprudenza della Corte secondo la quale, seppure la trasposizione in diritto interno di una direttiva non richiede necessariamente una sua riproduzione in modo formale e testuale in una disposizione legale espressa e specifica, e che può bastare al riguardo un contesto giuridico generale idoneo a garantire effettivamente la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso, resta il fatto che «l'esattezza della trasposizione assume un'importanza particolare in un caso come quello di specie, in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per territorio rispettivo, a ciascuno degli Stati membri» .
36. Per quanto riguarda poi la prevenzione delle perturbazioni delle specie esistenti nelle ZSC, la Commissione sostiene che la legge 11 agosto 1982 ha per oggetto solo alcuni tipi di perturbazioni (per esempio, l'impiego di veicoli nelle foreste e le attività sportive), senza alcuna garanzia quindi che tutte le attività in grado di perturbare in modo significativo le specie protette siano regolamentate o suscettibili di esserlo in modo appropriato.
37. Nella risposta alla lettera di messa in mora, il governo lussemburghese contesta le pretese della Commissione sostenendo che la legge 11 agosto 1982 (v. artt. 1, 14 e 36) raggiunge gli obiettivi previsti dalla direttiva e copre tutti i casi in essa previsti. Esso aggiunge che gli artt. 21 e 22 della legge citata proibiscono qualsiasi genere di sfruttamento, utilizzazione, mutilazione o distruzione non giustificati di piante e animali selvatici non protetti, mentre l'art. 23, disposizione di carattere generale, vieta le perturbazioni della fauna. Inoltre, precisano le autorità lussemburghesi, la legge in parola è stata ora affiancata da una circolare ministeriale del 9 luglio 1999 avente appunto lo scopo di trasporre la direttiva, nella quale è indicato che deve evitarsi ogni degrado degli habitat e ogni perturbazione delle specie protette mediante un'applicazione rigorosa della predetta legge. D'altra parte, aggiunge il governo resistente, ritenere, come fa la Commissione, che ai fini della trasposizione dell'art. 6, n. 2, siano necessarie misure regolamentari di carattere generale opponibili ai terzi implica un'interpretazione eccessivamente severa della direttiva. Questa, infatti, si presta ad essere trasposta con diversi tipi di misure, tutte appropriate, comprendenti strumenti amministrativi e contrattuali, oltre che regolamentari.
38. Gli argomenti avanzati dal governo lussemburghese non mi paiono convincenti per le stesse ragioni che ha addotto la Commissione nel suo ricorso. Anzitutto osservo, come fa appunto la ricorrente, che le disposizioni della legge 11 agosto 1982 non contengono alcun riferimento alle ZSC, alle nozioni di «habitat naturali» e di «habitat di una specie», ai tipi di habitat specifici o alle specie protette di cui agli allegati della direttiva; considerati i tipi di habitat oggetto della direttiva, questa circostanza basterebbe da sola a escludere che la legge in esame possa costituire una trasposizione corretta e precisa dell'art. 6, n. 2. Del resto, come ha osservato l'avvocato generale Fennelly nelle già citate conclusioni rese nella causa C-256/98, Commissione/Francia, avente ad oggetto proprio la direttiva 92/43, «[n]el caso di specie ritengo altresì importante l'affermazione della Corte, relativa alla direttiva [79/409] sugli uccelli selvatici, contenuta nella sentenza Commissione/Belgio [causa 247/85, cit.], in cui si rileva che "l'esattezza della trasposizione assume un'importanza particolare in un caso come quello di specie, in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per territorio rispettivo, a ciascuno degli Stati membri"» (paragrafo 20).
39. Ma anche un esame più puntuale delle disposizioni della legge 11 agosto 1982 richiamate dal governo lussemburghese porta alla stessa conclusione. Anzitutto, nessuna disposizione nazionale recepisce le nozioni di «habitat naturale» e di «habitat di specie». Inoltre, la nozione di biotipo di cui all'art. 14 della legge non è sufficientemente precisa. Quanto agli artt. 21 e 22, la Commissione sottolinea che la nozione di mutilazioni o distruzioni «non giustificate» nella legge utilizzata è talmente generica da rendere ancor più necessaria una trasposizione precisa della direttiva, in modo da consentire alle autorità competenti, ove tali disposizioni siano invocate a livello nazionale nel quadro dell'applicazione della direttiva, di interpretarle in conformità a quest'ultima. A sua volta, l'art. 23 contiene un generico divieto di perturbazioni senza riferirsi né agli obiettivi (tra cui, ad esempio, quelli di conservazione) della direttiva (cui rinvia l'art. 6, n. 2), né alle ZSC, né, infine, alle specie indicate negli allegati della direttiva. Quanto infine all'art. 36, che precisa i casi in cui l'autorità competente deve rifiutare le autorizzazioni richieste ai sensi della legge [per esempio, per lavori atti a modificare il regime delle acque (art. 5), o per il cambio di destinazione di terreni forestali (art. 10)], esso non costituisce una chiara e precisa trasposizione della direttiva, stante la mancanza, ancora una volta, di ogni riferimento alle pertinenti disposizioni della stessa tale da garantire l'applicazione della legge in modo conforme a quest'ultima.
40. Quanto all'obiezione di carattere più generale relativa all'eccessivo rigore interpretativo della Commissione e all'emanazione della circolare ministeriale del 9 luglio 1999, osservo anzitutto che lo stesso governo lussemburghese, sia adottando tale circolare sia annunciando nuove disposizioni legislative, ha riconosciuto la fondatezza delle esigenze di chiarezza e di precisione sottolineate dalla Commissione. Più specificamente, poi, devo ribadire quanto già detto sopra circa il fatto che una pratica amministrativa non può assicurare la certezza giuridica richiesta per la trasposizione di una direttiva (v. paragrafo 24).
41. Posto, quindi, che il contesto giuridico generale non garantisce effettivamente la piena applicazione dell'art. 6, n. 2, della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso e con il necessario grado di certezza giuridica, ritengo che le contestazioni della Commissione su questo punto siano fondate .
c) Art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva
42. L'art. 6, n. 3, della direttiva impone la valutazione preventiva dell'incidenza che qualsiasi piano o progetto, non direttamente connesso e necessario alla gestione di un sito, possa avere sul sito stesso. Il successivo n. 4 regola il caso in cui, nonostante una tale valutazione sia pervenuta a conclusioni negative, un piano o progetto debba comunque essere realizzato per ragioni imperative.
43. La Commissione avverte che gli Stati membri possono non trasporre il n. 3 della disposizione in esame a condizione di rinunziare preventivamente ad avvalersi della possibilità in esso indicata e di vietare al contempo, in modo generale e incondizionato, la realizzazione di ogni piano o progetto previsto dalla direttiva. Ma se gli Stati membri non comunicano alla Commissione simili misure di proibizione generale e incondizionata, incombe loro l'obbligo di procedere ad un'adeguata trasposizione di detto paragrafo. Del pari, posto che l'art. 6, n. 4, introduce una deroga rispetto a quanto previsto al paragrafo precedente, anche in questo caso gli Stati membri possono liberarsi dall'obbligo di trasporlo purché escludano in anticipo di farvi ricorso. Naturalmente, sottolinea la Commissione, stante l'importanza di quest'ultima disposizione, una simile rinuncia non può presumersi. Salvo specifica disposizione contraria adottata dallo Stato membro interessato, la Commissione deve quindi procedere dall'ipotesi che sussista sempre l'obbligo di trasporre il n. 4 dell'articolo in esame.
44. Nel merito poi la Commissione obietta che le misure comunicatele dalle autorità granducali non soddisfano le previsioni dell'art. 6, n. 3, in quanto non contengono disposizioni che prescrivano la realizzazione di una valutazione preventiva dell'incidenza in tutti i casi previsti dalla direttiva.
45. In particolare, la Commissione sottolinea l'insufficienza di disposizioni come quelle di cui agli artt. 7, terzo comma, 8, secondo, terzo e quarto comma, della legge 11 agosto 1982 che assoggettano ad autorizzazione ministeriale la realizzazione di determinati progetti, perché tale autorizzazione è richiesta solo per alcuni progetti e comunque non è previsto che la valutazione della loro incidenza sull'ambiente sia effettuata nei modi opportuni, come vuole invece la direttiva. Inoltre, la Commissione osserva che l'art. 9 di detta legge, che prevede la realizzazione, su iniziativa ministeriale, di studi sull'incidenza nei casi ivi indicati, concerne la «zona verde» quale definita all'art. 2 della medesima legge, ma non le zone protette designate in applicazione dell'art. 27, anch'esso utilizzabile dalle autorità lussemburghesi ai fini dell'individuazione delle ZSC. Per di più, detto art. 9, per i casi in esso indicati, attribuisce al Ministro non già l'obbligo, come vuole la direttiva, ma la semplice facoltà di procedere ad una valutazione preventiva.
46. La Commissione aggiunge che neppure la legislazione con la quale è stata trasposta la direttiva 85/337/CEE può essere considerata attuazione dell'art. 6, n. 3, della direttiva, in quanto il campo d'applicazione delle due direttive non coincide. Lo stesso dicasi con riguardo alla direttiva 97/11/CE , che ha modificato la direttiva 85/337/CEE estendendo il campo d'aplicazione alle zone di protezione speciale (ZPS) e alle ZSC, poiché non tutti i progetti oggetto della direttiva 92/43 sono interessati dalle due direttive, né queste si occupano dei piani. Inoltre, sottolinea ancora la Commissione, l'incompleta trasposizione dell'art. 6, n. 3, paralizza l'attuazione dell'art. 6, n. 4, dato che gli obblighi da questo previsti presuppongono la realizzazione di una valutazione dell'incidenza di piani e progetti sui siti protetti.
47. Il Lussemburgo ha riconosciuto immediatamente, già nella risposta alla lettera di messa in mora, l'insufficienza delle disposizioni vigenti, ma ha avvertito che la lacuna sarebbe stata colmata con l'adozione del piano settoriale, ed ha anche segnalato che nel frattempo la materia era regolata dalla circolare ministeriale del 9 luglio 1999. Quanto alle misure compensative di cui all'art. 6, n. 4, della direttiva, esse sarebbero già previste dall'art. 37 della legge 11 agosto 1982, in base al quale il Ministro può concedere le autorizzazioni sottoponendole a condizioni tali da impedire che le opere da eseguire nuocciano all'ambiente.
48. E' pacifico però, per ammissione dello stesso governo convenuto, che la trasposizione dell'art. 6, nn. 3 e 4, è insufficiente, e che, per i motivi di cui ho detto nell'esaminare l'art. 6, n. 2 (v. paragrafi 38 e 40), la citata circolare ministeriale non può bastare a soddisfare gli obblighi che incombono al Lussemburgo. Non risulta d'altra parte, come ho già detto, che il piano settoriale sia stato finora adottato. Quanto, infine, all'art. 37 della legge 11 agosto 1982, la Commissione ne ha correttamente rilevato l'insufficienza in quanto esso non richiede che l'autorizzazione ministeriale sia condizionata nel modo sopra descritto quando le circostanze indicate dalla direttiva lo richiedano. Ritengo pertanto fondata anche la presente contestazione della Commissione.
49. In conclusione, sono dell'avviso che il quarto mezzo di ricorso relativo all'art. 6 della direttiva debba essere accolto.
5. L'art. 7 della direttiva
50. In virtù dell'art. 7, gli obblighi di cui all'art. 6, nn. 2 a 4, della direttiva si sostituiscono a quelli di cui all'art. 4, n. 4, prima frase, della direttiva 79/409 per quanto riguarda le ZPS degli uccelli selvatici, analoghe alle ZSC. La Commissione osserva che la mancanza di una trasposizione dell'art. 6, nn. 2-4, priva le ZPS del Lussemburgo di un regime giuridico appropriato e conforme al diritto comunitario. Nella risposta alla lettera di messa in mora, il governo lussemburghese si è limitato a osservare che con l'adozione del già citato piano settoriale si fornirà un quadro giuridico preciso per la rete «Natura 2000», comprendente sia le ZSC sia le ZPS.
51. Sul difetto di trasposizione dell'art. 6, nn. 2-4, nello Stato membro interessato mi sono già soffermato; ho anche ricordato che non risulta che il piano settoriale sia stato adottato. Ritengo quindi fondato il mezzo di ricorso relativo all'art. 7 della direttiva.
6. L'art. 12 della direttiva
a) L'art. 12, n. 1, lett. b)
52. La Commissione contesta l'imperfetta trasposizione dell'art. 12, n. 1, lett. b), della direttiva in quanto nessuna delle disposizioni comunicatele dalle autorità lussemburghesi contiene il divieto di perturbare deliberatamente le specie interessate durante il periodo della migrazione.
53. Nella risposta alla lettera di messa in mora il governo resistente ha precisato anzitutto, ed in via generale, che l'art. 12 della direttiva ricalca da vicino l'art. 6 della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa (in prosieguo: la «Convenzione di Berna»), approvata dal Lussemburgo con legge 26 novembre 1981 ed entrata in vigore per il Lussemburgo l'11 luglio 1982, conformemente all'art. 19, n. 3, della convenzione stessa . Per quanto concerne in particolare la lett. b) dell'art. 12, n. 1, il governo convenuto ha altresì sostenuto che la protezione voluta dalla direttiva è garantita dall'art. 23 della legge 11 agosto 1982, che vieta la perturbazione di tutta la fauna, e ciò durante tutto l'anno. Questa disposizione prevede, come l'art. 6, lett. c), della Convenzione di Berna , che: «E' vietato perturbare la fauna, in particolare durante i periodi di riproduzione, allevamento e ibernazione (...)» .
54. Devo però convenire con la Commissione che le disposizioni ora richiamate non prevedono espressamente e in modo chiaro il divieto di perturbare le specie protette durante il periodo della migrazione. Mi pare soprattutto che l'espressione «in particolare», su cui sembra poggiare la difesa del governo resistente quando insiste sul carattere esemplificativo dei casi indicati in tali disposizioni, non consenta di ritenere soddisfatto il preciso obbligo imposto al riguardo dalla direttiva. Ed è appena il caso di ricordare ancora una volta quanto ho già sopra osservato circa l'esigenza di precisione e di sicurezza giuridica richiesta in particolare nel caso di una direttiva, come quella in esame, che affida «la gestione del patrimonio comune (...), per territorio rispettivo, a ciascuno degli Stati membri» .
b) L'art. 12, n. 1, lett. c)
55. La Commissione contesta al Granducato di Lussemburgo il fatto che il divieto di «distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell'ambiente naturale», di cui all'art. 12, n. 1, lett. c), della direttiva, non è stato oggetto di una trasposizione completa e corretta. Nella risposta alla lettera di messa in mora il governo resistente sostiene invece che detto divieto è imposto sia dall'art. 17 della legge 11 agosto 1982, il quale prevede che «gli animali integralmente protetti non possono essere disturbati, uccisi, cacciati, catturati, detenuti o addomesticati, qualunque sia lo stadio del loro sviluppo (...)» , sia dall'art. 6, lett. d), della Convenzione di Berna, che vieta «la distruzione o la raccolta intenzionali delle uova nell'ambiente naturale o la loro detenzione».
56. Anche in questo caso ritengo di dover condividere la posizione della Commissione.
57. Anzitutto, obietta la ricorrente, l'art. 17 della legge 11 agosto 1982 non allude, neppure implicitamente, alla raccolta delle uova nell'ambiente naturale, dato che l'attività di raccolta ha una portata diversa dal semplice «possesso» (o «detenzione»), perché può essere seguita dal successivo abbandono delle uova senza quindi implicare necessariamente anche la «detenzione» delle stesse ai sensi del citato art. 17. Posto poi che il divieto previsto da quest'ultima disposizione è sanzionato penalmente (v. artt. 44 e seguenti della medesima legge) e quindi non può essere oggetto di interpretazione estensiva, è dubbio, afferma la Commissione, che un giudice possa interpretare tale divieto come ugualmente diretto all'atto della semplice raccolta.
58. Per quanto concerne poi l'art. 6, lett. d), della Convenzione di Berna, la Commissione obietta, da un lato, che ai sensi dell'art. 20 della legge 11 agosto 1982 gli animali protetti dalle convenzioni internazionali approvate e pubblicate nel Granducato di Lussemburgo non possono essere «detenuti» (cioè «posseduti») se non in virtù delle disposizioni di tali convenzioni e, dall'altro, che detto art. 6 si applica unicamente alle specie indicate nell'allegato II della Convenzione di Berna, il quale però non include alcune delle specie di cui all'allegato IV, lett. a), della direttiva, cui rinvia l'art. 12 in questione.
59. Va infine sottolineato che il citato art. 20 della legge 11 agosto 1982 resta comunque ambiguo. Per un verso, infatti, come ho appena rilevato in merito all'art. 17 di tale legge, la nozione di «raccolta» non vi appare perché si fa soltanto riferimento all'atto della «detenzione» o del «possesso» e, per l'altro, l'art. 20 si riferisce esclusivamente al possesso di «animali», senza menzionare le uova e senza neppure fare ricorso all'espressione «qualunque sia lo stadio del loro sviluppo».
c) L'art. 12, n. 2
60. La Commissione contesta poi l'imperfetta trasposizione dell'art. 12, n. 2, della direttiva, nella misura in cui non viene imposto nel diritto lussemburghese anche il divieto dello scambio e dell'offerta a scopo di scambio di esemplari presi dall'ambiente naturale. Inoltre, essa obietta che la nozione di «esemplare», che appare nel predetto art. 12, n. 2, ed è definita all'art. 1, lett. m), della direttiva, ha un significato più ampio di quella di «animale» propria dell'ordinamento lussemburghese.
61. Nel corso della fase precontenziosa della procedura, il governo resistente ha sostenuto che le ipotesi dello «scambio» e dell'«offerta a scopo di scambio» degli esemplari rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 17 della legge 11 agosto 1982, in quanto quest'ultimo ne vieta la «detenzione», ed è chiaro che non si può scambiare ciò che non si detiene. In merito alla seconda obiezione della ricorrente, le autorità lussemburghesi hanno osservato che l'art. 15 della medesima legge prevede la catalogazione, con un regolamento granducale, delle «piante e [de]gli animali selvatici rari, minacciati di estinzione o costituenti un elemento importante dell'ambiente naturale», senza che ciò sia limitato alle sole specie indigene (v. regolamento granducale 8 aprile 1986, citato alla nota 12). Esse aggiungono poi che l'art. 20 della legge 11 agosto 1982 (che ho già esaminato al paragrafo 58) estende la nozione di animale al di là del significato attribuitogli dall'ordinamento nazionale, poiché prevede che «le piante e gli animali protetti dalle convenzioni internazionali approvate e pubblicate non possono essere acquistati, importati, messi in vendita, esportati o detenuti se non in virtù delle disposizioni di tali convenzioni».
62. Le tesi difensive del governo lussemburghese non sono condivisibili per le seguenti ragioni, già indicate dalla Commissione nel proprio ricorso. Anzitutto, posto che la legge 11 agosto 1982 ha carattere penale, devo ribadire come sia da escludere che un giudice interpreti in modo estensivo il divieto di cui all'art. 17 al fine di ricomprendere lo scambio o l'offerta a scopo di scambio nella nozione di possesso. Inoltre, non sembra che l'attuale legislazione lussemburghese vieti il comportamento di una persona che scambia o offre a scopo di scambio un determinato esemplare protetto operando in veste di intermediario per conto di colui che possiede tale esemplare.
63. Quanto al diverso significato delle nozioni di «esemplare» e di «animale», bisogna anzitutto osservare che le autorità lussemburghesi, nel richiamare l'art. 20 della legge 11 agosto 1982, non specificano quale convenzione internazionale sia rilevante nel caso di specie. Se si trattasse, come tutto lascia pensare, della Convenzione di Berna, devo osservare che il suo art. 6, lett. e), ossia la norma che più sembra avvicinarsi all'art. 12, n. 2, della direttiva, vieta il possesso e il commercio degli animali di cui all'allegato II «quando questo divieto contribuisce all'efficacia delle disposizioni del presente articolo». Ciò potrebbe far pensare alla necessità di un ulteriore intervento delle autorità nazionali per l'applicazione della disposizione. Alla Commissione non risulta però che il Lussemburgo abbia adottato una misura di esecuzione di questa disposizione (a parte il citato art. 20, che però nulla dispone rispetto alla fattispecie che qui interessa), e comunque, anche a prescindere da questo rilievo, devo osservare che la stessa ricorrente ha precisato che l'allegato II della convenzione in parola contiene un elenco di specie protette che non comprende alcune di quelle che invece appaiono nell'allegato IV, lett. a), della direttiva, cui rinvia l'art. 12.
64. Inoltre, la Commissione ha correttamente rilevato che le autorità lussemburghesi non sono state in grado di dimostrare che la nozione di «animale» di cui all'ordinamento interno comprende anche «qualsiasi parte o prodotto ottenuti a partire dall'animale (...), nonché qualsiasi altro bene che risulti essere una parte o un prodotto di animali (...) di tali specie in base ad un documento di accompagnamento, all'imballaggio, al marchio, all'etichettatura o ad un altro elemento», come previsto invece dall'art. 1, lett. m), della direttiva, che fornisce la definizione della nozione di «esemplare».
65. Per quanto riguarda, infine, il richiamo operato dalle autorità lussemburghesi all'art. 15 della legge 11 agosto 1982 ed al relativo regolamento granducale 8 aprile 1986, mi limito a rilevare che non sembra rientrare nel campo d'applicazione di queste disposizioni anche «qualsiasi parte o prodotto ottenuti a partire dall'animale (...)», ai sensi dell'art. 1, lett. m), della direttiva, e che l'elenco di animali di cui al regolamento granducale non contiene diverse delle specie indicate all'allegato IV, lett. a), della direttiva.
d) L'art. 12, n. 4
66. A proposito delle contestazioni mosse dalla Commissione al riguardo, le autorità lussemburghesi hanno riconosciuto di non aver trasposto l'art. 12, n. 4, che prevede l'instaurazione di un sistema di sorveglianza continua delle catture o uccisioni accidentali delle specie faunistiche elencate nell'allegato IV, lett. a).
67. In conclusione, ritengo che tutte le obiezioni della Commissione circa l'imperfetta e/o incompleta trasposizione dell'art. 12 siano fondate.
7. L'art. 13 della direttiva
a) L'art. 13, n. 1, lett. b), della direttiva
68. La Commissione sostiene che l'art. 13, n. 1, lett. b), non è stato perfettamente trasposto perché l'ordinamento lussemburghese, da un lato, non vieta il possesso, lo scambio e l'offerta a scopi commerciali o di scambio di esemplari delle specie vegetali, di cui agli allegati IV, lett. b), e II, lett. b), della direttiva e, dall'altro, non garantisce l'applicazione dei divieti di detta disposizione alle specie non indigene elencate in tali allegati.
69. Nella risposta alla lettera di messa in mora le autorità lussemburghesi hanno obiettato che la disposizione in esame risulta trasposta dall'art. 16 della legge 11 agosto 1982, che vieta la vendita dei predetti esemplari, e dall'art. 5 della Convenzione di Berna, che vieta il possesso degli stessi. Esse hanno poi sostenuto che l'applicazione del divieto delle attività oggetto dell'art. 13, n. 1, lett. b), a tutte le specie vegetali di cui agli allegati IV, lett. b), e II, lett. b), della direttiva è assicurata dalla legge 11 agosto 1982, anzitutto dal suo art. 15 - il quale non esclude che le specie non indigene siano incluse tra le piante protette, oggetto della classificazione di cui al regolamento granducale del 19 agosto 1989 , che dovrebbe quindi essere semplicemente integrata - ed inoltre dal citato art. 20, il quale, richiamando le convenzioni internazionali, estende la nozione di «piante» al di là del significato attribuitole dal diritto nazionale.
70. Ancora una volta le tesi difensive del governo lussemburghese non paiono convincenti, come ha rilevato la Commissione.
71. Anzitutto, l'art. 16 della legge 11 agosto 1982, pur vietando la vendita, non copre le ipotesi di detenzione, scambio e offerta a scopi commerciali o di scambio. D'altra parte, riguardo alla detenzione, non mi sembra che l'art. 5 della Convenzione di Berna corrisponda in pieno alla direttiva, poiché esso vieta la detenzione «per quanto necessario» e sembra quindi richiedere per la sua applicazione un ulteriore intervento della parte contraente interessata , intervento che, nella specie, alla Commissione non risulta essere stato effettuato (v. il già citato art. 20 della legge 11 agosto 1982, che nulla dispone in proposito). La Commissione ha altresì osservato che detto art. 5 non vale neppure a trasporre l'art. 13, n. 1, lett. b), in quanto rinvia all'allegato I della Convenzione di Berna, nel quale non appaiono alcune delle specie di piante di cui all'allegato IV, lett. b), della direttiva.
72. Venendo poi alla questione della protezione delle piante non indigene elencate negli allegati IV, lett. b), e II, lett. b), della direttiva, la Commissione ha reiterato l'osservazione già svolta a proposito dell'art. 12 della direttiva, cioè che il richiamo all'art. 20 della legge 11 agosto 1982 non è stato accompagnato da un'indicazione della convenzione internazionale pertinente nel caso di specie. La disposizione che comunque sembra corrispondere più da vicino alle previsioni dell'art. 13, n. 1, lett. b), è ancora una volta l'art. 5 della Convenzione di Berna, ma per essa, sottolinea la Commissione, valgono le stesse considerazioni svolte nel paragrafo precedente per dimostrare che detto articolo non è idoneo a trasporre correttamente il divieto di detenzione di specie vegetali protette.
73. Aggiungo, infine, che è chiaramente priva di fondamento la tesi secondo cui l'art. 15 della legge 11 agosto 1982 estenderebbe la protezione voluta dalla direttiva alle specie non indigene di cui ai citati allegati della direttiva e ciò in quanto lo stesso governo resistente ha ammesso che il regolamento granducale 19 agosto 1989, adottato in esecuzione di detta disposizione, deve essere ancora integrato. Dalle indicazioni fornite dalle autorità lussemburghesi nella risposta al parere motivato e nella memoria di costituzione nella presente causa non risulta che tale integrazione sia stata effettuata.
b) L'art. 13, n. 2, della direttiva
74. La Commissione contesta l'incompleta trasposizione dell'art. 13, n. 2, in quanto non le risulta che la nozione di «pianta» di cui all'ordinamento interno abbia un significato tanto esteso quanto quello della nozione di «esemplare» di cui all'art. 1, lett. m), della direttiva. Nella risposta alla lettera di messa in mora le autorità lussemburghesi hanno però sostenuto che l'art. 13, n. 2, sarebbe stato trasposto con l'art. 16 della legge 11 agosto 1982, che ha espressamente per oggetto anche le «parti di piante».
75. Al riguardo, mi paiono fondati i dubbi espressi dalla Commissione circa il fatto che l'espressione «parti di piante» possa comprendere anche «qualsiasi parte o prodotto ottenuti a partire (...) dalla pianta, nonché qualsiasi altro bene che risulti essere una parte o un prodotto (...) di piante di tali specie in base ad un documento di accompagnamento, all'imballaggio, al marchio, all'etichettatura o ad un altro elemento» [art. 1, lett. m)].
76. Ritengo quindi che le contestazioni della Commissione relative all'art. 13 della direttiva siano fondate.
8. L'art. 14 della direttiva
77. L'art. 14 della direttiva impone agli Stati membri, qualora lo ritengano necessario alla luce della sorveglianza prevista all'art. 11, di adottare misure affinché il prelievo nell'ambiente naturale di esemplari di specie della fauna e della flora selvatiche di cui all'allegato V, nonché il loro sfruttamento, siano compatibili con il loro mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente. Tali misure, se necessario, possono comportare altresì la continuazione della sorveglianza prevista dall'art. 11.
78. La Commissione sottolinea in proposito che l'art. 14 non costituisce una disposizione facoltativa, ma impone un obbligo incondizionato di sorveglianza delle specie protette insieme a quello dell'adozione di tutte le misure necessarie per assicurarne il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente qualora in cui le autorità competenti lo ritengano necessario. Ma nell'ordinamento lussemburghese, come le stesse autorità granducali hanno riconosciuto, non c'è traccia di misure destinate ad assicurare il rispetto di detto obbligo.
79. Non mi pare che la Commissione abbia fatto molti sforzi per motivare la propria tesi sul carattere non facoltativo della disposizione in esame, né, per la verità, tale tesi mi pare avvalorata dal dettato della medesima disposizione, visto che l'obbligo di adottare le misure in questione presuppone che lo Stato membro interessato abbia formulato un autonomo giudizio sulla necessità di provvedere in tal senso. E' vero che non si tratta di un giudizio libero e insindacabile, perché finalizzato pur sempre agli scopi indicati negli artt. 11 e 14 della direttiva; esso implica in ogni caso che lo Stato membro conserva un margine di apprezzamento, il quale potrà essere contestato nel merito, ma non negato in principio. Mi sembra quindi di non poter condividere le contestazioni che la Commissione muove sul punto al governo convenuto. Rilevo, dalla risposta alla lettera di messa in mora, che le autorità lussemburghesi non hanno replicato a tali contestazioni e soprattutto che esse hanno riconosciuto di non aver trasposto l'art. 14 della direttiva e l'allegato V cui esso rinvia. Tuttavia, per le ragioni che ho a suo tempo indicato e che sono connesse al carattere oggettivo dei giudizi ex art. 226 CE, mantengo l'idea che la presente censura non sia fondata.
9. L'art. 15 della direttiva
80. Tale disposizione, come ho detto a suo tempo, prevede che nei casi in essa indicati gli Stati membri devono vietare tutti i mezzi non selettivi di cattura o uccisione atti a provocare localmente la scomparsa o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di specie protette. Dopo aver ricordato che le autorità lussemburghesi l'avevano informata della loro l'intenzione di far ricorso alle deroghe di cui all'art. 16 della direttiva, riconoscendo di dover procedere alla trasposizione dell'art. 15 (v. paragrafo 12), la Commissione contesta che in realtà neppure per questa disposizione, e per il relativo allegato VI, il Granducato di Lussemburgo ha poi provveduto ad assicurare un'attuazione completa e corretta, perché nessuna delle misure comunicatele dalle autorità granducali consente di pervenire a tale risultato.
81. Da parte loro, nella risposta alla lettera di messa in mora, le autorità interessate avevano precisato che la trasposizione doveva invece intendersi assicurata grazie ai seguenti atti: la legge di approvazione della Convenzione di Berna, la legge sulla caccia del 19 maggio 1885 , come modificata (in prosieguo: la «legge sulla caccia»), e la decisione M(96)8 del 2 ottobre 1996 del Comitato dei Ministri dell'Unione economica del Benelux sulla caccia e sulla protezione degli uccelli (Décision du Comité des Ministres de l'Union Enomique Benelux en matière de chasse et de protection des oiseaux; in prosieguo: la «decisione 2 ottobre 1996»). Esse avevano altresì annunciato l'imminente abrogazione dell'arrêté grand-ducal ayant pour objet la destruction des animaux malfaisants et nuisibles del 10 marzo 1959 (decreto granducale sull'eliminazione degli animali perniciosi e nocivi; in prosieguo: il «decreto granducale»), in coincidenza con l'adozione di un regolamento, destinato ad attuare la direttiva, sulle bestie mordaci e sui roditori che possono causare danni alla proprietà privata e alla fauna minacciata di estinzione.
82. La Commissione ha però confutato l'idoneità di ciascuna di dette misure ad assicurare la corretta trasposizione della disposizione della direttiva ora in esame.
83. Per quanto concerne la Convenzione di Berna, la ricorrente ha sottolineato, da una parte, che gli allegati II e III, cui rinvia l'art. 8 di tale convenzione, ossia la disposizione più vicina all'art. 15 della direttiva, non coincidono con gli allegati V e VI, cui rinvia quest'ultima disposizione e, dall'altra, che l'allegato IV della Convenzione di Berna non copre l'insieme delle forme e dei mezzi di cattura e di uccisione e dei mezzi di trasporto indicati nell'allegato VI della direttiva (per esempio, la Convenzione di Berna non vieta l'uso delle balestre e degli aeromobili diversi dagli aerei, quali gli elicotteri).
84. Quanto alla decisione 2 ottobre 1996, sebbene sembri vietare l'uso delle balestre e, forse, degli aeromobili in generale, in realtà si limita a regolare l'esercizio della caccia e non degli atti di uccisione in generale, come previsto dalla direttiva. Comunque, ai sensi dell'art. 4, lett. b), di tale decisione ogni governo interessato avrebbe dovuto adottare entro un anno dalla sua sottoscrizione le misure necessarie per la sua applicazione, ma alla Commissione non risulta che il Granducato di Lussemburgo vi abbia provveduto.
85. A proposito poi della legge sulla caccia, rilevante, in particolare, per due specie di selvaggina fra quelle di cui all'allegato V, lett. a), della direttiva , e per le quali quindi valgono le previsioni dell'art. 15 (che vi rinvia) e del relativo allegato VI, la Commissione riconosce che l'art. 13 di detta legge autorizza la caccia con le armi e la caccia ad inseguimento e vieta l'utilizzazione di tutti gli altri mezzi di caccia, compresi i veicoli a motore meccanico. Essa constata tuttavia che la disposizione non vieta espressamente l'impiego di aeromobili. E' vero che essi potrebbero ritenersi inclusi nella nozione di «veicoli a motore meccanico», ma la sicurezza giuridica che deve contraddistinguere la disciplina risultante dalla trasposizione di una direttiva come quella di specie (v. paragrafo 35) richiede, secondo la Commissione, che l'indicazione degli aeromobili sia espressa e inequivoca.
86. Quanto, infine, al decreto granducale, esso autorizza l'eliminazione di martore e puzzole tramite affumicatura delle tane o con trappole, ma non specifica che questi sistemi sono autorizzati solo se selettivi, nel senso di cui all'art. 15 e al relativo allegato VI della direttiva. Questo decreto, precisa altresì la Commissione, non si giustifica neppure alla luce dell'art. 16 della direttiva in quanto è di per sé contrario alle previsioni dell'art. 15. Del resto, nella risposta alla lettera di messa in mora le autorità lussemburghesi avevano riconosciuto la necessità di abrogare il decreto o di modificarlo in modo conforme alla direttiva; alla Commissione non risulta però che ciò sia avvenuto.
87. Devo dunque concludere che la contestazione avente ad oggetto l'art. 15 della direttiva, per quanto possa apparire per certi versi fin troppo formale, e direi quasi puntigliosa, è comunque fondata.
10. L'art. 16, n. 1, della direttiva
88. La Commissione contesta anche la correttezza della trasposizione dell'art. 16, n. 1, della direttiva nel diritto lussemburghese.
89. Nella risposta alla lettera di messa in mora, le autorità granducali avevano invece obiettato che la trasposizione di questa disposizione era assicurata, quantomeno parzialmente, dall'art. 26 della legge 11 agosto 1982, il quale prevede che «il Ministro può concedere deroghe agli artt. 3-18 a fini scientifici o per ragioni di interesse generale», e dalla legge di approvazione della Convenzione di Berna, il cui art. 9 corrisponde all'art. 16, n. 1, della direttiva.
90. Credo però di dover condividere quanto la Commissione replica al riguardo nel ricorso, ribadendo che la trasposizione sarebbe incompleta e non corretta. Anzitutto, mi pare che le deroghe che, ai sensi dell'art. 26 della legge 11 agosto 1982, possono essere concesse dall'amministrazione non siano soggette alla condizione dell'assenza di valide soluzioni alternative, come invece prevede la direttiva.
91. Quanto poi alla Convenzione di Berna, la Commissione riconosce che il relativo art. 9 precisa a quali condizioni le parti contraenti possono derogare agli artt. 4-7 della convenzione, nonché al divieto di utilizzare i mezzi di cattura e di uccisione oggetto dell'art. 8 della stessa. Tuttavia, essa obietta, tra l'altro, che le disposizioni della Convenzione di Berna non assicurano una protezione equivalente a quella della direttiva, e che il n. 1, quinto trattino, del menzionato art. 9 [grosso modo equivalente all'art. 16, n. 1, lett. e), della direttiva] non esige che gli esemplari oggetto della deroga siano prelevati o detenuti in numero limitato e «specificato dalle autorità nazionali competenti».
92. Tali considerazioni mi paiono fondate. In particolare, ritengo risolutivo il fatto che le disposizioni richiamate dall'art. 9 della Convenzione di Berna non assicurano un grado di protezione equivalente a quello della direttiva , con il rischio che le competenti autorità nazionali evitino il ricorso all'art. 9 se una determinata operazione è vietata dalla direttiva ma non dalla convenzione.
93. A mio avviso, quindi, poiché nel termine fissato dal parere motivato (ma, in verità, neppure successivamente) il Lussemburgo non ha comunicato alla Commissione misure di trasposizione ulteriori rispetto a quelle di cui ho detto, il mezzo di ricorso avente ad oggetto l'art. 16, n. 1, della direttiva deve essere accolto.
11. L'art. 22, lett. b) e c), della direttiva
94. Alla contestazione formulata dalla Commissione nella lettera di messa in mora sulla non corretta trasposizione dell'art. 22, lett. b), della direttiva le autorità lussemburghesi hanno replicato che tale trasposizione sarebbe assicurata dall'art. 25 della legge 11 agosto 1982, che vieta l'introduzione di specie non indigene nell'ambiente naturale, salvo autorizzazione del Ministro competente, autorizzazione che potrà essere accompagnata da condizioni appropriate. Devo tuttavia osservare in proposito, d'accordo con la Commissione, che il menzionato art. 25 non subordina il rilascio dell'autorizzazione ministeriale alle condizioni indicate nella direttiva (come, ad esempio, quella secondo cui detta introduzione deve essere regolata in modo tale da non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali) e che, pertanto, esso non costituisce una puntuale trasposizione della stessa.
95. Le autorità lussemburghesi hanno poi sostenuto che la trasposizione dell'art. 22, lett. c), della direttiva, con cui si intende promuovere l'istruzione e l'informazione generale, è assicurata dall'art. 3, n. 3, della ricordata Convenzione di Berna [analogo alla lett. c) dell'art. 22 della direttiva]; dalla Convenzione di Rio de Janeiro sulla diversità biologica del 5 giugno 1992 (v. art. 13, avente ad oggetto l'educazione e la sensibilizzazione del pubblico), nonché dalla legge del 10 agosto 1992 che garantisce la libertà d'accesso alle informazioni sull'ambiente.
96. Premesso che l'art. 20 della legge 11 agosto 1982 non riguarda le tematiche dell'educazione e dell'informazione e che la legge 10 agosto 1992 non contiene alcuna disposizione diretta ad assicurare un'informazione attiva del pubblico, la Commissione riconosce che l'art. 3, n. 3, della Convenzione di Berna e l'art. 13 della Convenzione di Rio de Janeiro sulla diversità biologica sono in linea di principio in grado di assicurare una trasposizione soddisfacente della direttiva . Essa obietta tuttavia che il Lussemburgo avrebbe dovuto dimostrare - il che non è avvenuto - che nel proprio ordinamento vige il principio dell'efficacia diretta delle disposizioni c.d. self-executing delle convenzioni internazionali, regolarmente approvate e pubblicate.
97. Devo dire però che mi riesce difficile comprendere a cosa alluda, con quest'ultimo argomento, la Commissione. Senza dilungarmi sui diversi principi e sulle diverse prassi seguite in materia dagli Stati, è certo che, per quanto riguarda il Lussemburgo, una volta ratificate e pubblicate le convenzioni internazionali dispiegano interamente i loro effetti nell'ordinamento dello Stato. Si potrà discutere poi se il contenuto di una determinata disposizione di una convenzione sia così completo da consentirle di dispiegare immediatamente tali effetti o se si impongano ulteriori misure di esecuzione; ma nella fattispecie non mi pare che sia questo il problema, visto che soprattutto la formulazione dell'art. 3, n. 3, della Convenzione di Berna coincide quasi alla lettera con l'art. 22, lett. c), della direttiva, sicché, comunque, la questione si porrebbe negli stessi termini per entrambe le disposizioni. Per quel che qui interessa, quindi, mi pare che la vigenza nell'ordinamento lussemburghese della disposizione di recepimento della Convenzione di Berna sia idonea a soddisfare l'obbligo imposto dalla direttiva, e che di conseguenza la censura mossa dalla Commissione al riguardo vada respinta.
12. L'art. 23, n. 2, della direttiva
98. La Commissione contesta infine la violazione dell'art. 23, n. 2, della direttiva, poiché nessuna delle misure di trasposizione adottate dal Granducato di Lussemburgo successivamente all'entrata in vigore della direttiva, e ad essa comunicate, contiene un riferimento alla direttiva o è stata pubblicata insieme ad un tale riferimento. Nella risposta alla lettera di messa in mora le autorità lussemburghesi hanno indicato che il futuro piano settoriale previsto dalla legge 21 maggio 1999 (v., rispettivamente, paragrafi 21 e 17) avrebbe avuto sostanzialmente ad oggetto le direttive 92/43 e 79/409 e che un elenco di tutte le misure nazionali che concorrono a trasporre la direttiva sarebbe stato pubblicato nel Mémorial, la gazzetta ufficiale del Granducato di Lussemburgo.
99. Pur avendo riconosciuto sin dal parere motivato che la pubblicazione nel Mémorial di un simile elenco insieme ad un riferimento alla direttiva avrebbe sanato l'irregolare trasposizione dell'art. 23, n. 2, la Commissione ha tuttavia precisato di non aver ancora avuto notizia di una simile pubblicazione.
100. Non mi pare quindi che vi siano dubbi circa la persistente violazione da parte del Granducato di Lussemburgo degli obblighi che gli incombono in virtù dell'art. 23, n. 2, della direttiva.
13. La richiesta di sospensione del procedimento
101. Come ho ricordato in precedenza (v. paragrafo 18), nelle proprie conclusioni il governo resistente, oltre a chiedere che sia respinto il ricorso della Commissione, ha invitato la Corte a sospendere il presente giudizio in attesa di un'eventuale rinuncia agli atti da parte della ricorrente. Tale domanda viene motivata con il fatto che, una volta adottato dal parlamento lussemburghese il disegno di legge destinato a trasporre la direttiva di cui ho riferito sopra al paragrafo 18, il presente giudizio resterebbe privo di oggetto. Da parte sua, avendo rinunciato al deposito di una memoria di replica (e non essendosi tenuta un'udienza), la Commissione non ha manifestato il proprio punto di vista su detta richiesta di sospensione.
102. A mio avviso, comunque, questa richiesta non può essere accolta, perché il regolamento di procedura non prevede che un procedimento per inadempimento del diritto comunitario da parte di uno Stato membro possa essere sospeso in attesa di un'eventuale rinuncia della Commissione agli atti del giudizio. In ogni caso, anche se il disegno di legge fosse finalmente approvato dal parlamento lussemburghese, resta il fatto che il presente giudizio non resterebbe privo di oggetto in quanto, come è noto, nei procedimenti ex art. 226 CE la sussistenza dell'infrazione va accertata con riferimento alla situazione esistente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato .
III - Sulle spese
103. In base al disposto dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta richiesta. Poiché la Commissione ha concluso in questo senso e considerato quanto ho appena detto sull'esito complessivo del ricorso, ritengo che la richiesta vada accolta.
IV - Conclusioni
104. Alla luce delle considerazioni che precedono propongo perciò alla Corte di dichiarare che:
«1) Non avendo trasposto in modo completo e corretto gli artt. 1, 4, n. 5, 5, n. 4, 6, 7, 12, nn. 1, lett. b) e c), 2 e 4, 13, nn. 1, lett. b), e 2, 15, 16, n. 1, 22, lett. b), e 23, n. 2, ed i relativi allegati I, II, IV, V e VI della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, il Granducato di Lussemburgo non ha ottemperato agli obblighi che gli incombono in virtù di detta direttiva e dell'art. 249, terzo capoverso, CE.
2) Per il resto il ricorso è respinto.
3) Il Granducato di Lussemburgo è condannato alle spese».