62000J0473

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 21 novembre 2002. - Cofidis SA contro Jean-Louis Fredout. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal d'instance de Vienne - Francia. - Direttiva 93/13/CEE - Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori - Azione proposta da un professionista - Disposizione interna che vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare, d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore, il carattere abusivo di una clausola. - Causa C-473/00.

raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-10875


Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parti


Nel procedimento C-473/00,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal Tribunal d'instance di Vienne (Francia) nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Cofidis SA

e

Jean-Louis Fredout,

domanda vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29),

LA CORTE

(Quinta Sezione),

composta dal sig. M. Wathelet, presidente di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermanns, D.A.O. Edward, A. La Pergola e P. Jann (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. A. Tizzano

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

- per la Cofidis SA, dall'avv. B. Célice;

- per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti;

- per il governo austriaco, dal sig. H. Dossi, in qualità di agente;

- per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. D. Martin e M. França, in qualità di agenti,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della Cofidis SA, rappresentata dall'avv. B. Soltner, del sig. M. Fredout, rappresentato dall'avv. J. Franck, del governo francese, rappresentato dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, e della Commissione, rappresentata dal sig. M. França, in qualità di agenti, all'udienza del 17 gennaio 2002,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 18 aprile 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con sentenza 15 dicembre 2000, rettificata con sentenza 26 gennaio 2001, pervenute alla Corte rispettivamente il 27 dicembre 2000 e il 29 gennaio 2001, il Tribunal d'instance di Vienne ha sollevato, a norma dell'art. 234 CE, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»).

2 Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia fra la Cofidis SA (in prosieguo: la «Cofidis»), società di diritto francese, e il sig. Fredout, a proposito del pagamento di somme dovute in esecuzione di un contratto di credito stipulato da quest'ultimo con la suddetta società.

Contesto normativo

Normativa comunitaria

3 A termini dell'art. 1 della direttiva:

«1. La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

2. Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (...) non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

4 L'art. 3, n. 1, della direttiva dispone:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

5 L'art. 4 della direttiva precisa il modo in cui il carattere abusivo di una clausola dev'essere valutato. Il n. 2 di tale disposizione recita:

«La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell'oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

6 Ai sensi dell'art. 6, n. 1, della direttiva:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

7 A termini dell'art. 7, n. 1, della direttiva:

«Gli Stati membri, nell'interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

Normativa nazionale

8 Le disposizioni relative alle clausole abusive si trovano nel libro I «Informazione dei consumatori e formazione dei contratti», titolo III «Condizioni generali dei contratti», capitolo 2, intitolato «Clause abusive» del code de la consommation (codice delle leggi per la tutela del consumatore).

9 L'art. L. 132-1 del suddetto codice, come modificato dalla legge 1_ febbraio 1995, n. 95-96, concernente le clausole abusive e la presentazione dei contratti, definisce ciò che si deve intendere per «clausole abusive» e precisa che queste «devono considerarsi come non scritte». Secondo il giudice a quo, tale sanzione equivale ad una nullità che, in conformità alle regole generali in materia contrattuale, può essere dedotta in giudizio entro cinque anni mediante azione, mentre l'eccezione di nullità è imprescrittibile.

10 L'art. L. 311-37 del code de la consommation, cui fa riferimento la sentenza di rinvio, si trova nella sezione III («Indebitamento»), titolo I («Credito»), capitolo 1, dal titolo «Credito al consumo». Tale capitolo contiene in particolare norme molto precise in materia di forma.

11 L'art. L. 311-37, primo comma, del detto codice dispone:

«Il Tribunal d'instance è competente in materia di controversie sorte dall'applicazione del presente capitolo. Le azioni promosse innanzi ad esso devono essere avviate, a pena di decadenza, entro due anni dall'evento che vi ha dato origine (...)».

Causa principale e questione pregiudiziale

12 Con contratto 26 gennaio 1998 la Cofidis ha concesso al sig. Fredout un'apertura di credito. Dato che alle scadenze previste le rate mensili non erano state pagate, la Cofidis ha citato dinanzi al Tribunal d'instance di Vienne il sig. Fredout per il pagamento di quanto dovuto.

13 Dall'ordinanza di rinvio risulta che l'offerta di credito si presenta in forma di un foglio stampato su entrambe le facce, che contiene sulla faccia anteriore la menzione «richiesta gratuita di disponibilità pecuniaria» a grandi caratteri, mentre le menzioni relative ai tassi d'interesse convenzionali o ad una clausola penale figurano in caratteri piccoli sul retro della pagina. Il Tribunale d'instance di Vienne ne ha dedotto che «le clausole finanziarie (...) mancano di leggibilità» e che «tale mancanza di leggibilità va collegata alla menzione della "gratuità" (...) in forma particolarmente appariscente», la quale era atta a trarre in errore il consumatore. Ne ha concluso che «le clausole finanziarie possono ritenersi abusive».

14 Tuttavia, trattandosi di una controversia riguardante un'operazione di credito al consumo, il Tribunal d'instance di Vienne ha ritenuto che sia applicabile il termine di decadenza di due anni previsto dall'art. L. 311-37 del code de la consommation e che esso gli vieti di annullare le clausole di cui ha accertato l'abusività.

15 Alla luce di quanto sopra il Tribunale d'instance di Vienne ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Premesso che la tutela offerta dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, garantisce a questi ultimi che il giudice nazionale, nell'applicare le disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive a detta direttiva, le interpreti nei limiti del possibile alla luce della lettera e della finalità di quest'ultima;

se tale esigenza d'interpretazione conforme del sistema di protezione dei consumatori di cui alla direttiva impone al giudice nazionale, adito da un professionista per la condanna al pagamento di un consumatore con il quale ha stipulato un contratto, di non applicare una disposizione procedurale nazionale di natura eccezionale, come quella prevista dall'art. L. 311-37 del code de la consommation, nella misura in cui tale disposizione non consente al giudice nazionale di annullare, su domanda del consumatore o d'ufficio, le clausole abusive che vizino il contratto qualora quest'ultimo sia stato stipulato oltre due anni prima dell'instaurazione del giudizio e consente in tal modo al professionista di avvalersi in giudizio di dette clausole e di fondarvi la propria iniziativa giudiziaria».

Sulla questione pregiudiziale

16 Con tale questione, il giudice a quo chiede in sostanza se la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori osti ad una normativa interna che, in un'azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra di loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore il carattere abusivo di una clausola inserita nel suddetto contratto.

Sulla ricevibilità

17 In via preliminare, la Cofidis e il governo francese esprimono dubbi quanto alla rilevanza della questione sollevata con riguardo alla soluzione della causa principale e quindi quanto alla ricevibilità della domanda pregiudiziale.

18 La Cofidis sostiene che le clausole ritenute abusive dal giudice a quo non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva. Trattandosi di clausole finanziarie inserite in un contratto di credito, esse verterebbero sulla definizione dell'oggetto principale di questo. Quindi, ai sensi dell'art. 4, n. 2, della direttiva, esse sarebbero escluse dall'ambito di applicazione della stessa. Le clausole in questione non potrebbero essere considerate prive di chiarezza giacché non sarebbero altro che la riproduzione di un modello di contratto elaborato dal legislatore nazionale, il quale non sarebbe soggetto, in forza dell'art. 1, n. 2, della direttiva, alle disposizioni di questa.

19 La Cofidis aggiunge che a torto il giudice a quo ha ritenuto applicabile al settore delle clausole abusive il termine di decadenza previsto dall'art. L. 311-37 del code de la consommation in materia di credito al consumo. Il governo francese rileva che la questione del giudice a quo suscita effettivamente dubbi e che la Corte di cassazione francese non ha ancora avuto l'occasione di pronunciarsi sul punto.

20 A tale riguardo occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, nell'ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall'art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile laddove appaia in modo manifesto che l'interpretazione del diritto comunitario o l'esame della validità di una norma comunitaria, chiesti dal detto giudice, non abbiano alcuna relazione con l'effettività o l'oggetto della controversia nella causa principale (v., in particolare, sentenze 22 giugno 2000, causa C-318/98, Fornasar e a., Racc. pag. I-4785, punto 27, e 10 maggio 2001, cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior, Racc. pag. I-3605, punti 18 e 20).

21 Nel caso di specie il giudice a quo ritiene che talune delle clausole finanziarie stampate del contratto di credito sottoposto al suo giudizio siano viziate da una mancanza di chiarezza e di comprensibilità. Tale mancanza sarebbe in particolare riconducibile all'uso, nel modulo utilizzato dall'istituto di credito, di termini d'ispirazione pubblicitaria che farebbero pensare ad un'asserita gratuità dell'operazione che il giudice a quo ritiene tale da indurre il consumatore in errore.

22 In proposito, occorre rilevare che, in quanto esse non si limitano a rispecchiare disposizioni legislative o regolamentari imperative e in quanto la loro redazione è tacciata di ambiguità, non risulta manifestamente che le clausole in questione esulino dall'ambito di applicazione della direttiva, così come delimitato dagli artt. 1, n. 2, e 4, n. 2, di questa.

23 Per rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva, le suddette clausole devono tuttavia rispondere ai criteri definiti dall'art. 3, n. 1, della direttiva, cioè devono essere state oggetto di un negoziato individuale e devono, malgrado il requisito della buona fede, determinare a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Benché il giudice a quo non abbia fornito alcun elemento su quest'ultimo punto, non può escludersi che tale condizione sia soddisfatta.

24 Quanto alla questione se il termine di decadenza di cui all'art. L. 311-37 del code de la consommation si applichi o no alle clausole abusive, si tratta di una questione di diritto nazionale che, in quanto tale, esula dalla competenza della Corte.

25 Di conseguenza, non risulta in modo manifesto che la questione sollevata non abbia alcun rapporto con l'oggetto della controversia nella causa principale.

26 Ne consegue che la domanda pregiudiziale è ricevibile e che la questione in essa formulata dev'essere quindi risolta, presupponendo che le clausole che il giudice a quo considera abusive soddisfino i criteri definiti dagli artt. 1, n. 2, 3, n. 1, e 4, n. 2, della direttiva.

Nel merito

27 La Cofidis e il governo francese cercano in primo luogo di stabilire una distinzione tra la causa principale da quelle che hanno dato luogo alla sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (Racc. pag. I-4941). Secondo loro, consentendo al giudice nazionale di valutare d'ufficio l'abusività di una clausola attributiva di giurisdizione, la Corte gli ha semplicemente permesso di rilevare esso stesso la propria incompetenza. Nella causa principale si tratterebbe però di valutare se il giudice debba o no applicare un termine di decadenza imposto dal legislatore nazionale.

28 La Cofidis e il governo francese sostengono in secondo luogo che, mancando nella direttiva una disposizione relativa ad un eventuale termine di decadenza, la questione dell'applicazione di un siffatto termine rientra nel principio dell'autonomia processuale. Spetta quindi all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro disciplinare le modalità procedurali delle azioni giudiziarie intese a garantire la tutela dei diritti che i singoli traggono dalla direttiva nell'osservanza dei principi di equivalenza e di effettività. Ora, la Corte ha dichiarato in diverse occasioni la compatibilità con tali principi di termini di decadenza più brevi di quello biennale previsto dall'art. L. 311-37 del code de la consommation (sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, e 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, Racc. pag. I-4025).

29 Il sig. Fredout afferma che occorre interpretare in senso ampio la citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores. A suo avviso, la Corte, in detta sentenza, ha considerato la possibilità per il giudice nazionale di valutare d'ufficio la legittimità di una clausola abusiva come un mezzo che consente di raggiungere il risultato stabilito dall'art. 6 della direttiva, cioè garantire che le clausole abusive non vincolino il consumatore. Ora, tale risultato non potrebbe essere conseguito qualora detta possibilità fosse soggetta ad un termine. Nel caso dei contratti di credito al consumo, la maggior parte dei procedimenti verrebbero promossi dal mutuante professionista, al quale basterebbe attendere la scadenza del suddetto termine per avviare l'azione di pagamento, privando così il consumatore della tutela istituita dalla direttiva.

30 Il governo austriaco, pur riconoscendo che la direttiva lascia agli Stati membri un rilevante margine di discrezionalità e che un termine di prescrizione può contribuire alla certezza del diritto, fa presente che, tenuto conto dell'effetto di decadenza del termine in questione e della sua brevità, è dubbio che esso consenta di raggiungere il risultato prescritto dagli artt. 6 e 7 della direttiva.

31 La Commissione, che propugna anch'essa un'interpretazione ampia della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, ritiene che la fissazione di un limite temporale al potere riconosciuto al giudice di rilevare d'ufficio l'illegittimità di una clausola abusiva sia contrario alle finalità della direttiva. Consentire agli Stati membri di stabilire siffatti limiti, eventualmente diversi, sarebbe inoltre contrario al principio dell'applicazione uniforme del diritto comunitario.

32 In proposito, occorre ricordare che, al punto 28 della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, la Corte ha affermato che la facoltà per il giudice di esaminare d'ufficio l'abusività di una clausola costituisce un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell'obiettivo fissato dall'art. 6 della direttiva, che è quello di impedire che il consumatore sia vincolato da una clausola abusiva, quanto dell'obiettivo dell'art. 7, dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo che contribuisce a far cessare l'inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori.

33 Questa facoltà riconosciuta al giudice è stata ritenuta necessaria per garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto in particolare del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli (sentenza Océan Grupo Editoral e Salvat Editores, citata, punto 26).

34 La tutela prevista a favore dei consumatori dalla direttiva si estende così ai casi in cui il consumatore che ha stipulato con un professionista un contratto contenente una clausola abusiva si astenga dal dedurre l'abusività di detta clausola perché ignora i suoi diritti o perché viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un'azione giudiziaria comporterebbe.

35 Risulta quindi che nei procedimenti aventi ad oggetto l'esecuzione di clausole abusive, promossi da professionisti nei confronti di consumatori, la fissazione di un limite temporale al potere del giudice di disattendere, d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore, siffatte clausole può compromettere l'effettività della tutela voluta dagli artt. 6 e 7 della direttiva. Infatti, per privare i consumatori del beneficio di tale protezione, ai professionisti basta attendere la scadenza del termine fissato dal legislatore nazionale per chiedere l'esecuzione delle clausole abusive che essi continuerebbero ad utilizzare nei contratti.

36 Si deve quindi ritenere che una norma processuale che vieti al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata da un consumatore l'abusività di una clausola la cui esecuzione viene richiesta dal professionista è idonea a rendere eccessivamente difficile, nelle controversie in cui i consumatori sono convenuti, l'applicazione della tutela che la direttiva intende loro conferire.

37 Questa interpretazione non viene contraddetta dal fatto che, come rilevano la Cofidis e il governo francese, la Corte ha più volte affermato che termini di decadenza più brevi di quello di cui trattasi nella causa principale non sono incompatibili con la tutela dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario (sentenze Rewe e Palmisani, citate). E' sufficiente infatti ricordare che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario dev'essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nel complesso del procedimento, nonché dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (sentenza 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 14). Le citate sentenze Rewe e Palmisani, invocate dalla Cofidis e dal governo francese, sono quindi il risultato di valutazioni specifiche, effettuate in considerazione dell'insieme del contesto di fatto e di diritto proprio di ciascuna causa e che non possono essere trasposte automaticamente in settori diversi da quelli nell'ambito del quale sono state formulate.

38 Alla luce di quanto sopra, la questione sollevata va quindi risolta nel senso che la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori osta ad una normativa interna che, in un'azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore l'abusività di una clausola inserita nel suddetto contratto.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

39 Le spese sostenute dai governi francese e austriaco, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE

(Quinta Sezione),

pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Tribunal d'instance di Vienne con sentenza 15 dicembre 2000, rettificata con sentenza 26 gennaio 2001, dichiara:

La direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, osta ad una normativa interna che, in un'azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore il carattere abusivo di una clausola inserita nel suddetto contratto.