Causa C-24/00

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica francese

«Inadempimento di uno Stato — Artt. 30 e 36 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 30 CE) — Normativa nazionale che elenca tassativamente le sostanze nutritive che possono essere aggiunte ai prodotti alimentari — Misure di effetto equivalente — Giustificazione — Salute — Difesa dei consumatori — Proporzionalità»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione delle merci — Restrizioni quantitative — Misure di effetto equivalente — Normativa nazionale che subordina ad autorizzazione l’aggiunta di sostanze nutritive ai prodotti alimentari — Inammissibilità in mancanza di un procedimento semplificato

[Trattato CE, art. 30 (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE)]

2.        Libera circolazione delle merci — Restrizioni quantitative — Misure di effetto equivalente — Normativa nazionale che ostacola la commercializzazione di prodotti alimentari arricchiti con sostanze nutritive — Inammissibilità — Giustificazione — Tutela della salute — Insussistenza in mancanza di dimostrazione di un rischio reale

[Trattato CE, artt. 30 e 36 (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 30 CE)]

1.        Viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 30 del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE) uno Stato membro che non prevede un procedimento semplificato che consenta di ottenere l’iscrizione, nell’elenco nazionale delle sostanze nutritive autorizzate, delle sostanze nutritive che vengono aggiunte ai prodotti alimentari correnti e ai generi alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri.

Questo procedimento dev’essere facilmente accessibile e deve potersi concludere entro termini ragionevoli e, in caso di esito negativo, il diniego dev’essere impugnabile con ricorso esperibile in via giurisdizionale.

(v. punti 26, 76 e dispositivo)

2.        Viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 30 del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE) uno Stato membro che ostacola la messa in commercio nel suo territorio di taluni prodotti alimentari, come gli integratori alimentari e i prodotti dietetici contenenti le sostanze L-tartrato e L-carnitina nonché i dolciumi e le bevande ai quali sono state aggiunte determinate sostanze nutritive, senza dimostrare che la commercializzazione dei suddetti prodotti alimentari comporti un rischio reale per la salute.

Infatti, se in linea di principio il diritto comunitario non osta a che la normativa di uno Stato membro vieti, salvo previa autorizzazione, la detenzione per la vendita o la messa in vendita di prodotti alimentari destinati all’alimentazione umana qualora siano integrati con sostanze nutritive diverse da quelle la cui aggiunta è dichiarata lecita dalla suddetta normativa, dato che, in mancanza di armonizzazione e laddove sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, compete agli Stati membri decidere in merito al livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone, tale potere discrezionale deve tuttavia essere esercitato nel rispetto del principio di proporzionalità. Tocca inoltre alle autorità nazionali dimostrare in ciascun caso, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi considerati all’art. 36 del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 30 CE) e, segnatamente, che la commercializzazione dei prodotti di cui trattasi presenta un rischio reale per la salute.

(v. punti 49, 51-53, 76 e dispositivo)




SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
5 febbraio 2004(1)

«Inadempimento di uno Stato – Artt. 30 e 36 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 30 CE) – Normativa nazionale che elenca tassativamente le sostanze nutritive che possono essere aggiunte ai prodotti alimentari – Misura di effetto equivalente – Giustificazione – Salute – Difesa dei consumatori – Proporzionalità»

Nella causa C-24/00,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. R.B. Wainwright e O. Couvert-Castéra, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica francese, rappresentata inizialmente dal sig. R. Abraham e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, successivamente dal sig. J.-F. Dobelle e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che:

non avendo adottato norme a garanzia della libera circolazione dei prodotti alimentari correnti e dei generi alimentari destinati ad un'alimentazione particolare, legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri, contenenti sostanze additive (come vitamine, minerali e altri ingredienti) non previste dalla normativa francese;

non avendo previsto procedimenti semplificati che consentano di ottenere l'iscrizione nell'elenco nazionale delle sostanze additive, necessaria per la commercializzazione in Francia dei generi alimentari sopra menzionati, e

avendo ostacolato la commercializzazione in Francia dei generi alimentari sopra menzionati senza dimostrare che la commercializzazione di tali prodotti comporti un rischio per la salute,

la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell'art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE),



LA CORTE (Sesta Sezione),,



composta dal sig. V. Skouris, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, dai sigg. C. Gulmann, J.N. Cunha Rodrigues, R. Schintgen e dalla sig.ra F. Macken (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. J. Mischo
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto

sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 31 maggio 2001, nel corso della quale la Commissione era rappresentata dal sig. R.B. Wainwright e dalla sig.ra J. Adda, in qualità di agenti, e la Repubblica francese dalla sig.ra R. Loosli‑Surrans,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 26 giugno 2001,

ha pronunciato la seguente



Sentenza



1
Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 27 gennaio 2000, la Commissione delle Comunità europee ha proposto dinanzi alla Corte, ai sensi dell’art. 226 CE, un ricorso diretto a far dichiarare che:

non avendo adottato norme a garanzia della libera circolazione dei prodotti alimentari correnti e dei generi alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri, contenenti sostanze additive (come vitamine, minerali e altri ingredienti) non previste dalla normativa francese;

non avendo previsto un procedimento semplificato che consenta di ottenere l’iscrizione nell’elenco nazionale delle sostanze aggiuntive, necessaria per la commercializzazione in Francia dei generi alimentari sopra menzionati, e

avendo ostacolato la commercializzazione in Francia dei generi alimentari sopra menzionati senza dimostrare che la commercializzazione di tali prodotti comporti un rischio per la salute,

la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 30 del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE).

2
Per sostanze additive si devono intendere sostanze nutritive come vitamine, minerali, amminoacidi e altri composti azotati.


Contesto normativo

La normativa comunitaria

3
È pacifico che alla data pertinente del ricorso in oggetto, cioè alla scadenza del termine fissato nel parere motivato della Commissione 26 ottobre 1998, non esistevano nella normativa comunitaria disposizioni che stabilissero le condizioni necessarie per aggiungere ai prodotti alimentari di consumo corrente sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali.

4
Per quanto riguarda i prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, alcuni di essi sono stati oggetto di direttive adottate dalla Commissione sulla base della direttiva del Consiglio 3 maggio 1989, 89/398/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare (GU L 186, pag. 27).

La normativa nazionale

5
La normativa francese relativa alla messa in commercio degli integratori alimentari e dei prodotti alimentari di consumo corrente arricchiti con vitamine, minerali e altri nutrimenti come gli amminoacidi è il decreto amministrativo 15 aprile 1912, recante attuazione della legge 1° agosto 1905 sulla repressione delle frodi nella vendita delle merci e delle sofisticazioni di prodotti alimentari per quanto riguarda i generi alimentari e segnatamente carni, salumi, frutta, verdura, pesci e conserve.

6
Ai sensi dell’art. 1 di detto decreto, nella versione di cui al decreto 12 febbraio 1973, n. 73‑138 (JORF del 15 febbraio 1973, pag. 1728):

«È vietato detenere a scopo di vendita, porre in vendita o vendere qualsiasi merce o prodotto alimentare destinato all’alimentazione umana qualora vi siano stati aggiunti prodotti chimici diversi da quelli il cui impiego è dichiarato lecito dai decreti adottati di concerto dal Ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale, dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, dal Ministro per lo Sviluppo industriale e scientifico e dal Ministro della Sanità, su parere del Conseil supérieur d’hygiène publique de France [in prosieguo: il “CSHPF”] e dell’Académie nationale de médicine».

7
A tenore dell’art. 1 del decreto 29 agosto 1991, n. 91‑827, relativo ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare (JORF del 31 agosto 1991, pag. 11424):

«Sono considerati prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare i prodotti alimentari che, per la loro particolare composizione o per il loro particolare processo di fabbricazione, si distinguono nettamente dai prodotti alimentari di consumo corrente, sono adatti allo scopo nutrizionale indicato e sono commercializzati in modo da indicare che sono consoni a tale scopo».

8
L’art. 3 dello stesso decreto è redatto come segue:

«Con decreti interministeriali dei Ministri responsabili del Consumo, dell’Agricoltura e della Sanità, su parere del [CSHPF], sono fissati:

a)
l’elenco e le condizioni d’impiego delle sostanze aventi uno scopo nutrizionale come vitamine, sali minerali, amminoacidi e altre sostanze che è lecito incorporare nei prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare nonché i criteri di purezza applicabili a tali sostanze;

(...)».

9
I decreti cui si riferisce l’art. 3 del decreto n. 91-827 sono il decreto 20 luglio 1977, adottato per l’attuazione del decreto 24 luglio 1975, n. 75-85, sui prodotti dietetici, modificato successivamente, e il decreto 4 agosto 1986, relativo all’impiego delle sostanze additive nella produzione degli alimenti destinati ad un’alimentazione particolare, anch’esso in seguito modificato, che sono stati emanati in base ai decreti che hanno preceduto il decreto n. 91‑827 e sono stati mantenuti in vigore dall’art. 9, secondo comma, di questo.


Procedimento precontenzioso

10
A seguito di denunce di operatori economici stabiliti in altri Stati membri, riguardanti le difficoltà incontrate per commercializzare in Francia prodotti alimentari arricchiti di sostanze nutritive, tra il 1994 e il 1996 la Commissione ha chiesto più volte alle autorità francesi di presentarle le loro osservazioni in merito.

11
Poiché gli scambi di lettere tra la Commissione e le autorità francesi e le discussioni in riunione «pacchetto» non hanno avuto esito positivo, il 23 dicembre 1997 la Commissione ha ingiunto alla Repubblica francese di presentare le sue osservazioni entro due mesi.

12
Insoddisfatta delle risposte inviatele il 9 marzo e il 15 maggio 1998 dalle autorità francesi, con lettera 26 ottobre 1998 la Commissione ha emesso un parere motivato in cui invitava la Repubblica francese ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro due mesi a decorrere dalla sua notifica.

13
Con lettera 31 dicembre 1998 le suddette autorità hanno sostenuto che la normativa francese in discussione è basata su esigenze di tutela della sanità pubblica e che, in mancanza di armonizzazione comunitaria, si ritenevano legittimate ad applicare la loro normativa nazionale. Tuttavia, hanno fatto presente di voler adottare un testo normativo di chiarimento, che descrivesse il procedimento di autorizzazione dell’aggiunta delle sostanze nutritive.

14
Ritenendo che la Repubblica francese non si fosse conformata al parere motivato entro il termine prescritto, la Commissione ha proposto il ricorso in oggetto.


Sul ricorso

15
Nel ricorso la Commissione muove alla Repubblica francese tre censure concernenti, in primo luogo, la mancanza nella normativa francese di una clausola di reciproco riconoscimento applicabile ai prodotti alimentari, legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri, ai quali sono state aggiunte sostanze nutritive non autorizzate dalla suddetta normativa, in secondo luogo, la mancanza di procedimenti semplificati d’iscrizione di tali sostanze nutritive nell’elenco nazionale delle sostanze nutritive autorizzate e, in terzo luogo, la mancanza di giustificazione del diniego di iscrivere tali sostanze nutritive nel suddetto elenco per motivi di tutela della salute.

Sulla prima censura

Argomenti delle parti

16
La Commissione fa valere, in sostanza, che la normativa francese non tiene conto del fatto che i prodotti alimentari cui sono state aggiunte sostanze nutritive non autorizzate in Francia sono stati legittimamente fabbricati e/o commercializzati in un altro Stato membro, il che consente loro, di regola, di beneficiare del principio di libera circolazione delle merci, fatte salve le eccezioni previste dal Trattato. Detta normativa non conterrebbe clausole di reciproco riconoscimento volte a garantire la libera circolazione dei prodotti legittimamente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro e che presentano un livello di tutela della salute dei consumatori equivalente a quello garantito in Francia, anche se tali prodotti non soddisfano completamente i requisiti della suddetta normativa.

17
Secondo la Commissione, in applicazione della sentenza 22 ottobre 1998, causa C‑184/96, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑6197), la mancanza nella normativa francese di una clausola di reciproco riconoscimento è sufficiente a provare l’esistenza di un inadempimento.

18
In proposito, il governo francese fa valere che la giurisprudenza della Corte riguardante le clausole di reciproco riconoscimento si riferisce in generale a norme di qualità o di sicurezza di specifici prodotti industriali, ma non a norme riguardanti la salute in generale. Peraltro, proponendo progetti di direttiva per disciplinare l’aggiunta delle sostanze nutritive, la Commissione avrebbe implicitamente riconosciuto che le clausole di reciproco riconoscimento non consentono, alla luce della diversità delle situazioni nazionali, di assicurare la libera circolazione dei prodotti alimentari garantendo nel contempo un elevato livello di tutela della salute.

19
Secondo il governo francese – il quale riconosce che la normativa nazionale è atta ad ostacolare gli scambi tra gli Stati membri, ma ritiene che essa sia giustificata da obiettivi di sanità pubblica e di protezione dei consumatori – la Commissione non fornisce la prova, nel caso di specie, che detta normativa sia sproporzionata a causa della mancanza di una clausola che garantisca il reciproco riconoscimento delle sostanze nutritive aggiunte ai prodotti alimentari correnti o ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, che vengono immessi sul mercato in altri Stati membri.

20
Inoltre, il suddetto governo rileva che la Commissione non ha dimostrato che, nel caso in cui esisteva in un altro Stato membro una normativa atta a garantire le stesse finalità di sanità pubblica, la Repubblica francese si sia rifiutata di esaminare la domanda di iscrizione nell’elenco nazionale di una sostanza nutritiva autorizzata da detta normativa nell’ambito di un sistema di reciproco riconoscimento.

Giudizio della Corte

21
La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri è un principio fondamentale del Trattato che trova la sua espressione nel divieto, enunciato nell’art. 30 del Trattato, delle restrizioni quantitative all’importazione tra gli Stati membri e di qualsiasi altra misura di effetto equivalente.

22
Il divieto delle misure di effetto equivalente a restrizioni enunciato all’art. 30 del Trattato riguarda ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari (v., in particolare, sentenze 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag. 837, punto 5, e 23 settembre 2003, causa C‑192/01, Commissione/Danimarca, Racc. pag. I‑9396, punto 39).

23
È pacifico che la normativa francese costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell’art. 30 del Trattato. Infatti, la detta normativa, la quale prescrive che la commercializzazione di prodotti alimentari arricchiti con vitamine e minerali sia subordinata alla previa iscrizione di tali sostanze nutritive in un «elenco positivo», rende la commercializzazione di detti prodotti più difficile e più costosa e, di conseguenza, ostacola gli scambi fra gli Stati membri.

24
La suddetta normativa non contiene disposizioni che garantiscano la libera circolazione dei prodotti alimentari arricchiti che sono legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri e relativamente ai quali viene garantito un livello di tutela della salute delle persone equivalente a quello garantito in Francia, anche se tali prodotti non soddisfano del tutto i requisiti di detta normativa.

25
Cionondimeno, secondo la giurisprudenza della Corte, una normativa nazionale che subordini ad un’autorizzazione previa l’aggiunta di una sostanza nutritiva in un prodotto alimentare legittimamente fabbricato e/o commercializzato in altri Stati membri non contrasta, in linea di principio, con il diritto comunitario purché siano soddisfatte talune condizioni (v., in tal senso, sentenze 16 luglio 1992, causa C‑344/90, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑4719, punto 8, e Commissione/ Danimarca, citata, punto 44).

26
In primo luogo, una siffatta regolamentazione dev’essere corredata di un procedimento inteso a consentire agli operatori economici di ottenere l’iscrizione di una sostanza nutritiva del genere suddetto nell’elenco nazionale delle sostanze autorizzate. Questo procedimento dev’essere facilmente accessibile e deve potersi concludere entro termini ragionevoli e, in caso di esito negativo, il diniego dev’essere impugnabile con ricorso esperibile in via giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza Commissione/Francia, citata, punto 9).

27
In secondo luogo, una domanda di iscrizione di una sostanza nutritiva nell’elenco nazionale delle sostanze autorizzate può essere respinta dalle autorità nazionali competenti solo se tale sostanza presenta un rischio reale per la salute (v. sentenza Commissione/Danimarca, citata, punto 46).

28
Poiché lo Stato membro di cui trattasi ha optato per una normativa che subordina a previa autorizzazione la commercializzazione di un prodotto alimentare al quale viene aggiunta una sostanza nutritiva, la prima censura dev’essere respinta.

29
Quanto alla questione se la normativa francese soddisfi le condizioni menzionate nei punti 26 e 27 della presente sentenza, occorre ricordare che tale questione costituisce oggetto della seconda e della terza censura della Commissione.

Sulla seconda censura

Argomenti delle parti

30
La Commissione rileva anzitutto che il procedimento di previa autorizzazione istituito dalla normativa francese, che richiede la previa modifica dell’ordinanza interministeriale pertinente prima che una sostanza nutritiva non autorizzata in Francia possa esservi commercializzata, costituisce un iter particolarmente gravoso e non soddisfa i requisiti del diritto comunitario quali ricordati nel punto 26 della presente sentenza.

31
Perché il procedimento di iscrizione nell’elenco nazionale delle sostanze autorizzate sia agevolmente accessibile agli operatori economici, in conformità della giurisprudenza della Corte, le autorità nazionali dovrebbero precisare l’elenco delle informazioni che devono figurare nel fascicolo della domanda di autorizzazione e descrivere il procedimento d’istruzione di tale domanda, e tutto ciò in un documento pubblicato ufficialmente e vincolante per le autorità nazionali. Ora, secondo la Commissione, il procedimento previsto dalla normativa francese, il cui meccanismo non viene descritto in un documento del genere, non può essere considerato agevolmente accessibile per gli operatori economici.

32
Inoltre, il procedimento nazionale di autorizzazione dovrebbe potersi concludere entro un termine ragionevole. La Commissione osserva che tale condizione non è soddisfatta nella fattispecie, in quanto i testi normativi applicabili non fissano nessun termine per l’istruzione delle domande di iscrizione nel suddetto elenco.

33
Infine, qualsiasi diniego di autorizzazione dovrebbe essere effettuato in forme tali da garantire effettivamente che l’operatore economico interessato abbia la possibilità di esercitare un ricorso giurisdizionale. Ora, la normativa francese non soddisfarebbe tale requisito. Secondo la Commissione, le decisioni negative notificate dalle autorità francesi agli operatori economici non precisano in specie i motivi per i quali non sono rilasciate le autorizzazioni per la commercializzazione.

34
Il governo francese fa valere, invece, che esiste già un procedimento semplificato, anche se non è espressamente previsto dal decreto 15 aprile 1912. In primo luogo, il CSHPF terrebbe conto dei dati scientifici internazionali in tutti i casi in cui i richiedenti ne fanno menzione nel loro fascicolo. In secondo luogo, il procedimento seguito sarebbe rapido in quanto sarebbe sufficiente adottare un decreto. Inoltre l’operatore economico sarebbe spesso informato con lettera dell’esito favorevole persino prima della pubblicazione di tale decreto. Secondo il governo francese, la prova della mancanza di un procedimento di iscrizione de facto semplificato per un prodotto che è legittimamente commercializzato in uno Stato diverso dalla Repubblica francese non è stata fornita dalla Commissione.

35
Infine il governo francese ritiene che, comunque, la condizione preliminare per l’applicazione di un procedimento semplificato sembri essere la similarità delle legislazioni vigenti nello Stato d’esportazione e nello Stato d’importazione e fa valere che tale condizione non è soddisfatta, com’è dimostrato dal fatto che la Commissione ha deciso di proporre progetti di direttive per disciplinare l’aggiunta delle sostanze nutritive.

Giudizio della Corte

36
Come risulta dal punto 26 della presente sentenza, un procedimento che subordini a previa autorizzazione, nell’interesse della sanità pubblica, l’aggiunta di una sostanza nutritiva autorizzata in un altro Stato membro è conforme al diritto comunitario solo qualora sia agevolmente accessibile e possa essere concluso entro termini ragionevoli e qualora, in caso di esito negativo, il diniego possa essere impugnato con ricorso esperibile in via giurisdizionale.

37
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’accessibilità del procedimento di cui si discute nel caso di specie, l’obbligo di uno Stato membro di corredare di un procedimento del genere qualsiasi normativa nazionale che subordini ad autorizzazione, per motivi di sanità pubblica, l’aggiunta di sostanze nutritive non può essere adempiuto ove tale procedimento non sia espressamente previsto da un atto di portata generale che vincoli le autorità nazionali (v., anch’essa in tal senso, sentenza 12 marzo 1987, causa 176/84, Commissione/Grecia, Racc. pag. 1193, punto 41).

38
Annunciando, nella loro risposta del 31 dicembre 1998 al parere motivato, l’intento di «chiarire la normativa francese descrivendo il procedimento di autorizzazione dell’impiego delle sostanze nutritive in un testo normativo», le autorità francesi hanno riconosciuto che, per lo meno alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, la normativa nazionale non prevedeva formalmente il suddetto procedimento.

39
Il governo francese ha, sì, preparato un avviso agli operatori economici sulle modalità di incorporazione di sostanze nutritive nei prodotti alimentari correnti che, a suo avviso, assolve tale funzione, ma non risulta dal fascicolo che tale avviso, pur ammettendo che soddisfi i requisiti del diritto comunitario, fosse in vigore alla data della scadenza del termine fissato nel parere motivato.

40
In secondo luogo, gli esempi forniti dalla Commissione nel ricorso rivelano che le domande di autorizzazione presentate dagli operatori economici non erano trattate né entro termini ragionevoli né secondo un procedimento adeguatamente trasparente quanto alle possibilità di ricorso giurisdizionale offerte in caso di diniego d’autorizzazione.

41
Così, nel caso della domanda di autorizzazione relativa alla bevanda «Red Bull», il richiedente ha aspettato quasi sette mesi per ricevere la ricevuta di ritorno della sua domanda e più di due anni per essere informato della decisione di diniego.

42
Da quanto precede risulta che la seconda censura dev’essere considerata fondata.

Sulla terza censura

Argomenti delle parti

43
La Commissione sostiene che in diversi casi le autorità francesi si sono rifiutate di autorizzare la commercializzazione di prodotti alimentari ai quali erano state aggiunte sostanze nutritive non autorizzate senza motivare tali dinieghi riguardo al rischio reale per la salute. In conformità della giurisprudenza della Corte, spetta allo Stato membro, in ciascun caso di specie, elencare i possibili rischi per la salute.

44
Inoltre, essa sostiene che gli Stati membri non possono vietare la commercializzazione di siffatti prodotti alimentari provenienti da un altro Stato membro solo per la mancanza di interesse nutrizionale dell’aggiunta ad essi di una sostanza nutritiva e prescindendo da ogni considerazione relativa alla salute.

45
Quanto alla tutela dei consumatori, la Commissione rileva che nei casi particolari richiamati le autorità francesi non hanno studiato la possibilità di ricorrere a misure alternative meno restrittive, consistenti nell’obbligo di apporre un’etichettatura che consenta al consumatore di essere informato sui rischi collegati al consumo eccessivo delle sostanze di cui trattasi.

46
Per contro, secondo il governo francese, ciascun diniego di autorizzazione dell’iscrizione di una sostanza nutritiva nell’elenco nazionale delle sostanze autorizzate è basato sui pareri emessi dagli organi scientifici francesi, pareri basati sull’analisi caso per caso dei rischi per la salute e che le autorità francesi non si ritengono legittimate a contestare, dato che si tratta di valutazioni scientifiche.

47
Il suddetto governo ritiene che le esigenze nutrizionali della popolazione francese siano prese giustamente in considerazione ai fini della valutazione dell’innocuità delle sostanze nutritive, dato che la normativa francese non prevede omologazione a posteriori dei prodotti finiti contenenti sostanze del genere.

48
Esso riconosce che anche l’efficacia della sostanza nutritiva viene presa in considerazione nel procedimento di iscrizione nel suddetto elenco nazionale, ma fa valere, da una parte, che numerose direttive inerenti alla salute prendono anch’esse in considerazione l’efficacia del prodotto o della sostanza nutritiva aggiunta e, dall’altra, che numerose normative comunitarie e nazionali perseguono contemporaneamente il duplice obiettivo della tutela della salute e della lotta contro la frode.

Giudizio della Corte

49
In primo luogo, occorre ricordare che in mancanza di armonizzazione e laddove sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, compete agli Stati membri decidere in merito al livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone ed al requisito di una previa autorizzazione all'immissione sul mercato di prodotti alimentari, tenendo conto anche delle esigenze della libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità (v. sentenze 14 luglio 1983, causa 174/82, Sandoz, Racc. pag. 2445, punto 16, e Commissione/Danimarca, citata, punto 42).

50
Tale potere discrezionale relativo alla tutela della salute è particolarmente importante qualora sia dimostrato che sussistono incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica in merito a determinate sostanze, quali le vitamine, che in genere non sono nocive di per sé, ma possono produrre effetti nocivi particolari solo se consumate in misura eccessiva assieme al complesso degli alimenti la cui composizione è imprevedibile e incontrollabile (v. citate sentenze Sandoz, punto 17, e Commissione/Danimarca, punto 43).

51
Ne deriva, come emerge dal punto 25 della presente sentenza, che in linea di principio il diritto comunitario non osta a che la normativa di uno Stato membro vieti, salvo previa autorizzazione, la detenzione per la vendita o la messa in vendita di prodotti alimentari destinati all’alimentazione umana qualora siano integrati con sostanze nutritive diverse da quelle la cui aggiunta è dichiarata lecita dalla suddetta normativa.

52
Tuttavia, nell’esercizio del loro potere discrezionale in materia di tutela della salute, gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità. Pertanto, i mezzi che essi scelgono devono essere limitati allo stretto necessario per garantire la tutela della salute o per soddisfare esigenze imperative attinenti, ad esempio, alla difesa dei consumatori; essi devono essere proporzionati all’obiettivo così perseguito, il quale non avrebbe potuto essere conseguito con misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari (v. citate sentenze Sandoz, punto 18, e Commissione/Danimarca, punto 45).

53
Inoltre, poiché l’art. 36 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 30 CE) contiene una deroga, da interpretare restrittivamente, al principio della libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità, tocca alle autorità nazionali che ad esso si richiamano dimostrare in ciascun caso, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi considerati da detto articolo e, segnatamente, che la commercializzazione dei prodotti di cui trattasi presenta un rischio reale per la salute (v. sentenza Commissione/Danimarca, citata, punto 46).

54
Un divieto di commercializzare prodotti alimentari integrati con sostanze nutritive deve quindi basarsi su una valutazione approfondita del rischio prospettato dallo Stato membro che invoca l’art. 36 del Trattato (v. sentenza Commissione/Danimarca, citata, punto 47).

55
Una decisione di vietare la commercializzazione di un prodotto alimentare arricchito, che peraltro costituisce l’ostacolo più restrittivo per gli scambi aventi ad oggetto prodotti legittimamente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, può essere adottata soltanto qualora l’asserito rischio reale per la salute risulti sufficientemente dimostrato sulla base dei dati scientifici più recenti disponibili al momento dell’adozione. In un contesto del genere, la valutazione del rischio che lo Stato membro deve effettuare ha ad oggetto la stima del grado di probabilità degli effetti nocivi dell’aggiunta di determinate sostanze nutritive ai prodotti alimentari per la salute umana e della gravità di tali effetti potenziali (sentenza Commissione/Danimarca, citata, punto 48).

56
Certamente, tale valutazione del rischio potrebbe rivelare che sussiste un’incertezza scientifica riguardo all’esistenza o alla portata di rischi reali per la salute. In tali circostanze si deve ammettere che uno Stato membro può adottare, in forza del principio di precauzione, misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (v., in tal senso, sentenza 5 maggio 1998, causa C‑157/96, National Farmers’ Union e a., Racc. pag. I‑2211, punto 63). Tuttavia, la valutazione del rischio non può basarsi su considerazioni puramente ipotetiche (v. sentenze 9 settembre 2003, causa C‑236/01, Monsanto Agricoltura Italia e a., Racc. pag. I‑8105, punto 106, e Commissione/Danimarca, citata, punto 49).

57
Nella fattispecie, in taluni casi riferiti dalla Commissione, il governo francese non ha fornito dati attestanti che l’applicazione della normativa nazionale sia necessaria per tutelare effettivamente gli interessi di cui all’art. 36 del Trattato e, in particolare, che la commercializzazione di ciascuno dei prodotti alimentari arricchiti di cui si tratta presenti un rischio reale per la salute.

58
Per quanto riguarda anzitutto i dolciumi e le bevande arricchiti con vitamine, dal parere del CSHPF 10 settembre 1996, sul quale le autorità francesi si basano per giustificare il divieto della commercializzazione di questo tipo di prodotti, risulta che l’autorizzazione di commercializzare tali prodotti alimentari arricchiti dev’essere negata in quanto una persona potrà essere indotta a consumare numerosi prodotti alimentari arricchiti con vitamine che si aggiungeranno agli apporti abituali provenienti da vari cibi. Il CSHPF ritiene che la popolazione francese, nella stragrande maggioranza, riceva dalla sua alimentazione un apporto sufficiente per quanto riguarda la maggior parte delle vitamine.

59
Quanto all’argomento del governo francese relativo a questa mancanza di un fabbisogno nutrizionale che richieda l’aggiunta di sostanze nutritive ai prodotti alimentari di cui trattasi, occorre ricordare che, in un contesto d’incertezza scientifica, il criterio del fabbisogno nutrizionale della popolazione di uno Stato membro può avere un’incidenza all’atto della valutazione approfondita, effettuata da quest’ultimo, del rischio che l’aggiunta di sostanze nutritive ai prodotti alimentari può presentare per la salute.

60
Tuttavia, la mancanza di tale fabbisogno non può, di per sé, giustificare un divieto assoluto, sulla base dell’art. 36 del Trattato, di commercializzare prodotti alimentari legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri (v. sentenza Commissione/Danimarca, citata, punto 54).

61
Certamente, il parere del CSHPF precisa, nell’ultimo paragrafo, che la diffusione dei prodotti alimentari arricchiti espone la popolazione al pericolo di un superamento dei limiti di sicurezza negli apporti di determinate vitamine. Tuttavia, esso si limita a richiamare in termini vaghi questo rischio generale di apporto eccessivo, senza precisare le vitamine di cui trattasi, il grado di superamento dei suddetti limiti o i rischi provocati da tali eccessi, mentre il governo francese non ha contestato che tale parere era stata l’unica base del diniego di autorizzare la commercializzazione di determinati prodotti.

62
Quindi, occorre concludere che, per quanto riguarda i dolciumi e le bevande ai quali sono state aggiunte sostanze nutritive, le autorità francesi non hanno rispettato i requisiti del diritto comunitario quali risultano dalla giurisprudenza della Corte menzionata ai punti 52‑56 della presente sentenza, in particolare il requisito di una valutazione approfondita, caso per caso, degli effetti per la salute che l’aggiunta dei minerali e delle vitamine potrebbe provocare in un caso come la fattispecie (v., in tal senso, sentenza Commissione/Danimarca, citata, punto 56).

63
Quanto poi al parere del CSHPF 12 luglio 1994, riguardante l’aggiunta di L‑tartrato e di L‑carnitina in taluni integratori alimentari e prodotti dietetici, il fatto che esso si esprima a sfavore della commercializzazione in Francia di prodotti cui sono state aggiunte tali sostanze nutritive è dovuto alla mancanza d’interesse nutrizionale di queste e alla mancanza di prove della veridicità delle affermazioni riguardanti i benefici o l’utilità di sostanze del genere.

64
Tuttavia, come risulta dal punto 60 della presente sentenza, la mancanza di un’esigenza nutrizionale non può, di per sé, giustificare un divieto, sulla base dell’art. 36 del Trattato, di commercializzare prodotti alimentari legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri.

65
Inoltre, detto parere fa menzione degli inconvenienti digestivi che riguarderebbero il 13% della popolazione, senza precisarne la natura, e della mancanza di prove della veridicità delle affermazioni riguardanti l’utilità o i benefici dell’aggiunta di L‑tartrato e di L‑carnitina, il che non costituisce una valutazione approfondita degli effetti per la salute che potrebbe comportare l’aggiunta ai prodotti alimentari di tali sostanze e quindi non è sufficiente per giustificare un divieto di commercializzazione sulla base dell’art. 36 del Trattato.

66
Di conseguenza, la Commissione è legittimata a ritenere, per quanto riguarda l’aggiunta di tali sostanze nutritive agli integratori alimentari e ai prodotti dietetici, che le autorità francesi non abbiano soddisfatto i criteri relativi all’applicazione dell’art. 36 del Trattato quali derivano dalla giurisprudenza della Corte sopra richiamata.

67
Infine, per quanto riguarda le bevande energetiche come «Red Bull», dal parere del CSHPF 10 settembre 1996 risulta che, anche se «non esistono argomenti di tossicologia classica» da opporre alla commercializzazione di tale tipo di bevande, il suddetto Consiglio ha ritenuto che la loro commercializzazione non dovesse essere autorizzata a causa di una concentrazione eccessiva di caffeina, superiore a quella autorizzata in Francia, del rischio di un consumo eccessivo di caffeina in particolare da parte delle donne incinte, dell’affermazione ingannevole riguardante il carattere «energetico» del prodotto e del rischio di controllo antidoping positivo tra gli sportivi. Il CSHPF ritiene che la percentuale massima di caffeina nelle bevande non debba superare 150 mg/l nelle bevande e ricorda che il consumo di caffeina non dovrebbe superare 200 mg/j.

68
Come risulta dal punto 49 della presente sentenza, la Repubblica francese può decidere il livello cui essa intende garantire la tutela della salute e della vita delle persone.

69
Vero è che essa deve dimostrare il motivo per il quale il divieto della commercializzazione di bevande energetiche il cui tenore di caffeina sia superiore a un determinato limite è necessario e proporzionato riguardo alla salute umana (v., in tal senso, sentenza 19 giugno 2003, causa C‑420/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑6445, punti 30 e 31).

70
Nel caso di specie, in risposta al parere del CSHPF sopra menzionato, che dimostra rischi concreti per la salute legati all’eccessivo consumo di caffeina, la Commissione non ha chiarito i motivi per i quali esso sarebbe insufficiente a giustificare un divieto di commercializzazione, in base all’art. 36 del Trattato, delle bevande energetiche il cui tenore di caffeina è superiore a quello autorizzato in Francia. Infatti, la Commissione non ha prodotto elementi sufficienti per mettere in discussione il giudizio delle autorità francesi circa la pericolosità di dette bevande per la salute.

71
Occorre anche ricordare, quanto alle bevande energetiche, che il governo francese ha fatto valere, senza essere contraddetto in proposito dalla Commissione, che il 21 gennaio 1999 il Comité scientifique de l’alimentatione humaine ha emesso un parere sfavorevole circa la presenza nelle suddette bevande di determinate sostanze nutritive, come la taurina e l’acido glucoronico.

72
Di conseguenza, toccava alla Commissione chiarire i motivi per i quali l’argomento del governo francese relativo al suddetto parere non può essere sufficiente per giustificare il diniego di autorizzare la commercializzazione delle bevande energetiche alle quali sono state aggiunti la taurina e l’acido glucoronico.

73
Dato che la Commissione non ha risposto a tale argomento e tenuto conto dell’insufficienza della sua risposta relativamente alla giustificazione fornita circa il superamento del limite autorizzato di concentrazione di caffeina nelle bevande energetiche in discussione, occorre constatare che la terza censura della Commissione dev’essere respinta per quanto riguarda le bevande energetiche il cui tenore di caffeina è superiore ad un determinato limite e alle quali sono stati aggiunti taurina e acido glucoronico.

74
In secondo luogo, quanto all’efficace tutela dei consumatori, alla quale il governo francese del pari si richiama, come risulta dai punti 63 e 67 della presente sentenza, è certamente legittima la volontà di vigilare affinché i consumatori siano correttamente informati sui prodotti che consumano (v., in tal senso, sentenze 23 febbraio 1988, causa 216/84, Commissione/Francia, Racc. pag. 793, punto 10, e 2 febbraio 1989, causa 274/87, Commissione/Germania, Racc. pag. 229).

75
Ora, un’adeguata etichettatura che informi i consumatori sulla natura, sugli ingredienti e sulle caratteristiche dei prodotti alimentari arricchiti potrebbe consentire ai consumatori potenzialmente minacciati da un consumo eccessivo di una sostanza nutritiva aggiunta a tali prodotti di decidere autonomamente se usare o no detti prodotti (v. sentenza Commissione/Francia, citata, punto 16).

76
Tenuto conto di tutte queste considerazioni occorre dichiarare che:

non avendo previsto un procedimento semplificato che consenta di ottenere l’iscrizione, nell’elenco nazionale delle sostanze nutritive autorizzate, delle sostanze nutritive che vengono aggiunte ai prodotti alimentari correnti e ai generi alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri,

e

avendo ostacolato la messa in commercio in Francia di taluni prodotti alimentari, come gli integratori alimentari e i prodotti dietetici contenenti le sostanze L‑tartrato e di L‑carnitina nonché i dolciumi e le bevande ai quali sono state aggiunte determinate sostanze nutritive, senza dimostrare che la commercializzazione dei suddetti prodotti alimentari comporta un rischio reale per la salute,

la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 30 del Trattato.

Per il resto, il ricorso va respinto.


Sulle spese

77
Ai sensi dell’art. 69, n. 3, del regolamento di procedura, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi. Dato che il ricorso della Commissione è stato accolto solo parzialmente, occorre decidere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
Non avendo previsto un procedimento semplificato che consenta di ottenere l’iscrizione, nell’elenco nazionale delle sostanze nutritive autorizzate, delle sostanze nutritive che vengono aggiunte ai prodotti alimentari correnti e ai generi alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, legittimamente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri,

e

avendo ostacolato la messa in commercio in Francia di taluni prodotti alimentari, come gli integratori alimentari e i prodotti dietetici contenenti le sostanze L‑tartrato e L‑carnitina nonché i dolciumi e le bevande ai quali sono state aggiunte determinate sostanze nutritive, senza dimostrare che la commercializzazione dei suddetti prodotti alimentari comporta un rischio reale per la salute,

la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE).

Per il resto il ricorso è respinto.

2)
La Commissione delle Comunità europee e la Repubblica francese sopporteranno ciascuna le proprie spese.

Skouris

Gulmann

Cunha Rodrigues

Schintgen

Macken

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 febbraio 2004.

Il cancelliere

Il presidente

R. Grass

V. Skouris


1
Lingua processuale: il francese.