Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 7 febbraio 2002. - Santex SpA contro Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia, in presenza di Sca Mölnlycke SpA, Artsana SpA e Fater SpA. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Italia. - Direttiva 93/36/CEE - Appalti pubblici di forniture - Direttiva 89/665/CEE - Procedure di ricorso in materia di appalti pubblici - Termine di decadenza - Principio di effettività. - Causa C-327/00.
raccolta della giurisprudenza 2003 pagina 00000
I - Introduzione
1. Nel presente procedimento pregiudiziale, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (in prosieguo: il «giudice a quo») chiede se possa non tener conto dell'avvenuto consolidamento di un bando di gara relativo ad un appalto pubblico di forniture, non impugnato entro il termine prescritto dal diritto nazionale, al fine di poter valutare, nell'ambito di una (successiva) procedura di ricorso promossa da un offerente contro la sua esclusione dalla gara, il contrasto di una clausola del detto bando con il diritto comunitario. Nel caso di specie, la questione verte in concreto sulla prova della capacità di un offerente ai sensi dell'art. 22 della direttiva 93/36/CEE , che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (in prosieguo: la «direttiva sugli appalti»). Il giudice a quo intende sapere se il principio di diritto nazionale della disapplicazione degli atti amministrativi non conformi alla legge (art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248) sia applicabile anche in relazione a clausole di un bando di gara contrastanti con il diritto comunitario. Il detto giudice chiede inoltre se tale principio si imponga anche in forza dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, letto in connessione col diritto ad un leale procedimento ed all'effettività dei ricorsi di cui agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Oltre a ciò, l'esame delle questioni pregiudiziali sollevate comporta l'interpretazione della direttiva 89/665/CEE , che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (in prosieguo anche: la «direttiva ricorsi» o la «direttiva impugnazioni»).
II - Situazione di fatto e procedimento
2. Nel procedimento a quo, la Santex SpA (in prosieguo: la «ricorrente») ha proposto un ricorso contro l'Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia (in prosieguo: la «convenuta») a motivo della propria esclusione da una gara per l'aggiudicazione di un appalto di forniture. A tal fine, la ricorrente impugna la delibera di aggiudicazione nonché il bando di gara, il quale, a suo avviso, contiene un requisito di ammissione contrario al diritto comunitario.
3. In base all'esposizione dei fatti contenuta nell'ordinanza di rinvio pregiudiziale, la convenuta pubblicava nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee in data 23 ottobre 1996 un bando di gara per la «fornitura diretta a domicilio di prodotti assorbenti per l'incontinenza», per l'importo annuo presunto di ITL 1 067 372 000. Tale bando conteneva una clausola in base alla quale sarebbero state ammesse alla gara soltanto le imprese che avessero potuto dimostrare l'esistenza di un fatturato complessivo nell'ultimo triennio almeno triplo, per servizi identici a quelli oggetto della gara, rispetto all'importo annuo presunto posto a base d'asta.
4. Con lettera 25 novembre 1996, la ricorrente segnalava al commissario straordinario della convenuta che la suddetta clausola del bando di gara configurava un'indebita restrizione della concorrenza. Nella stessa lettera veniva precisato che, tenuto conto della recentissima introduzione di quel tipo di servizio da parte delle aziende sanitarie locali, l'applicazione della clausola in questione avrebbe comportato l'esclusione di numerosi concorrenti, tra i quali anche la ricorrente, malgrado quest'ultima avesse raggiunto nell'ultimo anno un fatturato complessivo pari al doppio dell'importo annuo presunto della fornitura oggetto dell'appalto.
5. In seguito a tali rilievi, la commissione aggiudicatrice della convenuta rinviava l'apertura delle offerte e chiedeva alle imprese interessate l'invio di una documentazione completa, affermando che la clausola in questione poteva essere interpretata nel senso che si riferiva al fatturato complessivo delle imprese partecipanti e che, pertanto, la fornitura di prodotti identici a quelli oggetto della gara costituiva non un requisito di ammissione alla gara stessa, bensì soltanto un titolo che sarebbe stato utilizzato ai fini dell'assegnazione del punteggio di qualità .
6. Tale interpretazione veniva contestata dalla ditta Sca Mölnlycke SpA, titolare dell'appalto relativo alla fornitura di prodotti dello stesso tipo per il periodo precedente. Tale impresa inviava una lettera alla convenuta, pretendendo il puntuale rispetto della controversa clausola del bando di gara.
7. Successivamente, la convenuta richiedeva alle imprese partecipanti di integrare la documentazione già presentata con la dichiarazione del fatturato da esse raggiunto relativo alle forniture di prodotti identici e di elencare le aziende sanitarie alle quali tali forniture erano state prestate.
8. La gara si concludeva con l'esclusione della ricorrente e di altre due imprese e con l'aggiudicazione dell'appalto alla ditta Mölnlycke.
9. La ricorrente, rilevando che, qualora fosse stata ammessa, avrebbe ottenuto l'aggiudicazione dell'appalto, ha impugnato sia l'esclusione dalla gara disposta nei suoi confronti e la successiva aggiudicazione, sia il bando di gara, per violazione di legge ed eccesso di potere.
10. La convenuta e la ditta Mölnlycke, costituitasi in giudizio, eccepiscono la tardività dell'impugnazione del bando di gara, chiedendone la reiezione nel merito perché infondata.
11. Il giudice a quo ha accolto l'istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati connessa con il ricorso, a motivo del fatto che sussisterebbe una violazione dei principi comunitari in materia di concorrenza. A suo avviso, il bando di gara, stabilendo il criterio di un livello di fatturato minimo, comporta una limitazione ingiustificata ed eccessiva della partecipazione delle imprese concorrenti. Anche nel caso in cui l'impugnazione del bando di gara dovesse considerarsi tardiva, dovrebbe in ogni caso procedersi alla disapplicazione della clausola controversa di quest'ultimo a motivo del suo contrasto con il diritto comunitario.
12. La detta ordinanza di sospensione è stata annullata dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato italiano con ordinanza 29 agosto 1997, la quale non è motivata né in fatto né in diritto.
13. Dopo la conclusione del procedimento cautelare, la convenuta, che nel frattempo aveva prorogato il servizio di fornitura precedentemente assicurato dalla Mölnlycke SpA, stipulava definitivamente con quest'ultima il contratto per il periodo successivo.
14. Nell'ambito del procedimento principale, il giudice a quo ha dunque chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla questione se l'art. 22 della direttiva 93/36, ovvero l'art. 6, n. 2, del Trattato sull'Unione europea, letto in connessione con gli artt. 6 e 13 della CEDU, debbano essere interpretati nel senso che le clausole di un bando di gara contrastanti con il diritto comunitario possono essere disapplicate anche nel caso in cui non siano state tempestivamente impugnate conformemente alle norme processuali nazionali.
15. Il governo italiano, quello francese e quello austriaco, nonché la Commissione, hanno preso parte alla fase scritta del procedimento dinanzi alla Corte di giustizia, presentando proprie osservazioni.
III - La domanda di pronuncia pregiudiziale
16. Nella motivazione dell'ordinanza di rinvio pregiudiziale, il giudice a quo afferma che è essenziale, ai fini della sua decisione, il fatto che il bando di gara contenga una clausola illegittima in base al diritto comunitario ed alla corrispondente norma nazionale di attuazione . In particolare, il requisito di ammissione costituito dall'avere conseguito nell'ultimo triennio, per servizi identici a quelli oggetto della gara, un fatturato complessivo almeno triplo rispetto all'importo annuo presunto posto a base d'asta violerebbe il principio di proporzionalità nonché il divieto di discriminazione tra le imprese partecipanti. Tuttavia, in base alle norme processuali nazionali, la prima questione da risolvere riguarderebbe l'eccezione di tardività del ricorso.
17. Tale eccezione di tardività si fonda sul fatto che la ricorrente avrebbe subito un pregiudizio quanto alla sua partecipazione alla gara già per effetto della controversa clausola del bando di gara. Tale clausola avrebbe leso in maniera immediata e diretta l'interesse della ricorrente a partecipare alla gara d'appalto ed avrebbe quindi dovuto essere impugnata dalla ricorrente medesima nel termine di 60 giorni dalla sua piena conoscenza, come previsto dall'art. 36 del regio decreto 6 giugno 1924, n. 1054 .
18. Tuttavia, a parere del giudice a quo, i diritti e gli interessi dei partecipanti alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici debbono ricevere una tutela effettiva sia nel settore dell'applicazione del diritto comunitario sia in quello dell'ordinamento nazionale. Pertanto, le clausole dei bandi di gara dovrebbero essere disapplicate nel caso in cui restringessero indebitamente il criterio della massima partecipazione alle gare pubbliche.
19. Il giudice a quo rileva come a tal fine sia stato fatto costantemente ricorso a due diversi istituti giuridici: da un lato, l'inserzione automatica di norme imperative nella normativa di gara in applicazione analogica dell'art. 1339 del codice civile , che, tuttavia, non parrebbe praticabile nella fattispecie in esame; dall'altro, la disapplicazione prevista dal tuttora vigente art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E .
20. Per quanto attiene alla possibilità di ricorrere alla disapplicazione, il Consiglio di Stato italiano avrebbe affermato, in via generale, che il giudice amministrativo può - al pari del giudice ordinario ed in applicazione della normativa privatistica - disapplicare la norma regolamentare contrastante con una fonte sovraordinata ed incidente su un diritto soggettivo. Tuttavia, il Consiglio di Stato avrebbe ritenuto non applicabile tale principio alla procedura di gara in questione a causa della mancanza di un diritto soggettivo azionabile. Pertanto, posto che il bando di gara avrebbe dovuto essere impugnato nel termine di 60 giorni e che tale termine di impugnazione è ormai scaduto, le clausole del detto bando dovrebbero essere necessariamente applicate.
21. Il giudice a quo osserva come il diritto italiano operi una distinzione tra interessi legittimi, i quali richiedono sempre la tempestiva impugnazione dei provvedimenti sfavorevoli, e diritti soggettivi, che possono essere tutelati mediante l'istituto giuridico della disapplicazione. Tale distinzione, consueta nell'ambito dell'ordinamento nazionale italiano, sembrerebbe improponibile sul piano del diritto comunitario.
22. Il giudice a quo richiama la sentenza Simmenthal , nella quale la Corte di giustizia ha statuito che il giudice nazionale, adito per ottenere l'applicazione del diritto comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia delle norme comunitarie e di disapplicare all'occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contrastante, senza doverne sollecitare o attendere la previa rimozione.
23. Inoltre, ad avviso del giudice a quo, occorre verificare, alla luce delle pronunce della Corte di giustizia nelle cause van Schijndel e van Veen ed Eco Swiss , se, tenuto conto del peculiare sviluppo del procedimento amministrativo preordinato al conferimento dell'appalto di fornitura in questione, l'applicazione del diritto comunitario sia stata resa sensibilmente più difficile ovvero impossibile e se, in tal modo, sia stata pregiudicata l'effettività della tutela giurisdizionale con riferimento alle norme di diritto comunitario.
24. Il giudice a quo reputa che il comportamento inizialmente tenuto dalla convenuta, che sembrava intenzionata ad interpretare restrittivamente ovvero a modificare la clausola controversa, abbia indotto la ricorrente a ritenere che l'impugnazione del bando di gara non fosse necessaria. Con il suo comportamento, la convenuta avrebbe creato un'oggettiva situazione di incertezza giuridica per la ricorrente. Per questo motivo, nella presente fattispecie dovrebbero applicarsi i medesimi principi che sono stati sviluppati dalla Corte di giustizia nella sentenza Peterbroeck .
25. Nel presente caso, sussisterebbe un interesse pubblico alla valutazione dell'eventuale illegittimità della decisione di esclusione impugnata, determinato, in particolare, da un lato, dall'esigenza di far prevalere effettivamente il diritto comunitario e, dall'altro, dall'interesse della pubblica amministrazione all'apertura della gara al maggior numero di concorrenti possibile, quale strumento per l'individuazione del prodotto qualitativamente migliore al prezzo più conveniente.
26. Secondo il giudice a quo, sarebbe legittimo un intervento d'ufficio da parte del giudice nazionale. In tal senso si sarebbe pronunciata la Corte di giustizia nella sentenza Océano Grupo Editorial nel settore dei contratti conclusi dai consumatori, laddove ha dichiarato che il giudice nazionale, nell'esaminare l'ammissibilità di un'istanza propostagli, è legittimato a valutare d'ufficio l'illiceità delle clausole contrattuali di cui si controverte.
27. Secondo il giudice a quo, nella presente fattispecie non sussistono i presupposti di fatto e di diritto per ritenere applicabile il principio affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza Eco Swiss , secondo cui, in caso di violazione di determinate norme processuali nazionali, non si deve procedere all'applicazione d'ufficio del diritto comunitario.
28. Il giudice a quo sottopone alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l'art. 22 della direttiva 93/36/CEE del 14.6.1993 sia interpretabile nel senso che le competenti giurisdizioni nazionali siano obbligate a tutelare i cittadini dell'Unione lesi da atti adottati in violazione del diritto comunitario, ricorrendo in particolare all'istituto della disapplicazione previsto dall'art. 5 della legge nazionale 20.3.1865, n. 2248, anche nei confronti delle clausole del bando di gara contrastanti con il diritto comunitario, ma non impugnate entro i brevi termini di decadenza previsti dal diritto processuale nazionale per applicare ex ufficio il diritto comunitario, ogni volta che possa essere riscontrato che, da una parte, l'applicazione di quest'ultimo sia stata gravemente impedita o comunque difficultata e, dall'altra, ricorra un interesse pubblico di matrice comunitaria o nazionale che tale applicazione giustifichi.
2) Se alla stessa conclusione conduca l'art. 6, n. 2, del Trattato che, nel codificare il rispetto da parte dell'Unione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ha fatto proprio il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale stabilito dagli artt. 6 e 13 della stessa Convenzione».
IV - Contesto normativo
A - Normativa comunitaria
29. La direttiva 96/36/CEE (direttiva sugli appalti) stabilisce, all'art. 22:
«1. In linea di massima, la prova della capacità finanziaria ed economica del fornitore può essere fornita mediante una o più delle seguenti referenze:
a) - b) (...)
c) una dichiarazione del fatturato globale dell'impresa e del fatturato per le forniture cui si riferisce l'appalto, relativo agli ultimi tre esercizi finanziari.
2. Le amministrazioni precisano, nel bando di gara o nell'invito a presentare offerte, la referenza o le referenze di cui al paragrafo 1 da esse scelte, nonché le eventuali altre referenze da presentare.
3. Qualora, per giustificati motivi, non sia in grado di presentare le referenze richieste dall'amministrazione, il fornitore è ammesso a provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento che l'amministrazione stessa ritenga appropriato».
30. Nella presente fattispecie sono altresì rilevanti gli artt. 1, nn. 1 e 3, e 2, nn. 1, lett. b), e 6, della direttiva 89/665/CEE (direttiva ricorsi ovvero direttiva impugnazioni); tali norme stabiliscono quanto segue:
Articolo 1
«1. Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive 71/305/CEE e 77/62/CEE, le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare l'articolo 2, paragrafo 7, in quanto tali decisioni hanno violato il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che recepiscono tale diritto.
2. (...)
3. Gli Stati membri garantiscono che le procedure di ricorso siano accessibili, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto pubblico di forniture o di lavori e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata. In particolare gli Stati membri possono esigere che la persona che desideri avvalersi di tale procedura abbia preventivamente informato l'autorità aggiudicatrice della pretesa violazione e della propria intenzione di presentare un ricorso».
Articolo 2
«1. Gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui all'articolo 1 prevedano i poteri che permettano di:
a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura d'urgenza provvedimenti provvisori intesi a riparare la violazione o impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto o l'esecuzione di qualsiasi decisione presa dalle autorità aggiudicatrici;
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specificazioni tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nei documenti di gara, nei capitolati d'oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell'appalto in questione;
c) accordare un risarcimento danni alle persone lese dalla violazione.
2. - 5. (...)
6. Gli effetti dell'esercizio dei poteri di cui al paragrafo 1 sul contratto stipulato in seguito all'aggiudicazione dell'appalto sono determinati dal diritto nazionale.
Inoltre, salvo nel caso in cui una decisione debba essere annullata prima della concessione di un risarcimento danni, uno Stato membro può prevedere che, dopo la stipulazione di un contratto in seguito all'aggiudicazione dell'appalto, i poteri dell'organo responsabile delle procedure di ricorso si limitino alla concessione di un risarcimento danni a qualsiasi persona lesa da una violazione.
7. - 8. (...)».
Articolo 3
«1. La Commissione può invocare la procedura prevista nel presente articolo se, anteriormente alla conclusione di un contratto, essa ritiene che una violazione chiara e manifesta delle disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici sia stata commessa in una procedura di aggiudicazione di appalto disciplinata dalle direttive 71/305/CEE e 77/62/CEE.
2. - 5. (...)».
B - Normativa italiana
31. L'art. 13 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, intitolato «Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE», costituisce la norma di attuazione dell'art. 22 della direttiva 93/36 e prevede quanto segue:
«1. La dimostrazione della capacità finanziaria ed economica delle imprese concorrenti può essere fornita mediante uno o più dei seguenti documenti:
a) - b) (...)
c) dichiarazione concernente il fatturato globale d'impresa e l'importo relativo alle forniture identiche a quella oggetto della gara, realizzate negli ultimi tre esercizi.
2. Le amministrazioni precisano nel bando di gara quali dei documenti indicati al comma 1 devono essere presentati, nonché gli altri eventuali che ritengono di richiedere. (...)
3. Se il fornitore non è in grado, per giustificati motivi, di presentare le referenze richieste, può provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dall'amministrazione».
32. Inoltre, ai fini della presente controversia assume rilievo anche l'art. 36, primo comma, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, contenente il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, la cui applicazione è stata estesa ai tribunali amministrativi per effetto dell'art. 19 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (in prosieguo: l'«art. 36 della legge 26 giugno 1924»); il detto art. 36 recita:
«Fuori dei casi nei quali i termini siano fissati dalle leggi speciali, relative alla materia del ricorso, il termine per ricorrere al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è di giorni 60 dalla data in cui la decisione amministrativa sia stata notificata nelle forme e nei modi stabiliti dal regolamento, o dalla data in cui risulti che l'interessato ne ha avuta piena cognizione. (...)».
33. Occorre infine citare, ai fini della presente controversia, l'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, il quale è formulato nei seguenti termini:
«In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi».
V - Allegazioni delle parti
34. Il governo italiano rileva come il giudice a quo parta dal presupposto che le norme comunitarie abbiano effetto diretto e che la tutela dell'ordinamento giuridico comunitario imponga di conseguenza al giudice nazionale di garantire l'effettiva applicazione di tali norme indipendentemente dal rispetto delle norme processuali nazionali.
35. Il detto governo osserva però che recentemente, con sentenza 7 aprile 1998, il Consiglio di Stato italiano, confermando la propria giurisprudenza in merito ai bandi di gara, ha precisato che l'atto pregiudizievole del diritto di un concorrente di partecipare ad una procedura di gara deve essere impugnato nell'ordinario termine di decadenza di 60 giorni. Una volta decorso tale termine, l'atto amministrativo non potrebbe più essere disapplicato. L'atto in questione diverrebbe inoppugnabile ed ogni impugnazione diretta contro di esso diverrebbe inammissibile, così come dovrebbero essere respinti tutti i motivi di impugnazione relativi all'illegittimità di tale atto.
36. Sempre secondo il governo italiano, il consolidamento dell'atto amministrativo sanzionerebbe l'inerzia del soggetto che assume di essere leso nei propri diritti e rafforzerebbe la fiducia nella legittimità dell'azione delle autorità pubbliche. L'istituto dell'inoppugnabilità degli atti amministrativi sarebbe imposto, al pari degli istituti della prescrizione e del giudicato, dall'esigenza di garantire la certezza delle situazioni giuridiche. Qualora il bando di gara rimanesse esposto ad eventuali impugnazioni, verrebbero lesi il legittimo affidamento e gli interessi economici dei concorrenti.
37. Ai fini del procedimento a quo avrebbe importanza non tanto la natura giuridica dell'art. 22 della direttiva 93/36, bensì la questione se le prescrizioni del bando di gara relative alla capacità finanziaria ed economica siano legittime o meno. Ad avviso del detto governo, non vi sono dubbi su tale legittimità. Peraltro, l'art. 22 della direttiva non sarebbe neppure direttamente applicabile.
38. In considerazione del generale obbligo di collaborazione incombente agli Stati membri nell'ambito dell'attuazione del diritto comunitario in forza dell'art. 10 CE, il quale riguarda anche i giudici nazionali di tali Stati, si porrebbe la questione di stabilire in quale rapporto tale obbligo di collaborazione si ponga rispetto ai principi del diritto processuale nazionale.
39. Il governo italiano richiama la costante giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui, in mancanza di una disciplina comunitaria in tale materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. In base a tale giurisprudenza, le dette modalità procedurali non potrebbero essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario.
40. Il detto governo osserva come il diritto italiano preveda che gli atti amministrativi debbano essere impugnati nel termine di sessanta giorni. Qualsiasi violazione di una norma, di natura sia interna sia comunitaria, potrebbe comportare la dichiarazione di illegittimità dell'atto amministrativo impugnato. Pertanto, non vi sarebbe alcuna discriminazione e nessun ostacolo impedirebbe l'effettiva applicazione del diritto comunitario. Ove si consentisse al giudice, in caso di violazione del diritto comunitario direttamente applicabile, di disapplicare le norme processuali nazionali, ciò porterebbe ad un'ingiustificata discriminazione rispetto alle norme giuridiche interne di pari natura sostanziale.
41. Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, ricavabile dagli artt. 6 e 13 della CEDU, sarebbe applicabile unicamente agli atti di diritto comunitario ed agli atti nazionali intesi a dare attuazione a questi ultimi; il detto principio non potrebbe venire applicato a detrimento delle norme processuali degli Stati membri.
42. Di conseguenza, il governo italiano propone di statuire sulle questioni pregiudiziali sollevate come segue:
«Nell'ipotesi in cui non sia riscontrabile obiettivamente una differenza di trattamento giuridico processuale dei diritti fondati su norme comunitarie direttamente applicabili nello Stato membro e su norme interne parimenti sostanziali non [può] farsi luogo alla disapplicazione della norma processuale dello Stato membro che regolamenta l'esercizio dell'azione in giudizio per la tutela del diritto di cui si assume la violazione».
43. Il governo austriaco ritiene che la prima questione pregiudiziale sia diretta a stabilire se il diritto comunitario vigente in materia di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici osti all'applicazione di norme di diritto nazionale a carattere preclusivo. Pertanto, il contesto normativo della controversia sarebbe da individuare nell'ambito della direttiva 89/665 sulle impugnazioni in materia di appalti pubblici.
44. La Repubblica d'Austria sostiene la tesi secondo cui sarebbe legittimo subordinare all'osservanza di termini di decadenza la presentazione di istanze dinanzi all'organo competente a conoscere dei ricorsi relativi a procedure di aggiudicazione, nel caso in cui, in tal modo, non vengano elusi gli obiettivi stabiliti dalla direttiva ricorsi e non venga violato il principio di efficienza e di parità di trattamento desumibile dal Trattato CE. La stessa direttiva non conterrebbe una disciplina vincolante in materia di organizzazione degli organi competenti per i ricorsi e delle procedure da osservare dinanzi a questi ultimi. Pertanto, spetterebbe agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali.
45. Secondo il governo austriaco, il termine di decadenza di 60 giorni previsto per l'impugnazione degli atti amministrativi, costituente l'oggetto del presente procedimento, non pregiudica neppure la tutela giurisdizionale dei candidati e degli offerenti. Piuttosto, il detto termine di decadenza garantirebbe - conformemente all'interesse degli altri candidati ed offerenti, nonché nel rispetto del pubblico interesse ad un'amministrazione efficiente e, non da ultimo, dell'interesse degli stessi soggetti impugnanti - che eventuali atti illegittimi vengano impugnati e rimossi quanto prima possibile una volta che il soggetto interessato ne abbia avuto conoscenza.
46. Di conseguenza, la Repubblica d'Austria propone di risolvere la questione pregiudiziale sollevata come segue:
«La direttiva 89/665 non osta ad una normativa nazionale che preveda - una volta avuta conoscenza di una illegittimità nella procedura di aggiudicazione - un termine per l'introduzione di una procedura di ricorso avverso una determinata decisione dell'amministrazione appaltante, con la conseguenza che, in caso di inosservanza di tale termine, la detta decisione non possa più essere impugnata nel prosieguo della procedura di gara. Il termine previsto non può essere tale da rendere praticamente impossibile od eccessivamente difficile l'attivazione ovvero lo svolgimento delle procedure di ricorso. E' possibile prevedere, per il caso in cui taluno venga a conoscenza di un'illegittimità nella procedura di aggiudicazione, che qualsiasi vizio debba essere fatto valere a pena di decadenza entro il termine a tal fine previsto».
47. Il governo francese interpreta la prima questione pregiudiziale come diretta a stabilire se un giudice nazionale sia obbligato a verificare d'ufficio la compatibilità di un atto di diritto interno con una norma comunitaria, nel caso in cui l'atto suddetto non sia stato impugnato entro il termine previsto dalle norme di procedura nazionali. Il detto governo propone di risolvere in senso negativo tale questione.
48. Anche il governo francese richiama la sentenza Peterbroeck della Corte di giustizia, arrivando alla conclusione che un termine di impugnazione di 60 giorni - quale quello previsto in Italia per l'impugnazione degli atti amministrativi - non rende praticamente impossibile od eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario.
49. Le norme di preclusione servirebbero a rendere effettivo il principio della certezza del diritto nei confronti di tutte le parti, in quanto le dette regole fornirebbero una disciplina normativa della facoltà di impugnazione, delimitando tale facoltà dal punto di vista temporale. La certezza del diritto farebbe parte dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico comunitario. Tali principi costituirebbero norme di ordine pubblico che debbono essere osservate dalle parti e dal giudice.
50. A fronte della tesi del giudice a quo secondo cui nel presente caso il comportamento dell'autorità aggiudicatrice dopo la pubblicazione del bando di gara avrebbe contribuito a rendere inammissibile l'impugnazione della ricorrente, il governo francese richiama la sentenza Edis . Esso osserva come tale sentenza effettivamente riconosca che il comportamento di un'autorità nazionale, combinato con l'esistenza di un termine di decadenza, può giungere a privare totalmente il ricorrente della possibilità di far valere i suoi diritti dinanzi ai giudici nazionali. Tuttavia, non sarebbe possibile per un'impresa come la ricorrente non riconoscere la necessità di presentare un'impugnazione a scopo tuzioristico entro i termini previsti, anche nel caso in cui essa stia contemporaneamente conducendo trattative con l'autorità aggiudicatrice.
51. Pertanto, il governo francese propone di statuire sulle questioni pregiudiziali come segue:
«Il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale, investito di una causa nell'ambito della sua competenza, di valutare d'ufficio la compatibilità di un atto di diritto interno con il diritto comunitario, qualora tale atto non sia stato impugnato dagli interessati nel termine previsto dalle norme di procedura nazionali.
Neppure l'art. 6, n. 2, del Trattato sull'Unione europea, nella misura in cui fa rinvio alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e in particolare agli artt. 6 e 13 di quest'ultima, impone un siffatto obbligo ad un giudice nazionale».
52. Nelle sue osservazioni, la Commissione rileva in primo luogo che i criteri di valutazione dei sistemi nazionali di tutela indicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia - quali il divieto di discriminazione e l'esigenza che i detti sistemi non rendano praticamente impossibile ovvero eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti - possono essere applicati soltanto nel caso in cui il diritto comunitario non abbia previsto esso stesso, vuoi direttamente, vuoi attraverso l'adozione di norme armonizzate, le disposizioni che devono essere applicate nel diritto interno. In materia di appalti pubblici esisterebbe la direttiva 89/665, ed è pertanto alla luce di quest'ultima che dovrebbe essere affrontata la questione posta dal giudice a quo.
53. Pertanto, la Commissione suggerisce di riformulare nei seguenti termini la questione pregiudiziale sollevata:
«Se la direttiva 89/665 del 21 dicembre 1989 debba essere interpretata nel senso che le competenti giurisdizioni nazionali siano obbligate a tutelare i cittadini dell'Unione lesi da atti adottati in violazione della direttiva 93/36, ricorrendo in particolare all'istituto della disapplicazione, anche nei confronti delle clausole del bando di gara contrastanti con il diritto comunitario, ma non impugnate entro i brevi termini di decadenza previsti dal diritto processuale nazionale, per applicare ex ufficio il diritto comunitario, in ciascuno stadio della procedura di aggiudicazione di una gara d'appalto comprendente anche la decisione di aggiudicazione».
54. Secondo la Commissione, considerato che la direttiva ricorsi 89/665 prevede l'obbligo degli Stati membri di consentire che le decisioni delle autorità aggiudicatrici possano formare oggetto di ricorsi efficaci e rapidi che permettano di annullarle qualora illegittime, indipendentemente dal fatto che sia stata impugnata nei termini previsti una decisione precedente, occorre verificare se i provvedimenti di aggiudicazione e di esclusione impugnati nella causa principale possano essere considerati «decisioni» nel senso fatto proprio dalla direttiva.
55. L'elencazione delle decisioni illegittime delle quali si può chiedere l'annullamento, contenuta nell'art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva ricorsi, avrebbe carattere meramente esemplificativo e non esaustivo. Per quanto riguarda la decisione di aggiudicazione, la Commissione richiama la sentenza Alcatel , secondo la quale il provvedimento di aggiudicazione costituisce una decisione ai sensi della direttiva 89/665.
56. Per quanto riguarda il provvedimento di esclusione, la Commissione rileva come tale atto costituisca la risposta dell'autorità aggiudicatrice all'istanza con la quale l'impresa chiede di essere ammessa a partecipare alla gara di appalto. In tale provvedimento, l'amministrazione si confronterebbe con le norme generali e speciali pertinenti, prendendo pertanto posizione in ordine alla loro interpretazione. Di conseguenza, tale atto costituirebbe una nuova ed autonoma determinazione. In caso di contrasto del bando di gara con disposizioni comunitarie, l'amministrazione sarebbe addirittura obbligata ad applicare direttamente il diritto comunitario e ad adottare una decisione legittima.
57. Pertanto, il provvedimento di esclusione costituirebbe una decisione ai sensi della direttiva 89/665 e dovrebbe poter formare oggetto di un ricorso di annullamento rapido ed efficace senza che vi sia bisogno di tener conto del bando di gara, qualora illegittimo, che deve pertanto essere disapplicato.
58. Nel caso di specie, peraltro, la stessa autorità aggiudicatrice avrebbe lasciato in un primo momento intendere che la controversa clausola del bando di gara avrebbe potuto essere considerata come criterio di aggiudicazione e non di selezione, in tal modo dando al bando di gara un'interpretazione conforme al diritto comunitario ovvero, da un altro punto di vista, applicandolo direttamente.
59. Secondo la Commissione, i lavori preparatori della direttiva 89/665 confermano la tesi sopra esposta. Infatti, la proposta iniziale della Commissione avrebbe previsto quanto segue: «Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari atti a garantire, [in] qualsiasi fase della procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, la possibilità di ricorsi amministrativi e/o giurisdizionali efficaci (...)» . Nel corso dei lavori del Consiglio sarebbe stata soppressa, senza alcuna spiegazione, la locuzione «in qualsiasi fase della procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico», mentre la delegazione italiana chiedeva che il termine «le decisioni» venisse sostituito con l'espressione «qualsiasi decisione». Tale richiesta sarebbe stata poi ritirata a seguito di una valutazione complessiva dell'art. 1, riportata nel processo verbale, dalla quale risulta che: «Il Consiglio e la Commissione dichiarano che, ai sensi della presente direttiva, qualsiasi persona esclusa dalla partecipazione ad una gara di appalto pubblico in ragione di una asserita violazione è una persona che ha o ha avuto un interesse ad ottenere l'attribuzione di un appalto pubblico, o che è stata lesa o che rischia di essere lesa».
60. La Commissione propone di statuire sulle questioni pregiudiziali sollevate come segue:
«La direttiva 89/665 del 21 dicembre 1989 impone alle competenti giurisdizioni nazionali di tutelare i cittadini dell'Unione lesi da atti adottati in violazione della direttiva 93/36, ricorrendo in particolare all'istituto della disapplicazione, anche nei confronti delle clausole del bando di gara contrastanti con il diritto comunitario, ma non impugnate entro i brevi termini di decadenza previsti dal diritto processuale nazionale, per applicare ex ufficio il diritto comunitario, in ciascuno stadio della procedura di aggiudicazione di una gara di appalto comprendente anche la decisione di aggiudicazione».
VI - La mia valutazione
61. Ove si leggano le questioni sollevate nel contesto della domanda di pronuncia pregiudiziale, appare evidente che il giudice a quo, contrariamente alla formulazione della prima questione, in realtà non chiede alcuna interpretazione dell'art. 22 della direttiva 93/36. Il detto giudice nazionale sembra essere convinto dell'illegittimità della controversa clausola del bando di gara. Esso parte dal presupposto che tale clausola violi sia l'art. 22 della direttiva 93/36 sia l'art. 3, primo comma, lett. c), del decreto 24 luglio 1992, n. 358, diretto a trasporre la detta norma comunitaria nel diritto nazionale.
62. Di fatto, il governo italiano ha lasciato intendere che ritiene la clausola di cui si discute conforme alle norme rilevanti nel caso di specie. Tuttavia, qualora la clausola controversa dovesse ritenersi non contraria al diritto comunitario, diverrebbe priva di oggetto l'ulteriore questione sollevata dal giudice a quo diretta a stabilire se, ed eventualmente in presenza di quali presupposti, la detta clausola possa essere disapplicata. Pertanto, ai fini dell'ulteriore valutazione delle questioni pregiudiziali sollevate, occorre partire dal presupposto, assunto come tale anche dal giudice a quo, che la clausola controversa è illegittima sia dal punto di vista del diritto comunitario sia sotto il profilo delle norme di attuazione nazionali.
63. Nel decidere la causa dinanzi ad esso pendente, il giudice a quo si trova dunque a doversi confrontare con il problema costituito dal fatto che esso ritiene illegittima la clausola che ha determinato l'esclusione della ricorrente dalla procedura di gara, laddove però tale clausola è diventata inoppugnabile in forza delle norme processuali nazionali . Dalle osservazioni presentate dal governo italiano si desume non soltanto che è inammissibile un'impugnazione tardiva dell'atto amministrativo, ma anche che debbono essere rigettati, in quanto inammissibili, tutti i motivi di impugnazione relativi all'illegittimità di tale atto proposti in un altro procedimento. Ciò significa che, di norma, in un successivo giudizio amministrativo non è più possibile neppure effettuare un esame incidentale dell'atto amministrativo controverso.
64. All'udienza, a seguito di quesiti rivolti dal giudice relatore, si è sviluppata una discussione che ha portato alle seguenti conclusioni: in linea di principio, la possibilità di procedere ad un esame incidentale di un atto amministrativo asseritamente illegittimo non è estranea al diritto italiano. Tale esame incidentale è senz'altro possibile nei giudizi civili, nel caso in cui, ad esempio, la causa verta su una pretesa di risarcimento dei danni cagionati da un atto amministrativo illegittimo. Soltanto nell'ambito dei giudizi amministrativi, nei quali sussiste un pubblico interesse al consolidamento dell'atto amministrativo, non può essere fatta valere come motivo di impugnazione l'illegittimità dell'atto amministrativo stesso.
65. Nella sua ordinanza di rinvio pregiudiziale, il giudice a quo ha per parte sua richiamato l'attenzione sul fatto che, conformemente alla giurisprudenza del Consiglio di Stato italiano, anche il giudice amministrativo, al pari del giudice ordinario, è legittimato a disapplicare le norme regolamentari contrastanti con una norma di rango superiore allorché si tratta di garantire la tutela di diritti soggettivi. Il giudice a quo non ha alcun dubbio sul fatto che tale principio valga anche in relazione agli atti amministrativi contrastanti con il diritto comunitario.
66. Sembra pertanto che assuma rilievo determinante la qualificazione della posizione giuridica soggettiva del potenziale ricorrente - vale a dire il fatto che quest'ultimo possa far valere diritti soggettivi ovvero «soltanto» interessi legittimi - perché sia possibile procedere, sulla scorta del diritto nazionale, alla verifica incidentale dell'eventuale illegittimità di un atto amministrativo.
67. Poiché la violazione dell'art. 22 della direttiva 93/36 e la conseguente violazione della norma nazionale di attuazione non costituiscono, con tutta evidenza, una lesione di una posizione giuridica soggettiva della ricorrente qualificabile come «diritto soggettivo» nel senso proprio del diritto italiano, non è possibile per il giudice a quo, nell'ambito del giudizio di impugnazione relativo al provvedimento di esclusione, tener conto dell'illegittimità del bando di gara a suo avviso sussistente.
68. Sulla scorta di tali premesse, la prima questione pregiudiziale sollevata dal giudice a quo dovrebbe essere intesa - diversamente da quanto prospettato dalle parti nell'ambito del procedimento dinanzi alla Corte di giustizia - come intesa a stabilire se l'art. 22 della direttiva 93/36 attribuisca ad un offerente diritti soggettivi. In tale ottica, la questione verterebbe sulla definizione della posizione giuridica soggettiva di cui sono titolari, in forza dell'art. 22 della direttiva 93/36, i partecipanti alla procedura di gara.
69. Sotto questo profilo, assumerebbero rilievo anche le osservazioni svolte dal governo italiano in ordine alla natura giuridica dell'art. 22 della direttiva 93/36 ed all'eventuale applicabilità diretta di tale norma; tuttavia, i principi formulati dalla Corte di giustizia in merito alla diretta applicabilità delle norme di una direttiva presuppongono la sussistenza di posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela attribuite ai singoli dalla direttiva stessa. Sulla scorta della giurisprudenza nel frattempo consolidatasi, i singoli possono far valere nei confronti dello Stato le disposizioni di una direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, in quanto siano atte a definire diritti .
70. L'art. 22 è contenuto nel titolo IV della direttiva 93/36, e precisamente nel capitolo 2, intitolato «Criteri di selezione qualitativa». La detta norma stabilisce quali sono le prove che l'amministrazione aggiudicatrice può pretendere dai potenziali fornitori affinché questi dimostrino la loro capacità finanziaria ed economica. A tal fine, la direttiva prevede tre possibilità:
«a) idonee dichiarazioni bancarie;
b) la presentazione del bilancio del fornitore o di estratti dello stesso, qualora la pubblicazione del bilancio sia prescritta dal diritto del paese nel quale il fornitore è stabilito;
c) una dichiarazione del fatturato globale dell'impresa e del fatturato per le forniture cui si riferisce l'appalto, relativo agli ultimi tre esercizi finanziari».
71. Dall'art. 22, n. 2, della direttiva 93/36 emerge che le diverse prove possono essere richieste sia alternativamente che cumulativamente, e che l'elencazione dei mezzi di prova della capacità finanziaria ed economica non è esaustiva. Pertanto, l'amministrazione aggiudicatrice è tenuta anche ad indicare nel bando di gara ovvero nell'invito a presentare offerte quali altre prove, diverse da quelle indicate al paragrafo 1 della norma, devono essere presentate. Inoltre, il paragrafo 3 dell'art. 22 attribuisce al potenziale fornitore la facoltà di fornire la prova della sua capacità economica e finanziaria mediante la presentazione di altri documenti ritenuti idonei dall'amministrazione aggiudicatrice, nel caso in cui egli, «per giustificati motivi», non sia in grado di presentare le referenze richieste da quest'ultima.
72. La norma, pertanto, attribuisce senz'altro garanzie a favore del potenziale fornitore quanto alla sua possibilità di partecipare alla procedura di aggiudicazione.
73. Tuttavia, nella presente fattispecie, la questione non riguarda l'applicazione diretta di disposizioni di una direttiva, in quanto la norma della direttiva 93/36 che qui rileva è stata trasposta nell'ordinamento nazionale in maniera indubbiamente corretta . I problemi che sorgono nell'ambito del procedimento a quo a causa della violazione di tali norme attengono al piano della tutela giurisdizionale.
74. La tutela giurisdizionale dinanzi ad una clausola di un bando di gara ritenuta illegittima può assumere rilievo su piani differenti. Da un lato, può venire in questione l'immediata impugnazione del bando di gara, la quale nel diritto italiano - come già illustrato - deve essere proposta entro 60 giorni. Tuttavia, dall'altro lato, può anche accadere che, nelle successive fasi del procedimento, l'illegittimità permanga, eventualmente si aggravi, o addirittura solo allora giunga a rivelarsi, laddove in tal caso oggetto d'impugnazione non è più il bando di gara in quanto tale, bensì la decisione che disciplina ovvero conclude la corrispondente fase procedimentale. Nel procedimento a quo, tale decisione è costituita dal provvedimento di esclusione, che ha colpito in modo diretto la ricorrente e costituisce l'oggetto dell'impugnazione di quest'ultima.
75. Posta in questi termini, la questione consiste nello stabilire se, ed eventualmente in quale misura, l'iniziale illegittimità di una clausola di un bando di gara possa determinare l'annullamento della decisione successivamente adottata.
76. In linea di principio, spetta agli ordinamenti degli Stati membri disciplinare l'impugnabilità degli atti amministrativi. Tuttavia, ove si tratti di garantire l'effettività del diritto comunitario, debbono essere rispettati i principi sviluppati dalla Corte di giustizia nella sua costante giurisprudenza. A tal fine rilevano, in particolare, il principio di equivalenza ed il principio di effettività. Secondo tali principi, qualificati come tali nella più recente giurisprudenza della Corte di giustizia , le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario .
77. Nell'ambito di una giurisprudenza consolidata, la Corte di giustizia ha ripetutamente statuito che i giudici nazionali sono tenuti, in forza del principio di collaborazione, a garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in virtù delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. «In mancanza di disciplina comunitaria in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno (...) designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto».
78. Occorre pertanto verificare anzitutto se esista una disciplina comunitaria applicabile alla situazione di fatto rilevante nel caso di specie. La direttiva 89/665, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, prescrive determinati requisiti minimi quanto alla tutela giurisdizionale da garantire. L'art. 1, n. 1, della direttiva stabilisce che gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, qualora tali decisioni abbiano violato il diritto comunitario in materia di appalti pubblici. Ai sensi del successivo paragrafo 3 di tale norma, gli Stati membri garantiscono che le procedure di ricorso siano accessibili per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto pubblico di forniture o di lavori e sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata.
79. Pertanto, un offerente colpito da provvedimento di esclusione rientra indubbiamente nel novero dei soggetti giuridici che possono introdurre una procedura di ricorso. Tuttavia, con ciò non risulta ancora chiarito quali siano le decisioni che possono o debbono costituire l'oggetto del controllo in sede di ricorso. La direttiva non contiene un elenco esaustivo delle decisioni impugnabili. L'art. 2, n. 1, lett. b), stabilisce soltanto: «Gli Stati membri fanno sì che (...) [vengano previsti] i poteri che permettano di (...) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specificazioni tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nei documenti di gara, nei capitolati d'oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell'appalto in questione».
80. Sebbene sia possibile che nel procedimento a quo siano in questione specifiche economiche o finanziarie a carattere discriminatorio, con ciò non risulta ancora chiarito in quale stadio della procedura di gara tale discriminatorietà debba essere fatta valere. Pertanto, assume rilievo decisivo stabilire se il provvedimento di esclusione costituisca in quanto tale una decisione impugnabile ai sensi della direttiva e se, eventualmente, la formulazione in senso discriminatorio di specifiche economiche o finanziarie possa essere fatta valere nell'ambito del detto procedimento.
81. Nella causa Alcatel , la Corte di giustizia era stata chiamata a pronunciarsi in merito alla questione se la decisione di aggiudicazione costituisca una decisione ai sensi della direttiva 89/665. Tale quesito è stato risolto dalla Corte di giustizia in senso affermativo. Nell'esaminare tale questione, la Corte di giustizia ha preso le mosse dalla distinzione, operata dalla direttiva 89/665, tra le diverse fasi della procedura di gara. «Infatti, la direttiva 89/665 opera una distinzione tra la fase precedente la conclusione del contratto, alla quale si applica l'art. 2, n. 1, e la fase successiva alla conclusione, riguardo alla quale, in base all'art. 2, n. 6, secondo comma, uno Stato membro può prevedere che i poteri dell'organismo responsabile delle procedure di ricorso si limitino a riconoscere un risarcimento danni a qualunque soggetto pregiudicato da una violazione».
82. Dal punto di vista concettuale, la decisione di esclusione si colloca necessariamente prima della decisione di aggiudicazione, sebbene nella prassi tale anteriorità temporale sia talvolta costituita soltanto da un «istante logico-giuridico». A questo proposito, sotto il profilo della sequenza procedimentale, non si vede il motivo per cui una decisione di esclusione non debba essere assoggettata ad un controllo pieno in sede di procedura di ricorso.
83. Sulla scorta dell'obiettivo stabilito dall'art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, secondo cui le procedure di ricorso sono accessibili per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto pubblico di forniture, occorre che la decisione che dispone direttamente in merito all'ulteriore partecipazione ovvero all'esclusione dalla procedura per l'aggiudicazione dell'appalto possa formare l'oggetto di un ricorso. La decisione di esclusione costituisce anche una decisione con la quale l'amministrazione aggiudicatrice interpreta le clausole del bando di gara, applicandole autonomamente nei confronti di un determinato candidato. In tale applicazione individualizzata di condizioni preventivamente stabilite è senz'altro insita una determinazione autonoma, la quale deve poter formare l'oggetto di un ricorso .
84. Tale tesi risulta confermata dalla genesi storica della direttiva, che è stata espressamente richiamata dalla Commissione nell'ambito del presente procedimento . In tal senso, la dichiarazione comune che infine è stata riportata a verbale risulta formulata nei seguenti termini: «Il Consiglio e la Commissione dichiarano che ai sensi della presente direttiva, qualsiasi persona esclusa dalla partecipazione ad una gara di appalto pubblico in ragione di una asserita violazione è una persona che ha o ha avuto un interesse ad ottenere l'attribuzione di un appalto pubblico, e che è stata lesa o rischia di essere lesa».
85. Sia per quanto riguarda il soggetto giuridico legittimato alla presentazione del ricorso, sia per quanto attiene alla natura delle decisioni impugnabili, la detta dichiarazione depone a favore dell'intento di assicurare una tutela giurisdizionale completa avverso le decisioni dell'autorità aggiudicatrice.
86. Pertanto, la decisione di esclusione deve essere considerata come una decisione che può costituire l'oggetto di un ricorso. Qualora la procedura di ricorso nazionale, introdotta nell'esercizio dei poteri degli Stati membri ai sensi dell'art. 1 della direttiva 89/665, assuma la forma di un ricorso di annullamento dinanzi ai tribunali amministrativi, occorre che un tale ricorso sia proponibile contro un'eventuale decisione di esclusione. L'eventuale omessa impugnazione di atti procedimentali antecedenti non può, in quanto tale, ostare all'ammissibilità di un ricorso di annullamento avverso una decisione di esclusione.
87. Rimane tuttavia da stabilire quali effetti produca il consolidamento di un atto amministrativo adottato in una fase anteriore della procedura di aggiudicazione sulla fondatezza dell'impugnazione proposta contro la decisione di esclusione. Infatti, dal punto di vista sostanziale, l'inoppugnabilità del bando di gara produce gli effetti di una norma di preclusione, poiché - come già illustrato in precedenza - i motivi di impugnazione relativi alla illegittimità del detto bando di gara devono essere respinti in quanto inammissibili.
88. La Corte di giustizia ha già più volte avuto occasione di pronunciarsi in merito all'ammissibilità di norme nazionali di preclusione a fronte di domande fondate sul diritto comunitario . In tali occasioni, la Corte di giustizia ha verificato in modo assai puntuale i presupposti e le circostanze che escludevano la possibilità di far valere le norme di diritto comunitario di volta in volta invocate, al fine di pronunciarsi, alla luce di queste ultime, in merito all'ammissibilità ovvero all'inammissibilità di determinate norme di preclusione. Pertanto, non è possibile risolvere in modo generalizzato la questione relativa all'ammissibilità di una determinata norma di preclusione.
89. Nella già più volte citata causa Peterbroeck , relativa ad una lite tra l'omonima società e lo Stato belga, la questione verteva sull'aliquota d'imposta applicabile ai non residenti. Nel procedimento principale all'origine della causa suddetta, il motivo relativo alla violazione del diritto comunitario era stato dedotto per la prima volta come motivo nuovo dinanzi alla Cour d'Appel. In forza delle norme nazionali applicabili in quella fattispecie, il singolo non poteva più far valere, dinanzi alla Cour d'Appel, un nuovo motivo di ricorso fondato sul diritto comunitario dopo la scadenza del termine di 60 giorni dalla data del deposito, da parte del direttore delle imposte, della copia autentica del provvedimento impugnato .
90. Secondo la Corte di giustizia, un termine di 60 giorni imposto ai singoli non è di per sé censurabile . Tuttavia, la Corte ha affermato che, alla luce dei principi di equivalenza ed effettività, ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. La Corte ha aggiunto che, sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento .
91. In quel caso, la Corte di giustizia, dopo aver esaminato le particolarità del procedimento in questione, è arrivata alla conclusione che il diritto comunitario osta all'applicazione di una norma processuale nazionale che vieti al giudice nazionale, adito nell'ambito della sua competenza, di valutare d'ufficio la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, quando quest'ultima non sia stata invocata dal singolo entro un determinato termine .
92. Nelle cause riunite van Schijndel e van Veen , il giudizio verteva sull'applicabilità delle norme del Trattato CE in materia di concorrenza in una controversia relativa all'iscrizione obbligatoria ad un sistema pensionistico di categoria. In quel caso, il motivo relativo alla violazione del diritto comunitario era stato dedotto per la prima volta nell'ambito del ricorso per cassazione presentato dinanzi allo Hoge Raad dei Paesi Bassi. Rientra nella natura del ricorso per cassazione che i motivi nuovi possano essere dedotti soltanto se sono di mero diritto. A sostegno della loro doglianza, i ricorrenti avevano fatto valere fatti e circostanze che non erano stati dedotti nei precedenti gradi di giudizio . Il giudice remittente si poneva il quesito se fosse comunque tenuto a valutare d'ufficio l'applicabilità del diritto comunitario.
93. In proposito, la Corte di giustizia ha affermato: «Poiché, in forza del diritto nazionale, i giudici devono sollevare d'ufficio i motivi di diritto basati su una norma interna di natura vincolante che non siano stati addotti dalle parti, siffatto obbligo si impone anche qualora si tratti di norme comunitarie vincolanti (...). Lo stesso vale se il diritto nazionale conferisce al giudice la facoltà di applicare d'ufficio la norma di diritto vincolante (...)» . Sulla scorta di una disamina dei principi di equivalenza e di effettività, la Corte ha dichiarato che ciascun caso «dev'essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali» .
94. La Corte di giustizia è arrivata alla conclusione che il giudice nazionale deve prendere in considerazione d'ufficio le norme imperative comunitarie allo stesso modo delle norme imperative nazionali. Tuttavia, tale principio vale soltanto a condizione che il giudice non sia obbligato «a rinunciare al principio dispositivo, alla cui osservanza [è] tenut[o], esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti» .
95. Nella causa Edis , oggetto della controversia era il rimborso di somme indebitamente pagate per una tassa di concessione contraria al diritto comunitario. La contrarietà al diritto comunitario della tassa era emersa soltanto a seguito di una sentenza della Corte di giustizia . L'amministrazione opponeva, dinanzi alle richieste di rimborso presentate dai contribuenti che avevano pagato tale tassa, un termine di decadenza triennale previsto dalla normativa tributaria. La Corte di giustizia ha statuito che il diritto comunitario non vieta a uno Stato membro di opporre alle azioni di ripetizione dei tributi riscossi in violazione del diritto comunitario un termine nazionale di decadenza triennale, purché tale termine si applichi allo stesso modo alle azioni di ripetizione di tali tributi fondate sul diritto comunitario e a quelle fondate sul diritto interno.
96. Nella causa Eco Swiss , era in discussione, tra l'altro, la questione se un giudice nazionale debba disapplicare una norma processuale nazionale, ai sensi della quale un lodo arbitrale acquista efficacia di giudicato in presenza di determinate condizioni, al fine di poter applicare la normativa comunitaria alla fattispecie in esame . La Corte di giustizia ha risolto tale questione in senso negativo. A giudizio della Corte di giustizia, il termine previsto dall'ordinamento giuridico nazionale per la presentazione del ricorso di annullamento non era tale da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario .
97. Allo scopo di trarre dalla giurisprudenza sopra illustrata le conseguenze da applicare al presente caso, occorrerà partire dal presupposto che un eventuale termine di decadenza non è di per sé censurabile. Come nella sentenza Peterbroeck, un termine di decadenza di 60 giorni non può essere impugnato in quanto tale. Dal punto di vista del diritto comunitario, anche l'applicazione di termini di decadenza nell'ambito di procedimenti di aggiudicazione di appalti pubblici non può di per sé essere censurata. In tal senso mi sono espresso anche nelle mie conclusioni dell'8 novembre 2001 nella causa C-470/99 .
98. Tuttavia, dalle sentenze sopra esposte risulta che, nell'esaminare la compatibilità di norme di preclusione con il diritto comunitario, occorre tenere presenti i principi di equivalenza e di effettività nonché le concrete circostanze di fatto e di diritto del caso di specie .
99. Per quanto riguarda i principi di equivalenza e di effettività, si è in precedenza già chiarito che essi intervengono in particolare nel caso in cui non vi siano normative comunitarie disciplinanti la materia di cui trattasi. Per quanto riguarda la possibilità di impugnare una decisione di esclusione, si è rivelato necessario prendere in esame a tal fine la direttiva ricorsi 89/665. Tuttavia, si tratta ora di verificare l'ammissibilità di norme di preclusione nell'ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici di forniture. In proposito, la direttiva 89/665 non contiene alcuna disciplina espressa . Pertanto, ai fini della verifica dell'ammissibilità di norme di preclusione assume rilievo l'osservanza dei principi di equivalenza e di effettività.
100. Quanto al principio di equivalenza, occorre partire dal presupposto - in mancanza di informazioni in senso contrario - che il termine di decadenza trova applicazione indifferentemente, a prescindere dalla circostanza che le posizioni giuridiche soggettive fatte valere siano fondate sulle norme nazionali oppure sulle norme comunitarie.
101. Dal punto di vista sostanziale, il principio di effettività impone che le procedure nazionali non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario. Qualora nell'ambito di una procedura di gara emerga la contrarietà al diritto comunitario di un atto amministrativo precedente, occorre partire dal presupposto che il termine di impugnazione di 60 giorni non osta all'effettiva applicazione del diritto comunitario. A favore di tale tesi, depongono le esigenze della certezza del diritto e del regolare svolgimento dei procedimenti. Il rispetto di tali esigenze costituisce il presupposto della tutela dell'affidamento dei concorrenti in ordine al regolare svolgimento di fasi procedimentali già esauritesi.
102. Neppure la direttiva 89/665, che impone l'adozione di provvedimenti atti a garantire che le decisioni dell'autorità aggiudicatrice possano essere oggetto di un ricorso «efficace» e «rapido» , offre a priori un qualche sostegno per una critica del termine di impugnazione di 60 giorni. D'altra parte, già in sede di valutazione dell'impugnabilità di una decisione di esclusione si è fatto presente che, nel corso di una procedura di aggiudicazione, una decisione successiva può costituire un atto avente carattere di determinazione autonoma con il quale viene data concretezza ad una precedente decisione.
103. Pertanto, una valutazione puramente astratta del termine di decadenza non sarebbe congrua rispetto alla problematica del caso di specie. Occorre piuttosto prendere le mosse anche dalle circostanze di fatto e dalle vicende concrete del procedimento precedenti l'impugnazione della decisione di esclusione. Infatti, la clausola all'origine della controversia è stata pubblicata con il bando di gara. Di conseguenza, essa è stata resa nota ai soggetti interessati all'appalto. Già in questo stadio la ricorrente nutriva riserve in ordine alla legittimità della clausola e le aveva comunicate anche all'autorità aggiudicatrice.
104. Dinanzi alle riserve formulate dalla ricorrente, l'autorità aggiudicatrice ha reagito rinviando l'apertura delle offerte e richiedendo alle imprese interessate di trasmettere una documentazione completa, «ritenendo che la clausola potesse interpretarsi come riferita al fatturato complessivo delle imprese partecipanti e che le forniture di prodotti identici a quelli richiesti (...) potessero quindi essere valutate, non già quali requisiti di ammissione alla gara, ma esclusivamente quali titoli per l'assegnazione del punteggio di qualità» .
105. In tal modo, l'autorità aggiudicatrice ha lasciato intendere che avrebbe tenuto conto dei rilievi formulati dalla ricorrente, facendo presumere che avrebbe applicato la clausola controversa in un senso conforme al diritto comunitario. Soltanto con l'adozione della decisione di esclusione, l'amministrazione ha preso definitivamente posizione in merito all'interpretazione delle clausole del bando di gara da essa compiuta. In tale contesto, l'autorità aggiudicatrice ha proceduto ad un'interpretazione delle clausole del bando di gara che faceva apparire queste ultime - quantomeno secondo la valutazione del giudice nazionale investito della controversia - illegittime (dal punto di vista del diritto comunitario).
106. Di grande importanza è il fatto che una diversa interpretazione delle clausole del bando di gara sarebbe valsa ad impedire l'illegittimità della clausola controversa e che in un primo tempo l'autorità aggiudicatrice aveva suscitato l'impressione di voler procedere in tal senso. La ricorrente è riuscita ad ottenere definitiva chiarezza in merito all'interpretazione - a suo avviso illegittima - delle clausole del bando di gara soltanto in virtù della decisione di esclusione. Soltanto attraverso tale decisione si è concretata un'illegittimità che già risiedeva in maniera latente nelle clausole del bando di gara.
107. Pertanto, si può anche sostenere che la ricorrente ha avuto conoscenza definitiva dell'illegittimità della clausola del bando di gara soltanto per effetto della decisione di esclusione. Il perfezionarsi di tale conoscenza potrebbe, dal canto suo, avere conseguenze in ordine alla decorrenza del termine di 60 giorni. In ultima analisi, deve essere risolta nell'ambito del diritto processuale nazionale la questione se tale termine inizi a decorrere sempre dalla pubblicazione del bando di gara ovvero, piuttosto, in circostanze quali quelle presenti, soltanto dal momento in cui l'interessato viene a conoscenza dell'illegittimità di una determinata clausola.
108. Ad ogni modo, alla luce di tali fatti, occorrerà partire dal presupposto che alla ricorrente è stato reso eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferitile dall'ordinamento giuridico comunitario. Si rivela pertanto iniqua l'ipotesi che la ricorrente non possa più far valere, nell'ambito di un procedimento giurisdizionale instaurato contro la decisione di esclusione, una violazione del diritto comunitario che, pur essendo insita nelle clausole del bando di gara, ha leso i suoi diritti soltanto per effetto dell'adozione della detta decisione di esclusione.
109. In proposito, il governo francese ha fatto presente che la ricorrente avrebbe potuto presentare, a scopo tuzioristico, un ricorso contro il bando di gara controverso, malgrado stesse conducendo trattative con l'amministrazione in merito alla clausola del bando da essa reputata illegittima. Tale rilievo potrebbe essere esatto nel caso in cui l'autorità aggiudicatrice non avesse reagito ai rilievi formulati dalla ricorrente. Tuttavia, quest'ultima, tenuto conto del modo in cui l'amministrazione aveva risposto in un primo momento ai suoi rilievi, poteva legittimamente confidare nel fatto che le sue richieste avrebbero trovato ascolto e che ad esse, se del caso, sarebbe stato dato anche un seguito. In tale contesto, non si può nemmeno trascurare il fatto che la ricorrente si trovava in una condizione di fiduciosa aspettativa in ordine all'aggiudicazione dell'appalto e forse, in tale situazione, non era opportuno pregiudicare con un ricorso le sue future relazioni con l'amministrazione appaltante .
110. Non sembra neppure conforme allo spirito della direttiva 89/665 presentare un ricorso a scopo meramente tuzioristico. All'art. 1, n. 3, seconda frase, della direttiva si legge quanto segue: «In particolare gli Stati membri possono esigere che la persona che desideri avvalersi di tale procedura abbia preventivamente informato l'autorità aggiudicatrice della pretesa violazione e della propria intenzione di presentare un ricorso». L'attribuzione di tale facoltà agli Stati membri lascia trasparire anche l'intento di aprire la strada ad una composizione amichevole prima che venga presentato un ricorso. In ogni caso, le parti non hanno interesse a trascinare inopinatamente l'amministrazione in giudizio.
111. Per quanto riguarda le conseguenze di tale impostazione, sorge il quesito se il termine di 60 giorni per l'impugnazione del bando di gara non fosse già sospeso. E' ipotizzabile anche un'interruzione del termine di impugnazione per effetto del comportamento dell'autorità aggiudicatrice, in quanto quest'ultima in un primo momento ha manifestamente accolto i rilievi formulati dalla ricorrente, richiedendo, non soltanto alla ricorrente stessa, ma anche ad altri offerenti interessati, informazioni ulteriori rispetto a quelle inizialmente richieste. Posto che alla ricorrente, nel caso concreto, è stato reso eccessivamente difficile l'azionamento delle posizioni giuridiche soggettive conferitele dal diritto comunitario, risulta comunque inopportuna l'astratta osservanza del termine di 60 giorni.
112. Spetta al giudice a quo utilizzare tutte le possibilità offertegli dall'ordinamento nazionale per rendere applicabili al caso concreto le norme comunitarie. Ove non risultino applicabili strumenti meno incisivi, il giudice a quo può essere obbligato - come da esso stesso chiarito - a fare ricorso all'istituto giuridico della disapplicazione ex art. 5 della legge italiana 20 marzo 1865, n. 2248. Le ulteriori conseguenze giuridiche che dovessero derivare da un eventuale annullamento della decisione di esclusione rappresentano una questione che riguarda l'ordinamento nazionale.
113. L'approccio testé suggerito fa sì che non sia più necessario affrontare la seconda questione pregiudiziale sollevata dal giudice a quo, in quanto esso, nell'ottica della corretta applicazione del diritto comunitario, tiene in debita considerazione l'interesse alla tutela giurisdizionale dell'offerente escluso, prevedendo l'utilizzazione delle possibilità offerte dall'ordinamento giuridico nazionale.
VII - Conclusione
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, propongo di risolvere nei seguenti termini la questione pregiudiziale sollevata:
«La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, deve essere interpretata nel senso che i giudici nazionali competenti sono obbligati a riconoscere la possibilità di proporre un'impugnazione efficace e rapida contro qualsiasi decisione dell'autorità aggiudicatrice - compresa quella che dispone l'esclusione di una determinata impresa - indipendentemente dal fatto che sia stata impugnata una precedente decisione, nel caso e nei limiti in cui l'autorità con il suo comportamento abbia reso impossibile o eccessivamente difficile per un cittadino dell'Unione, leso nei suoi diritti da provvedimenti contrari al diritto comunitario, far valere in giudizio i diritti riconosciutigli da quest'ultimo. Spetta al giudice nazionale, nell'ambito di tale procedimento, decidere se a tal fine sia necessario fare ricorso all'istituto giuridico della disapplicazione di cui all'art. 5 della legge italiana 20 marzo 1865, n. 2248».