62000C0168

Conclusioni dell'avvocato generale Tizzano del 20 settembre 2001. - Simone Leitner contro TUI Deutschland GmbH & Co. KG. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Landesgericht Linz - Austria. - Direttiva 90/314/CEE - Viaggi, vacanze e circuiti tutto compreso - Risarcimento del danno morale. - Causa C-168/00.

raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-02631


Conclusioni dell avvocato generale


1. L'agente di viaggio che vende una vacanza soggiorno "tutto compreso" è responsabile, in caso di inadempimento o cattiva esecuzione del contratto, anche per i danni morali subiti dal turista per il mancato godimento della vacanza? E' questo il quesito che con ordinanza del 6 aprile 2000 il Landesgericht di Linz (Repubblica d'Austria) ha sottoposto alla nostra Corte ai sensi dell'art. 234 CE, in relazione all'interpretazione dell'art. 5, n. 2, della direttiva 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti "tutto compreso" (in prosieguo: la «direttiva 90/314» o «la direttiva») .

Quadro normativo

La normativa comunitaria

2. Com'è noto, la direttiva 90/314 si inserisce nel più ampio contesto di quella politica di tutela del consumatore che conosce ormai da qualche decennio interessanti e significativi sviluppi non solo negli Stati membri ma anche a livello comunitario. Oggetto inizialmente di sporadiche ed occasionali misure adottate sulla base dell'art. 100 del Trattato CE (divenuto art. 94 CE), l'azione comunitaria per la protezione dei consumatori ha poi trovato, con l'Atto unico europeo del 1986 prima e con il Trattato di Maastricht del 1992 dopo, esplicita menzione ed una più agile base giuridica nell'art. 100 A (divenuto art. 95 CE), per essere finalmente inserita anche autonomamente tra le politiche della Comunità dall'art. 129 A (divenuto art. 153 CE). Sono state così via via adottate numerose ed importanti direttive che hanno preso direttamente in conto le esigenze di protezione dei consumatori coniugandole con quelle sottostanti alla realizzazione del mercato interno e alla progressiva liberalizzazione della circolazione di beni e persone tra gli Stati membri. In particolare, tali direttive si sono concentrate su aspetti specifici di volta in volta apparsi meritevoli di una disciplina comune, segnatamente per quanto concerne il diritto dei contratti e della responsabilità civile .

3. La direttiva 90/314, adottata anch'essa sulla base dell'art. 100 A del Trattato CE, si colloca dichiaratamente in tale contesto , con specifico riguardo ad un settore che rappresenta «una componente essenziale» (primo considerando) per il completamento del mercato interno, visto lo sviluppo crescente dell'industria turistica nelle economie degli Stati membri. In particolare, essa trae motivo dalla constatata esistenza di divergenze tra gli Stati membri nelle normative e nelle prassi operanti in materia di viaggi, vacanze e circuiti "tutto compreso" (definiti anche come "servizi tutto compreso"), tali da comportare ostacoli alla libera prestazione di detti servizi e distorsioni di concorrenza tra gli operatori stabiliti nei diversi Stati membri (secondo considerando). Al tempo stesso, tuttavia, essa realizza altresì, come precisa il terzo considerando, l'obiettivo di consentire «ai consumatori della Comunità di beneficiare di condizioni paragonabili all'acquisto di un servizio "tutto compreso" in qualsiasi Stato membro». Del resto, che l'obiettivo della tutela del consumatore mediante l'adozione di norme poste a protezione del singolo informi di sé la direttiva ha trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte. Nella sentenza Dillenkofer quest'ultima ha infatti osservato «da un lato, che i considerando della direttiva menzionano ripetutamente lo scopo di protezione dei consumatori e, dall'altro, che il fatto che la direttiva sia destinata a garantire altri obiettivi [la libera prestazione dei servizi e la libera concorrenza] non è tale da escludere che le sue norme siano dirette anche a proteggere i consumatori. Infatti, ai sensi dell'art. 100 A, n. 3, del Trattato, la Commissione, nelle sue proposte in forza di tale articolo, in particolare in materia di protezione dei consumatori, deve basarsi su un livello di protezione elevato» .

4. In vista degli indicati obiettivi, la direttiva detta «un minimo di norme comuni» intese a conferire una dimensione comunitaria all'industria dei servizi "tutto compreso" (settimo considerando), norme che concernono in particolare: le informazioni da fornire al consumatore, la disciplina del contratto di viaggio "tutto compreso", con specifico riguardo al contenuto, alla conclusione e all'esecuzione di esso nell'insieme degli Stati membri, nonché la previsione di una garanzia a favore del consumatore in caso di insolvenza o di fallimento dell'organizzatore e/o del venditore. Per quanto riguarda in particolare l'aspetto relativo alla responsabilità contrattuale, viene precisato il contenuto della relazione triangolare intercorrente tra l'organizzatore e/o il venditore, il consumatore e il prestatore dei servizi in modo tale da individuare, come regola generale, nei primi l'unico soggetto responsabile dei danni arrecati al consumatore dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto.

5. Venendo alle specifiche disposizioni della direttiva, ricordo anzitutto che l'art. 1 ne enuncia gli obiettivi, precisando che essa «ha lo scopo di ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti i viaggi, le vacanze e i giri turistici "tutto compreso" venduti o offerti in vendita nel territorio della Comunità» (art. 1).

6. Ma la disposizione che maggiormente assume rilievo nella presente causa è l'art. 5, ai sensi del quale:

«1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire che l'organizzatore e/o il venditore parte del contratto siano responsabili nei confronti del consumatore della buona esecuzione degli obblighi risultanti dal contratto, sia che tali obblighi debbano essere eseguiti da lui stesso sia che debbano essere eseguiti da altri prestatori di servizi, fatto salvo il diritto dell'organizzatore e/o del venditore di rivalersi presso questi altri prestatori di servizi.

2. Per quanto riguarda i danni arrecati al consumatore dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto, gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché l'organizzatore e/o il venditore siano considerati responsabili, a meno che l'inadempimento o la cattiva esecuzione non siano imputabili né a colpa loro né a colpa di un altro prestatore di servizi in quanto:

- le mancanze constatate nell'esecuzione del contratto sono imputabili al consumatore,

- tali mancanze sono imputabili a un terzo estraneo alla fornitura delle prestazioni previste dal contratto e presentano un carattere imprevedibile o insormontabile,

- tali mancanze sono dovute a un caso di forza maggiore come definito all'articolo 4, paragrafo 6, secondo comma, punto ii), o ad un avvenimento che l'organizzatore e/o il venditore non potevano, con tutta la necessaria diligenza, prevedere o risolvere.

Nei casi di cui al primo comma, secondo e terzo trattino, l'organizzatore e/o il venditore parte del contratto deve agire con la massima sollecitudine per venire in aiuto al consumatore in difficoltà.

Per quanto riguarda i danni derivanti dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del servizio "tutto compreso", gli Stati membri possono ammettere che l'indennizzo sia limitato conformemente alle convenzioni internazionali che disciplinano dette prestazioni.

Per quanto riguarda i danni diversi da quelli corporali derivanti dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del servizio "tutto compreso", gli Stati membri possono ammettere che l'indennizzo sia limitato in virtù del contratto. Questa limitazione non deve essere irragionevole.

3. Fatto salvo il paragrafo 2, quarto comma, non si può derogare alle disposizioni dei paragrafi 1 e 2 con una clausola contrattuale.

4. Ogni mancanza nell'esecuzione del contratto rilevata in loco dal consumatore deve essere segnalata al più presto, per iscritto o in qualsiasi altra forma appropriata, al prestatore dei servizi interessato nonché all'organizzatore e/o al venditore.

Questo obbligo deve essere menzionato nel contratto in modo chiaro o preciso».

7. Ai sensi dell'art. 8 della direttiva, peraltro:

«Nel settore disciplinato dalla presente direttiva gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore disposizioni più rigorose ai fini della protezione del consumatore».

8. Ricordo infine che gli Stati membri erano tenuti ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva al più tardi il 31 dicembre 1992 (art. 9).

La normativa austriaca

9. La direttiva 90/314 è stata recepita nell'ordinamento austriaco con una serie di provvedimenti normativi, tra i quali vengono in particolare considerazione, per quanto qui interessa, gli artt. da 31 b) a 31 f) del Konsumentenschutzgesetz del 1993 (KSchG, legge relativa alla protezione dei consumatori) . Queste disposizioni, che disciplinano la responsabilità degli operatori del settore, non prevedono il diritto al risarcimento del danno morale in caso di perdita del beneficio delle vacanze o di circostanze simili.

10. Secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio e dal governo austriaco nelle sue osservazioni scritte, la dottrina è divisa sul punto se, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla predetta legge, i danni morali siano comunque risarcibili sulla base di regole generali. Il dubbio non sussiste invece per la giurisprudenza dell'Oberster Gerichtshof (Corte suprema austriaca), secondo la quale il danno morale potrebbe essere risarcito solo quando ciò sia espressamente previsto dalla legge [come ad esempio stabilisce per il pretium doloris l'art. 1325 dell'Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch (ABGB, codice civile austriaco)]; nemmeno qualche isolata deroga (ad esempio a causa di ferite fisiche, privazione della libertà, attentati alla sfera sessuale ecc.) permetterebbe di dedurre l'esistenza di una regola generale alla quale ancorare il risarcimento dei danni morali derivanti dal mancato godimento della vacanza. Del resto, poiché le vacanze e il tempo libero consacrato al riposo non hanno un valore pecuniario, il loro mancato godimento non provoca un impoverimento patrimoniale dell'interessato e comunque il danno che ne consegue non potrebbe dar luogo a compensazioni in denaro. D'altra parte, considerato che la citata normativa di trasposizione della direttiva 90/314 non esclude la riparazione del danno morale risultante dalla perdita dei benefici della vacanza, ma neppure la prevede positivamente, l'Oberster Gerichthof ne deduce che il diritto austriaco non contempla la possibilità di indennizzare siffatto pregiudizio .

Fatti e quesito pregiudiziale

11. La famiglia dell'attrice nel procedimento nazionale, la piccola Simone Leitner, acquistava presso la convenuta TUI Deutschland GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «TUI»), tramite l'agenzia di viaggi austriaca KUONI, una vacanza soggiorno "tutto compreso" nel villaggio turistico «club Robinson Pamfiliya» (in prosieguo: il «club») a Side, in Turchia, per il periodo 4-18 luglio 1997.

12. Il 4 luglio 1997 i Leitner giungevano nella sede del club dove iniziavano il loro soggiorno e dove consumavano anche tutti i pasti. Circa otto giorni dopo l'inizio della vacanza, però, l'attrice cominciò ad accusare sintomi di un'intossicazione da salmonella causata dalle vivande servite nel club. La malattia, che continuò anche dopo la fine della vacanza avvenuta il 18 luglio e colpì molti altri ospiti del club, si manifestò con febbre sino a 40° per più giorni, con collassi circolatori, diarrea, vomito, accompagnati da stati di ansietà. Le condizioni della giovane richiesero l'assistenza dei genitori nel rimanente periodo di durata della vacanza.

13. Un paio di settimane dopo la fine della vacanza gli interessati inviavano alla ditta TUI una lettera di reclamo, che però restava senza riscontro. Il 17 luglio 1998 la sig.na Simone Leitner citava allora in giudizio la TUI, chiedendo tra l'altro il pagamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni per ATS 25 000. Questa somma, definita in seguito ad apposita perizia, comprendeva oltre al danno non patrimoniale (Schmerzensgeld o pretium doloris) anche i danni morali per il mancato godimento della vacanza.

14. Pronunciandosi ai sensi dell'art. 1325 dell'ABGB, il giudice di primo grado riconosceva all'attrice un risarcimento del danno non patrimoniale limitato a ATS 13 000. Per il risarcimento dei danni morali, invece, esso respingeva la domanda perché, per le ragioni indicate dalla giurisprudenza dell'Oberster Gerichtshof di cui ho detto poc'anzi (v. paragrafo 10), tale tipo di danni è risarcibile soltanto ove ciò sia espressamente previsto dalla legge, il che non accade nella specie.

15. Contro tale decisione l'attrice interponeva appello davanti al Landesgericht di Linz. Quest'ultimo riteneva che il giudice di primo grado avesse correttamente interpretato la ricordata giurisprudenza nazionale; esso si chiedeva tuttavia se l'art. 5 della direttiva 90/314 non potesse portare ad una soluzione diversa. Secondo il giudice del rinvio, infatti, la circostanza che l'art. 5, n. 2, quarto comma, della direttiva ammetta la possibilità di una limitazione contrattuale per i pagamenti di indennizzi per i danni non corporali a condizione che tale limitazione non sia irragionevole potrebbe indurre alla conclusione che la direttiva sancisca in via di principio una responsabilità degli operatori anche per gli eventuali danni morali.

16. Il dubbio trova alimento, secondo il Landesgericht, anche in una considerazione di carattere comparativo. Esso osserva infatti che nella Repubblica federale di Germania il combinato disposto degli artt. 253 e 651 f, n. 2, del Bürgerliches Gesetzbuch (BGB, codice civile tedesco) consente il risarcimento dei danni morali in caso di viaggio fallito o notevolmente pregiudicato. Ma il fatto che in almeno due Stati membri dell'Unione europea sia prevista una responsabilità di portata diversa per gli organizzatori di viaggi appare incompatibile con la ricordata duplice finalità della direttiva 90/314 consistente, da un lato, nell'eliminare le disparità tra le normative degli Stati membri per evitare ostacoli alla libera prestazione dei servizi e distorsioni alla concorrenza, e, dall'altro, nell'assicurare un livello uniforme di tutela del consumatore. Occorre dunque sciogliere il dubbio sulla portata della direttiva.

17. Orbene, anche se essa implicasse il risarcimento dei danni morali, non potrebbe comunque imporsi nei confronti dell'agente di viaggi, stante la giurisprudenza comunitaria che nega effetti diretti orizzontali alle direttive. Potrebbe tuttavia scattare ugualmente l'obbligo del giudice nazionale di interpretare il diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario. A questo proposito, il Landesgericht richiama in particolare la sentenza della Corte nel caso Silhouette, nella quale si afferma che anche se una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e quindi non può essere fatta valere nei suoi confronti, tuttavia il giudice nazionale deve per quanto possibile interpretare le norme del proprio ordinamento in conformità alla lettera e allo scopo della direttiva per conseguire il risultato da questa perseguito .

18. Ritenendo quindi necessaria l'interpretazione della direttiva in esame per la decisione del caso dinanzi ad esso pendente, il Landesgericht ha sottoposto alla Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 234 CE, la seguente questione pregiudiziale:

«Se l'art. 5 della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti "tutto compreso", debba essere interpretato nel senso che è in linea di principio dovuto l'indennizzo a fronte di domande di risarcimento di danni morali».

Argomentazione giuridica

Premessa

19. Nel corso del presente procedimento pregiudiziale, oltre alle parti del giudizio nazionale, hanno presentato osservazioni i governi austriaco, belga, finlandese, francese e la Commissione. Da queste osservazioni emergono due diverse posizioni: l'attrice, il governo belga e la Commissione, basandosi sulla finalità e sul tenore letterale della direttiva 90/314, ritengono che l'art. 5 debba essere interpretato nel senso che il danno da esso menzionato è comprensivo anche del pregiudizio morale derivante dal mancato godimento della vacanza; le altre parti, invocando il carattere minimale dell'armonizzazione realizzata dalla direttiva, contestano tale interpretazione e sostengono che dall'art. 5 può tutt'al più dedursi la mera facoltà degli Stati membri di prevedere nella loro legislazione il risarcimento di quel tipo di danni.

20. Nell'ottica di quest'ultima tesi, dunque, la natura dell'armonizzazione prevista dalla direttiva sembra assumere una centralità tale da condizionare la soluzione del quesito posto dal Landesgericht. Conviene pertanto esaminare preliminarmente tale argomento per poi procedere all'analisi puntuale dell'art. 5 della direttiva e degli obblighi da esso previsti.

Sulla natura dell'armonizzazione realizzata dalla direttiva

21. Sia pure con alcune sfumature, la convenuta TUI e i governi austriaco, finlandese e francese concordano nel ritenere che l'armonizzazione delle legislazioni nazionali perseguita dalla direttiva miri a definire soltanto un livello minimo di protezione dei consumatori di viaggi "tutto compreso". Di conseguenza, tutto quanto non è espressamente disciplinato dalla direttiva, in particolare il tipo di danno risarcibile, resterebbe di competenza delle legislazioni nazionali. Secondo questa tesi, in effetti, se il legislatore comunitario avesse voluto realizzare un'armonizzazione completa delle legislazioni nazionali in materia, esso avrebbe adottato una disciplina molto più dettagliata; al contrario, la direttiva si limita a dettare un nucleo essenziale di regole comuni riguardanti il contenuto, la conclusione e l'esecuzione del contratto di viaggio "tutto compreso" nell'insieme degli Stati membri, senza esaurire l'intera materia, in particolare le questioni concernenti la responsabilità civile. Dalla mancanza di un'esplicita indicazione sulla risarcibilità dei danni morali, quindi, non solo non si potrebbe dedurre tale risarcibilità, ma la si dovrebbe addirittura escludere, presumendo per l'appunto che il legislatore comunitario non abbia inteso disciplinarla con regole comuni. D'altra parte, osserva in particolare il governo austriaco, né il testo della direttiva, né i lavori preparatori, né il rapporto relativo all'attuazione della stessa offrono indicazioni di segno diverso.

22. Non contesto naturalmente - e l'ho già anticipato - che la direttiva in esame abbia inteso realizzare non già un'armonizzazione completa delle pertinenti legislazioni nazionali, ma solo un'armonizzazione c.d. minimale, volta cioè a definire uno standard di base di protezione del consumatore con un nucleo essenziale di norme comuni dirette a disciplinare alcuni aspetti fondamentali della materia. Ma, detto questo, non si è detto ancora nulla di decisivo ai fini della soluzione della questione pregiudiziale in esame. Sia pur ridotta ad «un minimo di norme comuni», infatti, un'armonizzazione legislativa viene pur sempre imposta dalla direttiva e ad essa evidentemente gli Stati membri devono attenersi, pur conservando la facoltà di adottare o mantenere in vigore disposizioni più severe ai fini della tutela del consumatore (art. 8). In altri termini, armonizzazione minimale non vuol dire assenza di armonizzazione e ancor meno vuol dire che le prescrizioni della direttiva non hanno carattere precettivo o che lo hanno solo rispetto alle materie per le quali dettano una disciplina uniforme compiuta. E' invece in questo equivoco che cade, a mio avviso, la tesi sopra ricordata quando, dal solo fatto che la direttiva in esame non contiene una siffatta disciplina per il risarcimento dei danni, deduce che essa non ha voluto occuparsi della questione dell'estensione della responsabilità e che quindi tale questione rimane di competenza di ciascuno Stato membro.

23. Vero è invece che il problema che ci si deve porre per rispondere al quesito proposto dal giudice del rinvio, è proprio quello di definire l'effettiva portata dell'armonizzazione voluta della direttiva, di individuare cioè il contenuto precettivo minimo da essa stabilito, al fine di accertare se vi rientri o meno la risarcibilità dei danni morali, tenendo presente che, in questo ambito, gli obblighi imposti agli Stati membri possono sì essere derogati, ma in una sola direzione, quella di una maggiore tutela del consumatore. Se è così, come credo, per la parte coperta dalle prescrizioni della direttiva, il problema non nasce allora dall'eventuale diversità tra le legislazioni nazionali (come quella riscontrata dal Landesgericht tra le legislazioni austriaca e tedesca), bensì dal fatto che, se così fosse, una di esse non avrebbe rispettato gli obblighi imposti dalla direttiva.

La portata dell'art. 5 della direttiva 90/314

24. Venendo appunto all'indagine sulla portata precettiva della direttiva per quanto qui interessa, conviene subito notare che, sebbene alcune fra le sue disposizioni lascino un margine di discrezionalità agli Stati membri, l'art. 5 detta invece un insieme di prescrizioni in materia di responsabilità per i danni arrecati al consumatore che presentano, anche ad una sommaria lettura, un contenuto dettagliato e preciso. Ciò malgrado, la disposizione non chiarisce se tra i «danni arrecati al consumatore dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto» di viaggio "tutto compreso", di cui al n. 2, primo comma, rientrino anche i danni morali e se quindi gli Stati membri siano o meno obbligati a prevedere la responsabilità dell'organizzatore e/o del venditore del contratto di viaggio "tutto compreso" anche per tali danni. Si pone dunque il problema di definire la portata della nozione di «danni» utilizzata da detta disposizione; si pone cioè un tipico problema di interpretazione del diritto comunitario, che va risolto secondo i consueti criteri seguiti in siffatti casi.

25. A questo proposito, ricordo che, secondo una ben nota giurisprudenza della Corte, «tanto l'applicazione uniforme del diritto comunitario quanto il principio d'uguaglianza esigono che una disposizione di diritto comunitario che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell'intera Comunità, ad un'interpretazione autonoma ed uniforme» , tenendo conto a tal fine del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dall'atto che la contiene. Va quindi escluso in questi casi un rinvio ai singoli diritti nazionali, perché «l'ordinamento giuridico comunitario non intende, in via di principio, definire le sue nozioni ispirandosi ad uno o più ordinamenti giuridici nazionali senza un'espressa precisazione in tal senso» .

26. Più specificamente, poi, osservo che l'interpretazione della direttiva in esame deve essere informata al criterio generale per cui in caso di dubbio le sue disposizioni devono essere intese nel modo più favorevole al destinatario della tutela, cioè il consumatore del servizio turistico. Ciò si ricava non solo dall'analisi sistematica del testo e delle finalità della direttiva, ma anche dalla ricordata circostanza che essa è stata adottata ai sensi dell'art. 100 A, il cui n. 3 esige che le misure di armonizzazione in materia di tutela dei consumatori si basino su un livello di protezione elevato .

La nozione di danno nella direttiva 90/314

27. Ciò premesso, mi pare che numerosi argomenti di carattere testuale e sistematico facciano propendere per un'interpretazione ampia della nozione in esame e quindi per una risposta positiva all'interrogativo rivoltoci dal Landesgericht.

28. Cominciando dall'analisi letterale della direttiva, rilevo subito che sia nel testo sia nel preambolo essa utilizza più volte, in modo generico, il termine «danno», mentre nel n. 2, quarto comma, dell'art. 5, e solo in questo, compare una disposizione specifica per una determinata categoria di danni, cioè «i danni diversi da quelli corporali».

29. Già il fatto che normalmente nella direttiva si impieghi in modo generico, e quindi senza alcuna indicazione limitativa, l'espressione «danni» dovrebbe indurre - e su questo punto mi trovo d'accordo con le osservazioni della Commissione e del governo belga - ad interpretare in modo estensivo la relativa nozione, dovrebbe cioè far propendere per la tesi che, almeno in linea di principio, la direttiva ha voluto ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti i tipi di danno che presentano un nesso causale con l'inadempimento o la cattiva esecuzione del contratto.

30. Ma in questo stesso senso depone indirettamente anche il distinto riferimento che l'art. 5, n. 2, quarto comma, opera ai «danni diversi da quelli corporali». Secondo ogni logica, infatti, tale riferimento dovrebbe indurre alla conclusione che la nozione di danno fatta propria dalla direttiva si riferisce tanto ai danni corporali quanto a quelli non corporali. Ora, pur con la cautela che si impone in una materia che presenta, anche sul piano terminologico, una notevole difformità tra le diverse esperienze giuridiche e perfino all'interno delle stesse , credo si possa dire, con la Commissione, che i «danni corporali» sono i danni alla persona, cioè i danni che ledono non solo l'integrità fisica ma anche quella psichica, vale a dire il perturbamento psichico sofferto in conseguenza della lesione della prima (pretium doloris, Schmerzensgeld). Sicché, già in questa nozione è racchiusa un'idea di risarcimento del danno morale. Ma, a maggior ragione, tale idea è racchiusa nella nozione di «danni diversi da quelli corporali», di cui la direttiva fa una menzione residuale, ma ugualmente non limitativa, e quindi da ritenere comprensiva di tutti i danni non corporali, siano essi di natura patrimoniale o non patrimoniale. Ne consegue, come osserva la Commissione, che soprattutto nel secondo caso la direttiva non ha affatto escluso l'aspetto immateriale del danno, a conferma che ha voluto far proprio un concetto aperto dello stesso. Non si vede quindi perché nei casi di mancato godimento delle vacanze la risarcibilità del danno morale dovrebbe essere esclusa o limitata a specifiche fattispecie (pretium doloris), visto che proprio in quei casi ha ampiamente possibilità di verificarsi un siffatto pregiudizio.

31. In questa prospettiva, mi pare significativo il fatto che la direttiva differenzi il regime delle due menzionate categorie di danno unicamente con riferimento all'indennizzo. Mentre, infatti, per i danni in generale gli Stati membri possono, ai sensi dell'art. 5, n. 2, ammettere limitazioni dell'indennizzo solo in conformità alle convenzioni internazionali in materia (terzo comma), per i danni diversi da quelli corporali le limitazioni dell'indennizzo possono essere consentite anche in via contrattuale, a condizione che non siano irragionevoli (quarto comma), e ciò, come sottolinea il governo belga, a causa del carattere soggettivo e difficilmente quantificabile del danno morale, e quindi dell'opportunità di ammettere al riguardo ragionevoli limitazioni al risarcimento.

32. Proprio questa disposizione porta però, a mio avviso, un valido argomento a sostegno dell'idea che la nozione di danno fatta propria dalla direttiva è una nozione ampia, comprensiva anche del danno morale. In effetti, nel momento stesso in cui all'art. 5, n. 2, quarto comma, la direttiva fissa l'indicata limitazione, essa implicitamente riconosce che il diritto al risarcimento dei danni diversi da quelli corporali esiste; l'indenizzo infatti può essere, parzialmente e in misura ragionevole, compresso, ma non può essere negato del tutto, perché il suo mancato riconoscimento evidentemente supererebbe in senso negativo qualsiasi test di ragionevolezza.

33. Vorrei aggiungere, per concludere sul punto e replicare anche ad un'osservazione svolta in corso di causa, che contro la tesi della risarcibilità dei danni morali non vale opporre che essa lascerebbe sussistere un margine eccessivo di incertezza, visto che la direttiva sancisce il principio del risarcimento di quei danni senza nulla precisare quanto alle altre condizioni all'uopo necessarie, in particolare - e salvo quanto detto poc'anzi - quanto all'indennizzo. L'argomento invero proverebbe troppo, perché di precisazioni in tal senso la direttiva non ne fornisce neppure per gli altri danni, della cui risarcibilità invece nessuno dubita. Ricordo del resto che in materia di responsabilità, a parte alcune regole fondamentali, i criteri di definizione del danno e i relativi sistemi di valutazione e di quantificazione sono estremamente differenziati tra e negli Stati membri e di norma affidati all'apprezzamento altamente discrezionale del giudice, perfino dove sono stati imposti in via autoritativa criteri e tabelle di calcolo. Anche per questo motivo si diffonde la richiesta di un intervento comunitario in materia per reagire alle difformità, se non alle vistose sperequazioni, che conseguono a quello che è stato definito un autentico «caos valutativo» .

Il confronto con la direttiva 85/374

34. Le considerazioni che precedono non mi sembra possano essere smentite dall'argomento, contro di esse addotto dai governi austriaco e francese, che fa leva sull'art. 9 della citata direttiva 85/374 relativa alla responsabilità per danno da prodotto difettoso, il quale esplicitamente lascia gli Stati membri liberi di disciplinare gli aspetti della responsabilità civile connessi ai danni morali o immateriali causati da prodotti difettosi . Mi sembra anzi che l'argomento in realtà si ritorca contro coloro che lo accampano. E' infatti certamente incontestabile che la direttiva 85/374 lascia agli Stati membri la facoltà di cui ho detto, ma ciò non significa affatto che la stessa libertà sia ad essi lasciata dalla direttiva oggetto del presente procedimento. Mi limito in proposito ad osservare che le due direttive non solo sono state adottate in tempi diversi e a un diverso stadio di evoluzione della materia, ma regolano anche tipi diversi di responsabilità: la direttiva 85/374 disciplina la responsabilità extracontrattuale e di natura oggettiva (ancorché attenuata) del produttore, mentre la direttiva 90/314 sancisce la responsabilità contrattuale per colpa dell'organizzatore e/o del venditore di viaggi "tutto compreso". Diversi ne sono quindi i principi e le regole di base, così come molto diversa ne è la formulazione: la direttiva 85/374 si preoccupa di definire in modo puntuale tutte le categorie di danni risarcibili, siano essi alle persone o alle cose, e di rinviare esplicitamente al diritto nazionale per quanto concerne i danni morali ; la direttiva 90/314, per contro, si astiene da ogni specificazione e utilizza la nozione di danno in modo generico e indifferenziato.

35. La scelta di formulare diversamente le due direttive è quindi tutt'altro che casuale. E' infatti chiaro che dove il legislatore comunitario ha voluto distinguere, come nella direttiva 85/374, i danni di cui il produttore deve essere tenuto responsabile da quelli rispetto ai quali la disciplina è rimessa agli Stati membri, lo ha fatto espressamente. Se invece, nella successiva direttiva 90/314, esso ha deciso di far riferimento in modo generico e indistinto alla nozione di «danni», se ne deve dedurre che lo ha fatto per comprendere in quella nozione tutti i possibili tipi di danni connessi alla mancata esecuzione degli obblighi contrattuali, cioè che si è voluto adottare una nozione ampia e onnicomprensiva di danno.

36. Alla luce di quanto precede, sono dunque portato a ritenere che la nozione di danni di cui l'organizzatore e/o il venditore devono essere tenuti responsabili in conseguenza dell'inadempimento o della mancata esecuzione del contratto di viaggio e servizi "tutto compreso", contenuta nell'art. 5 della direttiva 90/314, comprenda anche i danni morali derivanti dal mancato godimento della vacanza.

Ulteriori argomenti a favore della risarcibilità del danno morale

37. Questa conclusione è, a mio avviso, direttamente o indirettamente corroborata anche da altri argomenti, segnatamente dalla stessa giurisprudenza comunitaria, da taluni strumenti convenzionali internazionali rilevanti in materia, nonché dagli sviluppi in atto nella legislazione e nella giurisprudenza degli Stati membri.

38. Quanto alla giurisprudenza comunitaria, devo ricordare che in essa, sia pure con riguardo alla responsabilità extracontrattuale della Comunità, si ritrovano chiare prese di posizione in favore di un ampliamento della nozione di danno fino a comprendere il danno morale. In più occasioni, infatti, il Tribunale di primo grado ha riconosciuto che detta responsabilità può essere estesa anche ai danni immateriali, purché in presenza di un pregiudizio reale e certo. E' stato così, almeno in principio, considerato risarcibile il danno derivante dalla perdita della possibilità di proseguire gli studi, così come quello connesso alla perdita di immagine e di reputazione di una società .

39. Quanto alle indicazioni offerte dalle convenzioni internazionali, ricordo che, sebbene riguardino prevalentemente aspetti connessi con il trasporto o con oggetti materiali e che quindi non assumono diretto rilievo ai fini della riparazione del danno da vacanza rovinata, sia la Convenzione di Varsavia del 1929 sul trasporto aereo internazionale sia quella di Berna del 1961 sul trasporto ferroviario, così come quella di Atene del 1974 relativa al trasporto via mare e quella di Parigi del 1962 sulla responsabilità degli albergatori per le cose portate dai clienti in albergo - tutte richiamate dal diciottesimo considerando della direttiva 90/314 - fanno riferimento ad una nozione generale di danno e quindi non escludono il danno morale. Un interesse ancor più specifico presenta inoltre la Convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio , il cui art. 13, n. 1, stabilisce che la responsabilità contrattuale dell'organizzatore del viaggio riguarda «tout préjudice causé au voyageur», stabilendo nel contempo, al successivo n. 2, i massimali di indennizzo rispettivamente per i danni corporali, i danni materiali e per tutti gli altri danni.

40. Ma gli sviluppi più interessanti vengono a mio avviso dall'evoluzione della legislazione e della giurisprudenza degli Stati membri, nelle quali, pur nella segnalata varietà delle soluzioni, non solo si ampliano in generale le ipotesi di risarcimento dei danni morali, ma più specificamente si registra da qualche decennio una crescente attenzione per la risarcibilità del «danno da vacanza rovinata», inteso appunto come pregiudizio non patrimoniale subito dal turista per non aver potuto godere pienamente, in conseguenza dell'inadempienza contrattuale dell'operatore turistico, dei benefici del viaggio organizzato come occasione di svago e di riposo. Senza dilungarmi in un'indagine comparativa al riguardo, cui del resto ha proceduto sia pure per sommi capi la Commissione, mi basti qui osservare, assumendo almeno in parte come riferimento i risultati di tale indagine, che la segnalata evoluzione ha trovato in alcuni Stati membri formale sanzione a livello normativo, mentre in altri si è espressa essenzialmente in via giurisprudenziale.

41. Tra i primi ricordo in particolare la Germania, nella quale fin dal 1979 un'apposita modifica del codice civile (art. 651 f, n. 2, BGB) ha permesso di attribuire al turista, in caso di viaggio annullato o considerevolmente pregiudicato, il diritto di pretendere un adeguato risarcimento per il tempo di vacanza infruttosamente trascorso. La giurisprudenza ha a sua volta provveduto ad affinare e specificare progressivamente la nozione di danno da «vacanza rovinata» con l'individuazione di una serie di indicatori dello stesso (lontananza dal mare, qualità del cibo, rumori, mancanza di balconi e finestre ecc.). Anche in Belgio , Spagna e Paesi Bassi si rinvengono ora disposizioni che riconoscono il risarcimento dei danni in parola.

42. Quanto all'altro gruppo di Stati membri, devo ovviamente menzionare anzitutto il Regno Unito, la cui giurisprudenza è notoriamente la più aperta (seppur non quanto quella statunitense) in materia di risarcimento del danno non patrimoniale . L'Irlanda si colloca su posizioni non dissimili, ma ad una analoga evoluzione giurisprudenziale si assiste anche in Stati membri ancorati ad una tradizione di civil law. Così in Francia, sebbene il danno da vacanza rovinata non trovi esplicita regolamentazione legislativa, si affaccia una giurisprudenza che apertamente ne ammette la risarcibilità . Così è anche in Italia, dove la questione è condizionata dal fatto che il codice civile limita la risarcibilità del danno non patrimoniale alle conseguenze civili dell'illecito penale, salvo i casi eccezionali previsti dalla legge, ma dove, ciò malgrado, si rinvengono sempre più nella giurisprudenza decisioni che ammettono il risarcimento del danno da vacanza rovinata .

43. Al termine di questo sommario excursus, mi sembra dunque di poter confermare quanto osservavo poc'anzi circa l'esistenza di una diffusa tendenza, più o meno avanzata nei vari ordinamenti giuridici, verso un ampliamento della responsabilità per questo tipo di danno e, più specificamente, per il danno da vacanza rovinata. Tendenza che si ricollega ad un'evoluzione complessiva della materia della responsabilità, ma anche, da un punto di vista più generale, all'impetuoso sviluppo del turismo e al fatto che le vacanze, i viaggi o i soggiorni turistici non costituiscono più il privilegio di una ristretta cerchia, ma sono oggetto di consumo da parte di un numero crescente di persone che vi impegnano parte dei loro risparmi e dei loro congedi lavorativi o scolastici. E proprio il fatto che le vacanze abbiano ormai assunto una specifica funzione socioeconomica e siano divenute così importanti per la qualità della vita delle persone fa sì che il loro pieno ed effettivo godimento rappresenti di per sé un valore degno di tutela.

44. Ma sono proprio queste le ragioni, seppur non le uniche, che, come visto, hanno ispirato la direttiva 90/314: l'aspetto più strettamente economico costituito dall'eliminazione degli ostacoli alla libera prestazione dei servizi turistici si accompagna infatti a quello della tutela del consumatore/turista. Il gradevole svolgimento della vacanza si qualifica allora anche nel contesto giuridico comunitario come un valore degno di tutela e il danno conseguente al suo mancato godimento assume, nel quadro del contratto di servizio "tutto compreso", una specificità tale da giustificarne l'indennizzo. Da questo punto di vista un'interpretazione che porti ad escludere la risarcibilità di tale pregiudizio dall'ambito di applicazione della direttiva, oltre a non trovare elementi di riscontro né nel testo né negli obiettivi della direttiva 90/314, porterebbe a privare la direttiva di parte del suo effetto utile e si porrebbe in contraddizione con lo stesso dettato dell'art. 95, n. 3, CE, che richiede, come si è visto, che le misure di armonizzazione in materia di tutela dei consumatori si basino su un livello di protezione elevato.

45. Ritengo dunque che si dovrebbe rispondere al giudice austriaco che l'art. 5 della direttiva 90/314 va interpretato nel senso che l'organizzatore e/o il venditore devono essere considerati responsabili anche dei danni morali arrecati al consumatore dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto di servizi "tutto compreso".

46. Prima di concludere, devo ancora spendere qualche parola sulla questione sollevata dal Landesgericht a proposito dell'obbligo del giudice nazionale di interpretare il proprio diritto conformemente alla direttiva (v. supra, paragrafo 17). Per la verità, la soluzione di tale questione mi pare scontata, visto che in materia esiste una consolidata ed inequivoca giurisprudenza della Corte di giustizia, dalla quale non c'è ragione di discostarsi in questo caso . Ricordo in effetti che, come ha affermato la Corte nella sentenza richiamata proprio dal Landesgericht, «nell'applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale chiamato ad interpretarlo deve farlo nel modo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il risultato da questa perseguito e conformarsi pertanto all'art. 189, terzo comma, del Trattato CE» . Se dunque la Corte condivide le considerazioni da me svolte in precedenza, si deve concludere che, indipendentemente dalla possibilità per gli interessati di invocare l'effetto diretto della direttiva, il giudice del rinvio è tenuto ad interpretare il diritto austriaco alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa e quindi a riconoscere al consumatore (beninteso ove sussistano le altre condizioni) il diritto al risarcimento dei danni morali arrecati dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto di servizi "tutto compreso" da parte dell'organizzatore e/o del venditore.

Conclusione

47. Alla luce delle considerazioni che precedono, vi propongo pertanto di rispondere alla questione sollevata dal Landesgericht di Linz come segue:

«L'art. 5 della direttiva 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti "tutto compreso", va interpretato nel senso che l'organizzatore e/o il venditore devono essere considerati responsabili anche dei danni morali arrecati al consumatore dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto di servizi "tutto compreso"».