Parole chiave
Massima

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1. Ricorso di annullamento - Persone fisiche o giuridiche - Atti che le riguardano direttamente e individualmente - Regolamento che prevede la revoca dell'autorizzazione alla commercializzazione di taluni additivi nell'alimentazione degli animali, tra cui la virginiamicina, all'interno della Comunità - Ricevibilità

[Trattato CE, art. 173, quarto comma (divenuto, in seguito a modifica, art. 230, quarto comma, CE); regolamento (CE) del Consiglio n. 2821/98]

2. Agricoltura - Politica agricola comune - Attuazione - Presa in considerazione delle esigenze in materia di protezione della salute - Applicazione del principio di precauzione

[Trattato CE, artt. 130 R, nn. 1 e 2 (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, nn. 1 e 2, CE), e 129, n. 1, terzo comma (divenuto, in seguito a modifica, art. 152 CE)]

3. Agricoltura - Politica agricola comune - Potere discrezionale delle istituzioni comunitarie - Possibilità di adottare comunicazioni - Sindacato giurisdizionale - Limiti

4. Agricoltura - Politica agricola comune - Impiego della virginiamicina come additivo nell'alimentazione degli animali - Sussistenza di incertezze scientifiche in merito all'esistenza o alla portata di rischi per la salute umana - Applicazione del principio di precauzione - Portata - Limiti

[Trattato CE, art. 130 R, nn. 1 e 2 (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, nn. 1 e 2, CE)]

5. Agricoltura - Politica agricola comune - Valutazione scientifica dei rischi - Esigenza relativa ad un livello elevato di protezione della salute - Portata

[Trattato CE, art. 129, n. 1, primo comma (divenuto, in seguito a modifica, art. 152 CE)]

6. Agricoltura - Politica agricola comune - Potere discrezionale delle istituzioni comunitarie - Estensione - Sindacato giurisdizionale - Limiti

7. Agricoltura - Politica agricola comune - Applicazione del principio di precauzione - Portata - Limiti - Rispetto delle garanzie attribuite dall'ordinamento giuridico comunitario nei procedimenti amministrativi

8. Diritto comunitario - Diritto processuale - Procedimento che deve concludersi con un atto decisionale o normativo - Portata processuale di un parere di esperti - Consultazione di un comitato scientifico - Ruoli rispettivi del comitato scientifico e dell'istituzione comunitaria competente

9. Agricoltura - Politica agricola comune - Potere delle istituzioni comunitarie - Possibilità di revocare l'autorizzazione di un additivo nell'alimentazione animale senza avere preliminarmente ottenuto un parere scientifico dei comitati scientifici competenti - Carattere eccezionale

10. Ricorso di annullamento - Atto impugnato - Esame della legittimità in funzione degli elementi d'informazione disponibili al momento dell'adozione dell'atto

[Trattato CE, art. 173 (divenuto, in seguito a modifica, art. 230 CE)]

11. Agricoltura - Politica agricola comune - Regolamento che prevede la revoca dell'autorizzazione alla commercializzazione di taluni additivi nell'alimentazione degli animali, tra cui la virginiamicina, all'interno della Comunità - Potere discrezionale delle istituzioni comunitarie

[Regolamento del Consiglio n. 2821/98; direttiva del Consiglio 70/524/CEE, art. 3 A, lett. e)]

12. Diritto comunitario - Principi - Proporzionalità - Atti delle istituzioni - Carattere proporzionato - Criteri di valutazione - Potere discrezionale del legislatore comunitario in materia di politica agricola comune - Sindacato giurisdizionale - Limiti

[Trattato CE, artt. 40 e 43 (divenuti, in seguito a modifica, artt. 34 CE e 37 CE)]

13. Agricoltura - Politica agricola comune - Assenza, a livello internazionale, di provvedimenti comunitari contro l'importazione di carne prodotta con uso della virginiamicina quale promotore di crescita - Invalidità del divieto di impiego di questo prodotto a livello comunitario - Insussistenza

14. Diritto comunitario - Principi - Diritti fondamentali - Libero esercizio delle attività professionali - Restrizioni introdotte nell'ambito della protezione della salute pubblica - Ammissibilità

(Regolamento del Consiglio n. 2821/98)

15. Agricoltura - Politica agricola comune - Assenza di azione contro l'impiego di sostanze diverse dalla virginiamicina - Violazione del principio di non discriminazione - Insussistenza

16. Diritto comunitario - Principi - Diritti della difesa - Rispetto nell'ambito dei procedimenti legislativi - Limiti

Massima

1. Una persona è indivualmente interessata da un regolamento se questo, tenuto conto delle disposizioni specifiche del caso di specie, lede un diritto specifico che essa poteva esercitare.

Inoltre, concludendo o, quanto meno, sospendendo il procedimento avviato su domanda di un operatore economico allo scopo di ottenere una nuova autorizzazione per la virginiamicina come additivo nell'alimentazione degli animali, e nell'ambito del quale esso beneficiava di garanzie processuali, il regolamento n. 2821/98, che prevede la revoca dell'autorizzazione alla commercializzazione di determinati additivi nell'alimentazione degli animali, tra cui la virginiamicina, all'interno della Comunità, colpisce questo operatore a motivo di una situazione di diritto e di fatto che lo caratterizza rispetto a qualsiasi altro soggetto. Tale circostanza è inoltre atta ad individualizzarlo nel senso dell'art. 173, quarto comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230, quarto comma, CE).

( v. punti 98-100, 104 )

2. In conformità con l'art. 130 R, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, n. 2, CE), il principio di precauzione costituisce uno dei principi sui quali si fonda la politica della Comunità in materia ambientale. Tale principio si applica ugualmente quando le istituzioni comunitarie adottano, nel quadro della politica agricola comune, misure di tutela della salute umana. Si evince, infatti, dall'art. 130 R, nn. 1 e 2, del Trattato CE che la protezione della salute umana rientra tra gli obiettivi della politica della Comunità in materia ambientale, che tale politica, la quale mira ad un elevato livello di tutela, è fondata, fra l'altro, sul principio di precauzione e che le esigenze di tale politica devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle altre politiche comunitarie. Inoltre, come previsto all'art. 129, n. 1, terzo comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 152 CE) e conformemente ad una giurisprudenza costante, le esigenze di protezione della salute costituiscono una componente delle altre politiche della Comunità e devono pertanto essere prese in considerazione dalle istituzioni comunitarie nell'attuazione della politica agricola comune.

( v. punto 114 )

3. Le istituzioni comunitarie possono imporsi indirizzi per l'esercizio dei loro poteri discrezionali mediante atti non previsti all'art. 189 del Trattato CE (divenuto art. 249 CE), in particolare con comunicazioni, nei limiti in cui tali comunicazioni contengano regole indicative sulla condotta che tali istituzioni devono tenere e non deroghino alle norme del Trattato. In tal caso il giudice comunitario verifica, in attuazione del principio della parità di trattamento, se l'atto impugnato sia conforme agli orientamenti che le istituzioni si sono autoimposte con l'adozione e la pubblicazione di tali comunicazioni.

( v. punto 119 )

4. Quando sussistono incertezze scientifiche riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute umana, le istituzioni comunitarie possono, in forza del principio di precauzione, adottare misure di protezione senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi.

Ne consegue, anzitutto, che, secondo il principio di precauzione, quale sancito dall'art. 130 R, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, n. 2, CE), le istituzioni comunitarie potevano adottare una misura preventiva relativa all'impiego della virginiamicina come additivo nell'alimentazione degli animali anche se, a causa del permanere di una situazione di incertezza scientifica, la realtà e la gravità dei rischi per la salute umana connessi a tale utilizzo non erano ancora pienamente dimostrate. A fortiori, ne deriva ugualmente che le istituzioni comunitarie non erano tenute, per poter agire in via preventiva, ad attendere che gli effetti negativi dell'impiego di tale prodotto come promotore di crescita si concretizzassero. Inoltre, nel contesto dell'applicazione del principio di precauzione - che è per definizione un contesto d'incertezza scientifica - non si può esigere che una valutazione dei rischi fornisca obbligatoriamente alle istituzioni comunitarie prove scientifiche decisive sulla realtà del rischio e sulla gravità dei potenziali effetti nocivi in caso di avveramento di tale rischio.

Tuttavia, una misura preventiva non può essere validamente motivata con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente. Dal principio di precauzione, come interpretato dal giudice comunitario, deriva, al contrario, che una misura preventiva può essere adottata esclusivamente qualora il rischio, senza che la sua esistenza e la sua portata siano state dimostrate «pienamente» da dati scientifici concludenti, appaia nondimeno sufficientemente documentato sulla base dei dati scientifici disponibili al momento dell'adozione di tale misura.

L'adozione di misure, anche se preventive, sulla base di un approccio puramente ipotetico del rischio sarebbe ancor più inadeguata nella materia degli additivi nell'alimentazione degli animali. Infatti, in un tale ambito, non può esistere un livello di «rischio zero» nei limiti in cui l'assenza totale del minimo rischio attuale o futuro connesso all'aggiunta di antibiotici nell'alimentazione degli animali non può essere scientificamente provata. D'altronde, un tale approccio sarebbe tanto meno appropriato in una situazione in cui la legislazione prevede già, come una delle possibili espressioni del principio di precauzione, un procedimento di autorizzazione preventiva dei prodotti interessati.

Il principio di precauzione può, dunque, essere applicato solamente a situazioni in cui il rischio, in particolare per la salute umana, pur non essendo fondato su semplici ipotesi non provate scientificamente, non ha ancora potuto essere pienamente dimostrato.

In un tale contesto, la nozione di «rischio» corrisponde dunque ad una funzione della probabilità di effetti nocivi per il bene protetto dall'ordinamento giuridico cagionati dall'impiego di un prodotto o di un processo.

Di conseguenza, la valutazione dei rischi ha ad oggetto la stima del grado di probabilità che un determinato prodotto o processo provochi effetti nocivi sulla salute umana e della gravità di tali potenziali effetti.

( v. punti 139-148 )

5. Nell'ambito della valutazione dei rischi spetta alle istituzioni comunitarie determinare il livello di rischio - ossia la soglia critica di probabilità di effetti nocivi per la salute umana e della gravità di tali potenziali effetti - che reputano non essere più accettabile per tale società e che, una volta superato, rende necessario, nell'interesse della tutela della salute umana, il ricorso a misure preventive malgrado l'assenza di certezza scientifica.

Anche se alle istituzioni comunitarie è precluso adottare un'impostazione puramente ipotetica del rischio e orientare le proprie decisioni ad un livello di «rischio zero», esse devono tuttavia tener conto dell'obbligo, loro incombente in forza dell'art. 129, n. 1, primo comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 152 CE), di garantire un livello elevato di tutela della salute umana che, per essere compatibile con tale disposizione, non dev'essere necessariamente il più elevato possibile sotto il profilo tecnico.

La determinazione del livello di rischio reputato inaccettabile dipende dal giudizio espresso dall'autorità pubblica competente sulle particolari circostanze di ciascuna fattispecie. A tal proposito detta autorità può considerare, in particolare, la gravità dell'impatto della sopravvenienza di tale rischio sulla salute umana, ivi compresa la portata dei possibili effetti nocivi, la persistenza, la reversibilità o gli effetti tardivi eventuali di tali danni nonché la percezione più o meno concreta del rischio sulla base dello stato delle conoscenze scientifiche disponibili.

In materia di additivi nell'alimentazione degli animali, le istituzioni comunitarie sono chiamate a procedere a complesse valutazioni di ordine tecnico e scientifico. Alla luce di quanto esposto, la realizzazione di una valutazione scientifica dei rischi è preliminare all'adozione di qualunque misura preventiva.

La valutazione scientifica dei rischi è comunemente definita, tanto a livello internazionale quanto a livello comunitario, come un processo scientifico che consiste nell'identificare e nel caratterizzare un pericolo, nel valutare l'esposizione e nel connotare il rischio.

La valutazione scientifica dei rischi, nel rispetto delle disposizioni applicabili, dev'essere delegata dall'autorità pubblica competente ad esperti scientifici che, in esito a tale iter scientifico, le forniranno pareri scientifici.

I pareri degli esperti scientifici rivestono la massima importanza in tutte le fasi dell'elaborazione e dell'attuazione della nuova legislazione e per la gestione di quella esistente. L'obbligo delle istituzioni comunitarie di assicurare un livello elevato di protezione della salute umana, previsto all'art. 129, n. 1, primo comma, del Trattato CE, comporta infatti che queste ultime devono garantire che le loro decisioni siano adottate in piena considerazione dei migliori dati scientifici disponibili e che siano fondate sui più recenti risultati della ricerca internazionale.

Inoltre, per assolvere alle loro funzioni, i pareri scientifici sulle questioni relative alla salute dei consumatori devono, nell'interesse dei consumatori e dell'industria, fondarsi sui principi dell'eccellenza, dell'indipendenza e della trasparenza.

Nel contesto dell'applicazione del principio di precauzione, la realizzazione di una valutazione scientifica completa dei rischi può rivelarsi impossibile a causa dell'insufficienza dei dati scientifici disponibili. Per portare a termine una tale valutazione scientifica completa può infatti essere necessario effettuare una ricerca scientifica molto approfondita e lunga. Orbene, salvo privare il principio di precauzione del suo effetto utile, l'impossibilità di realizzare una valutazione scientifica completa dei rischi non può impedire all'autorità pubblica competente di adottare misure preventive, se necessario a scadenza molto breve, qualora tali misure appaiano indispensabili in considerazione del livello di rischio per la salute umana, reputato da tale autorità inaccettabile per la società.

L'autorità pubblica competente deve procedere ad una ponderazione degli obblighi ad essa incombenti e decidere se attendere che si rendano disponibili i risultati di una ricerca scientifica più approfondita o agire sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili. Poiché si tratta di misure volte alla tutela della salute umana, tale ponderazione dipende, tenuto conto delle circostanze peculiari di ogni fattispecie, dal livello di rischio ritenuto da tale autorità inaccettabile per la società.

Perciò, la valutazione scientifica dei rischi, effettuata dagli esperti scientifici, deve fornire all'autorità pubblica competente un'informazione sufficientemente affidabile e solida al fine di permettere a quest'ultima di cogliere l'intera portata della questione scientifica posta e di determinare la propria politica con cognizione di causa. Di conseguenza, salvo adottare misure arbitrarie che non possono in alcun caso essere legittimate dal principio di precauzione, l'autorità pubblica competente deve badare a che le misure che essa adotta, anche se si tratta di misure preventive, siano fondate su una valutazione scientifica dei rischi il più possibile esaustiva, tenuto conto delle circostanze peculiari del caso di specie. Malgrado l'incertezza scientifica sussistente, tale valutazione scientifica deve permettere all'autorità pubblica competente di stimare, sulla base dei migliori dati scientifici disponibili e dei più recenti risultati della ricerca internazionale, se il livello di rischio che essa reputa accettabile per la società sia stato superato. E' su tale base che la detta autorità deve decidere se sia necessario ricorrere all'adozione di misure preventive e, se del caso, di determinare quali misure essa ritiene appropriate e necessarie per evitare che tale rischio si concretizzi.

( v. punti 151-163 )

6. Le istituzioni comunitarie dispongono, in materia di politica agricola comune, di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la definizione degli scopi perseguiti e la scelta degli opportuni strumenti d'azione. In tale contesto, il sindacato del giudice comunitario relativamente al merito deve limitarsi a verificare se l'esercizio di un tale potere discrezionale non sia viziato da errore manifesto o da sviamento di potere, o ancora se le istituzioni comunitarie non abbiano palesemente oltrepassato i limiti del loro potere discrezionale.

Le istituzioni comunitarie dispongono di un ampio potere discrezionale, in particolare per quanto riguarda la determinazione del livello di rischio reputato inaccettabile per la società.

Allorché un'autorità comunitaria è chiamata, nell'esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, il potere discrezionale di cui gode si applica parimenti, in una determinata misura, alla constatazione degli elementi di fatto alla base della sua azione.

Ne deriva che il controllo giurisdizionale relativo all'assolvimento di tale compito da parte delle istituzioni comunitarie dev'essere limitato. In tali circostanze il giudice comunitario non può, infatti, sostituire il suo apprezzamento degli elementi di fatto a quello delle istituzioni comunitarie, alle quali il Trattato ha conferito tale compito in via esclusiva. Egli deve, invece, limitarsi a verificare se l'esercizio da parte delle istituzioni comunitarie del loro potere discrezionale in tale ambito non sia inficiato da errore manifesto o da sviamento di potere, o ancora se le istituzioni comunitarie non abbiano manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale.

( v. punti 166-169 )

7. Il principio di precauzione permette alle istituzioni comunitarie di adottare, nell'interesse della salute umana ma sulla base di conoscenze scientifiche ancora lacunose, misure di protezione che possono ledere, finanche in modo profondo, posizioni giuridiche tutelate e, a questo proposito, conferisce alle istituzioni un margine discrezionale notevole.

In tali casi il rispetto delle garanzie previste dall'ordinamento giuridico comunitario nei procedimenti amministrativi riveste un'importanza ancor più fondamentale. Tra tali garanzie figura in particolare l'obbligo per l'istituzione competente di esaminare con cura e imparzialità tutti gli elementi pertinenti della fattispecie.

Ne consegue che lo svolgimento di una valutazione scientifica dei rischi il più esaustiva possibile, sulla base di pareri scientifici fondati sui principi dell'eccellenza, della trasparenza e dell'indipendenza, costituisce una garanzia procedurale rilevante al fine di assicurare l'oggettività scientifica delle misure e di evitare l'adozione di misure arbitrarie.

( v. punti 170-172 )

8. In un contesto normativo in cui l'istituzione comunitaria non è vincolata dal parere scientifico reso dal comitato scientifico competente, il ruolo attribuito ad un comitato di esperti, quale il comitato scientifico dell'alimentazione animale, nell'ambito di un procedimento che deve concludersi con un atto decisionale o normativo, è limitato, in risposta alle domande postegli dall'istituzione competente, all'analisi motivata dei fatti pertinenti alla fattispecie alla luce dello stato delle conoscenze in materia, al fine di fornire all'istituzione le cognizioni fattuali che le permettano di prendere la sua decisione in piena cognizione di causa.

Al contrario, spetta all'istituzione competente, dapprima, formulare al comitato di esperti le questioni di fatto necessarie affinché essa possa prendere una decisione e, successivamente, giudicare il valore probatorio del parere espresso da tale comitato. A tale proposito l'istituzione comunitaria deve verificare il carattere completo, coerente e pertinente del ragionamento contenuto nel parere.

Nei limiti in cui l'istituzione comunitaria preferisce discostarsi dal parere, essa è tenuta a motivare specificamente la sua diversa valutazione rispetto a quella espressa nel parere, esponendo i motivi sulla base dei quali non vi si conforma. Tale motivazione dovrà essere di un livello scientifico almeno equivalente a quello del parere in questione.

( v. punti 197-199 )

9. Anche se, in forza della normativa applicabile, le istituzioni comunitarie possono revocare l'autorizzazione per un additivo senza aver ottenuto il previo parere dei comitati scientifici competenti, si deve osservare che le istituzioni comunitarie, qualora siano chiamate a valutare elementi di fatto particolarmente complessi di ordine tecnico e scientifico, unicamente in circostanze eccezionali e solo ove sia assicurata la presenza di adeguate garanzie di oggettività scientifica, possono adottare una misura preventiva di revoca dell'autorizzazione di un additivo senza disporre di un parere del comitato scientifico istituito a tal fine a livello comunitario in merito ad elementi scientifici pertinenti.

( v. punti 265, 270 )

10. Nell'ambito di un ricorso di annullamento fondato sull'art. 173 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230 CE), la valutazione delle istituzioni comunitarie può essere rimessa in discussione unicamente qualora appaia erronea alla luce degli elementi di fatto e di diritto di cui esse disponevano al momento dell'adozione dell'atto impugnato.

( v. punto 324 )

11. Nell'ambito di un ricorso di annullamento proposto contro il regolamento n. 2821/98, che prevede la revoca dell'autorizzazione alla commercializzazione di determinati additivi nell'alimentazione degli animali, tra cui la virginiamicina, all'interno della Comunità, non spetta al giudice comunitario valutare la fondatezza dell'una o dell'altra posizione scientifica difesa dinanzi ad esso, né sostituire la propria valutazione a quella delle istituzioni comunitarie alle quali tale compito è stato attribuito a titolo esclusivo dal Trattato. Nei limiti in cui le istituzioni comunitarie hanno potuto validamente ritenere di disporre di un fondamento scientifico sufficiente relativo all'esistenza del nesso tra l'impiego della virginiamicina come additivo nell'alimentazione degli animali e lo sviluppo nell'uomo della resistenza alle streptogramine, la sola presenza di indizi scientifici in senso contrario non è tale da dimostrare che le istituzioni comunitarie, ritenendo che esistesse un rischio per la salute umana, abbiano oltrepassato i limiti del loro potere discrezionale.

Emerge, al contrario, che le istituzioni comunitarie potevano validamente ritenere che esistessero ragioni serie concernenti la salute umana, ai sensi dell'art. 3 A, lett. e), della direttiva 70/524, relativa agli additivi nell'alimentazione degli animali, per riservare le streptogramine all'uso medico.

( v. punti 393, 402 )

12. Il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto comunitario, richiede che gli atti delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.

Il legislatore comunitario dispone tuttavia in materia di politica agricola comune di un potere discrezionale corrispondente alle responsabilità politiche che gli artt. 40 e 43 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 34 CE e 37 CE) gli attribuiscono. Di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale provvedimento.

( v. punti 411-412 )

13. Il fatto che le istituzioni comunitarie non abbiano adottato, a livello internazionale, misure contro l'importazione di carni prodotte facendo ricorso alla virginiamicina come promotore di crescita non può di per sé inficiare la validità del divieto d'impiego di tale prodotto a livello comunitario. Inoltre occorrerebbe che si dimostrasse che, in assenza di un tale provvedimento, il regolamento impugnato costituirebbe, di per sé, una misura manifestamente inadeguata rispetto allo scopo perseguito.

( v. punto 433 )

14. L'importanza dello scopo perseguito dal regolamento n. 2821/98, che prevede la revoca dell'autorizzazione alla commercializzazione di taluni additivi nell'alimentazione degli animali, tra cui la virginiamicina, all'interno della Comunità, ossia la tutela della salute umana, è tale da giustificare conseguenze economiche negative, anche notevoli, per taluni operatori. In tale contesto la tutela della salute, che il detto regolamento intende perseguire, deve assumere un'importanza preponderante rispetto a considerazioni di ordine economico.

Peraltro, se il diritto al libero esercizio delle attività professionali fa parte dei principi generali del diritto comunitario, tale principio non costituisce tuttavia una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale. Ne consegue che possono esservi apportate restrizioni, a condizione che queste ultime rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa del diritto così garantito.

( v. punti 456-457 )

15. Il principio di non discriminazione, che costituisce un principio giuridico fondamentale, vieta che situazioni analoghe siano trattate in maniera differente o situazioni diverse siano trattate in maniera uguale, a meno che tale disparità di trattamento sia oggettivamente giustificata. Anche supponendo illegale l'impiego di altre sostanze, l'assenza d'azione contro di esso non può di per sé inficiare la legittimità del divieto relativo alla virginiamicina. Anche se fosse dimostrato che le autorizzazioni di altri prodotti dovevano parimenti essere revocate, non sarebbe tuttavia stabilita l'illegittimità del regolamento impugnato per violazione del principio di non discriminazione, nei limiti in cui non può esservi uguaglianza nell'illegittimità, dal momento che il principio di non discriminazione non può fondare alcun diritto all'applicazione non discriminatoria di un trattamento illegittimo.

( v. punti 478-479 )

16. Il diritto ad essere sentiti nell'ambito di un procedimento amministrativo concernente una persona specifica, che dev'essere rispettato anche se non vi sia alcuna disciplina circa la procedura, non può essere trasposto nel contesto di una procedura legislativa che conduce all'adozione di una misura di portata generale. La circostanza che un operatore economico sia direttamente ed individualmente interessato dal regolamento impugnato non può modificare tale conclusione.

( v. punto 487 )