Sentenza della Corte del 5 novembre 2002. - Commissione delle Comunità europee contro Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. - Inadempimento di uno Stato - Conclusione e applicazione, da parte di uno Stato membro, di un accordo bilaterale con gli Stati Uniti d'America - Accordo diretto ad autorizzare gli Stati Uniti d'America a revocare, sospendere o limitare i diritti di traffico dei vettori aerei designati dal Regno Unito che non siano detenuti da quest'ultimo o dai cittadini britannici - Art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE). - Causa C-466/98.
raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-09427
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
Nella causa C-466/98,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. F. Benyon, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dal sig. J.E. Collins, in qualità di agente, assistito dal sig. D. Anderson, QC, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuto,
sostenuto da
Regno dei Paesi Bassi, rappresentato dal sig. M.A. Fierstra e dalla sig.ra J. van Bakel, in qualità di agenti,
interveniente,
avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, avendo concluso ed applicato un accordo relativo ai servizi aerei, siglato il 23 luglio 1977 con gli Stati Uniti d'America, il quale prevede la revoca, la sospensione o la limitazione di diritti di traffico qualora i vettori aerei indicati dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non siano di proprietà di quest'ultimo o di cittadini britannici, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE),
LA CORTE,
composta dal sig. J.-P. Puissochet, presidente della Sesta Sezione, facente funzione di presidente, dal sig. R. Schintgen, presidente di sezione, dai sigg. C. Gulmann, D.A.O. Edward, A. La Pergola, P. Jann e V. Skouris (relatore), dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, dai sigg. S. von Bahr e J.N. Cunha Rodrigues, giudici,
avvocato generale: sig. A. Tizzano
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto, e sig.ra D. Louterman-Hubeau, capodivisione
vista la relazione d'udienza,
sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza dell'8 maggio 2001, nel corso della quale la Commissione è stata rappresentata dal sig. F. Benyon, il Regno Unito dal sig. J.E. Collins, assistito dal signor D. Anderson, e il Regno dei Paesi Bassi dalle sig.re J. van Bakel e H.G. Sevenster e dal sig. J. van Haersolte, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 31 gennaio 2002,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 18 dicembre 1998, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE (divenuto art. 226 CE), un ricorso diretto a far dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, avendo concluso ed applicato un accordo relativo ai servizi aerei, siglato il 23 luglio 1977 con gli Stati Uniti d'America, il quale prevede la revoca, la sospensione o la limitazione di diritti di traffico qualora i vettori aerei indicati dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non siano di proprietà di quest'ultimo o di cittadini britannici, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE).
2 Con ordinanza del presidente della Corte 8 luglio 1999 è stato autorizzato l'intervento del Regno dei Paesi Bassi a sostegno delle conclusioni del Regno Unito.
Fatti della controversia
3 Verso la fine della seconda guerra mondiale, o dopo quest'ultima, diversi Stati, che in seguito sono divenuti membri della Comunità, tra cui il Regno Unito, hanno concluso con gli Stati Uniti d'America accordi bilaterali nell'ambito del trasporto aereo.
4 Un siffatto accordo bilaterale, il primo accordo delle Bermuda (in prosieguo: l'«accordo Bermuda I»), è stato concluso tra il Regno Unito e gli Stati Uniti d'America per la prima volta nel 1946. Il suddetto accordo includeva in particolare un art. 6, ai sensi del quale «[c]iascuna parte contraente si riserva il diritto di sospendere o di revocare l'esercizio dei diritti specificati nell'allegato del presente accordo di una compagnia designata dall'altra parte contraente qualora essa ritenga che non ricorra il presupposto secondo cui una quota rilevante della proprietà e il controllo effettivo di tale compagnia fanno capo a cittadini di una delle parti contraenti (...)».
5 In seguito, un ulteriore accordo, il secondo accordo delle Bermuda (in prosieguo: l'«accordo Bermuda II»), ha sostituito l'accordo Bermuda I con effetto dal 23 luglio
1977, data alla quale è stato sottoscritto ed è entrato in vigore. L'art. 5 dell'accordo Bermuda II dispone:
«1) Ciascuna parte contraente può revocare, sospendere, limitare o assoggettare a condizioni le licenze di esercizio o le autorizzazioni tecniche di una compagnia aerea designata dall'altra parte contraente laddove:
a) una quota rilevante della proprietà e il controllo effettivo di tale compagnia aerea non facciano capo alla parte contraente che la designa o ai cittadini di detta parte contraente;
(...)
2) (...) tali diritti possano venire esercitati solo previa consultazione con l'altra parte contraente».
6 Inoltre, ai sensi dell'art. 3, n. 6, dell'accordo Bermuda II, ciascuna parte contraente ha l'obbligo di accordare le appropriate licenze di esercizio e le autorizzazioni tecniche a una compagnia aerea, quando vengano soddisfatte talune condizioni, in particolare quella secondo cui una quota rilevante della proprietà e il controllo effettivo di tale compagnia devono far capo alla parte contraente che la designa o ai cittadini di detta parte contraente.
7 Dal fascicolo emerge che, nel 1992, gli Stati Uniti d'America hanno deciso di proporre a vari Stati membri la conclusione con gli stessi di un accordo bilaterale detto di «open sky». Nel corso del 1993 e del 1994, gli Stati Uniti d'America hanno intensificato i loro sforzi per concludere siffatti accordi con il maggior numero possibile di Stati europei.
8 In una lettera del 17 novembre 1994 inviata agli Stati membri, la Commissione ha attirato l'attenzione di questi ultimi sugli effetti negativi che tali accordi bilaterali potevano comportare per la Comunità e ha preso posizione dichiarando che questo tipo di accordo poteva incidere sulla regolamentazione interna della Comunità. Essa ha aggiunto che la negoziazione dei suddetti accordi poteva essere condotta in modo efficace e giuridicamente valido solo a livello comunitario.
9 Alla luce di tale corrispondenza, la Commissione, con lettera 20 aprile 1995, ha chiesto al governo del Regno Unito di impegnarsi a non negoziare, siglare, concludere o ratificare accordi bilaterali con gli Stati Uniti d'America. Il Regno Unito ha nondimeno proseguito la negoziazione di un accordo con gli Stati Uniti d'America e ha concluso il suddetto accordo il 5 giugno 1995.
Fatti e fase precontenziosa
10 Il 17 luglio 1995 la Commissione ha inviato una lettera di diffida al Regno Unito nella quale osservava in particolare che, per quanto a sua conoscenza, i diritti di traffico accordati al Regno Unito da parte degli Stati Uniti d'America, in forza del loro accordo, dovevano essere concessi sulla base della nazionalità del vettore. Secondo la Commissione, questo costituiva una violazione dell'art. 52 del Trattato, poiché, ai sensi del suddetto accordo, tra i vettori aerei che hanno ottenuto una licenza del Regno Unito in conformità al regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1992, n. 2407, sul rilascio delle licenze ai vettori aerei (GU L 240, pag. 1), a quelli stabiliti nel Regno Unito la cui proprietà e il cui controllo facciano capo a cittadini di un altro Stato membro verrebbero negati i diritti di traffico negli Stati Uniti d'America, mentre questi ultimi sarebbero accordati a quelli detenuti e controllati da cittadini britannici.
11 Il Regno Unito ha risposto alla lettera di diffida della Commissione con lettera 13 settembre 1995. Da tale lettera emerge che il Regno Unito e gli Stati Uniti d'America hanno concordato di modificare l'accordo Bermuda II mediante l'accordo concluso il 5 giugno 1995. Per quanto riguarda l'art. 52 del Trattato, il Regno Unito indicava che la clausola dell'accordo Bermuda II relativa alla proprietà e al controllo dei vettori aerei non era stata modificata mediante l'accordo del 5 giugno 1995. A suo parere, tale disposizione non vietava alle autorità britanniche di designare vettori aerei che non siano né detenuti né controllati da cittadini britannici, ma concedeva esclusivamente agli Stati Uniti d'America la possibilità di rifiutare tale designazione pur consentendo al Regno Unito di chiedere consultazioni in caso di diniego degli Stati Uniti d'America.
12 In risposta, la Commissione, il 16 marzo 1998, ha inviato un parere motivato al Regno Unito, in cui dichiarava che, avendo concluso con gli Stati Uniti d'America e avendo applicato l'accordo Bermuda II, relativo ai servizi aerei, siglato il 23 luglio 1977 con gli Stati Uniti d'America, il quale prevede la revoca, la sospensione o la limitazione di diritti di traffico qualora i vettori aerei indicati dal Regno Unito non siano di proprietà di quest'ultimo o di cittadini britannici, esso è venuto meno agli obblighi incombentigli in forza dell'art. 52 del Trattato. Essa invitava tale Stato membro a conformarsi al suddetto parere entro due mesi dalla sua notifica.
13 Il Regno Unito ha risposto, con lettera 19 giugno 1998, che la contestata disposizione dell'accordo Bermuda II si limitava a riprodurre una clausola figurante nell'accordo Bermuda I, concluso prima della sua adesione alle Comunità europee. Secondo il governo britannico, il diritto contestato di cui beneficiavano gli Stati Uniti d'America in forza dell'accordo Bermuda II trovava quindi la propria origine nell'accordo Bermuda I e sarebbe stato mantenuto in vigore ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 307 CE).
14 Non avendo ritenuto convincente l'argomentazione del Regno Unito, la Commissione presentava il ricorso di cui trattasi.
Il ricorso
15 Nel ricorso la Commissione addebita al Regno Unito il fatto di esser venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell'art. 52 del Trattato avendo concluso e applicato l'accordo Bermuda II, che comporta la summenzionata clausola relativa alla proprietà e al controllo dei vettori aerei.
16 A sostegno della sua difesa, il Regno Unito osserva anzitutto che il diritto riconosciuto agli Stati Uniti d'America di revocare, sospendere o limitare i diritti di traffico qualora i vettori aerei indicati dal Regno Unito non siano di proprietà di quest'ultimo o di cittadini britannici è coperto e, pertanto, mantenuto dall'art. 234 del Trattato. Inoltre, contesta sia l'applicabilità dell'art. 52 del Trattato nella fattispecie sia la violazione di tale articolo. Infine, sostiene che la clausola relativa alla proprietà e al controllo dei vettori aerei è, comunque, giustificata a norma dell'art. 56 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 46 CE).
Sull'applicabilità dell'art. 234 del Trattato Argomenti delle parti
17 Il governo del Regno Unito sostiene che la tutela conferita dall'art. 234 del Trattato non è limitata a convenzioni concluse da Stati membri precedentemente all'entrata in vigore del Trattato sul loro territorio, ma si estende ai diritti e agli obblighi derivanti da tali convenzioni. A suo parere, la questione se una convenzione precedente all'adesione sia stata modificata, se non addirittura sostituita, dopo l'adesione dello Stato membro alla Comunità riveste solo un'importanza secondaria. Quindi, l'art. 234 del Trattato non si applicherebbe esclusivamente a diritti e obblighi figuranti in una convenzione dopo la scadenza di quest'ultima, fatti salvi i casi in cui diritti o obblighi sostanzialmente analoghi fossero stati mantenuti, senza soluzione di continuità, in un nuovo accordo.
18 Questo è quanto si verificherebbe nella fattispecie. Infatti, nonostante l'accordo Bermuda II sia stato concluso nel 1977, vale a dire quattro anni dopo l'entrata in vigore del Trattato CEE nel Regno Unito, il diritto riconosciuto agli Stati Uniti d'America dall'art. 5 dell'accordo Bermuda II sarebbe stato inizialmente conferito, in materia di voli di linea, dall'art. 6 dell'accordo Bermuda I e, successivamente, non sarebbe stato modificato in modo sostanziale. Nonostante le formulazioni dei due articoli non siano del tutto identiche, in quanto riflettono le strutture diverse dei due accordi Bermuda I e Bermuda II, l'art. 6 dell'accordo Bermuda I e l'art. 5 dell'accordo Bermuda II sarebbero sostanzialmente identici nella loro applicazione ai voli di linea, la qual cosa dimostrerebbe la continuità del diritto in esame da un accordo all'altro. Se è vero che esiste una differenza di fondo tra gli effetti dell'accordo Bermuda I e quelli dell'accordo Bermuda II, dato che quest'ultimo si applica anche ai voli charter, essa non costituirebbe una differenza di principio tra i due accordi ma una modifica effettuata per adeguarsi alla crescente importanza dei servizi charter.
19 Il governo olandese, che conclude anch'esso per l'applicabilità, nella fattispecie, dell'art. 234 del Trattato, sostiene che le modifiche apportate dal Regno Unito all'accordo Bermuda II mediante l'accordo 5 giugno 1995 non possono essere considerate un nuovo accordo, perché appare certo che solo le modifiche apportate all'allegato I dell'accordo Bermuda II relativamente ai diritti di traffico rappresentano modifiche sostanziali.
20 La Commissione contesta quanto argomentato del Regno Unito. Essa afferma che l'art. 234 del Trattato si applica solo alle convenzioni concluse, nel caso del Regno Unito, prima della sua adesione alla Comunità il 1_ gennaio 1973, mentre l'accordo Bermuda II è stato concluso più tardi, ossia nel 1977. Essa ritiene che, per il fatto di costituire un'eccezione alle disposizioni del Trattato, l'art. 234 di quest'ultimo debba essere interpretato in modo restrittivo. In particolare, da tale disposizione non risulterebbe affatto che essa debba essere applicata ai diritti e agli obblighi che hanno fatto parte di accordi in vigore in un determinato momento, senza tener conto del fatto che tali accordi sono successivamente venuti a scadenza. Anche se tali diritti e obblighi rientrano in un altro accordo, questo non può giustificare l'asserzione secondo cui l'accordo iniziale viene ad essere in un certo qual modo perpetuato.
21 Nel caso di specie, l'ultimo `considerando' dell'accordo Bermuda II disporrebbe chiaramente che tale accordo è stato concluso «per sostituire» l'accordo Bermuda I, cosicché con quest'ultimo accordo sarebbe venuta meno qualsiasi possibilità di applicazione dell'art. 234 del Trattato. Di conseguenza, sarebbe impossibile far emergere dal suddetto articolo una clausola dell'accordo Bermuda I, che oltretutto è stata semplicemente riformulata all'atto dell'inserimento nell'accordo Bermuda II.
Giudizio della Corte
22 L'art. 234, primo comma, del Trattato dispone che le disposizioni del Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse prima dell'entrata in vigore del Trattato stesso fra uno o più Stati membri, da una parte, e uno o più Stati terzi, dall'altra. In base al secondo comma di questo stesso articolo tuttavia gli Stati membri interessati sono obbligati a ricorrere a tutti i mezzi atti ad eliminare le eventuali incompatibilità tra tali convenzioni e il Trattato.
23 L'art. 234 del Trattato ha portata generale e si applica a qualsiasi convenzione internazionale, indipendentemente dal suo oggetto, che possa incidere sull'applicazione del Trattato (v. sentenze 14 ottobre 1980, causa 812/79, Burgoa, Racc. pag. 2787, punto 6; 2 agosto 1993, causa C-158/91, Levy, Racc. pag. I-4287, punto 11, e 4 luglio 2000, causa C-62/98, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-5171, punto 43).
24 Come emerge dal punto 8 della menzionata sentenza Burgoa, l'art. 234, primo comma, del Trattato è volto a precisare, conformemente ai principi del diritto internazionale [v., al riguardo, art. 30, n. 4, lett. b), della convenzione sul diritto dei trattati, siglata a Vienna il 23 maggio 1969], che l'applicazione del Trattato non pregiudica l'impegno assunto dallo Stato membro interessato di rispettare i diritti dei paesi terzi derivanti da una convenzione antecedente e di attenersi agli obblighi corrispondenti.
25 Secondo l'art. 5 dell'Atto relativo alle condizioni di adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e agli adattamenti dei Trattati (GU 1972, L 73, pag. 14), l'art. 234 del Trattato è applicabile agli accordi e alle convenzioni conclusi dal Regno Unito anteriormente alla sua adesione, vale a dire prima del 1_ gennaio 1973.
26 Tuttavia, i diritti e gli obblighi che derivano, rispettivamente, per gli Stati Uniti d'America e il Regno Unito dalla clausola relativa alla proprietà e al controllo dei vettori aerei non risultano da un accordo precedente ma da un accordo successivo all'adesione del Regno Unito alle Comunità europee, ossia l'accordo Bermuda II, che è stato concluso nel 1977.
27 Pertanto, l'art. 234 del Trattato non può trovare applicazione nel caso di specie.
28 Tale osservazione non può essere rimessa in questione dal fatto che una clausola dal tenore simile figurasse già nell'accordo Bermuda I, il quale, concluso prima dell'adesione del Regno Unito alle Comunità europee, è rimasto in vigore fino al 1977.
29 Infatti, l'accordo Bermuda II è stato concluso, in base al suo ultimo `considerando', «per sostituire» l'accordo Bermuda I, in particolare al fine di tener conto dell'evoluzione dei diritti di traffico tra le parti contraenti e, in tal modo, ha originato nuovi diritti e obblighi tra queste ultime. Pertanto, si deve escludere che i diritti e gli obblighi derivanti, per il Regno Unito e gli Stati Uniti d'America, dalla clausola dell'accordo Bermuda II relativa alla proprietà e al controllo dei vettori aerei, dopo l'entrata in vigore di quest'ultimo accordo, possano essere collegati all'accordo Bermuda I.
30 Si deve, quindi, verificare se il contenuto di tale clausola violi l'art. 52 del Trattato, come sostiene la Commissione.
Sulla violazione dell'art. 52 del Trattato
Argomenti delle parti
31 La Commissione sostiene che, a differenza dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE), relativo alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità, la cui applicazione al settore dei trasporti è stata espressamente esclusa dall'art. 61 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 51 CE), l'applicazione dell'art. 52 del Trattato non è né esclusa né sospesa per il suddetto ambito. L'art. 52 del Trattato si applicherebbe a tutti i settori, compreso quello del trasporto aereo, e, in quanto disposizione fondamentale del Trattato, si applicherebbe anche agli altri settori che rientrano nella competenza degli Stati membri (v. sentenze 25 luglio 1991, causa C-221/89, Factortame e a., Racc. pag. I-3905; 12 giugno 1997, causa C-151/96, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-3327; 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly, Racc. pag. I-2793; 24 novembre 1998, causa C-274/96, Bickel e Franz, Racc. pag. I-7637, e 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Racc. pag. I-1459).
32 Nella specie, l'art. 5 dell'accordo Bermuda II, in quanto consente agli Stati Uniti d'America di negare il rilascio delle licenze di esercizio o le autorizzazioni tecniche a compagnie aeree designate dal Regno Unito ma di cui una quota rilevante della proprietà e l'effettivo controllo non facciano capo al Regno Unito o a cittadini britannici, o di revocare, sospendere o limitare le licenze di esercizio o le autorizzazioni tecniche già accordate a tali compagnie, sarebbe contrario all'art. 52 del Trattato. Infatti, in forza dell'art. 5 del suddetto accordo, una compagnia aerea stabilita nel Regno Unito la cui proprietà o il cui controllo fanno capo a uno Stato membro diverso dal Regno Unito o a cittadini di tale Stato membro si troverebbe nell'impossibilità di ricevere lo stesso trattamento riservato alle compagnie aeree detenute e controllate dal Regno Unito o da cittadini britannici.
33 Contrariamente a quanto sostiene il Regno Unito, il comportamento degli Stati Uniti d'America sarebbe irrilevante nel ricorso di cui trattasi, poiché l'infrazione all'art. 52 del Trattato consiste nella concessione, da parte del Regno Unito agli Stati Uniti d'America, del diritto previsto dall'art. 5 dell'accordo Bermuda II che esso ha negoziato e concluso.
34 Il Regno Unito rileva anzitutto che l'art. 52 del Trattato non può disciplinare un tipo di commercio con paesi terzi, vale a dire i trasporti aerei comunitari, nei confronti del quale la Comunità non ha mai esercitato un potere legislativo. Inoltre, l'unica attività economica su cui possa incidere l'art. 5 dell'accordo Bermuda II sarebbe principalmente localizzata al di fuori della Comunità.
35 Il governo britannico sostiene inoltre che, anche presupponendo l'applicabilità dell'art. 52 del Trattato, il Regno Unito non ha assolutamente violato tale norma. Da un lato, l'art. 5 dell'accordo Bermuda II non concederebbe al Regno Unito il potere di realizzare una qualsivoglia discriminazione nei confronti di altre compagnie aeree comunitarie fondata sulla proprietà o sul controllo di tali compagnie, né per quanto riguarda il loro stabilimento nel Regno Unito né relativamente alla loro designazione. D'altro lato, la facoltà di rifiutare diritti di traffico a compagnie aeree il cui controllo o la cui proprietà non facciano capo al Regno Unito o a cittadini britannici sarebbe una scelta discrezionale degli Stati Uniti d'America che il Regno Unito non era in grado di influenzare o di vietare. Infatti, il potere degli Stati Uniti d'America di realizzare una siffatta discriminazione non troverebbe origine negli accordi Bermuda I e II, cosicché il Regno Unito non potrebbe essere ritenuto responsabile della firma e dell'applicazione di un accordo che consenta tale discriminazione. Orbene, secondo il governo britannico, un'eventuale discriminazione nei confronti di cittadini comunitari da parte delle autorità di un paese terzo non rientra nelle violazioni che l'art. 52 del Trattato mira a vietare.
36 Nel corso dell'udienza, il Regno Unito ha invocato a tale proposito la sentenza 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobain ZN (Racc. pag I-6161, punti 59 e 60), da cui emergerebbe che, se è vero che in forza dell'art. 52 del Trattato uno Stato membro può essere tenuto a modificare unilateralmente la propria normativa al fine di non discriminare un'impresa di un altro Stato membro stabilita sul suo territorio, non si può per contro obbligarlo in base alla suddetta norma a modificare accordi già conclusi con paesi terzi per imporre loro nuovi obblighi. Orbene, questo sarebbe proprio quanto la Commissione esigerebbe dal Regno Unito nel caso di specie, per quanto riguarda le autorizzazioni, rilasciate dagli Stati Uniti d'America, tra l'altro ai fini dell'utilizzo del loro spazio aereo.
37 Infine, secondo il governo del Regno Unito, la Commissione non fornisce alcun esempio di compagnia aerea comunitaria che sarebbe stata pregiudicata dall'applicazione della clausola relativa alla proprietà e al controllo dei vettori aerei.
38 Anche il governo olandese conclude per la mancata violazione dell'art. 52 del Trattato da parte del Regno Unito.
Giudizio della Corte
39 Per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 52 del Trattato nella fattispecie, occorre osservare, anzitutto, che tale disposizione, la cui violazione viene addebitata al Regno Unito, si applica in materia di trasporto aereo.
40 Infatti, mentre l'art. 61 del Trattato esclude l'applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi ai servizi di trasporto, dato che questi ultimi sono regolati dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti, nessun articolo del Trattato esclude l'applicazione a detto settore delle disposizioni relative alla libertà di stabilimento.
41 Occorre constatare poi che l'applicazione dell'art. 52 del Trattato in un caso specifico non dipende dal se la Comunità abbia legiferato nel settore interessato dall'attività esercitata, ma dal se la situazione presa in considerazione sia disciplinata dal diritto comunitario. Anche se una materia rientra nella competenza degli Stati membri, tuttavia questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (v. sentenze Factortame e a., cit., punto 14; 14 gennaio 1997, causa C-124/95, Centro-Com, Racc. pag. I-81, punto 25, e 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 19).
42 Di conseguenza, l'osservazione del Regno Unito secondo cui la Comunità non ha legiferato in materia di trasporto aereo extracomunitario, anche presupponendo che sia assodata, non è tale da escludere l'applicazione dell'art. 52 del Trattato in tale settore.
43 Lo stesso è a dirsi, infine, dell'asserzione del Regno Unito in base alla quale l'unica attività economica su cui possa incidere l'art. 5 dell'accordo Bermuda II sarebbe principalmente localizzata al di fuori della Comunità. Infatti, tutte le società stabilite in uno Stato membro ai sensi dell'art. 52 del Trattato sono soggette a tale disposizione, anche qualora l'oggetto della loro attività in tale Stato consista nella prestazione di servizi verso paesi terzi.
44 Per quanto riguarda la questione se il Regno Unito abbia violato l'art. 52 del Trattato, occorre rammentare che, a termini di tale norma, la libertà di stabilimento implica l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, e in particolare di società ai sensi dell'art. 58, secondo comma, del Trattato CE (divenuto art. 48, secondo comma, CE), alle condizioni definite dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento nei confronti dei propri cittadini.
45 Gli artt. 52 e 58 del Trattato garantiscono pertanto l'applicazione del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante ai cittadini comunitari che abbiano esercitato la libertà di stabilimento e alle società ad essi equiparate (v. sentenza Saint-Gobain ZN, cit., punto 35), e questo sia per quanto riguarda l'accesso ad un'attività professionale in occasione di un primo stabilimento sia per quanto attiene all'esercizio di detta attività da parte della persona stabilita nello Stato membro ospitante.
46 La Corte ha pertanto statuito che il principio del trattamento nazionale impone allo Stato membro che abbia stipulato con un paese terzo una convenzione internazionale bilaterale per evitare la doppia imposizione di concedere agli impianti stabili di società le quali hanno sede in un altro Stato membro le agevolazioni previste dalla suddetta convenzione alle stesse condizioni praticate alle società con sede nello Stato membro contraente (v. sentenze Saint-Gobain ZN, cit., punto 59, e 15 gennaio 2002, causa C-55/00, Gottardo, Racc. pag. I-413, punto 32).
47 Nella fattispecie, l'art. 5 dell'accordo Bermuda II consente in particolare agli Stati Uniti d'America di revocare, sospendere o limitare le licenze di esercizio o le autorizzazioni tecniche di una compagnia aerea designata dal Regno Unito ma di cui una quota rilevante della proprietà e l'effettivo controllo non facciano capo a tale Stato membro o a cittadini britannici.
48 Non vi è alcun dubbio che le compagnie aeree stabilite nel Regno Unito di cui una quota rilevante della proprietà e l'effettivo controllo facciano capo a uno Stato membro diverso dal Regno Unito o a cittadini di un tale Stato membro (in prosieguo: le «compagnie aeree comunitarie») possono essere pregiudicate da tale disposizione.
49 Per contro, dalla formulazione dell'art. 3, n. 6, dell'accordo Bermuda II emerge che gli Stati Uniti d'America, in via di principio, sono tenuti ad accordare le appropriate licenze di esercizio e le richieste autorizzazioni tecniche alle compagnie aeree di cui una quota rilevante della proprietà e l'effettivo controllo facciano capo al Regno Unito o a cittadini britannici (in prosieguo; le «compagnie aeree britanniche»).
50 Da quanto precede deriva che le compagnie aeree comunitarie possono sempre essere escluse dall'applicazione dell'accordo Bermuda II, laddove le compagnie aeree britanniche beneficiano di tale applicazione. Di conseguenza, le compagnie aeree comunitarie subiscono una discriminazione che impedisce loro di beneficiare del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante, vale a dire il Regno Unito.
51 Contrariamente a quanto sostiene quest'ultimo, tale discriminazione trova direttamente la propria origine non nell'eventuale comportamento degli Stati Uniti d'America ma nell'art. 5 dell'accordo Bermuda II, che riconosce proprio agli Stati Uniti d'America il diritto di adottare un siffatto comportamento.
52 Pertanto, avendo concluso e applicato il suddetto accordo, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell'art. 52 del Trattato.
53 Tale osservazione non può essere rimessa in discussione dall'argomentazione che il Regno Unito ricava dal ragionamento seguito dalla Corte ai punti 59 e 60 della citata sentenza Saint Gobain ZN.
54 Nell'ambito di questi punti la Corte si è limitata a dichiarare che l'estensione ai centri di attività stabili di società aventi la propria sede in uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania di un'agevolazione fiscale prevista da una convenzione internazionale bilaterale, conclusa da quest'ultima con un paese terzo, poteva essere decisa unilateralmente dalla Repubblica federale di Germania senza pregiudicare affatto i diritti dei paesi terzi derivanti dalla suddetta convenzione e senza imporre a tale paese terzo nuovi obblighi. Questo non significa peraltro che, quando la violazione del diritto comunitario derivi direttamente da una disposizione di un accordo internazionale bilaterale concluso da uno Stato membro successivamente alla sua adesione alla Comunità, la Corte si trovi nell'impossibilità di constatare tale violazione al fine di non pregiudicare i diritti che i paesi terzi ricavano proprio dalla disposizione che viola il diritto comunitario.
Sulla giustificazione relativa all'art. 56 del Trattato
Argomenti delle parti
55 Il Regno Unito sostiene che, anche se sussistesse una discriminazione manifestamente contraria all'art. 52 del Trattato, sarebbe giustificata da ragioni di ordine pubblico, conformemente all'art. 56 del Trattato. In particolare, il Regno Unito invoca un interesse di ordine pubblico a conservare il diritto di revocare, sospendere, limitare o assoggettare a condizioni le licenze di esercizio o le autorizzazioni tecniche di una compagnia aerea designata dagli Stati Uniti d'America, ma detenuta ed effettivamente controllata da altri paesi terzi o dai loro cittadini. Se la posizione della Commissione venisse accettata, gli Stati membri perderebbero il loro potere di limitare l'accesso di qualsiasi compagnia aerea che gli Stati Uniti d'America dovessero scegliere di designare. Le conseguenze connesse a tale perdita di potere travalicherebbero gli aspetti puramente economici e includerebbero considerazioni di politica estera, di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
56 La Commissione sostiene che l'eccezione prevista dall'art. 56 del Trattato per motivi di ordine pubblico costituisce una deroga ad una libertà fondamentale e deve essere quindi interpretata in modo restrittivo (v. sentenza 10 luglio 1986, causa 79/85, Segers, Racc. pag. 2375). Tale eccezione non potrebbe mai essere invocata al fine di perseguire finalità di natura economica (sentenza 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders e a., Racc. pag. 2085). Inoltre, la Commissione rileva che, alla luce delle disposizioni della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850), con cui si prescrive che le considerazioni di ordine pubblico siano connesse al comportamento di un individuo e non si fondino semplicemente su un'attitudine generale, non sembra che l'art. 5 dell'accordo Bermuda II, nell'operare una discriminazione nei confronti di un'intera categoria di operatori, possa essere giustificato grazie a ragioni di ordine pubblico a norma dell'art. 56 del Trattato.
Giudizio della Corte
57 Occorre rammentare che, secondo una costante giurisprudenza, il ricorso alla giustificazione fondata su motivi di ordine pubblico, prevista dall'art. 56 del Trattato, presuppone la necessità di preservare una misura discrimininatoria al fine di far fronte ad una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività (v., in tal senso, sentenze 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau, Racc. pag. 1999, punto 35; 29 ottobre 1998, causa C-114/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-6717, punto 46, e 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa, Racc. pag. I-11, punto 21). Ne risulta che deve esistere un nesso diretto tra tale minaccia che, del resto, deve essere attuale, e la misura discriminatoria adottata per farvi fronte (v., in tale senso, citate sentenze Bond van Adverteerders e a., punto 36, e Calfa, punto 24).
58 Nella fattispecie si deve constatare che l'art. 5 dell'accordo Bermuda II non limita la facoltà di rifiutare le licenze di esercizio o le autorizzazioni tecniche richieste ad una compagnia aerea designata dall'altra parte alla sola ipotesi in cui tale compagnia rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico della parte che accorda le suddette licenze di esercizio e autorizzazioni.
59 Comunque, non esiste alcun nesso diretto tra tale minaccia, tra l'altro ipotetica, per l'ordine pubblico del Regno Unito che la designazione di una compagnia aerea da parte degli Stati Uniti d'America potrebbe rappresentare e la discriminazione generalizzata nei riguardi delle compagnie aeree comunitarie.
60 Di conseguenza, la giustificazione dedotta dal Regno Unito ai sensi dell'art. 56 del Trattato deve essere respinta.
61 Tenuto conto dell'insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre dichiarare che il Regno Unito, avendo concluso ed applicato un accordo relativo ai servizi aerei, siglato il 23 luglio 1977 con gli Stati Uniti d'America, il quale prevede la revoca, la sospensione o la limitazione di diritti di traffico da parte di tale paese terzo qualora i vettori aerei indicati dal Regno Unito non siano di proprietà di quest'ultimo o di cittadini britannici, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell'art. 52 del Trattato.
Sulle spese
62 Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Regno Unito, rimasto soccombente, va condannato alle spese.
63 Conformemente all'art. 69, n. 4, del regolamento di procedura, il Regno dei Paesi Bassi sopporta le proprie spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
dichiara e statuisce:
1) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, avendo concluso ed applicato un accordo relativo ai servizi aerei, siglato il 23 luglio 1977 con gli Stati Uniti d'America, il quale prevede la revoca, la sospensione o la limitazione di diritti di traffico da parte di tale terzo qualora i vettori aerei indicati dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non siano di proprietà di quest'ultimo o di cittadini britannici, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE).
2) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è condannato alle spese.
3) Il Regno dei Paesi Bassi sopporta le proprie spese.