61998C0281

Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 25 novembre 1999. - Roman Angonese contro Cassa di Risparmio di Bolzano SpA. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretore di Bolzano - Italia. - Libera circolazione delle persone - Accesso al lavoro - Attestato di bilinguismo rilasciato da un'amministrazione locale - Art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) - Regolamento (CEE) n. 1612/68. - Causa C-281/98.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-04139


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1 La presente fattispecie ha come sfondo lo speciale regime linguistico della provincia autonoma italiana di Bolzano. Essa ha ad oggetto le condizioni di assunzione poste da un datore di lavoro privato secondo cui i candidati ad un impiego debbono essere in possesso di uno specifico certificato di conoscenza delle lingue tedesca e italiana rilasciato dalle autorità provinciali.

II - I fatti e il contesto giuridico

2 La Cassa di Risparmio di Bolzano SpA, un'impresa bancaria privata (in prosieguo: la «convenuta»), pubblicava il 9 luglio 1997 su «Dolomiten», un quotidiano locale di Bolzano, un bando di concorso. Le candidature dovevano essere presentate entro il 1_ settembre 1997. Il bando richiedeva il possesso di un attestato di bilinguismo italiano e tedesco di tipo B, noto come «patentino», quale condizione per la partecipazione al concorso. Il «patentino» era richiesto per quelle che usualmente erano definite carriere di concetto del pubblico impiego della provincia di Bolzano. Esso viene rilasciato esclusivamente dalle autorità di Bolzano. All'epoca che qui rileva, ogni anno venivano fissate quattro sessioni di esami per ottenere il «patentino», con un intervallo minimo previsto di 30 giorni tra la prova scritta e quella orale. Tali sessioni di esame venivano tenute presso un'unica sede, nella provincia. Il decreto presidenziale applicabile (1) dispone che le prove scritte e orali di capacità linguistica debbono presentare pari difficoltà per ambedue le lingue. A tali esami partecipano quasi esclusivamente i residenti della provincia (2).

3 L'attore nel procedimento principale, il signor Angonese (in prosieguo: l'«attore»), è un cittadino italiano che, secondo quanto risulta, è considerato dalla competente autorità locale come residente in Bolzano fin dalla nascita. Egli è perfettamente bilingue ma, all'epoca che qui rileva, non era in possesso del «patentino» (3). Cionondimeno, lo stesso presentava la domanda di partecipazione al concorso e produceva certificati relativi ai suoi studi in inglese, polacco e talune altre lingue slave presso la facoltà di filosofia dell'Università di Vienna dal 1993 al 1997 (che finora non sono stati sanciti dal rilascio di un diploma) come pure alla sua esperienza di geometra e di traduttore polacco-italiano in Cracovia. La convenuta negava l'ammissione al concorso del ricorrente e quest'ultimo, di conseguenza, agiva in giudizio contro la convenuta dinanzi al Pretore di Bolzano (in prosieguo: il «giudice nazionale»), chiedendo di sentire annullare la clausola che prescriveva il possesso di un «patentino» (in prosieguo: la «clausola controversa») e il risarcimento del danno per la perdita di una chance.

4 Gli argomenti svolti dalle parti si sono incentrati sull'art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) e sugli artt. 3, n. 1, e 7, nn. 1 e 4, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (4). Tale regolamento così dispone:

«Articolo 3

1. Nel quadro del presente regolamento non sono applicabili le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro:

- che limitano o subordinano a condizioni non previste per i nazionali la domanda e l'offerta d'impiego, l'accesso all'impiego ed il suo esercizio da parte degli stranieri;

- o che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall'impiego offerto.

Il disposto del comma precedente non concerne le condizioni relative alle conoscenze linguistiche richieste in relazione alla natura dell'impiego offerto.

(...)

Articolo 7

1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

(...)

4. Tutte le clausole di contratti collettivi o individuali o di altre regolamentazioni collettive concernenti l'accesso all'impiego, l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e di licenziamento, sono nulle di diritto nella misura in cui prevedano o autorizzino condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri».

III - L'ordinanza di rinvio pregiudiziale

5 Il giudice nazionale ha sottoposto a questa Corte la seguente questione affinché si pronunci in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 234 CE):

«Se possa considerarsi compatibile con gli artt. 48, nn. 1, 2, 3 del Trattato CE e 3, n. 1, nonché 7, nn. 1 e 4, regolamento (CEE) n. 1612/68, la subordinazione della partecipazione al concorso per la copertura di posti di lavoro presso impresa di diritto privato, al possesso di certificato ufficiale di conoscenza di lingue locali rilasciato da una sola pubblica amministrazione di un solo Stato membro presso un'unica sede di esame (nella specie a Bolzano) ed in esito ad una procedura di durata non indifferente (nella specie, è previsto intervallo minimo tra prova scritta e prova orale di non meno 30 giorni)».

6 Il giudice nazionale nella sua ordinanza di rinvio pregiudiziale osserva che le persone che non sono già residenti in Alto Adige, regione autonoma di cui fa parte la provincia di Bolzano, incontrano difficoltà nell'entrare in possesso di un «patentino», mentre molti residenti lo ottengono per forza di cose a conclusione del ciclo di studi di scuola secondaria. Le scadenze previste per il procedimento di assunzione stabilite dalla convenuta nella presente fattispecie rendevano difficile, se non impossibile, per un potenziale candidato che già non fosse in possesso del «patentino», conseguirne uno prima della data di scadenza per la presentazione delle domande. Inoltre, secondo il suo punto di vista, era teoricamente possibile dimostrare un'adeguata conoscenza di ambedue le lingue altrimenti, a mezzo della gara di concorso stessa o tramite la produzione di attestati di qualifica professionale rilasciati da altri organismi o tramite la produzione di un «patentino» conseguito secondo le debite modalità, dopo la scadenza della data di presentazione delle candidature. Il giudice nazionale avanzava quindi l'ipotesi che il detto requisito potrebbe costituire una discriminazione indiretta basata sulla nazionalità, tramite l'applicazione di un criterio strettamente connesso con la residenza. Detto giudice ha in particolare citato la sentenza di questa Corte nella causa Groener secondo cui «il principio di non discriminazione osta ad una disposizione secondo la quale le conoscenze linguistiche in causa debbono essere acquisite sul territorio nazionale» (5).

7 Il giudice nazionale ha anche osservato che le norme comunitarie sulla libera circolazione dei lavoratori non si applicano a situazioni puramente interne ad uno Stato membro (6). Il detto giudice ha avanzato l'ipotesi che il fattore di collegamento tra i fatti relativi alla causa in esame e la normativa comunitaria potrebbe riscontrarsi nel periodo di studi svolti dall'attore in Austria. Alternativamente, qualora la clausola impugnata dovesse essere in contrasto col diritto comunitario per una ipotetica violazione di diritti di terzi, cittadini di altri Stati membri, essa sarebbe nulla di diritto per effetto dell'art. 1418 del codice civile italiano. Ai sensi dell'art. 1421 del codice civile italiano, la nullità «può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice». Qualora la clausola controversa, o l'art. 19 del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle Casse di risparmio del 19 dicembre 1994 (in prosieguo: il «contratto collettivo del 1994»), che consentivano alla convenuta di fissare le condizioni di assunzione, dovessero risultare nulli ai sensi dell'art. 7, n. 4, del regolamento n. 1612/68 in quanto hanno discriminato o consentito una discriminazione basata sulla nazionalità, l'attore potrebbe fare affidamento nella relativa declaratoria di nullità da parte del giudice nazionale anche se la sua situazione non presenta fattori di collegamento con il diritto comunitario. L'art. 19 del contratto collettivo del 1994 prevede che le Casse di risparmio sono libere di stabilire se l'assunzione di personale deve avvenire tramite concorsi interni per titoli e/o esami ovvero con criteri di selezione fissati aziendalmente dalle Casse di risparmio. L'art. 21 dispone che, ai fini dell'assunzione, i candidati devono produrre, su domanda, tra l'altro, ogni documento che l'azienda dovesse ritenere necessario.

IV - Osservazioni

8 Hanno presentato osservazioni scritte e orali l'attore, la convenuta, la Repubblica italiana e la Commissione. I predetti hanno incentrato le loro osservazioni su tre punti, ed in particolare: i) l'esistenza di un fattore di collegamento con il diritto comunitario, ii) se le disposizioni che qui rilevano siano applicabili ad un'impresa privata e iii) se l'attore abbia subito una discriminazione illegittima.

i) L'esistenza di un fattore di collegamento con il diritto comunitario

9 La convenuta e il governo italiano ritengono che la presente fattispecie non presenti fattori di collegamento ai fini dell'applicazione del diritto comunitario, dal momento che l'attore è un cittadino italiano residente in Italia il quale, all'epoca che qui rileva, non possedeva alcun titolo effettivo di studi non italiano e la convenuta è una società stabilita in Italia. Essi affermano che, al fine di beneficiare della giurisprudenza instauratasi con la causa Knoors/Secretary of State for Economic Affairs (7), può tenersi conto del periodo di tempo trascorso studiando all'estero nell'esercizio di diritti comunitari solo se da esso è derivato un titolo di studio pertinente o un tirocinio riconosciuto - condizione che nella presente fattispecie non ricorre, dal momento che gli studi che l'attore ha svolto a Vienna non hanno attinenza con la professione bancaria e che egli non potrebbe avvalersene ai fini del concorso. Altrimenti, brevi scambi educativi o persino periodi brevi come un giorno trascorsi all'estero come turista potrebbero, alquanto arbitrariamente, conferire alla persona la possibilità di invocare la normativa comunitaria contro il proprio Stato membro. Inoltre, l'attore non ha mai formalmente trasportato la propria residenza da Bolzano a Vienna. Le disposizioni del codice civile italiano sulla nullità non possono rimediare all'ipoteticità, e pertanto all'irricevibilità del rinvio pregiudiziale.

10 La Commissione riconosce che la fattispecie relativa alla presente causa può distinguersi da quelle relative a precedenti giurisprudenziali come la causa Kraus/Land Baden-Württemberg (8) e che l'inclusione dell'attore nell'ambito operativo del diritto comunitario costituirebbe un significativo nuovo passo in avanti nella giurisprudenza. La Commissione cionondimeno deduce che un fattore di collegamento con il diritto comunitario potrebbe ravvisarsi nell'esercizio da parte dell'attore del diritto di libera circolazione come studente per seguire all'estero un corso di formazione professionale e nel fatto che lo stesso intendeva assumere un impiego in Bolzano a conclusione dei suoi studi. Rispondendo a quesiti rivoltigli da questa Corte nel corso dell'udienza circa l'importanza, per l'accertamento di un fattore di collegamento con il diritto comunitario, degli studi di cui trattasi, della loro durata e del lasso di tempo intercorso tra la fine degli studi e il richiamo alle norme di diritto comunitario, l'agente della Commissione ha sostenuto che la durata degli studi dell'attore ed il loro carattere recente non sollevavano problemi nella fattispecie. Per il resto, pochi sono coloro che trovano un lavoro perfettamente corrispondente ai loro studi e non vi sarebbe ragione di adottare in materia un approccio troppo restrittivo. L'agente della Commissione ha altresì osservato che la circostanza che l'attore sia stato iscritto anagraficamente come residente in Bolzano, nonostante il periodo di studi in Austria, era irrilevante. La direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, 93/96/CEE, relativa al diritto di soggiorno degli studenti (9) fa menzione (nella versione italiana) di un diritto di soggiorno (diritto di soggiorno significa diritto di temporanea dimora) distinto dal diritto di residenza e l'attore si è manifestamente avvalso del diritto di soggiorno in Austria nello svolgimento dei suoi studi.

ii) Norme applicabili ad un'impresa privata

11 La Commissione e l'attore deducono che l'art. 19 del contratto collettivo del 1994 conferisce valore di legge alla clausola controversa che esige il possesso del «patentino», e, pertanto, entro i limiti di tale accezione deve ritenersi che tale clausola applichi criteri discriminatori incompatibili con l'art. 7, n. 4, del regolamento n. 1612/68. Essendogli stato domandato, nel corso dell'udienza, se la Commissione si collocasse nell'ottica di una possibile applicazione diretta dell'art. 48 del Trattato CE alle relazioni contrattuali tra i datori di lavoro privati e gli impiegati, l'agente della Commissione ha dichiarato che non era necessario sollevare tale aspetto nella presente fattispecie, poiché erano già sufficienti gli argomenti da lui dedotti a proposito del contratto collettivo del 1994. La convenuta ribatte che i singoli datori di lavoro non sono destinatari degli obblighi derivanti dal regolamento n. 1612/68 per quanto riguarda le condizioni di assunzione e che la clausola controversa di assunzione non presenta nella fattispecie in esame collegamenti con il disposto del contratto collettivo del 1994. L'art. 7, n. 1, del detto regolamento fa esclusivamente riferimento alle condizioni poste ai lavoratori in altri Stati membri. L'applicazione dell'art. 48 del Trattato CE ai contraenti privati è limitata alle ipotesi in cui questi pongano condizioni a un intero settore economico tramite la contrattazione collettiva (10).

iii) Discriminazione illegittima subita dall'attore

12 L'attore afferma che la clausola controversa costituisce una discriminazione per coloro che non sono residenti in Bolzano i quali sono svantaggiati in quanto è meno probabile che abbiano sostenuto gli esami per il «patentino». Inoltre, il «patentino» non ha particolare rilevanza per la terminologia bancaria. Egli lamenta il fatto che il possesso del «patentino» costituisse un prerequisito per l'ammissibilità al concorso, non già un titolo da valutare comparativamente con altri per accertare l'idoneità dei candidati. La Commissione deduce che il possesso del «patentino», quale prova di bilinguismo, è una condizione giustificabile per l'impiego in Bolzano, ma che gli ostacoli pratici per conseguirlo sono sproporzionati e incidono essenzialmente sui cittadini non residenti nella provincia. La convenuta sostiene che la clausola controversa non è discriminatoria, perché è obiettivamente giustificata dalla libertà di una ditta privata di adottare la politica di assunzione che preferisce, che è appropriata alle sue operazioni in un'area geografica bilingue e senza dover espletare una propria valutazione di bilinguismo tramite colloqui orali con tutti i candidati. Il «patentino» è la sola qualifica linguistica destinata specificamente a attestare il bilinguismo nelle due lingue qui in considerazione, la tedesca e l'italiana. Ad ogni modo, l'attore non è in possesso di qualifiche che siano, anche solo potenzialmente, equivalenti, di modo che la sua argomentazione è puramente ipotetica.

V - Analisi

13 Le osservazioni presentate alla Corte individuano, a mio modo di vedere correttamente, gli aspetti da affrontare nella presente fattispecie. Inevitabilmente, essi non sono del tutto indipendenti l'uno dall'altro. In particolare, come si vedrà più sotto, la questione se la situazione dell'attore presenti un nesso sufficiente con il diritto comunitario è inevitabilmente legata alla natura della sua pretesa di essere vittima di una discriminazione vietata dal detto diritto.

i) Esistenza di un fattore di collegamento con il diritto comunitario

14 E' giurisprudenza consolidata che «le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei lavoratori non possono (...) essere applicate a situazioni puramente interne di uno Stato membro, cioè in mancanza di qualsiasi fattore di collegamento ad una qualunque delle situazioni contemplate dal diritto comunitario» (il corsivo è mio)(11). Le espressioni evidenziate in corsivo hanno acquisito lo status di termini utilizzati per esprimere il criterio di applicabilità del diritto comunitario.

15 I diritti conferiti ai lavoratori dall'art. 48 del Trattato CE e dai relativi provvedimenti di attuazione sono tipicamente e più frequentemente invocati dai lavoratori cittadini di uno Stato membro che intendono trasferirsi nel territorio di un altro Stato membro per ivi cercare una occupazione. La Corte ha altresì riconosciuto che una persona può invocare le dette disposizioni, o quelle relative al diritto di stabilimento e alla prestazione di servizi, nei confronti del proprio Stato membro qualora la situazione in cui si trova sia equiparabile a quella di un lavoratore migrante o di un lavoratore autonomo straniero o di un prestatore di servizi in ragione del suo pregresso esercizio del diritto comunitario alla libertà di circolazione.

16 Vorrei, in primo luogo, soffermarmi su un certo numero di precedenti giurisprudenziali in cui la Corte ha ritenuto doversi ravvisare la condizione di un fattore di collegamento con il diritto comunitario. Nella causa Knoors (12), la Corte ha dichiarato che i cittadini di tutti gli Stati membri possono invocare le disposizioni di una direttiva del Consiglio sul riconoscimento dei periodi di esperienza lavorativa trascorsi all'estero ai fini dell'autorizzazione a svolgere talune attività (13), anche per impugnare norme applicate dallo Stato di cui sono cittadini. Le libertà, garantite, tra l'altro, dall'art. 48 del Trattato, le quali «sono fondamentali nel sistema della Comunità, non sarebbero infatti pienamente realizzate se gli Stati membri potessero impedire di fruire del diritto comunitario a quelli tra i loro cittadini che si sono valsi delle possibilità offerte in materia di circolazione e di stabilimento e che hanno acquistato, grazie ad esse, le qualifiche professionali contemplate dalla direttiva per un paese membro diverso da quello di cui posseggono la cittadinanza» (14).

17 Nella causa Broekmeulen/Huisarts Registratie Commissie (15), la Corte ha seguito lo stesso ragionamento consentendo che un medico di nazionalità olandese invocasse due direttive del Consiglio aventi ad oggetto il riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli per l'attività di medico (16). L'interessato aveva ottenuto la qualifica di medico in Belgio. Le autorità olandesi responsabili per la registrazione dei medici generici esigevano che egli svolgesse un periodo di formazione professionale aggiuntivo di un anno. Ad un analogo risultato la Corte è pervenuta nella causa Gullung/Conseils de l'Ordre des Avocats du Barreau de Colmar et de Saverne (17). Ad una persona in possesso di due nazionalità, e che era stata ammessa all'esercizio della professione legale in uno degli Stati membri di cui possedeva la cittadinanza, è stato riconosciuto il diritto di invocare le disposizioni della direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare l'esercizio effettivo della prestazione di servizi da parte degli avvocati (18) nel territorio di un altro Stato membro, sempre che le condizioni di applicazione della detta direttiva fossero soddisfatte.

18 In queste cause, a prescindere dalla cittadinanza delle persone che si appellavano alla normativa comunitaria in esame, ricorreva un intrinseco elemento transfrontaliero. La normativa prescriveva che, ai fini dell'autorizzazione dello svolgimento di un'attività economica, uno Stato membro riconoscesse le qualifiche professionali acquisite da ogni cittadino comunitario in un altro Stato membro ovvero riconoscesse i periodi di attività lavorativa subordinata o autonoma considerati equivalenti a tali qualifiche e che erano di rilevanza immediata per la detta attività (19).

19 Nella causa Bouchoucha (20), il convenuto, un cittadino francese, era penalmente perseguito per aver praticato in Francia l'osteopatia, attività riservata ai medici. L'interessato aveva ottenuto nel Regno Unito un diploma in osteopatia che gli consentiva di svolgere la detta attività in tale paese. La Corte ha dichiarato che egli, pur essendo un cittadino francese che esercitava in Francia la sua professione, era però titolare di un diploma professionale rilasciato in un altro Stato, e che, non essendo l'oggetto della causa limitato ad un solo Stato, dovevano pertanto dichiararsi applicabili le disposizioni del Trattato sulla libertà di circolazione (21). Essa ha però statuito che, in mancanza di disposizioni sul reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali in osteopatia, la Francia era legittimata a riservare l'attività di cui trattasi ai titolari di un diploma di laurea in medicina (22). Analogamente, nella causa Fernández de Bobadilla/Museo Nacional del Prado (23), la Corte ha esaminato una pretesa discriminazione nell'accesso ad un posto di restauratore di opere d'arte in Spagna, lamentata da un cittadino spagnolo che vantava nel detto settore un diploma rilasciato nel Regno Unito.

20 Nella causa Kraus, la Corte si è dedicata ad esaminare la situazione alquanto diversa di un cittadino tedesco che chiedeva semplicemente alle autorità tedesche di riconoscergli il diritto di usare un titolo accademico post-laurea conferitogli da un'università del Regno Unito a conclusione di un corso di studi ivi svolto. La Corte ha rilevato che, per quanto il possesso di un titolo universitario post-laurea non sia di norma un requisito preliminare per l'accesso ad una professione, esso attribuisce un vantaggio sia per accedere a tale attività, sia per esercitarla con maggior profitto (24) . Esso può aumentare le possibilità del suo titolare rispetto ai candidati privi di siffatta qualifica supplementare attestando le capacità del primo ai fini di un determinato posto e, se del caso, la sua padronanza della lingua del paese in cui è stato rilasciato (25). Inoltre, una siffatta qualifica professionale addizionale può rivelarsi necessaria per l'accesso a taluni posti accademici, o può contribuire a una più rapida promozione o facilitare lo stabilimento di un lavoratore libero professionista (26). La Corte ha pertanto concluso «che la situazione di un cittadino comunitario in possesso di un diploma universitario post-laurea ottenuto in un altro Stato membro, che agevoli l'accesso ad una professione o, quanto meno, l'esercizio di un'attività economica, è disciplinata dal diritto comunitario, anche per quanto riguarda i rapporti tra tale cittadino e lo Stato membro cui egli appartiene»(27).

21 Si può brevemente menzionare anche la sentenza della Corte nella causa Singh, per quanto sia priva di relazioni con il riconoscimento di titoli o di altre qualifiche professionali (28). La detta causa riguardava il marito indiano di una cittadina del Regno Unito. Dopo aver lavorato due anni in Germania, i coniugi erano ritornati nel Regno Unito per esercitarvi un'attività commerciale. Come conseguenza del diritto della moglie alla libera circolazione per l'esercizio di un'attività economica, la Corte ha ritenuto che il diritto del marito di recarsi nel Regno Unito e di restarvi con la propria moglie era disciplinato dall'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE) e dalla direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, n. 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazioni di servizi (29). La Corte ha dichiarato che il cittadino di uno Stato membro sarebbe disincentivato dal lasciare il suo Stato di origine per esercitare un'attività lavorativa subordinata o autonoma come previsto dal Trattato in un altro Stato membro qualora, ritornando nello Stato membro di cui è cittadino per esercitare un'attività subordinata o autonoma, le condizioni per entrare e risiedere o quelle applicate al coniuge e ai suoi figli non fossero almeno equivalenti a quelle che sono loro garantite dal Trattato o dal diritto comunitario derivato nel territorio di un altro Stato membro (30).

22 Prima di ritornare sull'applicazione dei suesposti principi al caso in esame, vorrei citare alcune cause nelle quali la Corte ha giudicato che la fattispecie era estranea al campo d'applicazione del diritto comunitario. In fattispecie nelle quali un cittadino comunitario contestava norme applicate dallo Stato membro di appartenenza, la Corte ha rifiutato di considerare sufficiente fattore di collegamento con il diritto comunitario la possibilità meramente ipotetica che l'interessato esercitasse diritti inerenti alla libertà di circolazione. Nella causa Moser, ad esempio, un cittadino tedesco che aveva sempre vissuto e risieduto in Germania (31) sosteneva, per dimostrare l'esistenza di un nesso con le norme di diritto comunitario invocate, che l'applicazione della normativa tedesca che gli impediva l'accesso alla professione di insegnante nel detto paese poiché non offriva garanzie sufficienti di fedeltà alla costituzione (era ritenuto membro del partito comunista) gli precludeva la possibilità di presentare la propria candidatura a posti di insegnante nelle scuole di altri Stati membri (32). La Corte ha disatteso tale tesi, dichiarando che «la prospettiva puramente ipotetica, di una carriera professionale in un altro Stato membro non presenta un nesso sufficiente con il diritto comunitario, tale da giustificare l'applicazione dell'art. 48 del Trattato» (33).

23 Allo stesso modo la Corte ha affrontato la fattispecie relativa alla causa Kremzow/Stato austriaco (34). Essa si è dichiarata incompetente ad esaminare se la privazione della libertà personale di un cittadino austriaco a seguito di sentenza di condanna a pena detentiva pronunciata dai giudici austriaci per omicidio e possesso di armi da fuoco costituisse un'illegittima restrizione della libertà di circolazione del detenuto, dichiarando che «anche se ogni privazione di libertà è tale da ostacolare l'esercizio da parte dell'interessato del suo diritto alla libera circolazione, (...) la prospettiva puramente ipotetica di un tale esercizio non presenta un nesso sufficiente con il diritto comunitario tale da giustificare l'applicazione delle disposizioni comunitarie»(35) .

24 Anche il fatto che un operatore economico risieda in uno Stato membro diverso da quello nel quale presta la sua attività, può non bastare a dimostrare un nesso sufficiente con il diritto comunitario. Nella causa Werner/Finanzamt Aachen-Innenstadt (36), un cittadino tedesco che risiedeva nei Paesi Bassi e che svolgeva attività lavorativa autonoma di dentista in Germania, dove egli guadagnava praticamente tutti i suoi redditi, contestava la normativa fiscale tedesca che negava ai non residenti, assoggettati ad imposta limitatamente ai redditi prodotti in Germania, il beneficio dell'aliquota agevolata del reddito complessivo coniugale (splitting tarif) e la deduzione dal reddito imponibile di vari contributi assicurativi obbligatori, spese e prelievi fiscali. La Corte ha statuito che l'art. 52 del Trattato CE non osta ad una più gravosa imposizione fiscale sui cittadini non residenti (37), con questa motivazione:

«Il signor Werner è un cittadino tedesco che ha acquisito in Germania il proprio diploma e le proprie qualifiche professionali, che ha sempre svolto la propria attività professionale in tale paese e nei confronti del quale viene applicata la normativa tributaria tedesca. L'unico elemento che esula da un contesto puramente nazionale è dato dal fatto che il signor Werner risiede in uno Stato membro diverso da quello in cui svolge la propria attività professionale» (38).

25 L'avvocato generale Darmon affermò espressamente di considerare la situazione del signor Werner non paragonabile dal punto di vista della possibile applicazione dell'art. 52 del Trattato CE a quella di un cittadino olandese che vivesse nei Paesi Bassi e che svolgesse attività lavorativa autonoma in Germania (39). Egli esaminò la giurisprudenza sopra sinteticamente esposta, partendo dalla premessa che il cittadino di uno Stato membro poteva essere considerato come un lavoratore migrante, subordinato o autonomo, solo se il diritto alla libera circolazione era stato esercitato anteriormente per poter svolgere un'attività economica (40). Inoltre, il fatto che il signor Werner avesse la residenza nei Paesi Bassi gli impediva di avvalersi del Trattato e della normativa comunitaria relativa alla abolizione delle limitazioni alla libertà di circolazione per ricevere prestazioni di servizi (41). Non è dato di basare alcuna argomentazione sulle direttive riguardanti il diritto di residenza di soggetti non economicamente attivi, perché esse non erano in vigore nel periodo che qui rileva (42).

26 Di certo, emerge con chiarezza dalla successiva sentenza Schumacker (43) che la pretesa del signor Werner è stata disattesa solo perché egli aveva la cittadinanza dello Stato membro (Germania) di cui impugnava le disposizioni fiscali. Nella causa Schumacker, l'attore era un cittadino belga, che ivi risiedeva. Egli ricavava il suo intero reddito da un impiego in Germania ed era assoggettato, in quanto non residente, sostanzialmente alla stessa normativa fiscale tedesca che veniva applicata al signor Werner. Il suo caso ricadeva sotto il diritto comunitario in ragione della sua cittadinanza belga e l'applicazione delle disposizioni fiscali tedesche venne giudicata, nella fattispecie, in contrasto con l'art. 48 del Trattato CE. Tale contrasto sottolinea la regola consolidata secondo cui uno Stato membro può operare discriminazioni nei confronti dei propri cittadini a meno che essi non rientrino nel campo di applicazione di disposizioni di diritto comunitario loro favorevoli.

27 Nella presente fattispecie, l'attore sostiene che il periodo da lui trascorso a Vienna per studi di tedesco, di inglese, di polacco e di altre lingue slave, che, all'epoca che qui rileva, non si erano conclusi con il conseguimento di un diploma, gli consente di invocare, nei confronti del requisito per cui i candidati debbono essere in possesso di uno specifico attestato di bilinguismo rilasciato solo in Bolzano, il divieto di discriminazione indiretta basata sulla cittadinanza, a danno dei lavoratori migranti, sancito dal diritto comunitario. Alla luce della consolidata giurisprudenza sopra riassunta, non ritengo che tale pretesa possa essere accolta.

28 Lasciando per il momento da parte il fatto che l'attore non abbia completato i suoi studi, è, a mio modo di vedere, di primaria importanza la circostanza che tali studi, se è vero che possono essere caratterizzati come un tipo di formazione professionale secondo l'accezione dell'art. 127 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 150 CE), appaiono, cionondimeno, assai lontani per quanto riguarda il loro contenuto, da ciò che era adeguato sia ai fini dell'impiego in banca al quale il ricorrente aspirava sia ai fini del certificato di bilinguismo richiesto per i candidati al detto posto. Affinché i laureati (o gli studenti che hanno completato parte sostanziale del loro corso in modo verificabile) si avvalgano dei loro studi all'estero per dimostrare un fattore di collegamento con il diritto comunitario al fine di impugnare norme del loro proprio Stato di origine relative all'accesso ad una determinata professione, a mio modo di vedere, deve esservi un nesso più che ipotetico di tali studi vuoi con la professione in considerazione, vuoi, qualora abbia natura distinta, come nella presente fattispecie, con la norma controversa relativa all'accesso alla detta professione. Nella presente fattispecie, il ciclo di studi svolto dall'attore non ha un nesso apparente con la professione bancaria, e neppure con l'attività commerciale in senso lato. Sebbene gli studi compiuti dall'attore a Vienna non siano ipotetici nel senso in cui tale termine è stato usato nelle cause Moser e Kremzow, i fatti, quali accertati dal giudice nazionale, non suggeriscono alcun nesso tra la natura di detti studi e l'impiego cui l'attore aspirava in Bolzano ovvero le condizioni poste per accedere al detto impiego. Pertanto, in assenza di un fattore di collegamento con il diritto comunitario, l'attore non ha titolo per trarre alcun diritto dall'art. 48 del Trattato CE o da normative secondarie emanate in applicazione del detto articolo.

29 Il criterio di un nesso materiale tra, da un lato, un asserito fattore di collegamento con il diritto comunitario e, dall'altro lato, le norme comunitarie invocate e le circostanze nelle quali esse devono essere applicate, era inevitabilmente soddisfatto nelle cause Knoors, Broukmeulen e Gullung perché, come ho avuto modo di sottolineare, tali cause riguardavano direttamente l'applicabilità della normativa comunitaria sul riconoscimento delle qualifiche professionali o dei periodi di attività economica in considerazione. La causa Bouchoucha fornisce un punto di appoggio più immediato per la mia analisi: per quanto il convenuto francese nella detta causa non possedesse le qualifiche della professione medica richieste dalla normativa francese per esercitare la professione dell'osteopata, egli aveva conseguito in un altro Stato membro un diploma professionale in osteopatia, cosa che la Corte ha giudicato sufficiente per affermare che la detta fattispecie non aveva carattere puramente nazionale. Non vi è nulla da cui si possa desumere che la Corte si sarebbe pronunciata nello stesso senso qualora il convenuto avesse avuto una laurea in legge, in letteratura o in qualche altra materia priva di relazione con la detta professione. Altrettanto potrebbe dirsi della sentenza nella causa Fernández de Bobadilla. L'attrice, in tale causa, aveva conseguito il diploma di laurea dopo aver frequentato nel Regno Unito un corso di studi che aveva rilevanza diretta ai fini del posto di restauratrice di opere d'arte cui ella aspirava.

30 La causa Kraus presenta caratteristiche alquanto specifiche in quanto aveva ad oggetto il riconoscimento puramente formale di un titolo accademico. La Corte ha dichiarato che intendeva trattare la detta causa come una fattispecie disciplinata dal diritto comunitario perché il diploma universitario post-laurea di cui trattasi «attribuisce un vantaggio sia per accedere ad una attività, sia per esercitarla con maggior profitto». La Corte ha basato tale conclusione su una valutazione tanto concreta dell'importanza di tale diploma per accedere alla professione legale, o per avanzare nella stessa, sia come professionista che come accademico, quanto risultava possibile, dato il carattere astratto della fattispecie. Se nella detta causa l'attore avesse conseguito un diploma straniero in lingua inglese o polacca, il valore economico di tale diploma avrebbe dovuto essere stimato con riferimento a tutta una serie di attività professionali potenziali completamente diversa. Seguendo lo stesso ragionamento, se nella presente causa l'attore avesse presentato domanda per un posto di insegnante di inglese o di polacco, o per un posto per il quale, qualunque ne fosse la descrizione, la lingua polacca o l'inglese fossero considerate un vantaggio, per esempio, un impiego nel settore delle transazioni con la clientela straniera, ovvero per un posto per il quale la prova della padronanza di una delle due lingue o di entrambe fosse una precondizione per l'esame delle candidature, gli studi viennesi dell'attore, a mio modo di vedere, avrebbero costituito un fattore di collegamento con il diritto comunitario. Aggiungerei che la constatazione, nella sentenza Kraus, che un diploma straniero in legge potrebbe costituire una conferma della padronanza da parte del suo titolare della lingua del paese dove esso è stato concesso (44), non è direttamente rilevante nella presente fattispecie, dal momento che concerne il giudizio sull'idoneità del titolare a intraprendere un'attività economica avente relazione con la materia che costituisce l'oggetto sostanziale del diploma.

31 Ritengo che questo approccio, laddove si giudichi la sufficienza di un supposto fattore di collegamento alla luce del carattere dell'attività economica o della disposizione restrittiva in esame, trovi conforto nella sentenza pronunciata nella causa Werner, interpretata alla luce della più ampia analisi effettuata dall'Avvocato Generale Darmon, sopra menzionata. Tale causa dimostra che non tutti gli elementi di fatto transfrontalieri sono rilevanti per dimostrare l'esistenza di un fattore di collegamento con il diritto comunitario. Così, la residenza all'estero non legittima, da sola, un cittadino tedesco ad invocare le norme del Trattato sulla libertà di stabilimento contro la Germania, nel cui territorio egli ha sempre svolto la sua attività economica. Resta da chiarire - e per essere precisi si tratta di una questione completamente diversa - se, dopo l'entrata in vigore della direttiva 90/364 e dell'art. 8a del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 18 CE) chiunque si trovi nella posizione del signor Werner possa fruttuosamente arguire che la normativa fiscale tedesca costituisce una limitazione dell'esercizio dei summenzionati diritti di natura non economica in Olanda (45), ma non vedo come dette disposizioni possano incidere sulla sua mancanza di legittimazione ad invocare le distinte norme del Trattato sulla libertà di stabilimento in Germania. Analogamente, non è lecito attendersi che periodi trascorsi all'estero, ad esempio per lo studio delle lingue, possano essere tali da modificare l'approccio assunto dal diritto comunitario a proposito della tassazione dei redditi che il signor Werner ricava dalla sua professione dentistica.

32 Non ritengo che la sentenza pronunciata nella causa Singh sia inconciliabile con l'approccio testé esposto. E' vero che la Corte non ha tentato di individuare nessi tra la natura delle attività economiche della moglie in Germania e quella delle attività da lei svolte dopo essere ritornata col marito nel Regno Unito. Ad ogni modo, le norme nazionali sulla immigrazione considerate non erano connesse con alcuna particolare professione o attività economica, ma riguardavano la libertà di circolazione in quanto tale. Nelle dette circostanze era giustificato un approccio diverso e più generale che consentisse a qualsiasi cittadino del Regno Unito che avesse esercitato il suo diritto alla libera circolazione al fine di intraprendere un'attività economica di invocare il detto diritto nei confronti di norme restrittive del suo diritto di stabilirsi con la famiglia nel proprio Stato di origine.

33 Nella pregressa analisi non ho attribuito particolare importanza al fatto che l'attore non abbia completato i suoi studi all'epoca della presentazione della sua candidatura. Alla luce delle mie conclusioni sulle materie oggetto degli studi dell'attore, non è necessario risolvere prima la questione se debbano essere presi in considerazione anche studi pertinenti, ma non completati, e per i quali lo studente già possa provare documentalmente i soddisfacenti risultati conseguiti nella fase di studio raggiunta all'epoca che ci interessa, qualora essi attestino un livello di conoscenze o di esperienza professionali equivalente a quello attestato dai titoli nazionali di qualifica professionale specificamente richiesti per un determinato posto.

34 Si rende necessario altresì trattare l'argomento alternativo avanzato dal giudice nazionale - secondo cui gli artt. 1418 e 1421 del codice civile italiano consentono all'attore di beneficiare della nullità erga omnes della clausola controversa qualora risultasse dimostrato, che essa violi diritti di eventuali terzi, ad esempio di un candidato, cittadino di un altro Stato membro, in possesso di un titolo equivalente al «patentino». A mio modo di vedere, la Corte non ha competenza per statuire su diritti di siffatti ipotetici terzi, anche se tale statuizione potrebbe essere rilevante ai fini della decisione del giudice nazionale nella presente causa.

35 Dalla natura di strumento di cooperazione propria del procedimento pregiudiziale emerge che spetta solo ai giudici nazionali cui è stata sottoposta la controversia e a cui incombe la responsabilità della decisione giudiziaria, valutare, tenendo conto delle specificità di ogni causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per l'emanazione della loro sentenza, sia la rilevanza delle questioni che essi sottopongono alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dai giudici nazionali vertono sull'interpretazione di una norma di diritto comunitario, la Corte in linea di principio è tenuta a pronunciarsi. Il rigetto di una domanda formulata da un giudice nazionale è possibile solo se risulti che il procedimento pregiudiziale sia stato provocato per il tramite di una controversia fittizia, ovvero sia manifesto che il diritto comunitario non può essere applicato, né direttamente, né indirettamente, alle circostanze della fattispecie sottoposta all'esame della Corte (46). Così, la Corte ha ripetutamente dichiarato di essere competente a pronunciarsi in via pregiudiziale su questioni aventi ad oggetto disposizioni comunitarie in situazioni in cui i fatti relativi alle cause sottoposte all'esame dei giudici nazionali non rientrassero nel campo d'applicazione di disposizioni di diritto comunitario, ma tali disposizioni fossero state rese applicabili dal diritto nazionale (47).

36 Checché ne sia, la presente fattispecie non è a mio avviso comparabile con le cause Dzodzi, Leur-Bloem e Giloy. Tali cause hanno implicato la espressa estensione di norme di diritto comunitario sostanziale derivato a situazioni puramente interne comparabili a quelle disciplinate in origine dalle suddette norme di diritto comunitario. Dette norme sono spesso applicate simultaneamente, talvolta dallo stesso ente amministrativo, ma sempre a situazioni concrete che stanno alla base delle questioni pregiudiziali sottoposte dal giudice nazionale nelle dette cause. La Corte risolve le questioni sottopostele come se le norme dovessero essere interpretate per essere applicate nel loro contesto comunitario (48), sulla base però di fatti rilevanti ai fini di una controversia di carattere puramente nazionale alla quale tali norme pure si applicano.

37 Così non è il presente caso. Le norme comunitarie che vietano la discriminazione nei confronti dei lavoratori sulla base della cittadinanza e che sono state invocate dall'attore costituiscono un criterio di portata assai generale, la cui applicabilità ed i cui effetti variano a seconda delle circostanze. Ciò vale in particolare per quanto riguarda il problema della discriminazione indiretta (49). Ho già concluso che le dette norme non si applicano direttamente ad una persona che si trovi nella situazione dell'attore. Esse non sono state espressamente estese alla sua situazione personale dalla normativa italiana, né è agevole prevedere che ciò possa avvenire, stante la necessità di un elemento di confronto in ogni analisi in materia di discriminazione. Qualora la Corte cercasse di stabilire se le dette norme possano, cionondimeno, costituire indirettamente un vantaggio per l'attore, in ragione dell'efficacia erga omnes di una dichiarazione di nullità nel diritto italiano, ci si troverebbe di fronte ad un procedimento coartato o fittizio ben diverso dalle cause Dzodzi e Giloy, per la semplice ragione che le tali norme proteggerebbero dall'incondizionata applicazione della clausola controversa una persona che si troverebbe in una situazione del tutto differente.

ii) Norme applicabili ad un'impresa privata

38 Qualora, contrariamente al punto di visto che ho sopra espresso, la presente fattispecie dovesse rientrare nel campo d'applicazione del diritto comunitario, il giudice nazionale con la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte, chiede che questa si pronunci sui limiti entro i quali i datori di lavoro privati sono soggetti all'obbligo di non discriminare in base alla nazionalità. Non sono persuaso dalla tesi della Commissione che la clausola controversa debba essere annullata perché era consentita dall'art. 19 del contratto collettivo del 1994, il quale, ai sensi dell'art. 7, n. 4, del regolamento n. 1612/68, deve ritenersi nullo in quanto autorizza discriminazioni fondate sulla nazionalità. L'art. 19 del contratto collettivo del 1994 non ha lo scopo di regolare le condizioni di assunzione che debbono essere attuate dai datori di lavoro. E' a mio avviso illogico, stante la sottostante autonomia degli operatori in una economia di mercato, nel cui contesto il regolamento n. 1612/68 era destinato chiaramente a trovare applicazione, forzare l'interpretazione di clausole di contratti collettivi che lasciano una particolare materia alla discrezionalità di singoli datori di lavoro, intendendole come un'autorizzazione rilasciata dalle parti del contratto collettivo, secondo l'accezione dell'art. 7, n. 4, delle condizioni che alla fine siano state imposte. In realtà, l'approccio della Commissione aggira la questione fondamentale, alla quale io voglio ora tornare, cioè se l'art. 48 del Trattato CE si applichi direttamente ai rapporti di lavoro privati, come fa, in particolare, l'art. 119 del Trattato CE (gli artt. da 117 a 128 del Trattato sono stati sostituiti dagli artt. da 136 a 143 CE). La medesima questione potrebbe porsi per quanto riguarda l'art. 7, n. 1, del regolamento n. 1612/68. L'art. 3 di tale regolamento può restare fuori discussione, in quanto si riferisce chiaramente a disposizioni e a prassi amministrative degli Stati membri. Non ritengo che il fatto che il «patentino» sia concesso da un ente pubblico sia sufficiente a mettere in gioco l'art. 3 in una fattispecie come quella in esame.

39 L'art. 7, n. 1, del regolamento (CEE) n. 1612/68 figura in un regolamento che, in linea di principio, produce effetti diretti e il divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità in esso sancito per quanto riguarda, tra l'altro, le condizioni di assunzione, non è, stante la sua formulazione, limitato ai soli enti pubblici. Inoltre, il Titolo II del regolamento n. 1612/68 pone altri obblighi a determinati organismi privati, sia tramite l'art. 7, n. 4, sia tramite le disposizioni sulla partecipazione delle parti sociali di cui all'art. 8.

40 L'art. 48, n. 2, del Trattato CE formula l'obbligo di sopprimere le discriminazioni, ma non individua alcun particolare destinatario del detto obbligo. La Corte ha già statuito che esso si applica a regole adottate da organismi privati per disciplinare su base collettiva un impiego retribuito poiché l'abolizione delle barriere tra gli Stati membri potrebbe essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio dell'autonomia giuridica da parte di associazioni ed enti di natura non pubblicistica (50). La Corte ha dichiarato che se il campo d'applicazione dell'art. 48 fosse limitato agli atti di una pubblica autorità, vi sarebbe il rischio di creare disparità nella sua applicazione (51). Può sembrare sorprendente, pertanto, che la Corte non abbia sinora avuto occasione di pronunciarsi sull'applicazione dell'art. 48 alle condizioni di impiego poste da imprese singole. Tutto quello che si può dire è che un siffatto passo non è escluso dal ragionamento seguito dalla Corte nelle cause relative ad associazioni sportive. A prima vista, si può certamente arguire che l'art. 48, n. 2, debba essere interpretato seguendo, in via analogica, il ragionamento svolto nella seconda causa Defrenne/Sabena (52) in merito all'applicabilità diretta ai datori di lavoro privati del divieto di una discriminazione retributiva diretta basata sul sesso in virtù dell'art. 119 del Trattato CE.

41 E' difficile immaginare che bandi di concorso, per esempio, aperti esclusivamente a candidati in possesso di una determinata cittadinanza o, forse peggio, formulati in modo da escludere i candidati aventi una determinata cittadinanza, possano sfuggire al divieto sancito dall'art. 48 del Trattato CE. Ad ogni modo, una serie di fattori mi dissuade dall'addentrarmi ulteriormente in tale questione nella presente fattispecie. In primo luogo, tali possibili motivi di applicazione a un datore di lavoro privato di un divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità non sono stati menzionati nella motivazione dell'ordinanza di rinvio, né trattati in modo degno di qualsiasi attenzione nelle osservazioni presentate alla Corte. La Commissione, in particolare, rispondendo ad un quesito rivoltole in udienza, non si è mostrata disposta se non a suggerire che si debba cercare la soluzione nel testo del contratto collettivo del 1994, suggerimento che ho trovato poco convincente. In secondo luogo, la presente fattispecie riguarda una asserita discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità, il cui divieto può presentare speciali problemi e difficoltà nel caso di operatori economici privati. Poiché concluderò più sotto che l'attore non potrebbe far valere una discriminazione indiretta nemmeno se la sua situazione fosse equiparabile a quella di un lavoratore comunitario non italiano, ritengo più opportuno astenermi dal fornire qualsiasi suggerimento alla Corte su questo aspetto.

iii) Discriminazione illegittima subita dall'attore

42 Ho già avuto modo di indicare innanzi che, fatti salvi gli accertamenti del giudice nazionale, non ravviso alcun necessario nesso tra gli studi svolti a Vienna dall'attore e il «patentino» richiesto dalla convenuta ai candidati ai fini del suo bando di concorso. E' ovvio, alla luce del regime linguistico della provincia di Bolzano e delle caratteristiche linguistiche della sua popolazione, che la convenuta aveva diritto di pretendere dai suoi potenziali impiegati una prova di bilinguismo. Dato il numero dei concorrenti che era lecito attendersi per il concorso, essa poteva giustamente esigere che tale prova fosse esibita contestualmente alla presentazione della candidatura, mediante richiamo alle pertinenti qualifiche già acquisite, affinché le risultasse più agevole selezionare i candidati per l'ammissione alle prove del concorso. Quindi, il fatto che gli esami per il «patentino» si tenessero quattro sole volte l'anno non mi pare costituire un problema - anzi, gli esami per molte altre qualifiche professionali sono molto meno frequenti. Inoltre, non vi è motivo che all'attività delle università e di altri istituti all'uopo riconosciuti che rilasciano titoli di studio e professionali si aggiunga inutilmente l'esigenza che anche i datori di lavoro accertino dal canto loro i meriti dei candidati che non possiedano, alla data rilevante a tal fine, un siffatto formale attestato della loro idoneità.

43 Il solo problema che potrebbe sorgere dal requisito voluto dalla convenuta che i candidati siano in possesso del «patentino» è che ciò potrebbe costituire una discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori migranti in possesso di qualifiche equivalenti rilasciate da altri enti, o limitare la loro libertà di movimento (53). Tali persone potrebbero cercare di invocare la giurisprudenza della Corte relativa ai requisiti per accertare l'equivalenza di qualifiche differenti (54). Ad ogni modo, ho già dichiarato che l'attore non si ritrova in tale posizione e che ogni discussione in proposito verrebbe ad essere del tutto ipotetica. Pertanto concludo che, nei fatti esposti alla Corte, non vi è nulla da cui possa emergere l'esistenza di una discriminazione dissimulata sulla base della nazionalità che leda l'attore o che possa essere rimediata mediante l'accertamento dell'equivalenza dei suoi studi all'attestazione di bilinguismo fornita dal «patentino».

VI - Conclusioni

44 Alla luce di quanto sopra esposto, suggerisco alla Corte di risolvere la questione sottopostale dal Pretore di Bolzano come segue:

«L'art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) e gli artt. 3, n. 1, 7, nn. 1 e 4, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, non si applicano quando si sostiene che il possesso di uno specifico attestato di bilinguismo richiesto in uno Stato membro ai candidati ad un concorso costituisca una discriminazione dissimulata basata sulla nazionalità, se tale argomento è avanzato da un cittadino di uno Stato membro che non ha mai svolto un'attività economica in altri paesi della Comunità e i cui studi in un altro Stato membro non hanno alcun punto di contatto né con la natura del posto vacante, né con le lingue in considerazione».

(1) - Decreto presidenziale 26 luglio 1976, n. 752, titolo I.

(2) - Delle 20 799 domande di partecipazione agli esami nel 1996, solo 1 077 (cioè il 5,18%) erano state presentate da candidati residenti al di fuori della provincia.

(3) - Risulta che ha ottenuto il patentino il 20 ottobre 1997.

(4) - GU 1968, L 257, pag. 2.

(5) - Causa C-379/87, Groener/Minister for Education and the City of Dublin Vocational Education Committee (Racc. 1989, pag. I-3967, punto 23; in prosieguo: «causa Groener»).

(6) - Causa 180/83, Moser/Land Baden-Württemberg (Racc. 1984, pag. 2539; in prosieguo: «causa Moser»).

(7) - Causa 115/78 (Racc. 1979, pag. 399; in prosieguo: «causa Knoors»).

(8) - Causa C-19/92 (Racc. 1993, pag. I-1663; in prosieguo «causa Kraus»).

(9) - GU 1993, L 317, pag. 59.

(10) - Causa 36/74, Walrave/Union Cycliste International (Racc. 1974, pag. 1405, punti 16 e 19); causa C-415/93, Union Royale Belge des Sociétés de Football Association e a./Bosman e a. (Racc. 1995, pag. I-4921).

(11) - Causa 175/78, Regina/Saunders (Racc. 1979, pag. 1129, punto 11). V. altresì, per esempio, per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori o la libertà di stabilimento, cause riunite 35/82 e 36/82, Morson e Jhanjan/Regno dei Paesi Bassi (Racc. 1982, pag. 3723, punto 16), Moser, loc. cit., punto 15, causa 298/84, Iorio/Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato (Racc. 1986, pag. 247, punto 14), causa 204/87, Procedimento penale contro Bekaert (Racc. 1988, pag. 2029, punto 12), cause riunite C-54/88, C-91/88 e C-14/89, Nino e altri (Racc. 1990, pag. I-3537, punto 11), cause riunite C-297/88 e C-197/89, Dzodzi (Racc. 1990, pag. I-3763, punto 23), causa C-332/90, Steen/Deutsche Bundespost (Racc. 1992, pag. I-341, punto 9), causa C-206/91, Koua Poirrez/CAF (Racc. 1992, pag. I-6685, punti 10 e 11), e causa Kraus, loc. cit., punto 15.

(12) - Loc. cit., punto 18.

(13) - Direttiva del Consiglio 7 luglio 1964, 64/427/CEE, relativa alle modalità delle misure transitorie nel settore delle attività non salariate di trasformazione delle classi 23-40 C.I.T.I. (Industria ed artigianato), GU 1964, L 117, pag. 1863.

(14) - Causa Knoors, loc. cit., punto 20. Sebbene la predetta causa riguardasse il diritto di stabilimento, la Corte nella causa Kraus, loc. cit., punto 16, ha confermato che va seguito lo stesso ragionamento per quanto riguarda l'art. 48 del Trattato CE.

(15) - Causa 246/80 (Racc. 1981, pag. 2311, punto 20; in prosieguo: «causa Broekmeulen»).

(16) - Direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE, riguardante il reciproco riconoscimento di diplomi, certificati ed altri titolo di medico, e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi, e direttiva del Consiglio 16 giugno 975, n. 75/363/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per l'attività di medico, GU 1975, L 167, pagg 1 e rispettivamente 14.

(17) - Causa 292/86 (Racc. 1988, pag. 111, punto 12; in prosieguo: «causa Gullung»).

(18) - GU 1977, L 78, pag. 17.

(19) - V. altresì causa 271/82, Auer/Pubblico Ministero (Racc. 1983, pag. 2727, punto 20).

(20) - Causa C-61/89 (Racc. 1990, pag. I-3551).

(21) - Loc. cit., punto 11.

(22) - Ibidem, punti 14-16.

(23) - Causa C-234/97 (Racc. 1999, pag. I-4773; in prosieguo: «causa Fernández de Bobadilla»).

(24) - Loc. cit., punto 18.

(25) - Ibidem, punto 19.

(26) - Ibidem, punti 20-22.

(27) - Ibidem, punto 23.

(28) - Causa C-379/90 (Racc. 1992, pag. I-4265).

(29) - GU 1973, L 172, pag. 14.

(30) - Loc. cit., punti 19 e 20.

(31) - V. altresì, per esempio, causa 20/87, Pubblico Ministero/Gauchard (Racc. 1987, pag. 4879, punti 10 e 13), e causa Steen/Deutsche Bundespost, loc. cit., punto 10.

(32) - Loc. cit., punti 16 e 17.

(33) - Ibidem, punto 18.

(34) - Causa C-299/95 (Racc. 1997, pag. I-2629; in prosieguo «causa Kremzow»).

(35) - Ibidem, punto 16. V. altresì, nel campo dei servizi, la causa C-41/90, Höfner e Elser (Racc. 1991, pag. I-1979, punto 39).

(36) - Causa C-112/91 (Racc. 1993, pag. I-429; in prosieguo: «causa Werner»).

(37) - Ibidem, punto 17.

(38) - Ibidem, punto 16.

(39) - Ibidem, punto 24 delle sue conclusioni.

(40) - Ibidem, punto 30; v. altresì le conclusioni dell'avvocato generale Mischo nella causa C-15/90, Middleburgh (1991, pag. I-4655, punto 45).

(41) - Loc. cit., punti 36-43. La non-applicazione delle norme del Trattato sulla prestazione di servizi in caso di trasferimento permanente di residenza è stata confermata dalla Corte nella causa C-70/95, Sodemare e a./Regione Lombardia (Racc. 1997, pag. I-3395).

(42) - Ibidem, v. nota 19 delle conclusioni. Le direttive in considerazione sarebbero la direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE relativa alla libertà di residenza, la direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/365/CEE, relativa alla libertà di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale, e la direttiva del Consiglio 90/366/CEE del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno degli studenti, GU 1990, L 180, pagg. 26, 28 e, rispettivamente, 30). La direttiva 90/366/CEE è stata annullata dalla Corte nella causa C-295/90, Parlamento/Consiglio (Racc. 1992, pag. I-4193) ed è stata sostituita dalla direttiva del Consiglio 93/96/CEE, loc. cit.

(43) - Causa C-279/93 (Racc. 1995, pag. I-225). V. altresì causa C-80/94, Wielockx/Inspecteur der Directe Belastingen (Racc. 1995, pag. I-2493).

(44) - Loc. cit., punto 19.

(45) - A proposito degli ostacoli posti all'uscita da uno Stato membro per l'esercizio di un'attività economica, v. le mie conclusioni 16 settembre 1999, nella causa C-190/98, Volker Graf/Filzmoser Maschinenbau Gmbh.

(46) - Cause riunite C-297/88 e C-197/89, Dzodzi (Racc. 1990, pag. I-3763, punti 33-35 e 40), causa C-231/89, Gmurzynska-Bscher (Racc. 1990, pag. I-4003, punti 18-20 e 23), causa C-28/95, Leur-Bloem/Inspecteur der Belastingdienst/Ondernemingen Amsterdam 2 (Racc. 1997, pag. I-4161, punti 24-26; in prosieguo: «causa Leur-Bloem»), e causa C-130/95, Giloy/Hauptzollamt Frankfurt am Main Ost (Racc. 1997, pag. I-4291, punti 20-22; in prosieguo: «causa Giloy»).

(47) - Causa Leur-Bloem, loc. cit., punto 27; causa Giloy, loc. cit., punto 27. Ancora, in aggiunta alle cause Dzodzi e Gmurzynska-Bscher, sopracitate, la Corte ha fatto in entrambe le dette cause riferimento alla causa 166/84, Thomasdünger/Oberfinanzdirektion Frankfurt am Main (Racc. 1985, pag. 3001), e alla causa C-384/89, Tomatis e Fulchiron (Racc. 1991, pag. I-127).

(48) - V., in particolare, causa Leur-Bloem, loc. cit., punto 33.

(49) - La sentenza Fernández de Bobadilla, loc. cit., è un buon esempio di tipo di soluzione «sub condicione», ricollegantesi strettamente alla specifica situazione delle parti, che può essere fornita a una questione avente ad oggetto il riconoscimento di qualifiche professionali.

(50) - Walrave, loc. cit., punto 18, e Bosman, loc. cit., punti 82 e 83.

(51) - Walrave, loc. cit., punto 19, e Bosman, loc. cit., punto 84.

(52) - Causa 43/75 (Racc. 1976, pag. 455, specialmente punti 30-40).

(53) - La giurisprudenza sul riconoscimento dell'equivalenza delle qualifiche professionali straniere va nel senso che tende ad attribuire alle normative nazionali che prescrivono una particolare qualifica nazionale la natura di restrizione alla libera circolazione piuttosto che quella di discriminazione indiretta - v. mie conclusioni in Volker Graf/Filzmoser Maschinenbau, loc. cit., punto 26.

(54) - V., per esempio, causa Fernández de Bobadilla, loc. cit.