61997J0112

Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 25 marzo 1999. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 90/396/CEE - Generatori di calore - Installazione in locali abitati. - Causa C-112/97.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-01821


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1 Ravvicinamento delle legislazioni - Apparecchi a gas - Direttiva 90/396 - Armonizzazione esaustiva - Normativa nazionale che osta all'installazione di generatori di calore conformi alla direttiva - Inammissibilità

(Direttiva del Consiglio 90/396/CEE, art. 4, n. 1)

2 Libera circolazione delle merci - Deroghe - Oggetto - Esistenza di direttive recanti ravvicinamento delle legislazioni - Effetti

(Trattato CE, art. 36)

Massima


1 La direttiva 90/396, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas, ha proceduto ad un'armonizzazione esaustiva dei requisiti essenziali cui gli apparecchi a gas devono rispondere. Di conseguenza, è sufficiente che gli apparecchi previsti dalla direttiva siano conformi a tali requisiti perché possano essere immessi sul mercato e messi in servizio. Viene quindi meno agli obblighi impostigli dalla detta direttiva lo Stato membro che istituisca e mantenga in vigore un regime che, nei casi di nuova installazione o di trasformazione di apparecchi a gas, prescriva l'utilizzazione nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «stagno», con ciò vietando implicitamente l'installazione di generatori di calore di tipo diverso conformi alla detta direttiva.

2 Allorché direttive comunitarie dispongono l'armonizzazione dei provvedimenti necessari a garantire la tutela della salute degli animali e degli uomini e organizzano procedure comunitarie di controllo della loro osservanza, il ricorso all'art. 36 cessa di essere giustificato ed è entro lo schema tracciato dalla direttiva di armonizzazione che vanno effettuati i controlli appropriati e adottati i provvedimenti di tutela.

Parti


Nella causa C-112/97,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai signori Paolo Stancanelli e Hans Støvlbaek, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro dello stesso servizio, Centre Wagner, Kirchberg,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal professor Umberto Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dalla signora Francesca Quadri, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata d'Italia, 5, rue Marie-Adelaïde,

convenuta,

avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo un regime che prescrive l'installazione nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «stagno», con ciò vietando implicitamente l'installazione di generatori di calore di altro tipo conforme alla direttiva del Consiglio 29 giugno 1990, 90/396/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas (GU L 196, pag. 15), è venuta meno agli obblighi impostile dal diritto comunitario,

LA CORTE

(Sesta Sezione),

composta dai signori G. Hirsch, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, G.F. Mancini, H. Ragnemalm, R. Schintgen e K.M. Ioannou (relatore), giudici,

avvocato generale: S. Alber

cancelliere: R. Grass

vista la relazione del giudice relatore,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 9 luglio 1998,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 18 marzo 1997, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo un regime che prescrive l'installazione nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «stagno», con ciò implicitamente vietando l'installazione di generatori di calore di altro tipo conforme alla direttiva del Consiglio 29 giugno 1990, 90/396/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas (GU L 196, pag. 15; in prosieguo: la «direttiva»), è venuta meno agli obblighi impostile dal diritto comunitario.

La direttiva

2 La direttiva è stata adottata sulla base dell'art. 100 A del Trattato CEE, le cui disposizioni sono riprese dallo stesso articolo del Trattato CE. Essa mira a realizzare la libera circolazione all'interno del territorio comunitario degli apparecchi a gas, garantendo nel contempo la sicurezza e la salute delle persone e, all'occorrenza, degli animali domestici e dei beni contro i rischi derivanti dall'uso di tali apparecchi.

3 In proposito, il primo `considerando' della direttiva enuncia «che gli Stati membri sono tenuti a garantire sul proprio territorio la sicurezza e la salute delle persone e, all'occorrenza, degli animali domestici e dei beni dai rischi derivanti dall'uso degli apparecchi a gas». Al quinto `considerando' si precisa inoltre che, conformemente al nuovo approccio in materia di ravvicinamento delle legislazioni, «l'armonizzazione legislativa deve limitarsi, nel caso presente, alle sole prescrizioni necessarie per soddisfare i requisiti imperativi ed essenziali della sicurezza, della salute e del risparmio energetico relativi agli apparecchi a gas; che questi requisiti devono sostituire le prescrizioni nazionali in materia poiché essi sono essenziali».

4 Ai sensi del suo art. 1, n. 1, primo trattino, la direttiva si applica agli «apparecchi utilizzati per la cottura, il riscaldamento, la produzione di acqua calda, il raffreddamento, l'illuminazione e il lavaggio, i quali bruciano combustibili gassosi ed hanno eventualmente una temperatura normale dell'acqua non superiore a 105_ C, in seguito denominati "apparecchi". Sono assimilati agli apparecchi i bruciatori ad aria soffiata e i corpi di scambio calore attrezzati con i bruciatori precitati».

5 A norma dell'art. 2, n. 1, della direttiva «gli Stati membri prendono tutte le disposizioni utili affinché gli apparecchi di cui all'articolo 1 possano essere immessi sul mercato e posti in servizio soltanto se, qualora usati normalmente, non compromettono la sicurezza delle persone, degli animali domestici e dei beni».

6 L'art. 3 prevede:

«Gli apparecchi e i dispositivi di cui all'articolo 1 devono soddisfare i requisiti essenziali che sono loro applicabili e che figurano nell'allegato I».

7 Ai sensi dell'art. 4, n. 1:

«Gli Stati membri non possono vietare, limitare o ostacolare l'immissione sul mercato e la messa in servizio degli apparecchi che soddisfanno i requisiti essenziali enunciati nella presente direttiva».

8 L'art. 5 della direttiva dispone quanto segue:

«1. Gli Stati membri presumono conformi ai requisiti essenziali di cui all'allegato 3 gli apparecchi e i dispositivi conformi:

a) alle norme nazionali che li riguardano e che recepiscono le norme armonizzate i cui riferimenti sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

(...)».

9 A norma dell'art. 6, n. 1,

«Se uno Stato membro o la Commissione ritiene che le norme di cui all'articolo 5, paragrafo 1 non soddisfanno pienamente i requisiti essenziali di cui all'articolo 3, la Commissione o lo Stato membro interessato adisce il comitato permanente istituito dalla direttiva 83/189/CEE, in seguito denominato "comitato", esponendone i propri motivi. Il comitato esprime un parere con urgenza.

Visto il parere del comitato, la Commissione notifica agli Stati membri se sia o non sia necessario procedere alla cancellazione delle norme in questione dalle pubblicazioni di cui all'articolo 5, paragrafo 1».

10 Ai sensi dell'art. 7 della direttiva:

«1. Se uno Stato membro constata che alcuni apparecchi che sono usati normalmente e che sono muniti del marchio CE possono compromettere la sicurezza delle persone, degli animali domestici o dei beni, esso prende tutte le misure utili per ritirare tali apparecchi dal mercato o per proibirne o limitarne l'immissione sul mercato.

Lo Stato membro interessato informa immediatamente la Commissione di tutte le misure prese e spiega i motivi della propria decisione e, in particolare, se la non conformità è dovuta:

a) alla mancata rispondenza ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3, qualora l'apparecchio non corrisponda alle norme di cui all'articolo 5, paragrafo 1;

b) ad una errata applicazione delle norme di cui all'articolo 5, paragrafo 1;

c) ad una carenza delle norme stesse di cui all'articolo 5, paragrafo 1.

2. La Commissione avvia il più rapidamente possibile una consultazione con le parti interessate. Se la Commissione constata, dopo tale consultazione, che le misure di cui al paragrafo 1 sono giustificate, essa ne informa immediatamente lo Stato membro che ha preso le misure e gli altri Stati membri.

Se la decisione di cui al paragrafo 1 è determinata da una carenza delle norme, la Commissione, previa consultazione delle parti interessate, adisce il comitato entro due mesi se lo Stato membro che preso tali misure intende mantenerle e avvia le procedure di cui all'articolo 6.

(...)».

11 Infine, gli artt. 8-11 e gli allegati II e III della direttiva elencano i presupposti in presenza dei quali gli apparecchi che soddisfanno i requisiti essenziali previsti dalla stessa sono muniti del marchio CE di conformità. Le dette norme predispongono le procedure di verifica e di sorveglianza necessarie a tal fine.

12 I requisiti essenziali che gli apparecchi previsti dalla direttiva devono soddisfare sono definiti all'allegato I. In particolare, vi si menzionano:

- al punto 1, le istruzioni e le avvertenze elaborate per l'installatore e per l'utente per quel che riguarda le modalità corrette di messa in servizio, di manutenzione, di utilizzazione e di funzionamento degli apparecchi;

- al punto 2, i requisiti relativi ai materiali da utilizzare per la loro fabbricazione;

- al punto 3, i requisiti relativi alla progettazione e alla fabbricazione, con particolare riferimento a certe modalità di funzionamento e a certe caratteristiche che gli apparecchi devono presentare.

La normativa nazionale

13 In Italia, l'art. 5, comma 10, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, «Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 10» (Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 242, del 14 ottobre 1993; in prosieguo: il «DPR n. 412/93»), prescrive, nei casi di nuova installazione o di ristrutturazione dell'impianto termico che comportino l'installazione di generatori di calore individuali, esclusi i casi di mera sostituzione di questi ultimi, l'impiego di generatori isolati rispetto all'ambiente abitato, oppure di apparecchi di qualsiasi tipo se installati all'esterno o in locali tecnici adeguati.

Il procedimento precontenzioso

14 La Commissione, ritenendo che tale norma fosse incompatibile con l'art. 4 della direttiva, con lettera di costituzione in mora del 3 ottobre 1994 ha invitato il governo italiano a presentarle le sue osservazioni al riguardo, in conformità all'art. 169 del Trattato.

15 Il governo italiano ha risposto con lettera 5 dicembre 1994. Tale lettera conteneva osservazioni in ordine all'effettiva portata della norma contestata, alle sue motivazioni sostanziali e alla sua compatibilità con la normativa comunitaria.

16 Ritenendo insoddisfacente la risposta ricevuta, la Commissione, con lettera 28 novembre 1995, ha inviato alla Repubblica italiana un parere motivato, invitandola a conformarvisi entro due mesi dalla ricezione.

17 Con lettera inviata alla Commissione il 6 giugno 1996, il governo italiano si è dichiarato pronto a ricercare una soluzione conforme al diritto comunitario, ivi compresa la possibilità di modificare la norma contestata del DPR n. 412/93. In una successiva lettera del 5 dicembre 1996, il governo italiano ha comunicato alla Commissione un progetto di modifica di tale disposizione in senso conforme al diritto comunitario, sottolineando l'intenzione di giungere a una rapida adozione del progetto.

18 La Commissione, non avendo avuto conoscenza da allora di alcun altro elemento atto a dimostrare che tale modifica era stata effettivamente adottata, ha proposto il presente ricorso.

Il ricorso

19 La Commissione sostiene che l'art. 5, comma 10, del DPR n. 412/93, autorizzando l'installazione di generatori diversi da quelli di tipo «isolato» (ad esempio, quelli di tipo «aperto») soltanto all'esterno o in locali a ciò specificamente adibiti, vieta specificamente, pur se implicitamente, l'installazione di tali generatori nei locali abitati nei casi di nuova installazione o di ristrutturazione degli apparecchi di riscaldamento.

20 Tale divieto specifico, pur non essendo un divieto di commercializzare generatori di tipo «aperto» né un divieto generalizzato di installarli, sarebbe in contrasto con l'art. 4 della direttiva, in quanto costituisce un ostacolo all'installazione di apparecchi cui quest'ultima si applica e che sono conformi ai requisiti essenziali dalla stessa previsti.

21 Tali requisiti sarebbero esaustivi e si sostituirebbero alle prescrizioni nazionali in materia. Quanto detto è confermato - a parere della Commissione - tanto dal tenore del quinto `considerando' della direttiva quanto dalla logica sottesa agli artt. 3 e 4, in forza dei quali, allorché gli apparecchi soddisfanno i requisiti comunitari essenziali, gli Stati membri non possono vietarne, limitarne o ostacolarne la libera circolazione e l'utilizzo sul territorio comunitario imponendo ulteriori requisiti.

22 Il governo italiano sostiene che un generatore di calore non isolato non può soddisfare i requisiti essenziali della direttiva. In particolare, tra i vari punti dell'allegato I della direttiva che enunciano tali requisiti, il punto 3.4.3 dispone che «Ogni apparecchio collegato ad un condotto di evacuazione dei prodotti di combustione dev'essere costruito in modo che in caso di tiraggio anomalo non si producano esalazioni di prodotti di combustione in quantità pericolosa nel locale in cui è situato». Ne deriverebbe che siffatte esalazioni non dovrebbero in nessun caso prodursi nel locale in cui l'apparecchio è installato.

23 Orbene, tale possibilità esisterebbe invece per tutti gli apparecchi di tipo «aperto». Secondo il governo italiano, sebbene tutti gli apparecchi di tipo «aperto» debbano essere dotati di un apposito dispositivo di sicurezza destinato a bloccare la combustione in caso di esalazione di prodotti di combustione, una serie di prove effettuate nel laboratorio di prove termiche e tecnologiche della società Italgas ad Asti ha dimostrato che, in presenza di particolari circostanze e precisamente:

- con vento discendente per il camino con velocità superiore a 0,5 m/s,

- con vento discendente per il camino a raffiche della durata di 15 secondi, alternate a 30 secondi di funzionamento a tiraggio naturale,

- con scambiatore di calore occluso per l'88%,

i dispositivi installati non sono in grado di impedire un grave inquinamento all'interno del locale, anche in presenza di ventilazione regolare, conforme alle norme tecniche vigenti.

24 Osservazioni analoghe potrebbero svolgersi con riferimento alle disposizioni di cui ai punti 3.1.9 e 3.2.1 dello stesso allegato I della direttiva, ove è prescritto che ogni apparecchio dev'essere progettato e costruito in modo che un eventuale guasto non possa presentare una fonte di pericolo e che una fuga di gas non provochi alcun rischio. Tali requisiti, a parere del governo italiano, possono essere pienamente soddisfatti solo ove l'apparecchio si trovi isolato dal locale abitato.

25 La Commissione sostiene che il pieno rispetto dei requisiti essenziali definiti nella direttiva garantisce sul piano tecnico la sicurezza di tutti gli apparecchi a gas cui essa si applica.

26 Essa indica in particolare che la norma armonizzata EN 297, adottata dal Comitato europeo di normalizzazione (GU 1995, C 187, pag. 9), concernente in particolare le caldaie di tipo «aperto», al punto 3.5.8 prevede che le caldaie devono essere munite di un dispositivo di sicurezza che blocca il funzionamento dell'apparecchio nel caso in cui l'evacuazione dei prodotti di combustione sia anomala per un determinato lasso di tempo. Di conseguenza, salvo prova contraria, gli Stati membri dovrebbero presumere, sul fondamento dell'art. 5 della direttiva, che gli apparecchi di tipo «aperto» dotati di tale dispositivo soddisfanno il requisito essenziale previsto al punto 3.4.3 dell'allegato I della direttiva.

27 Le prove effettuate dal laboratorio della società Italgas sarebbero note alla Commissione, che le ha considerate sproporzionate giacché le loro condizioni di riferimento sarebbero difficilmente immaginabili nella realtà.

28 Infine, quand'anche gli argomenti tecnici svolti dal governo italiano fossero fondati, la Repubblica italiana avrebbe dovuto avvalersi dei procedimenti comunitari previsti dagli artt. 6 e 7 della direttiva; essa non sarebbe autorizzata ad adottare unilateralmente una disposizione quale l'art. 5, comma 10, del DPR n. 412/93.

29 Occorre anzitutto rilevare che, come risulta dagli atti, i generatori di calore di tipo «aperto» sono apparecchi impiegati per il riscaldamento o la produzione di acqua calda, che bruciano combustibili gassosi. Essi rientrano pertanto nell'ambito di applicazione ratione materiae della direttiva quale definito all'art. 1, n. 1, primo trattino.

30 Va ricordato inoltre che, ai sensi dell'art. 3 della direttiva, gli apparecchi e i dispositivi di cui all'art. 1 devono soddisfare i requisiti essenziali che sono loro applicabili e che figurano nell'allegato I.

31 Tali requisiti riguardano, in particolare, le istruzioni redatte per l'installatore e per l'utente degli apparecchi, i materiali impiegati e, soprattutto, la progettazione e fabbricazione degli apparecchi.

32 Come risulta dal quinto `considerando' della direttiva, tali requisiti sostituiscono le prescrizioni nazionali in materia di sicurezza, di salute e di risparmio energetico, il che significa che, nei settori che essi disciplinano, sono esaustivi.

33 Per tale ragione, l'art. 4 della direttiva impone agli Stati membri di non vietare, limitare od ostacolare l'immissione sul mercato e la messa in servizio degli apparecchi che soddisfanno i requisiti essenziali enunciati dalla direttiva.

34 Pertanto, è sufficiente che gli apparecchi previsti dalla direttiva, ivi compresi i generatori di calore di tipo «aperto», siano conformi ai requisiti essenziali che essa detta perché possano essere immessi sul mercato e messi in servizio.

35 Rientra fra questi requisiti quello di cui al punto 3.4.3 dell'allegato I della direttiva. Ai sensi di tale norma l'apparecchio dev'essere costruito in modo che, in caso di tiraggio anomalo, non si producano esalazioni di prodotti di combustione in quantità pericolosa nel locale in cui è situato.

36 Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, i generatori di calore di tipo «aperto» sono idonei a soddisfare tale requisito. Come risulta infatti dagli atti, tutti gli apparecchi di questo tipo sono, in applicazione della norma armonizzata EN 297, dotati di un dispositivo di sicurezza che blocca il funzionamento dell'apparecchio allorché l'evacuazione dei prodotti di combustione è anomala per un tempo determinato.

37 I risultati delle prove effettuate dal laboratorio della Italgas, invocati dal governo italiano, non sono atti a inficiare tale constatazione.

38 Da una parte, come la Commissione ha sostenuto, senza essere efficacemente contraddetta dal governo italiano, le condizioni di riferimento di tali prove sono difficilmente immaginabili nella realtà.

39 Dall'altra, ove il concreto utilizzo di un generatore di calore di tipo «aperto» conforme ai requisiti essenziali sanciti dalla direttiva presentasse, in presenza di determinate circostanze, problemi a livello di funzionamento del dispositivo di sicurezza, il governo italiano potrebbe avvalersi delle procedure previste dagli artt. 6 e 7 della direttiva. Orbene, è pacifico che il governo italiano non ha avviato tali procedure.

40 Pertanto, l'argomento dedotto dal governo italiano sul fondamento del punto 3.4.3 dell'allegato I della direttiva dev'essere respinto.

41 Quanto all'affermazione secondo la quale un generatore di tipo «aperto» non potrebbe soddisfare i requisiti essenziali previsti ai punti 3.1.9 e 3.2.1 dell'allegato I della direttiva, si deve rilevare che il governo italiano, a parte gli argomenti già dedotti nell'ambito del punto 3.4.3 dello stesso allegato, non ha prodotto alcun elemento atto a suffragarla.

42 Tale affermazione, di conseguenza, dev'essere anch'essa disattesa.

43 Il governo italiano deduce inoltre che la disposizione contestata del DPR n. 412/93 non vieta affatto l'installazione di apparecchi diversi da quelli di tipo «stagno», bensì contiene semplicemente prescrizioni relative ai luoghi e alle modalità della loro installazione. In tal senso, perché vi sia limitazione o ostacolo effettivo all'immissione sul mercato di generatori di calore di tipo «aperto», occorrerebbe dimostrare che non è possibile installare un apparecchio di tale tipo all'esterno, né procedere al suo isolamento ove dovesse essere installato in un locale abitato. Orbene, la Commissione si sarebbe limitata ad affermare in via teorica l'incompatibilità di tale norma con la normativa comunitaria, senza produrre alcun elemento atto a dimostrare che la detta disposizione vieta, limita o ostacola effettivamente l'immissione sul mercato e la messa in servizio dell'apparecchio.

44 In proposito, non è contestato che, secondo la disposizione censurata, nei locali abitati sia ammessa soltanto l'installazione di generatori di calore di tipo «stagno» nei casi di nuova installazione o di ristrutturazione di un apparecchio di riscaldamento.

45 Ne deriva che tale norma vieta implicitamente, nei casi summenzionati, l'installazione in un locale abitato di un generatore di calore di tipo «aperto». Tale divieto implicito costituisce un ostacolo all'installazione di un apparecchio di questo tipo, ostacolo vietato dall'art. 4 della direttiva.

46 Il fatto che l'art. 5, comma 10, del DPR n. 412/93 consenta l'installazione di un apparecchio del genere in un locale abitato qualora si proceda al suo isolamento non soltanto non è atto a modificare la constatazione di cui al punto precedente, bensì, al contrario, la corrobora, giacché - per poter installare l'apparecchio in un locale abitato - l'acquirente dovrà far fronte a costi supplementari.

47 Analogamente, il fatto che il divieto derivante dalla detta disposizione possa avere una portata ridotta, in quanto non si applica in caso di semplice sostituzione di un apparecchio di riscaldamento, non può, di per sé, farne venir meno il carattere di ostacolo, poiché tale divieto è mantenuto nei casi di nuova installazione o di ristrutturazione di un apparecchio di riscaldamento.

48 Di conseguenza, tale argomento del governo italiano dev'essere respinto.

49 Ne consegue che l'art. 5, comma 10, del DPR n. 412/93 è in contrasto con l'art. 4 della direttiva.

50 Il governo italiano sostiene tuttavia che tale norma, essendo volta alla tutela della salute, della vita e della sicurezza delle persone e degli animali domestici, potrebbe essere giustificata ai sensi dell'art. 36 del Trattato CE e dell'art. 7, n. 1, della direttiva.

51 Il governo italiano afferma, in particolare, che la possibilità di richiamarsi all'art. 36 del Trattato risulta dalla direttiva stessa, la quale non soltanto impone agli Stati membri, al primo `considerando', l'obbligo di garantire sul loro territorio la sicurezza e la salute delle persone, ma prevede altresì, all'art. 7, che gli stessi Stati, ove constatino che un apparecchio usato normalmente può compromettere la sicurezza delle persone e degli animali domestici, sono autorizzati ad adottare tutte le misure necessarie per vietare o limitare l'immissione sul mercato di tali apparecchi.

52 In ogni caso, la possibilità di invocare l'art. 36 del Trattato non potrebbe essere esclusa nel caso in cui lo specifico interesse in causa non sia sufficientemente garantito dai provvedimenti comunitari, in quanto riguarda situazioni non previste dalle direttive di armonizzazione (v. sentenza 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil e a., Racc. pag. 2727).

53 Infine, la possibilità che uno Stato membro ricorra all'art. 36 del Trattato sarebbe espressamente prevista dall'art. 100 A del Trattato stesso, sul fondamento del quale la direttiva è stata adottata.

54 Occorre rilevare in proposito che, per giurisprudenza costante, allorché direttive comunitarie dispongono l'armonizzazione dei provvedimenti necessari a garantire la tutela della salute degli animali e degli uomini e organizzano procedure comunitarie di controllo della loro osservanza, il ricorso all'art. 36 cessa di essere giustificato ed è entro lo schema tracciato dalla direttiva di armonizzazione che vanno effettuati i controlli appropriati e adottati i provvedimenti di tutela (v. sentenza 5 ottobre 1977, causa 5/77, Tedeschi, Racc. pag. 1555, punto 35).

55 Nel caso di specie, è già stato dichiarato, al punto 32 della presente sentenza, che la direttiva ha proceduto all'armonizzazione esaustiva dei requisiti essenziali che gli apparecchi a gas devono soddisfare. Come risulta dal quinto `considerando' della direttiva, vi sono fra tali requisiti quelli relativi alla sicurezza e alla salute.

56 Inoltre, come già detto al punto 11 della presente sentenza, la direttiva definisce ai suoi artt. 8-11, nonché negli allegati II e III, i presupposti in presenza dei quali gli apparecchi conformi a tali requisiti essenziali sono muniti del marchio CE di conformità, predisponendo le procedure di verifica e di sorveglianza all'uopo necessarie.

57 Infine, come risulta dagli artt. 6, n. 1, e 7 della direttiva, essa ha istituito procedure comunitarie volte ad ovviare agli eventuali problemi che potrebbero presentarsi in sede di utilizzo degli apparecchi a gas.

58 Ne consegue che la direttiva ha proceduto, per quanto riguarda gli apparecchi a gas, all'armonizzazione completa delle misure necessarie affinché tali apparecchi soddisfino i requisiti essenziali di sicurezza e di salute.

59 Pertanto, gli Stati membri non sono più autorizzati a far valere dinanzi alla Corte l'art. 36 del Trattato per giustificare provvedimenti nazionali volti a soddisfare gli stessi requisiti.

60 Tale conclusione non è inficiata, nella specie, dalle disposizioni di cui all'art. 100 A, n. 4, del Trattato.

61 Ai sensi di tale disposizione:

«Allorché, dopo l'adozione di una misura di armonizzazione da parte del Consiglio a maggioranza qualificata, uno Stato membro ritenga necessario applicare disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti previste dall'articolo 36 o relative alla protezione dell'ambiente di lavoro o dell'ambiente, esso notifica tali disposizioni alla Commissione.

La Commissione conferma le disposizioni in questione dopo aver verificato che esse non costituiscano uno strumento di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel commercio tra gli Stati membri.

(...)».

62 Dalla norma citata deriva che, a prescindere dal fatto che ci si possa ancora avvalere della facoltà da essa attribuita allorché il provvedimento comunitario ha realizzato una completa armonizzazione nel settore interessato, tale facoltà presuppone l'osservanza della procedura prevista a tal fine.

63 Orbene, è pacifico che, nel caso di specie, il governo italiano non ha avviato la procedura prevista dall'art. 100 A, n. 4, del Trattato.

64 Analogamente, uno Stato membro non può far valere dinanzi alla Corte l'art. 7 della direttiva per giustificare un provvedimento nazionale, qualora esso non abbia posto in atto il procedimento previsto da tale norma.

65 Alla luce di quanto sopra, il motivo invocato dal governo italiano che fa leva sugli artt. 36 del Trattato e 7, n. 1, della direttiva dev'essere respinto.

66 Sulla scorta delle considerazioni che precedono, si deve dichiarare che la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo un regime che, nei casi di nuova installazione o di ristrutturazione di apparecchi a gas, prescrive l'utilizzo nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «stagno», con ciò vietando implicitamente l'installazione di generatori di calore di altro tipo conforme alla direttiva, è venuta meno agli obblighi impostile dalla direttiva stessa.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

67 Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, quest'ultima, rimasta soccombente, dev'essere condannata alle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE

(Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo in vigore un regime che, nel caso di nuova installazione o di ristrutturazione di apparecchi a gas, prescrive l'utilizzazione nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo «stagno», con ciò vietando implicitamente l'installazione di generatori di calore di tipo diverso conforme alla direttiva del Consiglio 29 giugno 1990, 90/396/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas, è venuta meno agli obblighi impostile da tale direttiva.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.