Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 20 aprile 1999. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Direttive 75/442/CEE e 91/156/CEE - Gestione dei rifiuti. - Causa C-365/97.
raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-07773
1 L'oggetto del presente ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica italiana è di far constatare dalla Corte che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza del Trattato CE non a causa di un'eventuale trasposizione carente, ma in quanto non ha applicato integralmente e correttamente, nella zona dell'alveo di San Rocco, le disposizioni degli artt. 4, 5, 7, primo trattino e 10 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (1), o le disposizioni corrispondenti, come modificate dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (2).
2 Esso solleva poi diverse questioni interessanti relative alla ricevibilità di un tale ricorso, alla nozione stessa di inadempimento e all'estensione dell'onere della prova che grava sulla Commissione.
Il contesto normativo
3 La direttiva 75/442 mira a ravvicinare le disposizioni degli Stati membri in materia di eliminazione dei rifiuti.
4 Le disposizioni pertinenti della direttiva nella presente causa, nella versione iniziale di questa direttiva, sono così formulate:
«Art. 4
Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti verranno smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e in particolare:
- senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora;
- senza causare inconvenienti da rumori od odori;
- senza danneggiare la natura e il paesaggio.
Art. 5
Gli Stati membri stabiliscono o designano l'autorità o le autorità competenti incaricate, in una determinata zona, di programmare, organizzare, autorizzare e controllare le operazioni di smaltimento dei rifiuti.
(...)
Art. 7
Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:
- li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa di smaltimento,
o
- (...)
(...)
Art. 10
Le imprese che provvedono al trasporto, alla raccolta, all'ammasso, al deposito o al trattamento dei proprie rifiuti nonché quelle che raccolgono o trasportano i rifiuti per conto di terzi sono soggette alla vigilanza dell'autorità competente di cui all'articolo 5».
5 L'art. 1 della direttiva 91/156 prevede che gli artt. 1-12 della direttiva 75/442 sono sostituiti dai nuovi artt. 1-18 e dagli allegati I, II A e II B.
6 Le disposizioni degli artt. 4, 5, 7, e 10 della direttiva 75/442 sono sostituite da quelle dei nuovi artt. 4, 6, 8 e 13 che sono così formulati:
«Art. 4
Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e in particolare:
- senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora;
- senza causare inconvenienti da rumori od odori;
- senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.
(...)
Art. 6
Gli Stati membri stabiliscono o designano l'autorità o le autorità competenti incaricate di porre in atto le disposizioni della presente direttiva.
(...)
Art. 8
Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:
- li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A o II B,
o
- (...)
(...)
Art. 13
Gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli articoli 9-12 sono sottoposti ad adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti».
7 Ai sensi dell'art. 2 della direttiva 91/156, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 1_ aprile 1993.
La fase precontenziosa del procedimento
8 Il 26 giugno 1990, la Commissione inviava al governo italiano una lettera di diffida, nella quale veniva rilevata la violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 4, 5, 6, 7 e 10 della direttiva 75/442.
9 Con lettera 28 gennaio 1992, il ministero dell'Ambiente italiano forniva alla Commissione le informazioni seguenti:
- è emerso che, nel vallone San Rocco, sono stati sistematicamente scaricati materiali biologici e chimici provenienti dal secondo policlinico, con grave pericolo per la popolazione residente in taluni quartieri;
- nello stesso vallone, è stato registrato un grave dissesto idrogeologico dovuto alla presenza di cave tufacee;
- una tra le cave di tufo è stata destinata, per il passato, a discarica abusiva;
- tale cava, dopo essere stata sottoposta a sequestro l'8 maggio 1990, è stata riutilizzata come discarica nel maggio 1991. Per tale riutilizzazione era ancora in atto un procedimento penale a carico del concessionario.
10 Non avendo ricevuto alcuna comunicazione relativa all'attuazione delle misure destinate al ripristino della situazione ambientale nel vallone San Rocco, la Commissione inviava al governo italiano, con lettera 5 luglio 1996, un parere motivato nel quale concludeva che la Repubblica italiana aveva violato gli artt. 4, 5, 6, 7 e 10 della direttiva 75/442.
11 In data 2 gennaio 1997, la Commissione riceveva una nota della rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea con la quale veniva notificato un piano di gestione ambientale relativo a tutta la regione Campania nella quale si trova il vallone San Rocco.
12 Con lettera 21 aprile 1997, questa stessa rappresentanza permanente rendeva nota alla Commissione una comunicazione del ministero dell'Ambiente, nella quale venivano segnalate una serie di iniziative volte a ripristinare la situazione ambientale nel vallone San Rocco. In particolare comunicava che:
- il comune di Napoli, d'intesa con l'assessorato dell'ambiente della provincia, aveva adottato le iniziative necessarie per realizzare la sorveglianza di eventuali scarichi abusivi nel vallone San Rocco;
- la cava situata nella parte iniziale del vallone, ripetutamente adibita a discarica abusiva, era stata nuovamente sottoposta a sequestro nel settembre 1996;
- le acque reflue provenienti dal secondo policlinico risultavano ormai definitivamente convogliate nella fogna comunale;
- le autorità locali avevano emesso sei provvedimenti di chiusura a carico di altrettanti scarichi civili;
- infine il servizio fognature del comune di Napoli aveva già ultimato numerosi interventi rivolti alla tutela dell'incolumità pubblica e privata, consistenti nella disostruzione e continua sorveglianza e pulizia dell'alveo;
- era stata nominata una commissione di esperti incaricati di mettere a punto un progetto sul quale fondare il risanamento complessivo dell'alveo, sia da un punto di vista geomorfologico e idraulico che igienico.
13 Sulla base di tali informazioni, la Commissione procedeva ad accertamenti delle conseguenze delle iniziative annunciate sulla situazione ambientale del vallone San Rocco in seguito ai quali essa era venuta a conoscenza di una delibera della giunta del comune di Napoli del 10 marzo 1997. Da tale delibera risulta che:
- l'alveo di San Rocco necessita di una sistemazione idraulica immediata. Lo stato di inquinamento sembrerebbe addirittura peggiorare a seguito di una nuova immissione di acque nere;
- il progetto relativo a tale risistemazione idraulica non può essere approvato se non nel quadro di una decisione di natura più complessa, intesa a risolvere in via definitiva l'intera situazione ambientale della zona in oggetto;
- a tal fine, è stato costituito un gruppo di esperti esterno all'amministrazione, con il compito precipuo di indicare le idee guida di tale risanamento, sulle quali l'ufficio tecnico comunale dovrà, in seguito, elaborare un progetto definitivo di sistemazione idraulica del vallone San Rocco.
14 Ritenendo che non fossero state ancora adottate e/o messe in atto tutte le iniziative necessarie a porre fine agli addebiti contestati alla Repubblica italiana nel parere motivato 5 luglio 1996, la Commissione ha proposto il presente ricorso.
Sulla ricevibilità del ricorso
15 Il governo convenuto deduce quattro motivi per contestare la ricevibilità del ricorso.
Sul primo motivo di irricevibilità
16 Il governo italiano sostiene che, ancorché la lettera di costituzione in mora non debba contenere una trattazione dettagliata della contestazione, nella fattispecie la lettera di diffida del 26 giugno 1990 non era sufficientemente chiara per metterlo in grado di svolgere efficacemente i propri motivi di difesa. Questa lettera si sarebbe limitata a «un'allegazione generica e ipotetica di fatti e ad un'altrettanto generica citazione di articoli della direttiva senza chiarire minimamente il nesso tra gli uni e gli altri». La Repubblica italiana si sarebbe pertanto limitata, nella risposta del 28 gennaio 1992, a fornire alla Commissione un'informazione completa sulle vicende del vallone San Rocco.
17 La Commissione fa presente innanzi tutto che, secondo una giurisprudenza consolidata (3), la lettera di diffida deve indicare allo Stato membro i dati necessari per la preparazione della propria difesa e può consistere solo in un primo e breve riassunto degli addebiti.
18 A suo parere, la lettera di diffida ha identificato in maniera sufficientemente precisa l'inadempimento addebitato al governo italiano, in quanto essa ha fatto riferimento all'inquinamento generato da scarichi incontrollati di rifiuti provenienti dalle zone a monte del vallone San Rocco e alla carenza di azioni necessarie a pianificare, organizzare e controllare le operazioni di eliminazione dei rifiuti ai sensi della direttiva 75/442. Inoltre la Commissione osserva che essa aveva già sollecitato, con lettera 15 dicembre 1998, lo stesso governo a presentare le proprie osservazioni in merito alla situazione ambientale del vallone San Rocco. Infine, dalla risposta alla lettera di diffida risulta che il governo italiano era nella condizione di poter pienamente esercitare il proprio diritto di difesa, poiché esso, lungi dal contestare la genericità degli addebiti mossigli, si è puntualmente difeso.
19 Anche se dal fatto che il governo italiano si sia difeso puntualmente non si può dedurre, come fa la Commissione, che la censura enunciata nella lettera di diffida fosse sufficientemente precisa, ritengo, tuttavia, che nella fattispecie questa lettera di diffida soddisfacesse pienamente il grado di precisione richiesto dalla giurisprudenza menzionata opportunamente dalla Commissione. Infatti l'identificazione dell'inadempimento, quale ricordato sopra dalla Commissione, e l'indicazione che tale stato di fatto potesse costituire una violazione degli artt. 4, 5, 6, 7 e 10 della direttiva 75/442 devono essere considerate sufficienti per consentire allo Stato membro interessato di presentare la propria difesa.
20 Pertanto concludo per il rigetto di questo primo motivo di irricevibilità.
Sul secondo motivo di irricevibilità
21 Il governo convenuto sostiene, con questo secondo motivo, che esiste un'inammissibile difformità fra il parere motivato e il ricorso. Gli addebiti mossi nel parere motivato riguardano solo il testo originario della direttiva 75/442, mentre il ricorso fa anche riferimento alle disposizioni della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156.
22 La Commissione osserva che l'inadempimento contestato alla Repubblica italiana si riferisce ad una situazione di fatto - vale a dire l'inquinamento da rifiuti del vallone San Rocco - che costituisce una palese violazione della direttiva, sia nella sua versione originale sia in quella modificata. Gli obblighi originariamente imposti agli Stati membri dalla direttiva, pur rimanendo sostanzialmente invariati, sono stati resi più dettagliati e rigorosi. Gli obblighi di cui agli artt. 4, 5, 7 e 10 della direttiva 75/442 sono stati interamente confermati dalla direttiva 91/156 e pertanto la situazione ambientale nel vallone San Rocco deve a fortiori essere ritenuta incompatibile con le nuove disposizioni. Secondo la Commissione, il fatto che la normativa vigente abbia subito modifiche nel corso del procedimento, non può consentire di concludere che la Commissione abbia modificato le sue censure contro il governo italiano.
23 A sostegno dei suoi argomenti la Commissione fa riferimento alla sentenza 17 novembre 1992 (4), in cui la Corte ha dichiarato che «il parere motivato della Commissione e il ricorso devono basarsi sugli stessi addebiti. Questa esigenza non può tuttavia arrivare al punto di imporre in ogni caso una perfetta coincidenza fra le disposizioni nazionali che sono citate nel parere motivato e quelle menzionate nel ricorso. Quando è sopravvenuto un cambiamento normativo fra queste due fasi del procedimento, è sufficiente infatti che il sistema istituito dalla normativa criticata nella fase precontenziosa sia stato nel suo complesso confermato dai nuovi provvedimenti emanati dallo Stato membro». Tale ragionamento potrebbe, mutatis mutandis, essere esteso all'ipotesi in cui oggetto di modifica sia la normativa comunitaria.
24 A questo il governo italiano replica che la diversità tra il parere motivato e il ricorso non può essere giustificata facendo valere la modifica della direttiva nel corso del procedimento poiché tale modifica è intervenuta più di tre anni prima della notifica del parere motivato. La Commissione non poteva quindi, nella redazione del parere motivato, non menzionare il fatto che a decorrere dal 1_ aprile 1993 la versione originaria della direttiva 75/442 non era più in vigore.
25 Inoltre, secondo il governo convenuto, la formulazione del parere motivato, in quanto esso fa riferimento esclusivamente alle disposizioni della direttiva originaria, comporta l'implicita ma inequivocabile delimitazione del tempo della contestata infrazione, nel senso che essa riguarda soltanto fatti anteriori al 1_ aprile 1993.
26 Prima di prendere posizione su tale eccezione di irricevibilità mi sembra necessario ricordare l'iter cronologico della fase precontenziosa del procedimento, nonché il modo in cui la Commissione ha citato le disposizioni di cui fa valere la violazione.
27 La lettera di diffida è stata inviata il 26 giugno 1990.
28 La direttiva 91/156 che modifica (e non sostituisce) la direttiva 75/442 è stata adottata il 18 marzo 1991. Gli Stati membri dovevano conformarvisi entro il 1_ aprile 1993.
29 Il parere motivato reca la data del 5 luglio 1996. Nella sua parte conclusiva esso menziona gli articoli, la cui violazione viene fatta valere, secondo la loro originaria numerazione, il che non è certamente corretto.
30 Tuttavia, e questo mi sembra molto importante, nella parte introduttiva del parere motivato, si fa esplicitamente riferimento al fatto che la direttiva è stata modificata. Al sesto comma del punto I (i cui commi precedenti espongono gli obblighi derivanti dagli articoli originari), il parere motivato enuncia infatti quanto segue:
«La direttiva 75/442/CEE è stata modificata dalla direttiva del Consiglio 91/156/CEE del 18 marzo 1991, per il cui recepimento il termine è stato fissato al 1_ aprile 1993. Tuttavia, nella sostanza, le disposizioni degli artt. 4, 5, 7 e 10 della direttiva 75/442/CEE sono state riprese dagli artt. 4, 6, 7, 9, 10, 12 e 13 della direttiva 91/156/CEE».
31 Per quanto riguarda il ricorso, la Commissione menziona, nella parte conclusiva, i numeri degli articoli originari aggiungendovi ogni volta, tra parentesi, il numero che la stessa disposizione reca nella versione modificata dalla direttiva, con la precisazione «che ne riproduce sostanzialmente il contenuto».
32 E' chiaro che, da un punto di vista strettamente giuridico, la Commissione avrebbe dovuto sia nella conclusione del parere motivato sia in quella del ricorso, menzionare i nuovi numeri degli articoli, salvo aggiungervi anche, tra parentesi, i numeri originari.
33 Si deve tuttavia concludere da questo che il ricorso è irricevibile? Non lo credo.
34 Un primo argomento che si pone contro un atteggiamento molto restrittivo è costituito dal fatto che non ci si trova in presenza di due direttive di cui l'una sarebbe succeduta all'altra, ma di una sola e unica direttiva di cui talune disposizioni sono state sostituite da norme in gran parte identiche.
35 In secondo luogo, la corrispondenza tra le precedenti e le nuove disposizioni è stata accertata con precisione nella parte introduttiva del parere motivato.
36 In terzo luogo, occorre constatare che le nuove disposizioni non sono meno severe delle precedenti. Alla Repubblica italiana non vengono addebitati fatti che sarebbero stati criticabili sulla base della precedente versione della direttiva ma che non lo sarebbero più sulla base della nuova versione.
37 Inoltre, occorre constatare che, anche se la giurisprudenza (5) della Corte sul requisito dell'identità tra le censure fatte valere nel parere motivato e quelle fatte valere nel ricorso è rigorosa, esso non è tuttavia strettamente formalistica. Si potrebbe piuttosto qualificarla come funzionale. Infatti, questa giurisprudenza ha come obiettivo di garantire il rispetto dei diritti della difesa dello Stato membro chiamato in causa e, più in particolare, assicurare che quest'ultimo abbia avuto, nell'ambito della fase precontenziosa del procedimento, la possibilità di presentare proprie osservazioni su tutte le censure alla fine formulate nel ricorso.
38 Senza arrivare fino a voler estendere per analogia al problema del cambiamento in corso di procedimento della normativa comunitaria, come suggerisce la Commissione, il ragionamento che la Corte ha seguito nella sentenza 17 novembre 1992, Commissione/Grecia, sopramenzionata, relativamente alla modifica delle disposizioni nazionali, , ritengo tuttavia che vi si possa riscontrare la volontà della Corte di non attenersi, su tale questione, ad un approccio formalistico.
39 Infine, in quanto secondo la Commissione la direttiva 91/156 si limita a rafforzare talune disposizioni della direttiva 75/442, va da sé che gli obblighi che erano imposti agli Stati membri quando era in vigore la versione iniziale della direttiva sono sempre validi con l'entrata in vigore della versione modificata di tale direttiva. Il governo italiano non ha cessato in nessun momento di essere tenuto al rispetto degli obblighi il cui inadempimento gli viene addebitato.
40 Di conseguenza, il riferimento contemporaneo agli articoli originari e ai nuovi articoli, con l'aggiunta dell'espressione «che ne riproduce sostanzialmente il contenuto» significa che la Commissione ritiene che le disposizioni cui essa si riferisce abbiano un contenuto identico.
41 In subordine, esso deve essere inteso nel senso che riflette la volontà della Commissione di limitare ogni censura al «corpus communis» delle due versioni successive di ogni disposizione.
42 E' sufficiente quindi che la Corte, per accogliere una determinata censura, formuli l'infrazione nei termini di questo «corpus communis».
43 Propongo quindi di respingere in quanto infondato l'argomento del governo italiano secondo cui il ricorso non potrebbe riguardare fatti successivi al 1_ aprile 1993, data di entrata in vigore delle modifiche della direttiva.
Sul terzo motivo di irricevibilità
44 Il governo italiano sostiene che la Commissione ha basato il suo ricorso sull'esito di nuovi accertamenti da essa compiuti dopo aver ricevuto la lettera del governo italiano del 21 aprile 1997. Così stando le cose, la Commissione avrebbe dovuto ricominciare la fase precontenziosa del procedimento, invece di proporre il ricorso.
45 La Commissione fa rilevare che i nuovi accertamenti non costituiscono nuove censure formulate contro la Repubblica italiana. Per contro, tali accertamenti sono stati condotti al solo scopo di verificare che le iniziative comunicate dall'autorità italiana, in risposta al parere motivato, fossero effettivamente atte a ripristinare, nel vallone San Rocco, una situazione ambientale conforme al diritto comunitario. La Commissione ha però constatato che dette iniziative non erano valse a modificare lo stato di degrado del vallone di cui trattasi.
46 Il governo italiano ribatte che l'argomento della Commissione secondo cui gli ulteriori accertamenti non hanno dato luogo alla contestazione di nuovi addebiti non è sufficiente ad escludere l'eccezione di irricevibilità. L'esigenza inderogabile dell'identità tra il parere motivato e il ricorso non concerne soltanto l'oggetto della contestazione, ma anche i motivi e i mezzi dedotti. Infatti, nella replica, la stessa Commissione ammette di aver basato il suo ricorso, in parte, sulla delibera della giunta comunale di Napoli del 10 marzo 1997.
47 L'argomento dedotto dal governo convenuto su tale motivo tuttavia non mi convince. Infatti, né gli accertamenti effettuati dalla Commissione né il fatto che quest'ultima faccia valere la detta delibera della giunta comunale possono essere considerati nuovi mezzi o nuovi motivi. Essi costituiscono solo elementi che hanno indotto la Commissione alla conclusione secondo cui l'inadempimento fatto valere nel parere motivato sussisteva nonostante la scadenza del termine di due mesi e nonostante le promesse di determinate azioni formulate dalle autorità italiane in risposta al parere motivato.
48 Di conseguenza occorre respingere in quanto infondato questo motivo di irricevibilità.
Sul quarto motivo di irricevibilità
49 Nella controreplica il governo italiano sostiene che la Commissione avrebbe in maniera inammissibile introdotto nella replica nuovi elementi di fatto oppure nuove o diverse formulazioni degli addebiti, cioè:
- affermando che tra i responsabili della formazione della discarica abusiva del vallone San Rocco vi sarebbero soggetti sottoposti alla vigilanza prevista dall'art. 10 della direttiva 75/442;
- affermando che i rifiuti abbandonati nella discarica avrebbero arrecato una serie di rischi e di danni all'acqua, al suolo, all'aria, alla flora e alla fauna, nonché al paesaggio;
- addebitando al governo italiano, con riferimento alla discarica abusiva, di aver mancato all'obbligo di ripristinare una situazione ambientale conforme al diritto comunitario.
50 Per quanto riguarda il primo trattino, devo richiamare l'attenzione sul fatto che la Commissione non afferma per niente che tali soggetti avrebbero creato la discarica abusiva, ma unicamente che tali soggetti l'avrebbero utilizzata. Ora, nel suo ricorso, la Commissione fa valere una violazione dell'art. 10 della direttiva 75/442 per il fatto che «i rifiuti continuano ad essere scaricati nell'alveo in questione». Poiché la discarica di cui è causa si trova anch'essa nel vallone San Rocco, bisogna ritenere che questo elemento costituisca parte integrante dell'asserita violazione dell'art. 10 della direttiva 75/442.
51 Per quanto riguarda il secondo trattino è sufficiente constatare che l'affermazione contestata costituisce in effetti solo una parafasi dell'art. 4 della direttiva 75/442. Poiché la violazione di questa disposizione è stata anch'essa fatta valere nel ricorso, l'affermazione della Commissione deve essere intesa nel senso che vi si riferisce.
52 Infine, per quanto riguarda il terzo trattino occorre rilevare che l'addebito della Commissione non è nemmeno una censura nuova che non avrebbe potuto essere formulata nel ricorso. Infatti, con riserva dell'analisi della fondatezza delle censure, essa deve anche essere intesa come un elemento dell'asserito inadempimento all'art. 4 della direttiva 75/442, come interpretato dalla Commissione.
53 Sulla base delle considerazioni che precedono propongo pertanto di dichiarare il ricorso ricevibile.
Sul merito
54 Prima di poter procedere all'analisi delle censure della Commissione bisogna occuparsi di due argomenti dedotti dal governo italiano dei quali uno mira a contestare la fondatezza del ricorso nel suo insieme e l'altro la qualificazione giuridica di una parte dei fatti menzionati dalla Commissione.
Se la Commissione possa controllare l'applicazione puntuale di una direttiva.
55 Il governo italiano sostiene innanzi tutto che la Commissione, nel presente caso, ha inteso esercitare una tutela diretta dell'ambiente. Ora, a suo parere, «il compito della Commissione, ai sensi dell'art. 169 del Trattato, non può non limitarsi alla verifica del recepimento della direttiva e dei mezzi normativi e amministrativi che lo Stato ha messo in opera per attuarli». Il ricorso della Commissione non avrebbe quindi alcun fondamento nel Trattato.
56 Inoltre, il governo italiano sostiene che un ricorso per inadempimento ai sensi dell'art. 169 del Trattato deve riguardare una parte significativa del territorio nazionale. Nella fattispecie la Commissione ha preso di mira una piccola località che non corrisponde ad una circoscrizione amministrativa prevista dall'ordinamento interno per l'esercizio di funzioni amministrative in tema di rifiuti e che costituisce una porzione esigua del vasto territorio del comune di Napoli.
57 Nei confronti di questo argomento la Commissione replica che essa è tenuta non solo a vigilare affinché le direttive siano recepite all'interno dei singoli ordinamenti nazionali, ma anche a verificare che gli obiettivi perseguiti da tali direttive siano effettivamente e correttamente realizzati negli Stati membri, a carico dei quali è pertanto posto un vero e proprio obbligo di risultato.
58 Quanto all'argomento del governo italiano secondo cui il vallone San Rocco non avrebbe una dimensione territoriale sufficiente per giustificare un ricorso per inadempimento contro la Repubblica italiana, la Commissione, da un lato, fa rilevare che l'art. 169 del Trattato non fissa alcuna soglia territoriale minima e, dall'altro, invoca la sentenza 7 aprile 1992 (6), nella quale la Corte ha dichiarato un inadempimento relativo allo smaltimento dei rifiuti nel dipartimento di Lacanea, nell'isola di Creta e, in particolare, all'esistenza di una discarica alla foce di un torrente.
59 La Commissione aggiunge che il fatto che la zona in cui ha avuto luogo una violazione non corrisponda ad una circoscrizione amministrativa è del tutto irrilevante. Infatti, uno Stato membro non può invocare disposizioni, prassi o situazioni proprie del suo ordinamento giuridico per giustificare l'inosservanza degli obblighi risultanti dalle direttive.
60 Cosa occorre pensare di tale dibattito? Non posso nascondere che provo una cerca comprensione per la reazione del governo italiano. La Commissione ammette essa stessa nella sua replica che «non può configurarsi in capo alla Commissione un vero e proprio obbligo di intervenire ogni qualvolta non appaiano realizzati gli obiettivi fissati dalla normativa ambientale», ma essa aggiunge che «è innegabile che essa può avviare un'azione di inadempimento ogni qualvolta ritenga esservi un interesse comunitario a far valere l'inadempimento dello Stato».
61 A mio parere la Commissione dovrebbe, come regola generale, lasciare alle autorità nazionali competenti il compito di controllare che una direttiva, una volta che è stata correttamente trasposta, sia effettivamente attuata su tutto il territorio dello Stato. Se vengono constatate infrazioni al diritto nazionale derivante dalla direttiva, il pubblico ministero deve fare il necessario perché esse siano sanzionate dai giudici nazionali. I singoli potranno presentare denunce o avviare azioni per risarcimento, se ritengono di aver subito un danno a causa della violazione delle norme di diritto nazionale adottate in applicazione della direttiva. Questa Corte interpreterà, eventualmente, le disposizioni della direttiva su domanda del giudice nazionale.
62 Ciò non toglie che l'art. 155, primo trattino, del Trattato CE, affida alla Commissione il compito generale di vigilare sull'applicazione delle disposizioni del Trattato nonché delle disposizioni adottate dalle istituzioni in virtù del Trattato stesso. Inoltre l'art. 189 stabilisce che «la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere». Se dovesse quindi risultare che una direttiva è stata trasposta solo sul piano normativo, ma lo Stato membro non vigila con la necessaria diligenza sul rispetto di quest'ultima, non si potrebbe negare alla Commissione il diritto di avviare un ricorso per inadempimento.
63 Tale situazione sussisterebbe certamente, se la Commissione constatasse tutta una serie di casi di mancata applicazione della direttiva, ripartiti su una certa durata.
64 Ma quale dovrebbe essere il suo atteggiamento nei confronti di una violazione isolata? Occorrerebbe che si trattasse di un caso manifesto, particolarmente incisivo, e che gli sforzi sostenuti dalla Commissione per indurre lo Stato membro ad agire non abbiano avuto esito. La discarica abusiva situata a Creta, che ha costituito l'oggetto della sentenza del 7 aprile 1992 sopramenzionata, rientrava incontestabilmente in tale categoria.
65 Allo stesso modo, il fatto che un'autorità competente autorizzi la costruzione di un nuovo lotto di una centrale termica, con potenza di 500 MW, senza procedere alla previa valutazione dell'impatto ambientale, prevista da una direttiva, giustificava anch'esso, in via di principio, un ricorso per inadempimento da parte della Commissione. In relazione a tale caso la Corte è stata indotta a dichiarare che «la Commissione, tenuto conto del suo ruolo di custode del Trattato, è (...) la sola competente a decidere se è opportuno iniziare un procedimento per la dichiarazione di un inadempimento, e per quale comportamento od omissione imputabile allo Stato membro in questione tale procedimento deve essere intrapreso. Essa può quindi domandare alla Corte di dichiarare un inadempimento consistente nel non aver raggiunto, in un caso determinato, il risultato previsto dalla direttiva» (7).
66 La situazione che costituisce oggetto della presente causa è descritta nel modo seguente nel controricorso del governo italiano: «il vallone San Rocco è situato nel retroterra dell'agglomerato urbano (8) del comune di Napoli. Il vallone ha conformazione di un "canyon", si tratta infatti di una profonda incisione del terreno avente un andamento sinuoso e lunga circa 6 km. Il dislivello tra il fondo del vallone e linea di cresta varia da 20 a 30 metri. Nel fondo del vallone scorre un corso d'acqua che non è alimentato da fonti sorgive bensì esclusivamente da acque piovane (9) affluenti da un bacino di circa 10 km2. Al termine del vallone, il corso d'acqua non sbocca in un altro corso d'acqua ma si recapita totalmente in un'apertura di accesso alla fognatura del comune di Napoli».
67 La presenza, sul territori di un grande agglomerato, di una discarica abusiva e di un torrente costituito essenzialmente da acque provenienti da canalizzazione di ospedali e di abitazioni private rappresenta una situazione rispetto alla quale è del tutto comprensibile che la Commissione si sia sentita obbligata a reagire.
68 Occorre inoltre che i fatti addebitati rientrino nel campo di applicazione della direttiva fatta valere. Ora, questo è in parte contestato dal governo italiano.
Se i fatti addebitati rientrino tutti nel campo d'applicazione della direttiva.
69 La Repubblica italiana e la Commissione sono in disaccordo sulla questione se, oltre agli oggetti depositati nella discarica abusiva, la cui esistenza non è contestata, altri rifiuti ai sensi della direttiva siano stati scaricati nel vallone.
70 La Commissione fa valere il fatto che le autorità italiane hanno riconosciuto che materiali biologici e chimici provenienti dal secondo policlinico vi erano scaricati nel tempo in cui è stato inviato il parere motivato.
71 Il governo italiano conferma che le asserzioni della Commissione sono basate esclusivamente su informazioni fornite dal governo italiano stesso nella lettera che ha inviato a quest'ultima in 28 gennaio 1992. Queste informazioni si basavano su una relazione compilata dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, in prosieguo: il «NOE») (10). Ora questa relazione non individua alcun inquinamento proveniente da rifiuti, salva la menzione di una discarica abusiva. Per contro, da tale relazione risulta che «nel corso d'acqua del vallone confluiscono scarichi di ospedali, di una clinica e di altri insediamenti». Non si tratterebbe quindi dello scarico di sostanze solide o liquide costituenti rifiuti poiché dall'uso dell'espressione «confluiscono» risulta che si tratta di scarichi di acque reflue che sono esclusi dal campo d'applicazione della direttiva. Il governo italiano aggiunge che i gravi problemi ambientali che affliggevano, e in parte ancora affiggono, il vallone San Rocco sono costituiti non solo dagli scarichi idrici ma anche da fenomeni di dissesto idrogeologico, anch'essi esclusi dal campo d'applicazione della direttiva. Inoltre, l'affermazione secondo cui la delibera della giunta comunale di Napoli il 10 marzo 1997 dimostrerebbe che le misure annunciate dal ministero dell'Ambiente erano insufficienti, sarebbe altrettanto errata, poiché questa delibera non fa che confermare la relazione del NOE senza aggiungervi nulla.
72 Secondo il governo italiano il solo elemento che metterebbe in evidenza un collegamento tra la situazione ambientale del vallone San Rocco e l'applicazione, in loco, della direttiva consiste nel fatto che è stata costituita una discarica abusiva nella zona del vallone. Tuttavia, trattandosi di una discarica abusiva, questo fatto sarebbe imputabile a privati che hanno agito in violazione delle norme interne di attuazione della direttiva. Tali norme avrebbero trovato un'effettiva applicazione attraverso i provvedimenti di sequestro sopramenzionati. Il sequestro, sostiene il governo convenuto, «impedisce l'accesso di nuovi rifiuti nella discarica e il prelievo e qualsiasi trattamento dei rifiuti già raccolti nella discarica stessa».
73 Si deve constatare che la Commissione si limita ad osservare che «i materiali biologici e chimici che inquinano il vallone non sono certamente confondibili con le acque reflue», ma non fornisce alcuna prova che consenta di mettere in dubbio l'affermazione del governo italiano, secondo cui si tratterebbe non di rifiuti allo stato liquido, ma di rifiuti di acque reflue, esclusi dal campo d'applicazione della direttiva.
74 Cosa risulta delle norme pertinenti al riguardo?
75 L'art. 2 modificato della direttiva 75/442, identico su tale punto all'art. 2 della versione iniziale, prevede che sono escluse dal campo d'applicazione della direttiva «le acque reflue ad eccezione degli scarichi allo stato liquido».
76 Dal canto suo, la direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (11) stabilisce, all'art. 2, che si intende per:
«1. "acque reflue urbane": acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, acque reflue industriali (12) e/o acque meteoriche di dilavamento;
2. "acque reflue domestiche": acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche;
3. "acque reflue industriali": qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali o industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento».
77 L'art. 3 di questa direttiva prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli agglomerati siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane,
- entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti equivalenti (a.e.) superiore a 15 000,
e
- entro il 31 dicembre 2005 per quelli con numero di a.e. compreso tra 2 000 e 15 000.
Per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate "aree sensibili" ai sensi della definizione di cui all'articolo 5, gli Stati membri garantiscono che gli agglomerati con oltre 10 000 a.e. siano provvisti di reti fognarie al più tardi entro il 31 dicembre 1998».
78 Da questa disposizione risulta che, anche per miscugli «di acque reflue domestiche con acque reflue industriali» gli Stati membri non avevano l'obbligo di istituire reti fognarie entro il 31 dicembre 1988, cioè una data successiva all'invio del parere motivato. E' senza dubbio per tale motivo che la Commissione non ha fatto valere questa direttiva.
79 Certo, secondo la giurisprudenza della Corte (13), qualora la Commissione abbia fornito elementi sufficienti per dimostrare l'inadempimento, lo Stato membro convenuto non può limitarsi a negarne l'esistenza, ma deve invece contestare in modo sostanziale e particolareggiato i dati prodotti e le conseguenze che ne derivano, altrimenti i fatti allegati si devono considerare provati.
80 Queste condizioni non sono tuttavia soddisfatte nella fattispecie, poiché la Commissione non ha fornito elementi sufficienti per dimostrare che il policlinico ha scaricato «rifiuti allo stato liquido» e non semplicemente «acque reflue urbane».
81 Al contrario, ammettendo, al punto 11 del suo ricorso, che «le acque reflue provenienti dal secondo policlinico risultavano ormai definitivamente convogliate nella fogna comunale», la Commissione ammette implicitamente che si tratta di acque reflue.
82 Certo, si potrebbe far valere «il grande pericolo per la popolazione residente» cui fa riferimento la lettera del ministero dell'Ambiente del 28 gennaio 1992 per concludere che non può trattarsi di semplici scarichi di acque reflue. Da un lato tuttavia è incontestabile che il vallone San Rocco, anche se accoglieva solo acque reflue domestiche, costituiva per tale motivo una specie di fognatura a cielo aperto che presentava necessariamente un pericolo per la popolazione. Inoltre, non penso che gli scarichi possano essere riqualificati a seconda del loro grado di nocività. La qualificazione di acque reflue o di scarichi dipende interamente dalla natura degli scarichi di cui trattasi.
83 A tal riguardo ci si può giustamente attendere, da parte della Commissione, che essa sottoponga alla Corte un fascicolo contenente la descrizione precisa ed incontestabile delle sostanze chimiche contenute negli scarichi di cui trattasi. Sono ben consapevole del fatto che si pone un problema tra, da un lato, il compito di sorveglianza che l'art. 155 del Trattato affida alla Commissione e, dall'altro, i mezzi ridotti a disposizione di quest'ultima per svolgere tale compito. Ma questa carenza di mezzi non può esser fatta valere per esonerare la Commissione dall'onere della prova nell'ambito di un ricorso per inadempimento.
84 La situazione ambientale creata dagli «scarichi di materiali biologici e chimici» del policlinico non potrà quindi essere presa in considerazione nell'ambito del presente ricorso per inadempimento, poiché non è dimostrato che questi scarichi rientrano nel campo d'applicazione della direttiva 75/442. Può essere presa in considerazione solo la situazione risultante dall'esistenza della discarica abusiva.
Sulla censura relativa al mancato rispetto degli obblighi imposti dall'art. 4 della direttiva 75/442
85 La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, in quanto la Repubblica italiana non ha adottato tutte le misure atte ad assicurare che i rifiuti venissero smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza pregiudizio per l'ambiente, in particolare senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora, senza causare inconvenienti da rumore od odori, senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tale Stato membro ha violato l'art. 4, della direttiva 75/442 (o l'art. 4 della direttiva 75/442 come modificato dalla direttiva 91/156 che ne riproduce essenzialmente il contenuto).
86 Con riserva di quanto sarà detto qui di seguito relativamente all'ultimo comma della nuova versione dell'art. 4, si può ritenere che le due versioni siano in sostanza identiche.
87 La Commissione ha precisato poi che la Repubblica italiana avrebbe violato l'obbligo di risultato ad essa imposto da tale articolo.
88 Il governo italiano replica che questo argomento è al tempo stesso irricevibile, poiché non è stato dedotto nel ricorso, e smentito dalla sentenza «Comitato di coordinamento per la difesa della Cava e a.» (14). In questa sentenza la Corte avrebbe operato una distinzione tra gli obiettivi, definiti in modo programmatico dall'art. 4 della direttiva, che gli Stati debbono rispettare, e gli obblighi che gli Stati debbono adempiere. Non sarebbe in linea di principio ammissibile dedurre automaticamente dalla mancata conformità della situazione di fatto rispetto agli obiettivi fissati dall'art. 4 un inadempimento degli obblighi derivanti da tale articolo.
89 A mio parere il governo italiano sostiene ingiustamente che si tratterebbe nella fattispecie di una censura nuova. A decorrere dalla fase precontenziosa del procedimento tutta l'azione della Commissione si basava sulla tesi secondo cui la Repubblica italiana non avrebbe soddisfatto gli obblighi di risultato stabiliti dalla direttiva.
90 Per contro, l'argomento che il governo italiano deriva dalla sentenza «Comitato di coordinamento per la difesa della Cava e a.» è a mio parere convincente. Infatti, anche se, ad una lettura isolata dell'art. 4, si fosse potuto pensare, che quest'ultimo impone agli Stati membri un obbligo di risultato autonomo, non è così. Al punto 12 di questa sentenza la Corte ha infatti dichiarato che:
«considerato nel suo contesto, l'art. 4 della direttiva, che riproduce in sostanza il contenuto del terzo `considerando' della stessa, ha carattere programmatico ed enuncia gli obiettivi che gli Stati membri devono rispettare nell'adempimento degli obblighi più specifici loro imposti dagli artt. 5-11 della direttiva in materia di programmazione, di sorveglianza e di controllo delle operazioni di smaltimento dei rifiuti».
91 Al punto 14 la sentenza continua:
«Di conseguenza, la disposizione di cui trattasi va considerata come la delimitazione dell'ambito entro il quale deve svolgersi l'attività degli Stati membri in materia di trattamento dei rifiuti e non come norma che imponga di per sé l'adozione di misure concrete (...)».
92 La conclusione che si trae da questi due punti è chiara: l'art. 4 non può costituire di per sé solo la base di una violazione della direttiva. Perché ciò avvenga occorrerebbe che contemporaneamente possa essere accertata una violazione di un'altra disposizione più specifica.
93 E' vero che nella sentenza sopramenzionata la Corte ha interpretato l'art. 4 nella sua versione iniziale e che questo è stato completato nel 1991 dalla frase seguente:
«Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico o lo smaltimento incontrollato dei rifiuti». Questo costituisce un obbligo che va al di là della definizione di un obiettivo.
94 La Commissione non ha tuttavia esplicitamente addebitato alla Repubblica italiana di non aver stabilito un tale divieto. Inoltre, il fatto che il comune di Napoli abbia potuto mettere sotto sequestro la discarica abusiva, prova che esso poteva basarsi su un fondamento giuridico che vietava l'abbandono incontrollato dei rifiuti.
Sulla censura relativa al mancato rispetto degli obblighi imposti dall'art. 5 (o dall'art. 6 secondo la nuova versione) della direttiva 75/442
95 L'art. 5 della direttiva stabiliva che:
«Gli Stati membri stabiliscono o designano l'autorità o le autorità competenti incaricate, in una determinata zona, di programmare, organizzare, autorizzare e controllare le operazioni di smaltimento dei rifiuti».
96 Il nuovo art. 6, che corrisponde all'art. 5, così recita:
«Gli Stati membri stabiliscono o designano l'autorità o le autorità competenti incaricate di porre in atto le disposizioni della presente direttiva».
97 Nel suo ricorso, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in quanto, con riferimento all'alveo di San Rocco, «le autorità competenti, designate in conformità all'art. 5 della direttiva 75/442/CEE (ovvero all'art. 6 della direttiva 75/442/CEE come modificato dalla direttiva 91/156/CEE che ne riproduce sostanzialmente il contenuto), non hanno ottemperato agli obblighi di organizzazione, autorizzazione e controllo delle operazioni di smaltimento dei rifiuti nella zona di cui trattasi, in violazione dell'art. 5 della direttiva 75/442/CEE (art. 6 della direttiva 75/442/CEE, come modificato dalla direttiva 91/156/CEE)».
98 La Commissione fa presente poi che essa valuta positivamente l'attività di programmazione che si è svolta all'interno del più generale piano di gestione comunicato dalle autorità italiane in data 2 gennaio 1997 e che ritiene pertanto che sia venuta meno la violazione degli obblighi di programmazione che era stata addebitata nel parere motivato del 5 luglio 1996.
99 Confrontando gli artt. 5 e 6 sopramenzionati, si constata che hanno in comune solo di imporre agli Stati membri di stabilire o designare una «autorità competente». Per i motivi esposti a proposito della ricevibilità del presente ricorso, tale obbligo è il solo relativamente al quale si può addebitare alla Repubblica italiana di non esservisi conformata. Ora, dal modo in cui la Commissione ha formulato il suo ricorso risulta che essa riconosce che questo obbligo è stato osservato dalla Repubblica italiana. Mi sembra quindi che questa censura cada di per sé.
100 Ma, basandosi sulla formulazione del precedente art. 5, la Commissione fa valere che le «autorità competenti» non hanno adempiuto i loro obblighi di risultato in materia di organizzazione, autorizzazione e controllo delle operazioni di smaltimento dei rifiuti che comportavano anche gli artt. 5 e 6. Nonostante la mia convinzione che, così facendo, essa commette un errore, esaminerò brevemente la fondatezza delle sue affermazioni a tal proposito.
101 La Commissione fa presente che la discarica abusiva ha continuato a ricevere rifiuti nonostante il provvedimento di sequestro adottato nel 1990, poiché dalla risposta del governo italiano al parere motivato risulta che, dal settembre 1996, tale discarica ha costituito oggetto di un nuovo provvedimento di sequestro. Questo dimostrerebbe chiaramente l'inefficacia dei provvedimenti adottati. D'altra parte questi provvedimenti di sequestro sarebbero insufficienti poiché, a causa dell'obbligo di risultato imposto dalla direttiva, la Repubblica italiana sarebbe tenuta non solo a sanzionare gli abusi ma anche a ripristinare una situazione ambientale sana, conforme al diritto comunitario.
102 Dal canto suo, il governo italiano fa valere che questa censura non è fondata per i seguenti motivi. Innanzi tutto le disposizioni fatte valere prevedono solo un obbligo di designazione di autorità incaricate di compiti amministrativi in materia di gestione dei rifiuti. L'Italia avrebbe soddisfatto tale obbligo dando attuazione alla direttiva. In secondo luogo, il rispetto dell'asserito obbligo non potrebbe essere valutato sulla base di un solo caso di specie specifico. Infine, la Commissione per dimostrare l'inadempimento si baserebbe su circostanze che non possono essere sostenute da prove.
103 Poiché sono pervenuto sopra alla conclusione che scarichi di materiali biologici e chimici non rientrano nel campo d'applicazione della direttiva 75/442, la censura relativa agli artt. 5 e 6 si riduce, a mio parere, alla questione se l'esistenza della discarica abusiva sia, di per sé sola, tale da provare che le autorità interessate non avrebbero ottemperato ai loro obblighi di organizzazione di autorizzazione e di controllo delle operazioni di eliminazione dei rifiuti. Tale non è a mio parere il caso.
104 La Commissione non ha provato, e neanche asserito, che non esisterebbe a Napoli un servizio pubblico di rimozione dell'immondizia e dei rifiuti. Essa non ha nemmeno asserito che la creazione di discariche abusive non sarebbe vietata in tale città. Il fatto che la discarica è stata posta sotto sequestro e che è stato avviato un procedimento penale contro il responsabile dimostra invece che le basi giuridiche necessarie esistono.
105 Per quanto riguarda un'eventuale violazione degli obblighi dell'autorità competente in materia «di autorizzazione», essa non può essere presa in considerazione poiché nessuna autorizzazione non è stata concessa.
106 Infine, l'obbligo di «controllo» può, a mio parere, riguardare solo le operazioni lecite di eliminazione dei rifiuti. L'attività di una discarica abusiva non può per definizione costituire oggetto di «controllo» dell'autorità istituita ai sensi dell'art. 5 (precedente) o 6 (nuovo) della direttiva.
107 Il problema si riduce quindi alla questione se l'autorità competente abbia dato prova della diligenza o dell'efficacia necessaria per far cessare lo scarico di rifiuti nel vallone. Ora, tale questione rientra nella censura relativa agli artt. 7 (precedente) e 8 (nuovo) della direttiva che sarà esaminata qui di seguito.
108 Pervengo pertanto alla conclusione che tale censura non è fondata, anche nell'ipotesi in cui si ammettesse che gli artt. 5 (precedente) e 6 (nuovo) creano obblighi che vanno al di là della designazione di un'«autorità competente».
Sulla censura relativa al mancato rispetto degli obblighi imposti dall'art. 10 (precedente) o dall'art. 13 (nuovo) della direttiva 75/442
109 La Commissione ritiene che:
«le autorità competenti non hanno ottemperato all'obbligo di vigilanza delle imprese che provvedono al trasporto, alla raccolta, all'ammasso, al deposito o al trattamento dei propri rifiuti, nonché di quelle che raccolgono o trasportano i rifiuti per conto terzi, in violazione dell'art. 10 della direttiva 75/442/CEE (ovvero dell'art. 13 della direttiva 75/442/CEE, come modificato dalla direttiva 91/156/CEE, che ne riproduce sostanzialmente il contenuto)».
110 La formulazione di questa censura riporta il testo del precedente art. 10. Il nuovo art. 13 stabilisce che «gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli articoli 9-12 sono sottoposti a adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti».
111 Leggendo gli artt. 9-12 (nuovi) non sembra che vi sia una differenza sostanziale tra l'art. 10 e l'art. 13.
112 Secondo il governo italiano questa censura è infondata in particolare perché l'art. 10 prevede una vigilanza per quanto riguarda i soggetti autorizzati ad effettuare le varie fasi di gestione dei rifiuti. Ora la Commissione non avrebbe provato che la discarica abusiva fosse stata il risultato dell'azione di soggetti sottoposti a tale vigilanza.
113 Nella replica la Commissione ammette di non essere «in grado di dimostrare specificamente se i soggetti privati che si sono serviti alla discarica abusiva fossero soggetti sottoposti alla vigilanza prevista dalla norma in esame. Risulta comunque difficile credere che tali rifiuti non provengano, almeno in parte, da questi soggetti».
114 A tal riguardo penso che sia sufficiente ricordare una giurisprudenza costante (15) relativa all'onere della prova nell'ambito dei ricorsi per inadempimento e secondo la quale spetta alla Commissione «fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l'esistenza della trasgressione, senza potersi basare su alcuna presunzione».
115 In mancanza di elementi che provino che i rifiuti depositati nella discarica abusiva provenissero da imprese, soggette alla vigilanza prevista dall'art. 10, devo quindi ritenere che tale censura non sia fondata.
Sulla censura relativa al mancato rispetto degli obblighi imposti dall'art. 7 (precedente) o dall'art. 8, primo trattino (nuovo) della direttiva 75/442
116 Secondo la Commissione, la Repubblica italiana «non ha adottato le disposizioni necessarie, affinché, con riferimento ad una cavità tufacea sita nella zona dell'alveo di San Rocco, adibita in passato a discarica abusiva, il concessionario della cava stessa consegnasse i rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa di smaltimento, in violazione dell'art. 7, primo trattino, della direttiva 75/442/CEE (ovvero dell'art. 8, primo trattino, della direttiva 91/156/CEE, che ne riproduce sostanzialmente il contenuto)».
117 Questa censura riproduce il testo dell'art. 7. Il nuovo art. 8 invece dell'espressione «impresa di smaltimento» usa quella di «impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A e II B». Si può quindi ritenere che il contenuto delle due disposizioni sia in sostanza identico.
118 La Commissione fa presente che non risulta che le autorità italiane abbiano adottato le misure necessarie per obbligare il concessionario della discarica abusiva a consegnare i rifiuti ad un raccoglitore pubblico o privato ovvero ad un'impresa di smaltimento. Pertanto, la Repubblica italiana ha violato gli obblighi di cui all'art. 7, primo trattino, della direttiva 75/442.
119 Il governo italiano fa valere che questa censura non è fondata. A suo parere, la circostanza che la cava sia stata utilizzata come discarica abusiva non dimostra che la Repubblica italiana abbia violato la norma di cui trattasi, ma solo che sono state violate le norme italiane in materia. Con il sequestro della discarica, le autorità italiane hanno adottato le misure necessarie per far cessare l'abuso.
120 Tuttavia, mi sembra abbastanza incontestabile che colui che gestisce una discarica abusiva, accogliendo i rifiuti, diviene detentore di questi rifiuti. Pertanto l'art. 7 imponeva alla Repubblica italiana un obbligo specifico, cioè adottare, nei confronti di tale gestore, fin da quando ha avuto conoscenza dell'esistenza della discarica e i requisiti del procedimento penale lo consentivano, le disposizioni necessarie affinché i rifiuti accolti nella discarica fossero consegnati ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un'impresa di smaltimento, a meno che tale gestore potesse esso stesso assicurarne la valorizzazione o lo smaltimento.
121 Limitandosi ad ordinare il sequestro della discarica abusiva, e ad avviare un procedimento penale contro il gestore di tale discarica, la Repubblica italiana non ha soddisfatto l'obbligo specifico di cui all'art. 7 (precedente) o 8 (nuovo) della direttiva 75/442.
Sulle spese
122 Anche se pervengo alla conclusione che solo uno dei motivi della Commissione può essere accolto, propongo che la convenuta sia condannata alle spese. Risulta infatti dal fascicolo che il procedimento avviato dalla Commissione ha svolto un ruolo maggiore nell'adozione, da parte della Repubblica italiana, di una serie di provvedimenti destinati a porre rimedio ad una situazione altamente criticabile dal punto di vista della tutela dell'ambiente.
Conclusione
Al termine della mia analisi propongo alla Corte di:
- constatare che la Repubblica italiana, non adottando le misure necessarie affinché i rifiuti raccolti in una discarica abusiva fossero consegnati ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un'impresa di smaltimento, è venuta meno agli obblighi di cui all'art. 7 della versione iniziale o all'art. 8 della versione modificata della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE relativa ai rifiuti;
- respingere il ricorso per il resto;
- condannare la Repubblica italiana alle spese.
(1) - GU L 194, pag. 39.
(2) - GU L 78, pag. 32.
(3) - Essa cita al riguardo la sentenza 28 marzo 1985, causa 274/83, Commissione/Italia (Racc. pag. 1077).
(4) - Causa C-105/91, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-5871).
(5) - V., in particolare, sentenze 20 febbraio 1986, causa 309/84, Commissione/Italia (Racc. pag. 599); 28 aprile 1993, causa C-306/91, Commissione/Italia (Racc. pag. I-2133), e 12 gennaio 1994, causa C-296/92, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1).
(6) - Causa C-45/91, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-2509).
(7) - Sentenza 11 agosto 1995, causa C-431/92, Commissione/Germania (Racc. pag. I-2189, punto 22), il corsivo è mio.
(8) - Il corsivo è mio.
(9) - Il corsivo è mio.
(10) - Si tratta di un organismo speciale con compiti di investigazione e di accertamento di reati in campo ambientale.
(11) - GU L 135, pag. 40.
(12) - Il corsivo è mio.
(13) - Sentenza della Corte 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/Grecia (Racc. pag. 4875).
(14) - Sentenza 23 febbraio 1994, causa C-236/92 (Racc. pag. I-483).
(15) - V., in particolare, sentenza 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 1791).