Conclusioni dell'avvocato generale La Pergola del 28 gennaio 1999. - C.P.M. Meeusen contro Hoofddirectie van de Informatie Beheer Groep. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Commissie van Beroep Studiefinanciering - Paesi Bassi. - Regolamento (CEE) n. 1612/68 - Libera circolazione delle persone - Nozione di "lavoratore" - Libertà di stabilimento - Finanziamento degli studi - Discriminazione in base alla nazionalità - Requisito della residenza. - Causa C-337/97.
raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-03289
I - Introduzione
1 Nel presente procedimento pregiudiziale il College van Beroep Studiefinanciering (in prosieguo: il «College») chiede alla Corte di precisare la rilevanza della residenza del lavoratore, e dei suoi familiari, al fine di delimitare l'ambito di applicazione della regola sulla parità di trattamento nella fruizione dei vantaggi sociali, stabilita dall'art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68. Preliminarmente, il giudice remittente chiede se possa essere qualificato come lavoro subordinato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 48 del Trattato e del regolamento n. 1612/68, il lavoro prestato alle dipendenze di un'impresa familiare. Altra questione concerne la possibilità di riconoscere, in base all'art. 52 del Trattato, il diritto alla non discriminazione nel godimento dei vantaggi sociali anche ai lavoratori autonomi.
II - I fatti della lite e le questioni proposte
2 La causa pendente dinanzi al giudice a quo ha per oggetto l'impugnazione della decisione, adottata dall'ente olandese che gestisce il finanziamento degli studi, lo Hoofddirectie van de Informatie Beeher Groep (in prosieguo: l'«IBG»), di negare a Chantal Meeusen, cittadina belga residente in Belgio, il diritto di usufruire dei sussidi economici previsti dalla legge olandese sul finanziamento degli studi; e ciò nonostante il fatto che i suoi genitori, anch'essi belgi e residenti in Belgio, abbiano sempre lavorato nei Paesi Bassi.
3 I signori Meeusen, genitori di Chantal, pur svolgendo dal 1976 la loro attività professionale nei Paesi Bassi, hanno stabilito dal 1980 la propria residenza in Belgio, a Essen, non lontano dal confine olandese. Il padre, Petrus Meeusen, è direttore generale della Inpechem Inspectors B.V. (s.r.l.), da lui stesso fondata e di cui è unico proprietario. La società ha sede a Rotterdam, è costituita da un laboratorio di esperti in trasporto di materiali liquidi ed impiega una ventina di persone. La madre lavora alle dipendenze della Inpechem Inspectors. I signori Meeusen hanno sempre fruito di un reddito olandese e versato le imposte al fisco olandese; essi sono iscritti al regime delle assicurazioni sociali generali dei Paesi Bassi, secondo la legge di quello Stato, la quale fa riferimento al luogo in cui lavora l'interessato.
4 Il 14 ottobre del 1993 Chantal Meeusen richiedeva alla IBG l'assegnazione di un sussidio per poter proseguire i suoi studi in chimica al Provincial Hoger Technisch Instituut voor Scheiunde di Anversa. Essa otteneva, dal novembre del 1993 al marzo 1994, una borsa base, che ai sensi della legge olandese sul finanziamento degli studi, la Wet op de studiefinanciering (in prosieguo: la «WSF»), è concessa direttamente agli studenti maggiorenni indipendentemente dalle loro condizioni di reddito. Con provvedimento del 2 ottobre 1994, l'IBG comunicava di aver riveduto la propria decisione, intimando contestualmente all'interessata di restituire le somme percepite. Il diniego del sussidio era motivato dal fatto che Chantal, non avendo nazionalità olandese né risiedendo nei Paesi Bassi, non era in una situazione coperta dalla WSF. Tale normativa si applica ai cittadini olandesi e ad alcune categorie di stranieri, tra cui i cittadini degli Stati membri della CE, a condizione, però, che siano residenti nello Stato.
La decisione del 2 ottobre 1994, confermata dall'IBG in sede di opposizione, veniva impugnata da Chantal Meeusen dinanzi al giudice remittente. Secondo il College, il diritto al sussidio, benché escluso per gli stranieri non residenti in base alla normativa nazionale, potrebbe risultare fondato, nel caso dello straniero cittadino di altro Stato membro, grazie alle norme comunitarie sulla libera circolazione dei lavoratori. Nel procedimento da cui trae origine il presente giudizio la convenuta IBG sosteneva che la normativa comunitaria non tutela i lavoratori frontalieri, non residenti nello Stato. Il College, premesso che secondo la Corte un sussidio per gli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori è un vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68, pone per parte sua il problema se tale disposto operi anche quando sia il lavoratore sia la sua famiglia risiedano in uno Stato diverso da quello di occupazione ed al quale gli interessati abbiano versato i contributi. Preliminarmente, però, vengono sollevati dubbi sulla natura subordinata delle attività svolte dalla madre. Nel caso in cui non possano trovare applicazione le norme sulla tutela del lavoratori subordinati, il College chiede alla Corte di pronunziarsi sulla possibile rilevanza delle norme sulla libertà di stabilimento.
5 Vengono, dunque, proposte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1.a) Se in una situazione, come quella qui considerata, nella quale la madre della ricorrente presta attività lavorativa alle dipendenze di una società a responsabilità limitata di cui il marito è direttore generale ed unico socio, osti a che essa sia considerata lavoratore migrante secondo l'accezione dell'art. 48 del Trattato CE e del regolamento (CEE) n. 1612/68.
In caso di soluzione negativa della questione sub 1.a):
1.b) Premesso che nella causa Bernini (sentenza 26 febbraio 1992, causa C-3/90) la Corte di giustizia ha dichiarato che un sussidio per gli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori costituisce, per un lavoratore migrante, un vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 quando il lavoratore continua a provvedere al sostentamento del figlio e che in tal caso il figlio può avvalersi dell'art. 7, n. 2, per ottenere un sussidio per gli studi alle stesse condizioni che valgono per i figli dei lavoratori nazionali, ed in particolare senza che possa essergli imposta un'ulteriore condizione relativa alla residenza, se tale regola valga senza limitazioni di sorta qualora il lavoratore migrante debba essere considerato lavoratore frontaliero.
1.c) Se la regola tratta dalla sentenza Bernini, quale esposta nella questione sopra formulata, valga anche qualora il figlio del lavoratore migrante non abbia mai risieduto nei Paesi Bassi, come nel caso di specie.
2) Se l'art. 52 del Trattato CE debba essere interpretato nel senso che la garanzia che emerge dalla regola posta dalla sentenza Bernini, quale citata nella questione sub 1.b), vale anche per il figlio di un cittadino di uno Stato membro che svolge in un altro Stato membro un'attività lavorativa non subordinata. In quale misura siano allo stesso tempo determinanti in proposito la circostanza che il figlio non ha mai risieduto nei Paesi Bassi e la circostanza che i genitori non risiedono nel paese dove viene svolta l'attività lavorativa non subordinata».
III - Le norme comunitarie rilevanti
6 Per quanto concerne i lavoratori subordinati il principio di non discriminazione è enunciato in termini generali dall'art. 48, n. 2, del Trattato, a norma del quale la libera circolazione dei lavoratori «implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro».
In base all'art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità «[il lavoratore cittadino di uno Stato membro] gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali».
7 Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, l'art. 52 del Trattato stabilisce: «Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato vengono gradatamente soppresse durante i periodo transitorio».
IV - Il finanziamento degli studi nell'ordinamento dei Paesi Bassi
8 Nei Paesi Bassi le norme sul finanziamento degli studi sono stabilite dalla WSF, in vigore dal 1º ottobre 1986. In primo luogo, è prevista una borsa di base, concessa indipendentemente dal reddito dei genitori (art. 16). Può essere, inoltre, concessa una borsa complementare, il cui ammontare dipende dal reddito dei genitori (artt. 18 e 20). L'ammontare della borsa di base e di quella complementare variano a seconda se lo studente vive oppure no con i genitori. Secondo l'attuale disciplina i sussidi sono direttamente erogati agli studenti. Nel sistema precedente i genitori di uno studente di età compresa tra 18 e i 27 anni potevano usufruire di assegni familiari (allocations familiales). Agli studenti meno abbienti poteva essere inoltre assegnata una borsa di studio, concessa in ragione del reddito familiare.
9 In base all'art. 7 la WSF si applica esclusivamente alle seguenti categorie:
«a. studenti di nazionalità olandese;
b. studenti residenti nei Paesi Bassi che non possiedono la nazionalità olandese e che sono assimilabili ai cittadini olandesi per quanto concerne il finanziamento degli studi in virtù di convenzioni internazionali o di una decisione, vincolante per i Paesi Bassi, emanata da un'organizzazione internazionale;
c. studenti residenti nei Paesi Bassi che non possiedono la nazionalità olandese e appartengono a una categoria di persone individuate in via regolamentare dalla pubblica amministrazione e che sono assimilabili ai cittadini olandesi per quanto concerne il finanziamento degli studi».
V - Il quesito sub 1.a)
10 Il giudice a quo chiede anzitutto che si accerti se la madre di Chantal Meeusen possa considerarsi lavoratore subordinato ai fini dell'applicazione delle norme comunitarie che garantiscono al lavoratore la parità di trattamento nel godimento dei vantaggi sociali. Tra questi ultimi benefici la giurisprudenza della Corte ricomprende, almeno in certi casi, l'erogazione di borse di studio al figlio del lavoratore. Tale primo quesito è volto, più precisamente, ad appurare se l'attività svolta dal coniuge dell'unico proprietario dell'impresa, nell'ambito di un'impresa familiare, possa essere definita come subordinata ai fini dell'applicazione delle norme relative alla libera circolazione dei lavoratori, in particolare dell'art. 48 del Trattato e delle relative norme attuative, dettate dal regolamento n. 1612/68.
11 Nel nostro caso ci troviamo, dunque, di fronte al non facile problema di distinguere tra l'aspetto personale e quello professionale dell'attività lavorativa svolta in un contesto familiare. La collaborazione del familiare può avere natura diversa da quella che risulta dal contratto o, addirittura, avvenire al di fuori di schemi contrattuali. Proprio per questo, gli ordinamenti nazionali intervengono per salvaguardare i diritti del familiare collaboratore. Il che spiega anche come il lavoro compiuto nell'impresa familiare possa assumere diverse qualificazioni nell'ambito di uno stesso ordinamento. Così accade, peraltro, anche nell'ordinamento olandese, nel quale, come si legge nell'ordinanza di rinvio, «la questione se si sia in presenza di un rapporto di subordinazione viene variamente risolta a seconda del settore normativo interessato (previdenza sociale, diritto tributario, diritto civile)».
12 Non vi sono, tuttavia, ragioni per discostarsi, riguardo all'attività svolta in un'impresa «familiare», dai criteri formulati dalla Corte per l'applicazione delle norme che tutelano il lavoratore comunitario. La giurisprudenza comunitaria ha, invero, definito la nozione di lavoratore comunitario in modo autonomo rispetto agli ordinamenti nazionali (1). La qualità di lavoratore subordinato è riconosciuta alla persona che «fornisc[e], per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra persona e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali ricev[e] una retribuzione» (2). Deve, altresì, trattarsi di «attività reali ed effettive», ad esclusione di attività aventi carattere marginale (3). In base alla giurisprudenza ora ricordata occorre, quindi, considerare come l'attività svolta sia inquadrata nell'assetto organizzativo dell'impresa, accertando se tale attività sia posta alle dipendenze di altra persona, alla quale è affidata la responsabilità generale della direzione dell'impresa. E' dunque una questione da risolvere in punto di fatto, senza che rilevino le varie qualificazioni formali proposte a fini particolari nell'ordinamento olandese. Il College ci dice di aver accertato l'effettività del contributo prestato dalla signora Meeusen. Il giudice nazionale deve altresì verificare che tale contributo sia prestato sotto la direzione di altri.
Mi limito ad osservare che il tempo dedicato all'impresa del marito, e il tipo di attività in essa svolte, inducono effettivamente a ipotizzare che tale attività s'inquadri in un più generale schema di coordinamento. In base agli elementi forniti dalla ricorrente e dal giudice di rinvio, l'attività svolta dalla signora Meeusen sembrerebbe rientrare nel lavoro subordinato secondo l'accezione comunitaria di tale categoria (4).
13 Nessun rilievo può essere, invece, riconosciuto ad altri criteri, pur valorizzati in alcuni ordinamenti nazionali. In particolare, non sembra rilevante il fatto che il rischio economico cada più o meno direttamente anche sul coniuge dell'imprenditore. Ritengo, quindi, che non debba essere seguito il suggerimento della Commissione, secondo la quale andrebbe tenuto conto del regime matrimoniale prescelto dai coniugi Meeusen (su cui, peraltro, non sono fornite precisazioni). Ad avviso della Commissione il problema di qualificazione che ci concerne dovrebbe, quando vi sia separazione di beni, essere affrontato e risolto allo stesso modo di quanto avviene nella generalità dei rapporti di lavoro. Se i signori Meeusen fossero, però, in regime di comunione dei beni, e quindi, comproprietari dell'impresa, si dovrebbe, applicare per analogia la regola formulata nel caso Asscher, nel quale la Corte ha escluso che il direttore, dipendente di una società di cui egli era anche unico azionista, esercitasse la sua attività nell'ambito di un rapporto di subordinazione (5). In quel caso, la Corte ha giustamente negato l'effettività della subordinazione formalmente connessa con la qualità di «dipendente», guardando al tipo di attività effettivamente svolto. Non è, dunque, pertinente l'osservazione che nessuno dei coniugi potrebbe trovarsi in relazione di subordinazione rispetto alla loro comunità proprietaria del complesso delle azioni. Così ragionando, si confonde, infatti, il profilo patrimoniale con quello della reale natura dei rapporti professionali nel quadro dell'organizzazione dell'impresa. Del pari inconferente, perché confonde il profilo personale con quello dell'organizzazione dell'impresa, è il punto di vista proposto (anche in udienza) dal governo olandese, secondo cui non potrebbe mai esservi relazione di subordinazione tra coniugi. La circostanza che ad uno dei coniugi siano attribuiti compiti di organizzazione e coordinamento non implica, infatti, l'esistenza di alcuna gerarchia nei rapporti personali.
VI - I quesiti sub 1.b) e 1.c)
14 Se, come ritengo, si deve dare una risposta affermativa al quesito sub 1.a), occorre esaminare i successivi quesiti sub 1.b) e 1.c). La giurisprudenza comunitaria ha riconosciuto, nelle cause Moritz e Bernini, che un aiuto concesso per il mantenimento e la formazione al fine del proseguimento degli studi di livello secondario o postsecondario dev'essere considerato un vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, alla condizione, precisata nella causa Bernini, che il lavoratore continui a provvedere al mantenimento del figlio (6). In primo luogo, con il quesito sub 1.b) il giudice a quo chiede se il lavoratore abbia diritto agli stessi vantaggi sociali di cui godono i lavoratori nazionali anche quando egli risieda in un luogo diverso da quello in cui svolge la propria attività lavorativa. In caso di risposta affermativa al quesito sub 1.c), si chiede, poi, se tale vantaggio sociale debba essere riconosciuto anche quando il figlio beneficiario non abbia mai risieduto nello Stato al quale compete di erogare la prestazione sociale richiesta. Entrambi i quesiti vertono così sulla rilevanza della residenza al fine di delimitare l'operatività delle regole che garantiscono ai lavoratori comunitari la parità nel godimento dei vantaggi sociali.
15 Dico subito che, a mio avviso, il lavoratore frontaliero, peraltro espressamente menzionato nel preambolo del regolamento n. 1612/68, ha diritto di non essere discriminato quanto al godimento dei vantaggi sociali dello Stato membro alla cui cassa egli versa i propri contributi fiscali e assicurativi. Secondo questa Corte, le norme dell'art. 48 del Trattato e dell'art. 7 del regolamento n. 1612/68 vietano, poi, oltre alle discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga all'illecito risultato della disparità di trattamento (7). Le pronunce alle quali mi riferisco tengono conto del fatto che la previsione di determinati requisiti cui può essere subordinata la facoltà di godere di determinati diritti abbia in realtà l'intento, oppure l'effetto, di favorire i cittadini di uno Stato rispetto agli altri. La Corte ha altresì chiarito come la compatibilità col Trattato di disposizioni nazionali che condizionano il godimento dei vantaggi sociali a requisiti relativi alla residenza vada accertata secondo idonei canoni di ragionevolezza. L'ipotesi del lavoratore frontaliero è presa specificamente in esame nel caso Meints, sempre in tema di godimento di vantaggi sociali (nella specie si trattava di un indennizzo concesso una tantum ai lavoratori agricoli in particolari ipotesi di risoluzione del loro contratto di lavoro). In quel giudizio la Corte ha rilevato che «a meno che non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo perseguito, una disposizione di diritto nazionale dev'essere giudicata indirettamente discriminatoria quando, per sua stessa natura, tenda ad incidere più sui lavoratori migranti che su quelli nazionali» (8). Anche recentemente nella causa Commissione/Lussemburgo è stata ritenuta incompatibile con il Trattato la norma lussemburghese che faceva dipendere la concessione di assegni di maternità dal fatto che la madre avesse risieduto nello Stato durante l'anno precedente la nascita del bambino (9). In alcune ipotesi vi possono poi essere anche motivi oggettivi per tener conto della residenza. Così, per esempio, nel caso Sotgiu la Corte ha ritenuto che per graduare le indennità di separazione debba vedersi se, al momento dell'assunzione, i lavoratori interessati risiedessero nel territorio nazionale o all'estero (10).
16 I governi dei Paesi Bassi e della Germania hanno dedotto che le norme sulla libera circolazione sono essenzialmente finalizzate a favorire l'integrazione del lavoratore comunitario. A loro avviso, quindi, ammettendo che il lavoratore ed i suoi familiari abbiano scelto di non risiedere, e così di non integrarsi, nello Stato di occupazione, essi non possono, poi, pretendere da quest'ultimo il vantaggio sociale di cui si tratta nella specie. A tale proposito, il governo olandese richiama il quinto `considerando' del preambolo del regolamento, in cui è previsto l'obiettivo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori: uno dei modi per conseguirlo, si dice, è quello di riconoscere al lavoratore il diritto di «farsi raggiungere dalla famiglia e le condizioni d'integrazione della famiglia nella società del paese ospitante». Anche la sentenza Moritz rileverebbe, al punto 20, il valore schiettamente strumentale assunto dal principio della parità di trattamento rispetto al fine di integrare il lavoratore nel paese ospite. Il governo tedesco invoca altra giurisprudenza nello stesso senso (11). Con l'opinione formulata dai due governi in parola si accorderebbe, in definitiva, anche l'orientamento giurisprudenziale che sembra, a prima vista, deporre per l'ampia applicazione del divieto di trattamenti discriminatori nella sfera dei vantaggi sociali. In particolare, secondo il governo dei Paesi Bassi, la vicenda nella specie si distinguerebbe dal caso Moritz per il fatto che il vantaggio offerto dalla concessione di una borsa di studio da usufruire all'estero «non ha niente a che vedere con il diritto del lavoratore di ricongiungersi alla propria famiglia e di integrarsi nel paese ospitante». E' inoltre dedotto che, il finanziamento degli studi costituisce nell'ordinamento olandese un diritto spettante allo studente in quanto tale, fuori dal nesso che lo lega con la famiglia. Così ragionando, il governo olandese finisce, tuttavia, per trascurare che vi è il caso Bernini, concernente la specifica materia delle borse di studio olandesi, e che le affermazioni della Corte in quella pronuncia contraddicono la tesi oggi sostenuta da Germania e Olanda. Conviene tuttavia vedere più da vicino gli argomenti fatti valere dall'uno e dall'altro governo. Il governo tedesco osserva che, rispetto ai protagonisti della presente controversia, i soggetti che facevano in quel caso valere una pretesa ai vantaggi sociali comunitari avevano più stretti legami con lo Stato olandese. I genitori della signora Bernini, esso dice, erano lavoratori migranti; la stessa signora Bernini, pur essendo al tempo della lite residente in Italia, aveva in passato lavorato e risieduto nei Paesi Bassi, mentre nel caso dei Meeusen non si porrebbero problemi d'integrazione, né vi sarebbe ragione di garantire la parità di trattamento. Analoga è la posizione del governo olandese secondo il quale sarebbe decisiva la circostanza che la signora Meeusen abbia scelto di mantenere la propria residenza in Belgio. Saremmo di fronte ad un caso in cui la lavoratrice interessata non ha l'intenzione di integrarsi nel paese di occupazione.
17 Che dire delle tesi ora riferite? Nel nostro caso, è vero, non sembrano rilevare esigenze d'integrazione. I Meeusen si muovono agevolmente tra lo Stato in cui lavorano e quello in cui abitano insieme alla figlia. La loro situazione rappresenta, si direbbe, un significativo esempio di attuazione della mobilità dei lavoratori. Non importa, da questo punto di vista, che, come è stato precisato in corso di causa, la ricorrente avrebbe risieduto in Olanda fino al compimento di 5 anni. Né rileva il fatto, reso noto in udienza dal signor Meeusen, che dall'estate del 1997 Chantal ha stabilito la propria residenza in Olanda (senza peraltro mutare i suoi piani di proseguire gli studi in Belgio).
18 Il fatto è, tuttavia, che il problema di cui è investita la Corte va impostato e risolto nell'ottica del lavoratore mobile e frontaliero e non in quella del lavoratore di cui debba favorirsi il radicamento nel paese in cui egli svolge l'attività professionale. L'esigenza che viene in rilievo, ha giustamente precisato la Commissione, è dunque quella del coordinamento tra i sistemi di benefici sociali previsti dagli Stati membri: tanto più, direi, quando, come accade nella specie, tali vantaggi hanno natura almeno in parte compensativa, in quanto finanziati dai contributi versati dagli stessi lavoratori.
La disciplina comunitaria nella materia che ci interessa è, in effetti, imperniata sul criterio del coordinamento. Il regolamento n. 1408/71 detta, in attuazione dell'art. 51 del Trattato, le disposizioni occorrenti a coordinare le modalità erogative delle prestazioni sociali nelle categorie contemplate da tale normativa secondaria. Lo stesso criterio è stato adottato dal legislatore comunitario anche per la categoria dei vantaggi sociali previsti dall'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68: categoria, questa, più generale di quella in cui ricadono le prestazioni specificamente individuate dal regolamento n. 1408/71 (12). Ora, a mio parere, il principio di non discriminazione, quale esso è in via generale stabilito dall'art. 48 del Trattato e dall'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, trova giustificata applicazione in un caso come quello che ci concerne. La prestazione sociale in questione ha, avvertivo sopra, un indubbio profilo di vantaggio compensativo, epperò è subordinata alla residenza, tranne che per i cittadini olandesi. Per questa via, come osserva la Commissione, si introduce fra i lavoratori frontalieri una disparità di trattamento, che vien fatta dipendere dalla loro nazionalità. Rimuovere una tale discriminazione significa evitare che il lavoratore, il quale esercita la libertà di movimento, sia privato dei benefici garantiti al lavoratore sedentario. E' una soluzione, a mio avviso, conforme così ai principi del Trattato come alla normativa comunitaria che si tratta di interpretare.
19 Nel caso Bernini la Corte ha ammesso che certe borse di studio rientravano nella categoria, definita in modo ampio nella giurisprudenza della Corte, dei vantaggi sociali ai sensi e per gli effetti del regolamento n. 1612/68 (13). Il quesito era stato proposto proprio con riferimento alle norme della WSF, che prevedono, appunto, sussidi direttamente concessi agli studenti, quindi non direttamente collegati al rapporto di lavoro. La Corte ha, poi, precisato che il sussidio in parola può essere concesso al lavoratore soltanto quando questi continua a provvedere al sostentamento del figlio (14). Tenendo conto del carattere oggettivamente compensativo delle borse e della condizione che i figli siano effettivamente a carico del genitore, la giurisprudenza ha così posto le borse di studio direttamente concesse agli studenti sullo stesso piano di un istituto previdenziale qual è l'assegno familiare. Borsa di studio e assegno familiare sono, in effetti, l'uno e l'altro interventi economici a sostegno della crescita, del mantenimento e dell'educazione dei figli.
I dati che importano sono, comunque, questi due: il carattere compensativo riconosciuto ai vantaggi in questione e il fatto che il divieto di non discriminazione trae qui le sue ragioni da esigenze di coordinamento di sistemi, piuttosto che d'integrazione. Per accertare l'esistenza del diritto alla parità in un caso come quello di specie occorrerà, va precisato, considerare il sistema di finanziamento stabilito nello Stato di occupazione in rapporto agli altri astrattamente richiamabili, e poi valutare le conseguenze che la mancata concessione della borsa potrebbe determinare (15). Per le considerazioni prima svolte, il raffronto tra i due sistemi va operato, come suggerisce la Commissione, tenendo conto del complesso dei finanziamenti previsti. Vanno considerati sia i contributi familiari concessi ai lavoratori sia le borse erogate direttamente agli studenti. Tale comparazione, inoltre, deve essere svolta in concreto, tenendo sott'occhio le possibilità effettivamente aperte ai lavoratori ed ai loro familiari (e ciò diversamente da quanto proposto nelle osservazioni scritte presentate dal governo olandese, il quale nel prendere in considerazione la normativa belga astrattamente applicabile, non tiene in conto che, nella specie, tali norme non erano applicabili, v. infra).
20 Nel nostro caso, dunque, il sistema di finanziamento olandese deve essere necessariamente comparato a quello del Belgio, Stato di nazionalità e residenza della famiglia Meeusen. Dagli atti risulta che Chantal non ha diritto, nei due ordinamenti, alle borse di studio concesse in base al reddito familiare. Per quanto riguarda, invece, i finanziamenti indipendenti dalle condizioni di reddito, erogati nella forma di borse di studio o contributi familiari, Chantal Meeusen non può essere presa in considerazione proprio in conseguenza della particolare situazione familiare. Ed infatti, non sono nella specie applicabili le norme dell'ordinamento belga, non potendo i sussidi indipendenti dal reddito, concessi nella forma di contributi familiari ai lavoratori iscritti al sistema di assicurazioni sociali, essere comunque erogati ai signori Meeusen, che non sono contribuenti del fisco belga (16); e nemmeno Chantal ha diritto ad usufruire delle borse-base di studio olandesi in quanto, appunto, la WSF impone agli stranieri il requisito della residenza.
Come può il conflitto negativo che così si prospetta essere risolto? La risposta più lineare e persuasiva, a me pare, è quella di attribuire decisiva importanza alla circostanza che il lavoratore partecipa al finanziamento del regime previdenziale presso il quale egli è iscritto.
VII - lI quesito sub 2)
21 Non ritengo necessario esaminare il quesito sub 2), rispetto al quale, peraltro, si prospetterebbero in ogni caso le risposte dinanzi formulate con riguardo ai quesiti sub 1.b) e 1.c).
VIII - Conclusioni
22 Alla luce delle osservazioni sin qui svolte propongo di rispondere al giudice nazionale nei seguenti termini:$
«1.a) Per valutare se un lavoratore che presta attività lavorativa alle dipendenze di una società a responsabilità limitata di cui il coniuge è direttore generale ed unico socio possa considerarsi lavoratore migrante, secondo l'accezione dell'art. 48 del Trattato CE, occorre seguire i generali criteri di accertamento della natura subordinata o autonoma del lavoro prestato e considerare come l'attività professionale che egli svolge si inquadri nell'assetto organizzativo dell'impresa.
1.b) e 1.c) I figli dei lavoratori non residenti nello Stato di occupazione, anche nel caso in cui non risiedano nello Stato di occupazione del genitore, possono avvalersi dei sussidi allo studio concessi da uno Stato membro che, anche in considerazione del loro carattere compensativo, costituiscono vantaggi sociali ai sensi dell'art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68».
(1) - V. sentenze 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum (Racc. pag. 2121, punto 16); 21 giugno 1988, causa 197/86, Brown (Racc. pag. 3205, punto 21); 14 dicembre 1989, causa 3/87, Fisheries and Food (Racc. pag. 4459, punto 35).
(2) - Sentenze Lawrie-Blum (cit., punto 17) e 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher (Racc. pag. I-3089, punto 25).
(3) - V. sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin (Racc. pag. 1035, punto 21).
(4) - V. sentenze Lawrie-Blum (cit., punto 16 e 17) e Asscher (cit., punto 25).
(5) - Causa C-107/94, Asscher, cit., punto 26.
(6) - V. sentenza 15 marzo 1989, cause riunite 389/87 e 390/87, Echternach e a. (Racc. pag. 723, punto 34), e sentenza 26 febbraio 1992, causa C-3/90, Bernini (Racc. pag. I-1071, punto 24).
(7) - V. sentenza 23 maggio 1996, causa C-237/94, O'Flynn (Racc. pag. I-2617, punto 17). In virtù di tale considerazione, in questo caso si riconosceva natura di discriminazione indiretta al fatto di condizionare qualsiasi rimborso delle spese funebri sostenute da un lavoratore migrante al fatto che l'inumazione o la cremazione si svolgano nel territorio (punto 23). Nella sentenza 21 novembre 1991, causa C-27/91, Le Manoir (Racc. pag. I-5531, punto 10) è stato considerato incompatibile con il Trattato il fatto di subordinare la concessione di sgravi di oneri sociali a carico del datore di lavoro all'assunzione, da parte del datore di lavoro stesso, di lavoratori tirocinanti rientranti nel sistema della pubblica istruzione dello Stato, e ciò in base alla considerazione che i tirocinanti rientrano, nella stragrande maggioranza, nel sistema di istruzione pubblica del rispettivo Stato di origine.
(8) - Sentenza 27 novembre 1997, causa C-57/96 (Racc. pag. I-6689, punto 45).
(9) - Sentenza 10 marzo 1993, causa C-111/91 (Racc. pag. I-817, punto 7).
(10) - Sentenza 12 febbraio 1974, 152/73 (Racc. pag. 153, punto 11).
(11) - Sentenze 13 novembre 1990, causa C-308/89, Di Leo (Racc. I-4185, punto 9), e 27 settembre 1988, causa 235/87, Matteucci (Racc. 5589, punto 16).
(12) - Sui rapporti tra l'art. 7, n. 2, e il regolamento n. 1408/71 v. l'intervento di A. Lyon-Caen, La Sécurité sociale et le principe de l'égalité de traitement dans le traité et le règlement n. 1408/71, in La sécurité sociale en Europe. Egalité entre nationaux et non nationaux, Lisbona, 1995, pag. 45, e D. Gouloussis, Instruments internationaux sur l'égalité de traitement en matière de securité sociale, ivi, pag. 91 ss.
(13) - La nozione di vantaggio sociale, come definita dalla costante giurisprudenza di questa Corte, ricomprende «tutte quelle misure, connesse o meno all'esistenza di un rapporto di lavoro, di cui i cittadini dello Stato ospitante risultino destinatari in virtù della loro condizione generale di lavoratori o della semplice residenza sul territorio nazionale», sentenza 31 maggio 1979, causa 207/78, Even (Racc. pag. 2019).
(14) - V. punto 25 della sentenza 26 febbraio 1992, causa C-3/90, Bernini (Racc. pag. I-1071), che richiama in proposito il punto 13 della sentenza 8 giugno 1987, causa 316/85, Lebon (Racc. pag. 2811). Una tale condizione va posta in rapporto al carattere compensativo da attribuire ai vantaggi sociali del tipo in questione. Non è dunque pertinente il rilievo dedotto dal governo olandese, secondo cui nei Paesi Bassi il diritto al finanziamento degli studi va inteso come una situazione giuridica propria dello studente, e quindi non riferibile ai suoi genitori. Ora, il carattere anche compensativo del sussidio è riconosciuto nella sentenza Bernini con l'affermare che un sussidio allo studio può qualificarsi come vantaggio sociale solo quando il lavoratore continua a provvedere al mantenimento del figlio. Riferendosi al criterio così enunciato, il governo olandese osserva che nel nostro caso dovrebbe essere accertato se la ricorrente sia effettivamente a carico della madre, alla cui qualità di lavoratore subordinato viene collegata l'applicabilità del regolamento, e non invece del padre, la cui posizione, non è quella del lavoratore subordinato, e non sarebbe quindi presa in considerazione dalla normativa interna in esame.
(15) - Gli Stati membri stabiliscono peraltro varie discipline in materia. Una sintetica ricognizione della situazione vigente negli Stati membri può leggersi in F.P. Rossi, I diritti della famiglia europea nell'ordinamento comunitario di sicurezza sociale, Milano, 1996, pag. 90 ss.
(16) - Nell'ordinamento belga la concessione di contributi e di prestiti allo studio è disciplinata dalla legge del 19 luglio 1979. In base all'art. 2 della legge del 19 luglio 1971 i contributi vengono accordati agli studenti che perseguono studi in istituti organizzati, sovvenzionati o riconosciuti dallo Stato. La concessione di borse di studio dipende dal reddito dello studente o delle persone di cui egli sia eventualmente a carico. Sono inoltre previsti dei contributi familiari a vantaggio di lavoratori che abbiano dei figli a carico di età inferiore ai 25 anni.