61997C0225

Conclusioni dell'avvocato generale La Pergola del 19 gennaio 1999. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese. - Inadempimento di uno Stato - Libera prestazione di servizi - Procedimenti di aggiudicazione degli appalti - Settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. - Causa C-225/97.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-03011


Conclusioni dell avvocato generale


1 Con il presente ricorso, la Commissione chiede alla Corte di constatare che la Repubblica francese ha trasposto solo parzialmente, e comunque non correttamente, la direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/13/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (in prosieguo: la «direttiva») (1).

La direttiva

2 La direttiva che la Commissione assume non correttamente trasposta è volta ad assicurare, all'interno degli ordinamenti nazionali, mezzi di ricorso rapidi ed efficaci per prevenire e correggere eventuali violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti (2). Essa specifica quali «poteri» debbano essere a tal fine attribuiti agli organi chiamati a conoscere di detti ricorsi. Al riguardo l'art. 2, n. 1, lascia agli Stati membri la facoltà di scegliere tra due soluzioni diverse, ma equivalenti quanto ai pratici effetti (3): da un lato, l'opzione «sospensione-annullamento», prevista dalle lettere a) e b) della norma in discorso; dall'altro, la possibilità di adottare con la massima sollecitudine «altri provvedimenti» intesi a perseguire il medesimo risultato, fra i quali viene citata la «facoltà di imporre il pagamento di una somma determinata nel caso in cui l'infrazione non venga riparata o evitata» (4). Tale ultima ipotesi, contemplata dall'art. 2, n. 1, lett. c), è quella scelta dal legislatore francese in sede di trasposizione.

3 Il capitolo secondo della direttiva disciplina il sistema dell'attestazione, e ricade anch'esso nell'ambito del presente ricorso. In sostanza, è previsto (5) che gli Stati membri offrano agli enti aggiudicatori la possibilità «di ricorrere ad un sistema di attestazione», i cui tratti essenziali sono delineati negli artt. da 4 a 7. Tale sistema permette agli enti in questione di «fare esaminare periodicamente le procedure di appalto rientranti nel campo di applicazione della direttiva 90/531/CEE nonché la relativa attuazione pratica, ai fini di ottenere un attestato che constati la conformità delle medesime, in quel determinato momento, al diritto comunitario in materia di appalto e alle norme nazionali che recepiscono tale diritto» (6).

4 Il capitolo quarto della direttiva istituisce un sistema di conciliazione facoltativa. L'attivazione di tale procedura, ai sensi dell'art. 9, può essere chiesta da «chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto disciplinato dalla direttiva 90/531/CEE e, in relazione alla procedura di aggiudicazione di detto appalto, ritenga di essere o di rischiare di essere leso a causa di una pretesa violazione del diritto comunitario in materia di appalti o delle norme nazionali che recepiscono tale diritto (...)». L'ente aggiudicatore, tuttavia, non è tenuto a partecipare alla procedura (7). Compito dei conciliatori - sempre che l'ente aggiudicatore dia il proprio assenso all'attivazione della procedura in parola - è quello di adoperarsi «per trovare quanto prima un accordo tra le parti, nel rispetto del diritto comunitario» (8) e di informare la Commissione «delle loro conclusioni e dei risultati ai quali sono giunti» (9).

5 Il termine previsto dalla direttiva per il suo recepimento veniva a scadenza il 1º gennaio 1993.

La normativa francese di recepimento

6 La direttiva è stata trasposta nel diritto francese mediante la legge n. 93-1416, del 29 dicembre 1993, relativa ai ricorsi in materia di aggiudicazione di taluni contratti di forniture e lavori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni (10). Il testo della legge veniva notificato alla Commissione con lettera del 14 gennaio 1994.

Nel recepire l'art. 2 della direttiva, il legislatore francese ha scelto l'opzione consentita dal n. 1, punto c), della medesima disposizione, la quale prevede che sia accordato al giudice il potere «di imporre il pagamento di una somma determinata nel caso in cui l'infrazione non venga riparata o evitata» (11).

A tal fine, l'art. 1 della legge n. 93-1416 prevede che il presidente della giurisdizione dell'ordine giudiziario competente, su domanda di chi abbia interesse a concludere il contratto e si ritenga pregiudicato da un inadempimento commesso da un ente aggiudicatore, ordini a quest'ultimo di adempiere le proprie obbligazioni entro un termine fissato dal presidente stesso. E' anche prevista, in caso di perdurante inadempienza, una penalità di mora provvisoria (astreinte provisoire), che decorre a partire dallo spirare del termine impartito. Il giudice può tuttavia «prendere in considerazione le conseguenze probabili di quest'ultima misura per tutti gli interessi in questione, in particolare per l'interesse pubblico, e decidere di non accordarla quando le conseguenze negative della sua adozione potrebbero superare i vantaggi» (12). Il quarto comma delle stesso art. 1 dispone che «l'importo della penalità di mora provvisoria è liquidato tenendo conto del comportamento di colui al quale l'ingiunzione è rivolta, nonché delle difficoltà incontrate nell'eseguirla».

E' poi prevista, al sesto comma dell'art. 1, una penalità di mora definitiva (astreinte définitive): «se, alla liquidazione della penalità di mora provvisoria, l'inadempimento constatato non è stato eliminato, il giudice può comminare una penalità di mora definitiva (...)».

La penalità di mora, sia essa provvisoria o definitiva, è indipendente dalla richiesta di risarcimento danni e può essere revocata, in tutto o in parte, se risulta che l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento dell'ingiunzione emessa dal giudice non è imputabile all'ente aggiudicatore (13).

L'art. 4 della legge n. 93-1416 detta disposizioni analoghe a quelle contenute nel citato art. 1, attribuendo però i relativi poteri al presidente del tribunale amministrativo.

7 La normativa francese in discorso non contempla alcuna apposita disposizione volta a recepire i capitoli 2 e 3 della direttiva, che riguardano, rispettivamente, il sistema di attestazione e la procedura di conciliazione.

La fase precontenziosa

8 Con lettera di messa in mora dell'8 settembre 1995, la Commissione informava le autorità francesi che il regime delle penalità di mora introdotto dalla legge n. 93-1416 non costituiva una corretta trasposizione del capitolo primo della direttiva; inoltre, non era prevista in tale legge alcuna norma volta a recepire le disposizioni della direttiva sul sistema di attestazione e sulla procedura di conciliazione.

Ritenendo non soddisfacente la risposta fornita dalle autorità francesi, la Commissione, in data 8 novembre 1996, inviava al governo francese un parere motivato.

Neppure la risposta al parere motivato, tuttavia, veniva giudicata soddisfacente dalla Commissione, la quale ha quindi adito la Corte, con il presente ricorso, a norma dell'art. 169 del Trattato.

Nel merito

9 La corretta trasposizione della direttiva nel diritto francese viene contestata dall'istituzione ricorrente sotto più profili: il sistema delle penalità di mora introdotto dalla legge n. 93-1416 non costituirebbe un corretto recepimento dell'art. 2 della direttiva; il legislatore francese non avrebbe inoltre provveduto a trasporre le norme della direttiva riguardanti il sistema di attestazione, nonché la procedura di conciliazione.

Sull'adeguatezza del sistema delle penalità di mora

10 La Francia, in sede di trasposizione della direttiva, ha optato per la soluzione c), scegliendo - per così dire - la strada della «dissuasione finanziaria», anziché quella della sospensione-annullamento (14). La legge n. 93-1416, infatti, attribuisce al presidente del competente organo giudicante il potere di ingiungere al responsabile dell'inadempimento di conformarsi ai propri obblighi, nonché di corredare tale ingiunzione con una penalità di mora; provvisoria, in un primo tempo, e che può divenire, poi, definitiva al momento della liquidazione (15).

11 La Commissione non contesta, in linea di principio, la scelta delle autorità francesi di avvalersi della c.d. opzione c), ma ritiene che la legge n. 93-1416 non abbia correttamente attuato le pertinenti previsioni della direttiva. Il legislatore francese, infatti, avrebbe mancato di conferire al meccanismo della penalità di mora un adeguato carattere dissuasivo, come prescrive espressamente l'art. 2, n. 5, della direttiva. Più precisamente, l'istituzione ricorrente deduce che tale disposizione avrebbe richiesto un'apposita previsione in sede di recepimento, mentre la legislazione francese avrebbe invece rimesso interamente al potere discrezionale del giudice la fissazione della penalità ad un importo tale da garantire il suo carattere dissuasivo. A nulla varrebbe osservare - prosegue la Commissione - che i giudici nazionali sono comunque tenuti ad interpretare le norme interne alla luce della finalità perseguita dalla direttiva; e dunque - con riguardo al caso che ci concerne - a fissare l'importo della penalità ad un livello sufficientemente elevato per garantire il suo carattere dissuasivo. A tale proposito, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui un orientamento dei giudici nazionali, che pure si assume conforme allo spirito e alla lettera di una direttiva, non vale a soddisfare le esigenze di un corretto recepimento (16).

Qual è, in definitiva, l'avviso della Commissione? Il carattere specialmente dissuasivo della penalità di mora andava direttamente garantito dal legislatore. Il relativo importo avrebbe quindi dovuto essere fissato per legge e non lasciato alla discrezionale determinazione del giudice. La direttiva avrebbe comunque richiesto, in sede di trasposizione normativa, vuoi un'apposita disposizione dalla quale doveva espressamente risultare che l'importo della penalità di mora si adegua al necessario effetto deterrente, vuoi le norme occorrenti per confinare la discrezionalità concessa al giudice nel determinare tale importo, predeterminando almeno l'ammontare minimo della penalità di mora, o adottando altra idonea limitazione che l'ordinamento interno può a tal fine stabilire.

12 A tali argomenti, il governo resistente replica, in sostanza, che la penalità di mora, per sua natura, costituisce un adeguato strumento dissuasivo. Inoltre, nessuna disposizione della direttiva imporrebbe la fissazione di limiti minimi agli importi da versare ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. c); né, tantomeno, la predeterminazione legislativa di tali importi. Tale possibilità, anzi, era contemplata nella proposta di direttiva presentata dalla Commissione, ma non è stata poi mantenuta nel testo finale (17).

13 La tesi della Commissione mi lascia perplesso. Anzitutto, non mi convince l'argomento secondo cui il legislatore francese avrebbe dovuto specificare, in sede di trasposizione, che la penalità di mora deve avere carattere dissuasivo. Una tale specificazione sarebbe, a me pare, del tutto superflua. La penalità di mora ubbidisce infatti, per sua natura, allo scopo precipuo di piegare la resistenza dell'obbligato renitente, grazie appunto all'ingiunzione di pagare una determinata somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della prestazione dovuta. La penalità di mora, quindi, è un tipico mezzo di coazione per costringere l'obbligato ad osservare il comando del giudice; e la sua funzione dissuasiva sta proprio nelle sue peculiari modalità di funzionamento. Ecco perché un'espressa previsione normativa volta semplicemente a specificare che la penalità di mora deve avere carattere dissuasivo nulla aggiungerebbe alla natura dissuasiva che già caratterizza l'istituto, come mezzo di coazione indiretta - e particolarmente efficace - all'adempimento dei comandi del giudice.

14 Altro e più delicato problema è quello di vedere se il legislatore francese avrebbe dovuto garantire il carattere dissuasivo della penalità di mora, fissandone esso medesimo direttamente l'importo nella legge di trasposizione, o dettando criteri o altre modalità di calcolo per limitare il potere discrezionale del giudice in ordine alla determinazione di tale importo. E' questo, a mio avviso, il punto centrale della censura dedotta dalla Commissione. L'art. 2, n. 5, infatti, dispone che «l'importo da versare in conformità del paragrafo 1, lettera c) deve essere fissato ad un livello sufficientemente elevato per dissuadere l'ente aggiudicatore dal commettere un'infrazione o dal perseverare in un'infrazione» (18). Il problema, però, sta tutto nel vedere da chi debba «essere fissato» tale importo affinché sia assicurato il suo carattere dissuasivo: se dal giudice nell'esercizio del suo potere discrezionale, come sostiene il governo francese; ovvero se l'effetto dissuasivo non possa essere garantito per altre vie, diverse dalla predeterminazione legislativa dei parametri in base ai quali il giudice fisserà l'ammontare dovuto.

A mio avviso, è corretta la prima soluzione, alla quale si è attenuto il legislatore francese in sede di trasposizione. La tesi contraria, prospettata dalla ricorrente, non ha alcun appiglio di carattere testuale: l'art. 2, n. 5, infatti, non impone che sia il legislatore, anziché il giudice, a fissare l'importo delle somme da versare. La stessa Commissione, del resto, riconosce che tale soluzione non è un vincolo direttamente imposto dalla direttiva. Anzi, la proposta iniziale prevedeva precisamente una tale ipotesi, che non è stata poi mantenuta nel testo finale. Certo, questo rilievo non è, di per sé, decisivo. Senonché, a me pare che dall'interpretazione della direttiva risulti chiaramente che l'unica esigenza inderogabile che essa impone agli Stati membri al momento della trasposizione è che sia predisposto un sistema efficace; vale a dire, un meccanismo che permetta di rimediare sollecitamente alle infrazioni commesse e che abbia, altresì, il necessario effetto dissuasivo quanto alla commissione di nuove infrazioni. In altri termini, quel che occorre per la corretta trasposizione dell'opzione c), prevista dalla direttiva, è che gli Stati membri introducano uno strumento, per così dire, di «dissuasione finanziaria» dotato di requisiti di effettività rispetto al raggiungimento degli obiettivi appena ricordati.

Se così è, il legislatore francese ha correttamente recepito l'art. 2 della direttiva facendo ricorso all'istituto della penalità di mora, che si caratterizza, in quell'ordinamento, come uno degli strumenti tradizionalmente più efficaci per prevenire l'inosservanza dei comandi del giudice (19). E non ritengo che l'efficacia dissuasiva della penalità di mora, sulla quale insiste giustamente la Commissione, sia necessariamente condizionata dalla predeterminazione del suo importo in sede di recepimento della direttiva (20). Tale assunto mi sembra, anzi, smentito dall'esperienza di quei sistemi giuridici in cui è frequente il ricorso alla penalità di mora: nessuno dubita dell'efficacia dissuasiva dell'istituto, sebbene in molti casi la fissazione dell'importo dovuto sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, anziché alle previsioni del legislatore (21).

15 Certo, in tal modo, il corretto funzionamento dell'«opzione c)» - e, segnatamente, la reale efficacia dissuasiva della penalità - dipende dal saggio esercizio del potere discrezionale da parte del giudice, chiamato a fissare l'importo dovuto. Siamo, tuttavia, di fronte ad una direttiva le cui previsioni, per quanto concerne l'attuale controversia, non risultano a mio parere essere correttamente trasposte se non si consente al giudice di applicarle con un congruo margine di discrezionalità. La tipologia degli inadempimenti, infatti, può essere varia. Può del resto variare anche il comportamento tenuto dall'ente aggiudicatore, la sua buona o mala fede, la sua sollecitudine nel correggere l'infrazione oppure nell'evitarla, e così via. Ora, mi sembra evidente che di tali fattori si debba tener conto in sede di quantificazione della somma da versare, ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett c). Ed il soggetto più qualificato per operare questa valutazione altri non può essere che il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale. Il predeterminare l'ammontare della penalità di mora in sede legislativa mal si accorderebbe con le esigenze di un giudizio così configurato. Vero è che un'eventuale previsione legislativa che riconoscesse al giudice la facoltà di fissare l'importo dovuto entro un limite minimo ed uno massimo soddisferebbe l'esigenza di liquidare la penalità di mora tenendo conto di tutte le particolarità del caso di specie. Questa soluzione, però, non eliminerebbe di certo la discrezionalità del giudice nel quantificare, in concreto, la penalità, sia pure all'interno dei limiti prefissati dal legislatore. D'altra parte, tali limiti dovrebbero essere sufficientemente ampi per garantire al giudice la possibilità di tener conto delle varie situazioni che possono presentarsi. E non sarebbe certo agevole per la Corte sindacare l'esercizio della discrezionalità del legislatore nazionale nel fissare tali soglie in sede di recepimento della direttiva.

E' significativo, d'altra parte, che la stessa direttiva abbia riconosciuto agli organi che conoscono di eventuali ricorsi un'ampia discrezionalità nell'esercizio dei poteri loro rimessi dall'art. 2. Il punto n. 4 della disposizione appena richiamata prevede che «gli Stati membri possono prevedere che l'organo responsabile, quando esamina l'opportunità di prendere provvedimenti provvisori, possa tener conto delle probabili conseguenze negative dei provvedimenti stessi per tutti gli interessi che possono essere lesi nonché dell'interesse pubblico e decidere di non accordare tali provvedimenti qualora le conseguenze negative possano superare quelle positive (...)» (22). Quest'ultima disposizione sarebbe priva di giustificazione se agli Stati membri fosse imposto, all'atto di recepire la direttiva, un sistema nel quale gli organi interni si limitano ad applicare meccanicamente i rimedi predisposti dal legislatore.

16 La Commissione obietta, tuttavia, che la legge n. 93-1416 - nella parte in cui dispone che siano i giudici, nell'esercizio del loro potere discrezionale, a fissare l'importo della penalità di mora, senza alcuna previsione normativa al riguardo - trasferirebbe in sostanza a tali giudici il corretto recepimento della direttiva. Secondo la ricorrente, quindi, anche a voler ritenere che il giudice francese faccia un uso corretto del suo potere discrezionale ed interpreti le disposizioni della legge interna in modo conforme alla finalità della direttiva, ciò non soddisferebbe, ai sensi della vostra giurisprudenza, i requisiti di un'adeguata trasposizione. Sul punto, viene richiamato il seguente passaggio delle conclusioni dell'avvocato generale Léger nella causa Commissione/Grecia (23): «una giurisprudenza nazionale che interpreti disposizioni di diritto interno in un senso ritenuto conforme alle prescrizioni di una direttiva non può essere sufficiente a conferire a tali disposizioni la qualità di provvedimenti di recepimento della direttiva stessa».

Qui s'impone un duplice ordine di considerazioni. Anzitutto, i giudici, al pari degli altri organi dello Stato, sono tenuti ad interpretare le norme nazionali alla luce della finalità perseguita da una direttiva (24). Anche il giudice francese, quindi, è destinatario della direttiva controversa. Anzi, si può ben ritenere che l'art. 2, n. 5, nella parte in cui prescrive che l'importo da pagare sia fissato ad un livello adeguato per garantire un'efficacia dissuasiva, si rivolga proprio ai giudici, giacché tale disposizione precisa la natura dei poteri di cui essi debbono essere investiti.

Inoltre, non ritengo che il precedente invocato dalla Commissione sia pertinente nel nostro caso. Nella causa Commissione/Grecia, infatti, non vi era alcuna disposizione di trasposizione, e la difesa del governo ellenico consisteva appunto nel far valere che la giurisprudenza del Consiglio di Stato offriva comunque «una tutela giuridica sufficiente sotto il profilo delle esigenze della direttiva» (25). Correttamente, quindi, l'avvocato generale e la Corte hanno escluso, in quel giudizio, che tale situazione fosse conforme alle esigenze fondamentali che le misure di recepimento devono soddisfare: «quelle della certezza del diritto e dell'adeguata pubblicità» (26). Diverso, però, è il caso attuale. La direttiva è stata trasposta con apposito atto legislativo e non si può rimproverare alle autorità francesi di aver mancato di introdurre, nella legge di recepimento, una disposizione che non è imposta dal testuale disposto della direttiva, né risulta essenziale per garantire il perseguimento delle finalità ivi contemplate. Quanto, poi, alle esigenze di certezza del diritto, a me pare che esse siano pienamente soddisfatte allorché - come ritiene la giurisprudenza della Corte (27) - i singoli sono posti in condizione di conoscere l'esistenza e l'ampiezza delle situazioni giuridiche soggettive che essi possono vantare in base alla direttiva. Il che, nel nostro caso, significa che tale fondamentale esigenza è soddisfatta se le imprese interessate sono in grado di conoscere che vi sono vie di ricorso per far valere l'inosservanza delle norme comunitarie in materia di appalto; e che, d'altra parte, il giudice può imporre in quella sede il pagamento di una penalità di mora nel caso in cui l'ente aggiudicatore non ottemperi alle ingiunzioni giudiziali. Il conoscere in anticipo l'importo dell'eventuale penalità non è previsto in direttiva e nemmeno soddisfa, a ben guardare, alcuna esigenza di certezza del diritto. Una tale conoscenza anticipata sarebbe comunque realizzata solo in maniera indicativa e incompleta, visto che la fissazione dell'importo - per le ragioni che ho sopra spiegato - è suscettibile di variazioni che dipendono da numerosi fattori, i quali non possono essere previsti ex ante.

17 La Commissione censura, poi, la legge n. 93-1416 sotto l'ulteriore profilo che l'istituto della penalità di mora, introdotto dal legislatore francese per recepire la direttiva, avrebbe carattere derogatorio rispetto alle regole di diritto comune concernenti la penalità di mora nel diritto francese, ed in particolare rispetto alla legge del 1991 sulla riforma delle procedure civili di esecuzione (28). Così, le autorità francesi avrebbero violato l'art. 1, n. 2, della direttiva, ai sensi del quale «gli Stati membri provvedono a che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese che possono far valere un pregiudizio nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali».

Neppure tale censura, tuttavia, merita di essere accolta. Come ha osservato correttamente il governo francese, la materia regolata dalla legge n. 93-1416 è infatti diversa da quella che ricade nella sfera di applicazione della legge n. 91-650. Quest'ultima ha riguardo all'adempimento di obbligazioni predeterminate e consente al giudice, oltre all'adozione di altri provvedimenti, l'ingiunzione, per l'appunto, di penalità di mora. La legge n. 91-650, quindi, non poteva essere assunta sic et simpliciter come base per la trasposizione della direttiva in esame. Tale legge non consente al giudice - né a quello ordinario, né a quello amministrativo - di intervenire nel corso delle procedure di aggiudicazione di appalti. Pertanto, l'adozione della legge n. 93-1416 non risponde all'intento del legislatore francese di creare una procedura derogatoria e meno vincolante rispetto alla disciplina in vigore nella procedura civile nazionale. L'unico tratto comune tra le due discipline consiste nel fatto che esse prevedono entrambe il ricorso alla penalità di mora. A parte ciò, non sussistono altre similitudini tra tali normative. Non ravviso, quindi, alcuna violazione del citato art. 1, n. 2, per il fatto che il legislatore nazionale - data l'inapplicabilità della disciplina dettata dalla legge n. 91-650 - abbia previsto apposite regole di trasposizione che tengono conto delle peculiari esigenze che si presentano nel contenzioso regolato dalla direttiva in esame.

18 Resta, infine, da esaminare l'ultima censura formulata dalla Commissione nei confronti della legge n. 93-1416: quella riguardante la distinzione tra la penalità di mora provvisoria e quella definitiva. Più precisamente, l'istituzione ricorrente ritiene non conforme alla direttiva la possibilità - prevista dalla legge in questione - che il giudice pronunci dapprima una penalità provvisoria, e poi, al momento della liquidazione, un penalità definitiva. Siffatta possibilità - deduce la Commissione - non sarebbe prevista, né consentita, dalla direttiva: il legislatore comunitario, infatti, si sarebbe limitato a prevedere che il pagamento «può essere subordinato ad una decisione definitiva da cui risulti che la violazione è stata effettivamente commessa» (29). Nessuna disposizione, poi, riconoscerebbe - come prevede, invece, la legge francese di trasposizione - il potere del giudice di modificare l'importo di tale somma, né la possibilità che l'ammontare sia fissato tenendo conto del comportamento tenuto dal destinatario dell'ingiunzione. Da ciò deriverebbe, secondo la ricorrente, una limitazione dell'efficacia dissuasiva del meccanismo introdotto dalle autorità francesi.

Non ritengo di poter condividere tali argomenti. Vero è che la distinzione tra penalità di mora provvisoria e definitiva non è testualmente prevista dalla direttiva; ma essa non è neppure espressamente esclusa. L'unico criterio che occorre qui tenere presente per valutare la correttezza del meccanismo scelto dal legislatore nazionale in sede di trasposizione è quello della sua effettività. E non mi pare che l'articolazione tra penalità di mora provvisoria e definitiva incida negativamente sulla sua efficacia dissuasiva. A mio avviso, anzi, è vero il contrario (30). Ed infatti, la previsione secondo cui il giudice, al momento della liquidazione, pronuncia una penalità definitiva tenendo conto del comportamento dell'obbligato, tiene - per così dire - sub judice l'ente aggiudicatore inadempiente: in caso di persistente inadempimento, il comportamento di quest'ultimo potrebbe, infatti, indurre il giudice ad aumentare l'importo definito, in precedenza, all'atto di fissare la penalità provvisoria. Quanto, invece, alla possibilità che, in sede di quantificazione della penalità definitiva, il giudice riduca detto importo per tener conto del comportamento dell'obbligato, a me pare che tale previsione costituisca una corretta applicazione del principio di proporzionalità (31). Tale fondamentale principio non sarebbe rispettato se il giudice dovesse determinare, in via definitiva, l'ammontare dovuto dall'ente aggiudicatore senza poter prendere in considerazione la sua cooperazione nell'adempimento, la sollecita rimozione dell'infrazione, nonché tutte le particolarità che caratterizzano il caso di specie.

Sul sistema di attestazione

19 La Commissione deduce che la Francia non avrebbe adottato alcuna misura di recepimento relativamente al secondo capitolo della direttiva, che disciplina il sistema di attestazione. Il governo francese, dal canto suo, riconosce che la legge n. 93-1416 non contiene specifiche previsioni al riguardo, ma ritiene che tali previsioni non sarebbero state necessarie nel caso di specie. A suo avviso, infatti, sarebbe sufficiente, ai fini di un corretto recepimento del capitolo 2 della direttiva, che gli enti aggiudicatori siano posti in grado di conoscere la possibilità, prevista appunto dalle disposizioni di tale capitolo 2, di sottoporre le proprie procedure di aggiudicazione al sistema di attestazione in questione. Ora, tale conoscenza - conclude il governo resistente - si sarebbe realizzata con la pubblicazione, ad opera delle autorità francesi, della direttiva 92/13/CEE in una rivista specializzata, e particolarmente diffusa, nel settore degli appalti (32). Non vi sarebbe ancora stata alcuna designazione di attestatori - aggiunge il governo francese - poiché non sarebbe giunta, da parte degli enti aggiudicatori, alcuna richiesta di ottenere l'attestazione.

Questa censura della Commissione, a mio avviso, va accolta. Come rileva l'istituzione ricorrente, le disposizioni del capitolo secondo della direttiva richiedevano l'adozione di apposite previsioni in sede di recepimento, volte, in particolare, a precisare il sistema di attestazione prescelto, le modalità di designazione degli attestatori, i requisiti professionali di costoro, e così via. Tali disposizioni, invece, mancano del tutto nella legge n. 93-1416. Inoltre, è appena il caso di osservare che - secondo la consolidata giurisprudenza della Corte - le norme di una direttiva vanno attuate «con efficacia cogente incontestabile (...) con la specificità, precisione e chiarezza necessarie (...) per garantire pienamente la certezza del diritto» (33). Pertanto, «al fine di garantire la piena applicazione delle direttive, in diritto e non solo in fatto, gli Stati membri devono stabilire un preciso ambito normativo nel settore di cui trattasi» (34). La semplice pubblicazione della direttiva in una rivista, sia pure particolarmente diffusa nel campo degli appalti, non soddisfa i rigorosi requisiti posti dalla giurisprudenza che ho appena richiamato.

Sulla procedura di conciliazione

20 La Commissione, infine, deduce che le autorità francesi avrebbero mancato di trasporre in diritto interno le norme del capitolo 4 della direttiva, riguardanti la procedura di conciliazione. Il governo francese non contesta la mancata previsione di apposite disposizioni di trasposizione, ma fa valere che, nel caso di specie, non occorreva alcuna espressa norma di recepimento. Ai sensi della direttiva, esso dice, gli Stati membri hanno solo l'obbligo di trasmettere alla Commissione le domande di conciliazione pervenute dagli interessati (35); costoro, poi, sarebbero adeguatamente informati della possibilità, offerta dalla direttiva, di ricorrere alla procedura in discorso grazie alla pubblicazione della direttiva stessa nella citata rivista «Marchés publics».

La difesa del governo francese, a mio avviso, non merita di essere accolta. Ed infatti, il limitato ruolo che il capitolo secondo della direttiva assegna agli Stati membri nell'ambito della procedura di conciliazione non esime le autorità nazionali dal dover adottare le misure atte ad assicurare il recepimento di quelle disposizioni. Tanto più che - come riconosce lo stesso governo resistente - la trasposizione è anche volta a permettere agli interessati di conoscere l'esistenza di tale procedura, nonché la possibilità di giovarsene. E questa fondamentale esigenza di pubblicità - per ragioni analoghe a quelle indicate a proposito del sistema di attestazione - non può ritenersi soddisfatta con la pubblicazione della direttiva nel ricordato numero della rivista «Marchés publics»; pubblicazione, quindi, che non risponde ai requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte.

Conclusioni

21 Alla luce delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di dichiarare che:

«1) Non adottando entro il termine prescritto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi ai capitoli 2 e 4 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/13/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi di detta direttiva.

2) La Repubblica francese è condannata alle spese».

(1) - GU L 76, pag. 14.

(2) - V. quinto `considerando'. L'art. 1 prevede che: «1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che le decisioni prese dagli enti aggiudicatori possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli seguenti, segnatamente nell'articolo 2, paragrafo 8, in quanto tali decisioni abbiano violato il diritto comunitario in materia di appalti o le norme nazionali che recepiscono tale diritto per quanto riguarda: a) le procedure di aggiudicazione degli appalti disciplinati dalla direttiva 90/531/CEE; e b) l'osservanza dell'articolo 3, paragrafo 2, lettera a) e di detta direttiva, nel caso degli enti aggiudicatori a cui si applica tale disposizione. (...)».

(3) - La c.d. opzione «sospensione-annullamento» è prevista dall'art. 2 nei seguenti termini:

«1. Gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini del ricorso di cui all'articolo 1 prevedano i poteri che permettano:

o

a) di prendere con la massima sollecitudine e con procedura d'urgenza provvedimenti provvisori intesi a riparare la violazione denunciata o impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione di un appalto o l'esecuzione di qualsiasi decisione presa dall'ente aggiudicatore; e

b) di annullare o far annullare la decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specifiche tecniche, economiche e finanziarie discriminatorie figuranti nel bando di gara, nell'avviso periodico indicativo, nella comunicazione sull'esistenza di un sistema di qualificazione, nell'invito a presentare l'offerta, nei capitolati d'oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell'appalto;

(...)».

(4) - Il corsivo è mio.

(5) - V. art. 3.

(6) - V. art. 4.

(7) - V. art. 10, n. 1.

(8) - V. art. 10, n. 4.

(9) - V. art. 10, n. 5.

(10) - JORF 1º gennaio 1994, pag. 10.

(11) - Il corsivo è mio.

(12) - V. art. 1, terzo comma. Traduzione libera.

(13) - V. art. 1, settimo comma.

(14) - V. supra, paragrafo 2.

(15) - V. supra, paragrafo 6.

(16) - V. sentenza 19 settembre 1996, causa C-236/95, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-4459), e la giurisprudenza richiamata al punto 13 della motivazione.

(17) - V. art. 11, n. 2, della proposta della Commissione: «L'organo responsabile delle procedure di ricorso ed incaricato di stabilire la somma da corrispondere in conformità del paragrafo 1 deve fissare tale somma ad un livello sufficiente da dissuadere l'ente aggiudicatore dal commettere o perseverare in un'infrazione. L'importo deve coprire almeno i costi di preparazione di un'offerta o di partecipazione ad una procedura di aggiudicazione sostenuti dalla persona che ha fatto ricorso. L'importo stimato per tali costi è dell'ordine dell'1% del valore del contratto a meno che il ricorrente non dimostri di aver sostenuto costi superiori. L'ordine di pagamento di una somma determinata in conformità della presente disposizione preclude ogni altra richiesta da parte della persona interessata al recupero dei costi esaminati dall'organo responsabile in sede di emissione dell'ordine stesso» (GU C 216, pag. 8. Il corsivo è mio).

(18) - I corsivi sono miei.

(19) - V., a titolo esemplificativo, G. Couchez, Voies d'exécution, Paris, 1994, pag. 5, il quale sottolinea il carattere coercitivo indiretto, ma particolarmente efficace, dell'istituto.

(20) - Naturalmente, non mancano ipotesi nelle quali il legislatore ha dettato precise modalità per la determinazione dell'ammontare dell'astreinte. E' il caso, ad esempio, dell'art. 16 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17/1962/CEE, primo regolamento d'applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (GU n. 13, pag. 204), che riconosce alla Commissione il potere di infliggere «penalità di mora varianti da cinquanta a mille unità di conto per ogni giorno di ritardo»; oppure del regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU L 395, pag. 1), nel quale il legislatore comunitario ha seguito la tecnica della fissazione di un limite massimo per la penalità di mora (art. 15). Da ciò, però, sarebbe inesatto concludere che l'astreinte è efficace solo se è stato seguito il criterio della previsione, in sede legislativa, di un importo minimo e/o massimo.

(21) - V., con riferimento alla disciplina introdotta nel diritto belga dalla legge uniforme per il Benelux sull'astreinte (Convenzione sottoscritta il 26 novembre 1973, Tractatenblad, 1974, 6), le osservazioni di J. van Compernolle, L'astreinte, Bruxelles, 1992, pag. 47. A proposito della determinazione dell'astreinte, l'A. rileva che «le juge dispose de la plus grande liberté d'appréciation en ce qui concerne la fixation du montant. (...). Tenant compte de toutes les circonstances de la cause, en ce compris le comportement du débiteur et ses capacités financières, le juge fixera librement le montant jugé apte à exercer sur le débiteur une pression suffisante pour le contraindre à exécuter la condamnation principale. (...). Le juge exerce, à cet égard, un souverain pouvoir d'appreciation» (I corsivi sono miei).

(22) - I corsivi sono miei.

(23) - Causa C-236/95, cit., paragrafo 26 delle conclusioni.

(24) - V. sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann (Racc. pag. 1891), e 20 settembre 1988, causa 31/87, Beentjes (Racc. pag. 4635).

(25) - V. sentenza Commissione/Grecia, cit., punto 8.

(26) - V. le conclusioni dell'avvocato generale, paragrafo 24. La Corte, al punto 13 della motivazione, ha richiamato il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui «è particolarmente importante, per garantire la certezza del diritto, che i singoli possano contare su una situazione giuridica chiara e precisa, che consenta loro di sapere esattamente quali sono i loro diritti e di farli valere, se del caso, dinanzi ai giudici nazionali»: v. sentenze 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione/Germania (Racc. pag. 1661, punto 23); 9 aprile 1987, causa 363/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 1733, punto 7), e 30 maggio 1991, causa C-59/89, Commissione/Germania (Racc. pag. 2607, punto 18).

(27) - V. sentenze citate alla nota precedente.

(28) - Legge n. 91-650 del 9 luglio 1991 (JORF 14 luglio 1991, pag. 9228).

(29) - V. art. 2, n. 5.

(30)V., in tal senso, A. Frignani, Le penalità di mora e le astreintes nei diritti che si ispirano al modello francese, in Riv. dir. civ., 1981, I, pag. 511: «la possibilità di aumentare il tasso dell'astreinte ubbidisce allo scopo precipuo di piegare più facilmente la resistenza del debitore. Ciò ne rende d'altronde necessaria la liquidazione in via definitiva dell'ammontare».

(31) - Non è casuale, a mio avviso, che l'art. 15, n. 3, del regolamento sul controllo delle concentrazioni, citato alla nota 20, prevede che «Quando le persone di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettera b), le imprese o le associazioni di imprese hanno adempiuto all'obbligo, per costringerle all'osservanza del quale era stata inflitta la penalità di mora, la Commissione può fissare l'ammontare definitivo di questa in una misura inferiore a quella che risulterebbe dalla decisione originaria» (il corsivo è mio). Né mi pare che tale previsione - che costituisce una coerente applicazione del principio di proporzionalità - diminuisca l'efficacia dissuasiva della penalità di mora.

(32) - Il governo resistente fa riferimento al numero di aprile-maggio 1992 della rivista Marchés publics.

(33) - V. sentenza Commissione/Germania, causa C-59/89, cit. (punto 24).

(34) - V. sentenza cit. alla nota precedente (punto 28).

(35) - V. art. 9, n. 2.