61997C0087

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 17 dicembre 1998. - Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola contro Käserei Champignon Hofmeister GmbH & Co. KG e Eduard Bracharz GmbH. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Handelsgericht Wien - Austria. - Artt. 30 e 36 del Trattato CE - Regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari. - Causa C-87/97.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-01301


Conclusioni dell avvocato generale


1 Se sia compatibile con il diritto comunitario il divieto da parte di un giudice nazionale dello smercio con la denominazione «Cambozola» di un formaggio importato da un altro Stato membro, in cui è regolarmente distribuito con tale nome, per il motivo che l'uso di tale denominazione si pone in conflitto con la denominazione d'origine «Gorgonzola» registrata in forza del regolamento (CEE) 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari (1) (in prosieguo: il «regolamento»), e tutelata da taluni accordi internazionali. Questa è sostanzialmente la questione sollevata con l'ordinanza di rinvio dello Handelsgericht (tribunale di commercio) di Vienna.

I fatti e il processo a quo

2 L'attore nel processo a quo è un consorzio di produttori del formaggio Gorgonzola. Il Gorgonzola è un formaggio tenero erborinato il cui nome deriva dal villaggio (che ora fa parte della periferia di Milano) in provincia di Milano. La finalità del consorzio è in particolare la promozione della produzione e del commercio del formaggio Gorgonzola, la protezione dell'uso della denominazione «Gorgonzola» o di una denominazione simile riconosciuta, il controllo dell'uso dei marchi del consorzio nonché il controllo dell'applicazione delle norme sulla tutela delle denominazioni di origine di vari tipi di formaggio. I membri del consorzio aggiungono alla denominazione di origine protetta «Gorgonzola» talune denominazioni sociali specifiche per identificare i loro caseifici che di norma ricomprendono l'elemento «-zola».

3 La prima convenuta è un caseificio con sede nei dintorni di Kempten in Germania, che produce un formaggio tenero, anch'esso erborinato, chiamato Cambozola. Essa ha smerciato Cambozola in Germania dall'autunno del 1977 e in Austria dal marzo 1983; il Cambozola è altresì venduto in quasi tutti gli Stati membri. Essa è proprietaria del marchio austriaco «Cambozola», che è protetto dal 7 aprile 1983 per quanto riguarda il latte e i latticini, in particolare il formaggio.

4 La seconda convenuta è un commerciante all'ingrosso di vari tipi di generi alimentari, compreso il formaggio. In Austria la maggior parte del formaggio erborinato prodotto dalla prima convenuta con il nome Cambozola viene venduto al dettaglio dalla seconda convenuta.

5 Nel maggio 1994 l'attore citava le convenute dinanzi allo Handelsgericht di Vienna per ottenere l'inibitoria della distribuzione di un formaggio erborinato con la denominazione «Cambozola» nonché la cancellazione del marchio «Cambozola». L'attore chiedeva altresì un provvedimento sommario che vietasse alle convenute lo smercio di un formaggio erborinato con la denominazione «Cambozola» nelle more del procedimento.

6 L'attore ha fondato le sue domande su disposizioni del diritto nazionale e internazionale.

7 Il diritto nazionale era costituito dall'Österreiches Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge austriaca sulla concorrenza sleale). L'art. 1 di tale legge considera anticoncorrenziale qualsiasi azione commerciale sleale. L'art. 2 vieta le frodi, in particolare sulla qualità, l'origine e le modalità di produzione delle merci o la prestazione di servizi. L'art. 9 vieta l'utilizzo abusivo delle denominazioni d'impresa.

8 L'atto normativo internazionale era la convenzione internazionale sull'uso dei nominativi di origine e delle denominazioni dei formaggi firmata a Stresa il 1_ giugno 1951. Tale convenzione ha disciplinato l'uso della denominazione «Gorgonzola» a decorrere dal 1_ giugno 1954 (2). L'art. 1 della convenzione di Stresa vieta «qualsiasi indicazione che possa essere ingannevole per quanto riguarda l'origine, la specie, la natura o le caratteristiche specifiche dei formaggi (...)». L'art. 3 tutela le denominazioni specificate «utilizzate da sole o accompagnate da un qualificativo ovvero da un correttivo come "tipo", "genere", "imitazione" o altri».

9 Il 24 giugno 1994 lo Handelsgericht pronunciava un'ordinanza in sede di procedimento sommario con riferimento alla convenzione di Stresa. Tale pronuncia veniva confermata il 22 settembre 1994 in sede d'appello dall'Öberlandesgericht (Alta corte regionale) di Vienna. Risulta che questi due organi giurisdizionali hanno stabilito che la convenzione di Stresa non solo tutelava la denominazione di origine «Gorgonzola», ma vietava altresì l'uso di nomi simili atti a causare confusione come «Cambozola» Tali pronunce si sono manifestamente ispirate ad una sentenza dell'Oberster Gerichtshof (Corte suprema) che nel maggio 1993 dichiarò, in una causa anch'essa promossa dal Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, che l'art. 3 della convenzione di Stresa vietava una denominazione evocatrice come, in quel caso, «Österzola» (3).

10 Dopo la conferma in appello dell'ordinanza d'urgenza il procedimento principale veniva riassunto dinanzi allo Handelsgericht. Tuttavia il 9 febbraio 1996 cessava la vigenza in Austria della convenzione di Stresa (4). In Austria la tutela della denominazione di origine «Gorgonzola» veniva successivamente disciplinata a livello internazionale dall'accordo tra il governo austriaco e il governo italiano relativo ai nominativi geografici di origine e alle denominazioni di alcuni prodotti, firmato a Roma il 1_ febbraio 1952, nonché dal protocollo aggiuntivo al detto accordo, firmato a Vienna il 17 dicembre 1969.

11 L'accordo austro-italiano obbliga le parti contraenti a prendere tutti i provvedimenti necessari per garantire in modo efficace le denominazioni geografiche d'origine e le denominazioni di taluni prodotti contro la concorrenza sleale (5). Costituisce un atto di concorrenza sleale qualunque atto di concorrenza contrario agli usi corretti nel settore industriale o commerciale (6). L'accordo stabilisce esplicitamente che la protezione si applica anche se la vera origine del prodotto venga indicata o vi siano accanto alla denominazione taluni termini rettificativi, come «genere», «metodo», «tipo» o altri (7). L'accordo originario si applicava ad un numero limitato di prodotti elencati fra cui generi alimentari come le bevande alcooliche e i salumi, ma escludeva i formaggi (8). Tuttavia per quanto riguarda talune denominazioni, fra cui «Gorgonzola», il protocollo disponeva espressamente che sarebbe entrato in vigore solo in caso di abrogazione o modifica della convenzione di Stresa (9). L'accordo austro-italiano è quindi divenuto applicabile al Gorgonzola il 10 febbraio 1996.

12 Le convenute hanno affermato dinanzi allo Handelsgericht che l'ordinanza d'urgenza e la pronuncia definitiva richiesta dall'attore erano in contrasto con il diritto comunitario. Esse hanno sostenuto che il formaggio era regolarmente distribuito con la denominazione «Cambozola» nello Stato d'origine (Germania) e importato in Austria e che il divieto causava una restrizione degli scambi in ispregio dell'art. 30 del Trattato CE senza per questo essere giustificato dall'art. 36 del medesimo Trattato.

13 Al fine di stabilire se i detti provvedimenti giudiziari fossero in contrasto con l'art. 30 o giustificati dall'art. 36 del Trattato, lo Handelsgericht ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se allo stato attuale del diritto comunitario sia compatibile con i principi della libera circolazione delle merci (artt. 30 e 36 del Trattato CE) il fatto che un formaggio prodotto legalmente dal 1977 in uno Stato membro e contrassegnato con il marchio "Cambozola", che dal 1983 viene distribuito in un altro Stato membro, non può essere smerciato in questo Stato membro con la denominazione "Cambozola" in forza di una disposizione nazionale fondata su un accordo internazionale sulla tutela delle denominazioni di provenienza e denominazioni di taluni prodotti (il quale tutela la denominazione "Gorgonzola") nonché su un divieto nazionale delle indicazioni ingannevoli.

2) Se per la soluzione di tale questione rilevi che l'imballaggio del tipo di formaggio contrassegnato con il marchio "Cambozola" rechi un riferimento chiaramente visibile al paese di produzione ["Deutscher Weichkäse" (formaggio tenero tedesco)], qualora di regola questo formaggio non venga esposto e venduto ai consumatori in forme intere, bensì a pezzi, in parte senza imballaggio originale».

14 Osservazioni scritte sono state depositate dall'attore, dalle convenute, dai governi austriaco, francese, ellenico e italiano nonché dalla Commissione. Il ricorrente, le convenute, i governi francese, ellenico e italiano nonché la Commissione sono stati rappresentati in udienza.

La normativa comunitaria

15 La denominazione «Gorgonzola» è stata registrata come denominazione d'origine protetta in forza del regolamento n. 2081/92 (in prosieguo: il «regolamento») sul fondamento dell'art. 1 del regolamento (CE) della Commissione 12 giugno 1996, n. 1107 (10). Il giudice a quo non ha fatto riferimento a nessuno di questi regolamenti.

16 A mio parere tuttavia, dato che le questioni sottoposte alla Corte si riferiscono allo «stato attuale del diritto comunitario» e che l'ordinanza di rinvio è stata emessa il 18 luglio 1996, è opportuno che la Corte risolva le questioni in forza del regolamento se tale atto può dirimere la controversia pendente dinanzi al giudice a quo. In talune occasioni la Corte si è dimostrata disposta a risolvere questioni pregiudiziali interpretando disposizioni non esplicitamente menzionate dal giudice nazionale, dichiarando che essa ha il compito di interpretare tutte le norme del diritto comunitario che possano essere utili al giudice nazionale al fine di dirimere la controversia di cui è stato adito, anche qualora dette norme non siano espressamente indicate nella questione pregiudiziale sottopostale (11). Inoltre le parti, i governi che hanno presentato osservazioni e la Commissione hanno tutti fondato i loro argomenti presupponendo l'applicabilità del regolamento.

17 Il regolamento è volto a predisporre un ambito normativo comunitario per le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche di taluni prodotti agricoli e alimentari in ordine ai quali esiste un nesso tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica (12). Il regolamento predispone un sistema di registrazione a livello comunitario delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine che verranno tutelate in ogni Stato membro. Il regolamento è fondato sull'art. 43 del Trattato (agricoltura); emerge tuttavia chiaramente dal preambolo che esso persegue altresì finalità di tutela del consumatore e di concorrenza leale (13).

18 L'art. 13, n. 1 dispone quanto segue:

«Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l'uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali "genere", "tipo", "metodo", "alla maniera", "imitazione" o simili;

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull'imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l'impiego, per la confezione, di recipienti che possono indurre in errore sull'origine;

d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti».

19 Nonostante questa tutela, l'art. 14, n. 2 consente la prosecuzione dell'uso di un marchio corrispondente ad una delle situazioni dell'art. 13, registrato in buona fede anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione o della denominazione di origine o dell'indicazione geografica, qualora il marchio non incorra nella nullità o decadenza per i motivi previsti dagli artt. 3, n. 1, lett. c) e g), e 12, n. 2, lett. b), della direttiva sui marchi (14).

20 Un marchio può essere dichiarato nullo in forza della direttiva sui marchi qualora sia «di natura tale da ingannare il pubblico, per esempio, circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto» [art. 3, n. 1, lett. g)] (15). Un marchio è suscettibile di decadenza quando «a causa dell'uso che ne viene fatto dal titolare del marchio d'impresa o con il suo consenso per i prodotti o servizi per i quali è registrato» è idoneo «a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, la qualità o provenienza geografica» dei prodotti [art. 12, n. 2, lett. b)].

Nel merito

Art. 13 del regolamento

21 Anzitutto occorre stabilire se la denominazione «Gorgonzola» sia tutelata contro l'uso della denominazione «Cambozola» ai sensi dell'art. 13, n. 1 del regolamento. Gli argomenti si sono concentrati in particolare sull'art. 13, n. 1, lett. b), che, va ricordato, tutela le denominazioni registrate contro «qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione».

22 Secondo le convenute l'attore intende ottenere la tutela del suffisso «zola» che non è protetto dal regolamento e non può esserlo. In primo luogo tale suffisso, le cui variazioni vengono frequentemente utilizzate in nomi di località italiane, è un termine comune e in quanto tale non può fruire del regime di tutela istituito dal regolamento (16). Inoltre i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento vietano, a loro parere, di tutelare uno dei componenti di una parola se la tutela non è stata mai richiesta per detto componente e non è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale come richiesto dall'art. 6 del regolamento relativamente a qualsiasi denominazione la cui tutela venga richiesta in forza di esso.

23 Le convenute sostengono che la denominazione «Cambozola» non costituisce comunque un'evocazione della denominazione «Gorgonzola» ai sensi dell'art. 13 del regolamento.

24 Essi si richiamano ad un procedimento analogo promosso dall'attore nel presente procedimento contro la prima convenuta dinanzi ai giudici tedeschi e sottolineano che quella domanda è stata respinta dal Landgericht di Francoforte sul Meno (17) e, in sede di appello, dall'Oberlandesgericht di Francoforte sul Meno (18), e che il ricorso per cassazione proposto dall'attore è stato respinto dal Bundesgerichtshof (19).

25 Le convenute affermano che la nozione di evocazione di cui al regolamento non va interpretata in senso più ampio di quanto strettamente necessario per tutelare la proprietà industriale e commerciale in quanto l'interpretazione in senso lato sarebbe in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci. Al massimo esse ammettono che la denominazione «Cambozola» possa suscitare un'associazione di idee. Un'associazione di idee è equivalente, a loro parere, alla nozione di associazione di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi (20), il quale dispone che un marchio d'impresa è escluso dalla registrazione o, se registrato, può essere dichiarato nullo se, in talune circostanze, può dar adito a un rischio di confusione per il pubblico comportante anche un rischio di associazione con il marchio anteriore. Le convenute allegano il parallelismo che esisterebbe tra la tutela dei marchi e quella delle denominazioni d'origine perché ambedue riguarderebbero la tutela della proprietà industriale e commerciale ai sensi dell'art. 36 del Trattato. In ambedue i casi il criterio rilevante, come la Corte ha sovente affermato, è costituito dal consumatore medio, attento e accordo. Le convenute ritengono pertanto che la Corte dovrebbe ispirarsi nel caso di specie alla causa SABEL (21).

26 Nella sentenza SABEL la Corte ha dichiarato che la mera associazione tra due marchi che possa essere operata dal pubblico per effetto della concordanza del loro contenuto semantico non è di per sé sufficiente per ritenere che sussista un rischio di confusione ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi (22). Le convenute ritengono che l'associazione di idee su cui verteva la causa SABEL (fra due rappresentazioni grafiche di felini in movimento) era molto più forte di una qualunque associazione di idee con la denominazione «Gorgonzola» che possa essere causata dall'uso nella denominazione «Cambozola» dello stesso suffisso, il quale è ampiamente utilizzato in Italia. Le convenute ne concludono pertanto che l'uso di tale suffisso non costituisce di per sé un'evocazione ai sensi del regolamento.

27 Inoltre le convenute sostengono che dal sistema delle note a piè di pagina dell'elenco delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine protette di cui all'allegato del regolamento n. 1107/96 (23) emerge che una parte di una denominazione protetta non è tutelata in quanto tale. Il detto allegato contiene l'elenco delle denominazioni protette, in particolare di formaggi, come le denominazioni d'origine Brie de Meaux, Camembert de Normandie, Pecorino Siciliano e Mozzarella di Bufala Campana. Talune note a piè di pagina dell'allegato precisano però che la protezione dei termini Brie, Camembert, Pecorino e Mozzarella non è richiesta. Le convenute si richiamano alla recente sentenza della Corte nella causa Chiciak e Fol (24), che riguardava procedimenti penali promossi avverso i signori Chiciak e Fol per aver utilizzato la denominazione «Époisses». Il pubblico ministero aveva sostenuto che siccome la denominazione «Époisses de Bourgogne» era protetta dal regolamento senza che vi fosse nessuna nota a piè di pagina relativa al termine «Époisses», la parte «Époisses» della denominazione «Époisses de Bourgogne» era tutelata in quanto tale.

28 La Corte ha respinto questo argomento. Essa ha dichiarato che, sebbene nel regolamento del 1996 si fosse ritenuto necessario, in un determinato numero di casi, precisare mediante nota a piè di pagina che la protezione di una parte della denominazione interessata non era stata richiesta, la conseguenza da trarne era che, per tale parte della denominazione, gli interessati non potevano reclamare diritti in forza del regolamento del 1992. Il regolamento del 1996 non conteneva peraltro nessun indizio che consentisse di conoscere le ragioni per le quali gli Stati membri avessero deciso di non chiedere la protezione, sia perché la parte aveva assunto un significato generico, oppure perché non era protetta a livello nazionale all'atto della presentazione della domanda ai sensi del regolamento del 1992, sia per altre ragioni ancora (25).

29 Le convenute ritengono che dalla sentenza Chiciak e Fol derivi anzitutto che, siccome il termine Brie non può essere considerato un'evocazione del termine Brie de Meaux, o Camembert un'evocazione di Camembert de Normandie, «zola» non possa essere considerata un'evocazione di «Gorgonzola», e in secondo luogo che «zola», in quanto componente di «Gorgonzola», non possa essere tutelato in forza del regolamento.

30 Infine le convenute si richiamano alla finalità della tutela predisposta dal regolamento nonché al principio di proporzionalità. La finalità consisterebbe nell'impedire che le denominazioni di origine divengano denominazioni generiche; l'uso del marchio «Cambozola» non potrebbe in alcun caso produrre la conseguenza che la denominazione «Gorgonzola» diventi una denominazione generica.

31 Si può notare che le convenute ammettono che una particolare pubblicità citata dall'attore costituiva un'evocazione. Tale pubblicità dichiarava che «originario della migliore famiglia», il formaggio associava «la delicata consistenza cremosa del nobile Camembert al gusto piccante del focoso Gorgonzola»; le convenute affermano però che si è trattato di una pubblicità occasionale utilizzata nel 1985 e non successivamente. Esse osservano che alla Corte non è stato richiesto di valutare gli effetti di quella pubblicità ma unicamente la legittimità della denominazione «Cambozola» (benché si possa aggiungere che le questioni sollevate menzionano altresì l'imballaggio e le modalità di vendita).

32 L'attore, i governi che hanno presentato osservazioni e la Commissione adottano tutti più o meno la tesi contraria. L'attore e il governo italiano considerano che «Cambozola» costituisce un'evocazione di «Gorgonzola» ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b). Il governo austriaco ritiene che l'uso del suffisso «zola» potrebbe costituire un'evocazione; in alternativa si potrebbe considerare l'applicabilità dell'art. 13, n. 1, lett. c), che tutela le denominazioni registrate «contro qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti». Il governo francese ritiene che il termine «Cambozola» sia chiaramente un'imitazione del termine «Gorgonzola» ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b). Il governo greco osserva che l'uso del nome «Cambozola», che suggerisce perlomeno l'idea di un formaggio dello stesso tipo del Gorgonzola, costituisce manifestamente uno sfruttamento della reputazione del Gorgonzola in contrasto con l'art. 13, n. 1, lett. a), che è atto ad indurre il consumatore in errore in particolare per quanto riguarda la vera origine del prodotto, in violazione dell'art. 13, n. 1, lett. d). La Commissione ritiene che l'uso della denominazione «Cambozola» costituisca perlomeno un'evocazione, ed eventualmente un'imitazione (benché la Commissione non approfondisca la sua analisi su questo punto), ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b).

33 La mia posizione è analoga a quella contenuta nelle osservazioni della Commissione in quanto, sulla scorta del tenore letterale della disposizione («qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione») e degli scopi del regolamento (che, come già osservato, comprende la tutela del consumatore), il termine «evocazione» è oggettivo e non è quindi necessario dimostrare che il proprietario del marchio aveva l'intenzione di evocare la denominazione protetta. La struttura della disposizione dimostra che l'«evocazione» richiede meno dell'«imitazione» o dell'«usurpazione».

34 A mio parere per configurare un'«evocazione» ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b), occorre un livello sostanziale di analogia fonetica nel contesto di prodotti facenti parte di un settore simile. Vi è un alto livello di analogia fonetica tra «Cambozola» «e Gorgonzola»: le due ultime sillabe sono identiche, il numero complessivo di sillabe è lo stesso e il tipo di accento nella pronuncia delle due parole è molto simile. Atteso che queste due denominazioni sono utilizzate per descrivere un formaggio erborinato cremoso (senza per questo minimizzare le differenze tra i due formaggi, che sono manifeste per gli intenditori), mi sembra che il termine «Cambozola» costituisca senza ombra di dubbio, nell'uso linguistico comune, un'evocazione del termine «Gorgonzola» ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b). E' interessante notare - come sottolinea la Commissione - che l'identità delle due sillabe finali di per sé non è sufficiente: non mi sembra che si potrebbe seriamente affermare che l'olio da cucina «Mazola» costituisca un'evocazione del «Gorgonzola», vista l'insussistenza di ogni ulteriore analogia fonetica nonché la diversità dei prodotti in questione.

35 Sulla questione dell'intenzione vorrei aggiungere che, sebbene consideri l'«evocazione» come una nozione oggettiva, come ho già osservato, ciò non significa che l'intenzione sia necessariamente irrilevante. Benché l'art. 13, n. 1, lett. b), si applichi anche ad una denominazione scelta casualmente senza nessuna intenzione di evocare, se tale denominazione effettivamente evocasse una denominazione registrata cionondimeno l'intenzione del titolare del marchio nello scegliere tale marchio potrebbe essere rilevante. Ad esempio nel caso di specie, in cui è manifesto che la denominazione «Cambozola» è stata scelta non perché «zola» è un suffisso geografico italiano diffuso, motivo che sarebbe inverosimile nel contesto di un formaggio tedesco che non viene presentato come italiano, ma perché evocava l'idea di un formaggio noto di tipo analogo, tale circostanza corrobora la tesi dell'esistenza di evocazione. Inoltre la pubblicità di cui si è riferito in precedenza, benché costituisca un esempio unico, corrobora notevolmente tale ipotesi per quanto riguarda l'origine della denominazione.

36 Trovo in ogni caso inammissibile l'argomento delle convenute secondo cui il suffisso «zola» è un suffisso diffuso fra i nomi geografici italiani e che ciò quindi è di per sé sufficiente per evitare l'ipotesi di evocazione nel contesto in cui viene utilizzato: il fatto che possa essere diffuso in alcune parti d'Italia non può evitare che configuri un'evocazione altrove, in zone in cui i nomi che terminano con il suffisso -zola sono rari.

37 Contrariamente alla tesi delle convenute non ritengo che la sentenza della Corte nella causa SABEL (26) sia rilevante per l'interpretazione della nozione di evocazione ai sensi del regolamento. In quel caso la Corte ha dovuto pronunciarsi sulla portata della nozione di «rischio di confusione» di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, il quale dispone che un marchio di impresa è escluso dalla registrazione o, se registrato, può essere dichiarato nullo «se l'identità o la somiglianza di detto marchio di impresa col marchio di impresa anteriore o l'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dai due marchi d'impresa può dar adito a un rischio di confusione per il pubblico comportante anche un rischio di associazione tra il marchio d'impresa e il marchio d'impresa anteriore». La Corte ha dichiarato che «la mera associazione tra due marchi che possa essere operata dal pubblico per effetto della concordanza del loro contenuto semantico non è di per sé sufficiente per ritenere che sussista un rischio di confusione ai sensi dell'[art. 4, n. 1, lett. b)]». La Corte ne ha pertanto concluso che nel contesto di quella causa non vi era rischio di confusione. Il caso di specie riguarda invece un contesto totalmente diverso, in particolare l'interpretazione della nozione di evocazione ai sensi del regolamento.

38 Non mi sembra neppure che le convenute possano fondarsi sulla sentenza della Corte nella causa Chiciak e Fol. In quella causa la Corte ha dichiarato che, nel caso di una denominazione d'origine «composta», il fatto che non esistessero indicazioni sotto forma di note a piè di pagina nell'allegato del regolamento n. 1107/96 non implicava necessariamente che ogni sua singola parte fosse protetta. Non vedo come la ristretta portata di quella pronuncia possa comportare che la denominazione «Cambozola» non costituisce un'evocazione della denominazione «Gorgonzola» ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento.

39 Poiché è previsto espressamente che l'art. 13, n. 1, lett. b), si applichi in caso di evocazione «anche se l'origine vera del prodotto è indicata», il fatto che sull'imballaggio del Cambozola sia indicato che si tratta di un formaggio tenero tedesco è irrilevante, come hanno notato i governi francese, ellenico e la Commissione. Va notato in ogni caso che, stando alla seconda questione del giudice a quo, il Cambozola viene talvolta venduto senza l'imballaggio originale.

40 Sia l'attore sia il governo austriaco ritengono che, qualora la Corte dichiari applicabile l'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento, essa dovrebbe altresì tener conto dell'art. 13, n. 2.

41 L'art. 13, n. 2 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri possono tuttavia mantenere le misure nazionali che autorizzano l'impiego delle espressioni di cui alla lettera b) del paragrafo 1 per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione del presente regolamento, sempreché:

- i prodotti siano stati commercializzati legalmente con tali espressioni per almeno cinque anni prima della data di pubblicazione del presente regolamento;

- dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti.

Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera commercializzazione dei prodotti nel territorio di uno Stato membro per il quale dette espressioni erano vietate».

42 Il regolamento è stato pubblicato il 24 luglio 1992.

43 Dal tenore letterale di questa disposizione risulta che per «espressione di cui alla lett. b) par. 1» si intendono espressioni «quali "genere", "tipo", "metodo", "alla maniera", "imitazione" o simili» come risulta dal n. 1, lett. b) (27).

44 L'attore ritiene che l'art. 13, n. 2, consenta agli Stati membri di autorizzare durante un periodo transitorio di cinque anni e a talune condizioni l'uso di denominazioni di cui all'art. 13, n. 1, lett. b). Esso sostiene però che emerge chiaramente dalla ratio della disposizione che, in quanto deroga, va interpretata in senso stretto, che essa si applica unicamente alle denominazioni d'origine che non erano tutelate prima di essere registrate ai sensi del regolamento.

45 Il governo austriaco ritiene che l'art. 13, n. 1, consenta l'uso di denominazioni di origine protette contenenti l'indicazione dell'origine del prodotto per un periodo conclusosi dopo la data del rinvio alla Corte, subordinatamente a due condizioni che sono ambedue soddisfatte nel caso di specie.

46 A mio parere tali argomenti sono errati. L'art. 13, n. 2, consente durante un periodo transitorio (che decorre unicamente dal 1992 e non dalla data della registrazione) l'uso di talune espressioni come «genere», «metodo», «alla maniera» e «imitazione» (ad esempio, «genere Gorgonzola»), che sarebbe altrimenti vietato dall'art. 13, n. 1, lett. b). Questo è un problema diverso da quello sottoposto alla Corte nel caso di specie e cioè cosa costituisca evocazione della denominazione, e a mio parere non è rilevante nel caso di specie.

47 Concludo pertanto che la denominazione «Gorgonzola» va protetta in forza dell'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento contro l'evocazione da parte della denominazione Cambozola. L'art. 14, n. 2, del regolamento (28) consente tuttavia la prosecuzione dell'uso di un marchio corrispondente ad una delle situazioni di cui all'art. 13 se è stato registrato in buona fede prima della data di deposito della domanda di registrazione della denominazione d'origine o dell'indicazione geografica purché non sussistano le cause di nullità o decadenza previste dall'art. 3, n. 1, lett. c) e g), e dall'art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva sui marchi. Il marchio «Cambozola» è stato registrato nell'aprile 1983, quindi necessariamente prima della domanda di registrazione della denominazione «Gorgonzola» ai sensi del regolamento. L'art. 14, n. 2, potrebbe pertanto essere applicabile, quindi passo ad esaminare le due questioni che possono sorgere da tale disposizione, e cioè la questione della buona fede e delle cause di nullità o decadenza del marchio.

L'art. 14, n. 2, del regolamento: la «buona fede»

48 Al momento della registrazione della denominazione «Cambozola» in Austria risulta che l'Austria era parte contraente della convenzione di Stresa sull'uso dei nominativi di origine e delle denominazioni dei formaggi. Tale convenzione disciplinava l'uso della denominazione «Gorgonzola» a decorre dal 1_ giugno 1954 (29). L'Oberster Gerichtshof (Corte suprema) ha dichiarato che l'art. 3 della convenzione di Stresa vieta una denominazione evocatrice come, in quel caso, «Österzola» (30). L'attore si richiama a quella sentenza a sostegno del suo argomento secondo cui la registrazione della denominazione «Cambozola» non è avvenuta in buona fede, ed afferma che la registrazione era illecita e non può quindi in alcun caso essere stata effettuata in buona fede.

49 Il governo italiano ritiene anch'esso che la registrazione della denominazione «Cambozola» non sia stata effettuata in buona fede: il marchio «Gorgonzola», già prima della registrazione del marchio «Cambozola», era tutelato da convenzioni internazionali alle quali l'Austria ha o aveva aderito.

50 La Commissione afferma che la questione se la registrazione del marchio sia stata in buona fede dipende dal fatto che il titolare del marchio abbia preso al momento della registrazione tutti i provvedimenti ragionevoli per garantire che l'uso del marchio fosse compatibile con la legge nazionale (ivi comprese tutte le disposizioni in vigore del diritto internazionale) vigente in quel momento. Spetta al giudice nazionale accertare se il titolare abbia preso tali provvedimenti.

51 L'art. 14, n. 2, è volto a consentire la coesistenza di un marchio precedente con una denominazione d'origine con esso confliggente e registrata successivamente, purché il marchio sia stato registrato in buona fede. Esso cerca di contemperare i conflitti d'interesse del titolare del marchio e dei soggetti legittimati all'uso della denominazione d'origine. Un'interpretazione della nozione di buona fede che sia eccessivamente onerosa rischierebbe di pregiudicare un marchio stabilito sul mercato e il legittimo affidamento del suo titolare, che dopo la registrazione del marchio può aver dedicato notevoli sforzi e spese per la commercializzazione dei suoi prodotti; un'interpretazione che imponga al titolare del marchio oneri troppi ridotti andrebbe invece a detrimento degli utilizzatori di una denominazione di origine protetta, i quali vedrebbero pregiudicata la tutela alla quale abbiano eventualmente diritto. A mio parere il criterio della buona fede proposto dalla Commissione è corretto, dovendosi cioè accertare se il titolare del marchio abbia preso tutti i provvedimenti ragionevoli al momento della registrazione per garantire che l'uso del marchio sia compatibile con il diritto nazionale (ivi comprese le disposizioni applicabili del diritto nazionale) in vigore in quel momento.

52 L'accertamento della registrazione originale in buona fede compete, come hanno osservato la Commissione e i governi francese e italiano, al giudice nazionale.

Art. 14, n. 2, del regolamento - La direttiva sui marchi

53 Anche se la denominazione «Cambozola» fosse stata registrata in buona fede, tuttavia l'art. 14, n. 2, non la proteggerebbe qualora sussistano cause nullità o decadenza del marchio previste dall'art. 3, n. 1, lett. c) e g), e dall'art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva sui marchi. Pertanto la denominazione «Cambozola» non sarebbe protetta ai sensi dell'art. 14, n. 2, nel caso in cui sia «di natura tale da ingannare il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto» [art. 3, n. 1, lett. g)] ovvero sia idonea «a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, la qualità o la provenienza geografica (...) dei prodotti a causa dell'uso che ne viene fatto dal titolare del marchio d'impresa o con il suo consenso» [art. 12, n. 2, lett. b)]. L'art. 3, n. 1, lett. c), è irrilevante ai fini della presente fattispecie.

54 Concordo con l'argomento della Commissione secondo cui l'art. 3, n. 1, lett. g) e l'art. 12, n. 2, lett. b), non dovrebbero essere intesi in senso troppo ampio.

55 E' dubbio che si possa applicare l'art. 3, n. 1, lett. g). A mio parere queste disposizioni si applicano solo ai marchi che siano sufficientemente specifici per ingannare il consumatore per quanto riguarda, ad esempio, la natura, le qualità o la provenienza geografica del prodotto. Ciò non si verifica nel caso di specie poiché la denominazione «Cambozola» non si riferisce al nome di località concreto né fa specifico riferimento alla natura e alla qualità del prodotto o ad altri attributi del medesimo: evocando il nome «Gorgonzola» suggerisce semplicemente che si tratta in tal caso di un formaggio tenero erborinato. Ciò mi sembra ben distinto da un inganno relativo ad una qualità specifica.

56 Inoltre occorre cautela prima di concludere che l'art. 12, n. 2, lett. b), è applicabile. Ciò si verifica solo qualora il marchio sia idoneo a indurre in errore a causa dell'uso che ne viene fatto dal titolare o con il suo consenso: il semplice uso del marchio non è quindi di per sé sufficiente. Non vi è nulla nella documentazione sottoposta al vaglio della Corte da cui si desuma che il marchio «Cambozola» viene utilizzato in modo improprio dal titolare del marchio o con il suo consenso, ad eccezione forse della pubblicità utilizzata per un breve periodo nel 1985 - cioè prima della protezione e quindi fattispecie non ricompresa nella questione del giudice a quo.

57 Spetta al giudice nazionale effettuare gli accertamenti necessari per stabilire se l'uso del marchio «Cambozola» da parte del titolare o con il suo consenso sia atto ad indurre in errore il pubblico in particolare circa la natura, la qualità o provenienza geografica del formaggio. Nell'esaminare se l'uso del marchio è idoneo ad indurre in inganno il pubblico il giudice a quo dovrebbe adottare il criterio dell'aspettativa presunta di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto (31). Va ricordato che, come per i marchi, un livello eccessivo di tutela dell'indicazione geografica e delle denominazioni di origine ostacolerebbe l'integrazione dei mercati nazionali imponendo restrizioni ingiustificate alla libera circolazione delle merci (32).

Conclusione

58 Di conseguenza le questioni sollevata dallo Handelsgericht di Vienna dovrebbero a mio parere essere risolte come segue:

«1) L'art. 13, n. 1 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari, dev'essere interpretato nel senso che una denominazione di origine registrata conformemente a tale regolamento dev'essere protetta contro un altro termine perché quest'ultimo costituisce un'evocazione della denominazione d'origine ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento qualora: i) sussista una notevole analogia fonetica fra il termine e la denominazione d'origine, e ii) il termine e la denominazione d'origine vengano utilizzati in un settore di mercato molto simile; ciò si verifica per quanto riguarda la denominazione di origine registrata "Gorgonzola" e il termine "Cambozola", utilizzato per un altro formaggio tenero erborinato.

2) A tal fine è irrilevante che sul secondo prodotto venga indicato che è stato fabbricato in un paese diverso dallo Stato membro di fabbricazione del prodotto contrassegnato con la denominazione di origine protetta.

3) Qualora tuttavia, come nel caso di specie, il termine sia stato registrato come marchio prima del deposito della domanda di registrazione della denominazione d'origine protetta, se ne deve autorizzare la prosecuzione dell'uso ai sensi dell'art. 14, n. 2, del regolamento se

a) è stato registrato in buona fede, qualora il titolare del marchio abbia preso tutti i ragionevoli provvedimenti al momento della registrazione per garantire che l'uso del marchio fosse compatibile con il diritto nazionale (ivi comprese tutte le disposizioni in vigore del diritto internazionale), e

b) non sussistono cause di nullità o decadenza del marchio ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. c) e g), e dell'art. 12, n. 2, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento della legislazione degli Stati membri in materia di marchi d'impresa. Le dette cause sussistono in particolare qualora il marchio sia sufficientemente specifico per ingannare un consumatore, ad esempio circa l'effettiva natura, qualità o provenienza geografica del prodotto, o sia idoneo ad indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza geografica del suddetto prodotto, e non semplicemente a causa della similarità del marchio bensì in conseguenza dell'uso che ne viene fatto dal titolare o con il suo consenso. Nell'esaminare l'idoneità ad ingannare i consumatori o il pubblico, il giudice nazionale dovrà avvalersi del criterio dell'aspettativa presunta di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto».

(1) - GU L 208, pag. 1.

(2) - V. protocollo II della convenzione.

(3) - Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola/Landgenossenschaft Ennstal e Agrarverwertungsverband, sentenza 18 maggio 1993.

(4) - Bundesgesetzblatt del 19 aprile 1995, n. 269, pag. 3729.

(5) - Art. 1, n. 1.

(6) - Art. 1, n. 2.

(7) - Art. 2, n. 2.

(8) - Allegati I e II.

(9) - Allegati I e II.

(10) - Regolamento (CE) della Commissione 12 giugno 1996, n. 1107, relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all'art. 17 del regolamento (CEE) del Consiglio n. 2081/92 (GU L 148, pag. 1).

(11) - Causa C-280/91, Viessmann (Racc. pag. I-971, punto 17 della sentenza); v. altresì causa C-315/92, Verband Sozialer Wettbewerbe, cosiddetta «Clinique», e Estée Lauder (Racc. pag. I-317, punto 7).

(12) - Settimo e nono `considerando'.

(13) - V. ad esempio il settimo `considerando'.

(14) - Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).

(15) - L'art. 3, n. 1, lett. c), è inconferente per il caso di specie.

(16) - V. sentenza 9 giugno 1998, cause riunite C-129/97 e C-130/97, Chiciak e Fol (Racc. pag. I-3315, punto 37).

(17) - Sentenza 14 febbraio 1996.

(18) - Sentenza 5 giugno 1997.

(19) - Sentenza 18 giugno 1998.

(20) - Loc. cit. in nota 14.

(21) - Sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, SABEL/Puma (Racc. pag. I-6191).

(22) - Punto 26.

(23) - Loc. cit. in nota 10.

(24) - Loc. cit. in nota 16.

(25) - Punto 36.

(26) - Loc. cit. in nota 21.

(27) - V. il testo dell'art. 13, n. 1, lett. b), al par. 18 supra.

(28) - V. par. 19 supra.

(29) - V. protocollo II della convenzione.

(30) - V. la causa citata in nota 3.

(31) - V. la causa più recente C-210/96, Gut Springenheide e Tusky, sentenza 16 luglio 1998 (Racc. pag. I-4657, punti 30 e 31). V. anche le sentenze 7 marzo 1990, causa C-362/88, GB-INNO-BM (Racc. pag. I-667); 13 dicembre 1990, causa C-238/89, Pall (Racc. pag. I-4827); 18 maggio 1993, causa C-126/91, Yves Rocher (Racc. pag. I-2361); sentenza «Clinique», già citata; 29 giugno 1995, causa C-456/93, Langguth (Racc. pag. I-1737), e 6 luglio 1995, causa C-470/93, Mars (Racc. pag. I-1923). V. altresì le conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 29 settembre 1998 nella causa C-303/97, Sektkellerei Kessler, sentenza 28 gennaio 1999 (Racc. pag. I-0000, in particolare paragrafo 29 e ss.).

(32) - V. paragrafi 50 e 51 delle mie conclusioni nella causa SABEL, loc. cit. in nota 21. V. anche le mie conclusioni presentate il 29 ottobre 1998, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer (Racc. pag. I-0000, paragrafo 20), e le conclusioni dell'avvocato generale Fennelly nella causa Sektkellerei Kessler, loc. cit. in nota 31, paragrafo 30.