Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) del 17 luglio 1998. - Thai Bicycle Industry & Co. Ltd contro Consiglio dell'Unione europea. - Dumping - Valore normale - Valore costruito - Costo di produzione - Spese generali, amministrative e di vendita - Margine di guadagno - Adeguamento OEM. - Causa T-118/96.
raccolta della giurisprudenza 1998 pagina II-02991
Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
1 Politica commerciale comune - Difesa contro le pratiche di dumping - Ambito di discrezionalità conferito alle istituzioni - Sindacato giurisdizionale - Limiti
2 Politica commerciale comune - Difesa contro le pratiche di dumping - Margine di dumping - Determinazione del valore normale - Elemento da prendersi in considerazione in primo luogo - Prezzo praticato in operazioni commerciali normali - Ricorso ad altri elementi - Presupposti - Assenza di vendite sul mercato interno nel corso di operazioni commerciali normali o assenza di vendite che consentano un valido confronto - Operazioni commerciali normali - Vendite che consentono un valido confronto - Nozione
[Regolamento (CEE) del Consiglio n. 2423/88, art. 2, n. 3, lett. a) e b)]
3 Politica commerciale comune - Difesa contro le pratiche di dumping - Margine di dumping - Determinazione del valore normale - Ricorso al valore costruito - Ordine di priorità da rispettare tra i diversi metodi di calcolo - Calcolo del margine di profitto - Ricorso prioritario all'utile realizzato dal produttore o dall'esportatore sulle vendite redditizie di prodotti simili effettuate sul mercato interno - Ricorso all'utile realizzato da altri produttori o esportatori sulle vendite redditizie di prodotti simili effettuate sul mercato interno - Presupposti
[Regolamento del Consiglio n. 2423/88, art. 2, n. 3, lett. b), punto ii)]
4 Politica commerciale comune - Difesa contro le pratiche di dumping - Margine di dumping - Determinazione del valore normale - Valore costruito - Spese generali, amministrative e di vendita - Regime diverso da quello relativo alla costruzione del prezzo all'esportazione
[Regolamento del Consiglio n. 2423/88, artt. 2, n. 3, e 7, n. 7, lett. b)]
5 Procedura - Produzione di motivi nuovi in corso di causa - Presupposti - Motivi nuovi - Nozione
[Regolamento di procedura del Tribunale, artt. 44, n. 1, lett. c), e 48, n. 2]
6 Politica commerciale comune - Difesa contro le pratiche di dumping - Margine di dumping - Determinazione del valore normale - Ricorso al valore costruito - Vendite all'esportazione effettuate a Original Equipment Manufacturers (OEM) - Adeguamento del margine di profitto incluso nel valore normale costruito di tali vendite - Presupposti
[Regolamento del Consiglio n. 2423/88, art. 2, n. 3, lett. b), punto ii)]
1 Le istituzioni, allorquando pongono in essere, ai sensi del regolamento base, azioni di tutela antidumping concrete, godono di un ampio potere discrezionale per valutare situazioni economiche, politiche e giuridiche complesse. Ne consegue che il controllo del giudice comunitario su una valutazione siffatta deve limitarsi alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell'esattezza materiale dei fatti considerati nell'operare la scelta contestata, dell'assenza di errore di valutazione manifesto o di sviamento di potere.
Inoltre, le istituzioni, allorché si avvalgono del potere discrezionale loro conferito dal regolamento base, non sono tenute a specificare dettagliatamente e previamente i criteri che intendono adottare in ogni situazione concreta, anche nei casi in cui esse adottino nuove scelte di principio.
2 In base alla lettera e alla ratio dell'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento base, va prima preso in considerazione, per stabilire il valore normale, il prezzo realmente pagato o da pagare. Emerge infatti dall'art. 2, n. 3, lett. b), del medesimo regolamento che non può derogarsi a tale principio se non quando non si abbia nessuna vendita di un prodotto simile, o quando vendite di tal genere non consentano un valido confronto.
La nozione di normali operazioni commerciali fa riferimento al carattere delle vendite in sé stesse considerate. Tale nozione intende evitare che, per il calcolo del valore normale, siano prese in considerazione le situazioni in cui le vendite sul mercato interno non sono effettuate in condizioni commerciali normali, in particolare allorché il prodotto è venduto ad un prezzo inferiore al costo di produzione.
Sotto tale aspetto, le istituzioni ritengono che, quando il volume delle vendite interne remunerative di un produttore è inferiore al 10% del volume totale delle vendite del prodotto simile, il prezzo reale non costituisca una base adeguata per la determinazione del valore normale.
Le operazioni commerciali compiute sul mercato interno devono infatti riflettere un comportamento normale degli acquirenti ed essere il risultato del meccanismo normale di formazione dei prezzi. Questa esigenza è da ritenersi soddisfatta se il volume delle vendite effettuate sul mercato interno dal produttore considerato supera il 5% delle vendite all'esportazione verso la Comunità.
3 I tre metodi di calcolo del valore normale costruito descritti all'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii) del regolamento base antidumping n. 2423/88 vanno presi in considerazione nell'ordine di presentazione.
Il margine di profitto deve quindi essere calcolato considerando per prima cosa il profitto realizzato dal produttore sulle vendite remunerative del prodotto simile effettuate nel mercato interno. Solo se i relativi dati non sono disponibili, oppure sono inattendibili o inutilizzabili, il margine di profitto viene calcolato in base al profitto realizzato da altri produttori sulle vendite interne del prodotto simile.
Salvo situazioni eccezionali, allorché i profitti realizzati dal produttore o esportatore sul volume delle vendite interne remunerative è inferiore al 10% del volume totale delle vendite interne del prodotto simile, tali profitti sono inattendibili e non costituiscono una base adeguata ai fini del margine di profitto da includere in quello del valore normale costruito dei prodotti di cui trattasi.
4 I metodi di calcolo del valore normale e del prezzo all'esportazione obbediscono a regole diverse, indipendenti le une dalle altre. Pertanto le istituzioni non erano tenute a tener conto, in sede di determinazione del valore normale costruito, dell'importo delle spese di assicurazione e di trasporto, calcolato allo scopo di determinare il prezzo netto franco fabbrica di esportazione comunitaria dei prodotti oggetto di dumping.
5 Emerge dal combinato disposto degli artt. 44, n. 1, lett. c), e 48, n. 2, del regolamento di procedura che l'atto introduttivo del giudizio deve contenere l'oggetto della controversia e l'esposizione sommaria dei motivi invocati, e che la produzione di motivi nuovi in corso di causa è vietata, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante la fase scritta. Cionondimeno, un motivo che costituisca un'estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell'atto introduttivo del giudizio, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile.
6 La differenza fondamentale esistente tra le vendite agli Original Equipment Manufacturers (OEM) e le vendite dei prodotti di marca riguarda lo stadio di commercializzazione. I due tipi di vendita interessano infatti una clientela diversa, che si situa ad uno stadio di commercializzazione distinto. L'OEM svolge funzioni peculiari rispetto ai rivenditori ordinari. Esso acquista prodotti dal produttore e li rivende con il proprio marchio, pur facendosi carico della responsabilità del produttore medesimo e facendo fronte alle spese di commercializzazione. La peculiarità di tali attività si riflette segnatamente nella struttura dei prezzi praticati dal produttore nei riguardi degli acquirenti OEM, in quanto essi sono in linea generale inferiori a quelli che vigono nei confronti dei rivenditori ordinari.
Pertanto, nell'imporre alla ricorrente di dimostrare che le sue vendite all'esportazione comunitaria agli acquirenti OEM si effettuavano ad un prezzo e con un margine di profitto inferiori a quelli relativi alle vendite interne dei suoi prodotti di marca, il Consiglio non ha agito in violazione dell'art. 2, n. 3, del regolamento base antidumping n. 2423/88.
Nella causa T-118/96,
Thai Bicycle Industry Co. Ltd, società di diritto tailandese, con sede in Samutprakarn (Tailandia), rappresentata dagli avv.ti Jean-François Bellis e Richard Luff, del foro di Bruxelles, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Freddy Brausch, 11, rue Goethe,
ricorrente,
contro
Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dal signor Antonio Tanca, consigliere giuridico, in qualità d'agente, assistito dagli avv.ti Hans-Jürgen Rabe e Georg M. Berrisch, del foro di Amburgo, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Alessandro Morbilli, direttore generale della direzione Affari giuridici della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,
convenuto,
avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento del regolamento (CE) del Consiglio 28 marzo 1996, n. 648, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di biciclette originarie dell'Indonesia, della Malaysia e della Tailandia e procede alla riscossione definitiva dei dazi provvisori applicati (GU L 91, pag. 1),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE
(Quarta Sezione ampliata),
composto dalla signora P. Lindh, presidente, e dai signori R. García-Valdecasas, K. Lenaerts, J.D. Cooke, M. Jaeger, giudici,
cancelliere: signora B. Pastor, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 28 gennaio 1998,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Antefatti della controversia
1 Il presente ricorso è volto ad ottenere l'annullamento del regolamento (CE) del Consiglio 28 marzo 1996, n. 648, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di biciclette originarie dell'Indonesia, della Malaysia e della Tailandia e procede alla riscossione definitiva dei dazi provvisori applicati (GU L 91, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»). Tale regolamento fa seguito al regolamento (CE) della Commissione 13 ottobre 1995, n. 2414, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di biciclette originarie dell'Indonesia, della Malaysia e della Tailandia (GU L 248, pag. 12; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»).
2 La ricorrente, Thai Bicycle Industry Co. Ltd, è una società di diritto tailandese che produce ed esporta biciclette nella Comunità. Essa produce del pari pezzi di ricambio per biciclette e ciclomotori.
3 A seguito di una denuncia presentata dalla Federazione europea di produttori di biciclette, la Commissione, in data 3 febbraio 1994, pubblicava un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di biciclette originarie dell'Indonesia, della Malaysia e della Tailandia (GU C 35, pag. 3), in applicazione del regolamento (CEE) del Consiglio 11 luglio 1988, n. 2423, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU L 209, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento base»).
4 La Commissione inviava alla ricorrente un questionario d'inchiesta, a cui essa forniva risposta con lettere 21 e 23 marzo 1994. Tre altri produttori tailandesi di biciclette collaboravano al procedimento d'inchiesta: la Bangkok Cycle Industrial Co. Ltd, la Siam Cycle MGF Co. Ltd (in prosieguo: la «Siam») e la Victory Cycle Co. Ltd (in prosieguo: la «Victory»).
5 In data 26 e 27 settembre 1994 la Commissione effettuava un sopralluogo nei locali della ricorrente onde verificare l'esattezza delle risposte fornite nel questionario d'inchiesta nonché di ogni altra informazione pertinente (in prosieguo: la «verifica in loco»).
6 Il 13 ottobre 1995 essa emanava il regolamento provvisorio, con il quale veniva istituito un dazio antidumping provvisorio del 13,2% sulle importazioni di biciclette della ricorrente.
7 Con lettera 16 ottobre 1995 essa comunicava alla ricorrente i fatti e le considerazioni fondamentali in base ai quali aveva istituito il dazio antidumping provvisorio (in prosieguo: la «comunicazione provvisoria»). La ricorrente formulava i suoi commenti su tale comunicazione con lettera 13 novembre 1995.
8 Con lettera 1_ febbraio 1996 la Commissione le comunicava i fatti e le considerazioni fondamentali in base ai quali essa intendeva proporre al Consiglio l'istituzione di un dazio antidumping definitivo (in prosieguo: la «comunicazione definitiva»). La ricorrente formulava i suoi commenti su tale ultima comunicazione con lettera 12 febbraio 1996.
9 In data 28 marzo 1996 il Consiglio adottava il regolamento controverso, con il quale veniva istituito un dazio antidumping definitivo del 13% sulle importazioni di biciclette della ricorrente.
Regolamenti oggetto della controversia
10 L'inchiesta relativa alle pratiche di dumping riguardava il periodo compreso tra il 1_ gennaio e il 31 dicembre 1993 (punto 9 del preambolo del regolamento provvisorio).
11 Per determinare il margine di dumping delle biciclette della ricorrente, la Commissione e il Consiglio (in prosieguo: le «istituzioni») operavano un raffronto tra il valore normale dei prodotti e il loro prezzo all'esportazione nella Comunità.
12 Il valore normale non poteva essere determinato in base al prezzo realmente praticato sul mercato tailandese. Infatti, i modelli colà venduti non erano paragonabili a quelli venduti per l'esportazione nella Comunità (punti 37 e 38 del preambolo del regolamento provvisorio). Conseguentemente, il valore normale ai sensi dell'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), del regolamento base veniva calcolato in base al valore costruito per i prodotti esportati nella Comunità (punto 39 del preambolo del regolamento provvisorio e punto 28 del preambolo del regolamento controverso).
13 Il valore costruito veniva determinato aggiungendo ai costi di fabbricazione dei modelli esportati una percentuale adeguata per le spese generali, amministrative e di vendita (in prosieguo: le «spese GAV») e un equo margine di profitto (punto 40 del preambolo del regolamento provvisorio e punto 28 del preambolo del regolamento controverso).
14 Per quanto riguarda i costi di produzione, la ricorrente aveva indicato, nella risposta fornita al questionario d'inchiesta, che i costi di produzione connessi con la produzione delle sue biciclette ammontavano a 318 542 803 THB. In sede di verifica in loco, la Commissione accettava che l'importo dei costi di produzione figurante nel conto «profitti e perdite» della ricorrente ammontava a 362 704 018 THB. A motivo di tale discrepanza, essa decideva, ai sensi dell'art. 2, n. 11, del regolamento base, di aggiungere ai costi di produzione dichiarati dalla ricorrente il 2,4% del fatturato della medesima (punto 5.4 della comunicazione definitiva).
15 Per quanto riguarda le spese GAV, il conto «profitti e perdite» della ricorrente includeva una voce «spese di esportazione» il cui importo era indicato in 17 076 144 THB. Le istituzioni ritenevano che la società non avesse fornito spiegazioni e prove sufficienti in merito alla reale natura della suddette spese. Conseguentemente, esse decidevano, a norma del disposto dell'art. 2, n. 11, del regolamento base, di ripartire l'importo sopraindicato tra vendite interne e vendite all'esportazione nella Comunità in modo proporzionale al fatturato della società (punto 30 del preambolo del regolamento controverso). A seguito di tale ripartizione, le spese di esportazione della ricorrente ammontavano a 10 610 898 THB.
16 Per quanto riguarda il margine di profitto, l'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), del regolamento base recita:
«(...) il profitto viene calcolato in base (...) ai profitti realizzati dal produttore o esportatore sulle vendite redditizie del prodotto simile sul mercato interno. Qualora tali dati non siano disponibili, oppure siano inattendibili o tali da non poter essere utilizzati, si fa riferimento (...) al profitto realizzato da altri produttori o esportatori nel paese di origine o di esportazione sulle vendite redditizie del prodotto simile (...)»
17 Nella fattispecie, le istituzioni ritenevano che il profitto di un produttore o di un esportatore potesse costituire un elemento «attendibile», ai sensi della norma suddetta, unicamente se realizzato sulla base di un volume sufficientemente elevato e rappresentativo di vendite interne. Pertanto, esse stabilivano il criterio secondo cui il margine di profitto reale di un produttore o di un esportatore poteva utilizzarsi ai fini del calcolo del valore normale costruito solo allorquando il volume dei profitti ricavati dalle vendite interne fosse pari ad almeno il 10% del totale delle vendite interne di un prodotto simile (punto 22 del preambolo del regolamento provvisorio e punto 31 del preambolo del regolamento controverso, in prosieguo: il «criterio del 10%»).
18 La ricorrente non soddisfaceva tale criterio. I profitti ricavati dalle vendite interne rappresentavano solo il 9,26% del totale di tali vendite. Conseguentemente, le istituzioni non si basavano sul suo margine di profitto, pari al 4,14%, ma prendevano in considerazione, in sua vece, il margine di profitto medio ponderato della Siam e della Victory - pari al 13,7% - relativamente alle quali si era potuto accertare un profitto attendibile (punto 31 del preambolo del regolamento controverso).
19 Il prezzo all'esportazione delle biciclette della ricorrente veniva fissato in riferimento al prezzo realmente pagato o pagabile per le biciclette vendute all'esportazione verso le Comunità, ai sensi dell'art. 2, n. 8, lett. a), del regolamento base (punto 48 del preambolo del regolamento provvisorio).
20 Il valore normale e il prezzo all'esportazione venivano confrontati con il livello franco fabbrica per ogni singola transazione (punto 49 del preambolo del regolamento provvisorio).
21 Con lettera 21 marzo 1994 la ricorrente aveva richiesto un adeguamento, adducendo il fatto che essa vendeva la maggior parte delle sue biciclette all'esportazione nella Comunità a «Original Equipment Manufacturers» (in prosieguo: gli «OEM»), vale a dire a fornitori che commercializzano con marchio proprio prodotti fabbricati da altre imprese.
22 La domanda della ricorrente era formulata nel modo seguente:
«(...) poiché le esportazioni verso l'Unione europea sono state generalmente effettuate sulla base di vendite agli OEM, desidereremmo (...) ottenere un adeguamento onde eventualmente tener conto delle differenze esistenti in ordine alle condizioni e alle modalità della vendita».
23 Il Consiglio respingeva tale domanda così argomentando (punto 50 del preambolo del regolamento controverso):
«In una lettera allegata alla risposta al questionario da parte [della ricorrente, essa ha] chiesto in termini imprecisi un adeguamento OEM. Questa richiesta non è stata formulata in maniera esplicita nella risposta al questionario né è stata corroborata nonostante le istruzioni specifiche nel questionario (...) per quanto riguarda le relative prove. Inoltre non esistono i requisiti materiali per un adeguamento di questo tipo; la maggior parte delle vendite all'esportazione (della ricorrente) non sono state effettuate ad un livello tale da costituire una vendita OEM, ossia di norma un livello compreso tra la fabbricazione e la distribuzione. Queste vendite sono state effettuate sul mercato comunitario ad un livello la cui funzione è, sostanzialmente, quella di distribuzione (...) non esisteva una struttura di fissazione dei prezzi chiara e destinata tra le esportazioni verso il fabbricante interessato rispetto alle vendite ai distributori nella Comunità. Di conseguenza in tale ambito non è necessario un adeguamento appropriato (OEM).
Nell'esaminare la richiesta relativa all'OEM, è stato accertato che non sono stati rispettati i requisiti materiali per un adeguamento del livello degli scambi, visto che le vendite sono state probabilmente effettuate ad un gruppo simile di acquirenti sul mercato interno e su quello all'esportazione».
24 Per quanto riguarda il margine di dumping, la Commissione accertava che dal confronto del valore normale con il prezzo all'esportazione risultava l'esistenza di un dumping per la ricorrente (punto 66 del preambolo del regolamento provvisorio). Successivamente a una revisione dei calcoli, il Consiglio stabiliva tale margine al 13% (punti 54 e 55 del preambolo del regolamento controverso).
Procedimento e conclusioni delle parti
25 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 luglio 1996, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.
26 Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria. Tuttavia, con lettera 21 novembre 1997, esso ha chiesto alle parti di esibire taluni documenti e di rispondere ad alcune domande. Con lettera depositata presso la cancelleria il 19 dicembre 1997, la ricorrente e il Consiglio hanno ottemperato a tale richiesta nel termine impartito.
27 Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle risposte fornite ai quesiti del Tribunale all'udienza del 28 gennaio 1998.
28 La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
- annullare il regolamento controverso, nella parte in cui esso la riguarda;
- condannare il Consiglio alle spese.
29 Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:
- respingere il ricorso;
- condannare la ricorrente alle spese.
Nel merito
30 A sostegno del proprio ricorso, la ricorrente deduce due motivi:
- violazione del regolamento base, errore di valutazione manifesto e violazione del principio di parità di trattamento, in quanto il Consiglio ha rifiutato di basarsi sul suo margine reale di profitto onde determinare il valore normale costruito dei prodotti esportati verso la Comunità;
- violazione del regolamento base, in quanto il Consiglio ha rifiutato di operare un adeguamento ai fini del calcolo del margine di profitto da includere nel valore normale costruito dei prodotti venduti nella Comunità agli acquirenti OEM (in prosieguo: l'«adeguamento OEM»).
31 Durante la fase scritta, la ricorrente ha del pari sostenuto che la Commissione aveva violato i suoi diritti alla difesa. All'udienza, tuttavia, essa ha precisato che tale argomento non costituiva un motivo di annullamento.
32 In via preliminare, occorre ricordare che le istituzioni, allorquando pongono in essere, ai sensi del regolamento base, azioni di tutela antidumping concrete, godono di un ampio potere discrezionale per valutare situazioni economiche, politiche e giuridiche complesse (sentenze della Corte 7 maggio 1991, causa C-69/89, Nakajima/Consiglio, Racc. pag. I-2069, punto 86, e 29 maggio 1997, causa C-26/96, Rotexchemie, Racc. pag. I-2817, punto 10, e sentenze del Tribunale 28 settembre 1995, causa T-164/94, Ferchimex/Consiglio, Racc. pag. II-2681, punto 131; 5 giugno 1996, causa T-162/94, NMB Francia e a./Commissione, Racc. pag. II-427, punto 72; 18 settembre 1996, causa T-155/94, Climax Paper/Consiglio, Racc. pag. II-873, punto 98, e 25 settembre 1997, causa T-170/94, Shangai Bicycle/Consiglio, Racc. pag. II-1383, punto 63)
33 Ne consegue che il controllo del giudice comunitario su una valutazione siffatta deve limitarsi alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell'esattezza materiale dei fatti considerati nell'operare la scelta contestata, dell'assenza di errore di valutazione manifesto o di sviamento di potere (sentenze della Corte 7 maggio 1987, causa 240/84, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio, Racc. pag. 1809, punto 19, e causa 258/84, Nippon Seiko/Consiglio, Racc. pag. 1923, punto 21; 14 marzo 1990, causa C-156/87, Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-781, punto 63, e Rotexchemie, citata, punto 11, nonché citate sentenze del Tribunale Climax Paper/Consiglio, punto 98, e Shangai Bicycle/Consiglio, punto 64).
1. Sul primo motivo , relativo ad una violazione del regolamento base, ad un errore di valutazione manifesto e ad una violazione del divieto di discriminazioni, in quanto il Consiglio ha rifiutato di tener conto del margine di profitto reale della ricorrente ai fini della determinazione del valore normale costruito dei prodotti da essa esportati verso la Comunità
34 La ricorrente sostiene che il Consiglio, per determinare il valore normale costruito dei suoi prodotti, avrebbe dovuto tener conto del margine di profitto reale piuttosto che del margine di profitto medio ponderato della Siam e della Victory.
35 Tale motivo si articola in quattro parti. Nella prima parte, la ricorrente sostiene che la motivazione addotta dal Consiglio per rifiutare di tener conto del suo margine di profitto è manifestamente erronea. Nella seconda parte, essa contesta la legittimità degli adeguamenti dei suoi costi di produzione per le biciclette nonché delle spese GAV. Nella terza e nella quarta parte, essa fa valere che il Consiglio non poteva basarsi, rispettivamente, sul margine di profitto della Siam e su quello della Victory.
Prima parte: il margine di profitto della ricorrente
Argomenti delle parti
36 La ricorrente riconosce che, per quanto riguarda le questioni economiche complesse, il Consiglio dispone di ampia discrezionalità. Tuttavia, nel rifiutare di tener conto del suo margine di profitto reale, in quanto il volume delle vendite interne remunerative era inferiore al 10% del volume totale delle vendite interne, esso avrebbe oltrepassato i limiti posti ai suoi poteri.
37 A sostegno di tale tesi, la ricorrente avanza sei argomenti.
38 Innanzi tutto, la giurisprudenza della Corte imporrebbe che il margine di profitto vada calcolato considerando prioritariamente il profitto realizzato dal produttore sulle vendite remunerative del prodotto simile effettuate sul mercato interno (sentenza della Corte 13 febbraio 1992, causa C-105/90, Goldstar/Consiglio, Racc. pag. I-677, punti 36-38).
39 In secondo luogo, il criterio del 10% non figurerebbe nel regolamento base. Il Consiglio l'avrebbe così posto come esigenza totalmente nuova. Dal 1985 la sua prassi costante sarebbe consistita nell'utilizzare il margine di profitto del produttore allorquando le sue vendite interne remunerative rappresentavano almeno il 5% delle vendite all'esportazione verso la Comunità. Orbene, la ricorrente ha soddisfatto tale condizione, in quanto le sue vendite interne remunerative rappresenterebbero il 5,35% delle vendite all'esportazione verso la Comunità.
40 In terzo luogo, il criterio del 10% sarebbe arbitrario posto che i produttori potrebbero eluderlo occultando taluni dati informativi. Se, ad esempio, la ricorrente avesse deciso di non comunicare i costi di produzione di taluni modelli di biciclette venduti in perdita nel mercato interno, le istituzioni avrebbero accertato che il volume delle sue vendite interne remunerative rappresentava una cifra superiore al 10% del volume totale delle vendite.
41 In quarto luogo, le vendite interne remunerative della ricorrente sarebbero state, in termini assoluti, nettamente superiori a quelle, sommate tra loro, della Siam e della Victory. Esse avrebbero infatti superato il 60% delle vendite remunerative effettuate nel mercato interno. Pertanto, il Consiglio non avrebbe potuto ragionevolmente accertare che le vendite interne remunerative della Siam e della Victory erano più «attendibili» di quelle della ricorrente.
42 In quinto luogo, le vendite interne remunerative della ricorrente avrebbero soddisfatto, in termini di valore, il criterio del 10%. Esse avrebbero infatti rappresentato il 10,6% del valore totale delle sue vendite interne. Applicare il criterio del 10% al volume, e non invece al valore delle vendite interne, porterebbe a conseguenze abnormi. Il volume delle vendite interne remunerative di un prodotto potrebbe certamente essere superiore al 10% del volume delle vendite interne totali, ma costituire - a causa del basso prezzo dei prodotti venduti con margine di profitto - una percentuale quanto mai ridotta (l'1%) del fatturato realizzato con le vendite interne. Pertanto, sarebbe illogico dedurne che le vendite interne remunerative costituiscano un dato «non attendibile» ai fini della determinazione del valore normale costruito.
43 In sesto luogo, dato il suo carattere di totale novità, si sarebbe fatta un'applicazione troppo rigorosa del criterio del 10%. Al ricorrente mancava appena lo 0,74% di vendite interne remunerative per soddisfare tale criterio. Inoltre, per molti modelli di biciclette, sarebbero state remunerative più del 50%, in taluni casi addirittura più dell'80%, delle sue vendite interne.
44 Il Consiglio contesta i suddetti argomenti.
Giudizio del Tribunale
45 Occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 2, n. 3, del regolamento base:
«[Il] valore normale [è] il prezzo comparabile realmente pagato o pagabile nel corso di normali operazioni commerciali per un prodotto simile, destinato al consumo nel paese d'esportazione o di origine [in prosieguo: "prezzo reale"] (...) o (...) il valore costruito».
46 In base alla lettera e alla ratio dell'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento base, va prima preso in considerazione, per stabilire il valore normale, il prezzo realmente pagato o da pagare (sentenze della Corte 5 ottobre 1988, cause riunite 277/85 e 300/85, Canon e a./Consiglio, Racc. pag. 5731, punto 11, e Goldstar/Consiglio, citata, punto 12). Emerge infatti dall'art. 2, n. 3, lett. b), del medesimo regolamento che non può derogarsi a tale principio se non quando non si abbia nessuna vendita di un prodotto simile, o quando vendite di tal genere non consentano un valido confronto.
47 La nozione di normali operazioni commerciali fa riferimento al carattere delle vendite in sé stesse considerate. Tale nozione intende evitare che, per il calcolo del valore normale, siano prese in considerazione le situazioni in cui le vendite sul mercato interno non sono effettuate in condizioni commerciali normali, in particolare allorché il prodotto è venduto ad un prezzo inferiore al costo di produzione (sentenza Goldstar/Consiglio, citata, punto 13).
48 Sotto tale aspetto, le istituzioni ritengono che, quando il volume delle vendite interne remunerative di un produttore è inferiore al 10% del volume totale delle vendite del prodotto simile, il prezzo reale non costituisca una base adeguata per la determinazione del valore normale [v. punti 21 e 22 del preambolo del regolamento provvisorio, punto 19 del preambolo del regolamento definitivo e punto 18 del preambolo del regolamento (CE) della Commissione 30 ottobre 1997, n. 2140, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di telecopiatrici ad uso privato originarie della Repubblica popolare cinese, del Giappone, della Corea, della Malaysia, di Singapore, di Taiwan e della Tailandia (GU L 297, pag. 61)].
49 Il criterio secondo cui le vendite interne devono consentire un valido raffronto riguarda la questione se tali vendite siano sufficientemente rappresentative per servire come base ai fini della determinazione del valore normale. Le operazioni commerciali compiute sul mercato interno devono infatti riflettere un comportamento normale degli acquirenti ed essere il risultato del meccanismo normale di formazione dei prezzi (sentenza Goldstar/Consiglio, citata, punto 15).
50 Secondo la giurisprudenza, questa esigenza è da ritenersi soddisfatta se il volume delle vendite effettuate sul mercato interno dal produttore considerato supera il 5% delle vendite all'esportazione verso la Comunità (sentenza Goldstar/Consiglio, citata, punti 16 e 17).
51 Nella fattispecie, le istituzioni non hanno potuto determinare il valore normale delle biciclette della ricorrente sulla base del prezzo di mercato reale in quanto i modelli da essa venduti nel mercato tailandese non erano paragonabili a quelli venduti all'esportazione verso la Comunità. Di conseguenza, esse hanno individuato il valore normale in base a un valore programma costruito relativamente ai prodotti esportati verso la Comunità.
52 L'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), del regolamento base recita:
«il valore costruito [è] calcolato addizionando il costo di produzione e un equo margine di profitto. Il costo di produzione è calcolato tenendo conto di tutti i costi, nel corso di normali operazioni commerciali, tanto fissi quanto variabili, nel paese d'origine, dei materiali e della produzione, più un importo equo per le spese [GAV]. L'importo per le spese [GAV] e per il profitto viene calcolato in base alle spese sostenute e ai profitti realizzati dal produttore o esportatore sulle vendite redditizie del prodotto simile sul mercato interno. Qualora tali dati non siano disponibili, oppure siano inattendibili o tali da non poter essere utilizzati, si fa riferimento alle spese sostenute e al profitto realizzato da altri produttori o esportatori nel paese di origine o di esportazione sulle vendite redditizie del prodotto simile. Qualora non sia possibile applicare nessuno dei due metodi indicati, le spese sostenute e il profitto realizzato vengono calcolati in base alle vendite effettuate dall'esportatore o da altri produttori o esportatori operanti nello stesso settore nel paese d'origine o di esportazione, o eventualmente su altra base equa».
53 L'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), descrive in tal modo tre metodi di calcolo del valore normale costruito. Tenendo conto della formulazione della norma suddetta, tali metodi vanno presi in considerazione nell'ordine di presentazione (sentenze Nakajima/Consiglio, citata, punto 61, e Goldstar/Consiglio, citata, punto 35).
54 Il margine di profitto deve quindi essere calcolato considerando per prima cosa il profitto realizzato dal produttore sulle vendite remunerative del prodotto simile effettuate nel mercato interno. Solo se i relativi dati non sono disponibili, oppure sono inattendibili o inutilizzabili, il margine di profitto viene calcolato in base al profitto realizzato da altri produttori sulle vendite interne del prodotto simile (sentenza Goldstar/Consiglio, citata, punto 36).
55 Nella fattispecie, le istituzioni hanno ritenuto che, allorquando un produttore realizza profitti su un volume di vendite interne che sia inferiore al 10% del totale delle vendite interne del prodotto simile, tali profitti manchino di «attendibilità» e siano pertanto «inutilizzabili» ai fini del calcolo del margine di profitto da includere nel valore normale costruito.
56 Occorre pertanto esaminare se, nel far uso di tale criterio, le istituzioni non abbiano violato il regolamento base o commesso un errore di valutazione manifesto.
- Sull'adozione del criterio del 10%
57 Occorre esaminare le censure vertenti sul fatto che a) le istituzioni avrebbero posto un requisito nuovo, b) il criterio di riferimento del 10% sarebbe arbitrario e c) tale criterio andrebbe in senso contrario rispetto alla precedente prassi delle istituzioni.
a) Sulla creazione di un requisito nuovo
58 La ricorrente sostiene che, adottando il criterio di riferimento del 10%, le istituzioni hanno stabilito un requisito nuovo, che non figurava nel regolamento base.
59 Emerge dal dettato dell'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), del citato regolamento che ciascun metodo di calcolo del valore normale costruito va applicato in modo da garantire l'equità di detto calcolo (v. sentenza Nakajima/Consiglio, citata, punti 35 e 36).
60 Quando un produttore vende un numero eccessivo di esemplari del prodotto sul mercato interno ad un prezzo inferiore ai costi di produzione, le sue vendite non possono considerarsi come concluse in condizioni commerciali normali (v. supra, punti 47 e 48). Di conseguenza, le istituzioni non possono prendere in considerazione i profitti realizzati su tali vendite ai fini del calcolo del margine di profitto da includere nel valore normale costruito. Tale considerazione avrebbe infatti come conseguenza quella di privare di ragionevolezza il primo metodo di calcolo del margine di profitto.
61 Orbene, il criterio del 10% è volto a garantire che il profitto del produttore venga realizzato sulla base di un volume sufficientemente ampio di vendite interne del prodotto simile.
62 Pertanto, adottando tale criterio, le istituzioni hanno correttamente interpretato il disposto dell'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), del regolamento base.
b) Sul carattere arbitrario del criterio del 10%
63 La ricorrente sostiene che il criterio del 10% è arbitrario.
64 Nell'ambito della nozione di operazioni commerciali normali, le istituzioni muovono dal presupposto che, allorché il volume delle vendite interne remunerative di un produttore rappresenta una percentuale inferiore del 10% del volume totale delle vendite interne del prodotto simile, il prezzo sul mercato interno non costituisce una base adeguata per la determinazione del valore normale (v. supra, punti 47 e 48).
65 Pertanto, è logico che le istituzioni, nel determinare il valore normale costruito, ritengano che i profitti realizzati da tale produttore sulle suddette vendite non costituiscano più una base adeguata per la determinazione del margine di profitto.
66 Il criterio del 10%, quindi, lungi dall'essere arbitrario, riflette invece la coerenza del metodo utilizzato dalle istituzioni nel determinare il valore normale. E' evidente che la ricorrente non può ragionevolmente sostenere che la possibilità per un produttore di occultare talune informazioni che la concernono potrebbe rendere arbitrario il criterio di cui trattasi.
c) Sull'esistenza di una precedente prassi
67 La ricorrente sostiene che le istituzioni, nel determinare il valore normale costruito, sono solite calcolare il margine di profitto in base ai profitti realizzati dal produttore di cui trattasi sulle vendite interne, remunerative quando esse rappresentino una percentuale superiore al 5% delle vendite all'esportazione verso la Comunità.
68 Occorre ricordare che le istituzioni, allorché si avvalgono del potere discrezionale loro conferito dal regolamento base, non sono tenute a specificare dettagliatamente e previamente i criteri che intendono adottare in ogni situazione concreta, anche nei casi in cui esse adottino nuove scelte di principio (v., a tal proposito, sentenze della Corte 5 ottobre 1988, causa 250/85, Brother/Consiglio, Racc. pag. 5683, punti 28 e 29, e Nakajima/Consiglio, citata, punto 118).
69 Pertanto, indipendentemente dalla necessità di pronunciarsi sulla prassi menzionata dalla ricorrente, la sua esistenza non faceva in ogni caso venir meno in capo alle istituzioni la facoltà di adottare il criterio controverso.
70 Alla luce di quanto precede risulta che, nell'adottare il criterio del 10%, le istituzioni non hanno né violato il regolamento base né commesso errore manifesto di valutazione.
71 A tal proposito, il Tribunale rileva che, in assenza di una specifica norma di legge, tale prassi assicura agli operatori economici interessati un determinato grado di certezza del diritto per quanto riguarda la valutazione, ad opera delle istituzioni comunitarie, del carattere rappresentativo delle vendite effettuate sul mercato interno. In considerazione della garanzia così fornita, il criterio del 10% merita di essere accolto e ammette deroghe solo in presenza di situazioni eccezionali (v., per analogia, sentenza Goldstar/Consiglio, citata, punto 17).
- Sull'applicazione del criterio del 10% nei riguardi della ricorrente
72 Occorre passare all'analisi delle censure della ricorrente riguardanti a) le sue vendite interne remunerative in termini assoluti, b) le sue vendite interne remunerative in termini di valore e c) l'applicazione troppo rigorosa del criterio del 10%.
a) Sulle vendite della ricorrente in termini assoluti
73 La ricorrente sottolinea come le sue vendite interne remunerative siano state, in termini assoluti, nettamente superiori a quelle della Siam e della Victory. Esse sommate tra loro avrebbero infatti rappresentato un volume superiore al 60% delle vendite remunerative realizzate nell'ambito del mercato interno.
74 Il criterio del 10% è volto a garantire che i profitti realizzati da un determinato produttore sulle vendite interne del prodotto simile costituiscano una base adeguata ai fini del calcolo del margine di profitto da includere in quello del valore normale costruito. L'elemento essenziale di tale criterio è costituito pertanto dalla percentuale delle vendite interne remunerative di tale produttore rispetto alla totalità delle vendite interne da esso realizzate.
75 Conseguentemente, il volume complessivo delle vendite remunerative realizzate dalla ricorrente nel mercato interno non è rilevante. Esso non ha alcuna incidenza sul fatto che le sue vendite interne remunerative rappresentavano una percentuale inferiore al 10% del totale delle vendite interne. Allo stesso modo, il raffronto delle sue vendite interne remunerative con quelle della Siam e della Victory è, anch'esso, privo di rilevanza, in quanto tali produttori realizzavano i propri profitti, ognuno secondo le proprie dimensioni, su un numero sufficientemente rappresentativo di vendite interne.
b) Sulle vendite della ricorrente in termini di valore
76 La decisione di applicare una percentuale del 10% al volume invece che al valore delle vendite interne è da ricondursi all'ampio potere discrezionale di cui godono le istituzioni.
77 Secondo la ricorrente, tale decisione potrebbe portare a conseguenze abnormi. A tal proposito, essa cita l'esempio di un produttore il cui volume di vendite interne remunerative rappresenti una percentuale superiore al 10% del volume totale delle vendite interne, pur costituendo, a causa del basso prezzo dei prodotti venduti con un margine di profitto, una percentuale minima (ad esempio, l'1%) del fatturato realizzato su tali vendite interne.
78 Questo esempio, del resto ipotetico, non è tale da porre in discussione la pertinenza della suddetta decisione. Spetta infatti alle istituzioni esaminare, in ogni concreta situazione, l'esistenza di circostanze specifiche che impongano o giustifichino un'eccezione al criterio del 10%
79 Inoltre, la decisione delle istituzioni non va al di là dei limiti posti alla loro discrezionalità. Occorre osservare che i criteri da esse utilizzati nell'ambito della nozione di operazioni commerciali normali (v. supra, punti 47 e 48), nonché nell'ambito della valutazione di quanto siano rappresentative le vendite realizzate nel mercato interno (v. supra, punti 49 e 50), trovano del pari applicazione riguardo al volume delle vendite del prodotto simile.
c) Sull'applicazione troppo rigorosa del criterio del 10%
80 La ricorrente ritiene che il criterio del 10% le sia stato applicato in modo troppo rigoroso.
81 Nella fattispecie, è pacifico che il volume delle vendite interne remunerative rappresentava il 9,26% del volume totale delle vendite interne del prodotto simile.
82 Il fatto, poi, che per molteplici modelli di biciclette la maggior parte delle vendite interne fosse a carattere remunerativo non cambia in nulla un tale stato di cose. Inoltre, né il carattere di novità del criterio del 10%, né il fatto che per soddisfarlo mancasse alla ricorrente appena lo 0,74% delle vendite interne remunerative, costituivano circostanze eccezionali tali da consentire di derogare al criterio suddetto.
83 Da quanto sopra risulta che, applicando il criterio del 10% alla ricorrente, le istituzioni non hanno commesso alcuna violazione del regolamento base né sono incorse in errore manifesto di valutazione.
84 Ne consegue che la prima parte del motivo va disattesa.
Seconda parte: l'adeguamento dei costi di produzione e delle spese GAV
85 In assenza di adeguamento dei costi di produzione o delle spese GAV della ricorrente, il volume delle sue vendite interne remunerative sarebbe stato pari o superiore al 10% del volume totale delle vendite interne del prodotto simile.
86 Occorre pertanto analizzare la correttezza di tali adeguamenti.
87 Ai sensi dell'art. 7, n. 7, lett. b), del regolamento base, qualora una parte interessata rifiuti l'accesso alle informazioni necessarie oppure non le comunichi entro un ragionevole arco di tempo, la Commissione può elaborare conclusioni finali o preliminari in base ai dati disponibili. L'art. 2, n. 11, del medesimo regolamento dispone che «tutti i calcoli dei costi devono basarsi sui dati contabili disponibili, normalmente ripartiti, se necessario, in modo proporzionale alla cifra d'affari».
Sull'adeguamento dei costi di produzione della ricorrente
- Argomenti delle parti
88 La ricorrente asserisce che l'adeguamento dei suoi costi di produzione delle biciclette è ingiustificato. In occasione della verifica in loco, essa avrebbe chiaramente spiegato che il divario esistente tra l'importo dei costi di produzione indicato nelle risposte al questionario d'inchiesta e quello figurante nel conto «profitti e perdite» corrispondeva ai costi di produzione dei pezzi di ricambio di biciclette e di ciclomotori.
89 L'adeguamento avrebbe, inoltre, carattere discriminatorio. Il Consiglio avrebbe infatti dovuto del pari procedere all'adeguamento dei costi di produzione della Victory.
90 Nel caso della ricorrente, la Commissione avrebbe constatato che i costi di produzione delle biciclette rappresentavano l'87,8% del totale dei suoi costi di produzione, mentre il fatturato realizzato sulla vendita delle medesime biciclette era pari al 90,2% del suo fatturato complessivo. L'adeguamento controverso sarebbe quindi consistito nell'aumentare i costi di produzione dell'importo corrispondente alla differenza rilevata, vale a dire il 2,4% del fatturato della ricorrente. Nel caso della Victory, la ricorrente avrebbe calcolato che la percentuale dei costi di produzione delle biciclette era, come nel suo caso, inferiore a quello del fatturato realizzato nelle vendite delle medesime. Malgrado una tale differenza, il Consiglio non avrebbe proceduto ad alcun adeguamento.
91 Per giustificare tale mancato adeguamento, le istituzioni avrebbero inoltre addotto motivazioni contraddittorie. Nella sua comunicazione definitiva, la Commissione avrebbe affermato che, in realtà, la percentuale dei costi di produzione delle biciclette della Victory era superiore a quella del suo fatturato. Orbene, nella presente causa il Consiglio sostiene che la Victory aveva esaurientemente spiegato la ragione per cui l'importo dei costi di produzione indicato nella risposta da essa fornita al questionario d'inchiesta differiva da quello figurante nel conto «profitti e perdite».
92 Il Consiglio contesta tali argomenti.
- Giudizio del Tribunale
93 E' pacifico che l'importo dei costi di produzione delle biciclette indicato dalla ricorrente nella risposta al questionario d'inchiesta era inferiore a quello figurante nel conto «profitti e perdite». Certamente, in sede di verifica in loco, essa ha spiegato che tale differenza era da attribuirsi ai costi di fabbricazione dei pezzi di ricambio di biciclette e di ciclomotori.
94 Tuttavia, dagli atti di causa emerge che la ricorrente non ha fornito alcun elemento probatorio tale da consentire alle istituzioni di comprovare l'esattezza delle spiegazioni.
95 Pertanto, giustamente le istituzioni hanno effettuato l'adeguamento dei suoi costi di produzione, in conformità di quanto previsto all'art. 2, n. 11, del regolamento base, mediante una ripartizione proporzionale alla cifra d'affari sulla base dei dati contabili disponibili.
96 Per quanto riguarda il divieto di discriminazioni, del pari invocato dalla ricorrente, esso impedisce che situazioni analoghe vengano trattate in maniera diversa, e che situazioni diverse siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza della Corte 5 ottobre 1994, cause riunite C-133/93, C-300/93 e C-362/93, Crispoltoni e a., Racc. pag. I-4863, punto 51, e sentenze del Tribunale 13 luglio 1995, cause riunite T-466/93, T-469/93, T-473/93, T-474/93 e T-477/93, O'Dwyer e a./Consiglio, Racc. pag. II-2071, punto 113, nonché NMB France e a./Commissione, citata, punto 116).
97 Nella fattispecie, il Consiglio ha spiegato che, alla stregua di quanto è accaduto nel caso della ricorrente, l'importo dei costi di produzione, menzionato dalla Victory nella sua risposta al questionario d'inchiesta, differiva da quello figurante nel conto «profitti e perdite». Tuttavia, contrariamente alla ricorrente, la Victory ha fornito una spiegazione per tale differenza fornendo soddisfacente materiale probatorio.
98 La ricorrente, invece, non ha apportato alcun elemento probatorio tale da inficiare la suddetta spiegazione.
99 Ciò posto, si deve pertanto riconoscere che la situazione della Victory non era raffrontabile a quella della ricorrente. Essa non può quindi addebitare alle istituzioni di non aver ripartito anche i costi di produzione delle biciclette della Victory in modo proporzionale al suo fatturato.
100 Ne consegue che, nel procedere all'adeguamento dei costi di produzione delle biciclette della ricorrente, le istituzioni non hanno né commesso un errore manifesto di valutazione né violato il divieto di discriminazioni.
Sull'adeguamento delle spese GAV della ricorrente
- Argomenti delle parti
101 La ricorrente asserisce che l'adeguamento delle sue spese GAV è ingiustificato. Essa avrebbe dimostrato a quanto concretamente ammontassero le sue spese all'esportazione, presentando un elenco di tutte le vendite all'esportazione contenente, per ogni operazione commerciale effettuata, l'importo esatto delle spese d'esportazione realmente sostenute. La somma di esse darebbe un importo di 17 076 144 THB, figurante alla voce «spese di esportazione» del suo conto «profitti e perdite».
102 L'adeguamento sarebbe del pari arbitrario. In sede di fissazione del prezzo all'esportazione delle sue biciclette verso la Comunità, le istituzioni avrebbero proceduto alla verifica dell'importo reale delle spese d'esportazione e avrebbero accertato che esse ammontavano a 12 540 882 THB. Sarebbe quindi illogico l'aver fissato l'importo di tali spese a 10 610 898 THB in sede di calcolo delle spese GAV della ricorrente, da includersi nel calcolo del valore normale costruito dei suoi prodotti.
103 Il Consiglio contesta tali argomenti.
- Giudizio del Tribunale
104 Al fine di valutare la fondatezza degli argomenti addotti dalla ricorrente, il Tribunale ha chiesto alle parti di produrre taluni documenti e di rispondere ad una serie di quesiti scritti e orali. Stando alle informazioni raccolte, i pertinenti elementi di fatto si configurerebbero nel modo seguente.
105 In sede di determinazione del valore normale, la ricorrente aveva indicato alla Commissione, anteriormente alla verifica in loco, che le spese GAV ammontavano complessivamente a 49 215 903 THB. Nell'ambito di tali spese, essa aveva imputato 17 076 144 THB all'unica voce «spese di esportazione».
106 Nell'ambito del procedimento amministrativo, invece, la ricorrente non ha mai comunicato alcuna ripartizione delle spese di cui trattasi, nonostante l'importanza assunta da tale voce. Allo stesso modo, essa non ha fornito né predisposto alcun documento probatorio, atto a consentire alle istituzioni di procedere ad una verifica in concreto dell'esistenza effettiva di tali spese.
107 Nell'ambito della determinazione del prezzo all'esportazione, la ricorrente aveva trasmesso alla Commissione, alcuni giorni prima della verifica in loco, un elenco delle sue vendite all'esportazione verso la Comunità con menzione, per ogni operazione commerciale effettuata, delle spese che asseriva di aver sostenuto. Esse ammontavano ad un totale di 7 743 186 THB. Tale elenco conteneva però numerosi errori e non poteva pertanto, come tale, servire come base per la determinazione del prezzo all'esportazione nella Comunità delle biciclette della ricorrente. La Commissione ha quindi dovuto determinare tale prezzo sulla base dei dati contabili disponibili, in conformità all'art. 7, n. 7, lett. b), del regolamento base.
108 A tal proposito, in sede di verifica in loco, essa ha esaminato, su una dozzina di vendite all'esportazione, tutte le fatture attestanti spese all'esportazione realmente sostenute dalla ricorrente. In base a tale campione, essa ha redatto un nuovo elenco di vendite della ricorrente all'esportazione verso la Comunità. Tale elenco poneva in evidenza che le spese di assicurazione e di trasporto dei prodotti della ricorrente ammontavano a 12 540 882 THB.
109 Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, tale importo non doveva necessariamente servire da base di calcolo delle sue spese all'esportazione, in quanto, in sede di determinazione del valore normale costruito dei prodotti, esso veniva detratto dalle spese GAV.
110 In primo luogo, tale importo costituiva unicamente un'estrapolazione delle spese all'esportazione effettuate in base ai dati contabili disponibili. Esso, pertanto, non comprovava in nessun modo l'importo reale delle spese all'esportazione sostenute dalla ricorrente.
111 In secondo luogo, è costante giurisprudenza che i metodi di calcolo del valore normale e del prezzo all'esportazione obbediscono a regole diverse, indipendenti le une dalle altre (v., in particolare, sentenze della Corte 7 maggio 1987, causa 255/84, Nachi Fuijkoshi/Consiglio, Racc. pag. 1861, punti 14 e 15, e causa 260/84, Minebea/Consiglio, Racc. pag. 1975, punti 8 e 9; 5 ottobre 1988, cause riunite 260/85 e 106/86, TEC/Consiglio, Racc. pag. 5855, punto 31, e 10 marzo 1992, causa C-171/87, Canon/Consiglio, Racc. pag. I-1237, punto 15, nonché C-178/87, Minolta Camera/Consiglio, Racc. pag. I-1577, punto 12). Orbene, l'importo di 12 540 882 THB è stato calcolato allo scopo preciso di determinare il prezzo netto franco fabbrica di esportazione comunitaria delle biciclette della ricorrente. Di conseguenza, le istituzioni non erano tenute a tener conto di tale importo in sede di determinazione del valore normale costruito dei prodotti suddetti.
112 Pertanto, le istituzioni hanno correttamente operato un adeguamento delle spese all'esportazione dichiarate dalla ricorrente, applicando, in conformità del disposto dell'art. 2, n. 11, del regolamento base, una ripartizione proporzionale alla cifra d'affari sulla base dei dati contabili disponibili.
113 Ne consegue che la seconda parte del motivo di cui trattasi è infondata.
Terza parte: il margine di profitto della Siam
Argomenti delle parti
114 La ricorrente asserisce che, per calcolare il margine di profitto da includersi nel valore normale costruito dei suoi prodotti, il Consiglio non poteva validamente basarsi sui profitti realizzati dalla Siam con le sue vendite interne remunerative del prodotto simile. Le istituzioni hanno infatti applicato il criterio del 10% alle sole vendite interne relativamente alle quali tale produttore aveva comunicato informazioni riguardanti i suoi costi di produzione delle biciclette. Se le istituzioni avessero analizzato l'insieme delle vendite interne della Siam, avrebbero potuto constatare che le sue vendite remunerative rappresentavano solo il 9,45% delle sue vendite interne.
115 Il Consiglio sostiene che l'argomento della ricorrente è privo di pertinenza. Infatti, anche supponendo che i profitti realizzati dalla Siam fossero «inutilizzabili» ai fini del calcolo del margine di profitto, esso non avrebbe in nessun caso tenuto conto dei profitti ottenuti dalla ricorrente con le proprie vendite interne, ma avrebbe semplicemente fatto ricorso ad uno degli altri metodi di calcolo previsti all'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), del regolamento base.
Giudizio del Tribunale
116 L'argomento del Consiglio va respinto. Il sindacato giurisdizionale riguarda l'esattezza materiale delle spese prese in esame dalle istituzioni, nonché l'assenza di un errore manifesto nella valutazione dei fatti di cui trattasi. Se dovesse risultare che il calcolo del margine di profitto preso in esame ai fini della determinazione del valore normale costruito delle biciclette della ricorrente si basava su elementi di fatto inesatti, o era il risultato di un errore manifesto di valutazione, il calcolo in questione porrebbe a repentaglio la validità del calcolo del margine di dumping e, conseguentemente, implicherebbe l'annullamento del regolamento controverso.
117 Nel corso del periodo d'inchiesta, la Siam ha venduto 22 010 esemplari del prodotto di cui trattasi nel mercato tailandese. Essa ha fornito alla Commissione informazioni relative ai suoi costi di produzione solo per 10 146 esemplari. Sulla base di tali informazioni, le istituzioni hanno constatato che 2 080 esemplari erano stati venduti con margine di profitto.
118 Occorre rilevare che, nel sostenere che l'applicazione del criterio del 10% al totale delle vendite interne della Siam (22 010 esemplari) avrebbe portato il livello di rappresentatività delle sue vendite interne remunerative (2 080 esemplari) ad una percentuale pari al 9,45%, la ricorrente dà necessariamente per scontato che le vendite interne relativamente alle quali essa non ha comunicato informazioni alla Commissione (11 864 esemplari) sono tutte state effettuate in perdita.
119 Nella fattispecie, le istituzioni non hanno commesso errore manifesto di valutazione nell'applicare il criterio del 10% alle vendite dei soli esemplari relativamente ai quali la Siam avrebbe comunicato informazioni riguardanti i suoi costi di produzione (10 146 esemplari).
120 In primo luogo, 10 146 esemplari rappresentavano un volume rilevante, pari al 46,1% delle vendite del prodotto simile realizzate dalla Siam nel mercato interno (22 010 esemplari). In secondo luogo, risulta dalle informazioni disponibili che il volume delle vendite interne remunerative della Siam (2 080 esemplari) rappresentava una percentuale superiore al 20% del volume complessivo delle vendite interne del prodotto simile (10 146 esemplari). In terzo luogo, le istituzioni non avevano motivo di dubitare dell'affidabilità dei dati comunicati dalla Siam. Il Consiglio, infatti, senza essere contraddetto sul punto della ricorrente, ha spiegato che il motivo per cui la Siam non aveva comunicato informazioni in merito ai costi di produzione degli 11 864 esemplari controversi non era che essi erano stati venduti in perdita - come suppone la ricorrente -, bensì che erano stati costruiti durante un esercizio contabile anteriore al periodo oggetto d'inchiesta.
121 Ne consegue che le istituzioni non hanno commesso errore manifesto basandosi sui profitti realizzati dalla Siam nelle sue vendite interne remunerative del prodotto simile ai fini del calcolo del margine di profitto da includere nel valore normale costruito dei prodotti della ricorrente.
122 Pertanto, la terza parte del motivo di cui trattasi è infondata.
Quarta parte: il margine di profitto della Victory
Argomenti delle parti
123 La ricorrente asserisce che, per calcolare il margine di profitto da includere nel valore normale costruito dei suoi prodotti, il Consiglio non poteva validamente prendere in considerazione i profitti realizzati dalla Victory con le sue vendite interne remunerative del prodotto simile. Le informazioni relative a tale produttore sarebbero infatti state inutilizzabili.
124 In primo luogo, nella risposta fornita al questionario d'inchiesta, la Victory non avrebbe fornito alcuna informazione tale da consentire alla Commissione di procedere al calcolo del suo margine di profitto. Anche in sede di verifica in loco, essa avrebbe comunicato informazioni relative ai suoi costi di produzione vertenti unicamente su un numero quanto mai limitato di vendite interne.
125 In secondo luogo, il prezzo medio di vendita delle biciclette della Victory nel mercato interno era stato calcolato sulla base di un puro e semplice campione di 110 fatture. Tale campione rappresentava appena il 15% del totale delle vendite interne della Victory.
126 In terzo luogo, la Victory avrebbe realizzato le sue vendite interne ad un livello commerciale diverso da quello della ricorrente. Essa avrebbe venduto i suoi prodotti, in quantità limitate, a piccoli dettaglianti, mentre la ricorrente avrebbe venduto tali prodotti in grandi quantità e a distributori operanti su larga scala.
127 In quarto luogo, i costi di produzione delle biciclette della Victory sarebbero stati chiaramente inutilizzabili.
128 A tale proposito, i costi di produzione comunicati da questo produttore alla Commissione sarebbero stati erronei. A titolo di prova la ricorrente esibisce una tabella di raffronto tra i suoi prezzi medi di vendita e i suoi costi medi di produzione e quelli della Victory, relativamente a taluni modelli di biciclette (allegato 6 alla replica). Da tale raffronto emergerebbero due fattori. Il primo sarebbe che il prezzo medio di vendita delle biciclette della Victory nel mercato interno avrebbe superato, per una percentuale compresa tra il 25% e il 45%, i costi medi di produzione delle medesime. Per modelli identici, venduti a prezzi similari, il margine di profitto della ricorrente sarebbe generalmente negativo. Il margine di profitto attribuito alla Victory sarebbe quindi irrealistico. Il secondo fattore sarebbe che per modelli di biciclette identici, vendute a prezzi similari, i costi di produzione della Victory sarebbero largamente inferiori a quelli praticati dalla ricorrente. Orbene, poiché il profitto globale realizzato da questi due produttori sarebbe equivalente, i costi di produzione comunicati dalla Victory sarebbero erronei.
129 Inoltre, la Commissione avrebbe commesso un errore manifesto nel calcolare i costi di produzione delle biciclette della Victory. Essa avrebbe omesso di tener conto di un importo pari a 13 987 224 THB, relativo all'acquisto di pezzi di ricambio per biciclette. Tale omissione avrebbe avuto come conseguenza quella di aumentare il margine di profitto della Victory, e quindi anche il valore normale costruito della ricorrente.
130 Il Consiglio ritiene che gli argomenti addotti dalla ricorrente siano privi di pertinenza. Infatti, supponendo anche che i profitti realizzati dalla Victory fossero «inutilizzabili» ai fini del calcolo del margine di profitto, esso non avrebbe in ogni caso minimamente tenuto conto dei profitti realizzati dalla ricorrente con le proprie vendite interne, ma avrebbe semplicemente fatto ricorso ad uno degli altri metodo di calcolo previsti dall'art. 2, n. 3, lett. b), punto ii), del regolamento base.
131 Per quanto riguarda il quarto argomento della ricorrente, esso costituirebbe un motivo nuovo, irricevibile ai sensi dell'art. 48, n. 2, del regolamento di procedura. La questione riguardante la veridicità dei costi di produzione della Victory e del loro calcolo è infatti stata sollevata per la prima volta dalla ricorrente in sede di replica.
Giudizio del Tribunale
132 Per i motivi esposti al precedente punto 116, il primo argomento del Consiglio va respinto.
133 Per valutare la fondatezza della quarta parte del motivo in esame, il Tribunale ha chiesto al Consiglio di rispondere a taluni quesiti e, in particolare, di esibire le comunicazioni provvisoria e definitiva riguardanti la Victory. La ricorrente ha prodotto a sua volta, nell'allegato 1 alla sua replica, la risposta fornita dalla Victory al questionario d'inchiesta.
134 I suoi argomenti saranno esaminati in ordine di presentazione.
- Sulle informazioni comunicate dalla Victory
135 Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la Victory, in sede di risposta al questionario di inchiesta, ha comunicato informazioni precise riguardo alle quantità e al valore dei prodotti da essa venduti nel mercato interno durante il periodo d'inchiesta. Dalle comunicazioni provvisoria e definitiva relative a tale produttore emerge che le suddette informazioni sono state integrate da altri dati in sede di verifica in loco. La Commissione ha quindi giustamente potuto ritenere che le informazioni ottenute dalla Victory fossero sufficienti ai fini della determinazione del valore normale dei suoi prodotti.
136 Pertanto, il primo argomento della ricorrente va respinto.
- Sul prezzo di vendita medio delle biciclette della Victory
137 Ai fini della determinazione del prezzo di vendita medio delle biciclette della Victory nel mercato interno, la Commissione ha selezionato un campione di 110 fatture emesse da questo produttore durante il periodo d'inchiesta. Su tale base, essa ha calcolato un prezzo medio netto di fatturazione relativo a ciascun modello di biciclette. Tale prezzo è stato poi moltiplicato per la quantità dei modelli effettivamente venduti, per ottenere un valore di fatturazione netto complessivo relativo a ciascun modello. La Commissione ha poi addizionato i valori netti totali di ciascun modello ed è pervenuta ad una stima del fatturato totale realizzato mediante le vendite interne di biciclette. Successivamente, essa ha operato un raffronto di tale stima col fatturato globale realizzato sulle vendite interne di biciclette e figuranti nel conto «profitti e perdite» della Victory. Tale raffronto ha fatto emergere l'esistenza di un divario rilevante, dell'ordine dello 0,54%, tra i due importi.
138 Pertanto, nel determinare il prezzo di vendita medio delle biciclette della Victory in base alle 110 fatture controverse, le istituzioni hanno ottenuto un risultato attendibile. Ne consegue che il secondo argomento addotto dalla ricorrente va respinto.
- Sulla differenza di livello commerciale
139 La ricorrente afferma che la Victory effettuava le sue vendite interne ad un livello commerciale differente dal suo. Essa non ha tuttavia dimostrato in che misura tale circostanza, anche a supporne la veridicità, impedisse alle istituzioni di prendere in considerazione i profitti realizzati da tale produttore con le sue vendite interne remunerative nell'ambito del calcolo del margine di profitto da includere nel valore normale costruito dei prodotti della ricorrente. Ne consegue che il terzo argomento è infondato.
- Sui costi di produzione della Victory
140 La ricorrente sostiene che i costi di produzione comunicati dalla Victory alla Commissione sono erronei e che le istituzioni hanno commesso un errore manifesto nel calcolo dei medesimi.
141 Il Consiglio contesta la ricevibilità di tali argomenti in quanto essi non sono stati formulati nell'atto introduttivo.
142 Emerge dal combinato disposto degli artt. 44, n. 1, lett. c), e 48, n. 2, del regolamento di procedura che l'atto introduttivo del giudizio deve contenere l'oggetto della controversia e l'esposizione sommaria dei motivi invocati, e che la produzione di motivi nuovi in corso di causa è vietata, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante la fase scritta. Cionondimeno, un motivo che costituisca un'estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell'atto introduttivo del giudizio, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile (sentenze della Corte 30 settembre 1982, causa 108/81, Amylum/Consiglio, Racc. pag. 3107, punto 25, e 19 maggio 1983, causa 306/81, Verros/Parlamento, Racc. pag. 1755, punto 9, nonché sentenza del Tribunale 20 settembre 1990, causa T-37/89, Hanning/Parlamento, Racc. pag. II-463, punto 38).
143 Nell'atto introduttivo del ricorso (pag. 6), la ricorrente ha sottolineato che «le informazioni [riguardanti] la Victory [avevano] avuto una parte fondamentale nella determinazione del [suo] margine di dumping». Nell'ambito del primo motivo d'annullamento (pagg. 13-15 del ricorso), essa ha fatto presente che tali informazioni erano incomplete, e pertanto non potevano servire come base per la determinazione del valore normale costruito dei suoi prodotti. A tal proposito, essa ha sottolineato (pag. 13) il carattere quanto mai sospetto dei dati riguardanti gli utili ottenuti dalla Victory con le sue vendite interne remunerative del prodotto simile.
144 Pertanto, gli argomenti della ricorrente relativi alla veridicità dei costi di produzione comunicati dalla Victory e del loro calcolo costituiscono ampliamento di un motivo già dedotto nell'atto introduttivo e presentano uno stretto legame con questo.
145 Poiché tali argomenti sono ricevibili, occorre esaminarli nel merito.
146 La ricorrente ritiene che la tabella comparativa, prodotta come allegato 6 della memoria di replica, dimostra che i costi di produzione comunicati dalla Victory alla Commissione erano chiaramente erronei.
147 In tale tabella, tuttavia, la ricorrente si è limitata a far menzione delle caratteristiche tecniche di taluni modelli di biciclette, senza indicare sotto quali profili i suoi modelli avrebbero potuto essere validamente o utilmente raffrontati con quelli della Victory. Inoltre, essa non ha fornito alcuna spiegazione circa il modo in cui aveva operato il calcolo dei costi medi di produzione e dei prezzi medi di vendita delle biciclette della Victory.
148 Conseguentemente, la tabella controversa non possiede alcun valore probatorio.
149 La ricorrente ritiene inoltre che le istituzioni, nel valutare in 14 657 158 THB i costi di produzione sostenuti dalla Victory nel corso del periodo d'inchiesta, hanno omesso di prendere in considerazione l'importo di 13 987 224 THB, corrispondente all'acquisto di pezzi di ricambio di biciclette.
150 Tale argomento va respinto. Emerge infatti dalle risposte fornite dal Consiglio ai quesiti rivoltigli dal Tribunale che la Victory non utilizzava tali pezzi di ricambio delle sue biciclette, ma le rivendeva tali e quali nel mercato interno. Pertanto, il suddetto importo di 13 987 224 THB non andava incluso nei costi di produzione delle biciclette della Victory.
151 Dal complesso delle considerazioni che precedono risulta che la quarta parte del motivo di cui trattasi è infondata.
152 Ne consegue che il primo motivo va respinto.
2. Sul secondo motivo, relativo alla violazione del regolamento base, in quanto il Consiglio ha rifiutato di effettuare un adeguamento nel calcolare il margine di profitto da includere nel valore normale costruito dei prodotti della ricorrente venduti nella Comunità agli acquirenti OEM
Argomenti delle parti
153 La ricorrente rammenta che il Consiglio ha rifiutato, adducendo due motivi, di effettuare un adeguamento ai fini del calcolo del margine di profitto da includere nel valore normale costruito dei suoi prodotti venduti nella Comunità agli acquirenti OEM. Da un lato, la sua domanda di adeguamento non sarebbe corroborata da documenti probatori; dall'altro, le sue vendite non avrebbero soddisfatto i presupposti per la concessione dell'adeguamento OEM. Tali motivazioni sarebbero contrarie all'art. 2, n. 3, del regolamento base.
Sul requisito di una domanda corredata di documenti probatori
154 La ricorrente sostiene che le istituzioni sono tenute a procedere d'ufficio ad un adeguamento OEM, anche in caso di assenza di una domanda sostenuta da documenti probatori.
155 L'adeguamento OEM si effettuerebbe secondo il disposto dell'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento base. Esso prevede che il valore normale di un prodotto è il prezzo «comparabile» realmente pagato o pagabile per tale prodotto nel paese d'esportazione o di origine. Tuttavia, se un produttore vendesse i suoi prodotti sia all'esportazione comunitaria ad acquirenti OEM sia, con marchio proprio, a rivenditori ordinari nel mercato interno, le sue vendite interne non sarebbero più «comparabili» con le vendite all'esportazione. Le vendite OEM, infatti, si effettuerebbero generalmente a prezzi con margini di profitto inferiori a quelli delle vendite interne del prodotto di marca. In quest'ultimo caso, il valore normale dei prodotti venduti in esportazione comunitaria è determinato sulla base di un valore costruito. In sede di determinazione di tale valore, l'adeguamento OEM consentirebbe di tener conto delle differenze esistenti in termini di prezzo e di profitti. Esso consisterebbe nell'utilizzare un margine di profitto forfettario inferiore al margine di profitto effettivamente realizzato dal produttore con le vendite interne del prodotto di marca.
156 Nella misura in cui l'adeguamento OEM è volto a stabilire un valore normale costruito comparabile al prezzo all'esportazione, le istituzioni sarebbero tenute, in forza dell'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento base, a procedervi d'ufficio. In realtà, il requisito di una domanda sostenuta da documenti probatori riguarderebbe unicamente gli adeguamenti di cui all'art. 2, n. 10, del detto regolamento. L'adeguamento OEM non sarebbe però ricompreso nell'ambito della suddetta norma.
157 Inoltre, l'adeguamento OEM non costituirebbe un adeguamento allo stadio della commercializzazione. A tal proposito, la ricorrente si richiama ai punti 11 e 24 del preambolo del regolamento (CEE) del Consiglio 23 febbraio 1987, n. 535, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di fotocopiatrici a carta comune, originarie del Giappone (GU L 54, pag. 12; in prosieguo: il «regolamento n. 535/87»).
158 In ogni caso, gli adeguamenti relativi allo stadio della commercializzazione erano stati aboliti col regolamento base. L'art. 2, n. 9, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1984, n. 2176, relativo alla difesa contro l'importazione oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU L 201, pag. 1), avrebbe infatti disposto che il prezzo all'esportazione e il valore normale siano comparati allo stesso stadio commerciale. Allo stesso modo, ai sensi dell'art. 2, n. 10, lett. c), dello stesso regolamento, i produttori o esportatori potevano ottenere un adeguamento allo stadio commerciale, a condizione di averne fatta debita e giustificata domanda. I nn. 9 e 10 dell'art. 2, del regolamento base avrebbero puramente e semplicemente soppresso tali riferimenti allo stadio commerciale.
159 Il Consiglio sottolinea che l'adeguamento OEM costituisce un adeguamento relativo allo stadio commerciale. Gli OEM venderebbero, con proprio marchio, prodotti fabbricati da altri produttori. Tuttavia, essi utilizzerebbero reti distributive identiche a quelle dei produttori propriamente detti. Essi svolgerebbero funzioni specifiche e rappresenterebbero quindi uno stadio supplementare tra quello della fabbricazione e quello della distribuzione dei prodotti. A sostegno del proprio assunto, il Consiglio si richiama specificamente al punto 29 del preambolo del regolamento (CEE) della Commissione 23 dicembre 1988, n. 4062, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di videocassette e nastri in bobine per videocassette originarie della Repubblica di Corea e di Hong-Kong (GU L 356, pag. 47).
160 Il requisito di una domanda corroborata di documenti probatori non concernerebbe unicamente gli adeguamenti di cui all'art. 2, n. 10, del regolamento base, ma ogni adeguamento che si riferisce allo stadio commerciale (sentenza Minebea/Consiglio, citata, punto 43, e 10 marzo 1992, Canon/Consiglio, citata, punto 32). Tale domanda troverebbe ancor più la sua giustificazione in caso di un adeguamento OEM. Esso consisterebbe infatti nel tener conto delle differenze di prezzi e di profitti sussistenti tra le vendite in esportazione comunitaria agli OEM e le vendite interne del prodotto di marca. Conseguentemente, incomberebbe al produttore interessato dimostrare se, e in che misura, detto adeguamento OEM sia giustificato. Inoltre, nell'ambito dell'art. 2, n. 3, del regolamento base, le istituzioni esigerebbero informazioni dettagliate e corroborate di documenti probatori per ogni aspetto che riguardi la determinazione del valore normale.
161 Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il regolamento base non avrebbe soppresso gli adeguamenti relativi allo stadio commerciale. L'art. 2, n. 9, disporrebbe che, per garantire un equo confronto tra le vendite all'esportazione e le vendite interne, le istituzioni devono tener conto, utilizzando lo strumento dell'adeguamento, dei diversi stadi commerciali.
Sulle condizioni di concessione dell'adeguamento OEM
162 La ricorrente afferma che le condizioni di concessione dell'adeguamento OEM sono state definite dal Consiglio al punto 8 del preambolo del regolamento n. 535/87. Nella fattispecie, essa non soddisferebbe tali condizioni.
163 Da un lato, tutte le sue vendite all'esportazione verso la Comunità sarebbero state effettuate a importatori i quali rivendevano i prodotti con proprio marchio, ad eccezione di due modelli specifici («Pheasant» e «Flamingo») che essa vendeva, in ambito comunitario, con il proprio marchio a distributori ordinari.
164 D'altro lato, i modelli esportati verso la Comunità sarebbero stati fabbricati esclusivamente su ordinazione di OEM comunitari, sulla base di istruzioni specifiche e dettagliate da questi ultimi fornite. La concezione e le specifiche tecniche di tali modelli differirebbero quindi da quelle dei modelli venduti dalla ricorrente con proprio marchio e sul mercato interno.
165 La ricorrente avrebbe dimostrato la sussistenza reale dei fatti esposti nella risposta fornita al questionario e in sede di verifica in loco.
166 Pertanto, le istituzioni sarebbero state tenute a procedere ad un adeguamento OEM all'atto della determinazione del valore normale costruito dei prodotti della ricorrente.
167 La ricorrente afferma che non era tenuta a soddisfare i due requisiti supplementari richiesti, a suo dire, dal Consiglio, che erano:
- comprovare che le vendite all'esportazione in ambito comunitario agli OEM erano effettuate ad un prezzo e con un margine di profitto inferiori a quelli delle vendite interne del prodotto di marca;
- dimostrare l'esistenza di una differenza di prezzo tra le vendite all'esportazione agli OEM comunitari e le vendite all'esportazione ai distributori comunitari ordinari.
168 Tali due condizioni avrebbero carattere di novità. Esse non sarebbero contenuti né nel regolamento n. 535/87 né nella sentenza Goldstar/Consiglio, citata.
169 La prima condizione sarebbe impossibile da soddisfare. La Commissione avrebbe infatti calcolato il margine di profitto della ricorrente sulla base dei profitti realizzati dalla Siam e dalla Victory con le loro vendite interne del prodotto simile. Orbene, la ricorrente avrebbe preso conoscenza di tale margine di profitto solo con la pubblicazione del regolamento provvisorio. Pertanto, essa non avrebbe materialmente potuto dimostrare, nella risposta fornita al questionario d'inchiesta, che i profitti realizzati con le vendite all'esportazione agli OEM erano inferiori al suo margine di profitto, così come calcolato dalla Commissione.
170 La seconda condizione sarebbe manifestamente erronea. L'adeguamento OEM non comporterebbe un raffronto tra le vendite all'esportazione agli OEM comunitari e quelle ai distributori comunitari ordinari. Esso consisterebbe invece nel raffrontare le vendite all'esportazione agli OEM comunitari e le vendite interne del prodotto di marca.
171 Il Consiglio sostiene che il produttore interessato deve, per poter beneficiare di un adeguamento OEM, soddisfare due condizioni:
- dimostrare che le sue vendite all'esportazione comunitaria vengono effettuate ad acquirenti OEM;
- dimostrare che le vendite all'esportazione comunitaria agli OEM sono effettuate ad un prezzo e con un margine di profitto inferiori a quelli delle vendite interne del prodotto di marca.
PER LA CONTINUAZIONE DEI MOTIVI VEDI SOTTO NUMERO: 696A0118.1
172 Tali condizioni non avrebbero carattere di novità. A far data del regolamento n. 535/87, esse farebbero parte di una prassi costante delle istituzioni [v., ad esempio, punto 20 del preambolo del regolamento (CE) della Commissione 16 ottobre 1995, n. 2426, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di dischi magnetici (minidischi da 3,5 pollici) originari degli Stati Uniti, del Messico e della Malaysia (GU L 249, pag. 3)].
173 Nella fattispecie, la ricorrente non avrebbe soddisfatto nessuna di tali condizioni.
Giudizio del Tribunale
174 Dal regolamento controverso (punto 50 del preambolo) emerge che il Consiglio ha rifiutato, per due motivi, di effettuare un adeguamento per il calcolo del margine di profitto da includere nel valore normale costruito dei prodotti venduti dalla ricorrente nella Comunità agli acquirenti OEM. Il primo motivo riguarda l'assenza di una domanda di adeguamento corroborata da documenti probatori. Il secondo era che non erano soddisfatte le condizioni per la concessione di un adeguamento OEM.
175 Occorre innanzi tutto esaminare se, col secondo motivo, il Consiglio non abbia violato l'art. 2, n. 3, del regolamento base.
176 A tal proposito, la ricorrente afferma di non essere tenuta a comprovare l'esistenza di una differenza di prezzo tra le vendite agli OEM e le vendite del prodotto di marca.
177 Occorre ricordare che la differenza fondamentale esistente tra le vendite agli OEM e le vendite dei prodotti di marca riguarda lo stadio di commercializzazione. I due tipi di vendita interessano infatti una clientela diversa, che si situa ad uno stadio di commercializzazione distinto (sentenza Goldstar/Consiglio, citata, punto 45). L'OEM svolge funzioni peculiari rispetto ai rivenditori ordinari. Esso acquista prodotti dal produttore e li rivende con il proprio marchio, pur facendosi carico della responsabilità del produttore medesimo e facendo fronte alle spese di commercializzazione. La peculiarità di tali attività si riflette segnatamente nella struttura dei prezzi praticati dal produttore nei riguardi degli acquirenti OEM, in quanto essi sono in linea generale inferiori a quelli che vigono nei confronti dei rivenditori ordinari.
178 Pertanto, nell'imporre alla ricorrente di dimostrare che le sue vendite all'esportazione comunitaria agli acquirenti OEM si effettuavano ad un prezzo e con un margine di profitto inferiori a quelli relativi alle vendite interne dei suoi prodotti di marca, il Consiglio non ha agito in violazione dell'art. 2, n. 3, del regolamento base.
179 Nella fattispecie, la ricorrente non ha fornito alcun elemento probatorio tale da consentire di dedurre che essa soddisfacesse la suddetta condizione. Eppure, contrariamente a quanto da essa asserito, una tale prova non era impossibile da fornire. Le sarebbe bastato dimostrare l'esistenza di un sistema di prezzi distinto e coerente relativo, da un lato, alle vendite all'esportazione comunitaria agli OEM e, dall'altro, alle vendite interne dei suoi prodotti di marca.
180 Quanto al divario di prezzi esistente tra le vendite della ricorrente agli OEM comunitari e le sue vendite di prodotti di marca ai distributori comunitari, il Consiglio ha fatto presente come esso non costituisse un presupposto per la concessione di un adeguamento OEM, quanto piuttosto un mezzo volto a verificare se gli OEM svolgessero effettivamente funzioni peculiari rispetto ai normali rivenditori. Orbene, dagli atti emerge che la ricorrente ha venduto taluni modelli di biciclette agli OEM comunitari ad un prezzo superiore a quello dei modelli da essa venduti ai distributori comunitari con il proprio marchio («Pheasant» e «Flamingo»). Tale fatto corrobora la conclusione del Consiglio secondo cui «la maggior parte delle vendite all'esportazione [della ricorrente verso la Comunità] non sono state effettuate ad un livello tale da costituire una vendita OEM» (punto 50 del preambolo del regolamento controverso).
181 Ne consegue che, negando l'adeguamento OEM in quanto le vendite della ricorrente non soddisfacevano le condizioni di concessione, il Consiglio non ha agito in violazione dell'art. 2, n. 3, del regolamento base.
182 Pertanto, i vizi da cui potrebbe essere inficiato il primo dei motivi di diniego della concessione di tale adeguamento - motivo relativo all'assenza di una domanda accompagnata dai dovuti documenti giustificativi - non rilevano, in ogni caso, ai fini dell'analisi del secondo motivo.
183 Emerge da quanto precede che il secondo motivo è infondato.
184 Ne consegue che il ricorso va respinto.
Sulle spese
185 Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. La ricorrente è rimasta soccombente e pertanto dev'essere condannata alle spese, conformemente alle conclusioni del Consiglio.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE
(Quarta Sezione ampliata)
dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è respinto.
2) La ricorrente sopporterà la totalità delle spese.