61996J0411

Sentenza della Corte del 27 ottobre 1998. - Margaret Boyle e a. contro Equal Opportunities Commission. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Industrial Tribunal, Manchester - Regno Unito. - Parità di retribuzione e parità di trattamento tra gli uomini e le donne - Congedo di maternità - Diritti delle gestanti in materia di assenze per malattia, ferie annuali e maturazione dei diritti a pensione. - Causa C-411/96.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-06401


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1 Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Parità di retribuzione - Art. 119 del Trattato e direttiva 75/117 - Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori - Lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Direttiva 92/85 - Congedo di maternità - Mantenimento di una retribuzione o prestazione adeguata - Nozione - Versamento, a determinate condizioni, di una retribuzione più elevata delle indennità previste dalla normativa nazionale in materia di congedo di maternità - Presupposti di ammissibilità

(Trattato CE, art. 119; direttive del Consiglio 75/117/CEE, art. 1, e 92/85/CEE, artt. 8 e 11)

2 Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Accesso al lavoro e condizioni di lavoro - Parità di trattamento - Direttiva 76/207 - Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori - Lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Direttiva 92/85 - Congedo di maternità - Obbligo per una lavoratrice subordinata assente a causa di una malattia dovuta alla gravidanza e che partorisca durante tale assenza di retrodatare l'inizio del congedo di maternità - Ammissibilità

(Direttive del Consiglio 76/207/CEE, art. 5, n. 1, e 92/85/CEE, art. 8)

3 Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Accesso al lavoro e condizioni di lavoro - Parità di trattamento - Direttiva 76/207 - Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori - Lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Direttiva 92/85 - Congedo di maternità - Divieto di assentarsi per malattia durante il periodo di congedo di maternità a meno che l'interessata decida di riprendere l'attività lavorativa - Inammissibilità - Divieto simile nell'ambito di un congedo di maternità supplementare concesso dal datore di lavoro - Ammissibilità

(Direttive del Consiglio 76/207/CEE e 92/85/CEE)

4 Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Accesso al lavoro e condizioni di lavoro - Parità di trattamento - Direttiva 76/207 - Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori - Lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Direttiva 92/85 - Congedo di maternità - Maturazione dei diritti alle ferie annuali durante il periodo di congedo di maternità - Interruzione durante un periodo di congedo di maternità supplementare concesso dal datore di lavoro - Ammissibilità

(Direttive del Consiglio 76/207/CEE e 92/85/CEE, artt. 8 e 11)

5 Politica sociale - Ravvicinamento delle legislazioni - Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori - Lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Direttiva 92/85 - Congedo di maternità - Maturazione dei diritti a pensione limitata al periodo di versamento di una retribuzione - Inammissibilità

(Direttiva del Consiglio 92/85/CEE, artt. 8 e 11)

Massima


1 L'art. 119 del Trattato, l'art. 1 della direttiva 75/117, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, e l'art. 11 della direttiva 92/85, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, non ostano alla clausola di un contratto di lavoro che subordini il versamento, durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 della direttiva 92/85, di una retribuzione più elevata delle indennità previste dalla normativa nazionale in materia di congedo di maternità alla condizione che la lavoratrice si impegni a riprendere l'attività lavorativa dopo il parto durante almeno un mese, dovendo in caso contrario rimborsare la differenza tra l'importo della retribuzione erogatale durante il congedo di maternità e quello delle dette indennità nei limiti in cui l'importo di queste ultime non sia inferiore al reddito che riceverebbe la lavoratrice interessata, in forza della normativa previdenziale nazionale, in caso di interruzione dell'attività lavorativa per motivi di salute.

Benché l'art. 11, punto 3, della direttiva esiga che il lavoratore di sesso femminile fruisca durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 della medesima direttiva di un reddito di livello per lo meno pari a quello della prestazione prevista dalle normative previdenziali nazionali in caso di interruzione dell'attività lavorativa per motivi di salute, l'art. 11, punti 2, lett. b), e 3, non intende garantirgli un reddito più elevato di quello che il datore di lavoro si sarebbe impegnato a versargli in forza del contratto di lavoro in caso di assenza per malattia. Inoltre siffatta clausola di un contratto di lavoro non comporta una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi dell'art. 119 del Trattato e dell'art. 1 della direttiva 75/117. La lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento si trova in una situazione specifica di vulnerabilità che comporta il diritto al congedo di maternità ma che, in particolare durante tale congedo, non può essere equiparata a quella di un lavoratore di sesso maschile né a quella di un lavoratore di sesso femminile assente dal lavoro per malattia. Infatti il congedo di maternità di cui fruisce la lavoratrice è volto alla protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza nonché alla protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto.

2 L'art. 8 della direttiva 92/85, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, e l'art. 5, n. 1, della direttiva 76/207, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, non ostano alla clausola di un contratto di lavoro che obblighi una lavoratrice subordinata che abbia manifestato l'intenzione di iniziare il congedo di maternità nel corso delle sei settimane precedenti la settimana prevista per il parto, si assenti dal lavoro per problemi di salute connessi alla gravidanza immediatamente prima di tale data e partorisca durante l'assenza per malattia, a retrodatare il congedo di maternità retribuito all'inizio della sesta settimana precedente la settimana prevista per il parto ovvero all'inizio dell'assenza per malattia qualora tale seconda data sia successiva alla prima.

Benché l'art. 8 della direttiva 92/85 preveda un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ivi compreso un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, cionondimeno lascia agli Stati membri la facoltà di stabilire la data dell'inizio del congedo di maternità. D'altra parte, in forza della direttiva 76/207, spetta a ciascuno Stato membro, nel rispetto dei limiti delineati dall'art. 8 della direttiva 92/85, fissare i periodi del congedo di maternità in modo da consentire alle lavoratrici di assentarsi durante il periodo nel corso del quale possono verificarsi i disturbi inerenti alla gravidanza e al parto.

3 La clausola di un contratto di lavoro che vieti ad una lavoratrice di avvalersi del regime delle assenze per malattia durante il periodo di almeno quattordici settimane di congedo di maternità di cui un lavoratore di sesso femminile deve fruire ai sensi dell'art. 8, n. 1, della direttiva 92/85, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, a meno che decida di riprendere l'attività lavorativa facendo quindi cessare definitivamente il congedo di maternità, non è compatibile con le disposizioni della direttiva 92/85. Se una lavoratrice si ammala nel corso del congedo di maternità e si avvale del regime di assenza per malattia, e se tale assenza si conclude in un momento precedente la scadenza del detto regime di maternità, non può essere privata del diritto di continuare a fruire, dopo tale data, del congedo di maternità previsto dalla citata disposizione sino alla scadenza del periodo minimo di quattordici settimane, conteggiato a decorrere dalla data dell'inizio del congedo di maternità. Un'interpretazione in senso contrario comprometterebbe l'obiettivo del congedo di maternità, che non è solo volto alla protezione della condizione biologica della donna bensì anche alla tutela dei rapporti particolari tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto.

Per contro, la clausola di un contratto di lavoro che vieti ad una lavoratrice di avvalersi del regime di assenza per malattia durante un periodo di assenza dal lavoro autorizzata dal datore di lavoro oltre al congedo di maternità ex art. 8, n. 1, della direttiva 92/85, a meno che l'interessata decida di riprendere il lavoro facendo quindi cessare definitivamente il congedo di maternità, non rientra nell'ambito d'applicazione della detta disposizione ed è compatibile con le disposizioni della direttiva 76/207, relativa all'attuazione del principio di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, atteso che il divieto di discriminazioni di cui all'art. 5 della detta direttiva non esige che una lavoratrice possa avvalersi simultaneamente del diritto al congedo di maternità supplementare concessole dal datore di lavoro e del regime delle assenze per malattia.

4 Le direttive 92/85, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, e 76/207, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, non ostano alla clausola di un contratto di lavoro in forza della quale il periodo di maturazione dei diritti alle ferie annuali viene limitato al congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui i lavoratori di sesso femminile devono fruire ai sensi dell'art. 8 della direttiva 92/85, mentre la maturazione dei detti diritti viene interrotta durante qualsiasi periodo di congedo di maternità supplementare concesso dal datore di lavoro.

La maturazione dei diritti alle ferie annuali costituisce un diritto connesso al contratto di lavoro delle lavoratrici ai sensi dell'art. 11, punto 2, lett. a), della direttiva 92/85. Ora, da tale disposizione deriva che un diritto del genere deve essere garantito unicamente durante il periodo di congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui le lavoratrici devono fruire in forza dell'art. 8 della detta direttiva. Del resto il congedo di maternità supplementare costituisce un vantaggio specifico, che va oltre la tutela predisposta dalla direttiva 92/85 ed è riservato alle lavoratrici, con la conseguenza che l'interruzione della maturazione dei diritti alle ferie annuali durante il detto congedo non può comportare un trattamento deteriore delle donne.

5 La direttiva 92/85, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, osta alla clausola di un contratto di lavoro che limiti, nell'ambito di un regime previdenziale aziendale interamente finanziato dal datore di lavoro, la maturazione dei diritti a pensione durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 della detta direttiva al periodo nel corso del quale la lavoratrice riceve una retribuzione prevista dal detto contratto o dalla normativa nazionale. Benché gli Stati membri abbiano la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all'indennità adeguata di cui all'art. 11, punto 2, lett. b), della detta direttiva alla condizione che la lavoratrice interessata possieda i requisiti per aver diritto ai detti vantaggi previsti dalle normative nazionali, una facoltà del genere non esiste per quanto riguarda i diritti connessi al contratto di lavoro ai sensi dell'art. 11, punto 2, lett. a). Ora, la maturazione dei diritti a pensione nell'ambito di un regime previdenziale aziendale del genere fa parte dei diritti connessi al contratto di lavoro delle lavoratrici ai sensi dell'art. 11, punto 2, lett. a), della direttiva.

Parti


Nel procedimento C-411/96,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE, dall'Industrial Tribunal di Manchester (Regno Unito), nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Margaret Boyle e altri

e

Equal Opportunities Commission,

domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 119 del Trattato CE, della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19), della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), nonché della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1),

LA CORTE,

composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, P.J.G. Kapteyn (relatore), J.-P. Puissochet, P. Jann, presidenti di sezione, C. Gulmann, J.L. Murray, D.A.O. Edward, H. Ragnemalm, L. Sevón, M. Wathelet e R. Schintgen, giudici,

avvocato generale: D. Ruiz-Jarabo Colomer

cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

- per la signora Boyle e a., dall'avv. Dinah Rose, barrister, su incarico dell'avv. Alison Eddy, solicitor;

- per la Equal Opportunities Commission, dall'avv. Peter Duffy, QC, su incarico dell'avv. Alan Lakin, solicitor;

- per il governo del Regno Unito, dalla signora Lindsey Nicoll, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, assistita dall'avv. Eleanor Sharpston, barrister;

- per il governo irlandese, dal signor Michael A. Buckley, Chief State Solicitor, in qualità di agente, assistito dall'avv. Niamh Hyland, BL;

- per la Commissione delle Comunità europee, dalle signore Marie Wolfcarius e Carmel O'Reilly, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della signora Boyle e a., rappresentate dall'avv. Dinah Rose, della Equal Opportunities Commission, rappresentata dall'avv. Peter Duffy, del governo del Regno Unito, rappresentato dal signor John E. Collins, Assistant Treasury Solicitor, in qualità di agente, e dall'avv. Eleanor Sharpston, del governo irlandese, rappresentato dal signor Brian Lenihan, SC, e dall'avv. Niamh Hyland, del governo austriaco, rappresentato dalla signora Christine Pesendorfer, Oberrätin im Bundeskanzleramt, in qualità di agente, e della Commissione, rappresentata dalle signore Marie Wolfcarius e Carmel O'Reilly, all'udienza del 13 gennaio 1998,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 19 febbraio 1998,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 15 ottobre 1996, giunta alla Corte il 23 dicembre seguente, l'Industrial Tribunal di Manchester ha sollevato, in forza dell'art. 177 del Trattato CE, cinque questioni relative all'interpretazione dell'art. 119 del Trattato CE, della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19), della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), nonché della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1).

2 Le questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la signora Boyle e a. ed il loro datore di lavoro, la Equal Opportunities Commission (in prosieguo: l'«EOC»), in ordine al Maternity Scheme (regime di maternità) che quest'ultimo applica al suo personale. Secondo il giudice a quo è assodato che l'EOC è un ente di emanazione statale per quanto riguarda la questione dell'efficacia diretta nei suoi confronti delle direttive di cui è causa.

Normativa nazionale

3 Nel Regno Unito, l'Employment Rights Act 1996 conferisce ai lavoratori subordinati di sesso femminile un diritto generale al congedo di maternità. L'art. 72 dispone che tale permesso inizia alla data che la dipendente ha notificato al datore di lavoro come data dalla quale intende far cominciare il periodo di assenza, ovvero il primo giorno dopo l'inizio della sesta settimana precedente la settimana prevista per il parto, in cui la dipendente è completamente o parzialmente assente dal lavoro a causa della gravidanza, qualora tale data sia precedente alla prima.

4 L'art. 73, n. 1, della medesima legge prevede che il congedo di maternità si protrae durante un periodo di 14 settimane a decorrere dall'inizio del medesimo ovvero sino al parto se quest'ultimo si verifica successivamente. Comunque sia, una dipendente non può lavorare durante le due settimane successive al giorno del parto.

5 Gli artt. 79-85 della detta legge conferiscono inoltre alle dipendenti che fruiscono del diritto generale al congedo di maternità e hanno maturato meno di due anni di servizio ininterrotto all'inizio dell'undicesima settimana precedente la settimana prevista per il parto, il diritto di riprendere il lavoro presso il datore di lavoro in qualunque momento entro le ventinove settimane successive all'inizio della settimana nel corso della quale è avvenuto il parto.

6 Ai sensi dell'art. 164 del Social Security Contributions and Benefits Act 1992 le dipendenti gestanti che abbiano lavorato durante un periodo continuo di almeno ventisei settimane che si concluda nella settimana precedente la quattordicesima settimana prima della settimana prevista per il parto e che ricevono una retribuzione superiore a un certo livello, hanno il diritto di percepire dal datore di lavoro somme denominate «Statutory Maternity Pay» (in prosieguo: lo «SMP») qualora abbiano cessato l'attività lavorativa, interamente o parzialmente, a causa della gravidanza o del parto.

7 L'art. 165, n. 1, della medesima legge prevede che lo SMP venga erogato durante un periodo massimo di diciotto settimane. L'art. 166 precisa che, per le lavoratrici che abbiano ininterrottamente prestato la loro attività durante almeno i due anni precedenti la quattordicesima settimana che precede la settimana prevista per il parto alle dipendenze di un datore di lavoro tenuto a versare loro lo SMP, quest'ultimo sarà pari a nove decimi della retribuzione settimanale normale durante le prime sei settimane, quindi ad un importo fisso durante le dodici settimane seguenti. Al momento dei fatti su cui verte il processo a quo tale importo era di 54,55 UKL. Le lavoratrici che non soddisfano tale requisito di anzianità riceveranno un'importo fisso durante il periodo di diciotto settimane.

8 D'altra parte gli artt. 151-163 del Social Security Contributions and Benefits Act 1992 conferiscono al lavoratore subordinato colpito da incapacità lavorativa il diritto di percepire dal datore di lavoro somme denominate «Statutory Sick Pay» (in prosieguo: lo «SSP») durante un periodo massimo di ventotto settimane, equivalente a 54,55 UKL alla settimana.

Il processo a quo

9 Le sei ricorrenti nel processo a quo sono dipendenti dell'EOC in età feconda. Hanno lavorato per almeno un anno alle dipendenze del detto datore di lavoro e non sono state assunte come personale avventizio, integrativo o temporaneo né a tempo determinato per un periodo inferiore a due anni. Almeno tre di esse hanno usufruito di un congedo di maternità nel corso degli ultimi anni.

10 Il contratto di lavoro concluso dall'EOC con i suoi dipendenti comprende lo Staff Handbook (vade-mecum), che si applica a tutti i lavoratori, e il Maternity Scheme, destinato alle lavoratrici.

11 Ai sensi dello Staff Handbook i dipendenti che si trovino in situazione di incapacità lavorativa a causa di malattia hanno diritto alla retribuzione integrale durante un periodo massimo di sei mesi su un periodo di dodici mesi. Essi ricevono successivamente la metà della retribuzione durante un periodo massimo di dodici mesi su un periodo di quattro anni. Un'altra clausola prevede che qualunque permesso non retribuito comporta una riduzione della durata delle ferie annue proporzionalmente alla durata del detto permesso.

12 Il Maternity Scheme costituisce l'oggetto della lite nel processo a quo. Le interessate hanno adito l'Industrial Tribunal di Manchester per ottenere da quest'ultimo la dichiarazione di nullità o di inapplicabilità di talune clausole della detta normativa nella parte in cui risultano discriminatorie nei confronti dei lavoratori di sesso femminile e quindi in contrasto con le disposizioni dell'art. 119 del Trattato o delle direttive 75/117, 76/207 o 92/85.

13 In forza di una di tali clausole qualunque lavoratrice subordinata che abbia maturato almeno un anno di anzianità alle dipendenze dell'EOC e non sia stata assunta come personale avventizio, integrativo o temporaneo né a tempo determinato per un periodo inferiore a due anni ha diritto a tre mesi e una settimana di congedo di maternità con la piena retribuzione durante il periodo di assenza continua che precede e segue il parto. Tuttavia, per fruire di tale diritto, la dipendente deve dichiarare di avere l'intenzione di riprendere l'attività lavorativa presso l'EOC dopo il parto e, nell'ipotesi in cui non ritorni al lavoro, deve impegnarsi a rimborsare qualsiasi retribuzione che abbia ricevuto durante tale periodo, ad eccezione dello SMP cui ha diritto comunque.

14 Ai sensi di un'altra clausola controversa del Maternity Scheme la lavoratrice subordinata che abbia diritto al congedo di maternità retribuito potrà inoltre ottenere un congedo di maternità supplementare non retribuito a condizione in particolare che la durata globale dei due periodi di assenza non ecceda le cinquantadue settimane.

15 Fra l'altro il Maternity Scheme dispone che, quando una dipendente abbia dichiarato di aver l'intenzione di cominciare il congedo di maternità nel corso del periodo di sei settimane precedenti la settimana prevista per il parto, si assenti dal lavoro per problemi di salute connessi alla gravidanza immediatamente prima della data in cui ha chiesto di fruire del congedo di maternità e partorisca durante tale periodo di assenza per malattia, la data di inizio del congedo di maternità retribuito può essere anticipata all'inizio della sesta settimana precedente la settimana prevista per il parto ovvero all'inizio del periodo di assenza per malattia, qualora tale data sia successiva.

16 Inoltre, in forza del Maternity Scheme, non è ammessa nessuna assenza dal lavoro per malattia con mantenimento della retribuzione qualora il congedo di maternità retribuito sia cominciato o la dipendente si trovi in congedo di maternità supplementare non retribuito. Tuttavia la dipendente può aver diritto allo SSP se si trova in congedo di maternità supplementare non retribuito. Qualora la dipendente notifichi con almeno tre settimane di anticipo l'intenzione di riprendere l'attività lavorativa ad una data precisa, ha diritto alle assenze per malattia retribuite a decorrere da tale data. L'assenza per malattia retribuita che segua il parto pone fine al congedo di maternità e al congedo di maternità supplementare non retribuito.

17 Infine il Maternity Scheme dispone che la dipendente che non abbia diritto ad un permesso retribuito conserva i propri diritti contrattuali e le indennità che le spettano, eccetto la retribuzione, durante le prime quattordici settimane di congedo. Essa continua in particolare a maturare i diritti alle ferie annuali. Il periodo di assenza viene preso in considerazione per quanto riguarda le spettanze pensionistiche unicamente se alla dipendente viene erogato lo SMP.

18 Il giudice a quo osserva che, in forza delle disposizioni sin qui illustrate, i lavoratori che fruiscono della possibilità di assentarsi dal lavoro conservando la retribuzione, a qualunque titolo ciò avvenga, ivi comprese le assenze per malattia e i permessi speciali, ad esclusione del congedo di maternità retribuito, non sono tenuti ad impegnarsi a rimborsare una parte della retribuzione qualora non riprendano l'attività lavorativa al termine del periodo di assenza dal lavoro. Inoltre è assodato che le lavoratrici subordinate che usufruiscono di permessi senza retribuzione nel corso della loro carriera sono molto più numerose degli uomini, soprattutto a causa dei congedi di maternità supplementari.

19 L'Industrial Tribunal di Manchester, interrogandosi sulla compatibilità di tali disposizioni con il diritto comunitario, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«Se, nelle circostanze di cui alle presenti fattispecie, una delle seguenti disposizioni sia in contrasto con il divieto, sancito dal diritto comunitario (in particolare dall'art. 119 del Trattato CE, dalla direttiva del Consiglio 75/117/CEE, dalla direttiva del Consiglio 76/207/CEE o dalla direttiva del Consiglio 92/85/CEE), di applicare ai lavoratori di sesso femminile un trattamento discriminatorio o deteriore a causa di gravidanza, parto, maternità e/o malattia connessa alla maternità:

1) Una clausola in forza della quale la retribuzione del congedo di maternità che ecceda lo Statutory Maternity Pay viene versata soltanto se la lavoratrice dichiari di aver l'intenzione di riprendere il lavoro e si impegni a rimborsarla in caso di mancata ripresa dell'attività lavorativa durante un mese al termine del congedo di maternità.

2) Una clausola in forza della quale l'inizio del congedo di maternità di una lavoratrice che partorisca durante un'assenza per malattia connessa alla gravidanza possa essere retrodatato alla data più recente tra le sei settimane prima della settimana prevista per il parto e l'inizio dell'assenza per malattia.

3) Una clausola che vieti ad una lavoratrice le assenze per malattia durante il congedo di maternità qualora, per un qualsiasi motivo, sia inabile al lavoro, a meno che decida di riprendere l'attività lavorativa e di porre fine al congedo di maternità.

4) Una clausola in forza della quale il periodo in cui vengono maturati diritti alle ferie annuali viene limitato al periodo minimo legale di 14 settimane di congedo di maternità, escludendo quindi qualunque altro periodo di congedo di maternità.

5) Una clausola in forza della quale il periodo durante il quale possono essere maturati diritti a pensione durante il congedo di maternità venga limitato al periodo nel corso del quale la lavoratrice fruisce di un congedo di maternità retribuito conformemente al contratto di lavoro o alla legge, escludendo quindi qualunque periodo di congedo di maternità non retribuito».

Normativa comunitaria

20 L'art. 119 del Trattato dispone che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare ed a mantenere «l'applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro».

21 Ai sensi dell'art. 1 della direttiva 75/117, il principio della parità delle retribuzioni, come sancito dall'art. 119 del Trattato, è volto ad eliminare, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni.

22 La direttiva 76/207 mira, ai sensi dell'art. 1, n. 1, all'«attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l'accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro».

23 L'art. 2, n. 1, della detta direttiva dispone quanto segue:

«Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia».

24 Tuttavia, ai sensi del n. 3 dell'art. 2, la direttiva «non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità».

25 L'art. 5, n. 1, della medesima direttiva recita:

«L'applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso».

26 Quanto alla direttiva 92/85, quest'ultima prevede all'art. 8, relativo al congedo di maternità, quanto segue:

«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all'articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

2. Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

27 Per quanto riguarda i diritti connessi con il contratto di lavoro, l'art. 11 della direttiva 92/85 stabilisce quanto segue:

«Per garantire alle lavoratrici di cui all'articolo 2 l'esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:

(...)

2) nel caso contemplato all'articolo 8, devono essere garantiti:

a) i diritti connessi con il contratto di lavoro delle lavoratrici di cui all'articolo 2, diversi da quelli specificati nella lettera b) del presente punto;

b) il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un'indennità adeguata alle lavoratrici di cui all'articolo 2;

3) l'indennità di cui al punto 2), lettera b) è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali;

4) gli Stati membri hanno la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all'indennità di cui al punto 1) e al punto 2), lettera b) al fatto che la lavoratrice interessata soddisfi le condizioni previste dalle legislazioni nazionali per usufruire del diritto a tali vantaggi.

Tali condizioni non possono in alcun caso prevedere periodi di lavoro preliminare superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del parto».

La prima questione

28 Con la prima questione il giudice a quo domanda in sostanza se l'art. 119 del Trattato, come precisato dalla direttiva 75/117, e le direttive 76/207 o 92/85 ostino alla clausola di un contratto di lavoro che subordini il versamento, durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 delle direttiva 92/85, di una retribuzione più elevata delle indennità previste dalla normativa nazionale in materia di congedo di maternità alla condizione che la lavoratrice s'impegni a riprendere l'attività lavorativa dopo il parto durante almeno un mese, dovendo in caso contrario rimborsare la differenza tra l'importo della retribuzione che le sarà stata versata durante il congedo di maternità e quello delle dette indennità.

29 Per quanto riguarda in primo luogo la direttiva 92/85, la Commissione sostiene che l'art. 11, punti 2, lett. b), e 3, comporta l'obbligo di versamento alla lavoratrice in congedo di maternità di un importo per lo meno equivalente a quello che riceverebbe in forza del contratto di lavoro nel caso di assenza per malattia. Qualora, come nel caso di specie, il datore di lavoro si sia impegnato a versare ai lavoratori assenti per malattia l'integralità della retribuzione, le lavoratrici in congedo di maternità dovrebbero, in forza delle dette disposizioni della direttiva, percepire un reddito equivalente. Pertanto l'art. 11 della direttiva 92/85 osterebbe a che le lavoratrici, nell'ipotesi in cui non riprendano il lavoro dopo il parto, siano obbligate a rimborsare la differenza tra la retribuzione integrale loro versata dal datore di lavoro durante il congedo di maternità e le indennità cui avevano diritto durante il congedo di maternità in forza della normativa nazionale.

30 A questo proposito si deve rilevare che, in considerazione del rischio che venga meno l'effetto utile delle disposizioni relative al congedo di maternità se non vi è contestuale mantenimento dei diritti connessi al contratto di lavoro, il legislatore comunitario ha previsto, all'art. 11, punto 2, lett. b), della direttiva 92/85, che il «mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un'indennità adeguata» alle lavoratrici cui si applica la direttiva devono essere garantiti nel caso del congedo di maternità di cui all'art. 8.

31 La nozione di retribuzione ex art. 11 della detta direttiva comprende, alla stessa stregua della definizione contenuta nel secondo comma dell'art. 119 del Trattato, tutti i vantaggi pagati direttamente o indirettamente dal datore di lavoro in ragione dell'attività lavorativa svolta dalla lavoratrice (v. sentenza 13 febbraio 1996, causa C-342/93, Gillespie e a., Racc. pag. I-475, punto 12). La nozione di indennità cui si riferisce altresì tale disposizione comprende invece qualsiasi reddito che la lavoratrice percepisca durante il congedo di maternità e che non le sia versato dal datore di lavoro in forza del rapporto di lavoro.

32 L'art. 11, punto 3, della direttiva 92/85, in forza del quale l'indennità «è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali», è volto a garantire che la lavoratrice fruisca durante il congedo di maternità di un reddito di importo per lo meno equivalente a quello della prestazione prevista dalle normative previdenziali nazionali in caso di interruzione dell'attività lavorativa per motivi di salute.

33 Un reddito di tale livello deve essere garantito alle lavoratrici durante il congedo di maternità, sia che venga versato, conformemente all'art. 11, punto 2, lett. b), della direttiva 92/85, sotto forma di indennità o che lo sia sotto forma di retribuzione ovvero risulti dalla combinazione di entrambe.

34 Infatti, benché l'art. 11 si riferisca unicamente all'adeguatezza della prestazione, cionondimeno il reddito garantito alle lavoratrici durante il congedo di maternità, qualora sia versato sotto forma di retribuzione, eventualmente anche con un'indennità, deve essere altresì adeguato ai sensi dell'art. 11, punto 3, della direttiva 92/85.

35 Tuttavia, sebbene esiga che il lavoratore di sesso femminile fruisca durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 di un reddito di livello perlomeno pari a quello della prestazione prevista dalle normative previdenziali nazionali in caso di interruzione dell'attività lavorativa per motivi di salute, l'art. 11, punti 2, lett. b), e 3, non intende garantirgli un reddito più elevato di quello che il datore di lavoro si sarebbe impegnato a versargli in forza del contratto di lavoro in caso di assenza per malattia.

36 Ne deriva che una clausola di un contratto di lavoro in forza della quale la lavoratrice che non riprende l'attività lavorativa dopo il parto è obbligata a rimborsare la differenza tra la retribuzione che le è stata versata durante il congedo di maternità e le indennità che le erano dovute in forza della normativa nazionale in materia di congedo di maternità è compatibile con l'art. 11, punti 2, lett. b), e 3, della direttiva 92/85 nei limiti in cui l'importo dei detti versamenti non sia inferiore al reddito che riceverebbe la lavoratrice interessata, in forza della normativa previdenziale nazionale, in caso di interruzione dell'attività lavorativa per motivi di salute.

37 Per quanto riguarda poi l'art. 119 del Trattato, come precisato dalla direttiva 75/117, e la direttiva 76/207, le ricorrenti nel processo a quo affermano che l'obbligo imposto ad una lavoratrice di riprendere l'attività lavorativa dopo il parto dovendo in caso contrario rimborsare la retribuzione contrattuale ricevuta durante il congedo di maternità se supera lo SMP costituisce una discriminazione nei confronti di una lavoratrice a causa della gravidanza ed è quindi in contrasto con il principio della parità delle retribuzioni. Infatti, per le altre forme di assenza dal lavoro retribuita, come le assenze per malattia, i lavoratori in generale avrebbero diritto alla retribuzione convenuta senza doversi impegnare a riprendere l'attività lavorativa al termine dell'assenza.

38 Si deve ricordare che, essendo fondati sul rapporto di lavoro, i vantaggi che il datore di lavoro corrisponde, in forza delle disposizioni di legge o di un contratto di lavoro, ad una lavoratrice durante il congedo di maternità costituiscono una retribuzione ai sensi dell'art. 119 del Trattato e dell'art. 1 della direttiva 75/117 (v. sentenza Gillespie e a., già citata, punto 14). Pertanto essi non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 76/207.

39 Va inoltre rammentato che, per giurisprudenza consolidata, una discriminazione consiste nell'applicazione di norme diverse a situazioni paragonabili o nell'applicazione della stessa norma a situazioni diverse (v., sentenze Gillespie e a., citata, punto 16, e 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 30).

40 Ora, come è stato sancito dal legislatore comunitario all'atto dell'emanazione della direttiva 92/85, la lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento si trova in una situazione specifica di vulnerabilità che comporta il diritto al congedo di maternità ma che, in particolare durante tale congedo, non può essere equiparata a quella di un lavoratore di sesso maschile né a quella di un lavoratore di sesso femminile assente dal lavoro per malattia.

41 Infatti il congedo di maternità di cui fruisce la lavoratrice è volto alla protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza nonché alla protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto (v. sentenze 12 luglio 1984, causa 184/83, Hofmann, Racc. pag. 3047, punto 25, e 30 aprile 1998, causa C-136/95, Thibault, Racc. pag. I-2011, punto 25).

42 Non comporta pertanto una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi dell'art. 119 del Trattato e dell'art. 1 della direttiva 75/117, la clausola di un contratto di lavoro che subordini l'applicazione di un regime più favorevole di quello previsto dalla normativa nazionale alla condizione che la lavoratrice gestante, diversamente da qualunque altro lavoratore assente dal lavoro per malattia, riprenda l'attività lavorativa dopo il parto dovendo in caso contrario rimborsare la retribuzione erogatale in forza del contratto di lavoro durante il congedo di maternità qualora superi il livello delle indennità previste dalla normativa nazionale per il detto congedo.

43 Va ricordato però che l'importo delle dette indennità deve essere conforme ai requisiti stabiliti dall'art. 11, punti 2, lett. b), e 3, della direttiva 92/85.

44 Si deve pertanto risolvere la prima questione nel senso che l'art. 119 del Trattato, l'art. 1 della direttiva 75/117 e l'art. 11 della direttiva 92/85 non ostano alla clausola di un contratto di lavoro che subordini il versamento, durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 della direttiva 92/85, di una retribuzione più elevata delle indennità previste dalla normativa nazionale in materia di congedo di maternità alla condizione che la lavoratrice si impegni a riprendere l'attività lavorativa dopo il parto durante almeno un mese dovendo in caso contrario rimborsare la differenza tra l'importo della retribuzione erogatale durante il congedo di maternità e quello delle dette indennità.

La seconda questione

45 Con la seconda questione il giudice a quo domanda in sostanza se l'art. 119 del Trattato, come precisato dalla direttiva 75/117, e le direttive 76/207 o 92/85 ostino alla clausola di un contratto di lavoro che obblighi una lavoratrice subordinata, che abbia manifestato l'intenzione di iniziare il congedo di maternità nel corso delle sei settimane precedenti la settimana prevista per il parto, si assenti dal lavoro per malattia a causa di problemi di salute connessi alla gravidanza immediatamente prima di tale data e partorisca durante l'assenza per malattia, a retrodatare il congedo di maternità retribuito all'inizio della sesta settimana precedente la settimana presunta per il parto ovvero all'inizio dell'assenza per malattia qualora tale seconda data sia successiva alla prima.

46 Le ricorrenti nel processo a quo sostengono che una clausola del genere comporta una discriminazione nei confronti delle donne in quanto un lavoratore di sesso femminile inabile al lavoro non può, contrariamente a qualunque altro lavoratore infermo, esercitare il diritto contrattuale ad un'assenza incondizionata per malattia con mantenimento della retribuzione nell'ipotesi in cui la malattia sia connessa alla gravidanza o qualora partorisca durante l'assenza per malattia. La lavoratrice verrebbe pertanto obbligata ad usufruire, a condizioni meno favorevoli, di un congedo di maternità retribuito e in particolare a rimborsare una parte della retribuzione ricevuta durante tale periodo qualora non riprenda il lavoro dopo il parto.

47 Va osservato innanzi tutto che la questione pregiudiziale, per quanto riguarda la determinazione dell'inizio del congedo di maternità, rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 76/207, in particolare dell'art. 5, n. 1, relativo alle condizioni di lavoro, e non in quello dell'art. 119 del Trattato o della direttiva 75/117.

48 Occorre poi rilevare che la clausola controversa riguarda la situazione di una lavoratrice gestante che abbia manifestato l'intenzione di iniziare il congedo di maternità nel corso delle sei settimane precedenti la settimana prevista per il parto.

49 A questo proposito si deve rilevare che l'art. 8 della direttiva 92/85, pur prevedendo un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ivi compreso un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, lascia cionondimeno agli Stati membri la facoltà di stabilire la data dell'inizio del congedo di maternità.

50 D'altra parte, in forza dell'art. 2, n. 3, della direttiva 76/207, spetta a ciascuno Stato membro fissare i periodi del congedo di maternità in modo da consentire alle lavoratrici di assentarsi durante il periodo nel corso del quale possono verificarsi i disturbi inerenti alla gravidanza e al parto (sentenza 8 novembre 1990, causa C-179/88, Handels- og Kontorfunktionaerernes Forbund, Racc. pag. I-3979, punto 15).

51 Pertanto una normativa nazionale può, come nella fattispecie su cui verte il processo a quo, stabilire che il congedo di maternità cominci alla data notificata dall'interessata al datore di lavoro in quanto data alla quale intende far iniziare il periodo di assenza ovvero il primo giorno dopo l'inizio della sesta settimana precedente la settimana prevista per il parto in cui la dipendente è interamente o parzialmente assente dal lavoro a causa della gravidanza, qualora tale data sia precedente alla prima.

52 La clausola su cui verte la seconda questione pregiudiziale si limita a riflettere la scelta effettuata da una normativa nazionale del genere.

53 Inoltre il fatto che la lavoratrice in congedo di maternità debba impegnarsi a riprendere il lavoro dopo il parto dovendo in caso contrario rimborsare la retribuzione ricevuta, in forza del contratto, durante il congedo di maternità qualora ecceda l'importo dell'indennità prevista dalla normativa nazionale durante il detto congedo non può, per i motivi illustrati ai punti 42 e 43 della presente sentenza, configurare un trattamento deteriore.

54 Si deve quindi risolvere la seconda questione nel senso che l'art. 8 della direttiva 92/85 e l'art. 5, n. 1, della direttiva 76/207 non ostano alla clausola di un contratto di lavoro che obblighi una lavoratrice subordinata che abbia manifestato l'intenzione di iniziare il congedo di maternità nel corso delle sei settimane precedenti la settimana prevista per il parto, si assenti dal lavoro per problemi di salute connessi alla gravidanza immediatamente prima di tale data e partorisca durante l'assenza per malattia, a retrodatare il congedo di maternità retribuito all'inizio della sesta settimana precedente la settimana prevista per il parto ovvero all'inizio dell'assenza per malattia qualora tale seconda data sia successiva alla prima.

La terza questione

55 Con la terza questione il giudice a quo domanda se l'art. 119 del Trattato, come precisato dalla direttiva 75/117, e le direttive 76/207 e 92/85 ostino alla clausola di un contratto di lavoro che vieti ad una lavoratrice di avvalersi del regime delle assenze per malattia durante il periodo di congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui un lavoratore di sesso femminile deve fruire in forza dell'art. 8 della direttiva 92/85 o di qualunque congedo di maternità supplementare che il datore di lavoro le conceda, salvo qualora decida di riprendere il lavoro facendo pertanto cessare definitivamente il congedo di maternità.

56 Per quanto riguarda in primo luogo la direttiva 92/85 occorre distinguere tra il congedo di maternità di almeno quattordici settimane previsto dall'art. 8 della direttiva e qualunque congedo supplementare che il datore di lavoro, come nel caso di specie, sia disposto a garantire alle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

57 Per quanto riguarda il fatto che una lavoratrice non può avvalersi del regime previsto per le assenze per malattia durante il periodo di congedo di maternità di cui all'art. 8 della direttiva 92/85 - periodo che nel Regno Unito è, in linea di principio, di quattordici settimane - se non facendo cessare definitivamente il detto congedo, la clausola controversa deve essere esaminata alla luce di tale disposizione.

58 Va rilevato in proposito che, sebbene gli Stati membri siano tenuti, ai sensi dell'art. 8 della detta direttiva, ad adottare le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane, si tratta di un diritto cui le lavoratrici possono rinunciare, eccezione fatta per le due settimane di congedo obbligatorio, previste dal n. 2, le quali iniziano nel Regno Unito il giorno del parto.

59 Del resto l'art. 8 della direttiva 92/85 stabilisce che il congedo di maternità ivi previsto deve avere una durata di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto. Scopo di tale disposizione è che la lavoratrice non può interrompere o essere costretta ad interrompere il congedo di maternità e riprendere l'attività lavorativa per usufruire in un secondo momento della parte restante del congedo di maternità.

60 Se invece una lavoratrice si ammala nel corso del congedo di maternità di cui all'art. 8 della direttiva 92/85 e si avvale del regime delle assenze per malattia e se tale assenza si conclude in un momento precedente la scadenza del detto congedo di maternità, non può essere privata del diritto di continuare a fruire, dopo tale data, del congedo di maternità previsto dalla citata disposizione sino alla scadenza del periodo minimo di quattordici settimane, conteggiato a decorre dalla data dell'inizio del congedo di maternità.

61 Un'interpretazione in senso contrario comprometterebbe l'obiettivo del congedo di maternità, che non è solo volto alla protezione della condizione biologica della donna bensì anche alla tutela dei rapporti particolari tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto. Il periodo di congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, è volto in particolare a fornire alla lavoratrice la garanzia di potersi occupare del neonato durante le settimane successive al parto. Pertanto essa non può, salvo casi eccezionali, essere privata di tale garanzia per motivi di salute.

62 Una clausola del genere, in forza della quale una lavoratrice non può usufruire del regime delle assenze per malattia nel corso di qualsiasi permesso concesso dal datore di lavoro oltre al congedo di maternità di cui all'art. 8 della direttiva 92/85 se non facendo cessare definitivamente tale congedo, esula dall'ambito di applicazione di tale disposizione.

63 Va rilevato in secondo luogo che con la terza questione pregiudiziale si intende accertare se la clausola controversa comporti una discriminazione per quanto riguarda il diritto alle assenze per malattia e rientra pertanto nell'ambito di applicazione della direttiva 76/207, in particolare dell'art. 5, n. 1, relativo alle condizioni di lavoro. Di conseguenza l'art. 119 del Trattato e la direttiva 75/117 non vengono in discussione. Alla luce di quanto precede occorre esaminare la terza questione pregiudiziale limitatamente al fatto che la clausola del contratto di lavoro ivi menzionata riguarda il congedo di maternità supplementare che il datore di lavoro concede al lavoratore di sesso femminile.

64 Si deve rilevare a questo proposito che il divieto di discriminazioni di cui all'art. 5 della direttiva 76/207 non esige che una lavoratrice possa avvalersi simultaneamente del diritto al congedo di maternità supplementare concessole dal datore di lavoro e del regime delle assenze per malattia.

65 Di conseguenza perché un lavoratore di sesso femminile in congedo di maternità possa usufruire del regime di assenza per malattia può essergli richiesto di porre fine, in via definitiva, al congedo di maternità supplementare concessogli dal datore di lavoro.

66 Si deve pertanto risolvere la questione nel senso che la clausola di un contratto di lavoro che vieti ad una lavoratrice di avvalersi del regime delle assenze per malattia durante il periodo di congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui un lavoratore di sesso femminile deve fruire ai sensi dell'art. 8, n. 1, della direttiva 92/85 a meno che decida di riprendere l'attività lavorativa facendo quindi cessare definitivamente il congedo di maternità non è compatibile con le disposizioni della direttiva 92/85. Per contro la clausola di un contratto di lavoro che vieti ad una lavoratrice di avvalersi del regime di assenza per malattia durante un congedo di maternità supplementare concessole dal datore di lavoro a meno che decida di riprendere il lavoro facendo quindi cessare definitivamente il congedo di maternità è compatibile con le disposizioni delle direttive 76/207 e 92/85.

La quarta questione

67 Con la quarta questione il giudice a quo intende in sostanza accertare se l'art. 119 del Trattato, come precisato dalla direttiva 75/117, e le direttive 76/207 o 92/85 ostino alla clausola di un contratto di lavoro che limiti il periodo di maturazione dei diritti alle ferie annuali al periodo di congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui i lavoratori di sesso femminile devono fruire ai sensi dell'art. 8 della direttiva 92/85 e che ne interrompa la maturazione durante qualsiasi periodo di congedo di maternità supplementare concesso dal datore di lavoro.

68 In primo luogo si deve osservare che la maturazione dei diritti alle ferie annuali costituisce un diritto connesso al contratto di lavoro delle lavoratrici ai sensi dell'art. 11, punto 2, lett. a), della direttiva 92/85.

69 Ora, da tale disposizione deriva che un diritto del genere deve essere garantito unicamente durante il periodo di congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui le lavoratrici devono fruire in forza dell'art. 8 della direttiva 92/85.

70 Nel caso di specie, in via di principio, tale congedo ha nel Regno Unito una durata di quattordici settimane.

71 Di conseguenza tale direttiva non osta a una clausola, come quella su cui verte la questione pregiudiziale, in forza della quale la maturazione dei diritti alle ferie annuali viene interrotta durante qualunque periodo supplementare di congedo di maternità che i datori di lavoro concedano alle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

72 In secondo luogo si deve rilevare che le modalità di maturazione dei diritti alle ferie annuali fanno parte integrante delle condizioni di lavoro ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva 76/207, e non possono quindi rientrare altresì nell'ambito di applicazione dell'art. 119 del Trattato o della direttiva 75/117.

73 A questo proposito le ricorrenti nel processo a quo osservano che, ai sensi dello Staff Handbook dell'EOC, in caso di assenza dal lavoro non retribuita - assenza per malattia, permesso speciale o congedo di maternità supplementare - la durata delle ferie annuali viene proporzionalmente ridotta alla durata dell'assenza dal lavoro non retribuita. Tuttavia, atteso che rispetto ai lavoratori di sesso maschile la percentuale di lavoratrici che usufruiscono di assenze dal lavoro non retribuite è nettamente più elevata dato che queste ultime fruiscono di congedi di maternità supplementari, tale norma, apparentemente neutra dal punto di vista del sesso dei lavoratori, comporterebbe una discriminazione indiretta delle lavoratrici, vietata dall'art. 5, n. 1, della direttiva 76/207.

74 Va osservato innanzi tutto che, come emerge dal fascicolo, tutti i lavoratori dell'EOC che si assentano dal lavoro senza retribuzione cessano di maturare diritti alle ferie annuali nel corso di tale periodo. Infatti in forza dello Staff Handbook dell'EOC le assenze dal lavoro non retribuite ricomprendono sia le assenze per malattia sia i permessi speciali di cui può usufruire qualunque lavoratore sia i congedi di maternità supplementari concessi dall'EOC e che si cumulano con il periodo di quattordici settimane di congedo di maternità previsto dall'Employment Rights Act 1996.

75 Siffatta clausola non comporta quindi una discriminazione diretta in quanto la maturazione dei diritti alle ferie annuali durante il periodo di assenza dal lavoro non retribuita viene interrotta sia per gli uomini sia per le donne che ne usufruiscono. Occorre quindi stabilire se una clausola del genere possa configurare una discriminazione indiretta.

76 Per giurisprudenza consolidata vi è discriminazione indiretta quando l'applicazione di un provvedimento nazionale, benché formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di donne che di uomini (v. sentenze 2 ottobre 1997, causa C-1/95, Gerster, Racc. pag. I-5253, punto 30, e causa C-100/95, Kording, Racc. pag. I-5289, punto 16).

77 A questo proposito si deve rilevare che, come osservato dal giudice a quo, un numero molto più elevato di lavoratrici che di lavoratori usufruisce di assenze dal lavoro non retribuite nel corso della carriera a causa di congedi di maternità supplementari, con la conseguenza che la clausola controversa si applica in realtà ad una percentuale più elevata di donne che di uomini.

78 Tuttavia l'applicazione più frequente di siffatta clausola alle lavoratrici risulta dall'esercizio del diritto al congedo di maternità non retribuito che i datori di lavoro hanno loro concesso oltre al periodo di tutela garantita dall'art. 8 della direttiva 92/85.

79 I lavoratori di sesso femminile che si avvalgono di tale diritto a condizione che la maturazione dei diritti alle ferie annuali venga interrotta durante il periodo di assenza dal lavoro non retribuita non possono essere considerati sfavoriti rispetto ai lavoratori di sesso maschile. Infatti il congedo di maternità supplementare non retribuito costituisce un vantaggio specifico, che va oltre la tutela predisposta dalla direttiva 92/85 ed è riservato alle lavoratrici, con la conseguenza che l'interruzione della maturazione dei diritti alle ferie annuali durante il detto congedo non può comportare un trattamento deteriore delle donne.

80 Si deve pertanto risolvere la questione nel senso che le direttive 92/85 e 76/207 non ostano alla clausola di un contratto di lavoro in forza della quale il periodo di maturazione dei diritti alle ferie annuali viene limitato al congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui i lavoratori di sesso femminile devono fruire ai sensi dell'art. 8 della direttiva 92/85, mentre la maturazione dei detti diritti viene interrotta durante qualsiasi periodo di congedo di maternità supplementare concesso dal datore di lavoro.

La quinta questione

81 Dal fascicolo emerge che con la quinta questione il giudice a quo intende in sostanza accertare se l'art. 119 del Trattato, come precisato dalla direttiva 75/117, e le direttive 92/85 o 76/207 ostino alla clausola di un contratto di lavoro che limiti, nell'ambito di un regime previdenziale aziendale interamente finanziato dal datore di lavoro, la maturazione dei diritti a pensione durante il congedo di maternità al periodo nel corso del quale la lavoratrice riceve una retribuzione prevista da tale contratto di lavoro ovvero dalla normativa nazionale.

82 Si deve rilevare che la maturazione dei diritti a pensione nell'ambito di un regime previdenziale aziendale interamente finanziato dal datore di lavoro fa parte dei diritti connessi al contratto di lavoro delle lavoratrici ai sensi dell'art. 11, punto 2, lett. a), della direttiva 92/85.

83 Come è stato osservato al punto 69 della presente sentenza, siffatti diritti devono, conformemente alla detta disposizione, essere garantiti durante il periodo di congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui le lavoratrici devono fruire in forza dell'art. 8 della direttiva 92/85.

84 Benché gli Stati membri abbiano la facoltà, conformemente all'art. 11, punto 4, della direttiva 92/85, di subordinare il diritto alla retribuzione o all'indennità adeguata di cui all'art. 11, punto 2, lett. b), alla condizione che la lavoratrice interessata possieda i requisiti per aver diritto ai detti vantaggi previsti dalle normative nazionali, una facoltà del genere non esiste per quanto riguarda i diritti connessi al contratto di lavoro ai sensi dell'art. 11, punto 2, lett. a).

85 Di conseguenza la maturazione, durante il congedo di maternità ex art. 8 della direttiva 92/85, dei diritti a pensione nell'ambito di un regime previdenziale aziendale non può essere subordinata alla condizione che la lavoratrice riceva durante tale periodo una retribuzione prevista dal contratto di lavoro o dallo SMP.

86 Poiché la clausola di cui alla quinta questione pregiudiziale è in contrasto con la direttiva 92/85, non occorre interpretare l'art. 119 del Trattato, come precisato dalla direttiva 75/117, né la direttiva 76/207.

87 Si deve pertanto risolvere la quinta questione nel senso che la direttiva 92/85 osta alla clausola di un contratto di lavoro che limiti, nell'ambito di un regime previdenziale aziendale interamente finanziato dal datore di lavoro, la maturazione dei diritti a pensione durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 della detta direttiva al periodo nel corso del quale la lavoratrice riceve una retribuzione prevista dal detto contratto o dalla normativa nazionale.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

88 Le spese sostenute dal governo del Regno Unito, dal governo irlandese, da quello austriaco nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall'Industrial Tribunal di Manchester con ordinanza 15 ottobre 1996, dichiara:

89 L'art. 119 del Trattato CE, l'art. 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, e l'art. 11 della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), non ostano alla clausola di un contratto di lavoro che subordini il versamento, durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 della direttiva 92/85, di una retribuzione più elevata delle indennità previste dalla normativa nazionale in materia di congedo di maternità alla condizione che la lavoratrice si impegni a riprendere l'attività lavorativa dopo il parto durante almeno un mese, dovendo in caso contrario rimborsare la differenza tra l'importo della retribuzione erogatale durante il congedo di maternità e quello delle dette indennità.

90 L'art. 8 della direttiva 92/85 e l'art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, non ostano alla clausola di un contratto di lavoro che obblighi una lavoratrice subordinata che abbia manifestato l'intenzione di iniziare il congedo di maternità nel corso delle sei settimane precedenti la settimana prevista per il parto, si assenti dal lavoro per problemi di salute connessi alla gravidanza immediatamente prima di tale data e partorisca durante l'assenza per malattia, a retrodatare il congedo di maternità retribuito all'inizio della sesta settimana precedente la settimana prevista per il parto ovvero all'inizio dell'assenza per malattia qualora tale seconda data sia successiva alla prima.

91 La clausola di un contratto di lavoro che vieti ad una lavoratrice di avvalersi del regime delle assenze per malattia durante il periodo di almeno quattordici settimane di congedo di maternità di cui un lavoratore di sesso femminile deve fruire ai sensi dell'art. 8, n. 1, della direttiva 92/85 a meno che decida di riprendere l'attività lavorativa facendo quindi cessare definitivamente il congedo di maternità non è compatibile con le disposizioni della direttiva 92/85. Per contro la clausola di un contratto di lavoro che vieti ad una lavoratrice di avvalersi del regime di assenza per malattia durante un congedo di maternità supplementare concessole dal datore di lavoro a meno che decida di riprendere il lavoro facendo quindi cessare definitivamente il congedo di maternità è compatibile con le disposizioni delle direttive 76/207 e 92/85.

92 Le direttive 92/85 e 76/207 non ostano alla clausola di un contratto di lavoro in forza della quale il periodo di maturazione dei diritti alle ferie annuali viene limitato al congedo di maternità di almeno quattordici settimane di cui i lavoratori di sesso femminile devono fruire ai sensi dell'art. 8 della direttiva 92/85, mentre la maturazione dei detti diritti viene interrotta durante qualsiasi periodo di congedo di maternità supplementare concesso dal datore di lavoro.

93 La direttiva 92/85 osta alla clausola di un contratto di lavoro che limiti, nell'ambito di un regime previdenziale aziendale interamente finanziato dal datore di lavoro, la maturazione dei diritti a pensione durante il congedo di maternità di cui all'art. 8 della detta direttiva al periodo nel corso del quale la lavoratrice riceve una retribuzione prevista dal detto contratto o dalla normativa nazionale.