61996C0360

Conclusioni dell'avvocato generale La Pergola del 19 febbraio 1998. - Gemeente Arnhem e Gemeente Rheden contro BFI Holding BV. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Gerechtshof Arnhem - Paesi Bassi. - Appalti pubblici di servizi - Nozione di amministrazione aggiudicatrice - Organismo di diritto pubblico. - Causa C-360/96.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-06821


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1 Le questioni pregiudiziali poste alla Corte nella presente causa sono volte a chiarire la nozione di organismo di diritto pubblico ai sensi della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (1) (in prosieguo: la «direttiva») ed in particolare ad appurare l'esatto significato dell'espressione «organismo (...) istituito per soddisfare specificatamente bisogni d'interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale».

II - I fatti della causa

2 I due comuni attori nella presente lite (in prosieguo: i «comuni») hanno affidato nel luglio 1994 ad un nuovo ente, l'ARA Holding BV (in prosieguo: «ARA»), da essi appositamente costituito per assolvere alle funzioni di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, il compito di svolgere queste operazioni. Tali funzioni erano in precedenza esercitate dagli appositi servizi degli stessi comuni. I due comuni hanno deciso di scorporare le attività in questione e di affidarle ad ARA in quanto la dimensione del servizio da rendere ed i costi del suo espletamento consigliavano (2), anche su base di criteri di economicità, di unificare la gestione di questi compiti ed affidarla ad altro ente a tal fine istituito.

3 In particolare, la proposta della giunta comunale di Arnhem del 25 maggio 1994 indicava al punto 10 che: «I Comuni partecipanti alla NV ARA rilasciano a quest'ultima le concessioni necessarie per i compiti in qualsiasi modo connessi con gli obblighi legali del Comune in materia di rimozione dei rifiuti e di nettezza urbana. Tra questi compiti rientrano la raccolta di tutti i rifiuti domestici e tutte le attività connesse a tale raccolta, nonché la pulizia delle vie pubbliche e dei mercati, lo spargimento di sostanze antighiaccio, il diserbamento delle superfici pavimentate, la pulizia dei tombini e la disinfestazione. Nel rilasciare queste concessioni, il Comune di Arnhem non è tenuto a conformarsi alle norme europee in materia di appalti pubblici di servizi relativi alle suddette attività. La direttiva sugli appalti pubblici di servizi, pertanto, non si applica. Tra il Comune di Arnhem e la ARA NV sarà stipulata una `convenzione quadro', in forza della quale ambedue le parti si garantiranno `in linea di massima' una proroga di concessione».

4 Riferisce il giudice di rinvio che sulla base di questa proposta il consiglio comunale di Arnhem ha deliberato il 6 giugno 1994 la costituzione di ARA Holding NV e l'attribuzione a quest'ultima nell'interesse generale, «delle concessioni e degli obblighi relativi a parte delle competenze legali in materia di rimozione dei rifiuti e di nettezza urbana (...) da stabilire nella convenzione che sarà stipulata tra il Comune e la ARA NV». Il Comune di Rheden ha adottato il 28 giugno 1994 una delibera di analogo contenuto, che non concerneva però la concessione del servizio di nettezza urbana.

5 Il 4 luglio 1994 il Comune di Arnhem ha modificato l'art. 2 del proprio regolamento comunale in materia di rifiuti nei seguenti termini:

«Per il servizio di raccolta, incaricato della raccolta dei rifiuti ai sensi della legge e del presente regolamento era l'Ufficio dell'ambiente e le opere pubbliche. A decorrere dal 1º luglio 1994 l'incarico è trasferito alla ARA NV, quale servizio comunale ristrutturato per la nettezza urbana».

6 Nel frattempo il 1º luglio 1994 veniva costituita l'ARA il cui statuto, all'art. 2, precisa che l'oggetto sociale comporta il perseguire e lo svolgere le seguenti attività:

«a) espletare tutte le attività in campo economico dirette alla raccolta (e ove possibile al riciclaggio) di rifiuti secondo criteri di efficienza, razionalità e di rispetto dell'ambiente, come rifiuti domestici o industriali, e provvedere a differenziarli, nonché svolgere attività nel settore della pulizia delle strade e delle canalizzazioni, della lotta antiparassitaria e della disinfestazione;

b) [provvedere alla] costituzione, collaborazione, partecipazione e conduzione della direzione e della sorveglianza, nonché assumere il finanziamento di altre imprese la cui attività sia in qualche modo in rapporto con le attività descritte al precedente punto a);

c) espletare tutte le attività in campo economico che siano connesse con le attività predette e che possano favorirne lo svolgimento (sempreché tali attività siano intese a soddisfare bisogni di interesse generale).»

7 Il 21 ottobre 1994 il Comune di Arnhem ha stipulato con ARA una convenzione quadro relativa ai servizi da prestare. Successivamente il Comune di Rheden ha stipulato con ARA una convenzione di identico contenuto.

Queste convenzioni prevedono all'art. 8, remunerazione dei servizi, quanto segue:

«Rheden/Arnhem verserà ad ARA per i servizi che questa gli fornisce delle remunerazioni che dovranno essere specificate.

Le remunerazioni dei servizi di cui al paragrafo precedente sono definite attraverso l'aggiunta di un paragrafo finanziario alle specificazioni e alle norme di qualità per attività che figurano nei contratti preliminari.

Le remunerazioni effettive per i servizi forniti saranno fissate:

a) sia sulla base dei prezzi unitari contenuti preliminarmente per operazione, risultato o unità di prestazione;

b) sia sulla base di un prezzo fisso convenuto preliminarmente per una missione determinata;

c) sia sulla base del fatturato dei costi effettivamente dichiarati.

Una volta l'anno e tenuto conto del ciclo dei progetti annuali municipali, ARA presenterà preliminarmente:

- nell'ipotesi prevista dall'articolo 8, paragrafo 3, sub a): un'offerta di costo per operazione, risultato o unità di prestazione conformemente alle specificazioni e alle norme di qualità previste per ogni attività;

- nell'ipotesi prevista dall'art. 8, par. 3, sub b): un'offerta di prezzo per la specifica missione del caso;

- nell'ipotesi prevista dall'art 8, par. 3, sub c): una stima dei costi previsti.

L'ammontare della remunerazione da versare conformemente ai paragrafi finanziari di cui al paragrafo 2 è in seguito fissato annualmente in accordo con le autorità competenti per il bilancio. Nel caso di mancato accordo , un esperto indipendente, che sarà designato dall'organizzazione di settore più adatta per l'attività in questione, fornirà un parere ad effetti obbligatori sull'effettivo ammontare della remunerazione».

8 Le remunerazione dei servizi prestati da ARA è in definitiva liquidata, da quanto risulta dalle precisazioni apportate in corso di causa dai comuni, secondo le seguenti modalità:

«1. ARA informa le autorità comunali in termini generali sugli sviluppi del settore della raccolta dei rifiuti e delle conseguenze prevedibili in ordine ai costi ed alle entrate;

2. le autorità comunali stabiliscono un bilancio preventivo;

3. i comuni versano ad ARA degli anticipi trimestrali sulla base di questi bilanci;

4. ARA presenta ai comuni un rendiconto mensile dei costi e degli introiti;

5. al termine di ogni esercizio viene effettuato un rendiconto fiscale a cui vengono imputati i pagamenti effettuati a titolo di anticipi, nonché i costi e le entrate del servizio».

9 Il piano d'impresa stabilito dai consigli comunali per ARA prevede inoltre, da quanto risulta dalla memoria dei comuni, che la remunerazione di ARA deve «coprire i costi delle operazioni e corrispondere a delle tariffe accettabili per i cittadini e per le imprese».

10 BFI Holding BV (in prosieguo «BFI») è un'impresa privata che opera nel settore della raccolta e del trattamento dei rifiuti urbani ed industriali. BFI ha introdotto un ricorso dinanzi al Rechtbank d'Arnhem contestando l'attribuzione ad ARA da parte dei comuni del servizio di raccolta e trattamento dei rifiuti. BFI ha sostenuto in tale sede che la direttiva servizi trova applicazione nei rapporti tra i comuni ed ARA e che gli stessi comuni non hanno dunque rispettato la procedura di aggiudicazione prescritta della direttiva.

I comuni hanno contestato dinanzi al giudice di primo grado il punto di vista di BFI sostenendo che il rapporto che li lega ad ARA è di natura concessoria e pertanto la direttiva servizi non troverebbe applicazione. Essi hanno inoltre fatto valere, in via gradata, che in ogni caso l'eccezione prevista dall'art. 6 della direttiva servizi si applicherebbe alla specie.

11 Il Rechtbank ha, con sentenza del 18 giugno 1995, rigettato la tesi dei comuni, secondo cui si sarebbe trattato nel caso controverso di concessioni che esulano dal campo di applicazione della direttiva. Il giudice di primo grado ha di conseguenza qualificato il rapporto in questione come un appalto di servizi. Lo stesso giudice ha altresì dichiarato che l'eccezione di cui all'art. 6 della direttiva non si applicherebbe nella specie.

I comuni hanno interposto appello contro la decisione di primo grado dinanzi al Gerechtshof di Arnhen, adducendo che l'eccezione di cui all'art. 6 della direttiva servizi deve invece applicarsi nel caso in questione.

Il giudice di appello, al fine della soluzione della lite, ha ritenuto necessario verificare se ARA costituisca oppur no un organismo di diritto pubblico ai sensi della direttiva servizi e se di conseguenza si possa ritenere fondata la tesi fatta valere dai comuni secondo cui l'art. 6 della direttiva servizi esenta questi ultimi dal seguire le procedure di aggiudicazione previste dalla stessa direttiva allorché l'espletamento del servizio controverso è affidato ad ARA in quanto «organismo di diritto pubblico» ai sensi della direttiva.

12 Per meglio valutare se ARA soddisfa le condizioni poste dalla direttiva per riconoscere ad esso la natura di organismo di diritto pubblico e poter dunque decidere sulla lite, il Gerechtshof di Arnhem ha posto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se nell'ambito dell'interpretazione dell'art. 6, n. 1, lett. b), primo trattino, della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1; in prosieguo la «direttiva»), l'espressione "per `organismo di diritto pubblico' si intende qualsiasi organismo (...) istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale" debba intendersi nel senso che:

i) occorre distinguere tra bisogni di interesse generale, da un lato, e bisogni avente carattere industriale o commerciale dall'altro;

oppure

ii) occorre distinguere tra bisogni di interesse generale che non hanno carattere industriale o commerciale, da un lato, e bisogni di interesse generale che rivestono invece tale carattere, dall'altro.

2) Qualora la soluzione della prima questione sia nel senso che la distinzione da effettuare è quella menzionata al punto i),

a) se la nozione di "bisogni di interesse generale" sia pertanto da intendere nel senso che non può parlarsi di soddisfazione di bisogni di interesse generale allorché a provvedere alla soddisfazione di bisogni di tal genere sono imprese private

e

b) se, in caso di risposta affermativa al quesito sub a), la nozione di "bisogni di carattere industriale o commerciale" sia pertanto da intendere nel senso che potrà parlarsi di soddisfazione di bisogni di carattere industriale o commerciale in tutti i casi in cui imprese private provvedono alla soddisfazione di tali bisogni.

3) Nel caso in cui la soluzione della prima questione sia nel senso che la distinzione da effettuare è quella menzionata al punto ii), se le nozioni di "bisogni di interesse generale che non hanno carattere industriale o commerciale" e, rispettivamente, "bisogni di interesse generale che invece rivestono tale carattere" siano pertanto da intendere nel senso che la differenza tra le dette nozioni può essere definita rispondendo alla questione se imprese private (concorrenti) non provvedano già alla soddisfazione di bisogni di tal genere.

4) Se la necessità che l'organismo in parola sia stato istituito "per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale" debba interpretarsi nel senso che rientra nell'espressione "specificatamente" solo l'ipotesi in cui l'organismo operi esclusivamente per la soddisfazione di tali bisogni.

5) In caso di risposta negativa alla questione sub 4: se un organismo debba operare in modo quasi esclusivo, oppure in modo rilevante o prevalente, o comunque in altro modo, per la soddisfazione di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, per poter (continuare) a rispondere al requisito relativo all'essere stato istituito specificatamente per soddisfare tali bisogni.

6) Se, per la soluzione delle questioni da 1) a 5), abbia rilevanza il fatto che i bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, a cui l'organismo si suppone chiamato a provvedere, siano fondati su una legge in senso formale, su disposizioni o prassi amministrative o altro.

7) Se, per la soluzione della questione sub 4, rilevi la circostanza che le attività commerciali siano esercitate da una persona giuridica separata, facente parte di un gruppo nell'ambito del quale siano svolte anche attività dirette al soddisfacimento di bisogni di interesse generale».

III - La normativa comunitaria rilevante

13 Il dodicesimo capoverso delle premesse della direttiva prevede:

«considerando che la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti d'appalto; che la prestazione di servizi su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, esula dal campo di applicazione della presente direttiva;»

14 L'art. 1 della direttiva dispone:

«a) `appalti pubblici di servizi', i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un'amministrazione aggiudicatrice (...)

(...)

b) `amministrazioni aggiudicatrici', lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico (...)

Per `organismo di diritto pubblico' si intende qualsiasi organismo:

- istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, e

- avente personalità giuridica, e

- la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.

Gli elenchi degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico che ottemperano ai criteri di cui al secondo comma del presente punto figurano nell'allegato I della direttiva 71/305/CEE. Tali elenchi sono il più possibile completi e possono essere riveduti secondo la procedura prevista all'articolo 30 ter di detta direttiva 71/305/CEE».

15 L'art. 6 della direttiva prevede che:

«La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati ad un ente che sia esso stesso un'amministrazione ai sensi dell'articolo 1, lettera b), in base a un diritto esclusivo di cui beneficia in virtù delle disposizioni legislative, regolamentari od amministrative pubblicate, purché tali disposizioni siano compatibili con il trattato».

16 L'art. 8 della direttiva prevede che:

«Gli appalti aventi per oggetto servizi elencati nell'allegato I A vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli da III a VI».

17 L'art. 9 della direttiva prevede che:

«Gli appalti aventi per oggetto servizi elencati nell'allegato I B vengono aggiudicati conformemente agli articoli 14 e 16».

18 L'art. 10 della direttiva prevede che:

«Gli appalti aventi per oggetto contemporaneamente servizi elencati nell'allegato I A e servizi figuranti nell'allegato I B vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli da III a VI qualora il valore dei servizi elencati nell'allegato I A risulti superiore al valore dei servizi elencati nell'allegato I B. In caso contrario l'appalto viene aggiudicato conformemente agli articoli 14 e 16».

19 L'allegato I A, servizi a norma dell'art. 8, prevede al n. 16:

«Denominazione: Eliminazione di scarichi di fogna e di rifiuti; disinfestazione e servizi analoghi. Numero di riferimento della CPC: 94»

20 L'allegato I B, servizi a norma dell'art. 9, prevede al n. 27:

«Denominazione: altri servizi. Numero di riferimento della CPC: -».

IV - Esame della controversia

A - L'applicazione «ratione materiae» della direttiva

a) La nozione di servizio

21 Il profilo che va per primo esaminato in relazione alla presente controversia è quello relativo alla nozione di «servizio» ai sensi della direttiva. Occorre infatti verificare preliminarmente se i servizi che costituiscono l'oggetto del rapporto dedotto in lite siano ricompresi tra quelli per cui la direttiva prescrive l'applicazione delle procedure di apertura alla concorrenza.

A tale riguardo è appena il caso di rammentare che l'art. 8 della direttiva impone il rispetto di tutte le norme procedurali da questa dettate relativamente ai servizi previsti nell'allegato I A, mentre l'art. 9 si limita sostanzialmente a prescrivere che, per i servizi elencati nell'allegato I B, la loro aggiudicazione si svolga nell'osservanza del principio di non discriminazione e dei criteri dettati dalla stessa direttiva in materia di specifiche tecniche (3). In definitiva, la direttiva disciplina la pubblicazione dei bandi di gara e gli altri profili procedurali da seguire per l'aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi soltanto in relazione ai servizi di cui all'allegato I A (4).

L'allegato I A, per parte sua, menziona tra le categorie dei servizi di cui si occupa, al n. 16, le attività consistenti nell'«eliminazione di scarichi di fogna e di rifiuti, disinfestazione e servizi analoghi». Per il contenuto concreto di questi servizi l'allegato I A rimanda al numero di riferimento della CPC (classificazione comune dei prodotti delle Nazioni Unite), citato a margine della categoria di servizi in questione. Il motivo che ha spinto il legislatore comunitario ad adottare un tale metodo di identificazione dei servizi oggetto della disciplina della direttiva è puntualmente richiamato nell'undicesimo capoverso delle premesse della stessa direttiva. In sede di elaborazione della direttiva si è infatti ritenuto che «per l'applicazione delle norme procedurali ed ai fini della sorveglianza, il metodo migliore per definire il settore dei servizi è quello di suddividere tali servizi in categorie corrispondenti e talune voci di una nomenclatura comune; che gli allegati I A e I B della presente direttiva si riferiscono alla nomenclatura CPC (classificazione comune dei prodotti) delle Nazioni Unite».

22 La dottrina ha già avuto modo di mettere in risalto il vario ordine di limiti e di problemi che un siffatto rinvio ad una fonte normativa esterna alla Comunità pone sotto un profilo giuridico (5). Da parte mia vorrei, peraltro, in questa sede, notare che la CPC non è disponibile in tutte le lingue comunitarie. Il che non contribuisce certo a porre i cittadini degli Stati membri in una situazione di piena eguaglianza dal punto di vista linguistico e comporta una evidente difficoltà per le amministrazioni e per gli organismi nazionali, chiamati ad applicare la direttiva in questione, che utilizzano una lingua differente da quella in cui è redatta la CPC.

23 La lista di servizi di cui all'allegato I A costituisce, ad avviso della dottrina (6), un'elencazione esaustiva e tassativa dei servizi soggetti al pieno rispetto della direttiva. Infatti, l'allegato I B comporta un'elencazione di servizi, anch'essa effettuata con la medesima tecnica del rinvio alle categorie indicate nella CPC, ma essa termina con la nozione residuale e generica di «altri servizi». Questa circostanza induce, dunque, da una parte, a ritenere che il riferimento alla voce della CPC vada inteso in senso testuale e, dall'altro, ad escludere che le categorie elencate nell'allegato I A possano fare oggetto di interpretazione estensiva.

Occorre quindi verificare in primo luogo se il servizio in questione rientri tra quelli di cui all'allegato I A (7). Se così non è, il servizio ricadrà necessariamente tra quelli disciplinati dalla direttiva secondo le modalità fissate per quelli di cui all'allegato I B.

24 La dizione utilizzata al punto 16 dell'Allegato I A, rispetto ai servizi oggetto della presente lite, impone appunto di far luce su di un ulteriore aspetto: i servizi di raccolta di rifiuti, che costituiscono parte non indifferente dei compiti affidati dai comuni ad ARA, non sembrano prima facie essere ricompresi tra quelli che, secondo l'espressione impiegata nella posizione 16 dell'elenco, vertono invece sull'eliminazione dei rifiuti. Tuttavia il n. 94 della CPC, richiamato a margine della predetta categoria, indica, nel testo fornito alla Corte dalla Commissione, alla sottovoce «94020 Refuse disposal services» i seguenti servizi: «Collection service of garbage, trash, rubbish and waste, whether from households or from industrial and commercial establishments, transport services and disposal services by incenerators or by any other means. Waste reduction services are also included».

Da quanto precede appare dunque manifesto che i servizi di raccolta e trattamento di rifiuti rientrano tra quelli menzionati all'allegato I A della direttiva e sono quindi in pieno soggetti all'applicazione delle sue disposizioni.

b) La nozione di appalto di servizi

25 Altro aspetto da esaminare in merito all'applicazione ratione materiae della direttiva è quello relativo alla natura del rapporto che corre fra i comuni ed ARA.

La direttiva, al dodicesimo capoverso delle premesse (8), precisa al riguardo che da essa sono disciplinati solo i contratti di appalto. Le altre forme di prestazioni di servizi, che si basano su rapporti giuridici di tipo differente, infatti «esula[no] dal campo di applicazione della presente direttiva». Sappiamo inoltre, da quanto stabilito all'art. 1 a), che, ai sensi della direttiva, gli appalti di servizi sono «contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatario di servizi ed un'amministrazione aggiudicatrice».

26 Va in tale contesto altresì ricordato che l'esclusione cui fa cenno il già menzionato dodicesimo capoverso delle premesse trova la sua ragion d'essere nella genesi della stessa direttiva servizi. Quest'ultima, nel testo proposto originariamente dalla Commissione (9), era destinata a regolare sia gli appalti, sia le concessioni di servizi. Il Consiglio, nel corso del procedimento legislativo, ha successivamente sottratto le concessioni all'ambito di applicazione della direttiva (10), la quale concerne quindi, nella versione entrata in vigore, soltanto gli appalti di servizi.

Ora, la distinzione tra appalti e concessioni di servizi in diritto comunitario, per communis opinio (11) ed in mancanza di una specifica definizione comunitaria che abbia valore normativo (12), si fonda su un complesso di criteri. Il primo indice è quello del destinatario o beneficiario del servizio prestato. Nel caso degli appalti il beneficiario del servizio reso è ritenuto essere lo stesso ente appaltante, mentre, nel caso della concessione, il beneficiario del servizio è un terzo estraneo al rapporto contrattuale, di norma la collettività, che riceve la prestazione e che paga, in relazione al servizio ricevuto, un corrispettivo. La concessione di servizi in diritto comunitario esige altresì che il servizio in questione rivesta interesse generale di modo che la relativa erogazione competerebbe istituzionalmente ad una pubblica autorità. La circostanza che ad espletare il servizio sia un terzo opera, quindi, una sostituzione soggettiva del concessionario al concedente negli obblighi che a quest'ultimo sono imposti per assicurare la fornitura del servizio alla collettività. Altro elemento che denota la concessione è quello relativo alla remunerazione, la quale è, in tutto o in parte, ricavata dalla stessa prestazione del servizio che il concessionario effettua in favore dei beneficiari. Ancora un altro aspetto saliente della concessione di servizi in ambito comunitario si ricollega al profilo immediatamente prima evocato, ed è quello che vede il concessionario assumere su di sé il rischio economico derivante dalla fornitura e dalla gestione dei servizi oggetto della concessione.

Questi criteri, in parte mutuati dalla figura della concessione di costruzione e gestione, propria della direttiva sugli appalti pubblici di lavori (13), sono stati peraltro ripresi dalla giurisprudenza della Corte nella sentenza 26 aprile 1994, causa C-272/91, detta Lottomatica (14).

27 La rimarcata lacunosità della definizione di appalto appena prima citata per quel che concerne la causa contrattuale e l'oggetto della prestazione (15) permette dunque di discernere, solo in via deduttiva, l'oggetto del contratto di appalto come l'attività consistente nel fornire un servizio contro il pagamento di un corrispettivo. Di converso, l'elemento del rapporto giuridico che il legislatore mette bene in risalto nella definizione data dalla direttiva è quello della natura della controprestazione. Questa, secondo l'espressione utilizzata dal legislatore comunitario («a titolo oneroso»), deve dunque essere in ogni caso costituita da un corrispettivo pecuniario: il pretium.

28 Esaminiamo ora se tali condizioni risultano soddisfatte nel caso di specie. Il rapporto che lega i comuni ad ARA si caratterizza per la presenza di un obbligo da parte di quest'ultimo di fornire una determinata prestazione di servizi. Il primo punto che va accertato è quello relativo a chi siano i beneficiari dei servizi prestati da ARA. Il giudice di rinvio menziona al riguardo le delibere che i comuni hanno adottato per trasferire ad ARA l'attività in questione da essi precedentemente svolta e le convenzioni di conseguenza stipulate tra gli stessi comuni ed ARA. Risulta da questi elementi che i beneficiari del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, prima prestato dai comuni e poi da ARA, sono rimasti inalterati. Questi, come in passato, continuano ad essere gli individui e le imprese residenti ed operanti sul territorio dei due comuni.

Le considerazioni appena ora esposte in merito all'identificazione dei potenziali beneficiari del servizio in questione, seppure non esauriscano, in base ai criteri in precedenza enunciati, l'indagine volta ad accertare se il rapporto intercorrente tra i comuni ed ARA possa qualificarsi come appalto, denotano comunque sin d'ora alcune caratteristiche che differenziano questo stesso rapporto da un vero e proprio appalto di servizi.

29 Riguardo a tale problematica va qui peraltro riferita l'opinione espressa dal governo francese, secondo cui il rapporto in esame dovrebbe essere piuttosto qualificato come una concessione di servizi.

Sappiamo già, inoltre, che, se tale tesi dovesse trovare conferma, sarebbe in ogni caso esclusa l'applicazione della disciplina stabilita dalla direttiva al negozio intercorso tra i Comuni e ARA. In considerazione del punto di vista esposto dal governo francese, la Corte ha per l'appunto rivolto domande alle parti al fine di chiarire i termini del rapporto in esame.

30 Rispetto a questo profilo della specie ha, in particolare, preso posizione il governo britannico, il quale ha negato che la relazione che lega i comuni ad ARA possa considerarsi un appalto. Questo rapporto sarebbe, a parere di tale governo, piuttosto riconducibile alla figura della concessione di servizi in ragione della delega che un'autorità pubblica ha disposto nei confronti di un'entità dotata di propria personalità giuridica, al fine di permettere a quest'ultima di prestare i servizi che il concedente forniva in origine direttamente. Si tratterebbe, dunque, secondo il governo britannico, di un modo tra i tanti di concepire e strutturare l'organizzazione amministrativa. Di conseguenza, i rapporti che legano l'ente concedente all'organismo concessionario esulerebbero dal normale ambito contrattuale tipico degli appalti, per assumere piuttosto il carattere di una relazione di tipo amministrativo.

31 Va in tale ambito notato, incidenter tantum, che la questione riguardante la natura concessoria del rapporto in questione si connette, secondo quel che riferisce il giudice di rinvio, ad un profilo processuale relativo allo stato in cui si trova la causa pendente dinanzi a quello stesso giudice. Il quale ultimo ci dice nell'ordinanza di rinvio che la questione relativa all'accertamento della natura concessoria del rapporto in esame stata risolta negativamente dal giudice di primo grado. Su tale questione non è stato peraltro interposto gravame in appello e, pertanto, da ciò discende che il punto ora considerato non sarebbe suscettibile di modifica da parte del giudice di rinvio, anche a seguito di un'eventuale decisione della Corte che decidesse in difformità dalla pronuncia del giudice di primo grado.

Questa posizione, sostenuta da BFI Holding e parzialmente fatta propria dalla Commissione (16), troverebbe peraltro conforto nella recente giurisprudenza della Corte, precisamente nella sentenza Van Schijndel (17). In quell'occasione la Corte ha in effetti affermato che «il diritto comunitario non impone ai giudici nazionali di sollevare d'ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l'esame di tale motivo li obblighi a rinunciare al principio dispositivo, alla cui osservanza sono tenuti, esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all'applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda».

In definitiva, secondo BFI, la situazione processuale rappresentata dal giudice di rinvio comporterebbe, nel caso in cui la Corte dovesse riconoscere la natura di concessione al rapporto in questione, che lo stesso giudice a quo non potrebbe più trarre utile giovamento dalla pronuncia della Corte. Gli sarebbe in effetti preclusa ogni eventuale modifica della parte della sentenza non appellata con cui è stato accertato che il rapporto in questione non ha natura concessoria e rispetto alla quale si è già consolidata la res judicata.

32 La tesi del convenuto, ora esposta, tuttavia non mi convince. La Corte è infatti tenuta ad interpretare le disposizioni comunitarie in modo compiuto, inserendole nel loro ambito normativo e ponendole in rapporto alla situazione fattuale a cui esse si riferiscono o dovrebbero applicarsi. Un'interpretazione avulsa del contesto pertinente, oltre che estremamente difficile per la sua astrattezza, potrebbe peraltro riuscire fuorviante per lo stesso giudice che la richiede, giacché rischierebbe di non tenere adeguatamente in conto la situazione puntuale che deve essere risolta. Questo mio modo di vedere è confortato dalla ormai copiosa giurisprudenza della Corte, con cui sono state dichiarate irricevibili le questioni pregiudiziali poste dai giudici nazionali, allorché difettava un'esauriente definizione del relativo quadro fattuale e normativo nazionale (18). Certamente, l'osservanza delle regole processuali nazionali costituisce un limite, per alcuni versi invalicabile, che il giudice nazionale, come d'altronde quello comunitario, è tenuto a rispettare. Questo aspetto è stato in punto di diritto pienamente riconosciuto ed accettato dalla Corte nella citata sentenza Van Schijndel. Il che non vuol però dire che la Corte sia esonerata dal qualificare preliminarmente il rapporto giuridico, a cui vanno poi applicate le norme che si tratta di interpretare. Quest'attività ermeneutica va peraltro svolta, a mio avviso, indipendentemente dalla circostanza che la stessa Corte riconosca poi irrilevanti nella specie le norme su cui verte la lite. Infatti, nell'ipotesi in cui il giudice nazionale sia incorso in un error in judicando, che non sia più suscettibile di rimedio giurisdizionale, il ruolo della Corte consisterebbe per l'appunto nel precisare i confini dell'interpretazione della norma in questione, indicando, se del caso, che il problema sollevato dal giudice di rinvio non ha attinenza, dal punto di vista del diritto comunitario, con la specie dedotta in giudizio (19).

33 A me pare però che nella presente controversia la situazione sia ben differente da quella ora prospettata. Il problema sollevato dal convenuto si pone in altri termini. Il giudice di primo grado ha, infatti, a mio modo di vedere, risolto correttamente la questione relativa alla natura del rapporto dedotto in lite, col negare ad esso il carattere di concessione di servizi. A questa conclusione pervengo anch'io, nonostante i comuni e ARA abbiano peraltro diffusamente impiegato tale termine nelle relative delibere, nello statuto societario e nelle convenzioni con cui si è resa operativa tale relazione.

L'elemento cardine che difetta nella specie per poter ricondurre il rapporto che ci concerne allo schema della concessione, è infatti l'assunzione del rischio legato alla gestione del servizio. Risulta per l'appunto, ed in modo inequivocabile, dagli atti processuali che la remunerazione dell'attività prestata da ARA non è stata «fissat[a] in termini astratti» (20). E' stato invero previsto nell'anzidetta documentazione il pagamento di un corrispettivo, la cui concreta determinazione non dipende però da fattori legati ad indici predeterminati, qual sarebbe, per esempio, il costo unitario di ogni operazione, né detta retribuzione è stata stabilita in maniera forfettaria, di modo che, in ambedue le ipotesi ora delineate, la responsabilità economica della gestione ricada sull'organismo che presta il servizio. Il compenso per l'attività svolta da ARA è invece diretta conseguenza del costo complessivo di fatto sostenuto da quest'ultimo organismo per assicurare il servizio la cui prestazione esso è tenuto a rendere. Questo compenso è liquidato, come risulta dai documenti sottoposti all'esame della Corte, sulla base di rendiconti periodici volti esclusivamente a dimostrare l'entità delle spese e degli introiti che la gestione del servizio ha comportato e permettere così ai comuni di far chiudere in sostanziale pareggio il bilancio di ARA. Le tariffe pagate dalla collettività per il servizio ricevuto non costituiscono, neppur esse, un punto di riferimento per individuare un criterio di remuneratività della gestione di ARA: esse vengono adattate secondo necessità, al fine di consentire un sostanziale equilibrio tra costi e ricavi, tenendo altresì conto dell'esigenza, non secondaria, che il servizio così reso non costituisca un onere eccessivo per i beneficiari.

Quanto ora esposto esclude, a mio avviso, che la specie sia riconducibile ad una concessione di servizi, ai sensi del diritto comunitario. Ciò non comporta però, d'altra parte, l'automatica conseguenza che il rapporto controverso sia invece qualificabile come un appalto di servizi.

34 La definizione di tale istituto stabilita dalla direttiva fa perno, come prima messo in luce, sul carattere oneroso della prestazione. Perché il rapporto possa definirsi un appalto occorre dunque che il corrispettivo a cui l'appaltatore ha diritto sia preventivamente ed astrattamente determinato. La Corte, lo abbiamo visto, ha precisato chiaramente questa caratteristica che connota l'appalto nella già citata sentenza Lottomatica (21).

Nel caso di specie, lo indicavo prima, il corrispettivo dei servizi non è stato, secondo l'espressione utilizzata dalla Corte, «fissato in termini astratti» (22) da parte dei comuni, appunto perché questi ultimi regolano, come osservavo, il proprio intervento finanziario nei confronti di ARA a seconda delle necessità che via via si manifestano nel corso della sua attività. Non esiste dunque nella specie un «prezzo» predeterminato o predeterminabile a cui si possa fare riferimento. Dalla remunerazione che ARA riceve è altresì assente ogni qualsivoglia componente lucrativa. Siamo dunque dinanzi ad una remunerazione del servizio in questione che è basata esclusivamente su criteri di economicità della gestione ed è sprovvista di qualsivoglia componente di rischio. Proprio queste caratteristiche comportano che l'attività svolta da ARA, per la maniera in cui essa è remunerata, non possa essere inquadrata tra le attività a carattere commerciale o industriale, né che essa possa, di conseguenza, costituire oggetto di una vera e propria messa in concorrenza.

35 Ma ciò non è tutto. Se si guarda allo schema finanziario su cui è impostato il rapporto tra comuni ed ARA, l'elemento centrale della relazione in termini economici tra i comuni ed ARA è costituito dal bilancio degli stessi comuni. La sopravvivenza di ARA da un punto di vista economico dipende, in sostanza, non tanto dal volume delle operazioni di raccolta e trattamento dei rifiuti realizzate, né dall'efficienza con cui esso svolge la gestione di tali servizi, ma esclusivamente dalla volontà dei comuni di destinare ad ARA risorse finanziarie appropriate mediante il trasferimento di fondi di bilancio e la fissazione a livelli accettabili delle tariffe per i servizi prestati. I termini con cui è prevista nella convenzione la remunerazione di ARA si basano in definitiva su di una condizione «meramente potestativa», secondo la quale i comuni sono arbitri insindacabili sia sull'an, sia sul quantum del trasferimento di risorse ad ARA ed esercitano in tal modo su questo organismo un vero e proprio ius vitae ac necis.

36 Se poi si ragiona sul legame che intercorre tra i comuni ed ARA, si noterà come il rapporto che li unisce trova la sua origine nella necessità di fondere i rispettivi servizi comunali responsabili della raccolta e trattamento dei rifiuti, al fine di poter far fronte ad una domanda che, per dimensioni e qualità, non poteva più oramai essere ragionevolmente soddisfatta dalle strutture preesistenti dei due comuni considerati singolarmente.

L'istituzione di ARA ed il conferimento a quest'ultima dei compiti prima svolti dai comuni risponde dunque all'intento di consorziare i servizi in questione, piuttosto che di affidarli ad un'entità terza e di sottrarli così all'ambito di competenze comunali. La soluzione accolta dai comuni, quella di riunire i rispettivi servizi in questione ed investirne l'entità da essi creata di comune intesa, si riflette, peraltro, nella struttura societaria appositamente foggiata: i due comuni attori nella presente controversia sono infatti i soli soci di ARA. ARA poi, nonostante sia costituito sotto forma di società di capitali, non è neanche, a mio avviso, sostanzialmente estraneo alla struttura organizzativa dei comuni. La sua natura può ricondursi alla nozione di organo (23), seppure in senso lato ed indiretto (24), della pubblica amministrazione. Le considerazioni prima esposte in merito alle caratteristiche e modalità di remunerazione di ARA ed alla totale dipendenza di questo ente dalla volontà dei comuni, non soltanto per quanto concerne la sue risorse economiche, ma anche la composizione dei suoi organi dirigenti (almeno la maggioranza dei membri del consiglio di sorveglianza è di nomina comunale), confermano senz'altro questo punto di vista.

37 Il profilo relativo alla libertà di cui dispone un'autorità pubblica nell'organizzare la propria struttura di modo che essa sia meglio rispondente alle necessità della collettività, non mi sembra poi questione sulla quale valga punto soffermarsi. La scelta di un modello organizzativo da parte di un'amministrazione pubblica non può, comunque, consentire l'applicazione di norme volte a regolare altra e ben definita situazione, consistente quest'ultima nella prestazione di un servizio da parte di un privato ad una pubblica autorità contro una remunerazione. Ne è dimostrazione lo stesso dettato dalla direttiva. Il legislatore comunitario ha infatti non soltanto escluso che forme di organizzazione amministrativa, come quella della specie e le altre ad essa simili o comparabili, quali le concessioni, rientrino nel campo di applicazione della direttiva, ma si è spinto ancora più avanti esonerando dall'obbligazione di ricorrere alle procedure prescritte dalla direttiva anche i contratti veri e propri di appalto, intercorsi però tra due amministrazioni aggiudicatrici.

38 In conclusione, nella specie non sussiste, a mio avviso, la «terzietà» e cioè la sostanziale distinzione dell'organismo ARA rispetto ai due comuni. Siamo di fronte ad una forma di delegazione interorganica che non fuoriesce dalla sfera amministrativa dei comuni, i quali nel conferire ad ARA le attività in questione non hanno inteso in alcun modo privatizzare le funzioni precedentemente da essi svolte in quel settore. In definitiva, a mio parere, il rapporto che intercorre tra i comuni ed ARA non può essere considerato un appalto ai sensi della direttiva.

B - L'applicazione «ratione personae» della direttiva

39 Quanto ora detto comporta di per sé l'inapplicabilità della direttiva ai rapporti tra i comuni ed ARA. Per completezza di trattazione del caso sottoposto alla Corte passo comunque ad esaminare se sia possibile inquadrare ARA tra i soggetti tenuti al rispetto della direttiva.

Alla luce di quanto detto in precedenza, la questione si pone ora, in particolare al fine di individuare la categoria tra quelle che sono menzionate nella direttiva e che costituiscono un'amministrazione aggiudicatrice ai sensi di quest'ultima e nel cui ambito rientrerebbe l'organismo in parola.

40 Il governo francese ha sostenuto che ARA costituisce non tanto un organismo pubblico, ma più semplicemente un'associazione tra comuni ai sensi dell'art. 1 b) della direttiva. Questa tesi riposa sulla circostanza prima riferita che vede i comuni come i due soli azionisti di ARA.

L'opinione del governo francese va tenuta in debita considerazione. In particolare occorre a tale riguardo esaminare se, ai sensi della definizione di «amministrazione aggiudicatrice» di cui all'art. 1 della direttiva, i due termini «organismo di diritto pubblico» e «associazione» indichino nozioni differenti e contrapposte o se sia invece possibile che la direttiva prenda in considerazione, nella stessa definizione, enti i quali possono, al medesimo tempo, essere ricompresi nell'una e nell'altra categoria.

La risposta da dare a questa questione è, a mio avviso, nel senso di escludere una sovrapposizione tra le categorie sopra menzionate. Il legislatore comunitario ha, infatti, inteso assoggettare alla disciplina sugli appalti anche quei fenomeni associativi pubblici che danno luogo alla nascita di entità che, seppure non dotate di propria personalità giuridica, rientrano a pieno titolo tra le forme di cooperazione o di organizzazione dei poteri pubblici rilevanti ai fini perseguiti dalla stessa direttiva. Mi riferisco, per esempio, a forme associative, quali i consorzi tra enti territoriali o analoghi tipi di raggruppamenti, che, per l'appunto, non rivestiti di personalità giuridica, svolgono comunque compiti di natura pubblicistica e per i quali il legislatore comunitario, ispirandosi ad un criterio prettamente funzionale, ha previsto l'assoggettamento alla disciplina della direttiva. Va poi aggiunto che tali entità, per rientrare nella categoria anzidetta, devono, a mio avviso, essere anche prive del fine di lucro.

41 Se si segue questa impostazione, la categoria delle associazioni assume dunque una funzione residuale. Essa concerne in definitiva tutte quelle forme di cooperazione pubblica che, come prima dicevo, danno origine ad entità non dotate di personalità giuridica, ma che non sono, tuttavia, enti locali o territoriali, né sono riconducibili per altro verso alla nozione di organismo di diritto pubblico.

La conclusione a cui sono ora pervenuto presuppone poi che il legislatore comunitario abbia inteso dare alla nozione di amministrazione aggiudicatrice un'accezione assai ampia, includendo in essa tutte le forme possibili con cui si esercitano pubblici poteri. Escludo altresì che egli abbia utilizzato inutili e fuorvianti sovrapposizioni concettuali, che sarebbero del resto possibile causa di difficoltà interpretative nella classificazione delle entità tenute al rispetto della direttiva.

Questo mio punto di vista trova peraltro autorevole conferma nella sentenza Beentjes (25) in cui la Corte ha riconosciuto, ai fini dell'applicazione della direttiva lavori, che un organismo privo di personalità giuridica propria, ma che per più aspetti dipende dalla pubblica amministrazione, «rientra nella nozione di Stato (...) anche se formalmente non fa parte dello Stato». Va tuttavia ricordato che in quella causa la norma comunitaria oggetto d'interpretazione era l'art. 1 della direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, 71/305/CEE (26), concernente gli appalti di lavori pubblici. Si trattava dunque della definizione comunitaria data dalla direttiva alle norme di «amministrazioni aggiudicatrici» che a quel tempo però non contemplavano ancora le «associazioni», inserite successivamente nelle versioni novellate delle direttive «appalti». Sono dell'avviso peraltro che la Corte abbia allora voluto colmare una lacuna normativa includendo tra i soggetti tenuti al rispetto della direttiva anche quegli organismi che, con l'espressione adoperata dall'avvocato generale Darmon, sono «posti al di fuori delle (...) classiche strutture amministrative [dello Stato e degli enti pubblici territoriali], ma che senza essere dotati di personalità giuridica propria, svolgono funzioni normalmente appartenenti allo Stato o a detti enti». Il legislatore comunitario nel novellare e riformulare la nozione di amministrazione aggiudicatrice ha poi specificatamente previsto, da una parte, la figura delle associazioni e, dall'altra, quella degli organismi di diritto pubblico. In questo modo ha espressamente sottomesso all'ambito di applicazione delle direttive «appalti pubblici» sia gli organismi sprovvisti di una propria personalità giuridica, i quali costituiscono sovente modelli associativi di vario tipo tra enti pubblici, le cui caratteristiche e natura giuridica sono difficilmente definibili a priori, sia gli organismi di diritto pubblico che, per specifica previsione normativa, devono invece avere una loro personalità giuridica. La circostanza che ARA possegga una sua personalità giuridica porta dunque ad escludere che tale organismo possa essere ricondotto alla categoria delle «associazioni».

42 Per quel che poi attiene al profilo relativo alla nozione di «bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale», non credo che la risposta da fornire al giudice di rinvio possa prescindere dalle peculiarità che caratterizzano ogni specifica situazione. Non mi pare dunque che in questa sede la Corte possa stabilire indici generali d'interpretazione della norma in questione che non prendono in considerazione il caso concreto. Siamo di fronte ad una disposizione che male si presta a ricevere interpretazioni generali ed astratte, proprio perché il legislatore comunitario ha inteso dare alla norma quel carattere schiettamente funzionale prima ricordato. Il canone ermeneutico ora esposto è stato fatto proprio ed applicato dalla Corte prima nella sentenza Beentjes (27) e più recentemente in quella Mannesmann (28). E' un criterio al quale ritengo dovermi attenere anche in questa sede.

43 La nozione in questione va, però, sicuramente letta alla luce della precedente giurisprudenza dalla Corte (29), la quale ha dato grande rilievo all'assenza di rischio che deve caratterizzare la gestione dell'attività dell'organismo in questione perché esso rientri nel novero degli organismi pubblici presi in considerazione dalla direttiva. Si tratta, forse, di una interpretazione che pone l'accento più sul carattere commerciale o industriale dell'attività che sulla natura di interesse generale dei bisogni da soddisfare. Quest'altra è infatti una categoria che varia sensibilmente da uno Stato membro all'altro e secondo il momento storico in cui la si considera. I bisogni di interesse generale, una volta identificati, rivestono poi, dal canto loro, carattere commerciale od industriale in stretta relazione al tipo di organizzazione che lo Stato si è dato. La connotazione commerciale od industriale dello stesso bisogno cambia notevolmente, infatti, in ragione, per esempio, del risalto più o meno incisivo che il fenomeno di privatizzazione dei servizi pubblici volti a soddisfare questi bisogni abbia ricevuto in ambito nazionale. La direttiva del resto non ha nemmeno inteso riferirsi a categorie univoche per l'intera Comunità. Basta qui por mente alla circostanza che la stessa direttiva si limita a coordinare - e non si prefigge invece di armonizzare - le differenti disposizioni vigenti in sede nazionale con riguardo agli appalti. Non ritengo poi che con la definizione in questione la direttiva abbia in effetti creato una categoria comunitaria. Essa più semplicemente rinvia a quanto è in proposito disposto dalle legislazioni degli Stati membri.

44 Nel quadro così descritto, definire i bisogni che rilevano ai fini della direttiva appalti è operazione assai ardua, se non impossibile. L'interprete non può dunque che ricercare nel nesso che lega il soddisfacimento dei bisogni alla struttura dello Stato (inteso naturalmente in senso lato) e, soprattutto, nella dipendenza economica da quest'ultimo, il solo criterio di carattere generale che possa trovare validamente applicazione nel campo che ci concerne.

Un sintomo manifesto della dipendenza dal settore statale risulta pertanto proprio dall'assenza di rischio nell'attività che l'organismo di volta in volta considerato è chiamato a svolgere. Quando invece l'attività di tal organismo comporta una, sia pure eventuale, possibilità di lucro, o quando la relativa gestione è comunque basata su criteri di economicità e di autonomia finanziaria, si è certamente, a mio modo di vedere, al di fuori del quadro così descritto e dunque non vi sarà ragione di annoverare l'organismo in questione tra quelli contemplati in direttiva. Faccio appena notare che questa esegesi delle norme in discorso risulta altresì del tutto coerente con la giurisprudenza resa dalla Corte in materia di imprese pubbliche (30) e della corrispondente legislazione comunitaria (31).

Sono dunque, a mio parere, ricompresi nella nozione di organismo di diritto pubblico, ai sensi della direttiva servizi, quegli organismi che soddisfano bisogni di carattere generale «in spregio dei principi della normale gestione commerciale» (32), sempre che gli altri requisiti richiesti dalla definizione in questione siano egualmente presenti.

45 La questione se ARA rientri oppur no nella nozione di organismo di diritto pubblico appare dunque, alla luce di quanto in precedenza detto, ormai chiarita. Non vi è dubbio infatti che le funzioni per le quali tale organismo è stato creato (33) e che esso svolge istituzionalmente, nonché le modalità con cui i suoi compiti sono esercitati, rientrano tra quelle che la direttiva definisce come rispondenti a «bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale».

46 Merita poi di essere segnalato, in limine litis, come sia irrilevante nella specie la circostanza, che si intuisce appena dall'ordinanza di rinvio, secondo cui ARA, direttamente o tramite una società da essa interamente posseduta, oltre ad assolvere ai compiti affidatagli dai comuni, presta anche servizi di analoga natura in favore di terzi contro adeguata remunerazione. Queste attività che, da quel che risulta, costituiscono una parte marginale del complesso delle funzioni svolte da ARA (34) e che non incidono sensibilmente, sotto un profilo economico, sulla struttura finanziaria di quest'organismo, non sono però tali, a mio avviso, da modificare la conclusione a cui sono prima pervenuto. Sul punto si è peraltro già pronunciata la Corte nella recente sentenza Mannesmann (35), col riconoscere che lo svolgere altre attività accanto a quella preminente che costituisce il fine istituzionale dell'ente, non è di per sé tale da alterare la natura dell'organismo in questione ai fini dell'applicazione delle direttive in materia di appalti pubblici. L'esistenza di ARA sotto il profilo economico-finanziario dipende infatti, come si è prima visto, dalla contribuzione che i comuni apportano al suo bilancio. Questo elemento esclude radicalmente che qualsivoglia altra attività da esso svolta possa effettivamente essere gestita con modalità specificatamente commerciali: l'apporto finanziario dei comuni snatura il criterio che è alla base di ogni relazione commerciale e che si identifica nella ricerca del migliore e più efficiente rapporto tra costo e remunerazione. La circostanza che l'ente perviene in ogni modo al pareggio del bilancio tramite l'intervento dei comuni e che è quindi assente ogni componente di rischio impedisce infatti di poter ritenere tali attività svolte in vero e proprio regime di concorrenza.

Il servizio assicurato da ARA risponde infatti ad una esigenza imprescindibile della collettività: quella della raccolta e del trattamento dei rifiuti. Questo compito è esercitato, senza fine di lucro, al di fuori di schemi che rientrano in una logica di mercato. Sono quindi pienamente soddisfatte ambedue le condizioni che il legislatore comunitario ha posto nella prima parte della definizione di organismo di diritto pubblico: quella di soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale e quella dell'assenza, in tali bisogni, di un carattere commerciale ed industriale.

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni prima esposte, propongo alla Corte di rispondere nel seguente modo ai quesiti posti dal Gerechtshof di Arnhem:

«1) Il rapporto che lega due comuni ad un organismo da essi creato ed a cui gli stessi comuni hanno affidato il servizio di raccolta e trattamento dei rifiuti nel proprio ambito territoriale e che è remunerato anche mediante risorse di bilancio comunali che assicurano, in ogni caso, a tale organismo il pareggio finanziario della propria attività, non costituisce un appalto di servizi ai sensi della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.

2) Un'entità del tipo sopra descritto costituisce altresì un organismo di diritto pubblico ai sensi della direttiva 92/50/CEE».

(1) - GU L 209, pag. 1.

(2) - La decisione di unificare i propri servizi di nettezza urbana e di affidarli ad un organismo appositamente creato trovava peraltro la sua origine nello studio commissionato dai comuni ad un consulente. Quest'ultimo ha formulato dei suggerimenti che sono poi stati accolti ed applicati dai comuni.

(3) - L'obbligo di pubblicazione ex post di una comunicazione in merito al risultato dell'aggiudicazione, a cui fa riferimento il combinato disposto degli artt. 9 e 16, è peraltro inesistente nel caso dei servizi di cui all'Allegato I B, trattandosi in tale evenienza di un adempimento meramente facoltativo. Cfr. Flamme e Flamme, Les marchés publics de services et la coordination de leurs procédures de passation, Revue du Marché commun et de l'Union europeenne, 1993, pag. 150; Greco, Gli appalti pubblici di servizi, Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 1995, pag. 1285; La Marca, Gli appalti pubblici di servizi e l'attività bancaria, Rivista di diritto europeo, 1996, pag. 13; Mensi, L'ouverture à la concurrence des marchés publics de services, Revue du Marché Unique Européen, 1993, pag. 59.

(4) - Sul punto la dottrina è unanime. Cfr. Flamme e Flamme, op. cit., La Marca, op. cit.

(5) - Cfr. La Marca, op. cit., in particolare, pag. 42.

(6) - V. La Marca, op. cit., pag. 28; Flamme e Flamme, op. cit, pag. 152.

(7) - Ovvero se il servizio sia del tutto escluso dal campo di applicazione della direttiva ai sensi dell'art. 1 della stessa direttiva.

(8) - V. supra, paragrafo 13 delle conclusioni.

(9) - GU C 23 del 23 gennaio 1991, pag. 1.

(10) - Cfr. la motivazione contenuta nella posizione comune del Consiglio relativa alla direttiva, in Doc. 4444/92 ADD1 del 25.2.1992.

(11) - V. al riguardo Flamme e Flamme, op. cit., Greco, op. cit..

(12) - La concessione di servizi nella proposta di direttiva della Commissione era per l'appunto definita come: «un contratto, diverso dalla concessione di lavori pubblici ai sensi dell'articolo 1, lettera d) della direttiva 71/305/CEE, concluso tra un'amministrazione e un altro ente di sua scelta in forza del quale l'amministrazione demanda all'ente l'esecuzione di un servizio al pubblico di sua competenza e l'ente accetta di svolgere tale attività avendo come corrispettivo il diritto di sfruttare il servizio oppure tale diritto accompagnato da controprestazione pecuniaria».

(13) - Direttiva del Consiglio 18 luglio 1989, 89/440/CEE (GU L 210 del 21 luglio 1989, pag. 1).

(14) - Sentenza 26 aprile 1994, causa C-272/91, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1409, punti da 22 a 25 e 32).

(15) - Si vedano al riguardo le osservazioni di Flamme e Flamme, op. cit., e La Marca, op. cit..

(16) - La quale però fonda il suo punto di vista sulla circostanza che le parti convengono nel non considerare il negozio de quo come una concessione.

(17) - Sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel (Racc. pag. I-4705).

(18) - Si veda al riguardo la comunicazione della Corte «nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali» dell'ottobre 1996 con i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti. Cfr. per un breve commento in merito a tale comunicazione Manzella, Giudice nazionale e diritto comunitario, Giornale di diritto amministrativo, 1996, pag. 1084; Condinanzi, «Istruzioni per l'uso» dell'art. 177: la nota informativa della Corte di Giustizia sulla proposizione delle domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali, Il Diritto dell'Unione Europea, 1996, pag. 883.

(19) - Si veda per esempio la sentenza 16 dicembre 1997, causa C-104/96, Rabobank (Racc. pag. I-7211).

(20) - Sentenza cit..

(21) - Sentenza cit., paragrafo 26.

(22) - Sentenza cit..

(23) - Si vedano al riguardo, su tale nozione, Greco, op. cit., id., Appalti di lavori affidati da SpA in mano pubblica: un revirement giurisprudenziale non privo di qualche paradosso, Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 1995, pag. 1062.

(24) - Sul punto Greco, op. cit., Righi, La nozione di organismo di diritto pubblico nella disciplina comunitaria degli appalti: società in mano pubblica e appalti di servizi, Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 1996, pag. 347.

(25) - Sentenza 20 settembre 1988, causa 31/87 (Racc. pag. 4635).

(26) - GU L 185, pag. 5.

(27) - Sentenza cit..

(28) - Sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannesmann (Racc. pag. I-73).

(29) - Sentenze Beentjes, Lottomatica, Mannesmann, cit..

(30) - Sentenza 16 giugno 1987, causa 118/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 2619), e da ultimo, sentenza 18 marzo 1997, causa C-343/95, Diego Calì (Racc. pag. I-1547).

(31) - Direttiva della Commissione 25 giugno 1980, n. 723, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche (GU L 195, pag. 35).

(32) - Sentenza 16 giugno 1987, cit..

(33) - L'espressione «istituito per soddisfare specificatamente i bisogni etc...» contenuta nella definizione in questione della direttiva va naturalmente letta in modo dinamico. Le finalità originariamente indicate nell'atto costitutivo dall'ente devono infatti essere rapportate alla situazione attuale ed agli scopi che l'organismo in concreto persegue, quali, per esempio, quelli indicati nell'oggetto sociale nell'ipotesi di enti rivestiti di forma societaria.

(34) - Dagli atti di causa risulta che il fatturato totale di ARA per l'anno 1995 era di HFL 39 392 000, che si scomponeva in HFL 32 791 000 relativi all'attività di raccolta e trattamento di rifiuti urbani e HFL 6 601 000 relativi alla raccolta ed al trattamento di rifiuti industriali.

(35) - Sentenza Mannesmann, cit. La Corte ha in quel caso ritenuto che l'attività svolta dall'organismo austriaco, in aggiunta a quella principale, rientra comunque nel campo di applicazione della direttiva lavori pubblici. La Corte è pervenuta a tale conclusione distinguendo tra attività istituzionali rispondenti al compito di soddisfare specificamente i bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e quelli che non rivestono tali caratteristiche. La soluzione data dalla Corte, che ritengo sostanzialmente corretta nella conclusione a cui essa perviene, merita tuttavia qualche precisazione. Faccio, infatti, in proposito notare che, a mio modo di vedere, è impossibile distinguere tra le attività a carattere non industriale e commerciale e quelle che invece rivestono tale caratteristica, allorché l'organismo in questione è ricompreso tra quelli che costituiscono un'amministrazione aggiudicatrice ai sensi della direttiva lavori o servizi. In effetti, l'assenza di rischio che denota il modo di operare dell'ente in questione fa sì che qualunque attività da esso svolta, anche se teoricamente passibile di sfruttamento economico, sia in definitiva indistinguibile da un punto di vista finanziario dall'attività istituzionale, che risulta dunque assorbente rispetto alle altre e che ne snatura la caratteristica commerciale od industriale.