Sentenza della Corte del 4 novembre 1997. - Parfums Christian Dior SA e Parfums Christian Dior BV contro Evora BV. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hoge Raad - Paesi Bassi. - Diritti di marchio e d'autore - Azione del titolare di tali diritti volta ad inibire a un rivenditore l'attività pubblicitaria per l'ulteriore commercializzazione del prodotto - Profumo. - Causa C-337/95.
raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-06013
Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
1 Questioni pregiudiziali - Rinvio alla Corte - Giurisdizione nazionale ai sensi dell'art. 177 del Trattato - Nozione - Corte di giustizia del Benelux - Inclusione
(Trattato CE, art. 177)
2 Questioni pregiudiziali - Rinvio alla Corte - Questione d'interpretazione della direttiva 89/104 sollevata in un procedimento riguardante l'interpretazione della legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa - Obbligo di rinvio incombente tanto alla Corte di giustizia del Benelux quanto agli organi giurisdizionali nazionali avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale - Limiti
(Trattato CE, art. 177, terzo comma; direttiva del Consiglio 89/104/CEE)
3 Ravvicinamento delle legislazioni - Marchi - Direttiva 89/104 - Prodotto messo in commercio in uno Stato membro dal titolare o con il suo consenso - Uso del marchio da parte di un rivenditore a fini pubblicitari - Ammissibilità
(Trattato CE, art. 36; direttiva del Consiglio 89/104, artt. 5 e 7)
4 Ravvicinamento delle legislazioni - Marchi - Direttiva 89/104 - Prodotto messo in commercio in uno Stato membro dal titolare o con il suo consenso - Opposizione del titolare del marchio all'uso di quest'ultimo da parte di un rivenditore a fini pubblicitari - Inammissibilità - Deroga - Grave nocumento al prestigio del marchio
(Direttiva del Consiglio 89/104, art. 7, n. 2)
5 Libera circolazione delle merci - Proprietà industriale e commerciale - Diritto di marchio e diritti d'autore - Prodotto messo in commercio in uno Stato membro dal titolare o con il suo consenso - Opposizione del titolare del marchio all'uso del detto prodotto da parte di un rivenditore a fini pubblicitari - Inammissibilità - Deroga - Grave nocumento al prestigio del prodotto
(Trattato CE, artt. 30 e 36)
6 La Corte di giustizia del Benelux, in quanto organo giurisdizionale comune a vari Stati membri, avente il compito di garantire l'uniformità nell'applicazione delle norme giuridiche comuni ai tre Stati del Benelux, il procedimento dinanzi alla quale costituisce, nell'ambito delle cause pendenti dinanzi ai giudici nazionali, un incidente alla cui conclusione viene fissata l'interpretazione definitiva delle dette norme comuni, deve vedersi riconosciuta la facoltà di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte. Infatti, consentire ad un organo giurisdizionale del genere, quando si trova a dover interpretare norme di diritto comunitario nell'esercizio delle sue funzioni, di avvalersi del procedimento previsto dall'art. 177 del Trattato risponde all'obiettivo di tale norma, che è quello di salvaguardare l'uniformità d'interpretazione del diritto comunitario.
7 Nel caso in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione della prima direttiva 89/104, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nell'ambito di un procedimento instaurato in uno degli Stati membri del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa, un organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno - com'è il caso tanto della Corte del Benelux quanto dello Hoge Raad dei Paesi Bassi - è tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del Trattato. Tuttavia, tale obbligo diventa privo di causa e quindi di contenuto quando la questione sollevata è materialmente identica a una questione già decisa in via pregiudiziale nell'ambito della medesima causa nazionale.
8 Gli artt. 5 e 7 della direttiva 89/104 devono essere interpretati nel senso che, qualora prodotti contrassegnati con un marchio vengano immessi sul mercato comunitario dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, il rivenditore ha, oltre alla facoltà di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi. Infatti, qualora il diritto di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione non si esaurisse alla stessa stregua del diritto di vendita, quest'ultima verrebbe resa notevolmente più difficile compromettendo in tal modo l'obiettivo insito nel principio dell'esaurimento sancito dall'art. 7.
9 Il titolare di un marchio non può inibire, in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio stesso, conformemente alle modalità correnti nel suo settore di attività, al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso.
Dev'essere infatti contemperato l'interesse legittimo del titolare del marchio ad essere tutelato contro i rivenditori che facciano uso del suo marchio a fini pubblicitari avvalendosi di modalità che potrebbero nuocere alla reputazione del marchio stesso con l'interesse del rivenditore a poter mettere in vendita i prodotti in questione avvalendosi delle modalità pubblicitarie correnti nel suo settore di attività. Trattandosi di prodotti di lusso e di prestigio, il rivenditore non deve agire in spregio agli interessi legittimi del titolare del marchio.
10 Gli artt. 30 e 36 del Trattato devono essere interpretati nel senso che il titolare di un diritto di marchio o di un diritto d'autore non può inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità dei prodotti tutelati, l'uso di tali prodotti, conformemente alle modalità correnti nel suo settore di attività, al fine di promuovere la loro ulteriore commercializzazione, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso dei detti prodotti a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso.
Nel procedimento C-337/95,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Parfums Christian Dior SA e Parfums Christian Dior BV
e
Evora BV,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 30, 36 e 177, terzo comma, del Trattato CE, nonché sugli artt. 5 e 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1),
LA CORTE,
composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C. Gulmann (relatore), H. Ragnemalm, R. Schintgen,, presidenti di sezione, G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida, P.J.G. Kapteyn, J.L. Murray, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, G. Hirsch, P. Jann e L. Sevón, giudici,
avvocato generale: F.G. Jacobs
cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto
viste le osservazioni scritte presentate:
- per la Parfums Christian Dior SA e la Parfums Christian Dior BV, dagli avv.ti C. Gielen, del foro di Amsterdam, e M. H. van der Woude, del foro di Bruxelles;
- per la Evora BV, dagli avv.ti D.W.F. Verkade e O.W. Brouwer, del foro di Amsterdam, e P. Wytinck, del foro di Bruxelles;
- per il governo francese, dalla signora C. de Salins, vicedirettore presso la direzione degli affari giuridici del ministero degli Affari esteri, e dal signor P. Martinet, segretario per gli affari esteri presso la stessa direzione, in qualità di agenti;
- per il governo italiano, dal professor U. Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor O. Fiumara, avvocato dello Stato;
- per il governo del Regno Unito, dalla signora L. Nicoll, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, assistita dall'avv. M. Silverleaf, barrister;
- per la Commissione delle Comunità europee, dal signor B.J. Drijber, membro del servizio giuridico, in qualità di agente,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali della Parfums Christian Dior SA e della Parfums Christian Dior BV, con gli avv.ti C. Gielen e M. H. van der Woude, della Evora BV, con gli avv.ti O.W. Brouwer, L. de Gryse, quest'ultimo del foro di Bruxelles, e P. Wytinck, del governo francese, rappresentato dal signor P. Martinet, e della Commissione, rappresentata dal signor B.J. Drijber, all'udienza del 5 febbraio 1997,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 29 aprile 1997,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con ordinanza 20 ottobre 1995, pervenuta in cancelleria il 26 ottobre successivo, lo Hoge Raad dei Paesi Bassi ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, sei questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 30, 36 e 177, terzo comma, del medesimo Trattato, nonché degli artt. 5 e 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
2 Le questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la Parfums Christian Dior SA, società di diritto francese con sede in Parigi (in prosieguo: la «Dior France»), la Parfums Christian Dior BV, società di diritto olandese con sede in Rotterdam (in prosieguo: la «Dior Nederland»), da un lato, e la Evora BV, società di diritto olandese con sede in Renswoude (in prosieguo: la «Evora»), dall'altro, in ordine alla pubblicità fatta dalla Evora per prodotti Dior che quest'ultima ha messo in vendita.
3 La Dior Francia elabora e produce profumi e altri cosmetici venduti a prezzi relativamente elevati e considerati appartenenti al mercato dei cosmetici di lusso. La vendita dei suoi prodotti fuori dalla Francia è affidata a rappresentanti esclusivi, tra cui la Dior Nederland nei Paesi Bassi. Come altri rappresentanti esclusivi della Dior France in Europa, la Dior Nederland si avvale per la distribuzione dei prodotti Dior nei Paesi Bassi di un sistema di distribuzione selettiva in base al quale i prodotti Dior vengono venduti esclusivamente a rivenditori selezionati, soggetti all'obbligo di vendere soltanto agli acquirenti finali e mai ad altri rivenditori, a meno che questi ultimi non siano stati anch'essi selezionati per la vendita dei prodotti Dior.
4 Nel Benelux, la Dior France è l'unica titolare dei marchi emblematici Eau sauvage, Poison, Fahrenheit e Dune, in particolare per i profumi. Tali marchi consistono in immagini delle confezioni nelle quali vengono messi in vendita i flaconi contenenti i profumi dalle denominazioni sopra menzionate. La Dior France è inoltre titolare dei diritti d'autore su tali confezioni e flaconi nonché sulle confezioni e sui flaconi dei prodotti messi in commercio con il marchio Svelte.
5 La Evora gestisce, con l'insegna della sua controllata Kruidvat, un'importante catena di negozi di articoli di profumeria e casalinghi. I negozi Kruidvat, pur non essendo stati selezionati come distributori dalla Dior Nederland, vendono prodotti Dior ottenuti dalla Evora tramite importazioni parallele. La liceità dell'attività di rivendita di questi prodotti non è contestata nell'ambito del procedimento a quo.
6 Durante una promozione per il periodo natalizio del 1993, la Kruidvat metteva in vendita i prodotti Dior Eau sauvage, Poison, Fahrenheit, Dune e Svelte e, in quell'occasione, riproduceva nei suoi opuscoli pubblicitari le immagini delle confezioni e dei flaconi di alcuni di essi. Risulta dall'ordinanza di rinvio che la raffigurazione delle confezioni e dei flaconi riguardava esclusivamente, in modo diretto e chiaro, il prodotto offerto in vendita ed era stata effettuata seguendo le modalità correnti tra i rivenditori di quel settore commerciale.
7 Ritenendo che questa pubblicità non corrispondesse all'immagine di lusso e di prestigio dei marchi Dior, la Dior France e la Dior Nederland (in prosieguo: la «Dior») proponevano una domanda di provvedimenti urgenti nei confronti della Evora dinanzi al Rechtbank di Haarlem per violazione dei diritti relativi a tali marchi, al fine di ottenere che si ordinasse alla Evora l'immediata e definitiva cessazione dell'uso dei marchi emblematici della Dior e di ogni diffusione o riproduzione dei suoi prodotti in cataloghi, opuscoli, annunci o in qualsiasi altro modo. La Dior sosteneva, in particolare, che l'uso dei suoi marchi fatto dalla Evora era in contrasto con la legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa, nel testo vigente all'epoca dei fatti, ed era messo in atto con modalità tali da ledere l'immagine di lusso e di prestigio dei prodotti stessi. La Dior faceva inoltre valere che la pubblicità effettuata dalla Evora costituiva una violazione dei suoi diritti d'autore.
8 Il presidente del Rechtbank accoglieva la domanda della Dior e ordinava quindi alla Evora di porre immediatamente fine a qualsiasi uso dei marchi emblematici della Dior nonché alla diffusione o alla riproduzione dei prodotti Dior di cui trattasi in cataloghi, opuscoli, annunci o in altro modo che non fosse conforme alle modalità pubblicitarie usuali per la Dior. La Evora si appellava avverso tale ordinanza dinanzi al Gerechtshof di Amsterdam.
9 Quest'ultimo giudice annullava l'ordinanza impugnata e negava i provvedimenti richiesti. Esso respingeva in particolare la pretesa della Dior di potersi opporre all'ulteriore commercializzazione dei prodotti in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva, secondo cui il titolare di un marchio può opporsi all'uso del marchio per prodotti messi in commercio nella Comunità con tale marchio dal titolare stesso quando sussistano motivi legittimi, segnatamente quando lo stato dei prodotti risulti modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio. Il Gerechtshof ha ritenuto che questa norma riguardasse esclusivamente il danno arrecato alla reputazione del marchio da un'alterazione dello stato materiale dell'articolo tutelato dal marchio in questione.
10 Avverso tale decisione la Dior proponeva un ricorso per cassazione dinanzi allo Hoge Raad. Essa faceva valere, in particolare, che «lo stato dei prodotti» ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva comprende altresì lo stato «immateriale» del prodotto, vale a dire il suo stile e la sua immagine di prestigio nonché l'aura di lusso che lo circonda per effetto delle modalità di presentazione e di pubblicità scelte dal titolare del marchio nell'esercizio dei suoi diritti di marchio.
11 La Evora affermava, in particolare, che la sua pubblicità - effettuata secondo le modalità correnti tra i dettaglianti di quel settore commerciale - non poteva ledere i diritti esclusivi della Dior e che le disposizioni della direttiva nonché gli artt. 30 e 36 del Trattato non consentono alla Dior di avvalersi dei suoi diritti di marchio e d'autore per inibirle la pubblicizzazione dei prodotti Dior che essa mette in vendita.
12 Di conseguenza, lo Hoge Raad ha reputato necessario sottoporre alla Corte di giustizia del Benelux (in prosieguo: la «Corte del Benelux») talune questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa e alla Corte di giustizia delle Comunità europee le questioni pregiudiziali riguardanti il diritto comunitario. In tale contesto, lo Hoge Raad ha chiesto quale sia nel caso di specie - se la Corte del Benelux o esso stesso - il giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno e che sia per tale motivo tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del Trattato.
13 Lo Hoge Raad ha inoltre rilevato come, sebbene alla data dell'ordinanza di rinvio gli Stati del Benelux non avessero ancora adeguato la loro normativa alla direttiva, pur essendo scaduto il termine prescritto a tal fine, l'interpretazione della direttiva non potesse considerarsi priva di pertinenza alla luce della giurisprudenza della Corte secondo cui, quando un privato si avvale di una direttiva che non è stata recepita nell'ordinamento nazionale nel termine prescritto, si deve interpretare il diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva (v., in particolare, sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I-3325). Peraltro, qualora le norme nazionali di cui trattasi non potessero essere interpretate conformemente alla direttiva, sorgerebbe una questione d'interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato.
14 Di conseguenza, lo Hoge Raad ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni:
«1) Nell'ambito di una causa in materia di diritto di marchio promossa in uno degli Stati del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux sui marchi d'impresa, in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (89/104/CEE), se sia la Corte suprema nazionale o la Corte di giustizia del Benelux il giudice nazionale avverso le cui decisioni non si può proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno e che è pertanto tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia in forza dell'art. 177, terzo comma, del Trattato CE.
2) Se, in caso di vendita di prodotti messi in commercio nella Comunità con un determinato marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, sia ammissibile, conformemente alla ratio della direttiva sopra citata, in particolare degli artt. 5-7 della medesima direttiva, che il rivenditore faccia anch'esso uso di tale marchio per promuovere quest'ulteriore commercializzazione.
3) In caso di soluzione affermativa della seconda questione, se siano possibili deroghe a tale regola.
4) In caso di soluzione affermativa della terza questione, se sia ammessa una deroga qualora la funzione pubblicitaria del marchio venga compromessa in conseguenza del fatto che il distributore, per il modo in cui fa uso del marchio nell'attività promozionale sopra menzionata, nuoce all'immagine di lusso e di prestigio di tale marchio.
5) Se sussistano "motivi legittimi" ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva quando il modo in cui il rivenditore pubblicizza i prodotti modifichi o alteri il loro "stato immateriale", vale a dire lo stile, l'immagine di prestigio e l'aura di lusso riflessi da tali prodotti per effetto delle modalità di presentazione e di pubblicità scelti dal titolare del marchio nell'esercizio dei suoi diritti di marchio.
6) Se gli artt. 30 e 36 del Trattato CE ostino a che il titolare di un marchio (emblematico) o il titolare del diritto d'autore sui flaconi e sulle confezioni utilizzati per i suoi prodotti eserciti il suo diritto di marchio o il suo diritto d'autore per inibire a un rivenditore, al quale è consentita l'ulteriore commercializzazione di detti prodotti, la possibilità di pubblicizzarli avvalendosi delle modalità in uso nel settore considerato. Se ciò valga anche quando il rivenditore, per il modo in cui usa il marchio nel proprio materiale pubblicitario, compromette l'immagine di lusso e di prestigio del detto marchio o quando la diffusione o la riproduzione avviene in circostanze atte a ledere i diritti del titolare del diritto d'autore».
Sulla prima questione
15 L'ordinanza di rinvio fa emergere quanto segue:
- la Corte del Benelux è stata istituita con un trattato, firmato a Bruxelles il 31 marzo 1965, tra il Regno del Belgio, il Granducato di Lussemburgo e il Regno dei Paesi Bassi ed è composta di giudici delle Corti supreme di ciascuno dei tre Stati sopra menzionati;
- ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, n. 3, di tale trattato e 10 della convenzione Benelux in materia di marchi d'impresa, stipulata il 19 marzo 1962 dai tre Stati membri del Benelux, lo Hoge Raad è tenuto, di norma, a sottoporre in via pregiudiziale alla Corte del Benelux le questioni relative all'interpretazione della legge uniforme del Benelux sui marchi d'impresa, il cui testo è allegato alla detta convenzione.
16 L'art. 6 del trattato che istituisce la Corte del Benelux così dispone:
«1. Nei casi qui di seguito specificati, la Corte del Benelux è competente a pronunciarsi sulle questioni d'interpretazione delle norme di cui all'art. 1, che sorgano nell'ambito di controversie pendenti sia dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno dei tre Stati, la cui sede si trovi nel loro territorio in Europa (..).
2. Quando la decisione di una causa pendente dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale implica la soluzione di una questione d'interpretazione di una delle norme di cui all'art. 1, esso può, qualora reputi necessaria una pronuncia su tale punto per emanare la sua sentenza, sospendere anche d'ufficio qualsiasi decisione definitiva affinché la Corte del Benelux si pronunci sulla questione d'interpretazione.
3. Quando ricorrono le condizioni stabilite al n. 2, l'organo giurisdizionale nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno è tenuto a rivolgersi alla Corte del Benelux (...)».
17 Inoltre, ai sensi dell'art. 7, n. 2, del medesimo trattato,
«I giudici nazionali che si pronunciano successivamente in quella causa sono vincolati dall'interpretazione risultante dalla pronuncia della Corte del Benelux».
18 E' nel contesto di tale sistema giuridico che il giudice nazionale chiede, con la prima questione, quale sia - se la Corte suprema nazionale o la Corte del Benelux - l'organo giurisdizionale nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno e che è tenuto, a tale titolo, a rivolgersi alla Corte, ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del Trattato, nel caso in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione della direttiva nell'ambito di un procedimento instaurato in uno degli Stati membri del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa.
19 Per risolvere tale questione, occorre esaminare anzitutto se un organo giurisdizionale come la Corte del Benelux abbia la facoltà di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte e, in caso di soluzione affermativa, se possa essere tenuta a farlo.
20 Si deve rilevare, in primo luogo, come la questione posta dal giudice nazionale proceda giustamente dalla considerazione preliminare che un organo giurisdizionale come la Corte del Benelux è un organo che può sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte.
21 Non vi è, infatti, alcun motivo valido che possa giustificare che ad un organo giurisdizionale del genere, comune a vari Stati membri, non sia consentito di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte alla stessa stregua degli organi giurisdizionali propri a ciascuno di tali Stati membri.
22 A tale riguardo si deve considerare, in particolare, che la Corte del Benelux ha il compito di garantire l'uniformità nell'applicazione delle norme giuridiche comuni ai tre Stati del Benelux e che il procedimento instaurato dinanzi ad essa costituisce un incidente nell'ambito delle cause pendenti dinanzi ai giudici nazionali, in esito al quale viene fissata l'interpretazione definitiva delle norme giuridiche comuni al Benelux.
23 Consentire ad un organo giurisdizionale come la Corte del Benelux, quando si trova a dover interpretare norme di diritto comunitario nell'esercizio delle sue funzioni, di avvalersi del procedimento previsto dall'art. 177 del Trattato risponde quindi all'obiettivo di tale norma, che è quello di salvaguardare l'uniformità d'interpretazione del diritto comunitario.
24 Quanto poi alla questione se un organo giurisdizionale come la Corte del Benelux possa essere tenuto ad adire la Corte, occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del Trattato, quando una questione pregiudiziale è sollevata in un giudizio pendente davanti ad una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte di giustizia.
25 Secondo la giurisprudenza della Corte, tale obbligo di adire la Corte rientra nell'ambito della cooperazione istituita al fine di garantire la corretta applicazione e l'interpretazione uniforme del diritto comunitario nell'insieme degli Stati membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell'applicazione delle norme comunitarie, e la Corte di giustizia (v., in particolare, sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e Lanificio di Gavardo, Racc. pag. 3415, punto 7). Risulta del pari dalla giurisprudenza che l'art. 177, terzo comma, mira, più in particolare, ad evitare che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme comunitarie (v., in particolare, sentenze 24 maggio 1977, causa 107/76, Hoffmann-La Roche, Racc. pag. 957, punto 5, e 27 ottobre 1982, cause riunite 35/82 e 36/82, Morson e Jhanjan, Racc. pag. 3723, punto 8).
26 Va rilevato al riguardo come, poiché non è previsto alcun rimedio giurisdizionale avverso la decisione di un organo giurisdizionale quale la Corte del Benelux, che si pronuncia in via definitiva sulle questioni d'interpretazione delle leggi uniformi del Benelux, tale organo possa essere tenuto a rivolgersi alla Corte, ai sensi dell'art. 177, terzo comma, quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d'interpretazione della direttiva.
27 Per quanto riguarda, peraltro, la questione se lo Hoge Raad possa essere tenuto a sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte, è pacifico che un siffatto organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, non può emettere la propria sentenza senza rivolgersi preliminarmente alla Corte, in forza dell'art. 177, terzo comma, del Trattato, quando una questione relativa all'interpretazione del diritto comunitario venga sollevata dinanzi ad essa.
28 Tuttavia, da ciò non consegue necessariamente che in una situazione come quella descritta dallo Hoge Raad i due organi giurisdizionali siano effettivamente tenuti a rivolgersi alla Corte.
29 Infatti, per giurisprudenza costante della Corte, se l'art. 177, ultimo comma, impone, senza restrizioni, ai fori nazionali le cui decisioni non sono impugnabili secondo l'ordinamento interno di deferire alla Corte qualsiasi questione d'interpretazione davanti ad essi sollevata, l'autorità dell'interpretazione data dalla Corte ai sensi dell'art. 177 può tuttavia far cadere la causa di tale obbligo e così renderlo senza contenuto. Ciò si verifica in ispecie qualora la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale (v., in particolare, sentenze Cilfit e Lanificio di Gavardo, citata, punto 13, e 27 marzo 1963, cause riunite 28/62, 29/62 e 30/62, Da Costa e a., Racc. pag. 73). E' così, a maggior ragione, quando la questione sollevata è materialmente identica ad una questione già decisa in via pregiudiziale nell'ambito della medesima causa nazionale.
30 Ne consegue che, se un organo giurisdizionale come lo Hoge Raad, prima di adire la Corte del Benelux, si avvale della sua facoltà di deferire la questione sollevata alla Corte di giustizia, l'autorità dell'interpretazione data da quest'ultima può liberare una giurisdizione come la Corte del Benelux dall'obbligo di sottoporre una questione materialmente identica prima di emettere la sua sentenza. Per converso, in assenza di una previa adizione della Corte di giustizia da parte di un organo giurisdizionale come lo Hoge Raad, un organo giurisdizionale come la Corte del Benelux è tenuto a sottoporre la questione sollevata alla Corte, la cui decisione esonera a quel punto lo Hoge Raad dall'obbligo di deferire una questione materialmente identica prima di emettere la sua sentenza.
31 Occorre quindi risolvere la prima questione dichiarando che, nel caso in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione della direttiva nell'ambito di in procedimento instaurato in uno degli Stati membri del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa, un organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, come nel caso di specie tanto la Corte del Benelux quanto lo Hoge Raad, è tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del Trattato. Tale obbligo diventa privo di causa e quindi di contenuto quando la questione sollevata è materialmente identica a una questione già decisa in via pregiudiziale nell'ambito della medesima causa nazionale.
Sulla seconda questione
32 Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se gli artt. 5-7 della direttiva debbano essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, un rivenditore ha, oltre alla facoltà di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di utilizzare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei detti prodotti.
33 Per risolvere tale questione, occorre anzitutto ricordare le disposizioni pertinenti degli articoli della direttiva richiamati dal giudice nazionale.
34 L'art. 5 della direttiva, che stabilisce i diritti conferiti da un marchio, prevede, al n. 1, che il titolare ha il diritto di vietare ai terzi l'uso del marchio nel commercio e, al n. 3, lett. d), che può essere vietato ai terzi l'uso del marchio nella pubblicità.
35 L'art. 7, n. 1, della direttiva, riguardante l'esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa, stabilisce che questo diritto non permette al titolare dello stesso di vietare l'uso del marchio per prodotti immessi in commercio nella Comunità col detto marchio dal medesimo titolare o con il suo consenso.
36 Si deve poi constatare che, se il diritto conferito al titolare di un marchio dall'art. 5 della direttiva di vietare l'uso del suo marchio per determinati prodotti si esaurisce all'atto dell'immissione in commercio dei prodotti stessi da parte del medesimo titolare o con il suo consenso, lo stesso accade al diritto di utilizzare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei detti prodotti.
37 Emerge infatti dalla giurisprudenza della Corte che l'art. 7 della direttiva dev'essere interpretato alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, in particolare dell'art. 36 (v. sentenza 11 luglio 1996, cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93, Bristol-Myers Squibb e a., Racc. pag. I-3457, punto 27), e che il principio dell'esaurimento è diretto ad evitare che il titolare di un marchio possa isolare i mercati nazionali e favorire in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo che possono esistere fra gli Stati membri (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., già citata, punto 46). Ebbene, qualora il diritto di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione non si esaurisse alla stessa stregua del diritto di vendita, quest'ultima verrebbe resa notevolmente più difficile compromettendo in tal modo l'obiettivo insito nel principio dell'esaurimento sancito dall'art. 7.
38 Di conseguenza, la seconda questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 5 e 7 della direttiva devono essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, il rivenditore ha, oltre alla facoltà di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi.
Sulle questioni terza, quarta e quinta
39 Con la terza, quarta e quinta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice nazionale chiede in sostanza se la regola risultante dalla soluzione della seconda questione ammetta deroghe, in particolare
- quando la funzione pubblicitaria del marchio è compromessa in conseguenza del fatto che il rivenditore, per il modo in cui fa uso del marchio nell'attività promozionale, nuoce all'immagine di lusso e di prestigio di tale marchio, e
- quando il modo in cui il rivenditore pubblicizza i prodotti modifica o altera il loro «stato immateriale», vale a dire lo stile, l'immagine di prestigio dei prodotti nonché l'aura di lusso che li circonda per effetto delle modalità di presentazione e di pubblicità scelte dal titolare del marchio nell'esercizio dei suoi diritti di marchio.
40 Si deve ricordare in proposito che, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, il principio dell'esaurimento sancito nel n. 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con il marchio, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio.
41 Occorre quindi esaminare se le ipotesi descritte dal giudice nazionale costituiscano motivi legittimi ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, che consentono al titolare del marchio di opporsi all'uso di quest'ultimo da parte di un rivenditore al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con quel marchio.
42 A tale riguardo, si deve anzitutto ricordare che, per giurisprudenza costante, l'art. 7 della direttiva disciplina in modo completo la materia dell'esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio nella Comunità e che l'uso dei termini «in particolare», al n. 2, indica che l'ipotesi relativa alla modifica o all'alterazione dello stato dei prodotti contrassegnati con il marchio è menzionata solo come esempio di un possibile motivo legittimo (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punti 26 e 39). Inoltre, tale norma mira a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti di marchio e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato comune (sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punto 40).
43 Si deve poi constatare che il pregiudizio arrecato alla reputazione del marchio può costituire, in via di principio, un motivo legittimo ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva perché il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti messi in commercio nella Comunità dal titolare stesso o con il suo consenso. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte in materia di riconfezionamento di prodotti muniti di marchio, il titolare del marchio ha un interesse legittimo, connesso all'oggetto specifico del diritto di marchio, a poter opporsi alla messa in commercio del prodotto se la presentazione del prodotto riconfezionato è atta a nuocere alla reputazione del marchio (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punto 75).
44 Ne consegue che, nel caso in cui un rivenditore utilizzi un marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione di prodotti contrassegnati col marchio stesso, dev'essere contemperato l'interesse legittimo del titolare del marchio ad essere tutelato contro i rivenditori che facciano uso del suo marchio a fini pubblicitari avvalendosi di modalità che potrebbero nuocere alla reputazione del marchio stesso con l'interesse del rivenditore a poter mettere in vendita i prodotti in questione avvalendosi delle modalità pubblicitarie correnti nel suo settore di attività.
45 In una fattispecie come quella in esame nella causa principale, riguardante prodotti di lusso e di prestigio, il rivenditore non deve agire in spregio agli interessi legittimi del titolare del marchio. Egli deve quindi adoperarsi per evitare che la sua pubblicità comprometta il valore del marchio, danneggiando lo stile e l'immagine di prestigio dei prodotti in oggetto nonché l'aura di lusso che li circonda.
46 Ciònondimeno, si deve altresì constatare che il fatto che un rivenditore, il quale commercia abitualmente con articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità, utilizzi per prodotti contrassegnati con il marchio modalità pubblicitarie che sono correnti nel suo settore di attività pur non corrispondendo a quelle utilizzate dal titolare stesso o dai suoi distributori autorizzati non costituisce un motivo legittimo, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, che consenta al titolare di opporsi a tale pubblicità, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio fatto dal rivenditore a fini pubblicitari nuoce gravemente alla reputazione del marchio stesso.
47 Un grave pregiudizio del genere potrebbe intervenire qualora il rivenditore non avesse avuto cura, nell'opuscolo pubblicitario da lui diffuso, di evitare di collocare il marchio in un contesto che rischierebbe di svilire fortemente l'immagine che il titolare è riuscito a creare attorno al suo marchio.
48 Alla luce delle considerazioni che precedono, la terza, la quarta e la quinta questione devono essere risolte dichiarando che il titolare di un marchio non può inibire, in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva, a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio stesso, conformemente alle modalità correnti nel suo settore di attività, al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso.
Sulla sesta questione
49 Con la sesta questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se gli artt. 30 e 36 del Trattato ostino a che il titolare di un diritto di marchio o il titolare di un diritto d'autore sui flaconi e sulle confezioni utilizzati per i suoi prodotti eserciti il suo diritto di marchio o il suo diritto d'autore per inibire a un rivenditore l'attività pubblicitaria connessa all'ulteriore commercializzazione di detti prodotti con le modalità correnti tra i dettaglianti del settore considerato. Esso chiede inoltre se ciò valga anche quando il rivenditore, per il modo in cui usa il marchio nella sua pubblicità, comprometta l'immagine di lusso e di prestigio del detto marchio o quando la diffusione o la riproduzione avvenga in circostanze atte a ledere il titolare del diritto d'autore.
50 Tali questioni muovono dalle seguenti premesse:
- che, in base al diritto nazionale vigente in materia, nelle ipotesi sopra descritte il titolare del marchio o del diritto d'autore possa legittimamente vietare ad un rivenditore di pubblicizzare l'ulteriore commercializzazione dei prodotti, e
- che un divieto di tal genere costituisca un ostacolo alla libera circolazione delle merci vietata dall'art. 30 del Trattato, a meno che non sia giustificato da uno dei motivi enunciati nell'art. 36 del medesimo Trattato.
51 Contrariamente a quanto sostiene la Dior, è corretta la valutazione del giudice nazionale secondo cui un divieto come quello di cui trattasi nella causa principale può costituire una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa vietata, in via di principio, dall'art. 30. Al riguardo, è sufficiente rilevare che, ai termini dell'ordinanza di rinvio, la controversia nel procedimento a quo verte su prodotti ottenuti dal rivenditore tramite importazioni parallele e un provvedimento inibitorio dell'attività pubblicitaria come quello chiesto nell'ambito del procedimento a quo renderebbe la commercializzazione e, di conseguenza, l'accesso al mercato di tali prodotti notevolmente più difficili.
52 Occorre pertanto accertare se un provvedimento inibitorio come quello richiesto nel procedimento a quo sia ammissibile alla luce dell'art. 36 del Trattato, secondo cui gli artt. da 30 a 34 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione giustificati da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale purché non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
53 Con riguardo alla questione relativa al diritto del titolare di un marchio, si deve ricordare che, per giurisprudenza della Corte, l'art. 36 del Trattato e l'art. 7 della direttiva devono essere interpretati in modo identico (sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punto 40).
54 Di conseguenza, e tenuto conto delle soluzioni date alla seconda, terza, quarta e quinta questione, tale parte della sesta questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 30 e 36 del Trattato devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio non può inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio, conformemente alle modalità correnti nel suo settore di attività, al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso.
55 Con riguardo alla parte della sesta questione concernente il diritto d'autore, occorre rilevare come, secondo la giurisprudenza della Corte, i motivi ispirati alla tutela della proprietà industriale e commerciale ai sensi dell'art. 36 comprendano la tutela fornita attraverso il diritto d'autore (sentenza 20 gennaio 1981, cause riunite 55/80 e 57/80, Musik-Vertrieb membran/Gema, Racc. pag. 147, punto 9).
56 Ora, le opere letterarie e artistiche possono essere sfruttate commercialmente vuoi mediante pubbliche rappresentazioni, vuoi mediante la riproduzione e la messa in circolazione dei supporti materiali ottenuti, e le due prerogative essenziali dell'autore, il diritto esclusivo di rappresentazione e il diritto esclusivo di riproduzione, sono lasciate intatte dalle norme del Trattato (sentenza 17 maggio 1988, causa 158/86, Warner Brothers e a./Christiansen, Racc. pag. 2605, punto 13).
57 Risulta inoltre dalla giurisprudenza che lo sfruttamento commerciale del diritto d'autore, oltre a costituire una fonte di reddito per il suo titolare, costituisce anche una forma di controllo della messa in commercio da parte del titolare stesso e, sotto questo profilo, lo sfruttamento commerciale del diritto d'autore pone gli stessi problemi sollevati dallo sfruttamento di altri diritti di proprietà industriale o commerciale (v. sentenza Musik-Vertrieb membran/Gema, citata, punto 13). La Corte ha così constatato che il diritto esclusivo di sfruttamento conferito dal diritto d'autore non può essere invocato dal suo titolare per impedire o limitare l'importazione di supporti del suono che incorporino opere tutelate che siano state legittimamente messe in commercio sul mercato di un altro Stato membro dal titolare stesso o con il suo consenso (v. sentenza Musik-Vertrieb membran, citata, punto 15).
58 Alla luce di tale giurisprudenza - e senza che occorra pronunciarsi sulla questione diretta ad accertare se un diritto d'autore e un diritto di marchio possano essere contemporaneamente invocati in relazione al medesimo prodotto - è sufficiente constatare che, in circostanze come quelle in esame nel procedimento a quo, la tutela conferita dal diritto d'autore per quanto riguarda la riproduzione delle opere tutelate nel materiale pubblicitario del rivenditore non può, in ogni caso, essere più ampia di quella conferita nelle medesime circostanze al titolare del diritto di marchio.
59 Di conseguenza, la sesta questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 30 e 36 del Trattato devono essere interpretati nel senso che il titolare di un diritto di marchio o di un diritto d'autore non può inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità dei prodotti tutelati, l'uso di tali prodotti, conformemente alle modalità correnti nel suo settore di attività, al fine di promuovere la loro ulteriore commercializzazione, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso dei detti prodotti a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso.
Sulle spese
60 Le spese sostenute dai governi francese, italiano e del Regno Unito nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi con ordinanza 20 ottobre 1995, dichiara:
1) Nel caso in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nell'ambito di in procedimento instaurato in uno degli Stati membri del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa, un organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, come nel caso di specie tanto la Corte del Benelux quanto lo Hoge Raad dei Paesi Bassi, è tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del Trattato CE. Tale obbligo diventa privo di causa e quindi di contenuto quando la questione sollevata è materialmente identica a una questione già decisa in via pregiudiziale nell'ambito della medesima causa nazionale.
2) Gli artt. 5 e 7 della direttiva 89/104 devono essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, il rivenditore ha, oltre alla facoltà di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi.
3) Il titolare di un marchio non può inibire, in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio stesso, conformemente alle modalità correnti nel suo settore di attività, al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso.
4) Gli artt. 30 e 36 del Trattato CE devono essere interpretati nel senso che il titolare di un diritto di marchio o di un diritto d'autore non può inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualità dei prodotti tutelati, l'uso di tali prodotti, conformemente alle modalità correnti nel suo settore di attività, al fine di promuovere la loro ulteriore commercializzazione, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso dei detti prodotti a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio.