61995C0359

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 13 maggio 1997. - Commissione delle Comunità europee e Repubblica francese contro Ladbroke Racing Ltd. - Concorrenza - Artt. 85, 86 e 90 del Trattato CE - Rigetto di una denuncia vertente al contempo su provvedimenti statali e su un comportamento privato - Applicabilità degli artt. 85 e 86 alle imprese che si conformano a una normativa nazionale. - Cause riunite C-359/95 P e C-379/95 P.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-06265


Conclusioni dell avvocato generale


Nella presente causa la Corte è chiamata a pronunciarsi sull'impugnazione proposta dalla Commissione e dalla Repubblica francese, in forza dell'art. 49 dello Statuto CEE della Corte, avverso la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 18 settembre 1995 (1). La sentenza impugnata aveva accolto il ricorso proposto dalla società inglese Ladbroke Racing Ltd ai sensi dell'art. 173 del Trattato CE (in prosieguo: il «Trattato»), volto all'annullamento della decisione della Commissione 29 luglio 1993; con la detta decisione la Commissione aveva respinto una denuncia presentata dalla Ladbroke il 24 ottobre 1989 (IV/33.374), vertente sulle modalità di organizzazione in Francia delle scommesse ippiche del tipo «pari mutuel» (2) (scommesse al totalizzatore), nonché sui diritti esclusivi concessi dalla normativa francese al Pari mutuel urbain (in prosieguo: il «PMU»), vale a dire a un consorzio nazionale (francese) di imprese.

Giova sottolineare anzitutto che, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha adottato un approccio ermeneutico agli artt. 85 e 86 che presenta profili particolarmente interessanti, e la cui correttezza è ora al vaglio della Corte.

I - Fatti e procedimento

1 I fatti di causa sono descritti esaurientemente ai punti 1-25 della sentenza impugnata, cui faccio rinvio. Nel presente procedimento è sufficiente rammentare quanto segue.

2 Il 24 novembre 1989 la Ladbroke presentava alla Commissione una denuncia (IV/33.374) contro la Repubblica francese, le dieci principali società di corse in Francia (3) e il PMU (4). Nella parte della denuncia diretta contro il PMU e le società che ne fanno parte, la Ladbroke, in base all'art. 3 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17 (5) (in prosieguo: il «regolamento n. 17»), chiedeva alla Commissione quanto segue:

In primo luogo, di accertare e di ingiungere che fosse posto fine a infrazioni all'art. 85, n. 1, del Trattato CEE, derivanti dagli accordi o dalle pratiche concordate delle società di corse autorizzate in Francia tra loro e con il PMU. Tali accordi o pratiche concordate sarebbero stati diretti, da una parte, a concedere al PMU diritti esclusivi per la gestione e l' organizzazione delle scommesse al totalizzatore fuori ippodromo sulle corse organizzate o controllate dalle dette società, dall'altra, ad appoggiare una domanda per il conseguimento di un aiuto di Stato a favore del PMU e, infine, a consentire al PMU di estendere le sue attività a Stati membri diversi dalla Francia.

Chiedeva, in secondo luogo, di accertare e di ingiungere la cessazione delle infrazioni all'art. 86 del Trattato CEE, derivanti, da una parte, dalla concessione al PMU dei diritti esclusivi per la gestione e l'organizzazione delle scommesse fuori ippodromo e, dall'altra, dall'ottenimento da parte del PMU di un aiuto di Stato illegittimo. La ricorrente chiedeva inoltre alla Commissione di ingiungere al PMU di rimborsare l'illegittimo aiuto di Stato di cui esso aveva così fruito, maggiorato degli interessi al tasso di mercato. La Ladbroke segnalava poi alla Commissione altri abusi di posizione dominante da parte del PMU (6). Infine, secondo la Ladbroke, la concorrenza sarebbe stata ostacolata dagli stretti legami che univano il PMU ai suoi principali fornitori.

3 Nella parte della sua denuncia diretta contro la Repubblica francese, la Ladbroke chiedeva alla Commissione, a norma dell'art. 90, n. 3, del Trattato CEE, di adottare una decisione allo scopo di porre fine alla violazione da parte della Repubblica francese delle seguenti disposizioni:

In primo luogo, degli artt. 3, lett. f), 5, 52, 53, 85, 86 e 90, n. 1, del Trattato, a seguito dell'emanazione e del mantenimento in vigore della citata normativa francese, la quale conferisce un fondamento giuridico agli accordi delle società di corse tra loro, da una parte, e con il PMU, dall'altra. La Ladbroke contestava tale normativa in quanto concedeva al PMU diritti esclusivi in materia di accettazione di scommesse fuori ippodromo, vietando a chiunque di effettuare o di accettare, se non tramite il PMU, scommesse fuori ippodromo sulle corse ippiche organizzate in Francia.

In secondo luogo, degli artt. 3, lett. f), 52, 53, 59, 62, 85, 86 e 90, n. 1, del Trattato, a seguito dell'emanazione e del mantenimento in vigore della citata normativa, che vieta di effettuare liberamente in Francia scommesse su corse organizzate all'estero.

In terzo luogo, degli artt. 90, n. 1, 92 e 93 del Trattato, a seguito degli aiuti illegittimi concessi al PMU.

4 Con lettera 11 agosto 1992 la Ladbroke intimava alla Commissione, in conformità all'art. 175 del Trattato CEE, di pronunciarsi entro il termine di due mesi sulla sua denuncia del 24 novembre 1989. Con lettera 12 ottobre 1992 la Commissione informava la Ladbroke che i suoi servizi continuavano ad esaminare la denuncia, ma che tale esame richiedeva parecchio tempo. Il 21 dicembre 1992 la Ladbroke proponeva ricorso per carenza ai sensi dell'art. 175 del Trattato, diretto a far dichiarare che la Commissione si era astenuta dall'adottare una decisione sugli aspetti della sua denuncia rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 90. Tale ricorso veniva dichiarato irricevibile dal Tribunale con sentenza 27 ottobre 1994 (7).

5 Per quanto riguarda gli aspetti della denuncia della Ladbroke relativi alle pretese violazioni degli artt. 85 e 86 del Trattato da parte delle società di corse francesi e del PMU, con lettera 9 febbraio 1993 la Commissione informava la Ladbroke, in conformità all'art. 6 del regolamento n. 99/63, che essa non prevedeva di dare loro esito favorevole. Con decisione 29 luglio 1993 la Commissione respingeva effettivamente la denuncia della Ladbroke sulla base dei motivi esposti tanto in tale lettera quanto nella lettera 9 febbraio 1993.

6 Avverso la decisione della Commissione la Ladbroke proponeva dinanzi al Tribunale di primo grado il ricorso 19 ottobre 1993, dando luogo al procedimento in cui è intervenuto anche il governo francese. Il ricorso della Ladbroke veniva accolto con la sentenza del Tribunale 18 settembre 1995, causa T-548/93 (8), la quale ha, tra l'altro, annullato la decisione della Commissione 29 luglio 1993. La sentenza de qua è stata impugnata dalla Commissione in data 22 novembre 1995 (causa C-359/95 P) e dalla Repubblica francese in data 27 novembre 1995 (causa C-379/95 P). Con ordinanza 29 gennaio 1996 il Presidente della Corte ha disposto la riunione delle cause ai fini della trattazione scritta e orale nonché dell'emanazione della sentenza.

7 La Commissione chiede di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui quest'ultima annulla la sua decisione di rigetto della denuncia, di respingere in quanto infondato il ricorso proposto dalla Ladbroke dinanzi al Tribunale e di condannare la Ladbroke a tutte le spese.

La Repubblica francese chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui quest'ultima annulla la decisione di rigetto della denuncia; chiede inoltre di accogliere le domande che la Commissione aveva proposto dinanzi al Tribunale.

La Ladbroke chiede che la Corte voglia respingere i ricorsi, condannare la Commissione e la Repubblica francese alle spese e, in subordine, qualora la Corte dovesse accogliere i ricorsi, esaminare i punti del ricorso della Ladbroke non risolti in primo grado con la sentenza impugnata, ovvero rinviare la causa al Tribunale perché si pronunci sugli stessi.

II - La sentenza impugnata

8 Gli aspetti più salienti su cui si fonda il dispositivo della sentenza del Tribunale sono illustrati ai punti 43 e 46-51 della stessa, nei quali si legge:

«(43) Il Tribunale ritiene che, nel caso di specie, occorre esaminare innanzi tutto la censura relativa al trattamento dei due aspetti della denuncia, concernenti, rispettivamente, le asserite violazioni degli artt. 85 e 86 e dell'art. 90 del Trattato, nei limiti in cui tale questione mette in discussione il modo generale con cui la Commissione ha proceduto all'esame della denuncia. E' necessario in particolare esaminare il problema di sapere se la Commissione fosse tenuta a valutare la compatibilità della legislazione nazionale francese con il Trattato prima di adottare la decisione impugnata ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato (...).

(46) Il Tribunale constata che, nel caso di specie, la Commissione ha avviato la procedura d'esame della denuncia della ricorrente ai sensi dell'art. 90 del Trattato, al fine di valutare la compatibilità della normativa nazionale francese con le altre disposizioni del Trattato e che tale procedura è ancora pendente. Di conseguenza è necessario valutare se la Commissione potesse respingere definitivamente la denuncia della ricorrente ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato e del regolamento n. 17, senza avere in precedenza concluso l'esame della denuncia ai sensi dell'art. 90 del Trattato.

(47) A tal riguardo, il Tribunale rileva che la Commissione ha sostenuto, nell'ambito della fase scritta del procedimento e durante la trattazione orale, che il problema di concorrenza sollevato dalla denuncia della ricorrente potrebbe essere risolto solo attraverso l'esame della compatibilità della normativa nazionale francese relativa al monopolio legale del PMU con le norme del Trattato e attraverso un eventuale intervento ai sensi dell'art. 90 del Trattato e che, di conseguenza, tale esame assumeva un carattere prioritario, essendo i suoi risultati validi per tutti gli accordi preventivi o futuri tra le società di corse (controricorso, punto 46). Di conseguenza, il Tribunale considera che, ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato, la valutazione dei comportamenti delle società di corse e del PMU, descritti dalla Ladbroke nella sua denuncia, non ha potuto essere pienamente effettuata senza una previa valutazione della normativa nazionale alla luce delle disposizioni del Trattato.

(48) Infatti, qualora la Commissione constatasse la conformità della normativa nazionale interessata alle disposizioni del Trattato, la conformità dei comportamenti delle società di corse e del PMU a tale normativa nazionale farebbe sì che anche questi ultimi dovrebbero essere considerati conformi agli artt. 85 e 86 del Trattato, mentre la mancanza di conformità dei comportamenti di cui trattasi alla normativa nazionale potrebbe portare alla conclusione che essi costituiscono direttamente infrazioni a tali norme del Trattato.

(49) Per contro, qualora la Commissione constatasse che la normativa nazionale non è conforme alle disposizioni del Trattato, essa dovrebbe valutare, successivamente, se il fatto che le società e il PMU si conformino alle disposizioni di una normativa nazionale contraria al Trattato possa o meno dar luogo all'adozione di provvedimenti nei loro confronti, diretti a porre fine a violazioni degli artt. 85 e 86 del Trattato.

(50) Pertanto, adottando la decisione di respingere definitivamente la denuncia della ricorrente, ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato, senza avere in precedenza concluso l'esame della compatibilità della normativa nazionale francese con le disposizioni del Trattato, non si può ritenere che la Commissione abbia adempiuto il suo obbligo di esaminare attentamente gli elementi di fatto e di diritto sottoposti alla sua attenzione dai denuncianti (v. sentenza Automec/Commissione, già citata, punto 79) al fine di poter soddisfare l'esigenza di certezza che deve caratterizzare una decisione definitiva relativa all'esistenza o meno di un'infrazione (v. sentenza del Tribunale 24 gennaio 1992, causa T-44/90, La Cinq/Commissione, Racc. pag. II-1, punto 61). Essa non aveva dunque il diritto di concludere, in tale fase, per l'inapplicabilità delle citate disposizioni del Trattato ai comportamenti delle principali società di corse francesi e del PMU contestati dalla ricorrente e, di conseguenza, per l'assenza di interesse comunitario ad accertare le asserite infrazioni denunciate dalla ricorrente, poiché si trattava di passate infrazioni alle regole della concorrenza.

(51) Da quanto precede risulta che, avendo definitivamente respinto la denuncia della ricorrente facendo valere l'inapplicabilità degli artt. 85 e 86 del Trattato e l'assenza di interesse comunitario prima di concludere il suo esame dal punto di vista della compatibilità della normativa nazionale francese, contestata con tale denuncia, con le regole di concorrenza del Trattato, la Commissione ha fondato il suo ragionamento su un'interpretazione errata in diritto delle condizioni alle quali può essere operata una valutazione definitiva sull'esistenza o meno delle asserite infrazioni».

III - I motivi di annullamento

A - Nella causa C-359/95 P

Con il presente ricorso, la Commissione deduce tre motivi di annullamento:

1. Sul primo motivo di annullamento

9 La Commissione sostiene che il Tribunale ha errato nel ritenere che, allorché per la soluzione della stessa causa paiono rilevanti tanto l'art. 90 quanto gli artt. 85 e 86 del Trattato, la Commissione sia tenuta, prima di decidere sugli artt. 85 e 86 o prima di respingere la denuncia per assenza di interesse comunitario, a completare il suo esame alla luce dell'art. 90.

a) Sul primo profilo del primo motivo di annullamento

Il primo profilo del primo motivo fa riferimento al citato punto 47 della sentenza impugnata.

10 La Commissione sostiene di non aver mai affermato che l'unico modo per esaminare le denunce per violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato fosse quello di verificare, anzitutto, la compatibilità della pertinente normativa francese con il Trattato. Nel controricorso che aveva depositato dinanzi al Tribunale, essa si era limitata a spiegare che aveva dato la priorità all'esame della normativa francese dal punto di vista dell'art. 90, in quanto considerava tale normativa l'ostacolo più diretto alla concorrenza. Aveva peraltro ritenuto che non sussistesse un interesse comunitario ad esaminare il comportamento delle società di corse prima del 1974.

b) Sul secondo profilo del primo motivo di annullamento

11 Secondo la ricorrente il Tribunale, giungendo alla conclusione che la Commissione avrebbe dovuto completare il suo esame ai sensi dell'art. 90 prima di respingere le domande contenute nella denuncia fondate sugli artt. 85 e 86 del Trattato, ha stabilito un ordine gerarchico tra il procedimento previsto dal regolamento n. 17 e quello diretto contro uno Stato membro per inadempimento dei suoi obblighi. Questo ordine gerarchico, sostiene la Commissione, non è stato debitamente giustificato nella sentenza di primo grado e non è compatibile con la discrezionalità riconosciutale dal diritto comunitario nel decidere in quale ordine esaminare i fondamenti giuridici di una denuncia (9).

12 La Ladbroke afferma che l'argomento che la ricorrente trae dalla sentenza Rendo non è pertinente, giacché in realtà la Commissione non ha dato la priorità alla parte della denuncia fondata sull'art. 90, trascurandola invece fino al momento in cui la Ladbroke minacciò di avvalersi del procedimento ex art. 175. Sempre secondo la Ladbroke, il solo intento della Commissione nella presente causa era quello di evitare di rispondere alla questione se le pertinenti norme francesi contravvenissero al Trattato, sebbene tale risposta fosse necessaria per una corretta trattazione della denuncia. I propositi della Commissione si evincono, secondo la Ladbroke, dal fatto che a tutt'oggi essa non ha ancora deciso sulla compatibilità o meno della normativa francese de qua con il diritto comunitario.

2. Sul secondo motivo di annullamento

13 Nell'ambito del secondo motivo di annullamento la Commissione afferma che il Tribunale ha errato avendo omesso di prendere in considerazione la constatazione della Commissione secondo la quale, a prescindere dalla compatibilità o meno della legislazione francese con il Trattato, non vi era infrazione agli artt. 85 e 86 del Trattato stesso. La Commissione sottolinea che l'aver accertato la mancanza di alcuni dei presupposti necessari per l'applicazione delle citate disposizioni costituiva motivazione sufficiente a giustificare il rigetto della denuncia sotto il profilo di questi fondamenti giuridici, senza che occorresse procedere a un'analisi della compatibilità della normativa francese con il Trattato.

a) Sul primo profilo del secondo motivo di annullamento

14 La Commissione fa rinvio ai punti 6-10, 13 e 14 della sua decisione, in cui si spiega perché la denuncia della Ladbroke andasse respinta, osservando quanto segue: in primo luogo, non vi era alcun accordo o pratica concordata dimostrata in forza dei quali le principali società di corse ippiche concedevano diritti esclusivi al PMU prima della normativa del 1974. In secondo luogo, non vi era prova che, come sostiene la Ladbroke, tali società fossero intervenute presso le autorità francesi al fine di ottenere la concessione di un aiuto di Stato in favore del PMU; in ogni caso, quand'anche fossero dimostrati, tali atti non costituiscono una pratica concordata, in conformità alle norme comunitarie sulla concorrenza. In terzo luogo, mancano prove sull'estensione delle attività del PMU al di fuori della Francia. In quarto luogo, in ogni caso, il commercio intracomunitario non viene pregiudicato da quanto sopra, in quanto la legislazione francese ha comunque completamente isolato il mercato francese.

b) Sul secondo profilo del secondo motivo di annullamento

15 La Commissione sottolinea che, ai punti 11 e 12 della sua decisione, era giunta a concludere che non si poneva una questione di infrazione all'art. 86. In primo luogo, l'assegnazione al PMU del coordinamento e della concentrazione delle scommesse ippiche organizzate dalle società di corse non integra gli estremi di un abuso. In secondo luogo, gli scambi intracomunitari non potrebbero essere pregiudicati dall'attribuzione di diritti esclusivi al PMU, a causa del già menzionato isolamento in cui si trova il mercato francese in forza della normativa vigente. In terzo luogo, gli asseriti interventi per la concessione di un aiuto di Stato non costituiscono comportamento abusivo. In quarto luogo, per quanto riguarda lo sfruttamento che secondo la denuncia subiscono gli scommettitori del PMU, secondo la ricorrente occorre sottolineare quanto segue: l'asserito sfruttamento non è stato oggetto di una formale domanda di accertamento dell'infrazione; era peraltro il risultato della volontà del legislatore francese di limitare l'estensione delle scommesse. In ogni caso, non è stato dimostrato e, in definitiva, non può incidere sul commercio intracomunitario.

c) Sul terzo profilo del secondo motivo di annullamento

16 La Commissione ribadisce di aver potuto esaminare a sufficienza la denuncia e concludere che non vi era un interesse comunitario a constatare l'eventuale violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato, a prescindere dai risultati dell'esame volto all'accertamento di un'eventuale infrazione all'art. 90.

17 In ordine agli argomenti testé esposti, la Ladbroke obietta che la Commissione non può fondarsi sulla normativa francese per concludere che mancano determinati presupposti necessari per l'applicazione dell'art. 85, senza prima esaminare in che misura tale normativa sia compatibile con il diritto comunitario. A suo parere, se questa normativa contravviene alle disposizioni del Trattato, senza condurre a risultati legittimi, gli atti delle imprese che rientrerebbero direttamente nella sfera di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato se non vi fosse la normativa francese de qua non potrebbero essere coperti da tale normativa (10).

3. Sul terzo motivo di annullamento

18 La Commissione sostiene che la sentenza impugnata non è sufficientemente motivata. In primo luogo, non vi si precisano le ragioni per le quali la Commissione avrebbe dovuto esaminare la normativa francese dal punto di vista dell'art. 90 prima di respingere le domande contenute nella denuncia fondate sugli artt. 85 e 86. In secondo luogo, non vi si spiega perché la Commissione non potesse prendere in considerazione l'interesse comunitario per determinare l'ordine secondo il quale affrontare i diversi fondamenti giuridici della denuncia; inoltre, non risulta da alcun punto della sentenza impugnata la ragione per cui la valutazione della Commissione in ordine all'insussistenza di un interesse comunitario nella presente causa sarebbe errata.

19 La Ladbroke replica che le questioni testé illustrate sono spiegate a sufficienza nei punti 42-47 della sentenza impugnata.

B - Nella causa C-379/95 P

Il governo francese deduce tre motivi di annullamento.

1. Sul primo motivo di annullamento

20 La ricorrente ritiene che il Tribunale abbia errato non avendo preso in considerazione la giurisprudenza della Corte relativa all'applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato nei casi in cui il comportamento delle imprese interessate sia dettato dalla normativa nazionale, la quale le priva della possibilità di orientare liberamente la loro azione.

Il governo francese sostiene in particolare che, quando le imprese conservano libertà di azione, gli artt. 85 e 86 possono trovare applicazione indipendentemente dal contenuto dei provvedimenti nazionali (11). Invece, allorché le misure nazionali non consentono libertà di azione alle imprese, gli artt. 85 e 86 del Trattato non possono essere applicati fintantoché tali misure nazionali rimangono in vigore (12). In questo caso, a parere della ricorrente, l'esame della compatibilità della normativa nazionale con il Trattato sarebbe utile solo qualora la Commissione avesse potuto imporre alle imprese, in forza degli artt. 85 e 86, l'obbligo di non conformarsi alle dette norme nazionali in quanto incompatibili con il diritto comunitario. Orbene, a tutt'oggi né la Corte né il Tribunale hanno dichiarato che le imprese sono tenute a non conformarsi a un provvedimento nazionale che imponga loro obblighi contrastanti con il diritto comunitario. Il governo francese rinvia alla giurisprudenza con la quale la Corte ha negato l'effetto diretto orizzontale delle direttive (13).

Di conseguenza, siccome la normativa francese in vigore dopo il 1974 non consentiva alcun margine di azione alle società di corse francesi, ben poteva la Commissione respingere la parte della denuncia fondata sugli artt. 85 e 86 del Trattato, senza previamente esaminare la normativa francese alla luce dell'art. 90.

21 Nella sua comparsa di risposta la Commissione sostiene che, ai sensi del diritto comunitario, occorre distinguere tra i provvedimenti nazionali che impongono alle imprese comportamenti incompatibili con gli artt. 85 e 86 del Trattato e quelli che, senza imporre una condotta contrastante con le citate disposizioni comunitarie, creano un contesto normativo atto, di per sé, a limitare la libera concorrenza. Nel secondo caso l'art. 85 del Trattato può, in determinate circostanze, non trovare applicazione rispetto ad accordi tra imprese allorché non vi è un sensibile effetto sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari. Nel primo caso, al contrario, prosegue la Commissione, l'articolo de quo si applica, quand'anche il comportamento delle imprese sia completamente dettato dalla normativa nazionale, indipendentemente dalla sorte che tali disposizioni nazionali subiranno in forza del diritto comunitario (14). La Commissione afferma che un'impresa non solo può, bensì deve - in forza della preminenza del diritto comunitario e dell'effetto diretto degli artt. 85, n. 1, e 86 del Trattato - rifiutarsi di rispettare un provvedimento nazionale che le impone un comportamento in conflitto con le norme comunitarie sulla concorrenza.

In ogni caso, nella fattispecie, la Commissione si schiera in favore della tesi del governo francese, in quanto ritiene che la normativa francese del 1974 non imponga la conclusione di un accordo tra le società di corse, bensì attribuisca essa stessa in esclusiva al PMU l'organizzazione di scommesse al totalizzatore fuori ippodromo. Di conseguenza, stando al ragionamento della Commissione innanzi esposto, la limitazione della concorrenza discende direttamente dal provvedimento nazionale (15).

22 Da parte sua la Ladbroke non ammette che gli artt. 85 e 86 del Trattato non siano applicabili allorché l'azione di un'impresa è imposta da un provvedimento nazionale, per tutto il tempo in cui esso resta in vigore. Respinge inoltre la tesi secondo la quale si dovrebbero considerare in modo diverso gli accordi preesistenti, resi successivamente obbligatori da parte della legge nazionale, e gli accordi obbligatori fin dal momento della loro stipulazione. In ogni caso, tenuto conto dell' interpretazione delle norme comunitarie pertinenti seguita dal governo francese, si deve ammettere - sostiene la Ladbroke - che vi era nella fattispecie un margine di azione per le società di corse interessate, nell'ambito del quale esse hanno concluso i relativi accordi prima del 1974. L'autonomia tanto delle società che costituiscono il PMU quanto del PMU stesso è stata definitivamente abolita, stando agli argomenti della Ladbroke, soltanto dopo l'adozione del decreto del 1974.

Infine, la Ladbroke afferma che le disposizioni nazionali che contravvengono al Trattato non possono essere richiamate come elemento da cui desumere la mancanza di effetti negativi per il commercio intracomunitario. A suo parere, il fatto che non si possa imputare alle imprese di essersi conformate al loro diritto nazionale non osta alla constatazione che esse sono incorse in una violazione del diritto comunitario.

2. Sul secondo motivo di annullamento

a) Sul primo profilo del secondo motivo di annullamento

23 Secondo il governo francese il Tribunale ha errato non avendo preso in considerazione la costante giurisprudenza secondo la quale la persona che presenta una denuncia in forza del regolamento n. 17 non è legittimata a chiedere l'adozione da parte della Commissione di una decisione definitiva sulla sussistenza o meno di una violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato (16).

b) Sul secondo profilo del secondo motivo di annullamento

24 Il governo francese afferma che la Commissione può sempre respingere una denuncia diretta contro il comportamento di un'impresa che infrange le norme sulla concorrenza, ma che è dettato dalla legislazione nazionale, senza che occorra decidere della compatibilità di tale legislazione con il Trattato. Si deve osservare, secondo la ricorrente, che la motivazione addotta in subordine a giustificazione del rigetto della denuncia, attinente all'assenza di un interesse comunitario, si fonda su un fatto non contestato: dopo il 1974, l'assenza di condizioni di libera concorrenza sul mercato francese delle scommesse ippiche era conseguenza diretta della normativa francese; di conseguenza, l'eventuale accertamento di violazioni degli artt. 85 e 86 del Trattato da parte delle società di corse non avrebbe comportato alcun mutamento positivo nelle condizioni di concorrenza vigenti sul mercato francese delle scommesse ippiche dopo il 1974.

25 Secondo la Ladbroke, il Tribunale non ha dichiarato che la Commissione non poteva respingere una denuncia per carenza di interesse comunitario. Esso avrebbe in realtà annullato la decisione della Commissione in quanto la denuncia della Ladbroke era stata respinta in considerazione delle conseguenze della normativa francese sul mercato francese delle scommesse, senza però che fosse stata esaminata la compatibilità di tale normativa con le norme comunitarie sulla concorrenza.

3. Sul terzo motivo di annullamento

26 Il governo francese sostiene che il Tribunale, con la sentenza impugnata, pone in dubbio de facto la discrezionalità di cui la Commissione dispone nel decidere se agire nei confronti dello Stato membro che mantenga in vigore una normativa nazionale in contrasto con il Trattato. A tal fine sottolinea che, per giurisprudenza costante, la Commissione gode di un'ampia discrezionalità in ordine al se e al quando avviare un procedimento ai sensi degli artt. 169 o 90, n. 3, del Trattato. Sebbene nella sentenza impugnata non si dichiari espressamente che la Commissione è tenuta a ricorrere ai detti procedimenti, il governo francese si domanda quale sarebbe il significato pratico dell'esame della normativa francese alla luce delle norme comunitarie sulla concorrenza se, nel caso in cui si accertasse che essa non è compatibile con le norme comunitarie, la Commissione non traesse alcuna conseguenza giuridica da tale accertamento, decidendo di non avviare un procedimento ai sensi dell'art. 169 né di emanare una decisione in forza dell'art. 90, n. 3.

Infine, il governo francese contesta il punto 46 della sentenza impugnata, in cui ritiene che il Tribunale abbia riconosciuto che, se la Commissione non avesse avviato il procedimento ai sensi dell'art. 90 del Trattato, avrebbe potuto respingere le domande contenute nella denuncia e riferite agli artt. 85 e 86 del Trattato senza preliminarmente esaminare la normativa francese. Un'interpretazione del genere può indurre la Commissione ad annunciare, fin dal deposito di una denuncia, che non intende esaminare la normativa nazionale alla luce dell'art. 90, in modo da salvaguardare il proprio potere discrezionale.

27 La Ladbroke ritiene che il ragionamento del governo francese possa privare il denunciante del diritto conferitogli dal regolamento n. 17 di ottenere una decisione della Commissione sul merito della denuncia. La Commissione non è tenuta ad agire, ai sensi dell'art. 90 (17), e pertanto le denunce fondate sugli artt. 85 e 86 del Trattato possono essere sistematicamente respinte con la motivazione che il comportamento in esame è imposto da provvedimenti nazionali, che la Commissione non è tenuta ad esaminare. La Ladbroke ammette bensì che, a determinate condizioni, la Commissione possa essere legittimata a respingere una denuncia vertente su violazioni degli artt. 85 e 86 senza dover preliminarmente esaminare le norme nazionali pertinenti. Nondimeno, nella fattispecie l'esame delle disposizioni nazionali era imposto, a parere della Ladbroke, dall'esigenza di verificare la correttezza dell'iter logico seguito dalla Commissione nel respingere le domande contenute nella denuncia della Ladbroke e fondate sugli artt. 85 e 86. Se la Commissione avesse accertato l'incompatibilità di tali norme nazionali con il diritto comunitario, sarebbe stata allora tenuta, in forza dell'art. 155 del Trattato, ad adottare i provvedimenti necessari per ripristinare la situazione, a prescindere dalla presentazione di una denuncia ai sensi del regolamento n. 17.

IV - Esame dei motivi di annullamento

Le censure mosse dalla Commissione e dal governo francese alla sentenza impugnata attengono alle seguenti questioni:

A - Sull'asserita omissione, da parte del Tribunale, nell'esaminare le altre motivazioni della decisione impugnata

28 1) Con il primo e il secondo profilo del secondo motivo, la Commissione sostiene che la sentenza sia annullabile in quanto il Tribunale avrebbe omesso di esaminare nel complesso le motivazioni su cui si fonda il rigetto della denuncia. Secondo la Commissione, da queste motivazioni risulta che non vi è stata infrazione agli artt. 85 e 86 del Trattato, indipendentemente dalla compatibilità della legislazione francese con le norme comunitarie. Sostiene inoltre che il Tribunale ha interpretato erroneamente la decisione controversa, in quanto il rigetto della denuncia non si è fondato sull'esistenza di una normativa nazionale francese che esclude la concorrenza e il commercio intracomunitario, bensì sul fatto che la Commissione non ha individuato un comportamento delle società oggetto della denuncia che rientri nell'ambito di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato.

29 La decisione della Commissione, come descritta ai punti 14-18 della sentenza impugnata, oltre al riferimento al fatto che la legislazione francese aveva sottratto il mercato delle scommesse ippiche al regime della libera concorrenza, contiene anche altre motivazioni, compatibili con l'insussistenza di un'infrazione agli artt. 85 e 86. Tuttavia, perché questo giudizio del Tribunale sia annullabile, è indispensabile che queste ulteriori motivazioni siano state poste dalla Commissione alla base della decisione di rigetto nel suo complesso, che possano cioè, se fondate, giustificare il rigetto del capo della denuncia attinente al comportamento delle società di corse e del PMU nel suo complesso e non solo in parte. Se invece queste motivazioni si riferiscono soltanto ad alcune delle contestazioni contenute nella denuncia, non possono, quand'anche siano ritenute fondate, giustificare di per sé il definitivo rigetto della denuncia sulla scorta degli artt. 85 e 86 del Trattato. In questo caso, il rigetto definitivo della denuncia si fonda pur sempre, almeno parzialmente, sulla motivazione secondo la quale, in ragione della normativa francese vigente, non può porsi una questione di violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato, in quanto sul mercato francese delle scommesse ippiche non vi sono né concorrenza né commercio intracomunitario; di conseguenza, avendo il Tribunale ritenuto che questa motivazione fosse giuridicamente errata, ben poteva, senza ulteriormente esaminare le altre motivazioni, annullare il provvedimento di rigetto della denuncia in quanto fondato su una motivazione erronea in diritto.

30 Occorre pertanto esaminare la portata delle altre motivazioni, oltre a quella dichiarata illegittima, su cui si fonda la decisione della Commissione impugnata. Quest'ultima si richiama ai punti 6-14 della sua decisione, con cui ritiene di aver sufficientemente motivato l'insussistenza di infrazioni agli artt. 85 e 86, senza che occorresse necessariamente far riferimento alla normativa francese de qua.

31 Dalla decisione, come descritta ai punti 14-18 della sentenza impugnata, si desume che queste motivazioni accessorie riguardano il complesso delle censure relative alla violazione dell'art. 86 sollevate dalla Ladbroke nella sua denuncia nonché gran parte delle censure vertenti su violazioni dell'art. 85, n. 1, del Trattato. Non riguardano tuttavia nel loro complesso le violazioni, dedotte dalla Ladbroke, dell'art. 85, n. 1, con riferimento all'esclusiva concessa al PMU nella gestione delle scommesse al totalizzatore in Francia, esclusiva che, secondo la denunciante, è il risultato di accordi e di pratiche concordate tra le principali società di corse. Gli argomenti della Commissione con cui si confutano e si respingono queste contestazioni (punti 6-8 della decisione, come illustrati al punto 14 della sentenza impugnata), si fondano essenzialmente sul ragionamento secondo il quale le disposizioni dell'art. 85 non trovano applicazione in quanto la normativa francese vigente ha abolito qualunque concorrenza, isolando completamente il mercato francese delle scommesse ippiche; a sostegno del rigetto, da parte della Commissione, di questo capo della denuncia della Ladbroke, non viene dedotta alcuna altra motivazione pienamente fondata.

32 Conviene a questo punto sottolineare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, sia per iscritto che oralmente dinanzi alla Corte, il Tribunale non ha compreso erroneamente i relativi punti della decisione impugnata, non è cioè incorso in una deformazione (alterazione) dei mezzi di prova. Quanto alla parte della denuncia vertente sulla concessione al PMU di diritti esclusivi da parte delle società di corse francesi, la Commissione riconosce che vi fu un'intesa tra tali società, che però era stata loro imposta dal decreto francese 11 marzo 1930. Ritiene inoltre che non si possa parlare di ratifica in via legislativa, con il decreto del 1974, di un accordo o di una pratica concordata preesistente, in contrasto con l'art. 85 del Trattato, «poiché tale intesa, e gli accordi tra le società di corse che ne sono derivati (...) erano una delle condizioni poste dal governo francese nel 1930, vale a dire ben prima della firma del Trattato di Roma, all'organizzazione delle scommesse al totalizzatore fuori ippodromo» (18). La Commissione sottolinea altresì nella sua decisione che «le società di corse non erano autorizzate ad accettare individualmente scommesse fuori ippodromo (..) e non poteva pertanto esistere alcuna concorrenza tra loro in ordine alla scelta dell'operatore cui affidare l'organizzazione delle loro scommesse» (19).

33 Da questo ragionamento si evincono due elementi. In primo luogo, ha effettivamente avuto luogo un'intesa tra le società di corse, ma tale intesa, sempre secondo la Commissione, non può essere esaminata alla luce dell'art. 85, in quanto si iscrive nell'ambito di una normativa nazionale che imponeva il detto comportamento e che ha collocato il mercato francese delle scommesse al di fuori delle condizioni di concorrenza. In secondo luogo, l'analisi della Commissione non si concentra sull'esame dettagliato del comportamento delle società criticate nella denuncia - vi si dice sinteticamente e senza ulteriore motivazione che non è stato constatato alcun accordo sulla concessione di un'esclusiva -, ma si fonda sul regime legislativo e regolamentare francese quale motivo per non applicare, nella fattispecie, l'art. 85 del Trattato.

34 Il Tribunale pertanto, avendo ritenuto che tale approccio interpretativo all'art. 85 non fosse giuridicamente corretto, poteva fondare il suo giudizio sull'illegittimità di questa motivazione e dichiarare che il rigetto definitivo della denuncia della Ladbroke in forza degli artt. 85 e 86 del Trattato era illegittimo e annullabile. Gli argomenti della Commissione e del governo francese vertenti sull'omesso esame, da parte del Tribunale, delle restanti motivazioni della decisione impugnata, vanno disattesi in quanto non pertinenti, giacché quelle motivazioni non potevano giustificare il rigetto nel suo complesso (20).

35 2) Il terzo profilo del secondo motivo di annullamento della Commissione e il secondo profilo del secondo motivo di annullamento del governo francese vertono sull'omesso esame, da parte del Tribunale, della fondatezza della motivazione accessoria contenuta nella decisione di rigetto della Commissione, descritta al punto 19 della sentenza impugnata. In conformità a tale motivazione, anche ammettendo che taluni dei comportamenti esaminati rientrino nell'ambito di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato, non vi sarebbe alcun interesse comunitario ad accertare un'eventuale infrazione. Tali infrazioni, quand'anche infine accertate, riguardano soltanto il periodo tra il 1962, anno di emanazione del regolamento n. 17, e il 1974, anno di adozione dei testi normativi che hanno sancito in Francia i diritti esclusivi del PMU. Un loro accertamento non comporterebbe alcun mutamento positivo nelle condizioni della concorrenza dopo il 1974. Le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha errato omettendo di prendere in considerazione questa motivazione, a loro parere fondata.

36 Occorre ricordare anzitutto che il Tribunale non ha negato, come emerge dai punti 44 e 45 della sentenza impugnata, il diritto della Commissione di respingere una denuncia per carenza di interesse comunitario. Tuttavia, nel caso di specie, la tesi della Commissione sulla carenza di interesse comunitario ad esaminare la denuncia della Ladbroke si fonda sul giudizio, logicamente precedente, relativo all'assenza di concorrenza e di scambi intracomunitari nel settore delle scommesse ippiche in Francia dopo l'entrata in vigore del decreto francese 14 novembre 1974.

37 In particolare, la Commissione assume come dato il fatto che l'attività delle società di corse francesi e del PMU non poteva comportare alcuna conseguenza sul mercato francese dopo il 1974, in quanto la legge francese 14 novembre 1974 aveva completamente isolato il mercato, imponendo alle citate società di funzionare al di fuori delle norme sulla concorrenza. Di conseguenza, per giungere alla conclusione che non vi è un interesse comunitario all'accertamento di un'eventuale infrazione, la Commissione non ha esaminato approfonditamente l'azione delle società menzionate nella denuncia, richiamandosi invece anche a questo proposito alla sua tesi secondo la quale non vi è violazione delle disposizioni degli artt. 85 e 86 ogniqualvolta le ripercussioni sulla concorrenza e sul commercio intracomunitario discendano esclusivamente e necessariamente dalla normativa nazionale vigente. Pertanto il Tribunale, avendo ritenuto che questa interpretazione degli artt. 85 e 86 non fosse conforme al Trattato, correttamente non ha preso in considerazione la motivazione relativa alla carenza di interesse comunitario; ciò a condizione, naturalmente, che l'interpretazione delle disposizioni in oggetto accolta dal Tribunale sia conforme al diritto comunitario, cosa che esamineremo nel prosieguo.

B - Sui limiti del potere discrezionale della Commissione che discendono dal combinato disposto degli artt. 85 e 86, da una parte, e 90, dall'altra

38 1) Ritengo anzitutto che vada disatteso l'argomento dedotto dal governo francese come primo profilo del secondo motivo di annullamento, secondo il quale il Tribunale avrebbe errato in quanto non si sarebbe conformato alla costante giurisprudenza secondo la quale i privati che presentano una denuncia non sono legittimati a pretendere da parte della Commissione l'adozione di una decisione definitiva. Questo argomento si fonda su un presupposto erroneo. Il Tribunale non mette in discussione il potere discrezionale della Commissione di decidere o meno su una denuncia, né riconosce a chi presenta una denuncia un corrispondente diritto ad esigere l'emanazione di una decisione (21). Esso vieta tuttavia alla Commissione di respingere definitivamente una denuncia presentata in forza degli artt. 85 e 86 senza aver previamente completato l'esame necessario alla corretta applicazione di tali norme.

Questo argomento è quindi infondato.

39 2) Tanto la Commissione quanto il governo francese sostengono che il Tribunale, con la sentenza impugnata, avrebbe leso il potere discrezionale della Commissione di scegliere l'ordine secondo il quale esaminare i fondamenti giuridici di una denuncia. Secondo le ricorrenti, il Tribunale delinea una gerarchia de jure o de facto tra il procedimento di cui agli artt. 85 e 86, come disciplinato dal regolamento n. 17, e quello ai sensi dell'art. 90.

40 Si pone a questo punto, a mio parere, il problema di interpretare i punti pertinenti (46-51) della sentenza impugnata. Dal tenore del punto 46 si desume anzitutto che il Tribunale, dopo aver considerato che nella fattispecie è stato promosso ed era pendente il procedimento di esame della denuncia della Ladbroke in forza dell'art. 90, ha ritenuto opportuno rispondere alla questione se occorresse esaurire questo procedimento prima di dare una risposta definitiva al capo della denuncia vertente sulla violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato. Vi è, prima facie, l'impressione che il Tribunale abbia proceduto a un'interpretazione combinata delle citate norme, giungendo alla conclusione che, a fronte della denuncia di cui trattasi, la Commissione avrebbe dovuto completare l'esame ai sensi dell'art. 90 prima di decidere in via definitiva sulla base degli artt. 85 e 86. Il procedimento ai sensi dell'art. 90 pare cioè, a determinate condizioni, dover precedere cronologicamente quello ai sensi degli artt. 85 e 86.

41 E' questa l'interpretazione della sentenza impugnata suggerita dalle ricorrenti, ma non è la più corretta (22).

42 Anzitutto, è dubbio che l'esame eseguito dalla Commissione sulla scorta dell'art. 90 possa effettivamente sostituire la risposta da fornire al complesso delle censure cui si richiama la Ladbroke in forza degli artt. 85 e 86, o quanto meno compensare la mancanza di risposta. Come già detto (23), uno dei punti più interessanti ai fini dell'esame della presente impugnazione si ravvisa nel capo primo della denuncia della Ladbroke, in cui si fa riferimento agli accordi e pratiche concordate dalle società di corse autorizzate in Francia, tra di loro e con il PMU. Per quanto riguarda la valutazione del comportamento delle società francesi dal punto di vista del diritto comunitario, non è certo che un esame ai sensi dell'art. 90 possa fornire una risposta alle questioni giuridiche pertinenti, laddove tale articolo non attiene al controllo di compatibilità della normativa nazionale in generale con il diritto comunitario, bensì soltanto di quella relativa alle imprese cui siano stati conferiti diritti speciali o esclusivi. Di conseguenza, almeno per quanto riguarda taluni punti della denuncia, vertenti su comportamenti delle imprese riconducibili all'art. 85, non sembra che il previo completamento del procedimento ai sensi dell'art. 90 possa avere utilità immediata. Intendo dire che l'elemento rilevante nella denuncia de qua non può essere il completamento del procedimento ai sensi dell'art. 90 bensì, eventualmente, il completamento dell'indagine sulla compatibilità della normativa francese con il diritto comunitario della concorrenza in generale.

43 A completamento di quest'ultima riflessione, credo che la versione data dalle ricorrenti della sentenza impugnata non ne rispecchi il vero significato. Nel caso di specie, il Tribunale non tenta di raffrontare le disposizioni degli artt. 85 e 86 con quelle dell'art. 90 e di delineare un ordine di priorità tra il procedimento ex art. 90 e quello ex artt. 85 e 86 (24), nonché, in definitiva, di limitare la discrezionalità della Commissione nella scelta del modo in cui agire, facoltà espressamente riconosciutale al punto 44 della sentenza impugnata. Il suo obiettivo primario non è quello di imporre alla Commissione di esaminare le censure vertenti sulle violazioni dell'art. 90 prima di pronunciarsi in via definitiva su quelle relative agli artt. 85 e 86. Il Tribunale, come si evince dal tenore del punto 50, ha esaminato se la Commissione, rispondendo in via definitiva alla denuncia della Ladbroke, si sia conformata ai precetti del diritto comunitario; ha così accertato che essa è venuta meno al suo obbligo di esaminare con la dovuta attenzione e completezza gli elementi di fatto e di diritto sottopostile con la denuncia, di modo che il rigetto definitivo di quest'ultima non dia adito a dubbi quanto alla sua correttezza.

Di conseguenza, l'opinione del Tribunale contro la quale si rivolgono le ricorrenti si fonda esclusivamente sull'interpretazione degli artt. 85 e 86 e non sul combinato disposto di questi ultimi con l'art. 90.

44 Questo approccio ermeneutico si desume da quanto statuito nella sentenza impugnata e, in particolare, dai già citati punti 48, 49 e 51 (25). Secondo questo ragionamento del Tribunale, vi sono casi in cui, per accertare se il comportamento di una o più imprese violi gli artt. 85 e 86, è, a determinate condizioni, indispensabile esaminare la normativa nazionale vigente, nel contesto della quale si è sviluppata l'attività in esame (26). Infatti, qualora i provvedimenti statali siano in contrasto con il diritto comunitario, la Commissione dovrebbe esaminare se il fatto che le imprese «(...) si conformino alle disposizioni di una normativa nazionale contraria al Trattato possa o meno dar luogo all'adozione di provvedimenti nei loro confronti, diretti a porre fine a violazioni degli artt. 85 e 86 del Trattato» (27). L'esame della compatibilità della normativa nazionale è in quest'ottica indispensabile, a prescindere dal fatto che a tal fine sia stato promosso il procedimento ex art. 90, n. 3, o che sia stata sottoposta alla Commissione una corrispondente denuncia, diretta contro tale normativa.

45 In altre parole, la pietra angolare del ragionamento del Tribunale sta nell'interpretazione degli artt. 85 e 86 del Trattato, che può riassumersi come segue: nel caso in cui vi sia una normativa nazionale che osta essa stessa alla libera concorrenza o al commercio intracomunitario e impone alle imprese comportamenti che potrebbero altrimenti rientrare nell'ambito di applicazione degli artt. 85 e 86, la corretta interpretazione e applicazione di tali norme impone di non dare una risposta definitiva sulla sussistenza di un'infrazione agli artt. 85 e 86 finché non sia accertato se la normativa nazionale de qua sia compatibile con il diritto comunitario, giacché, nel caso di risposta negativa, si deve dichiarare che le società che si sono conformate a tale normativa hanno infranto le disposizioni dei citati articoli.

46 Sulla scorta di questa tesi, il Tribunale ha preso in considerazione quanto segue:

In primo luogo, il rigetto definitivo, da parte della Commissione, della denuncia ai fini degli artt. 85 e 86 si fonda (28) sull'esistenza di una normativa nazionale che ostacola la concorrenza e non concede alle imprese alcun margine d'azione.

In secondo luogo, per quanto riguarda l'accertamento della compatibilità della citata legislazione francese con il diritto comunitario, è pendente una denuncia della Ladbroke in forza dell'art. 90, di cui la Commissione ha già iniziato ad occuparsi.

In terzo luogo, la Commissione stessa riconosce che la questione dell'accertamento della compatibilità della normativa francese con il diritto comunitario è determinante per risolvere le domande attinenti al regime della concorrenza che disciplina o dovrebbe disciplinare il mercato francese delle scommesse ippiche (29).

47 Alla luce di quanto sopra, il Tribunale è giunto alla conclusione che la risposta definitiva della Commissione alla denuncia della Ladbroke non presentava la dovuta certezza e completezza, in quanto la Commissione non ha «(...) adempiuto il suo obbligo di esaminare attentamente gli elementi di fatto e di diritto sottoposti alla sua attenzione dai denuncianti (...)» (30). Di conseguenza, nell'ambito della denuncia di cui trattasi, l'elemento determinante per rispondere in via definitiva sulla sussistenza di un'infrazione agli artt. 85 e 86 non è il completamento del procedimento in corso ai sensi dell'art. 90, bensì la risposta alla questione se la normativa nazionale francese sia compatibile con le norme comunitarie sulla concorrenza. E' questo ciò che richiede il Tribunale, senza perseguire una limitazione del potere discrezionale della Commissione (31) né delineare un ordine di precedenza tra il procedimento ex art. 90 e quello ex artt. 85 e 86.

48 Certamente, anche in quest'ottica la soluzione data dal Tribunale finisce col delimitare de facto la facoltà della Commissione di decidere quando e come promuovere, sempre nell'ambito della denuncia de qua, il procedimento in forza dell'art. 90 al fine di accertare la compatibilità della normativa francese con il diritto comunitario. Tuttavia, se questa conseguenza pratica si fondi su una corretta interpretazione del diritto comunitario si iscrive nella più generale problematica consistente nel valutare se la menzionata interpretazione degli artt. 85 e 86, seguita nel caso di specie, sia conforme al diritto comunitario, problematica che esaminerò qui di seguito.

C - Sulla corretta interpretazione degli artt. 85 e 86 del Trattato

1. Gli artt. 85 e 86 del Trattato alla luce del punto 49 della sentenza impugnata

49 Il governo francese, con il primo motivo di annullamento, deduce che la soluzione data dal Tribunale con la sentenza impugnata è in contrasto con la costante giurisprudenza in ordine all'applicabilità delle disposizioni degli artt. 85 e 86 del Trattato nel caso in cui il comportamento delle imprese interessate sia imposto dalla normativa nazionale. Osserva inoltre che mai finora era stato riconosciuto l'obbligo per le imprese nazionali di non conformarsi a provvedimenti nazionali che impongano loro obblighi incompatibili con il diritto comunitario.

50 La posizione della Commissione diverge da quella del governo francese in quanto distingue il caso in cui la normativa nazionale impone alle imprese obblighi in contrasto con gli artt. 85 e 86 da quello in cui i provvedimenti nazionali creano di per sé un contesto regolamentare che limita la concorrenza, nel qual caso non vi è un comportamento delle imprese (ai sensi degli artt. 85 e 86) che incida sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari. Secondo la Commissione, soltanto nel secondo caso non trovano applicazione gli artt. 85 e 86.

a) L'approccio ermeneutico del Tribunale agli artt. 85 e 86 e la giurisprudenza

51 Effettivamente la posizione assunta dal Tribunale (32) con la sentenza impugnata non pare conforme alla giurisprudenza esistente, quanto meno in ordine a due aspetti rilevanti: in primo luogo, quanto al fatto che si possa o meno ravvisare una violazione degli artt. 85 e 86 da parte di quelle imprese il cui comportamento contrastante con le norme comunitarie sulla concorrenza sia interamente dettato da provvedimenti nazionali imperativi; in secondo luogo - ed è questo a mio parere il profilo più rilevante -, la sentenza impugnata diverge da quanto generalmente ammesso dalla giurisprudenza in ordine ai presupposti in base ai quali una normativa nazionale a carattere economico può essere esaminata alla luce degli artt. 5 e 85 del Trattato.

52 i) Il Tribunale, come risulta dal punto 49 della sentenza impugnata, non si è allineato alla soluzione inizialmente accolta dalla sentenza Suiker Unie, che finora non era mai stata abbandonata (33). Secondo l'interpretazione prevalente, con la sentenza in oggetto la Corte ha dichiarato che non vi è violazione dell'art. 85 del Trattato nei casi in cui l'azione delle imprese, nonostante paia prima facie ricadere nei divieti di cui a tale articolo, sia stata però dettata da norme nazionali che non lasciavano alle imprese stesse alcun margine di azione.

53 Vero è che, con le sentenze successive, la Corte ha tentato di mitigare le conseguenze di questa giurisprudenza (34). Per la precisione, l'eccezione sancita per la prima volta nella sentenza Suiker Unie, pur senza essere mai stata definitivamente abbandonata, può difficilmente trovare applicazione nella pratica, giacché la Corte è particolarmente rigorosa allorché è chiamata a riconoscere la sussistenza di una normativa nazionale che priva completamente le imprese della facoltà di orientare liberamente la loro azione, imponendo loro imperativamente un comportamento in conflitto con le norme comunitarie sulla concorrenza (35). D'altronde, la responsabilità delle imprese è fuori discussione ogniqualvolta l'attività in contrasto con gli artt. 85 e 86 sia stata agevolata o incoraggiata dalle autorità nazionali (36).

54 ii) Se la giurisprudenza citata riguarda essenzialmente le imprese, quella che illustrerò qui di seguito tocca gli interessi degli Stati membri, in quanto riguarda la validità delle norme nazionali che limitano o aboliscono la libera concorrenza. L'avvocato generale Tesauro, nelle conclusioni presentate nella causa Meng (37), osserva che la posizione della Corte sul punto può riassumersi come segue:

«(...) la Corte, da un lato, ha sempre affermato che le regolamentazioni nazionali che disciplinano l'esercizio dell'attività economica delle imprese si situano al di fuori del campo di applicazione materiale degli artt. 85 e 86. Questi ultimi, infatti (ratione personae), si indirizzano alle imprese e non agli Stati membri, e (ratione materiae) mirano a tutelare la libertà di concorrenza e non a limitare le prerogative degli Stati membri in materia di politica economica, prerogative cui si applicano, all'occorrenza, altre disposizioni del Trattato.

D'altro lato, la Corte ha reiteratamente affermato che "gli artt. 85 e 86, letti congiuntamente con l'art. 5 del Trattato, fanno obbligo agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche aventi il carattere di legge o di regolamento, idonei a rendere praticamente inefficaci le norme di concorrenza da applicarsi alle imprese" (38).

Le due affermazioni sono perfettamente coerenti tra di loro. Se è vero infatti che gli artt. 85 e 86 riguardano i comportamenti anticoncorrenziali delle imprese, è altresì vero che gli Stati membri non debbono consentire a tali imprese di eluderne i divieti offrendo loro lo "scudo" di una copertura normativa. Se così non fosse, gli artt. 85 e 86 verrebbero svuotati della loro efficacia: agli Stati membri è fatto dunque obbligo di non pregiudicare l'effetto utile delle norme sulla concorrenza dirette alle imprese».

55 Alla luce di quanto sopra, la Corte può, soltanto a determinate condizioni e in via eccezionale, esaminare la compatibilità di un provvedimento nazionale con il diritto comunitario dal punto di vista degli artt. 85 e 86, qualora tale provvedimento rischi di compromettere l'effetto utile delle disposizioni di tali articoli (39). I corollari di questa giurisprudenza, in particolare per quanto riguarda l'art. 85, che ci interessa nella presente causa, sono sintetizzati al punto 14 della sentenza Meng:

«(...) risulta da una giurisprudenza costante che l'art. 85, letto congiuntamente all'art. 5 del Trattato, impone agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, sia pure di legge o di regolamento, tali da privare di effetto utile le norme sulla concorrenza da applicarsi alle imprese. Ciò avviene, secondo la medesima giurisprudenza, quando uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione di accordi in contrasto con l'art. 85, o rafforzi gli effetti di siffatti accordi, ovvero tolga alla propria normativa la natura statuale, delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica».

A contrario, allorché la normativa nazionale non è in relazione con accordi o pratiche concordate tra imprese ma pone essa stessa norme che regolano il mercato, la lesione della concorrenza ha origine unicamente in un atto dello Stato, che non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 85 (40).

56 La posizione assunta dal Tribunale con la sentenza impugnata non corrisponde a quanto finora esposto. In particolare, non è stata seguita la distinzione tra misure nazionali che privano di effetto utile gli artt. 85 e 86 e quelle che non rientrano nell'ambito di applicazione di questa disposizione. Il Tribunale invece, con la generica constatazione di cui al punto 49 della sentenza impugnata, invita la Commissione a sottoporre i provvedimenti nazionali in generale a un controllo in base alle norme comunitarie sulla concorrenza, e ad avvalersi degli esiti di tale controllo per valutare, sulla scorta delle medesime norme, il comportamento delle imprese che si sono conformate ai citati provvedimenti. Senza dichiararlo espressamente, il Tribunale si discosta dalla posizione mantenuta finora dalla giurisprudenza con riferimento ai presupposti richiesti per esaminare una norma nazionale alla luce degli artt. 85 e 86 del Trattato.

Occorre pertanto chiedersi se questo ragionamento del Tribunale debba essere confermato dopo essere passato al vaglio della Corte.

b) I corollari dell'interpretazione degli artt. 85 e 86 seguita dal Tribunale nella sentenza impugnata

57 i) Prima di continuare, mi pare molto utile ribadire che, con gli artt. 85 e 86 del Trattato, sono state dettate norme giuridiche compiute aventi pieno effetto diretto (verticale e orizzontale) (41). Inoltre, in quanto disposizioni del Trattato, prevalgono rispetto alle norme nazionali. Giacché tali disposizioni, nella gerarchia delle norme giuridiche, occupano un posto più elevato rispetto alle disposizioni nazionali, dovrebbe in linea di principio risultare inconcepibile che la loro applicazione sia ostacolata da queste ultime. E' peraltro un luogo comune di tutti i sistemi giuridici l'obbligo per i soggetti di diritto di conformarsi alla norma avente rango superiore, anche quando vi sia un provvedimento di rango inferiore avente contenuto contrastante. Ne consegue logicamente che tale obbligo debba estendersi anche ai soggetti di diritto comunitario, persino imponendo loro di non conformarsi alla normativa nazionale vigente incompatibile. In caso contrario, non soltanto la preminenza, bensì anche l'effetto diretto delle disposizioni contenute negli artt. 85 e 86 del Trattato verrebbero posti in discussione.

58 Nondimeno, i citati principi fondamentali, per quanto appaiano ovvi all'interno dei sistemi nazionali, non hanno avuto finora piena applicazione in diritto comunitario e non garantiscono appieno la preminenza dell'ordinamento giuridico comunitario rispetto al corrispondente diritto nazionale. Le norme comunitarie non producono tutte le conseguenze giuridiche che discendono dal loro rango superiore, per lo meno stando a quanto risulta dalla giurisprudenza in materia.

59 ii) Giova a questo punto sottolineare le conseguenze che comporterebbe un mutamento nella giurisprudenza finora invalsa. Ritengo che si debbano distinguere le conseguenze che l'eventuale sopravvento dell'approccio interpretativo agli artt. 85 e 86 adottato dalla sentenza impugnata avrebbe sul trattamento giuridico delle imprese dalle conseguenze che avrebbe sulla legislazione economica degli Stati membri.

60 aa) Quanto alle imprese, si deve ammettere che ogniqualvolta si constaterà un comportamento che ricade nei divieti di cui agli artt. 85 e 86, le imprese incorse in tale comportamento subiranno le conseguenze previste dai citati articoli del Trattato, senza poter addurre a scusante del proprio illegittimo comportamento l'esistenza di una normativa nazionale vincolante incompatibile. Al contrario, esse sono tenute, per non soggiacere al disposto degli artt. 85 e 86, a non conformarsi ai provvedimenti nazionali che le riguardano.

61 Lo sviluppo della giurisprudenza in questa direzione non mi trova, in via di principio, contrario. Possono tuttavia sorgere due rilevanti questioni. In primo luogo, pare rigoroso più del dovuto che le imprese interessate subiscano le conseguenze negative di una violazione del diritto comunitario di cui in realtà sono responsabili gli Stati membri. In secondo luogo, alla citata interpretazione degli artt. 85 e 86 si può obiettare che essa privilegia la tutela dell'ordinamento giuridico comunitario rispetto agli interessi dei privati, cui si impone di subire le conseguenze della loro contrapposizione alla normativa nazionale, divenendo in qualche modo «martiri» della difesa del diritto comunitario.

62 Ritengo che a queste contestazioni possa essere data una risposta soddisfacente.

63 In primo luogo, il principio generale secondo il quale i privati che si conformano alle norme nazionali possono essere ritenuti responsabili rispetto al diritto comunitario può certamente sorprendere. Si tratta comunque della conseguenza del principio della preminenza della norma comunitaria sulla corrispondente norma nazionale. Peraltro, è particolarmente importante distinguere tra il riconoscimento dell'esistenza di un'infrazione al diritto comunitario e l'attribuzione della responsabilità all'autore dell'infrazione. Il fatto che un'impresa si adegui a una norma nazionale imperativa in conflitto con gli artt. 85 e 86 non esclude l'illegittimità del suo comportamento sotto il profilo del diritto comunitario, ma può costituire una causa di esonero dalla responsabilità dell'impresa o di limitazione di tale responsabilità (42). In conformità a tale impostazione, la Commissione, avendo accertato che la norma nazionale che dettava o imponeva un determinato comportamento alle imprese esaminate non è conforme al diritto comunitario, dichiarerà di conseguenza che tali imprese hanno infranto le disposizioni degli artt. 85 e 86, inibirà loro di continuare nel comportamento illegittimo, ma non applicherà alcuna sanzione, oppure la limiterà (43). In questa prospettiva, non credo che il mutamento proposto nell'interpretazione degli artt. 85 e 86 sia eccessivamente sfavorevole, se non ingiusto nei confronti delle imprese.

64 Quanto al problema consistente nel fatto che le imprese, chiamate ad agire in contrasto con le loro norme nazionali, dovrebbero soggiacere alle conseguenze previste per tale comportamento, si deve osservare quanto segue: l'ordinamento giuridico comunitario mette ormai a disposizione dei privati gli strumenti giuridici idonei alla tutela dei diritti loro riconosciuti, allorché questi ultimi vengono posti in discussione o lesi da una norma nazionale. Particolarmente significativo sul punto è, come noto, il contributo della giurisprudenza della Corte attraverso le sue pronunce pregiudiziali. Basti ricordare in proposito la posizione assunta dalla Corte nella causa Factortame I (44), a riprova che il diritto comunitario offre al privato una sufficiente tutela giuridica, anche a livello di sistemi giuridici nazionali, nei casi in cui un provvedimento nazionale leda i diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario. Nel caso di specie, l'impresa che dovesse subire sanzioni per non essersi conformata alla normativa nazionale incompatibile con il diritto comunitario della concorrenza ha la possibilità di ricorrere dinanzi al giudice nazionale, il quale non soltanto è tenuto a disapplicare la normativa di cui trattasi ma deve altresì fornire un'adeguata tutela giurisdizionale provvisoria. Di conseguenza, accogliere la critica cui si è fatto cenno equivarrebbe a riconoscere indirettamente l'insufficienza della tutela giuridica approntata dal diritto comunitario nei confronti dei privati, il che a mio parere non è più vero.

65 Sulla scorta di quanto innanzi esposto concludo che l'interpretazione adottata dal Tribunale con la sentenza impugnata, che indirettamente si discosta dal percorso delineato dalla sentenza Suiker Unie, è sostenibile e più in sintonia con il principio fondamentale della preminenza del diritto comunitario.

66 bb) Tuttavia, come ho già osservato, questa tesi comporta un mutamento di giurisprudenza anche rispetto a un'altra questione fondamentale, quella della possibilità di far valere gli artt. 85 e 86, in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato, per verificare la compatibilità di una disposizione nazionale con tali norme. Conformemente a quanto già detto (45), su questo punto si concentra a mio parere la sostanza della problematica inerente alla correttezza della sentenza impugnata, e non su quanto dedotto dalle ricorrenti con riferimento a una limitazione de facto del potere discrezionale della Commissione di decidere se esaminare una denuncia prima dal punto di vista dell'art. 90 o prima da quello degli artt. 85 e 86. La concreta limitazione del potere discrezionale della Commissione non è che una - e forse non la più significativa - delle conseguenze giuridiche del ragionamento sviluppato dal Tribunale al punto 49 della sentenza impugnata.

67 In particolare, nel caso venga accolta l'interpretazione degli artt. 85 e 86 adottata dal Tribunale, occorrerebbe - ogniqualvolta il comportamento delle imprese controllate sia in contrasto con le norme comunitarie sulla concorrenza ma risulti imposto da norme nazionali vincolanti, che stabiliscono un contesto obbligatorio entro il quale una determinata attività economica può svolgersi - verificare la compatibilità di tali norme nazionali con l'ordinamento giuridico comunitario (46). Viene così sancito, in questi casi, un obbligo di verifica delle norme nazionali dal punto di vista del diritto comunitario solo nel contesto dell'applicazione dei soli artt. 85 e 86 del Trattato. Quest'obbligo riguarda essenzialmente la Commissione, nell'ambito delle competenze conferitele con riferimento all'osservanza delle norme del Trattato, in particolare al fine di imporre ai soggetti di diritto comunitario di conformarsi alle disposizioni degli artt. 85 e 86.

68 Per giurisprudenza costante della Corte, una normativa nazionale che limita la concorrenza, a parte gli aiuti di Stato, può, in primo luogo, rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 90 (allorché riguarda imprese pubbliche o imprese cui vengono concessi diritti speciali o esclusivi), in secondo luogo, rientrare nell'ambito degli artt. 85 e 86, in combinato disposto con l'art. 5 (quando priva tali norme del loro effetto utile (47)) e, in terzo luogo, essere esclusa dall'ambito di applicazione delle norme comunitarie sulla concorrenza contenute negli artt. 85-94 del Trattato. Questa classificazione risulterebbe sovvertita ove si accolga la tesi sostenuta dal Tribunale nella sentenza impugnata. Le norme nazionali che limitano o incidono sulla concorrenza possono, a determinate condizioni, essere esaminate nel loro complesso dal punto di vista della loro compatibilità con gli artt. 85 e 86; si tratta di una verifica preliminare all'adozione, da parte delle istituzioni comunitarie competenti, di una decisione sul comportamento delle imprese che si sono conformate a tali norme.

69 Nell'ambito dell'interpretazione di cui sopra degli artt. 85 e 86, è indispensabile distinguere tra norme nazionali che rientrano anche nell'art. 90 e quelle che non hanno attinenza con lo stesso. Nel primo caso, la Commissione ha, teoricamente, tre possibilità. Può, in primo luogo, dare seguito alla denuncia presentatale ai sensi dell'art. 90, relativa alla compatibilità della normativa nazionale di cui trattasi con le norme comunitarie (si tratta del caso più simile ai fatti di cui alla presente causa). In secondo luogo, può promuovere il procedimento ai sensi dell'art. 169 e segg. o procedere d'ufficio a un controllo della normativa nazionale in forza dell'art. 90, avviando il relativo procedimento (48). In terzo luogo, può svolgere un controllo incidentale sulla normativa nazionale nell'ambito degli artt. 5, 85 e 86.

70 Allorché il provvedimento nazionale non appartiene a quelli disciplinati dall'art. 90, la Commissione può, in teoria, tendere all'accertamento dell'illegittimità del provvedimento dal punto di vista del diritto nazionale in forza del procedimento di cui all'art. 169 e segg., oppure avviare un controllo incidentale della normativa statale nell'ambito dell'applicazione degli artt. 5, 85 e 86.

71 Il metodo del controllo incidentale presenta vantaggi in quanto più semplice, ma genera molteplici interrogativi dal punto di vista del diritto comunitario istituzionale. Non è chiaro in che misura l'attribuzione di questa facoltà sia conforme all'economia del Trattato. Secondo la giurisprudenza, quando la Commissione accerta che una normativa nazionale non è conforme all'ordinamento giuridico comunitario, si rivolge contro lo Stato membro che l'ha emanata. All'uopo è previsto il procedimento generale di cui all'art. 169 e segg., con il quale, in caso di mancato adeguamento dello Stato membro alla posizione della Commissione, si chiede che la lite sia risolta in sede giudiziale; ma prima della sentenza definitiva della Corte non vi è un'illegittimità riconosciuta da parte dello Stato membro - né, per estensione, del provvedimento nazionale de quo - giacché la Commissione non è competente, ai sensi del Trattato, ad emanare decisioni sul punto, bensì soltanto atti a carattere consultivo (49). In via eccezionale, specificamente per i casi in cui può trovare applicazione l'art. 90, la Commissione può scegliere tra il citato procedimento generale ai sensi dell'art. 169 e segg. e il procedimento speciale di cui all'art. 90, n. 3; in forza di quest'ultima disposizione, la Commissione decide essa stessa sulla compatibilità delle disposizioni statali con il diritto comunitario (50). In ogni caso, sarebbe in contrasto con la logica sinora invalsa del diritto comunitario originario il fatto che la Commissione possa agire contro provvedimenti nazionali senza prendere posizione direttamente, vale a dire senza rivolgere «agli Stati membri opportune direttive o decisioni» ai sensi dell'art. 90 (51), né formulare osservazioni e un parere motivato nell'ambito del procedimento ex art. 169 (52) (53); ciononostante, la soluzione del controllo incidentale è, a mio parere, la più innovatrice.

72 Se, comunque, si esclude la soluzione del controllo incidentale della normativa nazionale in forza degli artt. 85 e 86, allora l'applicazione di tali articoli, sempre secondo l'iter interpretativo seguito dal Tribunale, finisce col dipendere, in determinati casi, dal fatto che la Commissione sia disposta a promuovere i procedimenti di cui agli artt. 90 e 169 e segg. La Corte ha finora riconosciuto alla Commissione un ampio potere discrezionale per quanto riguarda l'avvio e il proseguimento di tali procedimenti e in generale per quanto riguarda i meccanismi che possono condurla a un conflitto con uno Stato membro (54). Non è cioè possibile far discendere dagli artt. 85 e 86 un obbligo diretto o anche indiretto della Commissione di agire contro una normativa nazionale in forza degli artt. 90 e 169 e segg.

73 Rimane il caso particolare in cui vi è già una denuncia ai sensi dell'art. 90 di cui la Commissione ha iniziato l'esame. Così si presenta, d'altronde, la fattispecie. Ritengo anzitutto che sarebbe in contrasto con il rigore logico che deve informare l'ordinamento giuridico comunitario, in quanto sistema di diritto, far dipendere la soluzione da dare a una categoria tanto rilevante di controversie dalla circostanza casuale della pendenza o meno di una denuncia ai sensi dell'art. 90. Inoltre, il problema istituzionale precedentemente individuato non è completamente risolto. Il potere discrezionale della Commissione in merito all'esercizio di quelle competenze che possono eventualmente portarla a contrapporsi agli Stati membri viene posto, sia pure indirettamente, in discussione; la Commissione non dispone più di un'assoluta libertà di scelta dell'ordine secondo il quale esaminare due denunce fondate l'una sull'art. 90 e l'altra sugli artt. 85 e 86 del Trattato.

74 Come ho già detto (55), questa limitazione non costituisce la sostanza del problema bensì uno dei suoi aspetti. La questione giuridica sollevata dalla sentenza impugnata, in particolare con il punto 49, dev'essere posta al di fuori dello specifico contesto dei fatti di causa e dello «pseudodilemma» della scelta tra procedimento ex art. 90 e procedimento ex artt. 85 e 86. Il quesito che necessita di risposta da parte della Corte, nella presente fase, altro non è che quello già posto all'inizio del presente capitolo: se l'interpretazione degli artt. 85 e 86 accolta al punto 49 della sentenza impugnata, secondo la quale è, a determinate condizioni, necessaria una valutazione della compatibilità della normativa nazionale con le norme comunitarie sulla concorrenza prima di decidere in via definitiva se talune imprese abbiano infranto le disposizioni degli artt. 85 e 86, sia conforme o meno alla lettera e allo spirito del diritto comunitario.

75 iii) Dall'analisi che precede si ricava la conclusione che tale posizione, pur non contrapponendosi direttamente al Trattato, sovverte l'interpretazione vigente di una serie di principi e di regole fondamentali del diritto comunitario ed equivale a un abbandono di talune delle più significative soluzioni giurisprudenziali della Corte. Pur avendo tentato di descrivere i mutamenti che potrebbe comportare nell'ordinamento comunitario la posizione del Tribunale, quale si traduce nel punto 49 della sentenza impugnata, è certo che tali mutamenti non sono tutti prevedibili né auspicabili. In ogni caso, ritengo che questo approccio ermeneutico agli artt. 85 e 86 garantisca la più ampia tutela giuridica possibile dei diritti che tali articoli riconoscono ai singoli e, in particolare, alle imprese che subiscono le conseguenze delle concentrazioni e dell'abuso di posizione dominante realizzati dai loro concorrenti. Mi pare utile rinviare, a titolo di confronto, a quanto dichiarato nella sentenza Factortame III (56) in merito alla tutela dei diritti riconosciuti dal diritto comunitario ai singoli in caso di loro lesione da parte degli Stati membri:

«Inoltre, subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro urterebbe contro il principio dell'effettività del diritto comunitario, poiché tale presupposto porterebbe ad escludere qualsiasi risarcimento tutte le volte che il preteso inadempimento non abbia costituito oggetto di un ricorso proposto dalla Commissione ai sensi dell'art. 169 del Trattato e di una dichiarazione d'inadempimento pronunciata dalla Corte. Orbene, i diritti conferiti ai singoli da norme comunitarie aventi effetto diretto nell'ordinamento interno degli Stati membri non possono dipendere dalla valutazione della Commissione in ordine all'opportunità di avviare un procedimento ex art. 169 del Trattato nei confronti di uno Stato membro né dalle eventuali sanzioni della Corte che dichiari l'inadempimento».

76 In quest'ottica, la posizione del Tribunale, come espressa al punto 49 della sentenza impugnata, è in piena armonia con il principio di effettività del diritto comunitario, ma suscita interrogativi sulle conseguenze che essa comporta per la Commissione per quanto attiene al controllo che il Trattato la incarica di effettuare sulla compatibilità dei provvedimenti nazionali con il diritto comunitario.

2. Per il caso in cui non sia accolto l'approccio interpretativo del punto 49 della sentenza impugnata

77 Ritengo opportuno, per ragioni di completezza, esaminare la sentenza impugnata anche per il caso in cui l'interpretazione degli artt. 85 e 86 innanzi illustrata non venga accolta. Credo che il suo dispositivo sia corretto, anche se sulla scorta di un ragionamento diverso, meno ambizioso, da cui può mancare il principio interpretativo generale di cui al punto 49 nonché i riferimenti al procedimento ex art. 90 pendente dinanzi alla Commissione.

78 Punto di partenza per dirimere la controversia rimane naturalmente l'esame del contenuto della decisione della Commissione impugnata, che aveva definitivamente respinto la denuncia della Ladbroke quanto alle contestazioni relative ad infrazioni agli artt. 85 e 86 del Trattato da parte del PMU francese e di un consorzio di società di corse. Secondo quanto detto innanzi, la motivazione della decisione impugnata, per lo meno per quanto riguarda la contestazione della Ladbroke vertente su intese illecite delle dieci società di corse più importanti di Francia, tra di loro e con il PMU, si fonda quanto meno in parte su riferimenti al regime normativo che disciplina il mercato delle scommesse ippiche in Francia. La Commissione fa valere le conseguenze della normativa interna francese sul mercato delle scommesse e sostiene che non vi è un interesse comunitario all'accertamento di un'eventuale infrazione da parte delle società di corse giacché, in ogni caso, la libera concorrenza non è ostacolata da eventuali comportamenti delle imprese bensì dalle disposizioni statali vigenti.

79 Occorre sottolineare a questo proposito che la normativa francese in discussione può in teoria interessare il diritto comunitario della concorrenza sotto due diversi aspetti. In primo luogo, in quanto riguarda le imprese cui concede diritti speciali o esclusivi, è riconducibile all'art. 90 del Trattato. In secondo luogo, in quanto si applica alle imprese diverse da quelle rientranti nell'art. 90, è riconducibile all'ambito di applicazione degli artt. 85 e 86, ove privi tali norme del loro effetto utile, in conformità a quanto dichiarato nella citata sentenza Meng (57).

80 In ogni caso, risulta dal tenore della decisione della Commissione impugnata che la valutazione di tale normativa nazionale ha importanza capitale ai fini della comprensione del problema di concorrenza sollevato dalla denuncia di cui trattasi. Inoltre, qualora sia infine accertato che le disposizioni nazionali compromettono l'effetto utile degli artt. 85 e 86, cosicché, secondo la giurisprudenza Meng (58), rientrano nell'ambito di applicazione di tali articoli, occorrerà eventualmente esaminare se tale accertamento abbia rilevanza ai fini del trattamento, in forza degli artt. 85 e 86 del Trattato, delle imprese che si sono adeguate alla normativa francese de qua. Questa necessità è ammessa direttamente anche dalla Commissione nelle osservazioni presentate in ordine al primo motivo di annullamento del governo francese (59).

81 Come correttamente ha dichiarato il Tribunale, l'analisi condotta dalla Commissione nella sua decisione è, sul punto, lacunosa. Vi si fa semplicemente riferimento al ruolo svolto dalla normativa nazionale sul mercato delle corse ippiche, senza spiegare a sufficienza il nesso tra tale normativa e il comportamento delle imprese esaminato; la normativa de qua, peraltro, non è affrontata nella prospettiva degli artt. 85 e 86, in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato, né viene chiarito se essa appartenga o meno alla categoria di quelle che privano le dette disposizioni del loro effetto utile (60). E' quindi incoerente l'argomento della Commissione secondo cui, a causa della particolare difficoltà riscontrata nella valutazione della normativa di cui trattasi, essa si troverebbe da tanti anni nell'impossibilità di prendere una decisione ex art. 90 sulla compatibilità di tali misure statali con il diritto comunitario della concorrenza, ma potrebbe invece valutare a sufficienza la stessa normativa dal punto di vista degli artt. 85 e 86, ricorrendo alla formulazione succinta della decisione impugnata (61). Di conseguenza, la motivazione della Commissione con la quale è stata definitivamente respinta la denuncia della Ladbroke per quanto riguarda le asserite violazioni degli artt. 85 e 86 è insufficiente: correttamente, pertanto, la decisione è stata annullata. Come sottolinea espressamente il Tribunale, la Commissione non ha adempiuto il suo obbligo di esaminare con la dovuta attenzione gli elementi di fatto e di diritto sottopostile dalla denunciante (62), pertanto la sua decisione di rigetto non soddisfa i requisiti di certezza e di completezza imposti dalla giurisprudenza (63).

82 Anche seguendo questo ragionamento, certamente, la soluzione accolta dalla sentenza impugnata non è pienamente conforme alla giurisprudenza o, quanto meno, all'abituale interpretazione che essa dà. In primo luogo, viene indirettamente messo in discussione il criterio interpretativo sancito dalla sentenza Suiker Unie, secondo il quale non vi è da parte delle imprese infrazione agli artt. 85 e 86 del Trattato allorché il loro comportamento è stato interamente dettato da provvedimenti nazionali imperativi (64). D'altra parte - ed è questa a mio parere la cosa più significativa - i criteri dettati dalla giurisprudenza in ordine ai presupposti in presenza dei quali le norme nazionali privano gli artt. 85 e 86 del loro effetto utile, rientrando così nell'ambito di applicazione di tali articoli, vincolano ormai la Commissione nell'esercizio del controllo che essa effettua, in forza degli artt. 85 e 86, sul comportamento delle imprese (65).

83 In ultima analisi, ritengo che questa soluzione sia la più indicata, in quanto attribuisce alle disposizioni degli artt. 85 e 86 l'imperatività che loro compete (66), ed è imposta dal fondamentale principio di effettività del diritto comunitario. Di conseguenza la sentenza impugnata, pur con la modifica o integrazione della motivazione innanzi indicata, giunge a una soluzione corretta, talché le impugnazioni devono essere respinte.

V - Conclusione

84 Alla luce di quanto sopra, propongo alla Corte:

«1) di respingere, nel complesso, i ricorsi della Commissione e della Repubblica francese;

2) di condannare le ricorrenti alle spese».

(1) - Causa T-548/93, Ladbroke Racing/Commissione (Racc. pag. II-2565).

(2) - Il sistema di scommesse al totalizzatore, l'unico ammesso in Francia, è caratterizzato dal fatto che le giocate costituiscono una massa comune che, dopo diversi prelievi, è distribuita ai vincitori. Gli scommettitori giocano gli uni contro gli altri, e l'importo della vincita dipende dalla somma delle giocate e dal numero di vincitori. L'organizzatore delle scommesse non è remunerato in base alle puntate perse dagli scommettitori, bensì attraverso i prelevi operati sulla massa delle scommesse.

(3) - Si tratta delle società autorizzate ad organizzare, sia dentro sia fuori degli ippodromi, scommesse al totalizzatore.

(4) - Il PMU è un consorzio a scopo di lucro, composto dalle principali società di corse in Francia; è stato istituito per gestire i diritti di tali società a organizzare scommesse al totalizzatore fuori ippodromo. La gestione da parte del PMU dei diritti delle società di corse per l'organizzazione di tali scommesse avveniva inizialmente sotto forma di «servizio comune» (decreto 11 luglio 1930, relativo all'estensione delle scommesse al totalizzatore fuori ippodromo). Con l'art. 13 del decreto 14 novembre 1974, n. 74-954, relativo alle società di corse ippiche, è stata assegnata al PMU, in via esclusiva, la gestione dei diritti delle società di corse sulle scommesse al totalizzatore fuori ippodromo. Questa norma dispone quanto segue: «Le società di corse autorizzate a organizzare le scommesse al totalizzatore fuori dagli ippodromi (...) ne affidano la gestione a un servizio comune denominato Pari mutuel urbain». Tale esclusiva del PMU è inoltre tutelata dal divieto, per soggetti diversi dal PMU, di effettuare o di accettare scommesse sulle corse ippiche (art. 8 del decreto interministeriale 13 settembre 1985, recante regolamento del Pari mutuel urbain). Essa si estende alle scommesse accettate all'estero sulle corse organizzate in Francia, nonché sulle scommesse accettate in Francia sul corse organizzate all'estero, le quali possono, del pari, essere fatte solo dalle società autorizzate e/o dal PMU (art. 15, n. 3, della legge 23 dicembre 1964, n. 64-1279, recante la legge finanziaria per il 1965).

(5) - Si tratta del primo regolamento di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204).

(6) - La Ladbroke sostiene che gli scommettitori che utilizzano i servizi del PMU ne vengono sfruttati, a causa dell'assenza di un'organizzazione di scommesse sulle corse disputate negli ippodromi non appartenenti alle principali società di corse e dell'incompleta disponibilità di scommesse per le corse disputate sugli ippodromi appartenenti a queste ultime. La Ladbroke lamenta inoltre la copertura limitata delle corse straniere da parte del PMU e delle sue agenzie nonché la cattiva qualità dei servizi da loro offerti.

(7) - Causa T-32/93, Ladbroke (Racc. pag. II-1015).

(8) - V. supra, nota 1.

(9) - Sentenza 19 ottobre 1995, causa C-19/93 P, Rendo e a./Commissione (Racc. pag. I-3319).

(10) - La Ladbroke rinvia alle sentenze della Corte 3 dicembre 1987, causa 136/86, BNIC/Aubert (Racc. pag. 4789); 30 gennaio 1985, causa 123/83, BNIC/Clair (Racc. pag. 391), e 11 aprile 1989, causa 66/86, Ahmed Saeed (Racc. pag. 803).

(11) - V. cause BNIC/Clair e BNIC/Aubert, citate alla nota 10.

(12) - La ricorrente fa riferimento alle sentenze della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73-48/73, 50/73, 54/75-56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie (Racc. pag. 1663); 10 dicembre 1985, cause riunite 240/82, 241/82, 242/82, 261/82, 268/82 e 269/82, Stichting Sigarettenindustrie (Racc. pag. 3831), nonché alla sentenza del Tribunale 29 giugno 1993, causa T-7/92, Asia Motor (Racc. pag. II-669).

(13) - Sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325).

(14) - Si cita la sentenza della Corte 16 novembre 1977, causa 13/77, INNO/ATAB (Racc. pag. 2115).

(15) - Si cita la sentenza della Corte 17 novembre 1993, causa C-2/91, Meng (Racc. pag. I-5751).

(16) - A sostegno del suo argomento, la ricorrente si richiama alle sentenze della Corte 18 ottobre 1979, causa 125/78, GEMA/Commissione (Racc. pag. 3173) e del Tribunale 18 settembre 1992, causa T-24/90, Automec/Commissione (Racc. pag. II-2223).

(17) - V. sentenza del Tribunale 27 ottobre 1994, Ladbroke, citata alla nota 7.

(18) - Punto 6 della decisione della Commissione impugnata, di cui correttamente il Tribunale ha tenuto conto al punto 14 della sentenza.

(19) - Secondo comma del punto 6 della decisione della Commissione impugnata.

(20) - Risulta tuttavia da quanto detto che il rigetto della denuncia da parte della Commissione non è senz'altro annullabile nel suo complesso. L'errore della Commissione (secondo quanto dichiarato dal Tribunale interpretando l'art. 85) sta nel modo in cui è stato respinto il primo capo della denuncia della Ladbroke, quello cioè vertente sugli accordi e sulle pratiche concordate tramite i quali le società di corse hanno attribuito al PMU l'esclusiva per la gestione delle scommesse al totalizzatore in Francia. Questa precisazione è a mio parere necessaria per la migliore comprensione del contenuto della sentenza impugnata.

(21) - Un diritto del genere, peraltro, non esiste. V. sentenza GEMA, citata alla nota 16.

(22) - Se questa impostazione fosse corretta, la sentenza del Tribunale dovrebbe, a mio parere, essere annullata. I due procedimenti che la Commissione promuove ai sensi, rispettivamente, degli artt. 90 e 85 e 86, sono assolutamente indipendenti l'uno dall'altro. Dall'interpretazione combinata di tali articoli non risulta peraltro che il completamento dell'esame in forza dell'art. 90 debba precedere quello imposto dall'applicazione degli artt. 85 e 86. Poiché il Trattato rimette alla discrezionalità della Commissione la scelta del momento e del modo in cui agire, una limitazione di tale facoltà nella scelta del procedimento adeguato non trova fondamento giuridico nel confronto tra i due procedimenti. Questa limitazione non può che avere, d'altronde, un'esigua rilevanza pratica. Come correttamente osserva il governo francese, la Commissione può ormai evitare di promuovere il procedimento ai sensi dell'art. 90 prima di respingere definitivamente una denuncia dal punto di vista degli artt. 85 e 86, proprio per potersi sottrarre agli obblighi impostile dal Tribunale.

(23) - V. supra, paragrafo 31.

(24) - E' opportuno rinviare alla sentenza 19 ottobre 1995, Rendo (citata alla nota 9, punti 21-23), in cui la Corte era chiamata a decidere in sede di impugnazione su una questione analoga.

(25) - Il lettore della sentenza non deve lasciarsi influenzare dal fatto che l'ultima frase del punto 46 fa riferimento all'art. 90. Anzitutto, in tale punto della motivazione il Tribunale non prende posizione sulla questione, ma semplicemente pone il problema, valutando il fatto che nella fattispecie vi è effettivamente una denuncia in base all'art. 90, anch'essa pendente dinanzi alla Commissione. Ciò significa che l'obbligo della Commissione di esaminare la normativa francese prima di decidere sul rigetto definitivo dei capi della denuncia vertenti sugli artt. 85 e 86 non deriva dal fatto che è pendente una denuncia per infrazione all'art. 90. Tale obbligo sorge direttamente dagli artt. 85 e 86, come risulta a mio parere chiaramente dal tenore dei punti 50 e 51 della sentenza; semplicemente, nel caso di specie si verifica che è già stato avviato il procedimento ai sensi dell'art. 90, previsto direttamente dal Trattato per la valutazione, da parte della Commissione, della compatibilità di una normativa nazionale con l'ordinamento giuridico comunitario (v. infra, paragrafo 68 e segg. delle presenti conclusioni).

(26) - Si tratta dei casi, come il presente, in cui l'attività dei privati, la cui compatibilità con le norme comunitarie sulla concorrenza potrebbe suscitare fondate riserve, è stata dettata da provvedimenti nazionali che disciplinano tale attività e hanno collocato il mercato nazionale al di fuori dalle condizioni di concorrenza e al di fuori degli scambi tra Stati membri. Anche in questi casi, ovviamente, non è a priori necessario che vi sia un controllo delle norme statali per poter dare una risposta definitiva sugli artt. 85 e 86. La Commissione può ad esempio ritenere che dal semplice esame dell'azione delle imprese interessate risulta che esse non hanno realizzato alcun accordo, pratica concordata o abuso di posizione dominante. La Commissione può tuttavia, come nel caso di specie, non fondare la propria analisi sul comportamento delle imprese bensì sul fatto che tale comportamento, in ogni caso, non poteva incidere sulla concorrenza né sugli scambi intracomunitari essendo vigente una normativa nazionale che è stata causa necessaria e sufficiente del detto risultato. Pertanto, secondo il Tribunale, la corretta interpretazione e applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato passa necessariamente attraverso la previa valutazione della compatibilità di questa normativa nazionale con il diritto comunitario.

(27) - Punto 49 della sentenza impugnata.

(28) - Come già detto (paragrafo 34), le altre motivazioni addotte dalla Commissione non bastavano, di per sé, a giustificare il rigetto definitivo della denuncia ai fini degli artt. 85 e 86 del Trattato.

(29) - V. il citato punto 47 della sentenza impugnata. Con il primo profilo del primo motivo di annullamento, la Commissione contesta la correttezza di questo punto ritenendo che si fondi su un'errata comprensione del controricorso che essa aveva depositato in primo grado. Orbene, è stata invece la Commissione a non aver ben compreso il vero senso del punto 47. Il Tribunale non ritiene che la Commissione abbia riconosciuto la necessità di concludere preliminarmente il procedimento pendente ai sensi dell'art. 90 prima di rispondere in via definitiva sugli artt. 85 e 86; considera tuttavia che, anche dal punto di vista della Commissione, il problema di concorrenza posto in generale dalla denuncia della Ladbroke non può trovare soluzione soddisfacente se non accertando in qual misura la normativa francese sul monopolio del PMU sia conforme alle disposizioni del Trattato.

(30) - Punto 50 della sentenza impugnata.

(31) - Secondo il ragionamento del Tribunale, la Commissione è tenuta direttamente, in forza degli artt. 85 e 86 e delle prescrizioni dell'art. 155 del Trattato, a procedere all'esame della compatibilità della normativa nazionale con le norme comunitarie sulla concorrenza. Contrariamente dunque a quanto sostiene il governo francese con il terzo motivo di annullamento, la Commissione non può eludere questo obbligo annunciando, fin dalla presentazione della denuncia, che non intende esaminare la normativa nazionale dal punto di vista dell'art. 90, in modo da salvaguardare il suo potere discrezionale.

(32) - Con riferimento all'obbligo per la Commissione di procedere, in determinati casi, a una previa valutazione della compatibilità della normativa nazionale con il diritto comunitario della concorrenza prima di decidere in via definitiva su una denuncia in forza degli artt. 85 e 86.

(33) - La Corte, con tale sentenza 16 dicembre 1975 (citata alla nota 12), relativa ad imprese che commerciavano in zucchero, aveva svolto il seguente ragionamento (punti 65-72): «(...) la normativa italiana e la sua attuazione hanno influito in modo decisivo su taluni aspetti essenziali del comportamento addebitato alle imprese interessate, di guisa che, manifestamente, senza la suddetta normativa e la conseguente attuazione, la collaborazione di cui è causa non avrebbe avuto luogo, oppure avrebbe assunto forma diversa da quella criticata dalla Commissione (...). La normativa italiana e la sua attuazione avevano inoltre lo scopo, ed hanno avuto l'effetto, di adeguare rigorosamente l'entità dell'offerta a quella della domanda, e di eliminare così un fattore essenziale del normale gioco della concorrenza. Il regime sopra descritto ha notevolmente ridotto la possibilità che fra gl'interessati venisse convenuto il prezzo che sarebbe risultato dal libero gioco della domanda e dell'offerta. Inoltre, sia pure indirettamente, la normativa italiana ha ostacolato in modo sostanziale la libera scelta del fornitore da parte dell'acquirente e viceversa (...). Se è vero che - come sopra si è affermato - in particolare il sistema delle quote nazionali, portando ad un isolamento dei mercati nazionali, lascia alle norme sulla concorrenza solo uno spazio residuo, questo risulta ulteriormente e notevolmente limitato a causa della peculiare organizzazione del mercato italiano. Dalle precedenti considerazioni emerge che il comportamento in questione non ha potuto influire in modo sensibile sul gioco della concorrenza e non ricade, quindi, sotto il divieto di cui all'art. 85 del Trattato».

(34) - E' a mio parere utile sottolineare che la Corte, nella causa Suiker Unie, sapeva che il contenuto della normativa italiana sul commercio dello zucchero non era manifestamente incompatibile con l'ordinamento giuridico comunitario. Le istituzioni comunitarie, d'altronde, non erano riuscite ad istituire per lo zucchero un regime di vera e propria libera concorrenza. L'organizzazione comune del mercato di tale prodotto prevedeva rilevanti eccezioni per il mercato italiano, che consentivano in definitiva al legislatore italiano di limitare al massimo la libera concorrenza. Pur senza alludere direttamente alla compatibilità della normativa italiana con il diritto comunitario nel testo della sentenza, ritengo che la Corte ne abbia tacitamente tenuto conto prima di decidere nel senso dell'inapplicabilità degli artt. 85 e 86 del Trattato alla imprese che agivano sul mercato italiano. Non è certo, a mio parere, che la sentenza finale avrebbe avuto lo stesso contenuto nel caso in cui la normativa nazionale che ostava all'applicazione degli artt. 85 e 86 fosse stata direttamente in contrasto con le norme comunitarie.

(35) - Significativo è l'esempio della sentenza 10 dicembre 1985, Stichting Sigarettenindustrie (citata alla nota 12).

(36) - V. sentenze della Corte 10 gennaio 1985, causa 229/83, Leclerc (Racc. pag. 1), e 29 gennaio 1985, causa 231/83, Cullet (Racc. pag. 305).

(37) - Sentenza della Corte 17 novembre 1993, citata alla nota 15.

(38) - V., da ultimo, sentenza 28 febbraio 1991, causa C-332/89, Marchandise (Racc. pag. I-1027, punto 22).

(39) - V. le citate sentenze della Corte INNO/ATAB, BNIC/Clair, BNIC/Aubert, Ahmed Saeed, Meng, nonché le sentenze della Corte 30 aprile 1986, causa 209/84, Asjes (Nouvelles Frontières) (Racc. pag. 1425); 1_ ottobre 1987, causa 311/85, Vlaamse Reisbureaus (Racc. pag. 3801); 29 gennaio 1985, causa 231/83, Cullet (Racc. pag. 305), e 21 settembre 1988, causa 267/86, Van Eycke (Racc. pag. 4769).

(40) - Nella citata sentenza Meng la Corte era chiamata a pronunciarsi sulla normativa tedesca in materia di assicurazioni, che vieta la cessione di parte delle provvigioni ai clienti. La soluzione data alla questione si è fondata sul seguente iter argomentativo: «(...) occorre rilevare che la normativa stessa vieta la concessione di agevolazioni agli assicurati e non delega ad operatori privati la responsabilità di adottare le decisioni d'intervento in materia economica. Alla luce delle considerazioni che precedono, emerge che una normativa come quella di cui alla causa principale non rientra nelle categorie di norme statali che, secondo la giurisprudenza della Corte, pregiudicano l'effetto utile degli artt. 3, lett. f), 5, secondo comma, e 85 del Trattato. Si deve pertanto risolvere la questione sollevata dal giudice nazionale nel senso che gli artt. 3, lett. f), 5, secondo comma, e 85 del Trattato CEE non ostano, in mancanza di qualsiasi collegamento con un comportamento di imprese vietato dall'art. 85, n. 1, del Trattato, all'applicazione di una normativa statale che vieti agli intermediari del settore assicurativo la cessione ai clienti dell'integralità o di parte delle provvigioni versate dalle compagnie di assicurazione» (punti 20-22).

(41) - E' sufficiente ricordare l'evoluzione della giurisprudenza della Corte dalla sentenza 6 aprile 1962, causa 13/61, Bosch (Racc. pag. 89), alla sentenza 30 gennaio 1974, causa 127/73, BRT/Sabam (Racc. pag. 51), e poi alla sentenza 10 luglio 1980, causa 37/79, Marty (Racc. pag. 2481).

(42) - Rinvio in proposito alla più generale problematica che si incontra negli ordinamenti giuridici nazionali, a livello tanto penale quanto disciplinare, relativa alla possibilità che l'ordine di un superiore o l'ignoranza della legge escludano l'illegittimità dell'atto o semplicemente escludano o limitino l'imputabilità.

(43) - Ad esempio, qualora le imprese interessate dimostrino di essersi conformate alle norme nazionali in quanto giustificatamente le avevano reputate conformi alle corrispondenti norme comunitarie oppure in ragione della gravità della sanzione cui avrebbe condotto la loro mancata osservanza. Qualora invece la normativa nazionale sia manifestamente incompatibile con il diritto comunitario, e di ciò l'impresa sia a conoscenza, non vedo il motivo per cui quest'ultima debba trovare riparo dietro il provvedimento nazionale per eludere le sanzioni previste dall'art. 85. Ritengo comunque che questa distinzione sia indispensabile; sarebbe invece eccessivamente severo che un'impresa che viene indotta dalla normativa nazionale a comportamenti contrastanti con gli artt. 85 e 86 dovesse senz'altro subire le sanzioni previste. In proposito, v. le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs presentate il 27 febbraio 1997 nella causa C-90/94, Haahr Petroleum Ltd, nelle cause riunite C-114/95 e C-115/95, Texaco e Olieselskabet Danmark, nonché nella causa C-242/95, GT-Link (Racc. pag. I-4085).

(44) - Sentenza 19 giugno 1990, causa C-213/89 (Racc. pag. I-2433).

(45) - V. paragrafo 56 e segg. delle presenti conclusioni.

(46) - A condizione, beninteso, che la Commissione, in esito al controllo svolto, abbia accertato un comportamento riconducibile agli artt. 85 e 86.

(47) - V. sentenza Meng, citata alla nota 15.

(48) - Dalla giurisprudenza della Corte sull'applicazione a una normativa nazionale dell'art. 90, da una parte, e degli artt. 85 e 86 in relazione all'art. 5, dall'altra, si evince che il cumulo di questi fondamenti giuridici è in via di principio impossibile. In particolare, il criterio fondamentale per ritenere che, in via di deroga, una normativa nazionale rientri nell'ambito degli artt. 85 e 86, consiste nell'accertare che tale normativa ha perso la sua «statualità» proprio in quanto impone, agevola o rafforza comportamenti privati anticoncorrenziali, ovvero delega a privati l'adozione di provvedimenti d'intervento in materia economica (v. sentenza Meng, citata alla nota 15). Al contrario, perché sia applicabile l'art. 90 occorre che la lesione della concorrenza sia stata provocata da un provvedimento meramente statale. [V. ad es. sentenza della Corte 19 marzo 1991, causa C-202/88, Francia/Commissione (Racc. pag. I-1223), che ha annullato una decisione della Commissione, nella parte in cui imponeva agli Stati membri di adottare provvedimenti per la risoluzione dei contratti di locazione di terminali conclusi tra imprese pubbliche di telecomunicazioni e utenti; tali contratti non rientravano nell'ambito di applicazione dell'art. 90 in quanto non erano stati imposti obbligatoriamente dagli Stati membri]. Certamente, allorché la normativa nazionale si estende tanto alle imprese dell'art. 90 quanto a società non rientranti in tale categoria, la sua compatibilità con il diritto comunitario sarà esaminata in parte dal punto di vista dell'art. 90 e in parte da quello degli artt. 5, 85 e 86. V. sentenza della Corte 11 aprile 1989, Ahmed Saeed, citata alla nota 10. E' probabile che un'approfondita analisi della normativa francese sulle scommesse ippiche riveli che tale normativa è riconducibile ad entrambi i fondamenti giuridici.

(49) - V. sentenza della Corte 27 maggio 1981, cause riunite 142/80 e 143/80, Essevi e Salengro (Racc. pag. 1413).

(50) - Si rilevi che, quando sorge una questione di compatibilità con il diritto comunitario di provvedimenti nazionali con cui si concedono ad imprese diritti speciali o esclusivi, l'art. 90 è lex specialis, che per definizione deve trovare applicazione [Sulla specificità dell'art. 90, v. le conclusioni dell'avvocato generale Reischl sulla sentenza 6 luglio 1982, cause riunite 188/80-190/80, Francia, Italia e Regno Unito/Commissione (Racc. pag. 2545)].

(51) - Non deve sfuggire il fatto che il procedimento ai sensi degli artt. 85 e 86, in combinato disposto con quello dell'art. 5 del Trattato, non può condurre all'adozione di una decisione della Commissione che si rivolga agli Stati membri e non alle imprese. V. ordinanza della Corte 30 settembre 1987, causa 229/86, Brother Industries (Racc. pag. 3757), e soprattutto sentenza 13 dicembre 1990, causa T-113/89, Nefarma (Racc. pag. II-797).

(52) - E' peraltro dubbio se una prospettiva del genere non leda inoltre il diritto di difesa dello Stato membro. Siccome il procedimento di cui al regolamento n. 17 è rivolto contro imprese, lo Stato membro non sarà presente nel momento in cui sarà sollevata la questione se le disposizioni nazionali in discussione siano conformi al diritto comunitario. Naturalmente, è possibile che lo Stato membro sia chiamato ad esporre il suo punto di vista anche senza che ciò sia espressamente previsto [v. la posizione della Corte nelle sentenze 14 febbraio 1990, causa C-301/87, Francia/Commissione (Racc. pag. I-307), e 12 febbraio 1992, cause riunite C-48/90 e C-66/90, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. I-565)]. Esso può inoltre proporre ricorso ai sensi dell'art. 173 avverso la decisione adottata dalla Commissione in esito al procedimento di cui al regolamento n. 17.

(53) - Peraltro, come la Commissione aveva osservato nel corso della citata causa Meng, un'eventualità del genere può compromettere l'uniformità del diritto comunitario: la Commissione potrà promuovere la tutela delle norme comunitarie sulla concorrenza disponendo di uno strumento giuridico in più rispetto a quelli che utilizza solitamente per imporre l'abolizione di misure nazionali che ostano all'applicazione di norme comunitarie con altro contenuto. Quest'ultimo argomento può naturalmente essere disatteso tenuto conto della specificità delle norme sancite dagli artt. 85 e 86 nonché della natura economica delle Comunità, quanto meno ai loro inizi. Si puù aggiungere che il fatto che i poteri della Commissione risultino ampliati con riferimento a uno solo degli oggetti dell'ordinamento giuridico comunitario non è ragione sufficiente per respingere questa prospettiva; si è dimostrato nella pratica che l'integrazione europea non può procedere allo stesso modo in tutti i campi.

(54) - Per il procedimento ex art. 169, v. sentenza 1_ marzo 1966, causa 48/65, Lütticke/Commissione (Racc. pag. 26). Per il procedimento ex art. 90, v. sentenza del Tribunale 27 ottobre 1994, Ladbroke, citata alla nota 7. Tuttavia, non si deve escludere la possibilità che la giurisprudenza si orienti verso un'ulteriore limitazione del potere discrezionale della Commissione. Si muovono in questa direzione le conclusioni dell'avvocato generale La Pergola dell'11 luglio 1996 nella causa C-107/95 P, Bundesverband der Bilanzbuchhalter/Commissione (Racc. pag. I-947), le quali, sebbene non siano state seguite dalla Corte nella sentenza 20 febbraio 1997, lasciano comunque intendere che la questione non può considerarsi risolta.

(55) - V. supra, paragrafi 48 e 66.

(56) - Sentenza della Corte 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame (Racc. pag. I-1029), vertente sui presupposti della responsabilità di uno Stato membro per i danni cagionati ai singoli da violazioni del diritto comunitario imputabili allo Stato stesso.

(57) - V. supra, nota 15.

(58) - V. supra, nota 15.

(59) - V. supra, paragrafo 21.

(60) - Nella sua analisi della legislazione francese (punto 6 della decisione impugnata), la Commissione si limita a dichiarare che il decreto del 1974 non può essere considerato una convalida da parte del legislatore di accordi o di pratiche concordate preesistenti tra le società di corse, in quanto tali accordi e pratiche erano stati imposti dal decreto francese del 1930.

(61) - Non rientra peraltro nella competenza della Corte o del Tribunale sostituire o integrare le motivazioni della decisione impugnata. Non sono quindi pertinenti le osservazioni degli agenti della Commissione, sia in fase scritta sia in fase orale, stando alle quali la normativa francese di cui trattasi non rientra nella categoria di quelle che privano gli artt. 85 e 86 del loro effetto utile. Una constatazione del genere avrebbe dovuto discendere chiaramente e in modo motivato dalla decisione impugnata, attraverso una specifica analisi del contesto normativo nazionale sotto il profilo degli artt. 85 e 86. La decisione impugnata, cioè, non affronta con il dovuto approfondimento questa questione giuridica, di cui riconosce tuttavia espressamente la rilevanza e la difficoltà allorché si tratta di esaminare la stessa normativa sotto il profilo dell'art. 90.

(62) - V. sentenze del Tribunale 18 settembre 1992, causa T-24/90, Automec, citata alla nota 16, e 24 gennaio 1995, causa T-114/92, BEMIM (Racc. pag. II-147, punti 47-57).

(63) - Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, v. punto 50 della sentenza impugnata.

(64) - Quale sarebbe, d'altronde, l'utilità di una verifica della compatibilità della normativa francese sulle scommesse ippiche con il diritto comunitario se bastasse semplicemente accertarne l'imperatività rispetto al comportamento delle imprese per sottrarre queste ultime agli artt. 85 e 86?

(65) - Rilevo che questi criteri giurisprudenziali, come ribaditi nella citata sentenza Meng, sono stati elaborati dalla Corte in sede pregiudiziale; si trattava quindi di casi in cui il controllo della normativa nazionale sulla base degli artt. 85 e 86 sarebbe stato svolto da un giudice nazionale e non dalla Commissione. Quest'ultima, quando esamina il comportamento delle imprese alla luce di tali articoli, concentra il suo controllo sul detto comportamento. Inoltre la Corte, quando è chiamata a controllare le decisioni della Commissione in forza del regolamento n. 17, si limita a quanto attiene all'azione delle imprese, prendendo in considerazione la normativa nazionale solo per accertare in che misura essa abbia imposto tali comportamenti e non per stabilire se essa sia conforme alle norme comunitarie. Con il ragionamento che ho sviluppato innanzi, la Commissione è chiamata a decidere se la normativa francese di cui trattasi privi del loro effetto utile gli artt. 85 e 86, nell'ambito del controllo che essa effettua sul comportamento delle imprese. Si chiede cioè alla Commissione di procedere a un giudizio incidentale sulla compatibilità della normativa nazionale con il diritto comunitario; vale pertanto anche per questo caso quanto detto al paragrafo 71 e segg. delle presenti conclusioni. Con la differenza che questo giudizio incidentale non copre il complesso dei provvedimenti nazionali eventualmente anticoncorrenziali (come sottintende la formulazione generica di cui al punto 49 della sentenza impugnata), ma solo le norme nazionali che privano gli artt. 85 e 86 del loro effetto utile, in conformità a quanto affermato dalla Corte nelle citate sentenze INNO e Meng. In altre parole, questo approccio non fa che rafforzare ed estendere, a mio parere correttamente, l'applicazione di questa giurisprudenza.

(66) - Il piatto della bilancia pende piuttosto in favore di un'applicazione rigorosa degli artt. 85 e 86 del Trattato, a discapito delle normative nazionali. V. sentenza 11 luglio 1996, cause riunite T-528/93, T-542/93, T-543/93 e T-546/93, Metropole Télévision e a./Commissione (Racc. pag. II-649), relativa ai presupposti in presenza dei quali un'attività può essere esclusa dall'ambito di applicazione dell'art. 85 perché configura una «specifica missione d'interesse pubblico». Inoltre, come già detto (v. supra, nota 54), vi è acceso dibattito sulla necessità di limitare il potere discrezionale della Commissione in relazione alle competenze assegnatele dal diritto comunitario della concorrenza, anche allorché il loro esercizio può sfociare in un conflitto con uno Stato membro.