61995C0329

Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 20 febbraio 1997. - Procedimento amministrativo avviato dalla VAG Sverige AB. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Länsrätten i Stockholms Län - Svezia. - Immatricolazione di veicoli - Certificato nazionale in materia di gas di scarico - Compatibilità con la direttiva 70/156/CEE - Causa C-329/95.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-02675


Conclusioni dell avvocato generale


1 I quesiti pregiudiziali sottoposti alla Corte dal Länsrätten di Stoccolma vertono sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 6 febbraio 1970, 70/156/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi (1), nonché degli articoli 30 e 36 del Trattato.

Più precisamente, il giudice nazionale intende stabilire se una normativa nazionale che subordini l'immatricolazione dei veicoli a motore alla presentazione di un certificato nazionale che ne attesti la conformità alle prescrizioni nazionali in materia di gas di scarico, allorché tali veicoli sono muniti di un valido certificato di conformità comunitario, sia compatibile con la direttiva 70/156/CEE e, in caso di risposta affermativa, se essa costituisca nondimeno una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa.

Il contesto normativo comunitario e nazionale

2 Ai fini di una migliore comprensione della portata dei quesiti pregiudiziali posti alla Corte, è opportuno anzitutto richiamare la normativa, sia comunitaria che nazionale, pertinente in materia.

- La normativa comunitaria

3 La normativa comunitaria in materia di veicoli a motore è composta da una direttiva quadro e ben 45 direttive «particolari». Il complesso delle disposizioni contenute in tali direttive, che hanno proceduto ad un'armonizzazione esaustiva delle regole tecniche e di funzionamento del settore, ha consentito la messa in vigore del sistema di omologazione comunitario relativamente ai veicoli M1 (2), tra cui rientra quello oggetto della presente controversia. L'applicazione di tale sistema, lasciata alla volontà dei singoli costruttori nel periodo 1º gennaio 1993 - 31 dicembre 1995, è diventata obbligatoria dal 1º gennaio 1996. A partire da tale data, dunque, gli Stati membri sono tenuti ad applicare e rispettare la procedura di omologazione comunitaria.

La direttiva quadro del settore è precisamente la direttiva 70/156/CEE, quale modificata dalla direttiva 92/53/CEE (3). Essa stabilisce la procedura di omologazione comunitaria per i veicoli a motore e i loro rimorchi fabbricati in una o più fasi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati all'impiego nei suddetti veicoli e rimorchi (art. 1). La domanda di omologazione di un veicolo, che deve essere presentata presso un solo Stato membro, è presentata dal costruttore all'autorità competente a rilasciare l'omologazione ed è accompagnata dalla documentazione specifica richiesta; fino alla data di rilascio o di rifiuto dell'omologazione, il fascicolo di omologazione relativo a ciascuna direttiva particolare è posto a disposizione dell'autorità che rilascia l'omologazione (art. 3, n. 1). Le autorità dello Stato membro cui la domanda è presentata compilano una scheda di omologazione in cui viene attestato che il tipo di veicolo è conforme alle informazioni contenute nel fascicolo del costruttore e soddisfa le esigenze tecniche di cui alle direttive particolari (art. 4, n. 1). L'omologazione comunitaria attesta dunque che il tipo di veicolo di cui si tratta è conforme a tutte le esigenze tecniche prescritte da ciascuna direttiva particolare.

Il certificato di conformità è rilasciato, conformemente all'art. 6, n. 1, dal costruttore per ciascun veicolo della serie ed attesta che il veicolo è conforme al tipo omologato. L'art. 7, n. 1, norma qui rilevante, prevede poi che «ciascuno Stato membro immatricola veicoli nuovi ovvero ne autorizza la vendita o la messa in circolazione fondandosi su motivi concernenti la costruzione o il funzionamento degli stessi, solo se detti veicoli sono accompagnati da un valido certificato di conformità». Il successivo n. 3 dello stesso art. 7 prevede poi che «se uno Stato membro stabilisce che veicoli, componenti o entità tecniche di un particolare tipo, benché accompagnati da un certificato di conformità valido o regolarmente marcati, compromettono gravemente la sicurezza stradale, può, per un periodo massimo di sei mesi, rifiutare l'immatricolazione di detti veicoli o vietare la vendita o la messa in circolazione sul proprio territorio di detti veicoli, componenti o entità tecniche. Esso ne informa immediamente gli altri Stati membri e la Commissione, precisando i motivi della propria decisione. Se lo Stato membro che ha rilasciato l'omologazione contesta i rischi addotti per la sicurezza stradale ad esso notificati, gli Stati membri interessati si occupano per risolvere la controversia. La Commissione è tenuta informata e procede, ove necessario, alle consultazioni necessarie per pervenire ad una soluzione» (4).

In caso di non conformità di un veicolo al tipo omologato, spetta allo Stato membro che ha rilasciato l'omologazione prendere i provvedimenti che ritiene più opportuni e che possono consistere finanche nel ritiro dell'omologazione (art. 11, n. 2). Agli altri Stati membri è solo concesso, qualora abbiano dei dubbi sulla conformità di un veicolo al tipo omologato, di chiedere una verifica allo Stato membro che ha proceduto all'omologazione (art. 11, n. 3).

4 Ai fini del presente procedimento, rileva inoltre la direttiva del Consiglio 20 marzo 1970, 70/220/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle misure da adottare contro l'inquinamento atmosferico con i gas prodotti dai motori ad accensione comandata dei veicoli a motore (5). Tale direttiva «particolare» prevede, tra l'altro, che «gli Stati membri non possono rifiutare l'omologazione CEE né l'omologazione di portata nazionale di un veicolo per motivi concernenti l'inquinamento atmosferico con i gas prodotti dal motore ad accensione comandata» allorché rispondenti a determinati requisiti (art. 2). La stessa direttiva, quale modificata dalla direttiva 91/441/CEE (6), prevede inoltre che «gli elementi che possono influire sulle emissioni dallo scarico e sulle emissioni per evaporazione devono essere progettati, costruiti e montati in modo che il veicolo, in condizioni normali di utilizzazione e malgrado le vibrazioni cui può essere sottoposto, possa soddisfare le prescrizioni della presente direttiva. Le misure tecniche prese dal costruttore conformemente alle disposizioni della presente direttiva devono garantire che le emissioni dallo scarico e le emissioni per evaporazione risultino effettivamente limitate per la normale durata di vita del veicolo e in condizioni normali di utilizzazione. Nel caso delle emissioni dallo scarico, queste prescrizioni sono ritenute soddisfatte se sono soddisfatte rispettivamente le prescrizioni dei punti 5.3.1.4 e 7.1.1.1» (punto 5.1.1. dell'allegato I).

- La normativa nazionale

5 Conformemente all'art. 12, primo comma, punto 9, della legge svedese relativa all'immatricolazione dei veicoli (Bilregisterkungörelsen), l'immatricolazione è subordinata alla presentazione, oltre che di un certificato di conformità comunitario, anche di un certificato di conformità nazionale. Tale certificato, rilasciato dall'importatore svedese, deve attestare che la famiglia di motori alla quale appartiene il veicolo di cui si tratta ha ottenuto un'autorizzazione che ne attesta la rispondenza alle condizioni fissate dalla regolamentazione svedese relativa ai gas di scarico (Bilavgasförordningen; nel prosieguo: la «BAF»). La richiesta di tale autorizzazione deve essere introdotta dal costruttore in occasione dell'uscita di un nuovo modello di auto ed è valida per una «famiglia di motori», vale a dire per una categoria di veicoli aventi un motore similare (art. 2 della BAF). Il costruttore sceglie esso stesso la famiglia di motori in cui il nuovo modello va classificato. Le condizioni richieste dalla BAF sono considerate soddisfatte allorché la famiglia di motori alla quale appartiene il veicolo di cui si tratta beneficia di un'autorizzazione che emana da un'autorità stabilita nello spazio economico europeo (art. 6, secondo comma, della BAF).

Quando un veicolo è munito di un certificato di conformità comunitario, la disciplina svedese impone quindi esclusivamente la conversione di quest'ultimo in certificato nazionale, nel senso che non sono previsti controlli supplementari volti a verificare in concreto la rispondenza del veicolo alle norme nazionali in materia di inquinamento da gas di scarico. Il rilascio del certificato nazionale è nondimeno subordinato alla presentazione di una documentazione specifica, in larga misura coincidente con quella già presentata dal costruttore per ottenere l'omologazione comunitaria, nonché al pagamento di 32 330 SKR all'anno per famiglia di motori (7), alle quali occorre aggiungere 25 SKR per ogni autoveicolo venduto, nonché 75 SKR, ancora per autoveicolo e a favore dell'ufficio per la protezione della natura, a titolo di finanziamento della procedura svedese di omologazione concernente le emissioni di gas di scarico.

6 L'esigenza del certificato nazionale sembrerebbe legata al sistema svedese di controllo dei veicoli e di responsabilità dei costruttori. Ogni costruttore che voglia commercializzare delle automobili sul territorio svedese deve infatti impegnarsi a prendere a suo carico gratuitamente la riparazione di veicoli che, al momento di un controllo ufficiale (8), non rispondano più alle condizioni relative ai gas di scarico. Tale impegno non è tuttavia valido per le auto di privati aventi più di cinque anni ovvero più di 80 000 Km. In caso di difetto importante, può essere imposto al costruttore di cambiare a sue spese talune parti del sistema anti-inquinamento ovvero, in casi limite, di ritirare dal mercato tutte le auto di uno stesso tipo (procedura detta di recall). Al fine di garantire la buona esecuzione di tali impegni, la normativa svedese in parola esige, per quanto riguarda i veicoli fabbricati all'estero, che il costruttore designi un suo rappresentante ufficiale in Svezia.

In definitiva, il certificato nazionale svedese ed il registro ad esso relativo avrebbero precisamente come scopo di classificare le auto in una famiglia di motori, ciò che consentirebbe alle autorità competenti di avere a disposizione le necessarie informazioni riguardanti i veicoli difettosi - sotto il profilo della loro conformità alle norme sulle emissioni dei gas di scarico - appartenenti ad una stessa famiglia di motori, informazioni ritenute necessarie per impegnare la responsabilità del costruttore.

I fatti e i quesiti pregiudiziali

7 Con decisione del 24 maggio 1995, la prefettura della regione di Stoccolma ha respinto la richiesta, presentata dalla società VAG Sverige AB, di immatricolazione di un autoveicolo Audi A4. Tale rifiuto è stato motivato in base al fatto che, sebbene il veicolo in questione fosse munito di un valido certificato di conformità comunitario, non era stato prodotto il certificato nazionale di cui al già citato art. 12, primo comma, punto 9, vale a dire il certificato attestante la rispondenza della famiglia di motori alla quale appartiene il veicolo in questione ai requisiti fissati dalla BAF in materia di gas di scarico.

La VAG Sverige AB ha impugnato tale decisione dinanzi al Länsrätten di Stoccolma, sostenendo, tra l'altro, che l'interpretazione della prefettura regionale sarebbe in contrasto con il diritto comunitario, più precisamente con la direttiva 70/156/CEE, concernente la procedura di omologazione dei veicoli a motore.

8 Ritenendo che, ai fini della soluzione della controversia, fosse necessaria l'interpretazione del diritto comunitario, il giudice nazionale ha deciso di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte. Esso chiede:

«1. Se l'esigenza del certificato, quale previsto dall'articolo 12, primo comma, punto 9, della legge svedese in materia di immatricolazione degli autoveicoli, sia compatibile con le disposizioni della direttiva 70/156/CEE nel testo attualmente vigente.

2. In caso di risposta affermativa al primo quesito, se tale esigenza sia compatibile con l'art. 30 del Trattato CE o se debba essere invece considerata quale "misura di effetto equivalente".

3. In caso di risposta affermativa al primo quesito e di risposta al secondo quesito nel senso che la disposizione di cui trattasi dev'essere considerata quale "misura di effetto equivalente", se l'esigenza della produzione del certificato previsto dalla legge svedese possa essere giustificata ai sensi dell'art. 36 del Trattato».

Il primo quesito

9 Con il primo quesito, il giudice di rinvio chiede dunque se le pertinenti disposizioni della direttiva 70/156/CEE, nel testo attualmente in vigore, ostino ad una normativa nazionale che impone, ai fini dell'immatricolazione, la presentazione di un certificato nazionale che attesti la conformità del veicolo di cui si tratta ad una famiglia di motori per la quale è stata ottenuta un'autorizzazione comprovante che sono soddisfatti i requisiti imposti dalla normativa nazionale in materia di gas di scarico: e ciò sebbene il veicolo di cui si tratta sia munito di un valido certificato di conformità comunitario.

Si tratta dunque di stabilire se la procedura di omologazione prevista dalla direttiva 70/156/CEE - e con essa il certificato di conformità rilasciato dal costruttore - conservi agli Stati membri la possibilità di subordinare l'immatricolazione dei veicoli a procedure e/o certificazioni nazionali.

10 Comincio col rilevare che la normativa comunitaria in materia è fin troppo chiara: a) gli Stati membri procedono all'immatricolazione di veicoli nuovi ovvero ne autorizzano la vendita o la messa in circolazione «solo se detti veicoli sono accompagnati da un valido certificato di conformità» (art. 7, n. 1); b) gli Stati membri possono rifiutare l'immatricolazione, la vendita o la messa in circolazione di veicoli muniti di un valido certificato di conformità solo qualora si tratti di veicoli che «compromettono gravemente la sicurezza stradale» ed in ogni caso per un periodo non superiore a sei mesi, durante il quale, ove lo Stato che ha rilasciato l'omologazione contesti i rischi per la sicurezza stradale, deve pervenirsi ad una soluzione sotto il controllo della Commissione (art. 7, n. 3).

Insomma, la possibilità di rifiutare l'immatricolazione di un veicolo munito di un valido certificato comunitario è limitata ad un periodo di sei mesi ed è riconosciuta unicamente per motivi attinenti alla sicurezza stradale; peraltro, lo Stato membro che adotta una tale decisione deve immediatamente avvertire gli altri Stati membri e la Commissione. Al di fuori di tale ipotesi, le disposizioni della direttiva 70/156/CEE non prevedono alcuna possibilità di rifiutare l'immatricolazione di veicoli muniti di valido certificato comunitario di conformità, tantomeno di subordinarla al soddisfacimento di ulteriori requisiti o documentazioni. L'art. 7, n. 1, va dunque interpretato nel senso che un veicolo provvisto del certificato in questione deve essere immatricolato.

11 Orbene, nel caso che ci occupa, lo ricordo, i motivi del rifiuto di immatricolazione sono precisamente dovuti all'assenza di un certificato nazionale attestante la rispondenza del veicolo di cui si tratta ai requisiti di una legge nazionale in materia di gas di scarico. Siamo dunque di fronte ad una richiesta - per giunta sistematica - non originata da motivi inerenti alla sicurezza stradale e che pertanto non rientra in alcun modo nel campo di applicazione dell'art. 7, n. 3.

Tanto basta per pervenire alla conclusione che la direttiva 70/156/CEE osta all'applicazione di una normativa nazionale quale quella in discussione. Rilevo poi che nulla aggiunge, in tale contesto, la direttiva «particolare» 70/220/CEE, relativa alle emissioni dei gas di scarico, atteso che la procedura di omologazione comunitaria, quale prevista dalla direttiva 70/156/CEE, comporta il soddisfacimento di tutte le esigenze tecniche previste dalle direttive particolari, ivi compresa quella sui gas di scarico. Peraltro, come affermato dallo stesso governo svedese nel corso della procedura, le norme nazionali in materia non sono più severe di quelle comunitarie, ma sostanzialmente identiche, tant'è vero che il certificato nazionale di conformità non è affatto condizionato a controlli supplementari.

12 Invero, la normativa nazionale in questione risponde piuttosto all'esigenza di garantire la responsabilità del costruttore, in particolare il funzionamento della procedura di recall. Tale esigenza non è tuttavia tale da spostare i termini del problema, restando fermo che la direttiva 70/156/CEE non ammette, tranne che nell'ipotesi e nei limiti ristretti di cui all'art. 7, n. 3, la possibilità di escludere o comunque ritardare l'immatricolazione di veicoli muniti di un valido certificato comunitario di conformità.

Osservo poi che l'esigenza in questione è già tutelata dalla normativa comunitaria, quantomeno nei limiti in cui risponde, secondo quanto spiegato dal governo svedese, alla necessità di intervenire su veicoli già in circolazione ma che si rivelino, all'esito del controllo periodico effettuato dall'ufficio per la protezione della natura, non più rispondenti alle norme in materia di gas di scarico (9). Ed infatti, la direttiva 70/156/CEE non è certo lacunosa sul punto: l'art. 11 della stessa ben prende in considerazione l'ipotesi in cui la non conformità al tipo omologato intervenga in un momento successivo alla messa in circolazione del veicolo di cui si tratta, prevedendo che sia lo Stato membro che ha rilasciato l'omologazione a procedere alle verifiche del caso e ad adottare i provvedimenti che si impongono, che possono consistere finanche nel ritiro dell'omologazione.

13 In definitiva, non mi sembra che l'esigenza di garantire la responsabilità del produttore, sia pure collegata - anche se solo indirettamente - a preoccupazioni di tipo ambientale, possa avere una considerazione autonoma nell'ambito di un sistema armonizzato quale quello in discussione. Peraltro, non riesco ad immaginare in che modo il sistema in questione possa rivelarsi tale da condurre alla negazione della responsabilità del costruttore, sicuramente identificabile già attraverso il certificato di conformità e la cui responsabilità ben potrà essere impegnata - come si può ragionevolmente presumere - al di là di un suo eventuale impegno scritto in tal senso.

14 Resta da dire che neppure ritengo possa essere presa in considerazione la tesi del governo svedese secondo cui, al momento dell'adesione, la Comunità avrebbe consentito alla Svezia il mantenimento della disciplina in questione. Sul punto, basti qui rilevare che la dichiarazione su cui fa leva il governo svedese si limita ad affermare che le direttive in materia «non escludono il mantenimento in vigore della procedura di recall in vigore in Svezia, purché ciò avvenga nel rispetto delle direttive comunitarie sulla responsabilità e sulla sicurezza. La Comunità è disposta a chiarire tale questione nel corso delle discussioni con gli esperti svedesi» (10).

La dichiarazione in questione, lungi dal consentire il mantenimeno in vigore della normativa nazionale in discussione, si limita dunque a lasciare aperta la possibilità di negoziati sul punto. In ogni caso, è qui sufficiente ricordare che, in base ad una costante giurisprudenza della Corte, le dichiarazioni a verbale hanno una valenza limitata, nel senso che non possono essere prese in considerazione «per interpretare una disposizione di diritto derivato quando (...) il contenuto della dichiarazione non trova alcun riscontro nel testo della disposizione di cui trattasi e non ha pertanto portata giuridica» (11).

15 Orbene, l'articolo 112 dell'Atto di adesione espressamente prevede la possibilità di un periodo transitorio di quattro anni, a partire dalla data di adesione, al fine di adeguare la normativa nazionale agli atti di diritto comunitario elencati in modo dettagliato all'allegato XII dello stesso atto di adesione. Tale allegato, tuttavia, non menziona né la direttiva 70/156/CEE, né la direttiva 70/220/CEE: ciò significa che la Svezia non si è neppure avvalsa della possibilità di beneficiare, rispetto a tali direttive, di un periodo transitorio e che pertanto essa era tenuta a rispettare l'acquis comunitario in materia fin dal momento dell'adesione.

Il secondo ed il terzo quesito

16 Tenuto conto della conclusione cui sono pervenuto rispetto al primo quesito, non è evidentemente necessario rispondere al secondo ed al terzo quesito. Peraltro, è fin troppo evidente che la richiesta di un certificato nazionale di conformità costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa, come tale vietata dall'art. 30 del Trattato. Lo stesso governo svedese, che pure nel corso dell'udienza ha evocato al riguardo - per la verità senza troppa convinzione e comunque senza alcun fondamento - la giurisprudenza Keck e Mithouard (12), non lo contesta. Ed invero il contrasto con l'art. 30 sarebbe difficilmente contestabile, atteso che la normativa in questione: a) richiede la presentazione di una documentazione supplementare e la presenza di un rappresentante ufficiale in Svezia; b) comporta, oltre al pagamento di somme non irrilevanti, un ritardo nell'immatricolazione di circa otto settimane.

In tali condizioni, non può che essere considerata del tutto irrilevante la circostanza che non si proceda a controlli supplementari e che nella sostanza vi sia una mera conversione del certificato comunitario in certificato nazionale. Ricordo, infatti, che la giurisprudenza in materia è univoca, nel senso che anche il rilascio di un'autorizzazione immediata ed automatica si pone in contrasto con l'art. 30: una libertà fondamentale garantita dal Trattato non può infatti essere subordinata all'assenso dell'amministrazione, non importa se più o meno discrezionale (13).

17 A ciò si aggiunga che, diversamente da quanto preteso dal governo svedese, in nessun modo potrebbero venire in rilievo, nel caso che ci occupa, esimenti idonee a giustificare la misura in questione. Sul punto, basti infatti ricordare che il ricorso all'art. 36 «non è più possibile laddove direttive comunitarie prevedono l'armonizzazione delle misure necessarie alla realizzazione dello specifico obiettivo che verrebbe perseguito invocando l'art. 36» (14).

Nel caso che ci occupa, è appena il caso di ricordarlo, la normativa comunitaria in materia è esaustiva. Ciò, come prima evidenziato, è confermato dalla stessa disciplina svedese, che non subordina il rilascio del certificato in questione ad alcun controllo supplementare volto a verificare il rispetto delle norme anti-inquinamento.

Conclusione

18 Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere come segue ai quesiti posti dal Länsrätten i Stokholms Län:

«1) La direttiva del Consiglio 70/156/CEE va interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che subordini l'immatricolazione dei veicoli a motore, muniti di valido certificato di conformità comunitario, alla presentazione di un certificato nazionale che ne attesti la conformità alle prescrizioni nazionali in materia di gas di scarico.

2) Tenuto conto della risposta data al primo quesito, non vi è luogo di rispondere al secondo ed al terzo quesito».

(1) - GU L 42, pag. 1.

(2) - Si tratta di veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al sedile del conducente.

(3) - GU L 225, pag. 1.

(4) - Una procedura analoga è prevista, in base all'art. 4, n. 1, ai fini del rilascio dell'omologazione.

(5) - GU L 76, pag. 1.

(6) - GU L 242, pag. 1.

(7) - L'autorizzazione, valida per una famiglia di motori, deve infatti essere richiesta ogni anno.

(8) - Oltre ad un controllo tecnico annuale, obbligatorio per i veicoli aventi più di tre anni, i veicoli possono essere oggetto di un controllo molto più approfondito relativamente alla qualità del sistema antinquinamento, controllo effettuato dall'ufficio svedese per la protezione della natura. Detto ufficio procede infatti periodicamente alla verifica, rispetto alle esigenze prescritte dalla normativa comunitaria, di un campione di veicoli appartenenti ad una stessa famiglia di motori. Nel caso in cui all'esito di tale verifica siano riscontrati dei difetti nei veicoli di cui si tratta, al costruttore interessato è imposto di adottare i necessari rimedi relativamente a tutti i veicoli appartenenti alla stessa famiglia di motori.

(9) - Sul punto, ricordo infatti che le prescrizioni tecniche in materia di gas di scarico di cui alla direttiva 70/220/CEE, quale modificata dalla direttiva 91/441/CEE, sono considerate soddisfatte, con conseguente ottenimento dell'omologazione, anche e precisamente in considerazione della normale durata di vita del veicolo in condizioni normali di utilizzazione.

(10) - Dichiarazione del 27 maggio 1993, consegnata nel verbale della quinta conferenza ministeriale del 21 dicembre 1993.

(11) - Sentenza 26 febbraio 1991, causa C-292/89, Antonissen (Racc. pag. I-745, punto 18).

(12) - Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91 (Racc. pag. I-6097).

(13) - V., ad esempio, sentenza 8 febbraio 1983, causa 124/81, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 203, punto 18).

(14) - Sentenza 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I-2553, punto 18).