61995C0299

Conclusioni dell'avvocato generale La Pergola del 6 febbraio 1997. - Friedrich Kremzow contro Repubblica d'Austria. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria. - Art. 164 del Trattato CE - Convenzione europea dei diritti dell'uomo - Privazione della libertà - Diritto ad un processo equo - Effetti di una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. - Causa C-299/95.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-02629


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1 Con la presente causa la Corte è chiamata a stabilire se la Convenzione europea dei diritti dell'uomo costituisca nella sua interezza parte integrante del diritto comunitario e se la Corte stessa sia dunque competente ad interpretare tutte le disposizioni di detta Convenzione nell'ambito di un rinvio pregiudiziale ex art. 177 del Trattato CE.

II - I fatti della controversia

2 La lite pendente davanti al giudice di rinvio ha per oggetto il risarcimento del danno che il Dr. Kremzow ritiene di aver subito per via della detenzione illegale a cui sarebbe stato sottoposto da parte delle autorità austriache, laddove la sentenza pronunziata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo il 21 settembre 1993 ha constatato una violazione ai danni dello stesso Dr. Kremzow del diritto alla difesa fissato all'art. 6, n. 1, letto insieme al n. 3, lett. c), della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (in prosieguo: la «Convenzione»). Secondo la decisione ora ricordata, tale violazione è stata perpetrata dalla Repubblica austriaca per aver omesso di consentire al Dr. Kremzow, imputato del reato di omicidio e condannato in primo grado, di difendersi personalmente in sede di appello.

3 Il diritto al risarcimento sarebbe dovuto, secondo l'attore, ai sensi dell'art. 5, n. 5, della Convenzione in ragione della privazione illegale della libertà. Ricorda a tal proposito il giudice a quo che il 3 aprile 1995 l'Oberster Gerichtshof ha peraltro rigettato la domanda di riduzione della pena, formulata dal Dr. Kremzow a seguito della citata sentenza della Corte di Strasburgo.

Allo stadio attuale della controversia pendente dinanzi al giudice di rinvio occorre, dunque, valutare quale sia l'incidenza che le norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo hanno sulle norme processuali ed amministrative austriache. Tale esame è necessario, a giudizio del giudice remittente, per accertare se esista in concreto un diritto al risarcimento del danno in capo all'attore.

4 Per risolvere il problema avanti esposto l'Oberster Gerichtshof ha pertanto ritenuto di porre alla Corte comunitaria le seguenti questioni pregiudiziali:

«A. Se tutte le disposizioni o almeno quelle di diritto sostanziale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) - tra cui le disposizioni degli artt. 5, 6 e 53 della CEDU rilevanti nel procedimento dinanzi all'Oberster Gerichtshof - costituiscano parte del diritto comunitario (art. 164 CEE), così che la Corte di giustizia delle Comunità europee è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla loro interpretazione ai sensi dell'art. 177, primo comma, del Trattato CE.

B. Solo in caso di soluzione affermativa della questione sub a) - almeno relativamente agli artt. 5 e 6 della CEDU - si sottopongono alla Corte di giustizia delle Comunità europee per una pronuncia in via pregiudiziale le ulteriori questioni qui di seguito esposte:

1. Se i giudici nazionali siano vincolati da sentenze della Corte europea per i diritti dell'uomo, con le quali vengono accertate violazioni della CEDU, almeno quando non possono ritenere che l'azione di organi dello Stato, cui si riferisce la sentenza, sia stata conforme alla Convenzione.

2. Se un diritto al risarcimento danni basato sull'art. 5, n. 5, della CEDU sia escluso, qualora il danno sia derivato da una sentenza dell'Oberster Gerichtshof.

3. Se la detenzione ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della CEDU sia ex tunc incompatibile con la Convenzione, qualora la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia dichiarato che il giudice nel procedimento penale ha violato le garanzie processuali di cui all'art. 6 della CEDU.

4. Se si debba tener conto dell'obiezione del resistente nel procedimento per responsabilità amministrativa, secondo cui la pena non sarebbe stata commisurata diversamente, qualora non vi fosse stata la violazione dell'art. 6 della CEDU accertata dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, benché il diritto processuale penale austriaco - finora - non preveda per tali casi alcun procedimento di revisione o di altra rettifica, nel corso del quale l'errore procedurale avrebbe potuto essere eliminato.

5. Se l'onere di provare il nesso causale tra la violazione dell'art. 6 della CEDU e la privazione della libertà incomba al ricorrente oppure spetti al resistente provarne l'assenza».

III - Esame della controversia

a) La ricevibilità delle osservazioni presentate dall'interveniente

5 La parte interveniente nel giudizio principale, Dr. Weh, ha formulato personalmente, senza essere quindi rappresentato da un avvocato, osservazioni scritte ed orali nel corso della procedura pregiudiziale dinanzi alla Corte. Risulta altresì dall'ordinanza di rinvio che il Dr. Weh, di professione avvocato, ha personalmente rappresentato e difeso se stesso, nella qualità d'interveniente, nel corso del giudizio pendente dinanzi al giudice remittente.

La Corte, in tempi assai recenti, ha peraltro dichiarato che «dal testo dell'art. 17, terzo comma, dello Statuto, e in particolare dall'uso del termine "rappresentate", risulta che una "parte" ai sensi di tale disposizione, indipendentemente dalla sua qualità, non è autorizzata ad agire essa stessa dinanzi alla Corte, ma deve avvalersi degli uffici di un terzo abilitato ad esercitare dinanzi ad un giudice di uno Stato membro o di uno Stato aderente all'Accordo SEE. Altre disposizioni dello Statuto o del regolamento di procedura (v. gli artt. 19, primo comma, e 29 dello Statuto, nonché gli artt. 37, n. 1, 38, n. 3, e 58 del regolamento di procedura) confermano che una parte e il suo difensore non possono essere la stessa persona. Inoltre, come ha rilevato la Corte nell'ordinanza Vaupel/Corte di giustizia (1), [...], nessuna deroga o eccezione a tale principio è prevista dallo Statuto o dal regolamento di procedura della Corte» (2).

La soluzione adottata nel caso Lopes non è però, a mio avviso, atta ad essere in blocco trasposta alla specie. La particolarità che caratterizzava la causa Lopes mi induce infatti a ritenere che la conclusione a cui è pervenuta la Corte in quella controversia resti circoscritta ad un ambito più ristretto. La situazione processuale del Dr. Weh differisce, infatti, da quella che veniva in considerazione nell'ordinanza prima menzionata. Ritengo, per l'appunto, che il trattamento processuale delle parti in una procedura pregiudiziale vada comunque tenuto distinto da quello che è invece riservato alle parti negli altri tipi di ricorsi su cui la Corte è chiamata a pronunciarsi.

La Corte ha, d'altronde, in precedenti occasioni, ritenuto di doversi attenere al principio del riconoscimento della posizione processuale che le parti rivestono nel giudizio a quo: principio, quest'ultimo, enunciato all'art. 104, secondo comma, del suo regolamento di procedura. La Corte ha, per esempio, letto tale regola nel senso che una parte alla lite principale può comparire in giudizio personalmente e produrre, senza la rappresentanza di un avvocato, proprie memorie ed osservazioni scritte ed orali, quando tale facoltà le è riconosciuta nel procedimento nazionale (3).

La deroga prevista all'art. 104 del regolamento di procedura consente dunque, a mio avviso, anche nella presente controversia, di ritenere ammissibili le osservazioni del Dr. Weh dinanzi la Corte, anche se tali osservazioni sono state prodotte senza l'assistenza e rappresentanza di un legale ad hoc. Questa conclusione si basa nella specie sulla circostanza che nella procedura principale l'interveniente è abilitato a difendersi personalmente.

b) Il merito

6 La questione sub A. posta dall'Oberster Gerichtshof trova univoca e sicura risposta nella giurisprudenza di questa Corte. Ad essa conviene dunque, seppure succintamente, far riferimento.

La Corte ha, in più occasioni (4), affermato che «secondo la costante giurisprudenza i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto, dei quali la Corte garantisce l'osservanza. A tal fine la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell'uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato ed aderito (v., in particolare, sentenza 14 maggio 1974, Nold, punto 13 della motivazione, causa 4/73, Racc. pag. 491). La Convenzione europea dei diritti dell'uomo riveste, a questo proposito, un particolare significato [...]. Ne consegue che, come affermato dalla Corte nella sentenza 13 luglio 1989, Wachauf, punto 19 della motivazione (causa 5/88, Racc. 2609) nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto dei diritti dell'uomo in tal modo riconosciuti e garantiti» (5).

Quest'affermazione di principio assegna, dunque, alla Corte comunitaria il ruolo di interprete della Convenzione. Tuttavia tale compito ermeneutico, come la Corte comunitaria ha avuto a più riprese l'occasione di precisare (6), rileva e può svolgersi soltanto in relazione a norme che siano connesse con il diritto comunitario, del quale la stessa Corte è il supremo interprete sulla base del Trattato.

Ora, la violazione del diritto alla difesa constatata dalla Corte di Strasburgo ed il preteso risarcimento dei danni concernono nella specie lo svolgimento di una procedura giudiziaria di natura penale che non presenta alcun punto di contatto con il diritto comunitario. Tale procedimento trova origine, infatti, nell'accertamento di una ipotesi di reato prevista dall'ordinamento austriaco per sanzionare comportamenti che nulla hanno a che vedere con norme comunitarie ovvero con norme nazionali in qualche modo collegate con il diritto comunitario. Per tale ragione la Corte non è, a mio avviso, competente ad esaminare le questioni pregiudiziali poste dal giudice di rinvio.

7 Del pari inconferente, al riguardo, è, a mio parere, il rilievo mosso dall'attore, secondo cui la privazione della libertà personale costituirebbe un grave ostacolo all'esercizio dei diritti e delle libertà attribuite ai cittadini comunitari dall'ordinamento giuridico dell'Unione. Sulla base di tale ragionamento il ricorrente sostiene che la Corte dovrebbe affermare la propria competenza a conoscere del caso e pronunciarsi, quindi, sull'interpretazione della Convenzione. L'obiezione non può essere accolta perché essa confonde la sanzione penale, irrogata dall'ordinamento nazionale a chi ha commesso il delitto di cui qui si tratta, con la stessa previsione dell'illecito che, come prima si osservava, non presenta momenti di collegamento col diritto comunitario. Peraltro, se si seguisse il ragionamento esposto dall'attore, tutte le sanzioni stabilite dall'ordinamento di uno Stato membro che comportano pene detentive, in quanto privano l'imputato o il condannato della libertà personale, cadrebbero automaticamente nell'ambito di applicazione del diritto comunitario giacché impediscono, e comunque limitano, la fruizione dei diritti e delle facoltà che all'interessato attribuisce il diritto comunitario.

Non vedo quale fondamento possa avere una tale tesi. L'ordinamento comunitario non ha carattere onnicomprensivo e dunque, di norma (7), non interferisce nella legislazione penale degli Stati membri. Peraltro, se il punto di vista dell'attore dovesse essere preso in considerazione, le sanzioni penali costituite dalla reclusione e dall'arresto, ancor prima di essere contrarie all'esercizio delle libertà comunitarie, costituirebbero comunque una privazione delle libertà fondamentali previste dagli ordinamenti costituzionali degli Stati membri. Tali sanzioni sono, tuttavia, compatibili con l'affermazione dei diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, in quanto assolvono, nell'interesse generale della collettività, ad una specifica funzione di tutela dei valori offesi dagli illeciti.

IV - Conclusioni

8 Alla luce delle considerazioni che precedono propongo quindi di rispondere come segue al quesito posto dall'Oberster Gerichtshof di Vienna:

«La Corte di giustizia non è competente ad esaminare la compatibilità di norme nazionali di uno Stato membro con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo allorché tali norme fuoriescono dal campo di applicazione del diritto comunitario».

(1) - V. ordinanza della Corte 15 marzo 1984, causa 131/83, Vaupel (non pubblicata nella Raccolta).

(2) - Ordinanza 5 dicembre 1996, Lopes/Corte di giustizia, causa C-174/96P (Racc. pag. I-0000).

(3) - Sentenze 26 novembre 1975, causa 39/75, Coenen (Racc. pag. 1547), e 5 luglio 1984, causa 238/83, Caisse d'allocations familiales/ Coniugi Meade (Racc. pag. 2631).

(4) - Sentenze 18 giugno 1991, causa C-260/89 ERT (Racc. pag. I-2925), e 4 ottobre 1991, causa C-159/90, Grogan (Racc. pag. I-4685).

(5) - Sentenza ERT, citata.

(6) - Sentenze 11 luglio 1985, cause riunite 60 e 61/84, Cinéthèque (Racc. pag. 2605), 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719), ERT, citata, 13 giugno 1996, causa C-144/95, Maurin (Racc. pag. I-2909).

(7) - Sentenza 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati, (Racc. pag. 2595).