61995C0261

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 23 gennaio 1997. - Rosalba Palmisani contro Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura circondariale di Frosinone - Italia. - Politica sociale - Tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro - Direttiva 80/897/CEE - Responsabilità dello Stato membro per la tardiva attuazione di una direttiva - Risarcimento adeguato - Termine di decadenza. - Causa C-261/95.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-04025


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1 Nella presente causa, il Pretore di Frosinone, con domanda di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte di giustizia, chiede se sia conforme al diritto comunitario il termine di decadenza di un anno per l'esercizio di un'azione di risarcimento danni fissato dal legislatore italiano nel trasporre tardivamente la direttiva 80/987 (1) (in prosieguo: la «direttiva») nell'ordinamento italiano, al fine di provvedere al risarcimento di coloro che avevano subito danni durante il periodo di mancata attuazione della direttiva.

2 Con tale oggetto, la presente causa si collega con le cause riunite C-94/95 e C-95/95, Danila Bonifaci e a. e Wanda Berto e a., nelle quali presento oggi le mie conclusioni. Mentre però in tali cause le questioni pregiudiziali proposte riguardavano le condizioni sostanziali del risarcimento, la presente causa verte sulle condizioni procedurali di quest'ultimo.

3 Lo sfondo normativo è comune anche a tali due cause. Si tratta, da un lato, della direttiva 80/987 e, dall'altro, del decreto legislativo n. 80/1992, con il quale la direttiva è stata trasposta nell'ordinamento giuridico italiano. Le disposizioni rilevanti di tali provvedimenti sono riportate nel testo delle mie conclusioni nelle cause Bonifaci e a., a cui pure rinvio per evitare ripetizioni (2). Per lo stesso motivo rinvio alla problematica ivi chiarita sulle condizioni della corretta trasposizione di una direttiva nel diritto nazionale, quando essa avviene fuori dei termini (3).

II - Fatti

4 Come risulta dall'ordinanza di rinvio, la signora Rosalba Palmisani, dal 10 settembre 1979 al 17 aprile 1985, aveva prestato attività lavorativa subordinata come operaia alle dipendenze della ditta VAMAR di Vegliati Adriano, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Frosinone resa in data 17 aprile 1985 (4).

5 Nei dodici mesi precedenti la dichiarazione dello stato di insolvenza essa aveva maturato crediti per retribuzioni e altre indennità, ammontanti a complessive 8 496 528 LIT delle quali essa percepì solo 334 870 LIT a seguito del riparto finale del fallimento.

6 Con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, con il quale la direttiva è stata recepita nell'ordinamento giuridico interno, il legislatore italiano, da un lato, ha stabilito la garanzia concessa per il futuro ai lavoratori a seguito di fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 1-6) e, dall'altro, ha stabilito che tale garanzia costituisce la base di calcolo del risarcimento dovuto ai danneggiati a seguito della non tempestiva trasposizione della direttiva e che la relativa azione di risarcimento danni dev'essere proposta entro un anno dall'entrata in vigore del decreto legislativo (art. 2, comma 7).

7 Il 13 ottobre 1994, e cioè circa un anno e mezzo dopo la scadenza di tale termine e due anni e mezzo dopo l'adozione del decreto legislativo, la signora Palmisani propose, dinanzi al Pretore di Frosinone, un ricorso per risarcimento danni contro l'INPS, istituto competente al pagamento dell'indennità prevista dalla legge italiana (5).

8 Secondo la ricorrente, il tardivo esercizio del mezzo d'impugnazione era dovuto all'indeterminatezza del provvedimento legislativo italiano per quanto riguarda, in primo luogo, la persona giuridica tenuta a concedere il risarcimento e, in secondo luogo, il giudice competente dinanzi a cui proporre il ricorso. Essa ha sostenuto altresì che le modalità procedurali dell'azione risarcitoria, e più in particolare il termine di decadenza di un anno per il suo esercizio, erano più sfavorevoli rispetto alle procedure previste dall'ordinamento giuridico italiano per crediti analoghi.

9 Il giudice nazionale ha esaminato tali argomenti e li ha in parte respinti. In particolare, conformemente all'ordinanza di rinvio, dalle disposizioni del decreto legislativo e dalla giurisprudenza dei giudici italiani risultava manifestamente che passivamente legittimato nel caso di specie era l'INPS. D'altro canto, secondo la stessa ordinanza, non esisteva incertezza neppure per quanto riguarda il giudice competente (che è, in tutti i casi, il Pretore). Anche se però tale incertezza esistesse, essa non potrebbe avere alcuna conseguenza in ordine all'interruzione del termine di decadenza con l'esercizio dell'azione, poiché, conformemente al principio della translatio judicii del diritto italiano, la causa intentata entro i termini dinanzi ad un giudice che si sia dichiarato incompetente può essere riassunta, a determinate condizioni, dinanzi al giudice competente.

10 Per contro, il giudice nazionale condivide i dubbi della ricorrente per quanto riguarda la conformità al diritto comunitario delle condizioni procedurali stabilite dal legislatore italiano per l'esercizio dell'azione di risarcimento danni.

11 In particolare, il giudice a quo osserva che il termine di un anno per l'esercizio dell'azione di risarcimento danni, ai sensi dell'art. 2, comma 7, del decreto legislativo, non è soggetto a sospensione o ad interruzione, ma il suo decorso senza che siano state prese iniziative comporta una decadenza dal diritto di esercitare l'azione. Alla luce di ciò, tuttavia, tale disciplina è più sfavorevole rispetto a quella di «analoghi» procedimenti diretti a soddisfare pretese similari nel diritto italiano. Come termini di paragone, il giudice nazionale menziona i seguenti:

a) la domanda al Fondo di Garanzia diretta ad ottenere prestazioni previdenziali con il sistema consolidato del decreto legislativo (il sistema «a regime», secondo l'ordinanza di rinvio), che è soggetta ugualmente ad un termine di un anno, ma un termine di prescrizione (6) e non di decadenza.

b) l'azione comune di risarcimento danni di cui agli artt. 2043 e seguenti del codice civile italiano, per la quale vige una prescrizione quinquennale. Tale prescrizione è soggetta ad interruzione, per effetto di atti stragiudiziali, e a sospensione, ai sensi degli artt. 2941 e seguenti del codice civile.

Come osserva, comunque, il giudice nazionale, solo le «azioni» dirette ad ottenere prestazioni dal soggetto obbligato ex lege a concedere il risarcimento sono soggette, attualmente, al termine di decadenza annuale.

12 Alla luce di quanto sopra, al fine di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario delle condizioni formali per l'esercizio della controversa azione di risarcimento danni, il giudice a quo propone la seguente questione pregiudiziale, che comprende tre parti:

«Se sia compatibile con la corretta interpretazione dell'art. 5 del Trattato, così come inteso alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza della stessa Corte di giustizia nelle decisioni richiamate nella parte motiva del presente provvedimento, la legge dello Stato membro che, nel disciplinare le modalità processuali con le quali i cittadini che siano titolari di un diritto al risarcimento dei danni, riconosciuto loro nell'ambito dell'ordinamento comunitario a seguito della mancata attuazione di direttive non autoapplicabili, richieda che il danneggiato promuova un'azione giudiziaria subordinata ad un termine di decadenza annuale, decorrente dalla data di entrata in vigore della predetta disciplina interna, ove, invece, l'azione risarcitoria per danni extracontrattuali è normalmente soggetta, nell'ordinamento interno di esso Stato membro, ad un termine prescrizionale di cinque anni e la stessa azione per l'ottenimento della prestazione previdenziale, nel sistema normativo derivante dalla completa attuazione della direttiva, sia soggetta ad un termine annuale, ma di prescrizione, introducendo, in tal modo, per la tutela giudiziaria di diritti fondati sull'ordinamento comunitario, un meccanismo processuale diverso, sotto i cennati profili, rispetto ad azioni e rimedi "analoghi" previsti dal diritto interno dello Stato membro con la precisazione che, comunque, tutte le azioni per il conseguimento di prestazioni erogate dal soggetto tenuto ex lege al risarcimento del danno sono attualmente subordinate, sempre nel diritto interno dello Stato membro, al rispetto di un termine di decadenza annuale; e se, in caso affermativo, il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare siffatto termine di decadenza, consentendo così ai cittadini danneggiati di esercitare l'azione oltre il termine di un anno di decadenza e, in ipotesi, nel termine di prescrizione quinquennale stabilito per l'ordinaria azione risarcitoria ovvero nel termine di prescrizione annuale stabilito per l'ottenimento della prestazione previdenziale nel sistema "a regime"».

III - Sulla ricevibilità

13 L'INPS osserva che per risolvere la questione pregiudiziale non occorrono elementi di diritto comunitario diversi da quelli contenuti nella sentenza 19 novembre 1991, Francovich e a. (in prosieguo: «Francovich I») (7), che viene chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi, al di fuori della sua competenza, sulla compatibilità degli specifici provvedimenti nazionali con il diritto comunitario, che la Corte di giustizia non è competente a interpretare disposizioni di una direttiva che non hanno efficacia diretta, come nella fattispecie le disposizioni della direttiva 80/987, e che sulla validità dell'art. 2, comma 7, del decreto legislativo si è già pronunciata la Corte Costituzionale della Repubblica italiana.

14 Questi argomenti sono sostanzialmente gli stessi addotti dall'INPS nelle cause riunite C-94/95 e C-95/95, Bonifaci e a., e dovranno essere respinti per gli stessi motivi esposti nelle mie conclusioni in tali cause (8).

15 Nei limiti in cui, più in particolare, si asserisce che se il Pretore continuasse a nutrire dubbi quanto alla validità delle disposizioni nazionali controverse, esso dovrebbe rivolgersi di nuovo alla Corte suprema (la Corte Costituzionale) e non evitarlo, l'argomento è da dichiarare irricevibile poiché, basandosi sul diritto interno, mette in forse la facoltà di ogni giudice di rivolgersi direttamente, ai sensi dell'art. 177 del Trattato, alla Corte di giustizia per chiedere la soluzione di questioni di diritto comunitario (9).

IV - Sul merito

16 Il diritto comunitario, ed in particolare le direttive che, ai sensi dell'art. 189, secondo comma, del Trattato, determinano il risultato da raggiungere e lasciano la scelta della forma e dei mezzi agli Stati membri, contengono essenzialmente norme di diritto sostanziale. Anche quando prevedono diritti a favore dei singoli, esse non dettano norme specificamente procedurali per ottenere tali diritti né, addirittura, norme procedurali per farli valere dinanzi ai giudici nazionali. D'altro canto, il Trattato «(...) non ha (...) inteso istituire mezzi d'impugnazione esperibili dinanzi ai giudici nazionali, onde salvaguardare il diritto comunitario, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale» (10). Di conseguenza, in mancanza di simili norme di diritto comunitario, si applicano le relative norme dell'ordinamento giuridico nazionale.

17 L'autonomia procedurale degli Stati membri non è tuttavia illimitata. Alla luce dei principi della supremazia e della piena efficacia del diritto comunitario, le norme processuali e procedurali nazionali che sono disposte come mezzi per ottenere i diritti riconosciuti dal diritto comunitario, in primo luogo, non debbono essere più sfavorevoli rispetto alle corrispondenti norme che valgono per analoghi reclami e rimedi giurisdizionali del diritto interno e, in secondo luogo, devono riunire un minimo di condizioni per essere efficaci.

18 Come riconosce costantemente la giurisprudenza della Corte di giustizia «(...) in mancanza di disciplina comunitaria in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. Tuttavia, dette modalità non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario» (11).

19 Ciò vale anche per quanto riguarda le modalità procedurali del risarcimento dovuto quando sono lesi diritti attribuiti dal diritto comunitario. Come ha dichiarato la Corte di giustizia «(...) le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento» (12).

20 L'accertamento concreto del se un provvedimento processuale o procedurale nazionale risponda a tali condizioni spetta ai giudici nazionali, ai quali è proprio il compito di garantire «(...) secondo il principio di collaborazione enunciato dall'art. 5 del Trattato CEE (...) la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta» (13). Pertanto, se il giudice nazionale accerta che la norma nazionale non è conforme al diritto comunitario sotto questo profilo, deve disapplicarla (14).

21 Tuttavia l'accertamento astratto delle condizioni di cui sopra spetta alla Corte di giustizia, la quale, nell'ambito del rinvio pregiudiziale previsto all'art. 177 del Trattato, è incaricata di garantire l'unitaria e uniforme applicazione del diritto comunitario (15).

22 A tal fine, la norma procedurale controversa non viene esaminata isolatamente, ma viene collocata nel suo contesto procedurale. Come è stato dichiarato dalla Corte, «alla luce di detti principi, ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario dev'essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento» (16).

23 Significativo è il caso in cui il giudice nazionale dispose un termine di 60 giorni per la proposizione, innanzi tutto, dinanzi alla Corte d'appello, di un nuovo motivo di ricorso fondato sul diritto comunitario, impedendo così la presa in esame d'ufficio del motivo. La Corte di giustizia ha dichiarato che «sebbene il termine di sessanta giorni così imposto ai singoli non sia di per sé censurabile» (17), tuttavia, alla luce delle peculiarità del procedimento, e precisamente del fatto che l'impossibilità, per i giudici nazionali, di esaminare d'ufficio tali motivi non è giustificata da principi quali il principio della certezza del diritto o del regolare svolgimento del procedimento, è apparso che «(...) in condizioni analoghe a quelle del procedimento di cui trattasi nella causa davanti al giudice a quo», il diritto comunitario non consente l'applicazione di una simile norma procedurale (18).

24 D'altro canto, con criteri simili, la Corte di giustizia afferma costantemente, nel caso di termini di decadenza per esperire mezzi d'impugnazione in cause fiscali, che è «(...) compatibile col diritto comunitario la fissazione di termini d'impugnazione ragionevoli, nell'interesse della certezza del diritto, che tutela, nello stesso tempo, il contribuente e l'amministrazione interessati» (19). Come è stato ugualmente dichiarato dalla Corte, «in via di principio, la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza soddisfa le due condizioni soprammenzionate (...)» (20).

25 Malgrado ciò, non basta che la norma procedurale nazionale sia «ragionevole» o «di per sé non censurabile». Si richiede, inoltre, che essa non sia più sfavorevole rispetto alle norme che valgono per analoghi reclami di diritto interno che siano soggetti a procedure analoghe. Ciò richiede una comparazione tra procedimenti similari, al fine di verificare se il procedimento che contiene la norma controversa, con il quale si persegue il soddisfacimento di una pretesa riconosciuta dal diritto comunitario, sia eventualmente più sfavorevole rispetto a un procedimento similare, con il quale si persegue il soddisfacimento di una pretesa analoga fondata sul diritto nazionale.

26 Per effettuare il raffronto, infatti, dovranno essere confrontate situazioni omogenee. Così, per effettuare un confronto fra norme procedurali, sarà necessario, conformemente a quanto in precedenza esposto, in primo luogo, che le pretese di cui si persegue il soddisfacimento in giudizio siano analoghe, in secondo luogo, che le norme procedurali di cui si effettua il raffronto non siano considerate isolatamente, ma nel contesto del procedimento in cui sono inserite, e, in terzo luogo, tali procedimenti non debbono essere presi a caso, ma debbono essere omogenei.

27 Per questo motivo dovrà essere effettuato un raffronto tra una pretesa e una pretesa della stessa natura, tra una norma procedurale e una norma procedurale della stessa natura e tra un iter procedurale e un iter procedurale della stessa natura, e non tra pretese eterogenee, o tra norme considerate a sé stanti e il rispettivo procedimento, o facenti parte di procedimenti diversi, come ad esempio le une di procedimenti amministrativi, le altre di procedimenti giurisdizionali.

28 Veniamo ora alla questione pregiudiziale e al controverso termine di un anno stabilito per l'esercizio di un'azione di risarcimento danni. Conformemente a quanto sopra esposto, dovrà essere esaminato, in linea di principio, se tale termine renda praticamente impossibile o estremamente difficile l'esercizio dell'azione.

29 La ricorrente nella causa principale ribadisce gli argomenti da essa addotti anche dinanzi al giudice proponente, secondo cui cioè la relativa disciplina della disposizione controversa del diritto italiano ha reso impossibile l'esercizio tempestivo della sua azione a causa, tra l'altro, dell'indeterminatezza per quanto riguarda il soggetto passivamente legittimato e il giudice competente.

30 Dovrà rilevarsi che, secondo una giurisprudenza costante, nell'ambito del procedimento di cui all'art. 177 del Trattato, le parti sono semplicemente invitate a presentare le loro osservazioni (21) entro i limiti stabiliti dal giudice nazionale (22), senza poter modificare, con le loro osservazioni, il contenuto delle questioni pregiudiziali (23).

31 Di conseguenza, dato che il giudice proponente ha respinto, come è stato esposto (24), tali argomenti, gli stessi non possono essere presi in considerazione nel caso di specie.

32 Per quanto riguarda la durata del termine di decadenza per l'esercizio dell'azione di risarcimento danni, il periodo di un anno dall'entrata in vigore dell'atto legislativo che la prevede non può ritenersi che renda particolarmente difficile o, addirittura, praticamente impossibile, di per sé, l'esercizio dell'azione. In base all'esperienza comune, un periodo di dodici mesi è ragionevole e sufficiente perché una parte diligente eserciti i suoi diritti.

33 Inoltre, come osserva il governo italiano, con la pubblicazione del decreto legislativo, si presume che gli interessati abbiano preso conoscenza del periodo di decorrenza e di scadenza del relativo termine. Di conseguenza, dimostrando di avere una conoscenza essenziale (25), essi potevano e dovevano esercitare i loro diritti entro tale periodo.

34 Al riguardo, dovrà essere valutato anche l'argomento del governo italiano, secondo il quale la fissazione di tale termine era indispensabile al fine di far cessare definitivamente l'incertezza che esisteva in ordine a situazioni venute in essere da molti anni, e precisamente a partire dal 23 ottobre 1983 (data in cui la direttiva doveva essere recepita nell'ordinamento italiano).

35 Per quanto riguarda la comparazione che il giudice proponente effettua con pretese e procedimenti «similari» del diritto italiano, deve osservarsi quanto segue:

come segnalano giustamente con le loro osservazioni scritte la ricorrente nella causa principale e la Commissione, il sistema consolidato previsto dal decreto legislativo per la concessione della garanzia e il risarcimento per il passato sono due sistemi diversi, con diverse finalità e diverso procedimento. Il primo procedimento è amministrativo, prevede una domanda all'amministrazione (Fondo di garanzia) ed è diretto alla concessione della garanzia prevista dalla legge, mentre il secondo è giurisdizionale, si inizia con la proposizione di un ricorso per risarcimento danni e mira al risarcimento di coloro che hanno subito danni a seguito di una non tempestiva trasposizione della direttiva. Di conseguenza, le relative pretese e i rispettivi procedimenti non sono omogenei, e pertanto, conformemente a quanto già esposto (26), non possono essere confrontati.

36 Per quanto riguarda il termine di prescrizione quinquennale della pretesa di risarcimento per responsabilità extracontrattuale del diritto comunitario, gli elementi che fornisce il giudice proponente sono insufficienti per un confronto con il termine controverso. In linea di principio, il primo caso si riferisce, se ben comprendo, a una prescrizione di una pretesa, mentre quello in esame, ad un termine di decadenza per l'esercizio di un rimedio giurisdizionale. Si tratta della stessa cosa, nel diritto italiano? E poi, di che tipo di pretesa si tratta? Nel caso di specie, e inoltre nel senso che il Pretore si riferisce alla responsabilità extracontrattuale dello Stato, tale responsabilità può sorgere, come è noto, in una serie di casi diversi (responsabilità da fatti materiali, da errori nel servizio, da atti od omissioni amministrativi illeciti, dall'emanazione di leggi anticostituzionali ecc.), e corrispondenti sono anche le pretese venute in essere.

37 Di conseguenza il giudice nazionale dovrà focalizzare (e limitare) la sua ricerca su una pretesa similare rispetto alla pretesa il cui soddisfacimento viene perseguito nel caso di specie, e, in seguito, dovrà esaminare come la tratta (o la tratterebbe) proceduralmente l'ordinamento giuridico interno.

38 Nella fattispecie, la pretesa è una pretesa di risarcimento a seguito del fatto che la direttiva 80/987 non è stata recepita entro i termini nell'ordinamento italiano, e, per questo motivo, gli interessati non hanno potuto fruire tempestivamente della garanzia prevista dalla direttiva. Quale sia una pretesa similare nell'ambito dell'ordinamento giuridico italiano, solo il giudice nazionale è in grado di conoscerlo.

39 Se, ad ogni modo, dovesse essere fornito un termine di confronto al giudice proponente, esso, a mio parere, sarebbe la responsabilità extracontrattuale dello Stato per tardiva emanazione di un provvedimento normativo previsto da una legge delega. Infatti, negli ordinamenti giuridici, come quello italiano, in cui esiste l'istituto della delega legislativa (art. 76 della Costituzione italiana), è possibile che la legge disciplini più o meno una determinata materia e autorizzi poi l'amministrazione ad adottare norme integrative o particolari. Questo schema presenta qualche analogia con il sistema dell'art. 189, terzo comma, del Trattato, secondo il quale la direttiva pone l'obiettivo perseguito, contiene, eventualmente, anche discipline sostanziali, e lascia allo Stato membro la scelta della forma e dei mezzi. Il giudice proponente, di conseguenza, potrebbe esaminare a quali condizioni procedurali potranno esercitare un'azione di risarcimento danni, contro lo Stato, i soggetti danneggiati a seguito dell'emanazione non tempestiva di un provvedimento normativo, prevista dalla legge delega che riconosce diritti ai cittadini.

40 In quanto il giudice a quo non ha chiarito la questione del metodo con il quale valuterà se altri termini procedurali noti al giudice nazionale siano «similari» rispetto a quello controverso, è superfluo l'ulteriore esame delle soluzioni alternative che il giudice proponente ritiene possibili così come è superflua la soluzione della seconda e della terza parte della questione pregiudiziale.

V - Conclusione

Alla luce di quanto sopra, propongo che la questione pregiudiziale venga risolta nei seguenti termini:

«Il diritto comunitario, nell'attuale stadio di evoluzione, non osta a che venga fissato un termine di decadenza annuale per esperire un'azione di risarcimento danni, in condizioni come quelle di cui alla causa principale, purché però le modalità procedurali per l'esercizio dell'azione di cui trattasi non siano meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi rimedi giuridici previsti dal diritto interno».

(1) - Direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 283 del 28.10.1980, pag. 23).

(2) - V. le disposizioni della direttiva ai paragrafi 5 e seguenti del testo delle mie conclusioni. Le disposizioni del decreto legislativo sono riportate ai paragrafi 15 e seguenti.

(3) - V. ibidem, paragrafo 38 e seguenti.

(4) - Si sottolinea che la ricorrente ha avuto un rapporto di lavoro in essere sino alla data della dichiarazione di fallimento del suo datore di lavoro.

(5) - V. paragrafo 7 delle mie conclusioni nelle cause riunite Bonifaci e a.

(6) - Secondo l'ordinanza di rinvio, tale prescrizione, ai sensi dell'art. 2, comma 5, del decreto legislativo, deve ritenersi decorrente dalla data di presentazione della relativa domanda per ottenere la prestazione. Non comprendo come la prescrizione, istituto che fa parte dei principi generali del diritto ed è pertanto familiare alla Corte (v. sentenza 30 maggio 1989, causa 20/88, Roquette, Racc. pag. 1553, punti 12 e 13), possa decorrere da tale data e non dal momento in cui si è verificato il danno ed è divenuto possibile perseguirne la riparazione in via giudiziaria (v. sentenza 7 novembre 1985, causa 145/83, Adams, Racc. pag. 3539).

(7) - Cause riunite C-6/90 e C-9/90 (Racc. 1991, pag. I-5357)

(8) - V. paragrafi 27, 28 e 31-34.

(9) - V. sentenza 3 aprile 1968, causa 28/67, Molkerei (Racc. pag. 191).

(10) - Sentenza 7 luglio 1981, causa 158/80, Rewe (Racc. pag. 1805, punto 44).

(11) - Sentenza della Corte 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel e a. (Racc. pag. I-4705, punto 17). V., altresì, in particolare, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989, punto 5), e causa 45/76, Comet (Racc. pag. 2043, punti 12-16); 27 febbraio 1980, causa 68/79, Just (Racc. pag. 501, punto 25); 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit e a. (Racc. pag. 1205, punto 23); 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595, punto 14); 25 luglio 1991, causa C-208/90, Emmott (Racc. pag. I-4269, punto 16), e 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck (Racc. pag. I-4599, punto 12).

(12) - Sentenza Francovich (citata alla precedente nota 7), punto 43 (il corsivo è mio). V. anche sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur (Racc. pag. I-1029, punto 67).

(13) - Sentenza 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame e a. (Racc. pag. I-2433, punto 19).

(14) - V. la stessa sentenza, punti 21 e 23.

(15) - A tal fine, la Corte di giustizia, come sembra, risale astrattamente ad un'ipotetica norma procedurale che presenti le caratteristiche del provvedimento nazionale, in circostanze come quelle che risultano dal rinvio pregiudiziale. Poi, essa valuta se, alla luce di ciò, la norma sia conforme o no al diritto comunitario. Tenuto conto del carattere generale ed astratto della valutazione, la soluzione fornita può - e deve - essere applicata ad ogni caso analogo. Così si ottiene un'applicazione uniforme del diritto comunitario.

(16) - V. sentenze Peterbroeck e Van Schijndel (citate alla nota 11), rispettivamente punto 14 e punto 19.

(17) - Citata sentenza Peterbroeck, punto 16.

(18) - Stessa sentenza, punti 20 e 21.

(19) - V. sentenze già citate alla nota 11, sentenze Rewe, punto 5, Comet, punti 17 e 18, e Denkavit e a., punto 23 (il corsivo è mio).

(20) - Sentenza Emmott (citata alla stessa nota), punto 17 (il corsivo è mio).

(21) - Sentenza 12 gennaio 1994, causa C-364/92, SAT (Racc. pag. I-43, punto 9).

(22) - V. sentenza 1_ marzo 1973, causa 62/72, Bollmann (Racc. pag. 269, punto 4).

(23) - Sentenza 21 marzo 1996, causa C-297/94, Bruyère e a. (Racc. pag. I-1551, punto 19).

(24) - V. supra, paragrafo 9.

(25) - V. sentenza Brasserie du pêcheur (citata alla nota 12), punto 84.

(26) - V. supra, paragrafi 26 e 27.