61995C0120

Conclusioni riunite dell'avocato generale Tesauro del 16 settembre 1997. - Nicolas Decker contro Caisse de maladie des employés privés. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Conseil arbitral des assurances sociales - Granducato del Lussemburgo. - Causa C-120/95. - Raymond Kohll contro Union des caisses de maladie. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour de cassation - Granducato del Lussemburgo. - Causa C-158/96. - Libera circolazione delle merci - Libera prestazione dei servizi - Rimborso di spese mediche sostenute in un altro Stato membro - Autorizzazione previa dell'ente previdenziale competente.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-01831


Conclusioni dell avvocato generale


1 La realizzazione del mercato unico, vale a dire di quello spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, dovrebbe ormai essere stata completata e costituire uno degli aspetti essenziali e maggiormente qualificanti della vicenda comunitaria. I quesiti posti alla Corte da due giurisdizioni lussemburghesi, il Conseil arbitral des assurances sociales (causa C-120/95) e la Cour de cassation (causa C-158/96), legittimano tuttavia qualche dubbio al riguardo, evidenziando che a tutt'oggi il cittadino comunitario, a meno di non rinunciare al rimborso delle relative spese, è in via di principio obbligato a fruire delle prestazioni mediche sul territorio dello Stato in cui è assicurato.

Il rimborso di spese mediche effettuate in un altro Stato membro - siano esse occasionate dall'acquisto di prodotti medicinali ovvero da trattamenti terapeutici - è infatti subordinato al possesso di un'autorizzazione preventiva, la cui concessione, da parte dell'ente previdenziale competente, è peraltro sottoposta a condizioni particolarmente restrittive. Tale situazione non può che scoraggiare la libera circolazione dei malati, quantomeno di quelli meno abbienti, ciò che di per sé costituisce un fattore negativo, beninteso per i malati di cui si tratta. Ed è precisamente tale situazione ad aver originato le controversie pendenti dinanzi al Conseil arbitral des assurances sociales e alla Cour de cassation. Il primo è chiamato a decidere sulla legittimità del rifiuto della cassa malattia di rimborsare un paio di occhiali acquistati in un altro Stato membro da un assicurato che non ha preventivamente chiesto ed ottenuto la prescritta autorizzazione. La seconda è invece investita della mancata concessione di un'autorizzazione, chiesta da un assicurato in nome e per conto della figlia minore, al fine di ottenere la presa a carico di cure ortodontiche da effettuarsi in un altro Stato membro.

2 I quesiti posti da tali giudici chiamano la Corte a pronunciarsi, in sostanza, sulla compatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale, nella specie lussemburghese, che subordina il rimborso di spese mediche effettuate al di fuori del territorio nazionale alla condizione che le cure mediche ovvero l'acquisto dei prodotti e/o supporti medici di cui si tratta siano stati debitamente autorizzati dall'ente previdenziale competente. Tale normativa è messa in discussione sotto due distinti profili: quello delle limitazioni che essa apporterebbe alla libera circolazione di prodotti e supporti medici, nella specie un paio di occhiali, dunque rispetto agli artt. 30 e 36 del Trattato (causa C-120/95); e quello delle possibili restrizioni provocate alla libertà di prestazione dei servizi medici, nella specie un trattamento ortodontico, in virtù delle limitazioni imposte ai destinatari degli stessi, dunque rispetto agli artt. 59 e 60 del Trattato (causa C-158/96).

Si tratta pertanto di stabilire se l'autorizzazione preventiva, necessaria ai fini del rimborso, sia tale da costituire un ostacolo alla libera circolazione delle merci (causa C-120/95) ovvero alla libertà di prestazione dei servizi (causa C-158/96); e, in caso di risposta affermativa, se possa nondimeno ritenersi un ostacolo giustificato in vista delle particolari esigenze inerenti al servizio sanitario nazionale.

3 Sebbene le due cause in oggetto provengano da due diversi giudici e vertano, almeno a prima vista, sull'interpretazione di norme diverse, ritengo tuttavia opportuno, in quanto la misura nazionale contestata è la stessa in entrambe le procedure e perché le argomentazioni svolte dalle parti e dai governi che hanno presentato osservazioni sono sostanzialmente identiche, procedere ad una loro trattazione congiunta. Ad una tale scelta non è peraltro estranea la circostanza che la stessa normativa comunitaria in materia di sicurezza sociale potrebbe avere un'incidenza di non poco conto ai fini della valutazione degli effetti restrittivi sugli scambi, siano essi di merci o di servizi, quali lamentati dai ricorrenti delle cause a quo; incidenza che in via di principio non è certo diversa a seconda che vengano in rilievo l'art. 30 ovvero gli artt. 59 e 60.

Il contesto normativo

4 L'art. 20, n. 1, del Codice lussemburghese delle assicurazioni sociali (nel prosieguo: il «codice»), adottato con legge del 27 luglio 1992 ed entrato in vigore il 1º gennaio 1994, prevede che, eccezion fatta per l'ipotesi che si tratti di cure urgenti in caso di incidente o di malattia verificatisi all'estero, gli assicurati possono farsi curare all'estero o possono rivolgersi ad un centro di cura o a un centro che fornisce mezzi accessori all'estero solo se previamente autorizzati dal competente ente previdenziale. Le condizioni e modalità relative alla concessione dell'autorizzazione sono fissate dagli artt. 25-27 dello Statuto dell'Union des caisses de maladie (nel prosieguo: lo «Statuto UCM»), nella versione entrata in vigore il 1º gennaio 1995. Più in particolare, tali norme stabiliscono che l'autorizzazione non può essere concessa per prestazioni che sono escluse dal rimborso in base alla normativa nazionale (art. 25); che i trattamenti debitamente autorizzati sono presi a carico in base alle tariffe applicabili agli assicurati dello Stato in cui avviene il trattamento (art. 26); e che l'autorizzazione è concessa solo a seguito di un controllo medico e su presentazione di una richiesta scritta che emani da un medico stabilito a Lussemburgo e che indichi il medico ovvero il centro ospedaliero consigliato all'assicurato, specificando altresì i criteri e le circostanze che rendono impossibile effettuare in Lussemburgo quel determinato trattamento (art. 27).

Occorre poi precisare, atteso che la normativa nazionale appena richiamata non era ancora in vigore all'epoca dei fatti che hanno originato la causa C-120/95, che la disciplina prevista dal precedente codice era redatta, per quanto qui rileva, in termini sostanzialmente identici. In particolare, la materia dei trattamenti all'estero e della relativa autorizzazione preventiva era disciplinata dall'art. 60, 3º comma, norma sostanzialmente analoga all'art. 20, n. 1, del codice attualmente in vigore. Aggiungo, poi, che le modalità di rimborso degli occhiali erano all'epoca previste dall'art. 78 degli statuti delle casse di malattia dei lavoratori subordinati, che rinviava ad un'apposita convenzione in materia. Basti qui ricordare che allora, come ora, il rimborso era effettuato su base forfettaria e fino ad un importo massimo, per le montature, pari a 1600 FLux (1).

5 Quanto alla pertinente normativa comunitaria, oltre alle norme sulla circolazione delle merci e sulla prestazione dei servizi, notevole importanza riveste, come si vedrà nel prosieguo, l'art. 22 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità (2) (nel prosieguo: il «regolamento»).

Tale norma, per quanto qui rileva, dispone che:

«1. Il lavoratore subordinato o autonomo che soddisfa le condizioni richieste dalla legislazione dello Stato competente per aver diritto alle prestazioni, tenuto conto eventualmente di quanto disposto dall'art. 18, e:

a) (...)

b) (...)

c) che è autorizzato dall'istituzione competente a recarsi nel territorio di un altro Stato membro per ricevere le cure adeguate al suo stato,

ha diritto:

i) alle prestazioni in natura erogate, per conto dell'istituzione competente, dall'istituzione del luogo di dimora o di residenza secondo le disposizioni della legislazione che essa applica, come se fosse ad essa iscritto; tuttavia, la durata dell'erogazione delle prestazioni è determinata dalla legislazione dello Stato competente;

ii) alle prestazioni in denaro erogate dall'istituzione competente secondo le disposizioni della legislazione che essa applica. Tuttavia, previo accordo tra l'istituzione competente e l'istituzione del luogo di dimora o di residenza, le prestazioni possono essere erogate anche da quest'ultima istituzione per conto della prima, secondo le disposizioni della legislazione dello Stato competente.

2. (...)

L'autorizzazione richiesta a norma del paragrafo 1, lettera c), non può essere rifiutata quando le cure di cui trattasi figurano tra le prestazioni previste dalla legislazione dello Stato membro, nel cui territorio l'interessato risiede, se le cure stesse, tenuto conto dello stato di salute dello stesso nel periodo in questione e della probabile evoluzione della malattia, non possono essergli praticate entro il lasso di tempo normalmente necessario per ottenere il trattamento in questione nello Stato membro di residenza.

3. Le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 sono applicabili per analogia ai familiari di un lavoratore subordinato o autonomo.

(...)» (3).

La disposizione in questione prevede dunque, così come la legislazione lussemburghese qui contestata, che il rimborso di spese mediche effettuate in un altro Stato membro è subordinato alla condizione che l'assicurato (che ha beneficiato delle prestazioni di cui si tratta) sia stato previamente autorizzato dall'ente previdenziale competente. E' solo in tale ipotesi, infatti, che l'ente previdenziale competente assumerà l'onere delle spese intervenute (4).

I fatti e i quesiti pregiudiziali

- Causa C-120/95

6 La controversia che ha dato origine alla causa C-120/95 oppone il signor Decker, cittadino lussemburghese, alla Caisse de maladie des employés privés (nel prosieguo: la «Caisse») in ragione del rifiuto oppostogli da quest'ultima di provvedere al rimborso del costo di un paio di occhiali acquistati - su presentazione di ricetta medica prescritta da un oculista lussemburghese - presso un ottico di Arlon (Belgio). Ritenendo che tale rifiuto, motivato dalla mancata richiesta di autorizzazione preventiva prescritta dalla pertinente normativa, fosse contrario alle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci, il signor Decker ha presentato un reclamo alla stessa Caisse e dunque un ricorso dinanzi al Conseil arbitral des assurances sociales (5).

7 Quest'ultimo, al fine di risolvere la controversia dinanzi ad esso pendente, ha ritenuto opportuno porre un quesito pregiudiziale alla Corte. Tale quesito è così formulato:

«Se sia compatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE, nella misura in cui ostacola in generale l'importazione da parte di privati di medicine o, come nella specie, di occhiali provenienti da altri Stati membri, l'art. 60 del Code des assurances sociales lussemburghese, in base al quale un ente previdenziale di uno Stato membro A nega ad un assicurato, cittadino dello stesso Stato membro A, il rimborso degli occhiali da vista, prescritti da un medico stabilito nello stesso Stato ma acquistati presso un ottico stabilito in uno Stato membro B, per il motivo che qualsiasi cura medica all'estero deve essere previamente autorizzata da detto ente previdenziale».

- Causa C-158/96

8 Protagonista della causa C-158/96 è un altro cittadino lussemburghese, il signor Kohll, il quale, diversamente dal signor Decker, ha preventivamente chiesto all'Union des caisses de maladie (nel prosieguo: la «UCM»), cui è affiliato, l'autorizzazione per consentire alla figlia minore Aline di beneficiare di un trattamento ortodontico a Treviri (Germania). Tale autorizzazione gli veniva tuttavia negata, con decisione del 7 febbraio 1994, a motivo, da un lato, che il trattamento richiesto non era urgente; dall'altro, che in Lussemburgo quel tipo di cure era possibile ed adeguato.

Il Conseil arbitral des assurances sociales, dinanzi al quale il signor Kohll impugnava la decisione di rifiuto, quale confermata dal Consiglio di amministrazione dell'UCM, rigettava il ricorso con sentenza del 6 ottobre 1994. Contro tale sentenza il signor Kohll proponeva appello dinanzi al Conseil supérieur des assurances sociales. Quest'ultimo, con sentenza del 17 luglio 1995, confermava la decisione del primo giudice, adducendo che l'art. 20 del codice e gli artt. 25 e 27 dello Statuto UCM, sui quali era fondata la decisione di rifiuto, erano pienamente conformi all'art. 22 del regolamento.

9 Rilevato che il giudice d'appello aveva verificato la compatibilità della normativa lussemburghese unicamente rispetto al regolamento, ma non aveva affatto preso in considerazione le norme sulla libera prestazione dei servizi, la Cour de cassation, dinanzi alla quale il signor Kohll ha impugnato la decisione di appello, ha ritenuto necessario effettuare un rinvio pregiudiziale a questa Corte. I quesiti da essa posti sono così formulati:

«1) Se gli artt. 59 e 60 del Trattato che istituisce la CEE debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa che subordini la presa a carico di prestazioni rimborsabili a un'autorizzazione dell'ente previdenziale dell'assicurato, qualora le prestazioni vengano fornite in uno Stato membro diverso da quello di residenza dell'assicurato.

2) Se la risposta al quesito precedente subisca modifiche qualora la normativa abbia l'obiettivo di mantenere un servizio medico-ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti in una determinata regione».

Termini del problema e piano delle conclusioni

10 I quesiti posti dal Conseil arbitral des assurances sociales e dalla Cour de cassation, così come formulati, vertono unicamente sulla interpretazione delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci e dei servizi. Alla Corte viene infatti chiesto di stabilire se la richiesta di autorizzazione preventiva, ai fini del rimborso di spese mediche effettuate in uno Stato membro diverso da quello di residenza, si ponga in contrasto con gli artt. 30 e 59 del Trattato.

Nel corso della procedura si è tuttavia discusso, e in modo approfondito, sull'applicabilità al caso di specie della normativa comunitaria relativa alla sicurezza sociale, più precisamente dell'art. 22, n. 1, lett. c), sub i), del regolamento. In particolare, è stato sostenuto che sarebbe la disposizione in questione a regolare il problema dell'autorizzazione preventiva e del rimborso e che, essendo la normativa controversa pienamente conforme a tale disposizione, non sarebbe ipotizzabile alcun conflitto con gli artt. 30 e 59. Tale posizione è strettamente collegata alla tesi, pure sostenuta nel corso della procedura, secondo cui la natura previdenziale della misura controversa porterebbe comunque ad escludere, anche nell'ipotesi in cui il regolamento non si applicasse alle fattispecie in oggetto, una valutazione della stessa rispetto alle norme comunitarie che sanciscono la libera circolazione delle merci e dei servizi. E ciò essenzialmente perché il settore previdenziale rientrerebbe a tutt'oggi, quantomeno nei limiti in cui non risulta disciplinato da specifiche norme comunitarie, nella competenza degli Stati membri.

11 In tali condizioni, ritengo opportuno in primo luogo stabilire se la normativa nazionale qui in discussione entri nel campo di applicazione degli artt. 30 e 59. A tal fine, sarà indispensabile verificare, anche alla luce della giurisprudenza della Corte in materia, fino a che punto e con quali limiti la circostanza che si tratta di una normativa in materia previdenziale possa portare ad escluderne ogni verifica rispetto a libertà fondamentali garantite dal Trattato.

Nella stessa prospettiva, sarà altresì necessario verificare se l'art. 22 del regolamento si applichi alle fattispecie in oggetto e se questo solo fatto debba portare a concludere per l'irrilevanza degli artt. 30 e 59. Al riguardo, non posso non osservare sin d'ora che una norma di diritto derivato, qual è l'art. 22 del regolamento, comunque non può essere considerata tale da escludere ogni verifica rispetto a norme del Trattato, quali gli artt. 30 e 59. Ritengo pertanto, e fatte salve le opportune verifiche, che, anche qualora dovesse concludersi nel senso che la normativa lussemburghese rientra nel campo di applicazione del regolamento ed è ad esso conforme, non per questo potrebbe evincersene l'inapplicabilità degli artt. 30 e 59 alle fattispecie in discussione.

12 In secondo luogo, una volta accertato che né il carattere previdenziale della misura nazionale in questione né l'esistenza di una norma comunitaria avente tenore sostanzialmente analogo sono tali da escludere l'applicabilità degli artt. 30 e 59, occorrerà verificare la compatibilità di detta misura con le norme comunitarie in questione. Si tratterà pertanto di stabilire se l'obbligo di autorizzazione preventiva, indispensabile per ottenere il rimborso di spese mediche effettuate in uno Stato membro diverso da quello di residenza, si risolva, quantomeno in via di principio, in un ostacolo agli scambi di merci e/o servizi.

Va da sé che la conclusione cui si perverrà sarà altrettanto valida in relazione all'art. 22 del regolamento, beninteso nell'ipotesi in cui la normativa nazionale controversa sia ad esso conforme. In altre parole, se l'ostacolo alla circolazione delle merci e alla prestazione dei servizi è costituito dall'obbligo di richiedere un'autorizzazione preventiva - il cui mancato possesso determina, da parte dell'istituzione competente, il rifiuto di procedere al rimborso delle spese effettuate da un assicurato in un altro Stato membro - è fin troppo evidente che si tratta di un ostacolo provocato negli stessi termini sia dalla misura nazionale che dalla norma comunitaria.

13 Infine, resterà da verificare se gli eventuali effetti restrittivi determinati dalla misura nazionale in questione, e con essa dall'art. 22 del regolamento, possano nondimeno essere giustificati. A tal fine occorrerà anzitutto stabilire se la misura controversa è discriminatoria o indistintamente applicabile, attesa la diversità di giustificazioni che entrano in gioco: deroghe espressamente previste (artt. 36 e 56) nella prima ipotesi; esigenze imperative o, se si preferisce, motivi di interesse generale nella seconda. E' solo in questa seconda ipotesi, infatti, che potranno essere prese in considerazione le particolari esigenze, se del caso di ordine anche economico, inerenti all'esistenza, al funzionamento ed al mantenimento di un servizio sanitario nazionale accessibile a tutti.

Aggiungo che l'analisi cui si procederà in relazione alle giustificazioni invocate e il risultato cui si perverrà implicheranno inevitabilmente una presa di posizione quanto alla validità dell'art. 22 del regolamento. L'eventuale incompatibilità della normativa controversa con gli artt. 30 e 59 potrebbe infatti rivelarsi tale - sempreché e nei limiti in cui le due norme (nazionale e comunitaria) impongano una stessa disciplina, rispondano a una stessa logica e perseguano lo stesso scopo - da portare ipso facto a una dichiarazione di invalidità della disposizione comunitaria in parola.

14 Sottolineo, per finire, che l'iter logico-argomentativo potrebbe sicuramente essere più rapido e disinvolto ove si trascurassero alcuni dei passaggi appena indicati. Ritengo tuttavia che, almeno nelle conclusioni, non sia consentito rinunciare al rigore di analisi che in una specie così rilevante si impone.

I Sull'applicabilità degli artt. 30 e 59

15 Nonostante le questioni controverse nelle procedure in oggetto siano molte, forse troppe, restano per fortuna indiscussi alcuni punti basilari, essenziali per impostare correttamente i termini del problema. E' qui pacifico, infatti, che i prodotti medicinali costituiscono delle merci ai sensi dell'art. 30 del Trattato, con la conseguenza che una limitazione non giustificata dell'importazione di tale categoria di prodotti, anche da parte di un singolo a fini personali, è contraria a tale norma (6). Del pari, è altrettanto pacifico, da un lato, che le attività mediche integrano dei servizi, come peraltro sancito in modo espresso dall'art. 60 (7); dall'altro, come precisato dalla stessa Corte, che «la libera prestazione dei servizi comprende la libertà, da parte dei destinatari di servizi, di recarsi in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio (...) e che i turisti, i fruitori di cure mediche e coloro che effettuano viaggi di studi o d'affari devono essere considerati destinatari dei servizi» (8).

In tali condizioni, ritengo altresì incontestabile che una normativa che subordini il rimborso di spese mediche alla condizione che i prodotti medicinali e/o le prestazioni mediche che le hanno occasionate siano stati "acquistati" sul territorio nazionale è ben suscettibile, quantomeno in via di principio, di incidere negativamente sugli scambi di beni e servizi. Al riguardo, basterà per il momento rilevare che una siffatta normativa - precisamente perché nega agli assicurati, a meno che questi siano in possesso dell'autorizzazione preventiva, il rimborso di spese mediche effettuate all'estero - può scoraggiare gli interessati dall'acquistare tali prodotti ovvero dal farsi curare in uno Stato membro diverso da quello di residenza, ciò che potrebbe comportare, a seconda dei casi, una limitazione dell'importazione dei prodotti di cui si tratta ovvero una restrizione della libera prestazione dei servizi in causa.

16 L'applicabilità delle norme del Trattato che disciplinano la libera circolazione delle merci e la libertà di prestazione dei servizi è stata tuttavia messa in dubbio, come già accennato, in ragione del fatto che la misura nazionale in discussione concerne la materia previdenziale, nonché a motivo della sua asserita conformità ad una precisa e specifica norma del regolamento. Questi due elementi, come si vedrà non privi di punti in comune, avrebbero come conseguenza di sottrarre la misura controversa al campo applicazione degli artt. 30 e 59. Le osservazioni che seguono sono tese a dimostrare l'infondatezza di tale tesi, sostenuta dalla maggior parte degli Stati che hanno presentato osservazioni nelle due procedure in oggetto.

- La natura previdenziale della misura controversa

17 Comincio con l'osservare che il carattere previdenziale della normativa nazionale in discussione non è certamente tale, quantomeno non di per sé, da determinarne la sottrazione al campo di applicazione della disciplina comunitaria sulla circolazione delle merci e sulla prestazione dei servizi. Aggiungo subito che la costante affermazione della Corte secondo cui «il diritto comunitario non scalfisce la competenza degli Stati membri ad impostare i loro sistemi previdenziali» (9) non implica affatto che il settore previdenziale costituisca un'isola impermeabile all'influenza del diritto comunitario e che, di conseguenza, esulino dal suo campo di applicazione tutte le normative nazionali ad esso afferenti (10).

18 Certo, è ben vero che allo stato attuale del diritto comunitario «spetta alla legge di ciascuno Stato membro determinare le condizioni del diritto o dell'obbligo di iscriversi ad un regime di previdenza sociale» (11), con conseguente esclusione per le persone sottoposte a tale legge, nel caso in cui essa imponga un obbligo di iscrizione, di ogni possibilità di scegliere il regime cui affiliarsi. Ed è altresì vero, come stabilito dalla Corte nella sentenza Poucet e Pistre, che l'attività delle casse malattia e degli enti che concorrono alla gestione del pubblico servizio della previdenza sociale «non è un'attività economica e che, quindi, gli enti incaricati di svolgerla non costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato» (12).

Tale giurisprudenza ha tuttavia una portata ben più circoscritta e definita di quella ad essa attribuita dagli Stati membri al fine di sostenere l'inapplicabilità del diritto comunitario alla materia previdenziale. Ritengo pertanto sia indispensabile collocarla nel contesto che gli è proprio e valutarne al giusto le implicazioni.

19 In primo luogo, è fin troppo evidente che, in mancanza di armonizzazione a livello comunitario, sono gli Stati membri a stabilire le condizioni cui è subordinata l'iscrizione al regime di previdenza sociale, così come, quantomeno in via di principio, «le condizioni cui è subordinato il diritto a prestazioni previdenziali» (13). La stessa Corte ha tuttavia precisato che la libertà così lasciata agli Stati membri non deve tradursi in una «discriminazione tra i cittadini dello Stato ospitante e i cittadini degli altri Stati membri» (14).

In altre parole, se è ben vero che la configurazione del sistema di previdenza sociale resta nelle mani degli Stati membri e che il rapporto tra gli enti di previdenza sociale e i loro affiliati è regolato dalla legge nazionale, non per questo detti Stati possono impunemente violare un principio fondamentale posto dal Trattato a garanzia della libera circolazione delle persone, quale quello che impone il divieto di discriminazioni in base alla nazionalità (15).

20 In secondo luogo, non può non rilevarsi che la Corte è sì pervenuta alla conclusione che gli enti di previdenza sociale sfuggono all'applicazione delle norme sulla concorrenza, ma ciò solo in quanto l'attività di tali enti è fondata «sul principio di solidarietà», nel senso che le prestazioni corrisposte sono «stabilite dalla legge e indipendenti dall'importo dei contributi» (16). In altre parole, è indubbio che l'elemento determinante ai fini della soluzione accolta - sebbene la Corte abbia altresì evidenziato, nella stessa sentenza, la funzione di carattere esclusivamente sociale svolta da tali enti, la cui attività non persegue alcuno scopo di lucro - risiede proprio nella circostanza che il regime in questione era fondato sul principio di solidarietà (17). Ciò è confermato da una successiva sentenza in cui la Corte ha stabilito che, allorché gli stessi (o simili) enti operano invece nell'ambito della gestione di un regime assicurativo complementare, basato sul principio di capitalizzazione e sul legame diretto tra l'ammontare dei contributi e delle prestazioni (assenza, dunque, del principio di solidarietà), essi vanno qualificati come imprese ai sensi delle disposizioni del Trattato in materia di concorrenza (18).

In buona sostanza, dunque, l'obbligo di iscriversi a un determinato regime, pur essendo tale da eliminare ogni possibile concorrenza di altre entità o comunque da renderne il settore di attività puramente residuale, costituisce un elemento indispensabile ai fini del funzionamento di un regime di previdenza sociale che sia fondato sul principio di solidarietà ed abbisogni pertanto del contributo di tutti per dare a ciascuno. Sono dunque unicamente gli enti che gestiscono regimi previdenziali aventi tali caratteristiche che sfuggono all'applicazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza.

21 E' ben vero, poi, che nella sentenza García la Corte ha affermato che gli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato, base giuridica per l'adozione delle direttive di coordinamento tese a facilitare l'accesso alle (e l'esercizio di) attività non salariate, non potevano consentire di «regolamentare la materia della previdenza sociale, la quale rientra in altre disposizioni del diritto comunitario» (19). Ritengo tuttavia che tale affermazione, lungi dal poter essere interpretata nel senso che la disciplina prevista dal Trattato in materia di stabilimento e di prestazione di servizi sia inapplicabile, e per definizione, a normative nazionali concernenti la previdenza sociale (20), va letta alla luce delle peculiarità del caso di specie.

Orbene, atteso che nella specie veniva contestata l'obbligatorietà dell'iscrizione ad un regime legale di sicurezza sociale, questa volta invocando la liberalizzazione attuata con una direttiva concernente il coordinamento delle disposizioni nazionali in materia di assicurazione diretta diversa dall'assicurazione sulla vita, basterà rilevare che l'esclusione dalla liberalizzazione delle attività svolte dagli enti che gestiscono regimi legali di sicurezza sociale, peraltro espressamente prevista dalla stessa direttiva, costituiva un corollario indispensabile della già affermata sottrazione dell'attività degli stessi alle norme sulla concorrenza. Diversamente, infatti, sarebbe inevitabilmente venuto meno l'obbligo di iscrizione ai regimi in questione, di cui la Corte ha invece ribadito la necessità «onde garantire l'applicazione del principio di solidarietà e l'equilibrio finanziario dei regimi stessi», sottolineando che, ove tale obbligo fosse abolito, ne conseguirebbe «l'impossibilità dei regimi di cui trattasi di sopravvivere» (21).

22 Alla luce di quanto precede, è fin troppo evidente che l'affermazione secondo cui il diritto comunitario non pregiudica la competenza degli Stati membri ad organizzare i loro sistemi di previdenza sociale implica, molto semplicemente, che il diritto comunitario non regola direttamente tale materia e che neppure con essa interferisce se la sua applicazione è tale da mettere in crisi la sopravvivenza dei regimi previdenziali aventi le caratteristiche prima ricordate. Al di là di tale ipotesi, tuttavia, gli Stati membri sono tenuti all'osservanza del diritto comunitario anche nell'esercizio della competenza loro spettante in materia previdenziale.

Una diversa conclusione sarebbe priva di ogni fondamento. Resta fermo, pertanto, che non è ammessa, sul territorio di uno stesso Stato membro, alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità (22); e che, eccezion fatta per l'ipotesi in cui una normativa nazionale sia intimamente connessa al funzionamento ed alla sopravvivenza del regime previdenziale di cui si tratta, la materia previdenziale non è sottratta al campo di applicazione del diritto comunitario. In particolare, per quanto qui rileva, giova sottolineare che non sono consentite restrizioni ingiustificate alla libera circolazione delle persone (stabilimento e servizi) e delle merci solo perché il beneficio concesso ai singoli dalle pertinenti norme comunitarie si scontra con una misura nazionale che in qualche modo attiene alla materia previdenziale.

23 La giurisprudenza rilevante in materia conferma questo approccio. E' così, ad esempio, che la Corte ha riconosciuto che allo stato attuale del diritto comunitario uno Stato membro può considerare che il sistema socio-assistenziale da esso prefigurato, «la cui realizzazione è in linea di principio affidata allo Stato, [e che] è basato sul principio di solidarietà» (23), implichi necessariamente, per raggiungere i suoi obiettivi, che l'ammissione di operatori privati a tale regime venga subordinata alla condizione che essi non perseguano scopi di lucro; ed è pertanto pervenuta alla conclusione che una normativa nazionale che imponga tale requisito non è contraria all'art. 52 del Trattato (24). All'evidenza, la soluzione accolta è stata determinata dalla rilevanza attribuita, non importa se a torto o a ragione, alla circostanza che il sistema in questione era fondato sul principio di solidarietà.

Ben diverso è invece l'orientamento rinvenibile nella giurisprudenza che si è occupata di misure nazionali che, pur rientrando nella materia previdenziale, non erano tali, già a prima vista, da poter incidere negativamente sulla sopravvivenza di regimi previdenziali basati sul principio di solidarietà. Ad esempio, nell'affermare la compatibilità con l'art. 52 di una normativa belga che rifiutava ai laboratori gestiti da persone giuridiche, a loro volta costituite da altre persone giuridiche, il rimborso delle prestazioni di biologia clinica da essi effettuate, la Corte ha non solo evidenziato che tale normativa si applicava in modo indistinto ai cittadini belgi e a quelli degli altri Stati membri, ma altresì precisato che non risultava che essa fosse stata adottata con «intenti discriminatori» o che essa producesse «effetti di tale natura» (25). Sempre rispetto all'art. 52, ma più in generale, ricordo poi l'affermazione della Corte secondo cui il rispetto di tale norma si imponeva «agli Stati membri anche se essi, in mancanza di una normativa comunitaria sul regime sociale dei lavoratori autonomi, conservavano la propria competenza legislativa in materia» (26).

24 La Corte ha altresì avuto l'occasione di sottolineare, rispetto alle norme sulla libera circolazione delle merci, che anche provvedimenti adottati in materia previdenziale e che non abbiano relazione diretta con l'importazione «possono avere, a seconda della loro impostazione e della loro applicazione, un'incidenza sulle possibilità di vendita dei prodotti e che, sotto questo aspetto, possono indirettamente incidere sulle possibilità di importazione» (27), incorrendo, eventualmente, in una violazione dell'art. 30. Sarebbe questo il caso, ad esempio, di una normativa nazionale che disciplinasse le modalità di rimborso in modo tale da far risultare rimborsabili i soli prodotti nazionali.

Ricordo infine che nella stessa sentenza Sodemare, in cui era stata evocata anche una possibile violazione delle norme sulla libera prestazione dei servizi, la Corte si è preoccupata di chiarire che nel caso di specie non vi era alcuna prestazione di servizi rilevante ai sensi del Trattato. Essa ha pertanto concluso nel senso che «l'art. 59 del Trattato non riguarda la situazione di una società che, stabilitasi in uno Stato membro per gestire strutture per anziani, fornisca servizi agli ospiti che, a tal fine, soggiornino permanentemente o a tempo indeterminato in tali strutture» (28). Una tale argomentazione dimostra tuttavia, se mai ve ne fosse ancora bisogno, che la materia previdenziale non è sottratta in quanto tale al campo di applicazione delle norme comunitarie.

25 In definitiva, la circostanza che gli Stati membri, allo stato attuale del diritto comunitario, conservino intatta la propria competenza in materia previdenziale, così come in altre materie (29), non è sicuramente tale da consentire loro di adottare, nella materia di cui si tratta, normative che violino il diritto comunitario. Ne consegue che il carattere previdenziale della normativa controversa non è affatto tale da escludere di per sé ogni verifica rispetto agli artt. 30 e 59 del Trattato.

- L'art. 22 del regolamento

26 Occorre a questo punto chiedersi se la conclusione appena prospettata sia suscettibile di essere messa in discussione a motivo dell'esistenza di una norma comunitaria, nella specie l'art. 22 del regolamento, che precisamente disciplinerebbe il problema che ci occupa. Dirò subito che la risposta ad un tale interrogativo non può che essere negativa, non potendosi comunque escludere l'invalidità della norma comunitaria in questione.

Ma procediamo con ordine. Ritengo necessario anzitutto stabilire se tale norma regoli le fattispecie in oggetto, quindi verificare se la misura nazionale controversa è ad essa conforme ed infine, ove così fosse, chiarire se questo solo fatto può essere considerato tale da escludere ogni ulteriore verifica rispetto all'osservanza di libertà fondamentali garantite ai singoli dal Trattato, quali sicuramente sono la libera circolazione delle merci e quella dei servizi.

27 Comincio con l'osservare che l'art. 22, n. 1, lett. c), del regolamento, in quanto sancisce la possibilità - sia pure previa autorizzazione dell'istituzione competente - di ottenere in un altro Stato membro le necessarie prestazioni medico-sanitarie, «rientra nel novero delle misure volte a consentire al lavoratore, cittadino d'uno degli Stati membri della Comunità, di fruire, prescindendo dall'ente nazionale cui egli è iscritto o dal luogo di residenza, delle prestazioni in natura erogate in qualsiasi altro Stato membro» (30); e ciò, beninteso, senza dover rinunciare al rimborso delle spese incorse. All'evidenza, i signori Kohll e Decker chiedono che sia loro concessa una tale possibilità.

E' appena il caso di aggiungere, poi, che essi, pur essendo cittadini lussemburghesi che non si sono avvalsi della libertà di circolazione, rientrano nel campo di applicazione personale del regolamento. Quest'ultimo, com'è noto, si applica infatti non solo ai lavoratori migranti e ai loro familiari, ma anche ai lavoratori (sedentari), ed ai loro familiari, che si spostano all'interno della Comunità per motivi diversi dallo svolgimento di un'attività lavorativa (31).

28 In tali condizioni, sembrerebbe, quantomeno a prima vista, che fattispecie quali quelle che ci occupano ben rientrano nel campo di applicazione dell'art. 22 del regolamento e che, pertanto, sono destinate ad essere da questo disciplinate. Una tale conclusione, pacifica allorché le prestazioni richieste dall'assicurato consistano, ad esempio, in consultazioni o trattamenti specialistici (e dunque rispetto all'ipotesi Kohll), è tuttavia controversa allorché le prestazioni richieste consistano invece nell'acquisto di prodotti e supporti medici (e dunque rispetto all'ipotesi Decker).

Più precisamente, la Commissione sostiene che il termine «prestazioni» di cui all'art. 22 includerebbe unicamente le prestazioni mediche in senso proprio e non anche i prodotti e supporti medici, quali medicine ed occhiali. Per contro, gli Stati intervenuti nel procedimento (causa Decker) sostengono che il termine in questione comprenderebbe tutte le prestazioni necessarie al trattamento di una determinata patologia e dunque anche tutti quei prodotti che siano indispensabili a tal fine. Ad avviso degli stessi, inoltre, l'applicabilità dell'art. 22 anche ai prodotti e supporti medici troverebbe conferma nel disposto dell'art. 19 del regolamento (CEE) n. 574/72 (32), il quale espressamente prevede che i lavoratori frontalieri - ai quali è consentito l'accesso alle cure mediche sia nello Stato di residenza che in quello d'impiego - possono acquistare, tra l'altro, medicinali ed occhiali unicamente nel territorio dello Stato membro in cui tali "prodotti" sono stati prescritti (33).

29 Orbene, è indubbio che le prestazioni «malattia e maternità» contemplate nel capitolo I del titolo III del regolamento, in cui è inserito l'art. 22, comprendono anche le «prestazioni per cure sanitarie di natura medica o chirurgica» (34). Aggiungo che non ritengo convincente la tesi della Commissione secondo cui l'art. 19 del regolamento n. 574/72 non avrebbe alcuna rilevanza rispetto al caso che ci occupa. E' vero, infatti, che tale norma riguarda unicamente i lavoratori frontalieri, ai quali impone l'acquisto di prodotti e supporti medici (così come di effettuare le analisi di laboratorio) nello Stato di prescrizione, ma ciò semplicemente perché tali lavoratori sono gli unici ad avere accesso, senza autorizzazione preventiva, alle "prestazioni" in questione in due diversi Stati membri. Sarebbe tuttavia illogico ritenere che quello che non è permesso ai lavoratori frontalieri, onde evitare che essi acquistino i prodotti di cui si tratta in quello dei due Stati che sia più conveniente in ordine al rimborso degli stessi, sia invece consentito agli altri lavoratori in uno qualunque degli altri 14 Stati membri.

Ciò detto, riconosco volentieri che, nel caso in cui la prestazione richiesta consista, come nel caso Decker, nell'acquisto di un paio di occhiali, e più in generale di prodotti medicinali, ben difficilmente potrà ritenersi che il trattamento in questione non possa essere garantito entro un lasso di tempo tale da evitare il peggioramento delle condizioni dell'assicurato e che, pertanto, si versi in un'ipotesi in cui l'art. 22 vieta di rifiutare l'autorizzazione. Tale circostanza non può tuttavia essere considerata decisiva, implicando semplicemente che l'autorizzazione non sarà praticamente mai rilasciata per l'acquisto di prodotti e supporti medici (35), a meno che si tratti di prodotti (posso provare ad immaginare, ad esempio, una protesi o un apparecchio particolari) che non sono reperibili nel territorio dello Stato in questione.

30 In definitiva, ritengo che l'art. 22 abbia vocazione ad applicarsi non solo alle prestazioni mediche in senso proprio, come sostenuto dalla Commissione, ma a tutte le prestazioni rilevanti ai fini di un determinato trattamento o cura che sia, dunque anche ai prodotti medicinali e, per quanto qui rileva, all'acquisto di un paio di occhiali. Ciò mi induce alla conclusione che le fattispecie che ci occupano ben rientrano nel campo di applicazione dell'art. 22, n. 1, lett. c), del regolamento.

31 Passo ora a verificare se la normativa controversa è conforme alle disposizioni dell'art. 22 del regolamento. Orbene, è pacifico che entrambe le normative (comunitaria e nazionale) sottopongono il rimborso delle spese mediche effettuate in un altro Stato membro al possesso di un'autorizzazione preventiva. Entrambe le normative, inoltre, esigono, ai fini del rilascio di tale autorizzazione, che le prestazioni richieste dall'assicurato rientrino nel novero di quelle ammesse al rimborso dalla legislazione dello Stato in questione. Ricordo poi che l'art. 22, n. 2, obbliga gli Stati membri a concedere l'autorizzazione unicamente nell'ipotesi in cui il trattamento richiesto non possa essere fornito in un lasso di tempo tale da garantirne l'efficacia, lasciando così agli stessi Stati la facoltà di decidere in ordine alle altre ipotesi suscettibili di presentarsi. La normativa lussemburghese, più precisamente l'art. 25 dello Statuto UCM, subordina a sua volta il rilascio dell'autorizzazione alla condizione che il trattamento richiesto non sia disponibile nel territorio nazionale ovvero alla circostanza che la qualità delle cure fornite non risulti sufficiente in rapporto alla particolare patologia da cui l'assicurato è colpito.

In tali condizioni, nessun dubbio può nutrirsi sulla conformità della normativa controversa all'art. 22 del regolamento. E' fin troppo evidente, infatti, che essa, quantomeno così come formulata, non oltrepassa i limiti imposti dalla disposizione comunitaria in parola (36).

32 Siffatta constatazione, come già accennato, non è tuttavia tale da poter condurre, come invece sostenuto da alcuni governi nel corso delle procedure in oggetto, alla conclusione che non sarebbe pertanto ipotizzabile alcun contrasto della normativa controversa con gli artt. 30 e 59 e che, di conseguenza, neppure sarebbe necessario esaminare la prima rispetto ai secondi. Aggiungo che gli argomenti avanzati a sostegno di tale tesi sono già a prima vista privi di fondamento.

In particolare, non mi sembra meriti particolari commenti l'affermazione secondo cui l'eventuale incompatibilità della normativa controversa con gli artt. 30 e 59 del Trattato, in quanto determinerebbe (anche) l'illegalità dell'art. 22 del regolamento, avrebbe come effetto di sancire la prevalenza di tali disposizioni sull'art. 51, base giuridica del regolamento, instaurando così una gerarchia tra norme del Trattato che non troverebbe alcun fondamento nel Trattato stesso. Al riguardo, mi limito ad osservare che la compatibilità di una determinata normativa nazionale con una norma del Trattato non può comunque costituire motivo sufficiente perché la stessa normativa sfugga all'applicazione di altre (e pertinenti) norme dello stesso Trattato (37). Del pari, riesce difficile anche solo ipotizzare che un regolamento possa violare impunemente norme del Trattato solo perché (e finché) rientra nei limiti della norma dello stesso Trattato che ne costituisce il fondamento giuridico, nella specie l'art. 51 (38).

33 A ciò si aggiunga che il regolamento «non istituisce un sistema comune di previdenza sociale, ma lascia sussistere regimi nazionali distinti e che tale regolamento ha come solo scopo quello di assicurare un coordinamento tra questi regimi nazionali» (39), sicché le «diversità sostanziali e procedurali tra i regimi (...) di ciascuno Stato membro e, di conseguenza, nei diritti dei lavoratori ivi occupati, vengono (...) lasciate inalterate dall'art. 51 del trattato» (40). Sarebbe pertanto arbitrario, in assenza di una normativa comune in materia, ritenere che una misura nazionale sfugga ad ogni verifica di compatibilità con le norme del Trattato soltanto perché rientrante tra quelle oggetto della normativa comunitaria di coordinamento adottata in base all'art. 51.

In questo stesso senso sembra orientata anche la giurisprudenza rilevante in materia. Mi riferisco, in particolare, a una sentenza in cui la Corte ha interpretato le disposizioni del regolamento invocate nella specie nel senso che il beneficio degli assegni familiari per figli residenti in un altro Stato membro non può essere concesso anche ai lavoratori autonomi iscritti ad un regime previdenziale facoltativo quando, come in quel caso, l'ente nazionale competente ad erogarle sia quello tedesco (41). Tale conclusione, tuttavia, non ha impedito alla Corte di verificare se la normativa nazionale che subordinava la concessione delle prestazioni in questione alla condizione che i lavoratori autonomi fossero iscritti ad un regime legale di previdenza sociale fosse compatibile con l'art. 52 (42). E' così che, dopo aver sottolineato che tale normativa comportava «un trattamento deteriore dei lavoratori migranti rispetto a quello riservato ai cittadini che non si sono avvalsi del diritto alla libera circolazione, poiché soprattutto i figli dei primi non risiedono nel territorio dello Stato membro che eroga le prestazioni», essa ha rilevato che tale trattamento non risultava obiettivamente giustificato ed ha concluso nel senso che la normativa in questione «dev'essere considerata discriminatoria e pertanto incompatibile con l'art. 52 del Trattato» (43).

34 In definitiva, nella sentenza in questione la Corte ha stabilito, da un lato, che i ricorrenti non avevano diritto, sulla base delle pertinenti disposizioni del regolamento, alle prestazioni richieste, riconoscendo peraltro la liceità di tale esclusione (44); dall'altro, che gli stessi ricorrenti avevano diritto a tali prestazioni in virtù dell'art. 52 del Trattato, al quale era dunque contraria la normativa nazionale conferente (45). Si tratta, all'evidenza, di una soluzione che conferma, se mai ve ne fosse bisogno, l'infondatezza della tesi secondo cui sarebbe precluso alla Corte di esaminare la compatibilità di una normativa nazionale con norme del Trattato provviste di effetto diretto: e ciò solo perché la normativa di cui si tratta è conforme al regolamento o, quantomeno, da esso non vietata.

II Sugli effetti restrittivi della misura controversa

35 Sulla premessa, pertanto, della rilevanza nella specie dei diritti fondamentali di libertà sanciti dal Trattato, passo a verificare se la normativa nazionale controversa sia tale da ostacolare la circolazione delle merci e la prestazione dei servizi. E' appena il caso di aggiungere che il risultato di tale verifica sarà altrettanto valido in relazione all'art. 22 del regolamento, stante la constatata conformità a tale disposizione della normativa nazionale in questione. In altre parole, eventuali effetti restrittivi sulla circolazione delle merci e/o sulla prestazione dei servizi saranno riconducibili sia alla norma nazionale che a quella comunitaria.

36 La normativa controversa, lo ricordo, subordina il rimborso delle spese mediche effettuate da un assicurato in uno Stato membro diverso da quello di residenza - che si tratti di spese occasionate dall'acquisto di prodotti e supporti medici ovvero da prestazioni medico-ospedaliere - alla condizione che l'assicurato in questione sia provvisto di un'autorizzazione preventiva rilasciata dall'ente previdenziale competente. Si tratta dunque di stabilire se, come sostenuto dai ricorrenti nelle cause principali, la prescritta necessità di un'autorizzazione preventiva si ponga in contrasto, quantomeno in via di principio, con gli artt. 30 e/o 59 del Trattato.

In proposito, tutti gli Stati che hanno presentato osservazioni nel corso delle due procedure in oggetto sono stati concordi nell'escludere un qualsivoglia ostacolo agli scambi intracomunitari. A loro avviso, infatti, la normativa in questione non avrebbe né lo scopo né l'effetto di restringere i flussi commerciali, ma si limiterebbe invece a definire le modalità cui è sottoposto il rimborso di spese mediche. Essa, pertanto, concernerebbe unicamente il rapporto tra l'assicurato e l'ente previdenziale al quale egli è iscritto. Una tale argomentazione, che rappresenta il problema che ci occupa in termini a dir poco riduttivi, non può essere accolta né in relazione alla circolazione delle merci né per quanto riguarda la prestazione dei servizi.

- Sulla circolazione delle merci

37 Ho già ricordato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte in materia, una normativa che limiti ingiustificatamente la possibilità per un singolo di importare a fini personali dei prodotti medicinali è contraria all'art. 30 (46). E' appena il caso di aggiungere che lo stesso non può non valere per un paio di occhiali e, più in generale, per tutti i presidi medico-chirurgici.

Ciò detto, è ben vero che la normativa qui in discussione non si risolve affatto in un divieto di importare i prodotti di cui si tratta e neppure incide direttamente sulla possibilità di acquistarli al di fuori del territorio nazionale. Gli assicurati restano infatti liberi di acquistare tali prodotti dove preferiscono, anche in uno Stato membro diverso da quello di residenza (47). Tale circostanza non implica tuttavia, quantomeno non necessariamente, che la normativa di cui si tratta non crei alcun ostacolo all'importazione dei prodotti in questione.

38 Anzitutto, è fin troppo evidente che tale normativa, richiedendo l'autorizzazione preventiva unicamente per gli acquisti effettuati al di fuori del territorio nazionale, introduce una disparità di trattamento basata sul luogo di acquisto dei prodotti stessi (48). Anche a voler ritenere che un siffatto trattamento differenziato non sia di per sé rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina comunitaria sulle merci, resta nondimeno che la normativa in questione, in quanto nega agli assicurati privi di autorizzazione il rimborso delle spese mediche effettuate al di fuori del territorio nazionale, è tale da dissuadere gli interessati dal comprare prodotti medicinali, o anche un paio di occhiali, in un altro Stato membro. In altre parole, una tale normativa costituisce un indubbio deterrente all'acquisto dei prodotti di cui si tratta in uno Stato membro diverso da quello di residenza: ciò che si risolve, o comunque può risolversi, in una limitazione delle importazioni di tali prodotti.

Aggiungo che l'autorizzazione in questione, considerate le condizioni particolarmente restrittive alle quali è sottoposto il suo rilascio, ben difficilmente sarà concessa nell'ipotesi in cui la prestazione richiesta dall'assicurato consista nel mero acquisto di un paio di occhiali e/o, più in generale, di prodotti che siano stati prescritti nello Stato di residenza (49). Un tale stato di cose, all'evidenza, implica che la normativa in questione disciplina le modalità di rimborso in modo tale che risultano rimborsabili i soli prodotti acquistati nel territorio nazionale (50). Tenuto conto delle osservazioni già svolte in merito all'effetto dissuasivo del mancato rimborso, è pertanto innegabile che una siffatta normativa ostacola, sia pure indirettamente, le importazioni di prodotti e supporti medici da parte di privati a fini personali.

39 Ritengo che tanto basti per pervenire alla conclusione che la normativa nazionale in questione integra l'ipotesi di misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative in quanto idonea, seconda la ben nota formula Dassonville, «ad ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari» (51). Ne consegue che essa, fatte salve possibili giustificazioni, va considerata contraria all'art. 30 del Trattato. La stessa conclusione, è appena il caso di aggiungerlo, si impone rispetto all'art. 22 del regolamento.

- Sulla prestazione dei servizi

40 La normativa controversa è la stessa, il tipo di ostacolo anche; cambiano invece le norme comunitarie pertinenti, questa volta gli artt. 59 e 60 del Trattato, e cambia anche la posizione del protagonista principale, che in simili situazioni è pur sempre il malato. Nella specie, infatti, il malato acquista rilievo a livello comunitario non più indirettamente, in funzione dei prodotti che importa, bensì in quanto destinatario di servizi (52), circostanza di non poco conto. Posto dunque che il malato beneficia delle norme sulla libera prestazione dei servizi quando si sposta per fruire di cure mediche adeguate al proprio stato di salute, cosa dire della normativa in questione?

Dirò subito che tale normativa è altresì da ritenere, in virtù di un'argomentazione in larga parte analoga a quella utilizzata nel valutarne la conformità rispetto all'art. 30, contraria agli artt. 59 e 60. Prima ancora di esaminare più da vicino le restrizioni che essa comporta alla libera prestazione dei servizi, ritengo tuttavia opportuno sgombrare il campo da qualche equivoco emerso nel corso della procedura.

41 E' stato infatti sostenuto che la normativa in questione si limiterebbe a disciplinare le modalità di rimborso delle spese mediche e che, pertanto, essa riguarderebbe unicamente il rapporto tra assicurato ed ente previdenziale cui egli è iscritto, con la conseguenza che una controversia relativa al rimborso delle spese di cui si tratta avrebbe una rilevanza puramente interna. Insomma, la prestazione rilevante in una tale ipotesi sarebbe la prestazione servita dall'ente previdenziale all'assicurato e non, invece, una prestazione di servizi ai sensi degli artt. 59 e 60 del Trattato. In ogni caso, poi, dovrebbe riconoscersi che un'attività finanziata dallo Stato con fondi pubblici non integrerebbe alcuna prestazione di servizi ai sensi di tali disposizioni.

Tali argomentazioni sono espressione, a mio avviso, di una certa confusione sui termini del problema che ci occupa. Invero, si tratta qui di stabilire se una normativa nazionale che subordini ad autorizzazione preventiva il rimborso di spese mediche effettuate in uno Stato membro diverso da quello di residenza sia tale da scoraggiare e, per tale via, restringere la libera prestazione dei servizi nel settore di attività di cui si tratta. La circostanza che la normativa in questione rientri nella materia previdenziale e concerna espressamente le modalità di rimborso delle spese mediche è invece, sotto questo profilo, del tutto irrilevante (53). Né si può escludere la presenza di una prestazione di servizi per il solo fatto che lo Stato interviene nel finanziamento della prestazione in questione: resta, infatti, che l'attività medica è fornita dietro remunerazione (54) e che l'assicurato vi partecipa, attraverso i contributi versati per l'assistenza malattia, in modo significativo (55).

42 Ciò precisato, è indubbio che la normativa in questione non vieta agli assicurati (nella specie destinatari di servizi) la possibilità di avvalersi di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro e, più in generale, non ne condiziona, quantomeno non direttamente, l'accesso a cure mediche in altri Stati membri. Peraltro, poiché l'obbligo di autorizzazione preventiva riguarda tutte le persone residenti nello Stato in questione che intendano recarsi in un altro Stato membro al fine di fruire delle cure di cui necessitano, è altrettanto indubbio che tale normativa non determina, tra i destinatari dei servizi di cui si tratta, alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità.

Nondimeno, deve riconoscersi che è unicamente per avvalersi di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro che occorre essere in possesso dell'autorizzazione in parola; ciò che comporta, sia pure indirettamente, una diversità di trattamento degli assicurati fondata sull'origine della prestazione. Ed ancora, è solo rispetto agli assicurati che abbiano fruito di una prestazione medica in un altro Stato membro, senza tuttavia essere in possesso della prescritta autorizzazione, che il rimborso viene negato; ciò che implica una diversità di trattamento degli stessi a seconda che abbiano scelto di avvalersi delle prestazioni fornite da operatori stabiliti nel territorio nazionale oppure in un altro Stato.

43 Insomma, è fin troppo evidente che la normativa in questione, precisamente perché sottopone il rimborso delle spese effettuate in altro Stato membro ad autorizzazione preventiva e precisamente perché nega agli assicurati privi di tale autorizzazione il rimborso delle spese di cui si tratta, presenta un fattore enormemente dissuasivo e determina, per tale via, una restrizione alla libertà di prestazione dei servizi. E' innegabile, peraltro, che una tale situazione è inevitabilmente destinata a ripercuotersi in modo negativo sui prestatori del servizio in questione che non sono stabiliti nello Stato di cui si tratta (56). Questi ultimi, infatti, possono offrire, eccezion fatta per quei limitati casi in cui sia stata concessa l'autorizzazione, unicamente prestazioni non rimborsabili.

In definitiva, la misura nazionale contestata e, per gli stessi motivi, l'art. 22 del regolamento comportano restrizioni fondate, sia pure indirettamente, sullo stabilimento del prestatore (57). Tali norme, infatti, riducono a ben poca cosa la libertà dei fruitori di cure mediche (destinatari di servizi) di avvalersi (anche) di prestatori stabiliti in altri Stati membri ed ostacolano, per ciò stesso, l'attività transfrontaliera di questi ultimi. All'evidenza, si tratta di restrizioni palesemente in contrasto, quantomeno in via di principio, con l'art. 59 del Trattato (58).

III Sui motivi dedotti a giustificazione della misura controversa

44 Atteso che si tratta di una stessa normativa che pone ostacoli dello stesso tipo sia alla libera circolazione delle merci che alla libera prestazione dei servizi, non può certo stupire che i motivi invocati a sua giustificazione siano sostanzialmente gli stessi in relazione ad entrambe le libertà in questione. Più precisamente, sia il governo lussemburghese che la maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni nelle due procedure in oggetto fanno valere che le restrizioni determinate dalla normativa controversa sarebbero necessarie per motivi di tutela della salute e, più in particolare, per garantire il mantenimento di un servizio medico-ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti.

Come già accennato, la valutazione di tali giustificazioni comporterà necessariamente una presa di posizione quanto alla validità dell'art. 22 del regolamento. Una volta stabilito che tale norma, imponendo l'obbligo di autorizzazione preventiva, comporta gli stessi effetti restrittivi determinati dalla misura nazionale in discussione, è infatti inevitabile verificare se essa, così come la misura nazionale, sia o no compatibile con gli artt. 30 e 59 del Trattato (59). Aggiungo che ad una diversa soluzione potrà pervenirsi solo nell'ipotesi in cui le due normative in questione (nazionale e comunitaria), pur imponendo una disciplina sostanzialmente analoga, perseguissero scopi diversi e/o rispondessero ad una diversa logica.

45 Ciò detto, occorre anzitutto stabilire, al fine di pronunciarsi sul tipo di giustificazioni ammissibili, se la misura controversa va qualificata come formalmente discriminatoria o, invece, come indistintamente applicabile. Nella prima ipotesi, infatti, la misura in questione potrà essere giustificata, e dunque dichiarata compatibile con il diritto comunitario, unicamente se rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 36 (merci) e dell'art. 56, cui rinvia l'art. 66 (servizi), vale a dire in una delle deroghe espressamente contemplate dal Trattato (60); con la ulteriore conseguenza che non potranno in alcun caso essere presi in considerazione gli eventuali scopi di natura economica della misura restrittiva (61), ma solo, per quanto qui rileva, la tutela della salute pubblica.

Nella seconda ipotesi, invece, la misura potrà essere giustificata in base ad un ventaglio più ampio di esigenze connesse all'interesse generale. Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, per essere compatibili con il diritto comunitario «i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperiosi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo» (62). Ciò significa, da un lato, che anche misure indistintamente applicabili possono essere incompatibili con il diritto comunitario se restrittive e non giustificate da esigenze imperative ovvero da motivi di interesse generale (63); dall'altro, come meglio si vedrà, che in questa seconda ipotesi possono essere presi in considerazione scopi di natura anche economica della misura restrittiva, quali la salvaguardia dell'equilibrio finanziario del sistema sanitario.

46 Le parti e i governi intervenuti si sono tuttavia indistintamente riferiti, nel giustificare la misura controversa, sia alla tutela della salute pubblica, dunque a una deroga prevista dagli artt. 36 e 56, sia alla salvaguardia dell'equilibrio finanziario del sistema sanitario, dunque a un motivo di interesse generale. Secondo la Commissione, poi, la stessa misura sarebbe discriminatoria in materia di merci, atteso che l'autorizzazione preventiva non è richiesta per acquistare i prodotti di cui si tratta sul territorio nazionale, ma indistintamente applicabile in materia di servizi, in quanto l'obbligo di munirsi di tale autorizzazione, sebbene richiesto solo per fruire di cure mediche all'estero, riguarda allo stesso modo sia i cittadini che gli stranieri. Sembra di capire, pertanto, che rispetto alla disciplina prevista per le merci sarebbero discriminatorie anche quelle misure che, pur non richiedendo particolari formalità ai fini dell'importazione in quanto tale, sono suscettibili di scoraggiare le importazioni; mentre rispetto alle norme sui servizi sarebbero discriminatorie solo quelle misure che comportano una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità (64).

Non ritengo di poter condividere una tale impostazione. Invero, la misura in questione non ostacola direttamente né lo scambio di beni né quello di servizi. Essa può tuttavia comportare una loro limitazione in ragione degli evidenti svantaggi (mancato rimborso) che si collegano all'acquisto, senza autorizzazione, di prodotti o prestazioni mediche all'estero. Si tratta dunque, e piuttosto, di stabilire se restrizioni alla libera circolazione delle merci ed alla libera prestazione dei servizi fondate, sia pure indirettamente, sul luogo in cui è stabilito il venditore della merce di cui si tratta ovvero il prestatore del servizio in questione siano da qualificare come discriminatorie o indistintamente applicabili.

47 In relazione alla disciplina sulle merci, osservo anzitutto che è la prima volta che la Corte è chiamata a stabilire se sia discriminatoria ai sensi e per gli effetti dell'art. 30 del Trattato una misura che impone un onere supplementare (autorizzazione preventiva) solo a coloro che intendano acquistare i prodotti di cui si tratta al di fuori del territorio nazionale. Atteso che l'autorizzazione è richiesta ai soli fini della concessione di un vantaggio (rimborso, totale o parziale, del costo di un determinato prodotto) e non, invece, ai fini dell'importazione (65), deve tuttavia riconoscersi che la misura in questione non prevede un regime distinto per i prodotti importati, bensì comporta una disparità di trattamento tra persone (gli assicurati) tutte residenti in uno stesso Stato membro, a seconda che abbiano scelto di comprare un determinato prodotto nello Stato di residenza ovvero in un altro Stato membro. La circostanza che il diverso trattamento degli assicurati dipenda, sia pure indirettamente, dal luogo in cui è stabilito l'ottico o il farmacista che offre i prodotti di cui si tratta, lo aggiungo, non assume alcuna rilevanza rispetto alla disciplina sulle merci; e ciò anche a volerla qualificare come una discriminazione formale in funzione dello stabilimento (66).

L'eventuale restrizione delle importazioni dipende invero dall'effetto dissuasivo determinato, sulle scelte degli assicurati, dal mancato rimborso del costo di prodotti acquistati in un altro Stato membro. Ritengo pertanto che la misura in questione, pur essendo tale da favorire l'acquisto di prodotti venduti nel territorio nazionale, non sia formalmente discriminatoria. A tacer d'altro, infatti, essa non impone alcuna formalità specifica al momento e ai fini dell'importazione e neppure privilegia i prodotti nazionali a danno dei prodotti importati.

48 Nel passare ad esaminare la portata della misura nazionale controversa rispetto alle norme sui servizi, ricordo anzitutto che la giurisprudenza della Corte è costante nel considerare come formalmente discriminatorie unicamente le normative che prevedono un regime distinto per i cittadini stranieri (67) e/o per le prestazioni di servizi "originarie" di altri Stati membri (68). Sono invece qualificate come indistintamente applicabili quelle misure che hanno vocazione ad applicarsi a tutti coloro che esercitano l'attività di cui si tratta sul territorio di un determinato Stato membro; e ciò anche qualora espressamente richiedano il requisito della residenza (69) ovvero dello stabilimento (70), vale a dire requisiti che in fatto rendono impossibile l'esercizio dell'attività in questione ai prestatori che siano stabiliti in un altro Stato membro (71).

La misura che ci occupa, è appena il caso di rilevarlo, non comporta alcuna discriminazione in base alla nazionalità né prevede, almeno non direttamente, un regime distinto per i prestatori stabiliti in un altro Stato membro. Il diverso trattamento concerne infatti, almeno formalmente, tutti gli assicurati iscritti al regime previdenziale di cui si tratta. Tenuto conto, tuttavia, che tale trattamento differenziato dipende dalla scelta del medico o della struttura ospedaliera, è fin troppo evidente che la disparità di trattamento tra assicurati è in funzione dello stabilimento del prestatore. E' ciò sufficiente a far ritenere che la misura in questione, in quanto si risolve in un regime distinto per le prestazioni di servizi originarie di un altro Stato membro, sia comunque da qualificare come discriminatoria?

49 Una risposta negativa ad un tale interrogativo potrebbe evincersi dalla circostanza, prima ricordata, che la giurisprudenza in materia di servizi ammette che normative che impongono il requisito dello stabilimento, ai fini dell'esercizio di una determinata attività, sono giustificabili in virtù di motivi di interesse generale; e ciò, per quanto inappagante possa essere considerato un tale risultato, nella misura in cui si tratta di un requisito imposto a tutti coloro che svolgono una determinata attività sul territorio di un determinato Stato e che pertanto non opera, beninteso formalmente, alcuna discriminazione. Nella stessa prospettiva, dovrebbe essere considerata altrettanto non discriminatoria una normativa che non prevede, almeno formalmente e direttamente, un regime distinto per i prestatori stabiliti in un altro Stato membro.

Precisamente sul punto qui in discussione, tuttavia, la giurisprudenza relativa a misure analoghe a quella che ci occupa, che cioè subordinano la concessione di un determinato vantaggio alla condizione che ci si avvalga di un prestatore stabilito nel territorio nazionale, è non priva di incertezze e contraddizioni. Ad esempio, nella sentenza Bachmann la Corte ha ritenuto la misura controversa, che subordinava la deducibilità di taluni contributi alla condizione che fossero versati nello Stato stesso, giustificabile in nome della coerenza del sistema fiscale nazionale, con ciò riconoscendole il carattere di misura indistintamente applicabile (72). Nella successiva sentenza Svensson e a., la Corte ha invece considerato come discriminatoria in funzione dello stabilimento, dunque giustificabile solo in virtù delle deroghe espressamente contemplate dal Trattato, una misura che subordinava un aiuto sociale per l'alloggio alla condizione che il relativo prestito fosse contratto presso un istituto di credito stabilito nel territorio nazionale (73). Né ha contribuito ad apportare chiarezza alla materia la circostanza che la Corte abbia poi ritenuto, nella stessa sentenza, di dover confutare la tesi secondo cui la misura in questione sarebbe stata necessaria per preservare la coerenza del sistema fiscale (74): così facendo, infatti, essa ha anche verificato se tale misura fosse giustificabile in base ad esigenze suscettibili di essere prese in considerazione solo rispetto a misure indistintamente applicabili.

50 Orbene, non mi sembra che la compatibilità di una misura nazionale con il diritto comunitario possa essere indifferentemente e/o cumulativamente verificata rispetto a deroghe espressamente contemplate dal Trattato e a motivi di interesse generale (75); e ciò, in particolare, tenuto conto che si tratta di giustificazioni che riguardano ipotesi diverse e che comportano un regime parzialmente diverso. Pur riconoscendo che può non essere agevole stabilire se una determinata misura sia o no discriminatoria - vuoi perché l'effetto discriminatorio (in fatto) è fin troppo evidente, vuoi perché le particolarità di un determinato settore inducono a maggiore prudenza - resta pertanto che è indispensabile procedere alla sua corretta qualificazione.

In definitiva, ritengo che la Corte dovrebbe, rispetto al caso che ci occupa ed al fine di eliminare le ambiguità della giurisprudenza prima ricordata, o dichiarare, come si evince dalla sentenza Svensson, che tra le misure discriminatorie rientrano anche quelle che indirettamente introducono una disparità di trattamento tra prestatori stabiliti e non stabiliti; oppure sancire, come sembra invece evincersi dalla sentenza Bachmann, che misure che formalmente non prevedono un regime distinto per i prestatori non stabiliti restano pur sempre delle misure indistintamente applicabili. Mi limito ad aggiungere che questa seconda ipotesi sembra al momento quella più in armonia con la giurisprudenza in materia complessivamente considerata. Ciò non toglie, beninteso, che sarebbe opportuno procedere ad una rivisitazione della stessa.

51 Sulla premessa che la misura nazionale qui in discussione è da ritenersi indistintamente applicabile sia che venga in rilievo rispetto alla disciplina comunitaria sulle merci che a quella sui servizi, passo dunque ad esaminare le esigenze invocate a sua giustificazione, vale a dire la tutela della salute pubblica ed il mantenimento di un sistema medico-ospedaliero equilibrato ed accessibile a tutti in una determinata regione. Quest'ultima esigenza, lo ricordo, è espressamente menzionata nel secondo quesito posto dal giudice di rinvio della causa C-158/96 (Kohll), mentre gli Stati intervenuti hanno piuttosto fatto riferimento alla salvaguardia dell'equilibrio finanziario del sistema. Si tratta invero di due obiettivi strettamente connessi, nel senso che il secondo, più immediato, costituisce, secondo quanto affermato dagli stessi Stati, uno strumento per garantire la realizzazione del primo.

Ritengo che un'ulteriore precisazione si imponga. Le considerazioni svolte ed il risultato cui si perverrà in ordine alla giustificabilità della misura controversa per motivi di tutela della salute sarebbero altrettanto validi, atteso che si tratta di un'esigenza espressamente contemplata dagli artt. 36 e 56 del Trattato, ove si muovesse dall'assunto che la misura controversa fosse discriminatoria (76). Deve invece escludersi che lo stesso si verifichi rispetto all'esigenza di mantenere un servizio medico-ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti in una determinata regione. Anche a voler considerare, infatti, che tale obiettivo rientri nella nozione di salute pubblica in senso lato (77), deve riconoscersi che esso riposa interamente sull'equilibrio finanziario del sistema, dunque su uno scopo di natura economica, che, in quanto tale, non può in alcun caso giustificare una misura discriminatoria (78).

52 Ciò precisato, dirò subito che la tesi, pure sostenuta dal governo lussemburghese, secondo cui la normativa contestata sarebbe necessaria per garantire la qualità dei prodotti e delle prestazioni mediche - verificabile, per chi si reca all'estero, solo al momento della richiesta di autorizzazione - è priva di ogni fondamento. Le condizioni di accesso alle (e di esercizio delle) attività qui rilevanti, così come le modalità di immissione in commercio dei medicinali, sono infatti oggetto di direttive comunitarie di coordinamento o di armonizzazione (79). Peraltro, non senza un puntuale riferimento a tali direttive, la Corte ha già avuto modo di affermare che la prescrizione di un medicinale da parte di un medico di un altro Stato membro e l'acquisto dello stesso in tale Stato offrono garanzie equivalenti a quelle fornite da una prescrizione da parte del medico dello Stato di importazione ovvero dalla vendita di tale medicinale da parte di una farmacia dello Stato membro in cui lo stesso è importato da un privato (80). Tali statuizioni, che non possono non valere in ordine all'acquisto di tutti i presidi medico-chirurgici, ivi compreso un paio di occhiali, presuppongono che garanzie equivalenti a quelle fornite dai medici, dai farmacisti e dagli ottici stabiliti sul territorio nazionale devono essere riconosciute anche ai medici, ai farmacisti e agli ottici stabiliti in altri Stati membri.

In tali condizioni, non mi sembra che possa ragionevolmente sostenersi che la salute degli assicurati non sia sufficientemente tutelata quando essi fruiscono di cure mediche in un altro Stato membro (81). Ne consegue, all'evidenza, che la misura in questione non può essere considerata necessaria a fini di tutela della salute.

53 Per quanto riguarda la salvaguardia dell'equilibrio finanziario del sistema, comincio con l'affermare che ben si tratta, a mio avviso, di un'esigenza degna di tutela per il diritto comunitario. Se è vero infatti che la giurisprudenza è talvolta categorica nel negare che possano essere giustificati gli scopi di natura economica (anche) di misure indistintamente applicabili (82), è altresì vero che emerge, ad un esame più attento della stessa giurisprudenza, che sono nondimeno giustificabili scopi di natura economica che, lungi dall'essere fine a sé stessi, rilevano nel e per il funzionamento del sistema di cui si tratta (83) ovvero toccano interessi intimi e di estrema importanza per gli Stati (84).

Nella prospettiva appena indicata, ritengo innegabile che la salvaguardia dell'equilibrio finanziario del sistema previdenziale, che pure costituisce lo scopo essenziale della misura in questione, non è un fine in sé ma uno strumento che (almeno) contribuisce a garantire agli assicurati prestazioni quantitative e qualitative di un certo livello. Una rottura dell'equilibrio finanziario del sistema, infatti, potrebbe provocare un abbassamento della protezione sanitaria, con evidenti e inevitabili conseguenze negative soprattutto per gli assicurati che appartengono alle fasce più deboli. A ciò si aggiunga che la Corte ha già riconosciuto, ad esempio in materia di parità di trattamento uomo-donna nel settore della sicurezza sociale (85), nonché nell'interpretare le pertinenti norme dello statuto dei funzionari (86), che l'equilibrio finanziario dei sistemi previdenziali costituisce un obiettivo legittimo, dunque degno di tutela.

54 Passo quindi a verificare se la misura controversa sia necessaria ed adeguata per preservare l'equilibrio finanziario e, con esso, il mantenimento di un servizio medico-ospedalierio accessibile a tutti. Tutti i governi che hanno presentato osservazioni hanno sostenuto, sul punto, che l'autorizzazione preventiva sarebbe indispensabile per evitare che gli enti previdenziali siano costretti a rimborsare le prestazioni di cui si tratta in base alla legislazione dello Stato in cui ogni singolo assicurato ha scelto di fruire di cure mediche e/o di acquistare i relativi prodotti. Gli stessi Stati hanno aggiunto che lo Stato prescelto normalmente sarà quello in cui la prestazione di cui si tratta è ritenuta più all'avanguardia ed è, per ciò stesso, la più onerosa.

Orbene, deve senz'altro riconoscersi che un eventuale obbligo di rimborsare, in base alle diverse legislazioni dei diversi Stati membri, le prestazioni di cui gli assicurati hanno scelto di fruire fuori del territorio nazionale potrebbe effettivamente portare a una rottura dell'equilibrio finanziario, con conseguenze negative in ordine al mantenimento di un servizio medico-ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti. Al riguardo, basti osservare che, allo stato attuale, i costi della spesa sanitaria e le regole di finanziamento dei regimi di assistenza malattia differiscono sensibilmente da Stato a Stato (87). Una libera circolazione incondizionata dei malati porterebbe pertanto a situazioni squilibrate e decisamente negative per quegli Stati in cui il costo delle prestazioni è nettamente inferiore a quello che gli enti previdenziali dovrebbero rimborsare per gli assicurati che scelgono di fruirne in altri Stati membri.

55 In tali condizioni, la misura contestata dovrebbe essere considerata necessaria e proporzionata ai fini del conseguimento dello scopo perseguito. L'obbligo di autorizzazione preventiva, infatti, costituisce il solo mezzo che consente agli enti previdenziali di assumere l'onere delle spese effettuate dagli assicurati in un altro Stato membro, alle condizioni previste da tale Stato, nei soli casi in cui sia considerato necessario in ragione dello stato di salute degli stessi e di limitare, per tale via, esborsi eccessivi suscettibili di condurre ad una rottura dell'equilibrio finanziario del sistema.

La Commissione, sulla premessa che l'art. 22 del regolamento imporrebbe l'obbligo di non rifiutare l'autorizzazione in un determinato caso ma nulla direbbe rispetto alle altre ipotesi suscettibili di verificarsi, sostiene tuttavia che sarebbe necessario verificare caso per caso se la concessione dell'autorizzazione per una determinata prestazione, e dunque il relativo onere finanziario, sia tale da portare alla rottura dell'equilibrio finanziario (88). Tale tesi, per quanto suggestiva, appare poco rigorosa. E' fin troppo evidente, oltre che auspicabile, che gli Stati potrebbero (e ben possono) essere più liberali di quanto richiesto dall'art. 22 del regolamento; mi chiedo, tuttavia, in base a quali criteri una normativa nazionale che autorizza il trasferimento degli assicurati in altri Stati membri al fine di fruire di cure mediche, e ciò quantomeno nei casi in cui l'art. 22 del regolamento lo richiede, possa essere considerata conforme a tale disposizione, di cui la stessa Commissione afferma la validità, ma contraria alle norme del Trattato sui servizi (89).

56 Piuttosto, è ben vero che l'art. 22 del regolamento non richiede affatto, né implica, che nei casi in cui l'autorizzazione non è concessa, perché non ne ricorrono i presupposti in esso indicati, gli assicurati debbano sopportare interamente i costi delle relative prestazioni ovvero non abbiano diritto ad alcun tipo di rimborso. Invero, scopo della disposizione in questione è di fare in modo che il diritto dell'assicurato a beneficiare di determinate prestazioni possa, in deroga al principio dell'unicità della legislazione applicabile su cui si fonda il coordinamento messo in atto dal regolamento, trovare soddisfazione anche in un altro Stato membro (almeno) nei casi in cui il trasferimento si renda necessario in considerazione delle condizioni di salute dell'interessato. In altre parole, la disposizione in questione intende garantire agli assicurati il diritto a ricevere cure appropriate in un altro Stato membro senza per questo subire svantaggi economici e senza che ciò possa stravolgere i sistemi esistenti nei diversi Stati membri.

57 Ma se ciò è vero, ne consegue, da un lato, che le restrizioni determinate dalle pertinenti disposizioni dell'art. 22, precisamente perché dirette a garantire che gli assicurati possano fruire di prestazioni mediche in un altro Stato membro alle condizioni previste dalla normativa di tale Stato, sono obiettivamente giustificate, dunque compatibili con gli artt. 30 e 59 del Trattato; dall'altro, che la salvaguardia dell'equilibrio finanziario, scopo perseguito dalla misura nazionale, assume rilievo solo in quanto e nei limiti in cui si parta dal presupposto che il rimborso delle prestazioni di cui gli assicurati scelgano di fruire in un altro Stato membro debba avvenire, da parte dell'ente previdenziale competente, in base ai criteri e alle modalità applicati dallo Stato in cui dette prestazioni sono fornite.

In tale prospettiva, occorre pertanto verificare se il rischio di rottura dell'equilibrio finanziario, e dunque la necessità di un'autorizzazione preventiva, permanga anche nel caso in cui l'ente previdenziale competente non sia tenuto ad un rimborso integrale in base alla legislazione dello Stato in cui l'assicurato ha ricevuto le cure di cui si tratta, bensì in base alla legislazione ed alle tariffe dello Stato in cui il fruitore di cure mediche è assicurato. Tanto per intenderci, si tratta di verificare se il rimborso richiesto dal signor Decker alle stesse condizioni cui avrebbe avuto diritto ove avesse comprato gli occhiali presso un ottico stabilito in Lussemburgo, così come l'eventuale rimborso al signor Kohll in base alle tariffe nazionali, sia davvero tale da compromettere l'equilibrio finanziario del sistema.

58 Posto in questi termini il problema, è fin troppo evidente che le diverse modalità di finanziamento e i diversi costi sanitari di ciascun sistema non hanno alcuna rilevanza nell'ipotesi in cui l'ente previdenziale competente non sia tenuto a rimborsare le prestazioni di cui gli assicurati hanno fruito in un altro Stato membro sulla base della legislazione applicabile in tale Stato. Invero, non può non riconoscersi che un rimborso di 1600 Flux al signor Decker, rimborso cui avrebbe avuto diritto se avesse acquistato gli occhiali presso un ottico stabilito in Lussemburgo, non ha alcuna incidenza sull'equilibrio finanziario del sistema, così come nessuna incidenza è dato riscontrare nell'ipotesi in cui si provveda ad un rimborso di cure ortodontiche fornite in Germania a una persona affiliata alla cassa malattia del Lussemburgo in base al costo "lussemburghese" delle stesse (90).

Ne consegue che sono altresì da escludere ripercussioni negative quanto al mantenimento di un servizio medico accessibile a tutti in una determinata regione. Se è ben vero, infatti, che in regioni frontaliere può aversi con maggiore frequenza il passaggio della frontiera, anche per fruire di cure mediche, resta nondimeno che non si tratta, in via di principio, di passaggi a senso unico e che, soprattutto, le prestazioni fin qui prese in considerazione non incidono sull'equilibrio finanziario in misura maggiore che se fossero state effettuate nello Stato di residenza degli interessati.

59 Ritengo tuttavia che la situazione sia ben diversa e meriti una risposta diversa in relazione alle strutture ospedaliere. A differenza delle prestazioni fornite da singoli professionisti, infatti, deve riconoscersi, da un lato, che la collocazione ed il numero di tali strutture è in funzione di una pianificazione dei bisogni; dall'altro, che il costo della permanenza di una singola persona in una struttura ospedaliera non può essere scisso da quello della struttura nel suo insieme. Va da sé, infatti, che, ove molti assicurati scegliessero di avvalersi di strutture presenti sul territorio di altri Stati membri, quelle nazionali resterebbero in parte inutilizzate ma continuerebbero a sopportare i costi relativi al personale e ai macchinari nella stessa misura che se fossero utilizzate al meglio (91).

In altre parole, il rimborso, da parte dell'ente previdenziale competente, di prestazioni mediche di cui gli assicurati hanno fruito in ospedali di altri Stati membri, sia pure in base ad un importo forfettario corrispondente al costo "lussemburghese" delle prestazioni di cui si tratta, si risolverebbe comunque in un onere finanziario supplementare per il sistema interessato. Relativamente al settore in questione occorre pertanto ammettere che rimane indispensabile, al fine di non alterare l'equilibrio finanziario del sistema e garantire il mantenimento di un servizio che sia accessibile a tutti sia dal punto di vista finanziario che logistico, dunque anche a coloro che non intendano spostarsi ma ricevere le cure di cui abbisognano nel luogo ad essi più vicino, chiedere ed ottenere un'autorizzazione preventiva (92).

60 In definitiva, ritengo che la misura controversa sia giustificata relativamente a tutte le prestazioni che devono essere fornite all'assicurato in strutture ospedaliere e, più in generale, per tutte quelle prestazioni per le quali l'assicurato intenda beneficiare della presa a carico ovvero del rimborso integrale da parte dell'ente previdenziale competente. Per contro, la stessa misura non è giustificabile in relazione all'acquisto di prodotti ovvero a prestazioni mediche consistenti in consultazioni e visite specialistiche fornite da privati e per le quali è richiesto un rimborso forfettario basato sulle tariffe vigenti nello Stato in cui si è assicurati.

Aggiungo che sarebbe certo auspicabile un intervento del legislatore comunitario volto ad armonizzare la materia in questione in modo tale da consentire una vera ed effettiva libera circolazione dei malati, elemento rilevante per la costruzione di un mercato unico integrato. Nella consapevolezza che si tratta di un obiettivo ambizioso, al momento di ben difficile realizzazione, ritengo che il legislatore comunitario dovrebbe quantomeno procedere, ed in tempi brevi, ad ampliare le possibilità in cui non è consentito rifiutare il rilascio dell'autorizzazione. Nessun dubbio, infatti, che sarebbe opportuno sotto più profili concedere l'autorizzazione in tutti quei casi in cui l'assicurato potrebbe comunque ricevere un trattamento più efficace in un altro Stato membro o anche, come nell'ipotesi Kohll quale chiarita nel corso dell'udienza, allorché nello Stato di residenza vi sia un unico specialista in grado di fornire la prestazione richiesta.

Conclusione

61 Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco pertanto alla Corte di rispondere come segue ai quesiti posti, nelle rispettive cause, dal Conseil arbitral des assurances sociales e dalla Cour de Cassation del Granducato del Lussemburgo:

a) nella causa C-120/95

«Gli artt. 30 e 36 del Trattato vanno interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in base alla quale un ente previdenziale neghi ad un assicurato, a motivo che qualsiasi cura all'estero deve essere previamente autorizzata, il rimborso degli occhiali da vista, prescritti da un medico stabilito nello Stato di residenza dello stesso assicurato ma acquistati presso un ottico stabilito in un altro Stato membro, in base alla legislazione applicabile nel primo Stato»;

b) nella causa C-158/96

«Gli artt. 59 e 60 del Trattato vanno interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che subordini la presa a carico di prestazioni rimborsabili a un'autorizzazione dell'ente previdenziale dell'assicurato nell'ipotesi in cui le prestazioni sono fornite in uno Stato membro diverso da quello di residenza dell'assicurato, sempreché e nella misura in cui si tratti di prestazioni fornite al di fuori delle strutture ospedaliere e che sono rimborsate secondo i parametri non dello Stato in cui sono fornite ma dello Stato di affiliazione; viceversa, gli artt. 59 e 60 del Trattato vanno interpretati nel senso che non ostano ad una tale normativa, in quanto mira a garantire l'equilibrio finanziario e, con esso, il mantenimento di un servizio ospedaliero accessibile a tutti in una determinata regione, quando si tratti di prestazioni che devono essere fornite in strutture ospedaliere e, più in generale, per tutte le prestazioni da rimborsare in base alla normativa dello Stato membro, diverso da quello di residenza dell'assicurato, in cui sono fornite».

(1) - In questo senso v. art. 119 dell'attuale Statuto UCM.

(2) - V. versione codificata dal regolamento (CE) del Consiglio 2 dicembre 1996, n. 118/97 (GU 1997, L 28, pag. 4).

(3) - Non è superfluo ricordare che, conformemente all'articolo 22 bis, inserito con regolamento (CE) n. 3095/95 (GU L 335, pag. 1), «In deroga all'articolo 2 del presente regolamento, l'articolo 22, paragrafo 1, lettere a) e c), si applica anche alle persone che sono cittadini di uno Stato membro e che sono assicurate secondo la legislazione di uno Stato membro nonché ai loro familiari che con esse risiedono». A seguito di tale modifica, dunque, non è più indispensabile essere lavoratore o familiare di un lavoratore per poter invocare il disposto dell'art. 22; è invece sufficiente essere assicurato, non importa a che titolo.

(4) - Al riguardo, ricordo che, in base all'art. 36, n. 1, del regolamento, «le prestazioni in natura erogate dall'istituzione di uno Stato membro per conto dell'istituzione di un altro Stato membro, in base alle disposizioni del presente capitolo, danno luogo a rimborso integrale».

(5) - Va qui precisato che il Conseil arbitral des assurances sociales rigettava il ricorso con decisione del 24 agosto 1993. Del pari, esso rigettava, con sentenza del 20 ottobre 1993, l'opposizione presentata dal signor Decker contro tale decisione. Ed è a seguito dell'annullamento di tale decisione da parte della Corte di cassazione che il Conseil arbitral des assurances sociales è di nuovo investito della causa.

(6) - V., sul punto, sentenza 7 marzo 1989, causa 215/87, Schumacher (Racc. pag. 617), e sentenza 8 aprile 1992, causa C-62/90, Commissione/Germania (Racc. pag. I-2575).

(7) - In tal senso v., inoltre, sentenza 4 ottobre 1991, causa C-159/90, Grogan e a. (Racc. pag. I-4685), in cui la Corte ha stabilito che «l'interruzione della gravidanza per intervento medico, effettuata in conformità al diritto dello Stato in cui essa avviene, è un servizio ai sensi dell'art. 60 del Trattato» (punto 21).

(8) - Sentenza 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone (Racc. pag. 377, punto 16).

(9) - Sentenza 7 febbraio 1984, causa 238/82, Duphar (Racc. pag. 523, punto 16). Nello stesso senso v., da ultimo, sentenza 17 giugno 1997, causa C-70/95, Sodemare e a. (Racc. pag. I-0000, punto 27).

(10) - Per una ricognizione esauriente della giurisprudenza in materia, nonché delle sue implicazioni, v. le conclusioni dell'avvocato generale Fennelly, presentate il 6 febbraio 1997, nella causa C-70/95, Sodemare e a. (Racc. 1997, pag. I-0000, punti 23-30).

(11) - Una tale affermazione costituisce, non a caso, una costante della giurisprudenza della Corte relativa all'interpretazione del regolamento n. 1408/71. V., tra le altre, sentenza 24 aprile 1980, causa 110/79, Coonan (Racc. pag. 1445, punto 12); e sentenza 4 ottobre 1991, causa C-349/87, Paraschi (Racc. pag. I-4501, punto 15).

(12) - Sentenza 17 febbraio 1993, cause riunite C-159/91 e C-160/91 (Racc. pag. I-637, punto 19).

(13) - Così sentenza 30 gennaio 1997, cause riunite C-4/95 e C-5/95, Stöber e Piosa Pereira (Racc. pag. I-511, punto 36).

(14) - V. sentenze Coonan e Paraschi (citate alla nota 11), rispettivamente punti 12 e 15.

(15) - Basti al riguardo ricordare che un principio cardine del regolamento n. 1408/71, che pure si limita a prevedere un mero coordinamento delle legislazioni nazionali in materia, è precisamente quello della parità di trattamento, sancita all'art. 3, n. 1, dello stesso, tra nazionali e cittadini di altri Stati membri stabiliti nello stesso Stato.

(16) - Sentenza Poucet e Pistre (citata alla nota 12), punto 18.

(17) - Una tale conclusione trova conferma, sia pure a contrario, nella sentenza 23 aprile 1991, causa C-41/90, Höfner e Elser (Racc. pag. I-1979), in cui la Corte aveva affermato che la nozione di impresa rilevante ai fini dell'applicazione delle norme sulla concorrenza «abbraccia qualsiasi entità che esercita un'attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento» (punto 21).

(18) - Sentenza 16 novembre 1995, causa C-244/94, FFSA e a. (Racc. pag. I-4013, punti 17-22).

(19) - Sentenza 26 marzo 1996, causa C-238/94 (Racc. pag. I-1673, punto 13).

(20) - Trattandosi, peraltro, di un'affermazione ripresa, sia pure in termini più perentori, dalle mie conclusioni relative a quel caso (conclusioni presentate il 29 febbraio 1996, Racc. 1996, pag. I-1675, punto 9), non posso che sottolineare che non era certo mio intento pervenire a tale risultato. Piuttosto, come si evince dalle stesse conclusioni, ho inteso evidenziare che, allo stato attuale del diritto comunitario, nessuna delle norme previste dal Trattato, ivi comprese quelle concernenti più direttamente il settore previdenziale o comunque sociale, consente «l'adozione di misure volte allo smantellamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale» (v. nota 6), ove il termine «smantellamento» indica per l'appunto la distruzione dei diversi regimi quali attualmente esistenti nei diversi Stati membri. Nessun dubbio, per contro, che, ove mai si pervenisse a un'armonizzazione dei regimi in questione, la corretta base giuridica per procedere alla liberalizzazione dell'attività (anche) degli enti che gestiscono tali regimi sarebbe costituita proprio dagli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato.

(21) - Sentenza García (citata alla nota 19), punto 14.

(22) - Sul punto v. supra, punto 19 e nota 14.

(23) - Sentenza Sodemare e a. (citata alla nota 9), punto 29.

(24) - Idem, punti 32 e 34. Non è superfluo sottolineare che la Corte ha nondimeno avvertito l'esigenza, nella stessa sentenza, di precisare che il sistema in questione non può comunque «collocare le società a fini di lucro di altri Stati membri in una situazione di fatto o di diritto sfavorevole in relazione a quella delle società a fini di lucro dello Stato di stabilimento» (punto 33).

(25) - Sentenza 12 febbraio 1985, causa 221/85, Commissione/Belgio (Racc. pag. 719, punto 11).

(26) - Sentenza 7 luglio 1988, causa 143/87, Stanton e a. (Racc. pag. 3877, punto 10). Nello stesso senso v. sentenza in pari data, cause riunite 154 e 155/87, Wolf e a. (Racc. pag. 3897, punto 10).

(27) - Sentenza Duphar (citata alla nota 9), punto 18. V., inoltre, sentenza 19 marzo 1991, causa C-249/88, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-1275, punti 38 e 42), in cui la Corte ha considerato contraria all'art. 30 una normativa nazionale che avvantaggiava, in materia di ammissione al rimborso, i soli prodotti farmaceutici nazionali.

(28) - Sentenza Sodemare e a. (citata alla nota 9), punti 36-40.

(29) - Un approccio analogo è rinvenibile, ad esempio, in materia di fiscalità diretta. La giurisprudenza in materia è infatti costante nell'affermare che «se è vero che allo stato attuale del diritto comunitario la materia delle imposte dirette non rientra, in quanto tale, nella competenza della Comunità, ciò non toglie tuttavia che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare le competenze loro attribuite nel rispetto del diritto comunitario» (sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 21; nello stesso senso v., da ultimo, sentenza 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations SA, Racc. pag. I-0000, punto 19).

(30) - Così sentenza 16 marzo 1978, causa 117/77, Pierik I (Racc. pag. 825, punto 14).

(31) - V., in questo senso, sentenza 31 maggio 1979, causa 182/78, Pierik II (Racc. pag. 1977, punto 4); e già sentenza 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger (Racc. pag. 349, in particolare pag. 366). Aggiungo che, in virtù dell'inserimento dell'art. 22 bis nel regolamento, ormai neppure è più necessario, beninteso ai fini dell'applicazione dell'art. 22, essere lavoratori o familiari di un lavoratore; è invece sufficiente essere assicurati (v. supra, nota 3).

(32) - Regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 (v. versione codificata pubblicata in GU 1997, L 28, pag. 102).

(33) - L'art. 19 del regolamento n. 574/72 prevede infatti che «se si tratta di lavoratori frontalieri o di loro familiari, medicinali, fasciature, occhiali, piccoli apparecchi, analisi ed esami di laboratorio, possono essere forniti o effettuati soltanto nel territorio dello Stato membro in cui sono stati prescritti, secondo le disposizioni della legislazione di questo Stato membro, salvo che la legislazione applicata dall'istituzione competente o un accordo concluso tra gli Stati membri interessati o le autorità competenti di questi Stati membri siano più favorevoli».

(34) - Sentenza 10 gennaio 1980, causa 69/79, Jordens-Vosters (Racc. pag. 75, punto 9). Preciso che tale affermazione è stata fatta in relazione ad un caso in cui l'ente previdenziale competente, nella specie olandese, rifiutava ad una cittadina belga il rimborso delle spese da questa sostenute, in Belgio, per prodotti farmaceutici e medicinali.

(35) - Resta, beninteso, che l'autorizzazione preventiva, concessa al fine di fruire di cure mediche in un altro Stato membro, non può non coprire anche le spese occasionate in quello stesso Stato dall'acquisto di prodotti e supporti medici; una tale circostanza mi sembra tuttavia incontestabile e incontestata.

(36) - Diverso sarebbe solo ove fosse valida ancora oggi l'interpretazione fornita dalla Corte relativamente all'espressione «le cure adeguate al suo stato», figurante al n. 1, lett. c), dell'art. 22. La Corte aveva infatti avuto modo di precisare che da tale espressione risulta che «le prestazioni in natura per le quali, giusta detta disposizione, l'autorizzazione a recarsi in un altro Stato membro viene rilasciata al lavoratore, si estendono a tutte le cure atte a garantire il trattamento efficace della malattia o dell'affezione da cui l'interessato è colpito» (sentenza Pierik I, citata alla nota 30, punto 15, e sentenza Pierik II, citata alla nota 31, punto 10; il corsivo è mio). Una siffatta interpretazione è purtroppo da considerarsi superata: precisamente a seguito delle sentenze Pierik, infatti, il n. 2 dello stesso art. 22 è stato modificato in senso più restrittivo, in particolare prevedendo espressamente e senza ambiguità la sola ipotesi in cui l'autorizzazione non può essere rifiutata.

(37) - In questo senso v., ad esempio, sentenza 20 marzo 1990, causa C-21/88, Du Pont de Nemours (Racc. pag. I-889, punti 20 e 21), in cui la Corte ha escluso che l'eventuale qualificazione di una normativa nazionale come aiuto ai sensi dell'art. 92 potesse sottrarre la stessa misura al divieto di cui all'art. 30.

(38) - Ricordo inoltre che la Corte non ha mancato di sottolineare che il potere discrezionale riconosciuto al legislatore comunitario dall'art. 51 deve essere esercitato con modalità obiettivamente giustificate (sentenza 13 luglio 1976, causa 19/76, Triches, Racc. pag. 1243, punto 18). Aggiungo che tale affermazione non può non essere interpretata nel senso che le misure adottate in base all'art. 51 non possono restringere ingiustificatamente la portata dei diritti riconosciuti dal Trattato ai cittadini comunitari.

(39) - Sentenza 9 luglio 1980, causa 807/79, Gravina (Racc. pag. 2205, punto 7); sentenza 5 luglio 1988, causa 21/87, Borowitz (Racc. pag. 3715, punto 23); e sentenza 7 febbraio 1991, causa C-227/89, Rönfeldt (Racc. pag. I-323, punto 12).

(40) - Sentenza 15 gennaio 1986, causa 41/84, Pinna (Racc. pag. 1, punto 20).

(41) - Sentenza Stöber e Piosa Pereira (citata alla nota 13), punti 32-34.

(42) - Un tale approccio, peraltro, evidenzia che la già ricordata affermazione della Corte secondo cui l'osservanza di una norma provvista di effetto diretto, quale l'art. 52 del Trattato, si imponeva agli Stati membri «anche se essi, in mancanza di una normativa comunitaria sul regime sociale dei lavoratori autonomi, conservavano la propria competenza legislativa in materia» (sentenze Stanton e a. e Wolf e a., citate alla nota 26, punto 10 di entrambe), non ha affatto perso di significato per il solo fatto che, nel frattempo, il regolamento è stato esteso anche ai lavoratori autonomi.

(43) - Sentenza Stöber e Piosa Pereira (citata alla nota 13), punti 38 e 39.

(44) - In proposito, la Corte ha infatti precisato, nella stessa sentenza, che «nulla osta a che gli Stati membri limitino il beneficio degli assegni familiari alle persone che appartengono ad una comunità solidaristica costituita da un regime di assicurazione vecchiaia» e che gli stessi Stati «sono liberi di stabilire le condizioni cui è subordinato il diritto a prestazioni previdenziali, atteso che il regolamento n. 1408/71 ha unicamente una funzione di coordinamento» (punto 36).

(45) - Aggiungo, sul punto, che non può non suscitare qualche perplessità la circostanza che la Corte non abbia ritenuto di dover mettere in discussione la validità della norma del regolamento che consentiva l'esclusione, dal beneficio degli assegni familiari, dei lavoratori non iscritti al regime legale di previdenza sociale. E ciò, in particolare, ove si consideri che, precisamente al fine di sostenere l'incompatibilità della normativa nazionale con l'art. 52, la Corte ha sottolineato che tale esclusione finiva con lo svantaggiare i cittadini che si erano avvalsi della libera circolazione. Ma se ciò è vero, non può non conseguirne l'invalidità della norma del regolamento che consente una tale esclusione. E' appena il caso di ricordare, infatti, che, per giurisprudenza costante, «lo scopo degli articoli da 48 a 51 non sarebbe raggiunto se i lavoratori, come conseguenza dell'esercizio del diritto di libera circolazione, dovessero essere privati dei vantaggi previdenziali garantiti loro dalla legge di uno Stato membro» (v., tra le altre, sentenza 25 febbraio 1986, causa 284/84, Spruyt, Racc. pag. 685, punto 19; nonché sentenza 9 dicembre 1993, cause riunite C-45/92 e C-46/92, Lepore e Scamuffa, Racc. pag. I-6497, punto 21). All'evidenza, lo stesso non può non valere per i lavoratori autonomi, atteso che il regolamento è oramai anche ad essi applicabile, che si avvalgono della libertà di circolazione.

(46) - V. supra, punto 15, in particolare nota 6.

(47) - Basti pensare che il signor Decker non ha avuto alcuna difficoltà ad acquistare un paio di occhiali, quelli all'origine della controversia, in uno Stato membro diverso da quello di residenza. Le difficoltà sono però cominciate al momento in cui ne ha chiesto il rimborso all'ente previdenziale competente, rimborso che gli è stato puntualmente negato.

(48) - Al riguardo, va tuttavia sottolineato che l'autorizzazione in parola, sebbene richiesta solo per l'acquisto di prodotti "all'estero", non può comunque essere assimilata ad altre autorizzazioni preventive "condannate" dalla Corte (v., ad esempio, sentenza 8 febbraio 1983, causa 124/81, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. 203, punto 18). E ciò essenzialmente perché nel caso che ci occupa l'importazione in quanto tale non dipende dall'autorizzazione.

(49) - In una tale ipotesi, infatti, va da sé che l'ente previdenziale competente rifiuterà il rilascio dell'autorizzazione preventiva, dovendosi presumere, da un lato, che un paio di occhiali (anche particolare) o prodotti medicinali rispettivamente prescritti da un oculista e da un medico stabiliti in un determinato Stato membro sono disponibili nel territorio di quello stesso Stato; dall'altro, che lo stato di salute dell'assicurato non è destinato a peggiorare se non acquista quei prodotti al di fuori del territorio nazionale (al riguardo, v. anche supra, punto 29). Semmai, aggiungo, le condizioni di salute dell'assicurato ben potrebbero peggiorare ove decidesse, invece di comprare al più presto i prodotti di cui necessita, di chiedere un'autorizzazione preventiva e di attendere il risultato (quasi sicuramente negativo) di una serie di formalità medico-amministrative.

(50) - Sul punto, non posso non ricordare che da una lettura a contrario della sentenza Duphar si evince con estrema chiarezza che sarebbe contraria all'art. 30 una normativa nazionale che disciplinasse le modalità di rimborso in modo tale che soli risulterebbero rimborsabili i prodotti nazionali (sentenza citata alla nota 9, punti 18-22). La circostanza che nel caso che ci occupa risultano rimborsabili i soli prodotti acquistati nel territorio nazionale non dovrebbe essere tale, a mio avviso, da condurre a una diversa soluzione.

(51) - Sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville (Racc. pag. 837, punto 5).

(52) - V. sentenza Luisi e Carbone (citata alla nota 8), punto 16. In tale prospettiva, peraltro, non riesco ad allontanare il dubbio che le norme sulla prestazione dei servizi siano rilevanti anche nell'ipotesi in cui si tratti dell'acquisto di prodotti (ipotesi Decker). Considerata infatti la particolare natura dei prodotti in questione e considerato inoltre che la stessa Corte ha riconosciuto che sia per la vendita di occhiali e lenti a contatto che per quella di prodotti medicinali è necessaria la presenza di personale qualificato (v. sentenze 21 marzo 1991, causa C-369/88, Delattre, Racc. pag. I-1487, e causa C-60/89, Monteil e Samanni, Racc. pag. I-1547, entrambe relative ai farmacisti; nonché sentenza 25 maggio 1993, causa C-271/92, LPO, Racc. pag. I-2899, concernente gli ottici), ben potrebbe sostenersi che anche in tale ipotesi la normativa in questione rientri nel campo di applicazione degli artt. 59 e 60 del Trattato. Insomma, non ritengo si possa escludere, almeno non in modo categorico, che lo spostamento del signor Decker in un altro Stato membro per acquistare un paio di occhiali sia disciplinato dalle norme sulla prestazione dei servizi: e ciò in quanto si tratta pur sempre di uno spostamento che non è finalizzato all'acquisto di un prodotto qualsiasi bensì effettuato allo scopo di avvalersi della professionalità di un ottico stabilito in un altro Stato membro. Ciò detto, va da sé che le considerazioni sviluppate nel testo in merito all'ipotesi Kohll sarebbero altrettanto valide in relazione all'ipotesi Decker ove si pervenisse alla conclusione che anche in quest'ultima ipotesi fosse rilevante il profilo relativo alla prestazione dei servizi.

(53) - La giurisprudenza in materia di servizi, peraltro, offre non pochi esempi di misure nazionali che, pur non riguardando esse stesse la prestazione di un servizio, sono state considerate contrarie all'art. 59 in quanto tali da incidere negativamente sulla prestazione del servizio in questione. Basti pensare, ad esempio, che la Corte ha considerato incompatibile con l'art. 59 una normativa nazionale che subordinava la concessione di un aiuto sociale per l'alloggio alla condizione che i relativi prestiti fossero contratti presso istituti di credito stabiliti nello Stato in questione; e ciò precisamente perché detta normativa era tale da scoraggiare gli interessati dal rivolgersi ad istituti di credito stabiliti in altri Stati membri al fine di contrarre prestiti destinati al finanziamento della costruzione, dell'acquisto o della ristrutturazione dell'alloggio (sentenza 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svensson e a., Racc. pag. I-3955). E' appena il caso di aggiungere che anche in tale ipotesi, così come nel caso che ci occupa, la normativa considerata non riguardava direttamente la prestazione dei servizi in questione.

(54) - Al riguardo, la Corte ha peraltro chiarito che non è necessario che il corrispettivo di cui si tratta sia pagato direttamente da coloro che usufruiscono del servizio (v., in questo senso, sentenza 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders e a., Racc. pag. 2085, punto 16), sicché i termini del problema non cambiano neppure nell'ipotesi in cui intervenga direttamente, nel pagamento della prestazione, l'ente previdenziale competente.

(55) - E' da escludersi pertanto che l'attività medica possa essere assimilata all'insegnamento pubblico (v. sentenza 27 settembre 1988, causa 263/86, Humbel, Racc. pag. 5365, punti 4-6; nonché sentenza 7 dicembre 1993, causa C-109/92, Wirth, Racc. pag. I-6447).

(56) - Sul punto, ricordo che l'art. 59 richiede «la soppressione di qualsiasi restrizione (...), allorché essa sia tale da vietare o da ostacolare in altro modo le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi analoghi» (sentenza 25 luglio 1991, causa C-76/90, Säger, Racc. pag. I-4221, punto 12). E' appena il caso di aggiungere, poi, che i termini del problema non cambiano neppure nell'ipotesi in cui la normativa in questione non si applichi a tutti i prestatori stabiliti sul territorio ma solo a quelli tra di essi convenzionati. Secondo una costante giurisprudenza, infatti, la circostanza che una normativa nazionale non favorisca la totalità dei prestatori nazionali è irrilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 59 (v., ad esempio, sentenza 25 luglio 1991, causa C-353/89, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-4069, punto 25).

(57) - Al riguardo, ricordo che già il Programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi (GU del 15 gennaio 1962, pag. 32) includeva tra le restrizioni da sopprimere anche quelle che colpiscono il prestatore indirettamente, ad esempio attraverso il destinatario del servizio.

(58) - Tale conclusione, vale a dire l'incompatibilità di principio anche dell'art. 22 del regolamento rispetto alle norme del Trattato sui servizi, è ampiamente condivisa in dottrina. V., tra gli altri, Bosscher, La seguridad social de los trabajadores migrantes en la perspectiva del establecimiento del mercado interior, in Los sistemas de seguridad social y el mercado único europeo, Madrid, 1993, pag. 23 ss., in particolare pag. 31 s.; nonché Cornelissen, The Principle of Territoriality and the Community Regulations on Social Security, in Common Market Law Review, 1996, 439 ss., in particolare pag. 463-466.

(59) - Ricordo, per completezza, che la Commissione europea dei diritti dell'uomo ha preso posizione sulla normativa lussemburghese in questione e sull'art. 22 del regolamento in un caso in cui la ricorrente - una cittadina lussemburghese che si era vista rifiutare dalla cassa malattia il rimborso di spese mediche effettuate in un altro Stato membro (Belgio) e per le quali non era stata previamente autorizzata - lamentava una violazione dell'art. 6, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali a motivo dell'eccessiva lunghezza della procedura e della circostanza che l'irricevibilità del suo appello da parte della Corte di cassazione, giurisdizione tenuta all'obbligo di rinvio ai sensi dell'art. 177 del Trattato, l'aveva privata di una pronuncia della Corte comunitaria sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato, con cui, a suo avviso, la normativa nazionale era palesemente in contrasto. Orbene, la CEDU - ricordato che la cassa malattia e i giudici lussemburghesi avevano rigettato il ricorso in quanto la ricorrente non poteva ragionevolmente pretendere, in base all'art. 60, terzo comma, del codice delle assurazioni sociali ed agli artt. 51 del Trattato e 22 del regolamento, il rimborso delle spese mediche effettuate in un altro Stato membro senza avere previamente chiesto ed ottenuto la prescritta autorizzazione - ha affermato «que la législation applicable en l'espèce ne reconnaissait pas à la requérante le droit d'être remboursée pour les soins qu'elle a reçus en Belgique». In buona sostanza, la CEDU, interpretando l'art. 22 del regolamento nel senso che non riconosceva il diritto al rimborso, è pervenuta alla conclusione che la ricorrente non era titolare di un diritto ai sensi dell'art. 6, n. 1, della Convenzione ed ha pertanto dichiarato irricevibile il ricorso (Decisione 16 aprile 1996, Marie-Anne München/Lussemburgo, n. 28895/95).

(60) - Per le merci v., in tal senso, sentenza 17 giugno 1981, causa 113/80, Commissione/Irlanda (Racc. pag. 1625, punti 8 e 11); nonché, da ultimo, sentenza 7 maggio 1997, cause riunite da C-321/94 a C-324/94, Pistre e a., Racc. pag. I-0000, punto 52). Per quanto riguarda i servizi, è solo a partire dalla sentenza Bond van Adverteerders e a. (citata alla nota 54) che la Corte ha affermato con chiarezza che «normative nazionali (...) discriminatorie (...) sono compatibili con il diritto comunitario solo se possono rientrare in una deroga espressamente contemplata» (punto 32); nello stesso senso v., da ultimo, sentenza Svensson e a. (citata alla nota 53), punto 15.

(61) - Relativamente alle merci v., in tal senso, sentenza Duphar (citata alla nota 9), punto 23; e già sentenza 19 dicembre 1961, causa 7/61, Commissione/Italia, (Racc. pag. 619, in particolare pag. 644). Per quanto riguarda i servizi v., tra le altre, sentenza Bond van Adverteerders e a. (citata alla nota 54), punto 34; nonché, da ultimo, sentenza 4 maggio 1993, causa C-17/92, Fedicine (Rac. pag. I-2239, punti 16 e 21).

(62) - Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 37), in cui la Corte, lo sottolineo, si è significativamente riferita in modo indistinto a tutte le libertà fondamentali garantite dal Trattato, con ciò evidenziando il carattere unitario, sotto il profilo che qui rileva, delle rispettive discipline.

(63) - Un tale approccio, inizialmente riconosciuto, con la sentenza "Cassis de Dijon", solo in materia di merci, è stato poi utilizzato anche rispetto alle altre libertà fondamentali garantite dal Trattato. In materia di servizi, il riconoscimento esplicito di tale approccio è avvenuto, in particolare, nelle sentenze 25 luglio 1991, causa C-288/89, Gouda e a. (Racc. pag. I-4007, punti 11-15), Commissione/Paesi Bassi (citata alla nota 56), punti 15-19, e Säger (citata alla nota 56), punto 15. Tenuto conto, tuttavia, che la Corte aveva considerato giustificate dall'interesse generale misure restrittive della libera prestazione dei servizi sin dalle prime pronunce in materia (v., ad esempio, sentenza 3 dicembre 1974, causa 33/74, Van Binsbergen, Racc. pag. 1299), è fin troppo evidente che le sentenze Gouda e a., Commissione/Paesi Bassi e Säger, lungi dall'innovare, si limitano a rendere esplicito l'approccio utilizzato e a fornirne una ricostruzione sistematica e teorica più completa.

(64) - Una tale posizione, peraltro, risulta oramai superata dalla stessa giurisprudenza. La Corte, infatti, considera discriminatorie, e dunque giustificabili solo in base a una delle deroghe di cui all'art. 56, anche quelle normative nazionali che prevedono regimi distinti in funzione dell'origine della prestazione (v., tra le altre, sentenza Bond van Adverteerders e a., citata alla nota 54, punti 26 e 29; sentenza 16 dicembre 1992, causa C-211/91, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-6757, punti 9-11; nonché sentenza Fedicine, citata alla nota 61, punto 14).

(65) - L'importazione in quanto tale, infatti, rimane assolutamente libera. Al riguardo v. supra, punto 37 e, in particolare, nota 48.

(66) - Una tale circostanza andrebbe invece presa in considerazione qualora si ritenesse che anche rispetto all'ipotesi Decker fosse rilevante il profilo relativo alla prestazione dei servizi. Sul punto v. supra, nota 52.

(67) - V., in questo senso, sentenza 1º luglio 1993, causa C-20/92, Hubbard (Racc. pag. I-3777, punti 14 e 15); e sentenza 15 marzo 1994, causa C-45/93, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-911, punti 9 e 10).

(68) - V. supra, nota 64.

(69) - Così, ad esempio, sentenza Van Binsbergen (citata alla nota 63), punto 14; nonché sentenza 26 novembre 1975, causa 39/75, Coenen (Racc. pag. 1547, punti 7/8 e 9/10).

(70) - V., in particolare, sentenza 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania, «assicurazioni» (Racc. pag. 3755, punti 52-57); nonché sentenza 6 giugno 1996, causa C-101/94, Commissione/Italia (Racc. pag. I-2691, punto 31).

(71) - V., da ultimo, sentenza 9 luglio 1997, causa C-222/95, Parodi (Racc. pag. I-0000), in cui la Corte ha ancora una volta sottolineato che il requisito dello stabilimento «ha come conseguenza di privare di ogni efficacia pratica l'art. 59 del Trattato, il cui scopo consiste per l'appunto nell'eliminare le restrizioni della libera prestazione dei servizi da parte di persone non stabilite nello Stato nel cui territorio dev'essere fornita la prestazione». Essa ha nondimeno aggiunto che «tale requisito può essere ammissibile (...) qualora sia provato che esso costituisce una condizione indispensabile per raggiungere lo scopo perseguito» (punto 31).

(72) - Sentenza 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann (Racc. pag. I-249). A tal fine, val la pena sottolinearlo, essa si è limitata a ricordare che «l'esigenza di uno stabilimento è (...) compatibile con l'art. 59 del Trattato se essa è una condizione indispensabile per il raggiungimento dell'obiettivo di interesse generale perseguito» (punto 32). Sembrerebbe, da tale affermazione, che, poiché in nome dell'interesse generale può essere giustificato finanche il divieto, imposto attraverso il requisito dello stabilimento, di esercitare determinate attività sul territorio dello Stato considerato, a fortiori dovrebbero poter essere giustificate normative che comportano alcuni svantaggi, o comunque non riconoscono determinati vantaggi, a coloro che scelgono di avvalersi di prestatori non stabiliti nello Stato in questione.

(73) - Sentenza Svensson e a. (citata alla nota 53), punto 15. Più precisamente, la Corte ha affermato che «la normativa considerata implica una discriminazione in ragione dello stabilimento» e che dunque «può giustificarsi solo con i motivi d'interesse generale menzionati nell'art. 56, n. 1, del Trattato, al quale l'art. 66 fa rinvio e tra i quali non figurano motivi di natura economica».

(74) - Idem, punti 16-18.

(75) - Relativamente al profilo in questione, va sottolineato che la sentenza Svensson e a. non costituisce il solo caso, né il primo, in cui la Corte ha preso in considerazione, al fine di pronunciarsi sulla compatibilità con l'art. 59 di una misura nazionale restrittiva della prestazione dei servizi, sia le esigenze contemplate dall'art. 56 che quelle connesse a motivi di interesse generale (v., ad esempio, sentenza Commissione/Italia, citata alla nota 70, punti 31 e 32).

(76) - Sul punto v., in particolare, sentenza 25 luglio 1991, cause riunite C-1/90 e C-176/90, Aragonesa de Publicidad e a. (Racc. pag. I-4151, punto 13).

(77) - Rilevo nondimeno che la giurisprudenza in materia ha finora interpretato la nozione di «salute pubblica» in senso restrittivo ed ha pertanto giustificato, in virtù di tale esigenza, unicamente quelle misure tese ad evitare rischi per la salute delle persone e degli animali.

(78) - V. le sentenze citate alla nota 61. Mi limito qui a ricordare che nella sentenza Duphar la Corte ha affermato con chiarezza che l'art. 36, in quanto contempla provvedimenti di natura non economica, non può comunque giustificare una misura nazionale che mira a «ridurre le spese di esercizio di un sistema previdenziale contro le malattie» (sentenza citata alla nota 9, punto 23).

(79) - Ricordo, in particolare, la direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE, intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli (GU L 165, pag. 1); nonché, tra quelle specifiche, le direttive del Consiglio 25 luglio 1978, 78/686/CEE e 78/687/CEE, riguardanti il reciproco riconoscimento dei diplomi ed il coordinamento delle disposizioni nazionali relative ai dentisti (GU L 233, pag. 1 e pag. 10). Ricordo poi le direttive del Consiglio 16 settembre 1985, 85/432/CEE e 85/433/CEE, relative al coordinamento delle disposizioni nazionali e al reciproco riconoscimento dei diplomi rispetto a talune attività del settore farmaceutico (GU L 253, pag. 34 e pag. 37). Infine, ricordo che la libera circolazione dei prodotti farmaceutici è assicurata a livello comunitario, tenendo ben conto della tutela della salute, dalla direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, 65/65/CEE (GU n. 22, pag. 369).

(80) - V. sentenza Schumacher (citata alla nota 6), punto 20; e sentenza Commissione/Germania (citata alla nota 6), punto 18.

(81) - Avendo lo stesso governo lussemburghese affermato che gli assicurati sono pur sempre liberi di fruire di cure mediche in un altro Stato membro, resterebbe peraltro da chiedersi perché le indicate preoccupazioni di tutela della salute vengono meno nell'ipotesi in cui non è richiesto alcun rimborso.

(82) - In questo senso v. sentenza Gouda e a. (citata alla nota 63), punto 11. V. inoltre, da ultimo, sentenza 5 giugno 1997, causa C-398/95, Syndesmos ton en Elladi Touristikon kai Taxidiotikon Grafeion (Racc. pag. I-0000, punto 23), in cui la Corte ha affermato che «il mantenimento della pace sociale in quanto strumento per porre termine ad un conflitto collettivo ed evitare in tal modo che un settore economico, e quindi l'economia del paese, ne subisca le conseguenze negative dev'essere considerato come un obiettivo di natura economica che non può costituire un motivo di interesse pubblico che giustifichi una restrizione ad una libertà fondamentale garantita dal Trattato».

(83) - In tale ottica, ricordo, ad esempio, che nella sentenza 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-1039), la Corte ha affermato che «non è privo d'interesse il rilievo, pur non potendo essere considerato di per sé una giustificazione oggettiva, che le lotterie possono essere un mezzo di finanziamento rilevante per le attività di beneficenza o di interesse generale come le opere sociali, le opere caritatevoli, lo sport o la cultura» (punto 60; il corsivo è mio). Ed ancora, ricordo che nella sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punti 106 e 107), la Corte ha qualificato come obiettivo legittimo quello consistente nel mantenimento dell'equilibrio finanziario e sportivo tra società di calcio, in quanto diretto a preservare una certa parità di possibilità e l'incertezza dei risultati.

(84) - In questo senso, ad esempio, può essere interpretato il riconoscimento della coerenza del sistema fiscale, obiettivo di indubbia valenza economica, come motivo di interesse generale (sentenza Bachmann, citata alla nota 72, punti 21-28).

(85) - V., da ultimo, sentenza 19 ottobre 1995, causa C-137/94, Richardson (Racc. pag. I-3407, punti 18-29).

(86) - V., da ultimo, sentenza 25 febbraio 1992, causa T-41/90, Barassi/Commissione (Racc. pag. II-159, punti 32-35).

(87) - Per un quadro delle diversità attualmente esistenti, v. Le Grand, La asistencia sanitaria y la construcción del mercado único: perspectiva y problemática, in Los sistemas de seguridad social y el mercado único europeo, cit., pag. 321 ss. V. inoltre, relativamente ai problemi concernenti, più in generale, il finanziamento della protezione sociale, Euzeby, Le financement de la protection sociale dans les pays de la CEE: problèmes et perspectives, in Quel avenir pour l'Europe sociale: 1992 et après?, Bruxelles 1990, pag. 133 ss.; nonché, dello stesso autore, Financement de la protection sociale, efficacité économique et justice sociale, in Revue du Marché commun et de l'Union européenne, 1997, pag. 253 ss.

(88) - Una tale soluzione, lo preciso, si applicherebbe solo in materia di servizi. Avendo sostenuto che la misura controversa sarebbe discriminatoria quando viene in rilievo rispetto alle norme sulle merci, la Commissione ha infatti e conseguenzialmente ritenuto che la misura in questione non fosse giustificabile in base ai motivi di tutela della salute di cui all'art. 36 del Trattato.

(89) - Pur non condividendola (v. supra, punto 31 e nota 36), ritengo più corretta la tesi sostenuta da Mavridis, Le citoyen européen peut-il se faire soigner dans l'État de son choix?, in Droit social, 1996, pag. 1086 ss., secondo cui sarebbe invece lo stesso art. 22, quale interpretato dalla Corte nelle sentenze Pierik I e II (citate rispettivamente alla nota 30 e alla nota 31), ad esigere che l'autorizzazione debba essere concessa per tutte le cure suscettibili di assicurare un trattamento efficace della malattia da cui l'interessato è colpito.

(90) - Invero, la sola incidenza che riesco a intravedere è che ci sarà un ottico stabilito in Lussemburgo che avrà venduto un paio di occhiali in meno e l'unico ortodontotecnico stabilito nello stesso Stato che avrà avuto una paziente in meno. Sono dunque i singoli professionisti a subire un effetto negativo e non il sistema in quanto tale.

(91) - Con ciò, beninteso, non intendo affatto associarmi alla tesi di alcuni Stati membri secondo cui, ove si ammettesse la libertà di scegliere il medico e l'ospedale, vi sarebbe un flusso incontrollato ed incontrollabile di malati da uno Stato membro all'altro. Resta, infatti, che uno spostamento in uno Stato diverso da quello di residenza comporta notevoli disagi, spesso anche dal punto di vista linguistico, nonché costi supplementari, se non altro per le persone che accompagnano il malato in questione.

(92) - Sul punto, osservo nondimeno che ci sarebbe da chiedersi se ed in che misura la situazione sia diversa, ai fini del mantenimento di un servizio ospedaliero accessibile a tutti, rispetto a quegli Stati membri in cui l'ente previdenziale competente provvede a un rimborso, sia pure forfettario e parziale, delle prestazioni di cui gli assicurati scelgono di beneficiare in cliniche private.