CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

F.G. JACOBS

presentate il 20 giugno 1996 ( *1 )

1. 

Nel presente procedimento la Corte deve esaminare un ricorso contro la sentenza pronunciata dal Tribunale di primo grado nella causa T-5/93, Roger Tremblay e a./Commissione ( 1 ). La causa verte sulla decisione della Commissione di archiviare una serie di denunce presentate contro la Société des auteurs, compositeurs et éditeurs de musique (SACEM), cioè la società che gestisce in Francia i diritti d'autore in materia musicale.

2. 

Il presente ricorso riguarda, in sostanza, l'asserita interpretazione errata del principio denominato (forse con qualche confusione) della sussidiarietà, intendendosi in questo contesto che il Tribunale di primo grado avrebbe erroneamente confermato (in parte) la decisione della Commissione di archiviare le denunce in base al motivo addotto dalla Commissione stessa, cioè che le autorità nazionali erano nella posizione migliore per esaminare le denunce di cui trattasi.

Fatti

3.

Le prime denunce sono state presentate alla Commissione sin dal 1979. Tra il 1979 e il 1988 la Commissione ha ricevuto numerose domande di accertamento, ai sensi dell'art. 3, n. 2, del regolamento del Consiglio n. 17 (primo regolamento d'applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato) ( 2 ), di infrazioni degli artt. 85 e 86 del Trattato CEE da parte della SACEM. Le domande provenivano da associazioni di gestori di discoteche, tra cui il Bureau européen des médias de l'industrie musicale, nonché da gestori singoli, fra cui i tre ricorrenti nella causa T-5/93, ossia Roger Tremblay, François Lucazeau e Harry Kestenberg.

4.

Le denunce presentate alla Commissione contenevano in sostanza le seguenti censure:

1)

le società di gestione dei diritti d'autore dei diversi Stati membri si spartirebbero il mercato tramite contratti di rappresentanza reciproca, in forza dei quali sarebbe vietato alle società di gestione di trattare direttamente con gli utenti stabiliti nel territorio di un altro Stato membro;

2)

l'aliquota dei diritti, applicata dalla SACEM, pari all'8,25% del volume d'affari, sarebbe eccessiva rispetto all'aliquota dei diritti versati dalle discoteche negli altri Stati membri e tali diritti non verrebbero utilizzati per la remunerazione delle società di gestione rappresentate (in particolare delle società estere), ma andrebbero ad esclusivo vantaggio della SACEM, che verserebbe poi importi irrisori ai suoi rappresentati;

3)

la SACEM negherebbe l'accesso al solo repertorio straniero, esigendo dagli utenti l'acquisto di tutto il repertorio della società, sia francese sia straniero;

4)

la SACEM applicherebbe le aliquote dei diritti in modo discriminatorio, favorendo le discoteche iscritte a determinati sindacati.

5.

L'istruzione avviata dalla Commissione sul comportamento della SACEM veniva sospesa in attesa dell'esito delle domande di pronuncia pregiudiziale sottoposte alla Corte di giustizia, tra il dicembre 1987 e l'agosto 1988, dalla Cour d'appel di Aix-en-Provence nonché dalla Cour d'appel e dal Tribunal de grande instance di Poitiers nella causa 395/87, Tournier ( 3 ) e, rispettivamente, nelle cause riunite 110/88, 241/88 e 242/88, Lucazeau e a. ( 4 ). Le questioni poste miravano essenzialmente a stabilire se il comportamento contestato nelle denunce configurasse una violazione degli artt. 85 e/o 86. Nelle sentenze pronunciate per entrambe le cause il 13 luglio 1989, la Corte ha così risposto:

«L'art. 85 del Trattato CEE va interpretato nel senso che vieta ogni pratica concordata tra società nazionali di gestione di diritti d'autore degli Stati membri che abbia per oggetto o per effetto il rifiuto, da parte di ciascuna società, dell'accesso diretto al suo repertorio nei confronti degli utilizzatori stabiliti in un altro Stato membro. Spetta ai giudici nazionali determinare se sia effettivamente intervenuta una concertazione a tal fine tra dette società di gestione.

L'art. 86 del Trattato deve essere interpretato nel senso che una società nazionale di gestione di diritti d'autore che occupa una posizione dominante su una parte sostanziale del mercato comune impone condizioni di transazione non eque qualora i compensi da essa applicati alle discoteche siano sensibilmente più elevati di quelli praticati negli altri Stati membri, purché il raffronto fra i livelli delle tariffe sia stato effettuato su base omogenea. Diverso sarebbe il caso se la società di diritti d'autore di cui trattasi fosse in grado di giustificare una differenza del genere fondandosi su diversità obiettive e pertinenti tra la gestione dei diritti d'autore nello Stato membro interessato e negli altri Stati membri».

Nella sentenza Tournier, la Corte ha altresì dichiarato che:

«Il fatto che una società nazionale di gestione di diritti d'autore in materia musicale rifiuti l'accesso degli utilizzatori di musica registrata al solo repertorio straniero da essa rappresentato ha per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza sul mercato comune solo se l'accesso ad una parte del repertorio tutelato possa interamente salvaguardare gli interessi degli autori, compositori ed editori di musica, senza tuttavia aumentare le spese della gestione dei contratti e della sorveglianza sull'utilizzazione delle opere musicali tutelate».

6.

Dopo la pronuncia di quelle sentenze, la Commissione riprendeva le indagini sulle pratiche della SACEM, soprattutto a seguito di domande di assistenza provenienti dai giudici e dalle autorità francesi. Benché la Corte avesse stabilito che spettava alle autorità e ai giudici nazionali decidere se le tariffe applicate dalla SACEM fossero notevolmente più elevate di quelle applicate in altri Stati membri, la Commissione ha ritenuto che essi avrebbero incontrato difficoltà nell'effettuare direttamente un tale raffronto in quanto non potevano svolgere indagini all'estero. I risultati dell'istruzione condotta dalla Commissione sono stati riuniti in una relazione datata 7 novembre 1991. La relazione aveva ad oggetto il raffronto delle aliquote dei diritti nei diversi Stati membri e la presunta discriminazione a favore delle discoteche iscritte a determinati sindacati.

7.

Tuttavia, dopo aver completato la relazione, la Commissione decideva di applicare l'art. 6 del regolamento della Commissione 25 luglio 1963, n. 99/63/CEE, relativo alle audizioni previste all'articolo 19, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 17 del Consiglio ( 5 ). L'art. 6 così dispone: «Se la Commissione ritiene che gli elementi di cui dispone non consentono di accogliere una domanda presentata a norma dell'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 17, ne indica i motivi ai richiedenti e fissa loro un termine per la presentazione di eventuali osservazioni scritte». Con lettera 20 gennaio 1992 la Commissione comunicava al Bureau europeen des médias de l'industrie musicale (in prosieguo: il «BEMIM»), ai sensi dell'art. 6, che non intendeva accogliere la sua domanda, invitandolo a presentare le sue osservazioni prima dell'adozione di una decisione definitiva. (La Commissione ha ritenuto che i ricorrenti nella causa T-5/93 fossero venuti a conoscenza di tale lettera, sia in qualità di membri del BEMIM sia per il tramite del loro legale, che rappresentava anche il BEMIM, e che non fosse pertanto necessario inviar loro comunicazioni individuali). La Commissione, dopo aver valutato le osservazioni presentate in risposta alla sua lettera, inviava ai legali, che rappresentavano il BEMIM e le discoteche, un'ulteriore lettera (datata 12 novembre 1992) informandoli del rigetto definitivo delle loro denunce. In risposta ad una richiesta di chiarimenti sulla portata di tale rigetto, la Commissione inviava una terza lettera (in data 17 dicembre 1992) agli stessi legali, in cui confermava che intendeva lasciare ai giudici nazionali il compito di esaminare le denunce che le erano state presentate, sia in ordine al livello delle tariffe sia in ordine all'asserita discriminazione fra discoteche. Il tenore letterale delle prime due lettere verrà esaminato più dettagliatamente qui di seguito, poiché la parte centrale del motivo addotto, in via primaria, dai ricorrenti a sostegno della loro impugnazione riguarda l'errata interpretazione da parte del Tribunale delle ragioni in base alle quali la Commissione è giunta alla sua decisione.

8.

Nella lettera 20 gennaio 1992, la Commissione affermava di aver approfondito al massimo il raffronto delle tariffe, considerate le sue risorse, rilevando inoltre che una prosecuzione dell'istruzione a livello regionale o locale avrebbe richiesto notevoli risorse amministrative senza alcuna certezza di giungere ad un risultato che giustifichi l'impegno necessario. In quella stessa lettera, la Commissione dichiarava altresì che l'istruzione svolta non aveva consentito di accertare la sussistenza delle condizioni per l'applicazione dell'art. 86 per quanto riguarda il livello delle tariffe praticate dalla SACEM in quel periodo. Per questa ragione, e in particolare per il fatto che gli effetti della violazione lamentata si riscontravano essenzialmente all'interno di uno Stato membro, o addirittura soltanto in una parte di quello Stato, l'interesse comunitario imponeva, a suo parere, che tale questione non fosse affrontata dalla Commissione ma, se del caso, dalle autorità francesi, in conformità dei principi di sussidiarietà e decentralizzazione.

9.

Nell'ultima pagina della lettera, sotto il titolo «Conclusioni», la Commissione dichiarava, ai sensi dell'art. 6 del regolamento della Commissione n. 99/63, che non poteva dare un esito favorevole alla denuncia, tenuto conto dei principi di sussidiarietà e decentralizzazione e del fatto che, essendo le pratiche contestate di natura essenzialmente nazionale, non vi era alcun interesse comunitario insito nella questione che era già stata sottoposta all'esame di vari giudici nazionali.

10.

Nella seconda lettera la Commissione chiariva che non intendeva proseguire nell'istruzione delle denunce per le ragioni già esposte nella lettera 20 gennaio 1992 e non si proponeva in quella sede di reiterare tali ragioni, ma semplicemente di rispondere ad alcuni punti sollevati dai ricorrenti nelle loro osservazioni. In sintesi, la Commissione ha affermato quanto segue:

1)

Le osservazioni dei denuncianti non avevano modificato la sua conclusione secondo cui il baricentro della violazione lamentata si trovava in Francia e gli effetti della stessa in altri Stati membri non potevano che essere molto limitati; di conseguenza, il caso non rivestiva alcuna rilevanza particolare per il funzionamento del mercato comune e l'interesse comunitario imponeva che le denunce fossero esaminate dalle autorità e dai giudici nazionali anziché dalla Commissione. Essa ha richiamato al riguardo la sentenza pronunciata dal Tribunale il 18 settembre 1992 (vale a dire successivamente alla sua prima lettera) nella causa Automec/Commissione ( 6 ) (in prosieguo: l'«Automec II»).

2)

La sentenza del Tribunale nella causa Automec II stabiliva, al punto 88, che la Commissione può respingere una denuncia a motivo del fatto che sono già stati aditi i giudici nazionali.

3)

L'applicazione del principio di «sussidiarietà» non implica l'abbandono di qualsiasi azione pubblica, ma si tratta invece di stabilire chi, fra la Commissione e l'autorità nazionale competente in materia di concorrenza, possa valutare al meglio il caso. Poiché il baricentro delle violazioni contestate era in Francia ed esisteva un'autorità nazionale in materia di concorrenza che disponeva, a seguito del lavoro della Commissione, delle informazioni necessarie per effettuare il raffronto richiesto dalla Corte, spettava all'autorità nazionale portare avanti tale esame se necessario. Per di più, numerosi giudici francesi erano già stati aditi e solo i giudici nazionali erano competenti a condannare al risarcimento dei danni. Si trattava quindi di un classico caso di applicazione del principio di sussidiarietà, che non andava interpretato alla stregua di un inadempimento da parte delle autorità comunitarie, ma come un semplice trasferimento di competenze a livello nazionale.

4)

L'uso della relazione della Commissione non era limitato dall'obbligo di riservatezza imposto dall'art. 20 del regolamento n. 17, poiché la relazione non riguardava il livello delle tariffe in vigore, comunque già di dominio pubblico, bensì il raffronto del risultato pratico dell'applicazione delle dette tariffe a cinque tipi di discoteche.

5)

I giudici nazionali non erano vincolati dalle valutazioni giuridiche della Comunità o delle autorità amministrative nazionali.

6)

La Commissione non era tenuta ad accertare se eventuali infrazioni alle norme sulla concorrenza si fossero verificate nel passato quando lo scopo principale di un siffatto esame era quello di agevolare la concessione del risarcimento dei danni.

7)

Il raffronto compiuto dalla Commissione era sufficiente per stabilire se i diritti imposti dalla SACEM costituivano condizioni di transazione non eque ai sensi delle sentenze pronunciate dalla Corte.

11.

Negli ultimi due paragrafi della sua seconda lettera la Commissione ha infine dichiarato che:

1)

per quanto riguarda la censura relativa all'accordo o alla pratica concertata tra la SACEM e le società operanti in altri Stati membri, essa non aveva individuato alcun serio indizio circa l'esistenza di un'intesa o di una pratica siffatta la quale, anche qualora venisse riscontrata, non sembrava aver avuto alcun effetto preciso sui livelli delle tariffe; in ogni caso la Commissione era pronta ad esaminare qualsiasi elemento probatorio formale sull'esistenza e sugli effetti dell'intesa denunciata;

2)

per quanto riguarda l'esistenza di un accordo tra la SACEM ed alcuni sindacati di gestori di discoteche, gli effetti di un accordo del genere potevano esplicarsi unicamente all'interno della Francia, a vantaggio di alcune discoteche e a scapito di altre; tenuto conto dei principi di cooperazione e di ripartizione dei compiti tra la Commissione e gli Stati membri, spettava alle autorità nazionali statuire al riguardo, soprattutto in considerazione del fatto che, benché la Commissione e le autorità nazionali fossero entrambe competenti per l'applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza, solo le autorità nazionali potevano concedere il risarcimento dei danni; inoltre, il giudizio della Commissione sull'accordo non poteva comunque vincolare i giudici nazionali.

La sentenza del Tribunale di primo grado

12.

Con sentenza 24 gennaio 1995 ( 7 ), il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione nella parte in cui respinge la censura dei ricorrenti relativa alla compartimentazione del mercato risultante dall'esistenza di un'asserita intesa tra la SACEM e le società di gestione di diritti d'autore degli altri Stati membri. Esso ha però respinto il ricorso per il resto, confermando così quella parte della decisione in cui la Commissione ha considerato di non dover proseguire l'istruzione in merito agli accordi tra la SACEM ed i gestori di discoteche ai quali la SACEM impone diritti in relazione alle opere musicali dei suoi membri.

Punti preliminari

13.

Prima di esaminare nel merito i motivi del ricorso proposto dinanzi alla Corte, vanno considerate due questioni preliminari sollevate dalla Commissione circa la ricevibilità del ricorso.

Natura delL domanda

14.

I ricorrenti chiedono alla Corte di annullare la sentenza del Tribunale in quanto respinge la domanda diretta all'annullamento della decisione della Commissione nella parte in cui essa considera di dover interrompere l'istruzione riguardante gli accordi tra la SACEM ed i gestori di discoteche, nonché di annullare direttamente, in conformità dell'art. 54 dello Statuto della Corte, tale parte della decisione della Commissione. Tuttavia, essi chiedono anche alla Corte di dichiarare che la Commissione deve riaprire il procedimento e inviare una comunicazione degli addebiti alla SACEM. La Commissione obietta giustamente che non è ricevibile una domanda di questa natura. Secondo una giurisprudenza consolidata, non spetta al giudice comunitario rivolgere ingiunzioni alle istituzioni ma, ai sensi dell'art. 176 del Trattato, incombe all'istituzione interessata prendere le misure che comporta l'esecuzione di una sentenza pronunciata nell'ambito di un ricorso di annullamento ( 8 ).

Vizi procedurali eccepiti dalla Commissione

15.

La Commissione rileva due vizi procedurali nell'atto di impugnazione:

1)

non appare l'indicazione delle altre parti del procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale, contrariamente a quanto previsto nell'art. 112, n. 1, lett. b), del regolamento di procedura e

2)

non viene fatta menzione della data in cui la sentenza impugnata è stata notificata ai ricorrenti, contrariamente a quanto previsto dall'art. 112, n. 2, del medesimo regolamento.

16.

Tuttavia, questi vizi non sono sufficienti per determinare l'irricevibilità del ricorso: non risulta in alcun modo che le altre parti del procedimento dinanzi al Tribunale abbiano subito un pregiudizio derivante dall'omissione dei loro nomi ed il ricorso sarebbe stato proposto tempestivamente anche nell'ipotesi in cui il termine dovesse decorrere dalla data della sentenza.

Motivi di ricorso

17.

Passiamo ora all'esame dei vari motivi di ricorso.

18.

Intendo cominciare dal punto che costituisce a mio parere, come ho già indicato, l'elemento centrale del ricorso: si può ritenere che la Commissione abbia sbagliato lasciando il caso alla valutazione dei giudici nazionali o, più precisamente, che abbia sbagliato il Tribunale nei limiti in cui ha confermato tale decisione? Tale questione è stata sollevata dai ricorrenti in diversi contesti, ma è opportuno esaminare i vari argomenti congiuntamente. I ricorrenti sostengono, in primo luogo, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto omettendo di esaminare il richiamo della Commissione al principio della sussidiarietà. In secondo luogo, essi contestano in base a diversi motivi l'esame compiuto dal Tribunale sul merito della decisione della Commissione. Un terzo gruppo di argomenti muove dal presupposto che la Corte annulli la sentenza del Tribunale e decida di statuire essa stessa definitivamente sulla controversia, ai sensi dell'art. 54 dello Statuto: in quest'ottica i ricorrenti affermano, allegando diversi argomenti, che la decisione della Commissione era basata su un'errata applicazione del principio della sussidiarietà. A rigor di termini, gli argomenti formulati nell'ultima parte del ricorso sono da considerarsi irricevibili, come intendo precisare qui di seguito, ma poiché non è facile sbrogliare dal complesso degli argomenti quelli riguardanti la «sussidiarietà», non farò alcuna distinzione al riguardo nell'esame del presente motivo.

19.

Prima di esaminare singolarmente ciascuno dei diversi argomenti, si impongono a mio parere alcune considerazioni preliminari. Le rispettive funzioni della Commissione, da una parte, e delle autorità nazionali, dall'altra, nell'applicazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza hanno fatto emergere problemi che sono stati ampiamente dibattuti negli ultimi tempi. Una recente pubblicazione offre una valida sintesi del contesto in cui è sorta tale questione: ( 9 )

«La Commissione è l'autorità incaricata di delineare la politica comunitaria in materia di concorrenza, compito questo che va eseguito nell'interesse pubblico. Per ragioni storiche, la Commissione è stata altresì la principale autorità di controllo dell'osservanza degli artt. 85 e 86 del Trattato CE all'interno della Comunità europea.

Nei primi anni di vita delle Comunità europee, vi era la tendenza a centralizzare l'applicazione delle norme sulla concorrenza nelle mani della Commissione. In linea di massima, si considerava che l'applicazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza rappresentava un compito spettante in via primaria alla Commissione, benché, giuridicamente, tale normativa fosse applicabile anche dalle autorità giudiziarie nazionali nonché dalle autorità nazionali competenti per le questioni di concorrenza. La Commissione ha avuto difficoltà a far riconoscere i suoi poteri negli Stati membri e gli Stati membri non disponevano degli strumenti adeguati per assicurare l'applicazione degli artt. 85 e 86; essa ha quindi accettato di buon grado questa situazione di quasi monopolio di fatto nell'applicazione della politica della concorrenza. Tale circostanza le ha peraltro consentito di creare un complesso omogeneo di precedenti a sostegno delle sue decisioni e della sua prassi amministrativa, sottoposte al sindacato della Corte di giustizia e, più di recente, del Tribunale di primo grado.

Col passare del tempo, la posizione della Commissione e degli Stati membri ha subito un'evoluzione. Il ruolo della Commissione come forza motrice della politica comunitaria in materia di concorrenza è ora indiscutibilmente riconosciuto e gli Stati membri appaiono complessivamente più preparati ad applicare sia la propria normativa in materia di concorrenza sia quella comunitaria. Questa evoluzione è destinata ad agevolare, per il futuro, una chiara definizione dei rispettivi ruoli dell'amministrazione comunitaria e delle autorità nazionali in questo settore del diritto comunitario.

Il dibattito sul tema della sussidiarietà ha accelerato la tendenza esistente a favore di una revisione della prassi amministrativa della Commissione, per garantire una partecipazione più attiva delle autorità giudiziarie e di altra natura a livello nazionale nel controllo dell'osservanza degli artt. 85 e 86 del Trattato da parte delle imprese».

20.

Andrebbe forse fatta una distinzione tra la nozione di «sussidiarietà», utilizzata nell'ambito di questo dibattito, ed il principio della sussidiarietà di cui all'art. 3 B del Trattato. Comunque, laddove il diritto comunitario della concorrenza viene applicato da autorità nazionali, non si tratta ovviamente di sussidiarietà, nel senso che le autorità nazionali applicano il diritto nazionale. Sarebbe più corretto parlare di decentralizzazione anziché di sussidiarietà: il principio è quello dell'applicazione decentralizzata del diritto comunitario, ad opera delle autorità nazionali anziché della Commissione. Nella pratica, tuttavia, la distinzione può apparire meno chiara, poiché le autorità nazionali potrebbero applicare sia il diritto comunitario della concorrenza sia quello nazionale.

21.

Si tratta quindi di stabilire quali condizioni debbano ricorrere perché la Commissione possa decidere di non proseguire nell'istruzione di una denuncia quando il denunciante è titolare di un interesse legittimo, ma la Commissione ritiene che non sussista un sufficiente interesse comunitario.

22.

Nella sentenza «Automec II», il Tribunale ha dichiarato che la Commissione poteva legittimamente decidere di non istruire una denuncia per mancanza di interesse comunitario ( 10 ). Sotto questo profilo, la Commissione si distingue da un giudice civile, cui è affidata la tutela dei diritti soggettivi dei soggetti privati nei loro rapporti reciproci. Il Tribunale considera, tuttavia, che la Commissione non può limitarsi ad un riferimento astratto all'interesse comunitario, ma è tenuta ad indicare le considerazioni di diritto e di fatto in base alle quali ha ritenuto che non sussistesse un sufficiente interesse comunitario, in conformità dell'art. 190 del Trattato. Inoltre, la Commissione deve valutare la portata della tutela che i giudici nazionali possono garantire ai diritti conferiti al denunciante dal Trattato ( 11 ).

23.

La Commissione può adottare un provvedimento di archiviazione di una denuncia per mancanza di interesse comunitario non soltanto prima di aver avviato l'istruzione della pratica, ma anche dopo aver adottato provvedimenti di istruzione, qualora concluda in tal senso in quella fase del procedimento ( 12 ).

24.

In seguito alla pronuncia della sentenza Automec II, la Commissione ha chiarito la propria posizione nella «Comunicazione relativa alla cooperazione tra i giudici nazionali e la Commissione nell'applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato CEE» ( 13 ).

25.

La Corte di giustizia, dal suo canto, ha dichiarato che anche se la Commissione «non è tenuta ad adottare una decisione che accerti un'infrazione alle norme di concorrenza né a istruire una denuncia ricevuta a norma del regolamento n. 17, è tuttavia tenuta a esaminare con attenzione i motivi di fatto e di diritto sollevati dal denunciante per verificare la sussistenza di un comportamento anticoncorrenziale. Inoltre, in caso di archiviazione della pratica, la Commissione è tenuta a motivare la propria decisione per consentire al Tribunale di verificare se essa abbia commesso errori di fatto o di diritto o un eventuale sviamento di potere» ( 14 ).

26.

Alla luce delle considerazioni che precedono, esaminerò ora gli argomenti allegati dai ricorrenti in ordine alla «sussidiarietà».

Sulla censura secondo cui il Tribunale di primo grado avrebbe commesso un errore di diritto omettendo di esaminare il richiamo della Commissione alla sussidiarietà

27.

I ricorrenti sostengono che il Tribunale, non prendendo in considerazione la sussidiarietà come fondamento del ragionamento svolto dalla Commissione, ha compiuto un'interpretazione errata della motivazione della decisione della Commissione. Il Tribunale ha rilevato che «dai punti 6-8 della decisione controversa risulta che la Commissione ha fondato il rigetto delle denunce dei ricorrenti non sul principio di sussidiarietà, bensì unicamente sulla mancanza di un sufficiente interesse comunitario». I ricorrenti ritengono tuttavia che la sussidiarietà sia stata uno degli elementi sui quali la Commissione ha fondato il proprio ragionamento e che tale principio sia stato da quest'ultima erroneamente applicato.

28.

La Commissione sostiene di aver basato la decisione di rigetto delle denunce unicamente sulla mancanza di un sufficiente interesse comunitario. Essa aggiunge di aver considerato che tale mancanza di interesse comunitario risultava sia dall'impatto essenzialmente nazionale delle violazioni denunciate sia dal fatto che erano già stati aditi vari giudici francesi nonché l'autorità competente in Francia in materia di concorrenza. La Commissione afferma che, pur non avendo spiegato nelle sue lettere che cosa intendesse esattamente con il termine «sussidiarietà», tale significato era stato ampiamente chiarito nella sua XXII Relazione sulla politica di concorrenza, 1992. In tale relazione essa ha chiarito che, esprimendosi a favore della sussidiarietà, intendeva soltanto che le sembrava opportuno lasciare all'esame delle autorità nazionali i casi in cui le conseguenze sono essenzialmente nazionali. La Commissione sostiene che il suo richiamo alla sussidiarietà nel caso in esame non era riferito all'applicazione di un principio di diritto generale e autonomo vincolante per le autorità comunitarie.

29.

È vero che la Commissione ha richiamato la «sussidiarietà» in due lettere: nelle conclusioni della sua lettera del 20 gennaio 1992 (v. supra, paragrafi 8 e 9) e nella sua lettera datata 12 novembre 1992, nella quale ha ribadito quelle conclusioni, aggiungendo le ulteriori osservazioni sulla sussidiarietà riportate sopra al paragrafo 10 (punto 3) ( 15 ). Tuttavia, a mio parere risulta chiaramente dai brani delle lettere della Commissione sopra citati che essa non si era fondata sulla sussidiarietà come motivo autonomo per l'archiviazione delle denunce. Essa ha utilizzato tale termine soltanto per esprime il concetto che la denuncia sarebbe stata più adeguatamente esaminata dalle autorità nazionali. Come vedremo in seguito, questo è uno degli elementi da prendere in considerazione per valutare l'interesse comunitario. Ne consegue che il Tribunale non ha commesso un errore di diritto omettendo di esaminare separatamente tale punto.

30.

I ricorrenti affermano altresì che il Tribunale avrebbe «snaturato» la decisione della Commissione, tralasciando il riferimento alla sussidiarietà, e che questa circostanza avrebbe comportato una violazione dei loro diritti di difesa in quanto non è stato accertato se fosse o meno appropriata l'applicazione del principio della sussidiarietà. Tuttavia, poiché ritengo che il Tribunale non abbia commesso un errore accantonando il riferimento alla sussidiarietà, concludo conseguentemente che non vi è stata alcuna violazione dei diritti della difesa dei ricorrenti.

L'interesse comunitario e la questione dei gradi di priorità

31.

I ricorrenti sostengo che, in forza della sentenza Automec II ( 16 ), la Commissione può tener conto dell'interesse comunitario insito in una determinata denuncia soltanto al fine di determinare il grado di priorità da assegnare alla denuncia e non per giustificare una decisione di archiviazione della denuncia stessa. Al punto 60 della sentenza pronunciata dal Tribunale nella causa in esame, questa tesi è stata respinta. L'analisi del Tribunale è conforme alla sentenza Automec II richiamata dai ricorrenti. Benché in tale causa il Tribunale avesse fatto riferimento alle «priorità», la sentenza pronunciata riguardava il rigetto di una denuncia da parte della Commissione. Al punto 76 di quella sentenza, il Tribunale ha infatti dichiarato che, atteso che la Commissione non è obbligata a pronunciarsi sull'esistenza di un'infrazione ( 17 ), essa non può essere costretta a condurre un'istruttoria. Il riferimento a determinate «priorità» nella sentenza può e deve essere inteso nel senso che la Commissione può legittimamente decidere di dar seguito ad alcune denunce e non ad altre.

32.

È necessario però che siano adeguatamente tutelati i diritti del denunciante e l'interesse comunitario. Nella sentenza Automec II, il Tribunale ha rilevato che, benché la Commissione non possa essere obbligata ad effettuare un'istruttoria, le garanzie di carattere procedurale previste all'art. 3 del regolamento n. 17 e all'art. 6 del regolamento n. 99/63 le impongono di esaminare attentamente gli elementi di fatto e di diritto sottoposti alla sua attenzione al fine di accertare se tali elementi non rivelino un comportamento atto a falsare il gioco della concorrenza nell'ambito del mercato comune ed a pregiudicare il commercio fra gli Stati membri ( 18 ). Esso ha altresì sottolineato che la comunicazione conclusiva della Commissione, in cui dispone l'archiviazione della pratica, dev'essere sufficientemente motivata ( 19 ). Il Tribunale ha inoltre dichiarato di poter sindacare il ragionamento svolto dalla Commissione nel valutare l'interesse comunitario all'archiviazione di una pratica ( 20 ). Esistono quindi sufficienti garanzie per assicurarsi che l'esame delle denunce venga effettuato dalla Commissione in modo approfondito. Ritengo pertanto che il Tribunale non abbia commesso un errore concludendo che, poiché la Commissione non è tenuta, in via di principio, a pronunciarsi sull'esistenza di un'infrazione, essa può, in determinate circostanze e dopo aver attentamente esaminato le informazioni in suo possesso, decidere di non istruire una denuncia.

Valutazione delle conseguenze a livello unicamente nazionale delle pratiche in esame

33.

I ricorrenti fanno valere che la Commissione ha commesso un errore concludendo che le pratiche denunciate per violazione dell'art. 86 esplicano conseguenze soltanto a livello nazionale. Questa conclusione è stata accolta dal Tribunale di primo grado. Tuttavia, poiché la questione volta ad accertare se le conseguenze delle pratiche denunciate rimangano a livello essenzialmente nazionale costituisce una questione di fatto, un ricorso fondato su tale motivo dev'essere dichiarato irricevibile.

Gli elementi che la Commissione deve prendere in considerazione per decidere se dar seguito ad una denuncia

34.

Gli altri argomenti allegati dai ricorrenti riguardano gli elementi da prendere in considerazione per stabilire se sussista un interesse comunitario a che la Commissione istruisca una denuncia. Si tratta di questioni di diritto ricevibili e la sentenza pronunciata dal Tribunale nella causa Automec II fornisce chiarimenti preziosi ( 21 ). In quella sentenza il Tribunale ha stabilito che, al fine di valutare l'interesse comunitario a procedere all'esame di una questione, la Commissione deve tener conto delle circostanze del caso di specie e, segnatamente, degli elementi di fatto e di diritto esposti nella denuncia presentatale; essa deve, in particolare, mettere a confronto la rilevanza dell'asserita infrazione per il funzionamento del mercato comune, la probabilità di poterne accertare l'esistenza e la portata delle misure istruttorie necessarie al fine di adempiere il proprio compito di vigilanza sul rispetto degli artt. 85 e 86 ( 22 ).

35.

Nella causa in esame, il Tribunale ha rilevato che «quando le conseguenze delle infrazioni denunciate si esplicano essenzialmente solo sul territorio di uno Stato membro e sono stati aditi i giudici e le autorità amministrative competenti del detto Stato membro nell'ambito di controversie tra il denunciante e l'ente denunciato, la Commissione ha il diritto di respingere la denuncia per mancanza di interesse comunitario sufficiente alla prosecuzione della pratica, purché tuttavia i diritti del denunciante possano essere salvaguardati in modo soddisfacente, in particolare dai giudici nazionali» ( 23 ).

36.

I ricorrenti sostengono invece che la Commissione si trovava in una posizione migliore rispetto ai giudici nazionali per esaminare la questione. Essi evidenziano il rischio di confusione a livello dei giudici nazionali e l'esigenza di certezza del diritto. I ricorrenti affermano inoltre che la Commissione ha sbagliato nel richiamare la sentenza Automec II in relazione alla sua decisione di archiviare le loro denunce, poiché, a differenza di quanto avviene nel caso di specie, un unico procedimento era stato avviato dinanzi ad un giudice nazionale in ordine ai fatti della causa Automec IL

37.

Dobbiamo quindi valutare se il Tribunale di primo grado abbia commesso un errore di diritto come gli è stato contestato nell'ambito dei motivi sopra esposti.

38.

Al punto 59 della sua sentenza, il Tribunale ha sottolineato che i ricorrenti non avevano diritto ad una decisione definitiva della Commissione. Esso ha osservato che, secondo una giurisprudenza costante, l'art. 3 del regolamento n. 17 non conferisce a chi presenta una domanda a norma del detto articolo il diritto ad una decisione della Commissione ai sensi dell'art. 189 del Trattato in merito all'esistenza o meno di un'infrazione dell'art. 85 o 86 del Trattato; la soluzione è diversa unicamente qualora l'oggetto della denuncia rientri nelle competenze esclusive della Commissione, come la revoca di un'esenzione ex art. 85, n. 3, del Trattato. Il Tribunale ha quindi respinto le conclusioni dei ricorrenti nella parte in cui sostenevano che la Commissione aveva l'obbligo di adottare una decisione definitiva sull'esistenza di un'infrazione del diritto comunitario. Non si può ritenere che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto al riguardo, in quanto è corretta invece l'affermazione secondo cui non esiste un obbligo di portata generale a carico della Commissione di giungere ad una decisione definitiva. Questa tesi è conforme a quanto stabilito dalla Corte nelle sentenze GEMA/Commissione ( 24 ) e Delimitis ( 25 ), nonche alla giurisprudenza del Tribunale stesso risultante dalla sentenza Automec II e dalle pronunce successive ( 26 ).

39.

Per quanto riguarda poi il punto volto a stabilire se la Commissione era tenuta a proseguire l'istruzione, il Tribunale ha considerato (al punto 68 della sua sentenza) che «i diritti di un denunciante non possono essere considerati sufficientemente tutelati dinanzi al giudice nazionale qualora quest'ultimo, attesa la complessità della pratica, non fosse ragionevolmente in grado di riunire gli elementi di fatto necessari per appurare se le pratiche denunciate integrano un'infrazione degli artt. 85 e/o 86 del Trattato». Esso ha tuttavia accertato che, nel caso di specie, la relazione della Commissione conteneva sufficienti informazioni in ordine al livello delle tariffe e alla questione della discriminazione tra discoteche. Inoltre, per quanto riguarda l'argomento secondo cui la SACEM avrebbe negato alle discoteche francesi l'uso del solo repertorio straniero, esso ha constatato che i ricorrenti non avevano dedotto alcun argomento concreto atto a porre in dubbio la competenza dei giudici francesi a riunire gli elementi di fatto necessari per stabilire se la detta pratica della SACEM — impresa francese con sede in Francia — integrasse un'infrazione all'art. 86 del Trattato. È importante sottolineare, in relazione a queste due constatazioni, che i ricorrenti non sembrano contestare il fatto che le informazioni disponibili siano sufficienti. A mio parere, pertanto, il Tribunale non ha commesso errori svolgendo tali considerazioni. Ritengo anch'io che, per giustificare il rifiuto da parte della Commissione di proseguire nell'istruzione di una denuncia, è essenziale in ogni caso che i giudici nazionali (o le autorità nazionali) siano competenti ad esaminare direttamente la questione. A mio parere, se i giudici nazionali sono competenti al riguardo, la questione volta a stabilire quale giudice o quale autorità si trovi nella posizione migliore per proseguire l'istruzione di cui trattasi può senz'altro assumere rilevanza, ma il fatto che la prosecuzione dell'istruttoria possa essere più agevolmente compiuta dalla Commissione non può di per sé obbligare la Commissione a compierla. Secondo me, la questione dell'interesse comunitario ha una portata ben più ampia rispetto alla semplice considerazione di quale sia il giudice o l'autorità che possa più agevolmente proseguire l'esame della pratica. Come ha rilevato il Tribunale nella sentenza Automec II, vi sono altri fattori da considerare, come la rilevanza dell'asserita violazione per il funzionamento del mercato comune.

40.

In risposta all'argomento dei ricorrenti relativo ad un rischio di confusione tra i giudici nazionali e all'esigenza di garantire un'applicazione corretta e uniforme delle norme del Trattato sulla concorrenza, il Tribunale ha rilevato che il fatto che il giudice nazionale possa incontrare difficoltà nell'interpretazione degli artt. 85 o 86 del Trattato non costituisce, alla luce della possibilità conferita dall'art. 177 del Trattato, un elemento che la Commissione è tenuta a prendere in considerazione per valutare l'interesse comunitario alla prosecuzione dell'esame di una pratica (punto 67). Come ho già osservato, il Tribunale ha considerato che i giudici nazionali avevano o potevano raccogliere informazioni sufficienti per giungere ad una decisione in ordine alle infrazioni denunciate. È già stato precisato che questa considerazione non è stata contestata dai ricorrenti e la motivazione fornita dal Tribunale mi sembra quindi del tutto convincente. Di conseguenza, ritengo che il Tribunale avesse pienamente ragione di rilevare che «contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, la facoltà di tener conto dell'adizione dei giudici nazionali come criterio per la valutazione dell'interesse comunitario alla prosecuzione dell'esame di una pratica non è unicamente limitata al caso in cui vi sia un procedimento nazionale unico fra il denunciante e la parte denunciata» (punto 62). Non si può sostenere che, qualora vi siano più procedimenti pendenti, la Commissione non può più demandare l'esame della questione ai giudici nazionali.

41.

I ricorrenti prospettano inoltre che due elementi cui fa riferimento la Commissione nelle sue lettere non andavano da essa presi in considerazione per valutare se la prosecuzione dell'istruzione fosse conforme all'interesse comunitario: il fatto che solo i giudici nazionali possono concedere il risarcimento dei danni e il fatto che i giudici nazionali non sono vincolati da una «decisione» della Commissione. (Nella sua lettera del 12 novembre 1992, la Commissione non si è riferita agli effetti, nei confronti dei giudici nazionali, di una decisione formale, ma all'effetto di una valutazione giuridica della Commissione ( 27 )). Poiché i ricorrenti non hanno fatto valere l'esistenza di un errore di diritto a tale riguardo nella sentenza del Tribunale, questa parte del ricorso va considerata irricevibile.

42.

In ogni caso, ritengo che questi due elementi possano essere legittimamente presi in considerazione. Benché il fatto che soltanto i giudici nazionali possono concedere il risarcimento dei danni non giustifichi di per sé, a mio parere, il rigetto della denuncia da parte della Commissione, ritengo però che, nel valutare se vi sia un «interesse comunitario» a che la Commissione istruisca la pratica, possa rivelarsi opportuno, in determinati casi, prendere in considerazione il fatto che, per le particolari circostanze del caso di specie, la controversia è comunque destinata ad essere esaminata a livello nazionale ai fini dell'eventuale risarcimento.

43.

Presumibilmente la Commissione, nel-l'affermare che i giudici nazionali non sono vincolati alle sue valutazioni giuridiche, intendeva che, essendo stata redatta una relazione, un'ulteriore prosecuzione dell'istruzione, senza decisione definitiva, poteva sfociare soltanto in una conclusione informale sull'esistenza di un'infrazione che non sarebbe stata di grande utilità, dal momento che i giudici nazionali non sarebbero stati vincolati da una valutazione siffatta ( 28 ). A mio parere, un elemento del genere può legittimamente essere preso in considerazione per valutare se la prosecuzione dell'istruzione di una denuncia corrisponda all'interesse comunitario.

44.

Prima di concludere l'esame di questa parte del ricorso, mi sembra utile sottolineare che non si può giungere alla conclusione che non ricorreranno mai circostanze in cui la Commissione, anche quando la sua competenza non è esclusiva, ha l'obbligo di proseguire un'istruzione e, se ritiene che vi sia stata un'infrazione, di adottare una decisione definitiva di constatazione dell'infrazione stessa. Al contrario, le considerazioni sin qui svolte indicano chiaramente che ciò può essere imposto dall'interesse comunitario. I ricorrenti però non hanno dimostrato che tale era la situazione nel caso di specie.

45.

Gli ulteriori punti controversi nel presente ricorso possono essere esaminati più rapidamente.

Sulla censura secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nella valutazione della data a partire dalla quale la Commissione è stata investita del caso

46.

I ricorrenti fanno valere che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che la durata dell'istruzione era stata di sei anni, anziché di 14 (dal 1979), incorrendo così in un errore di diritto. Come è già stato detto, tuttavia, l'impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia può riguardare soltanto questioni di diritto. Il presente motivo di ricorso è pertanto irricevibile poiché la durata dell'istruzione è una questione di fatto, non di diritto. In ogni caso, la sentenza del Tribunale esordisce, al punto 1, constatando che la Commissione aveva ricevuto numerose domande di accertamento sin dal 1979.

Sulla censura secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore constatando che erano state sollevate nuove questioni di diritto

47.

I ricorrenti affermano ancora che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto constatando che le questioni sollevate nella denuncia del 1986 erano questioni di diritto nuove. Essi forniscono inoltre elementi probatori diretti a dimostrare che le questioni erano state sollevate dinanzi alla Commissione prima del 1986. Anche in questo caso si tratta di una questione di fatto ed il presente motivo è pertanto irricevibile.

Sulla censura secondo cui il Tribunale di primo grado avrebbe commesso un errore di diritto omettendo di rilevare gli errori di diritto della Commissione

48.

I ricorrenti ritengono che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto omettendo di rilevare quelli compiuti dalla Commissione. Secondo la Commissione, il fatto che la parte dell'atto di impugnazione relativa a tale motivo di ricorso sia priva di motivazione rende questa parte del ricorso irricevibile. La tesi della Commissione mi sembra fondata. Per giurisprudenza costante, il ricorrente deve prospettare argomenti diretti a provare che il Tribunale ha commesso errori di diritto affinché il ricorso sia ricevibile ( 29 ). È vero che i ricorrenti analizzano la questione degli errori addebitati alla Commissione in una parte separata dell'atto di impugnazione, diretta ad ottenere l'annullamento della decisione della Commissione anziché il rinvio della causa al Tribunale di primo grado, e che gli argomenti addotti dai ricorrenti avrebbero potuto essere chiariti in base a quest'ultima parte. Tuttavia, come verrà chiarito in seguito, quella parte del ricorso è in ogni caso manifestamente irricevibile.

Sulla censura secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto motivando la sentenza in modo contraddittorio

49.

I ricorrenti contestano al Tribunale di aver commesso un errore di diritto motivando la sentenza in modo contraddittorio. Da un lato, esso ha annullato la decisione della Commissione nella parte in cui rifiuta di proseguire l'istruttoria relativa all'esistenza di accordi tra le società di gestione dei diritti d'autore e, dall'altro, ha però confermato quella parte della decisione in cui la Commissione afferma di voler demandare l'esame relativo all'esistenza di un'infrazione all'art. 86 alle autorità nazionali. I ricorrenti sostengono che questi due aspetti non possono essere considerati separatamente: a loro parere, il carattere eccessivo delle tariffe imposte deriverebbe dalla compartimentazione del mercato. Il Tribunale, nell'annullare la decisione della Commissione per quanto riguarda il primo dei due aspetti, non ha però dichiarato di considerare che spettasse alla Commissione anziché ai giudici nazionali di statuire sull'asserita violazione dell'art. 85. Esso ha annullato quella parte della decisione soltanto per l'insufficienza della motivazione. Se ne potrebbe dedurre che, motivando adeguatamente la propria decisione, la Commissione avrebbe potuto legittimamente demandare l'esame della questione ai giudici nazionali. Non vi è perciò nulla di contraddittorio nella sentenza del Tribunale. Concludo pertanto che la motivazione della sentenza del Tribunale non è contraddittoria.

Sulla censura secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nelle sue constatazioni relative alla riservatezza delle indagini compiute dalla Commissione

50.

I ricorrenti ritengono che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto constatando che l'obbligo di riservatezza relativo al fascicolo della Commissione non limita la capacità dei giudici nazionali di rilevare l'esistenza di un abuso di posizione dominante. Il Tribunale ha considerato che la Commissione poteva trasmettere la sua relazione sul raffronto delle tariffe ai giudici nazionali in quanto il livello delle tariffe era un dato di dominio pubblico.

51.

Gli argomenti dei ricorrenti su tale punto non sono del tutto chiari. È difficile stabilire se, a loro parere, la relazione sia riservata. Tuttavia, anche se questa fosse la loro tesi, la questione volta a stabilire se le informazioni contenute nella relazione siano di dominio pubblico è una questione di fatto; un ricorso basato su tale motivo è quindi irricevibile.

52.

I ricorrenti prospettano altresì che il fascicolo della Commissione contiene altri elementi probatori che non possono essere rivelati ai giudici nazionali. Tuttavia, questo argomento è irrilevante, in quanto, come ho già osservato, essi non sembrano sostenere che la documentazione trasmessa dalla Commissione ai giudici nazionali non è sufficiente affinché essi giungano ad una decisione sull'esistenza di un'infrazione all'art. 86.

Sulla censura relativa alla trasgressione di alcuni principi generali del diritto da parte della Commissione e ad un suo sviamento di potere

53.

I ricorrenti affermano infine che la Commissione avrebbe trasgredito diversi principi generali del diritto e commesso uno sviamento di potere. Queste censure tuttavia, insieme ad alcuni argomenti relativi alla sussidiarietà che sono già stati esaminati, figurano in una parte distinta dell'atto di impugnazione dei ricorrenti, il cui presupposto esplicito è che la Corte annulli la sentenza del Tribunale e statuisca essa stessa definitivamente sulla controversia, ai sensi dell'art. 54 dello Statuto. In questa parte del ricorso, i ricorrenti non prospettano errori di diritto commessi dal Tribunale, ma presentano argomentazioni riguardanti la Commissione che appaiono del tutto distinte rispetto alle censure relative alla sentenza. I ricorrenti si limitano in effetti a reiterare le censure formulate dinanzi al Tribunale di primo grado.

54.

In tal modo, i ricorrenti hanno travisato, a mio parere, la natura del procedimento d'impugnazione. Il ricorso contro una pronuncia del Tribunale dev'essere fondato sugli elementi criticati della pronuncia stessa ( 30 ). La Corte può statuire definitivamente soltanto se le questioni controverse possono essere risolte in base all'analisi di quella pronuncia. I ricorrenti non possono dedurre motivi autonomi rispetto alle censure riguardanti la sentenza, né possono limitarsi a ripetere i motivi e gli argomenti già dedotti dinanzi al Tribunale ( 31 ).

55.

Ne consegue che tutti i motivi dedotti in ultimo dai ricorrenti sono manifestamente irricevibili.

Conclusione

56.

Risulta da quanto precede che tutti i motivi di ricorso vanno dichiarati irricevibili o infondati.

57.

Suggerisco pertanto alla Corte:

«1)

di respingere il ricorso;

2)

di condannare i ricorrenti alle spese».


( *1 ) Lingua originale: l'inglese.

( 1 ) Sentenza 24 gennaio 1995 (Race. pag. II-185).

( 2 ) GU 1962, n. 13, pag. 204.

( 3 ) Sentenzi 13 luglio 1989 (Race. pag. 2521).

( 4 ) Sentenza 13 luglio 1989 (Race. pag. 2811).

( 5 ) GU 1963, n. 127, pag. 2268.

( 6 ) Causa T-24/90 (Race. pag. II-2223).

( 7 ) Citata in nota 1. Il Tribunale si c anche pronunciato in pari data in una causa connessa: causa T-114/92, B EM IM/Commissione (Race. pag. II-147).

( 8 ) V., ad esempio, sentenze 24 giugno 1986, causa 53/85, AKZO/Commissionc (Race. pag. 1965, punto 23); 18 settembre 1995, causa T-548/93, Ladbrokc Racing/Commissione (Race. pag. II-2565, punto 54), e 9 gennaio 1996, causa T-575/93, Koclman/Commissionc (Race. pag. II-1, punto 29).

( 9 ) Ortiz Blanco, Luis, EC Competition Procedure, Oxford, 1996, page, li e 12 [senza le note a pie di pagina]. V. anche note dell'editore, «Subsidiarity in EC Competition law enforcement», Common Market Law Review, 1995, pag. 1, nonché gli articoli che vi sono citati; Kamburoglou, P., «EWG-Wcttbewcrbspolitik und Subsidiarität», Wirtschaft und Wettbewerb, 1993, pag. 273; Rodgers, B., «Decentralisation and National Competition Authorities: Comparison with the Conflicts/Tensions under the Merger Regulation», European Competition Law Review, 1994, pag. 251, c Van Der Woude, M., «Nationale rechters en dc EG Commissie: Subsidiariteit, decentralisatie of gewoon samenwerken», Nederlands Jurislenblad, 1993, pag. 585.

( 10 ) V. altresì sentenze 29 giugno 1993, causa T-7/92, Asia Motor France e a./Commissione (Race. pag. II-669); 18 maggio 1994, causa T-37/92, BEUC e NCC/Commissionc (Race. pag. II-285); BEMIM/Commissione, citata in nou 7; Ladbrokc Racing/Commissionc, citata in nota 8, e 24 gennaio 1995, causa T-74/92, Ladbroke/Commissione (Race, pag. II-115).

( 11 ) V. punti 71-98 della sentenza.

( 12 ) Sentenza BEMIM (ciuta in nou Tj, punto 81.

( 13 ) GU 1993, C 39, pag. 6; v., in particolare, le parti III e IV.

( 14 ) Sentenza 19 ottobre 1995, causa C-19/93 P, Rendo e a./Commissionc (Race. pag. 3319, punto 27).

( 15 ) V., supra, paragrafi 8-10.

( 16 ) Citata supra in nota 6.

( 17 ) Sentenza 18 ottobre 1979, causa 125/78, GEMA/ Commissione (Race. pag. 3173, punti 17 e 18). V. anche, ad esempio, sentenza Automec II (citata in nota 6), punti 75 c 76; sentenze 18 novembre 1992, causa T-16/91, Rendo e a./Commissione (Race. pag. II-2417, punto 98); 19 ottobre 1995, Rendo e a./Commissionc (citata in nota 14), punto 27, e, in ultimo, Koelman/Commissione (citata in nota 8), punto 39.

( 18 ) Punto 79 della sentenza. V. altresì sentenze 11 ottobre 1983, causa 210/81, Demo-Studio Schmidt/Commissione (Race, pag. 3045, punto 19); 28 marzo 1985, causa 298/83, CICCE/Commissionc (Race. pag. 1105, punto 18); 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT c Reynolds/Commissione (Race. pag. 4487, punto 20), e 19 ottobre 1995, Rendo c a./Commissionc (citata in nou 14), punto 27.

( 19 ) Punto 85 della sentenza; sentenza 19 ottobre 1995, Rendo e a./Commissionc (citata in nota 14), punto 27. V. altresì sentenza 16 giugno 1994, causa C-39/93 P, SFEI e a./Commissionc (Race. pag. 2681, punti 31 e 32), in cui la Corte ha stabilito che una lettera di archiviazione può essere oggetto di sindacato giurisdizionale ai sensi dell'art. 173 del Trattato c a tal fine è irrilevante che la lettera contenga o meno una valutazione sull'eventuale violazione del Trattato.

( 20 ) Sentenza BEUC e NCC/Commissione, citata in nota 10.

( 21 ) V. anche le conclusioni del giudice Edward designato come avvocato generale.

( 22 ) Punto 86 della sentenza.

( 23 ) Punto 65 delia sentenza.

( 24 ) Citata in nota 17.

( 25 ) Sentenza 28 febbraio 1991, causa C-234/90 (Race. pag. I-935, punti 43 c segg.).

( 26 ) Sentenze citate neue note 6 e 17.

( 27 ) I termini utilizzati sono «appréciation juridique» c «prise de position».

( 28 ) V., ad esempio, sentenza 10 luglio 1980, cause riunite 253/78, 1/79, 2/79 e 3/79, Giry e Guerlain e a. (Race. pag. 2327, punto 13).

( 29 ) V. ordinanza 24 aprile 1996, causa C-87/95 P, CNPAAP/Consiglio (Race. pag. I-2003, punto 31).

( 30 ) V., ad esempio, ordinanza CNPAAP/Consiglio (ciuta in nou 29), punti 29 e 31.

( 31 ) V. ordinanze 26 settembre 1994, causa C-26/94 P, X/Commissionc (Race. pag. I-4379, punto 13); 14 dicembre 1995, causa C-173/95P, Hogan/Corte di giustizia (Race, pag. I-4905, punto 20), e CNPAAP/Consiglio (ciuta in nou 20), punto 30.