Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 17 settembre 1996. - Konsumentombudsmannen (KO) contro De Agostini (Svenska) Förlag AB (C-34/95) e TV-Shop i Sverige AB (C-35/95 e C-36/95). - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Marknadsdomstolen - Svezia. - Direttiva 'televisione senza frontiere' - Pubblicità televisiva trasmessa da uno Stato membro - Divieto della pubblicità ingannevole - Divieto della pubblicità rivolta ai bambini. - Cause riunite C-34/95, C-35/95 e C-36/95.
raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-03843
1 Le presenti cause, deferite in via pregiudiziale dal Marknadsdomstolen di Stoccolma, riguardano la compatibilità con il diritto comunitario di norme sulla pubblicità televisiva stabilite dall'ordinamento svedese.
2 In tutti e tre i casi i procedimenti a quibus sono stati avviati in seguito a domande inoltrate al Marknadsdomstolen dal Konsumentombudsmannen (difensore civico dei consumatori) e dirette a che venga vietato alle società resistenti di porre in essere determinate pratiche pubblicitarie.
3 I procedimenti riguardano pubblicità televisive che si assumono in contrasto con i divieti posti dall'ordinamento svedese, che (nel primo procedimento) vietano le pubblicità televisive che attirano l'attenzione dei minori di dodici anni e (in tutti i procedimenti) l'offerta al pubblico che sia sleale per i consumatori o per i commercianti. Le pubblicità in questione sono apparse su varie emittenti televisive in Svezia, alcune trasmesse dal Regno Unito e altre dalla Svezia stessa.
La normativa nazionale
4 L'art. 2 della legge svedese sulle pratiche commerciali (1) stabilisce che se un commerciante, nella vendita di merci, servizi o altri prodotti, pubblicizzi o svolga attività che, in contrasto con la corretta pratica commerciale o altro, sia sleale verso consumatori o commercianti, il Marknadsdomstolen può vietargli di proseguire tale attività o di intraprenderne un'altra simile.
5 Tale norma viene espressamente estesa alle trasmissioni televisive via satellite all'interno dello Spazio economico europeo.
6 Qualora un operatore commerciale abbia omesso di fornire nella sua pubblicità importanti informazioni per i consumatori, l'art. 3 della legge sulle pratiche commerciali autorizza il Marknadsdomstolen, tra l'altro, ad ordinare al detto operatore di fornire tali informazioni nella sua pubblicità.
7 Nel preambolo della legge sulle pratiche commerciali è stabilito che essa non è applicabile a tutte le pratiche commerciali destinate al pubblico svedese, anche se esse consistano, in ipotesi, in pubblicità prodotte all'estero ma da lì distribuite a destinatari residenti in Svezia.
8 L'art. 11 della radiolag (legge sulle trasmissioni radiotelevisive) (2) stabilisce che un messaggio pubblicitario trasmesso durante una pausa commerciale in televisione non può essere finalizzato ad attirare l'attenzione di minori di dodici anni. Si evince dalle osservazioni del governo svedese che tale divieto si estende alla televisione via cavo (3) e alle trasmissioni via satellite (4). Sembra sia pacifico tra le parti che la legge sulle trasmissioni radiotelevisive non è direttamente applicabile a programmi televisivi al di fuori della Svezia.
9 Nei suoi precedenti giurisprudenziali, il Marknadsdomstolen ha stabilito i principi secondo cui a) la pratica commerciale che sia in contrasto con norme di legge inderogabili può essere considerata sleale alla luce del significato della legge sulle pratiche commerciali e b) la pubblicità ingannevole è di norma considerata sleale ai sensi delle dette norme.
10 Sembra che il Marknadsdomstolen abbia competenza a conoscere di controversie a norma di varie leggi speciali, inclusa la legge sulle pratiche commerciali, ma con esclusione della legge sulle trasmissioni radiotelevisive. Ritengo sia per tale ragione che l'azione dell'Ombudsman dei consumatori nel primo procedimento sia fondata sul fatto che le pubblicità sono sleali ai sensi della legge sulle pratiche commerciali in quanto contrarie al divieto sancito dalla legge sulle trasmissioni radiotelevisive, piuttosto che direttamente ai sensi della legge sulle trasmissioni radiotelevisive stessa. L'Ombudsman dei consumatori sostiene inoltre che i messaggi pubblicitari trasmessi dal Regno Unito sono sleali ai sensi di tale normativa sebbene sembri pacifico che la legge sulle trasmissioni radiotelevisive si applica direttamente solo ai messaggi pubblicitari trasmessi dalla Svezia.
Fatti e questioni pregiudiziali
11 Il primo procedimento riguarda la pubblicità televisiva di una rivista per bambini sui dinosauri. L'Ombudsman dei consumatori chiede al Marknadsdomstolen, ai sensi della legge sulle pratiche commerciali, a) di vietare all'editore della rivista di commercializzare il suo prodotto in modo finalizzato ad attirare l'attenzione dei minori di dodici anni o b), in alternativa, di ordinare a detto editore di indicare chiaramente il prezzo dell'intera serie di diciotto pubblicazioni nel suo messaggio pubblicitario e di vietare di comunicare in modo implicito nella sua pubblicità che tutte le parti per un modello di dinosauro fluorescente possono essere acquistate al prezzo di un solo numero, piuttosto che al prezzo di tutta la serie.
12 Il secondo procedimento riguarda la pubblicità televisiva di cosmetici. L'Ombudsman dei consumatori chiede al Marknadsdomstolen, ai sensi della legge sulle pratiche commerciali, a) di vietare all'inserzionista, nell'ambito della vendita di cosmetici, i) di fare affermazioni sugli effetti dei prodotti sulla pelle che non possono essere dimostrate al momento della vendita; ii) di fare affermazioni secondo cui i prodotti avrebbero effetto terapeutico anche quando non siano stati approvati come farmaci autorizzati; iii) di fare affermazioni secondo cui gli acquirenti riceveranno gratis articoli extra, mentre il prodotto non viene di norma venduto allo stesso prezzo come indicato nella pubblicità controversa; iv) di fare raffronti di prezzo che l'inserzionista non è in grado di riferire a prodotti uguali o equivalenti; e v) di suggerire che per ricevere taluni articoli extra il consumatore deve effettuare l'ordinazione entro 20 minuti o in un periodo di tempo simile, e b) di ordinare all'inserzionista di indicare chiaramente i costi supplementari per spedizioni, consegna ecc.
13 Il terzo procedimento riguarda la pubblicità televisiva di detersivi. L'Ombudsman dei consumatori chiede al Marknadsdomstolen, ai sensi della normativa sulle pratiche commerciali, di vietare all'inserzionista di fare affermazioni sull'efficacia dei prodotti e sull'impatto ambientale che non siano dimostrabili e di utilizzare espressioni vaghe con le quali si faccia intendere che il prodotto apporta benefici all'ambiente.
14 In tutti i casi la pubblicità televisiva veniva trasmessa in Svezia via satellite dal Regno Unito ed appariva sull'emittente TV3. Inoltre, la pubblicità era ogni volta trasmessa anche su un'emittente locale (la TV4 nella prima causa, lo Homeshopping Channel nella seconda e nella terza causa) senza che fossero stati precedentemente trasmessi da un altro Stato membro, anche se solo in relazione alla prima causa viene chiesto alla Corte di considerare la compatibilità col diritto comunitario di restrizioni che si tenta di imporre all'inserzionista riguardo alla trasmissione locale.
15 La TV3 è una società con sede nel Regno Unito. Essa trasmette programmi televisivi via satellite dal Regno Unito in Danimarca, Svezia e Norvegia. Si evince dalle osservazioni della società resistente nella seconda e nella terza causa che il segnale trasmesso dal satellite può essere ricevuto direttamente da telespettatori vuoi per mezzo di un'antenna parabolica vuoi tramite società collegate via cavo che poi lo ritrasmettono ai telespettatori. Anche se agli Stati riceventi sono trasmessi gli stessi segnali televisivi, i destinatari hanno il segnale sonoro nella lingua della regione interessata.
16 La società convenuta nella prima causa, la De Agostini (Svenska) Förlag AB (in prosieguo: la «De Agostini»), è una società svedese che fa parte di un gruppo italiano, l'Istituto Geografico De Agostini, con succursali in parecchi paesi europei. Le attività principali del gruppo sono principalmente editoriali, fra cui la pubblicazione di riviste in varie lingue europee. La rivista per bambini di cui trattasi è definita dalla De Agostini come una rivista enciclopedica sui dinosauri. Essa viene pubblicata in serie, ciascuna composta da diversi numeri. A ciascun numero viene allegato un elemento di un modello di dinosauro. Una volta acquistata una serie intera, saranno raccolte tutte le parti del modello. La rivista, pubblicata in varie lingue, è stata diffusa in numerosi Stati membri sin dal suo esordio che risale al 1993, apparentemente in ogni caso da un agente locale del gruppo De Agostini. Risulta che tutte le versioni nelle varie lingue della rivista vengono stampate in Italia.
17 Il messaggio pubblicitario nella prima causa, prima di essere trasmesso su TV3 nel settembre 1993, era già stato trasmesso in varie lingue in tutti gli Stati allora facenti parte della Comunità europea tranne la Grecia, dove non era stata diffuso fino al gennaio 1995 e dove risulta essere stato diffuso in quel periodo. In nessun luogo, tranne che nel Regno Unito, si è in qualche modo affermato che la pubblicità potesse essere in contrasto con la normativa nazionale. Nel Regno Unito, l'Independent Television Commission ha esaminato la pubblicità senza riscontrare in essa motivi per censurarla.
18 La società resistente nella seconda e nella terza causa, la TV-Shop i Sverige AB (in prosieguo: la «TV-Shop»), è una società svedese che appartiene ad un gruppo internazionale con succursali in tutta Europa (sia negli Stati membri che in paesi terzi) ed oltre. Il giro d'affari della TV-Shop consiste nella vendita televisiva e per telefono di merci importate: i clienti potenziali ordinano per telefono i prodotti dopo averli visti pubblicizzati in televisione e ricevono i loro acquisti per posta. La principale forma di televendita adottata - e a quanto risulta la forma controversa nei procedimenti a quibus - consiste in «telepromozioni», programmi condotti da un presentatore, a volte con la collaborazione di personaggi famosi, e che comprendono dimostrazioni di prodotti, interviste con clienti soddisfatti, e così via.
19 La De Agostini e la TV-Shop sostengono essenzialmente che le norme svedesi di divieto di cui trattasi sono in contrasto con gli artt. 30 e 59 del Trattato CE e con la direttiva del Consiglio (CEE) 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive (la «direttiva sulla televisione») (5).
20 Le ordinanze di rinvio erano state originariamente depositate presso la Corte AELS tramite richieste di parere effettuate dal Marknadsdomstolen il 30 agosto 1994. Tali domande sono state ritirate dopo l'ingresso della Svezia nell'Unione europea del 1_ gennaio 1995. Con ordinanze 7 febbraio 1995 è stata sottoposta alla Corte dal Marknadsdomstolen una questione pregiudiziale sul punto se l'art. 30 o l'art. 59 del Trattato CEE ovvero la direttiva sulla televisione i) (in tutti i casi) ostino a che uno Stato membro adotti provvedimenti contro le pubblicità televisive trasmesse da un inserzionista da un altro Stato membro o ii) (nella prima causa) osti all'applicazione di una normativa nazionale che vieta pubblicità rivolte ai bambini.
21 Va rilevato che la Corte AELS si è pronunciata in due procedimenti riuniti riguardanti la Norvegia per l'applicazione della direttiva sulla televisione e gli artt. 11 e 13 dell'accordo sullo Spazio economico europeo, che corrispondono agli artt. 30 e 59 del Trattato CEE (6). Tali procedimenti sono analoghi a quello C-34/95, De Agostini, in quanto riguardano un divieto previsto in Norvegia sulle pubblicità televisive specificamente rivolte ai bambini. La Corte AELS ha affermato che la direttiva ostava a che fosse imposto un divieto ad un inserzionista di mostrare una pubblicità contenuta in un programma televisivo di un'emittente con sede in un altro Stato SEA, qualora ciò avesse come conseguenza un divieto generale imposto dalla normativa nazionale sulla pubblicità rivolta ai bambini (7). Nel corso dell'udienza dei presenti procedimenti dinanzi a questa Corte, il governo norvegese (che aveva presentato osservazioni ai sensi dell'art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia CE) ha affermato che il divieto norvegese non era stato fatto osservare dopo quella sentenza.
La direttiva sulla televisione
22 L'obiettivo principale della direttiva sulla televisione (spesso definita come la «direttiva sulla televisione senza frontiere»), adottata in base agli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato, è di facilitare la libera circolazione delle trasmissioni televisive all'interno della Comunità. In sostanza, con essa si cerca di raggiungere l'obiettivo stabilendo criteri minimi che vanno osservati dalle emittenti soggette alla giurisdizione di uno Stato membro e divieti generali agli Stati membri di assoggettare trasmissioni da un altro Stato membro ad ogni ulteriore controllo prima della ricezione o ritrasmissione.
23 Il preambolo stabilisce quanto segue:
«(...) è quindi necessario e sufficiente che tutte le trasmissioni rispettino la legislazione dello Stato membro da cui sono emesse (8);
(...) nel quadro del mercato comune, è necessario che tutte le trasmissioni aventi la loro origine nella Comunità e che devono essere captate nella medesima, in particolare quelle destinate ad un altro Stato membro, rispettino sia le normative che lo Stato membro d'origine applica alle trasmissioni per il pubblico nel suo territorio sia le disposizioni nella presente direttiva (9);
(...) l'obbligo dello Stato membro di origine di controllare la conformità delle trasmissioni alle sue normative nazionali coordinate dalla presente direttiva è sufficiente, in base alla legislazione comunitaria, per assicurare la libera circolazione delle trasmissioni senza che si debba procedere, per gli stessi motivi, ad un secondo controllo negli Stati membri di ricezione (...) (10);
(...) la presente direttiva, limitandosi a norme concernenti specificamente le attività televisive, non pregiudica gli atti comunitari di armonizzazione esistenti o futuri, specie per rispondere ad esigenze imperative attinenti alla protezione dei consumatori, alla lealtà delle transazioni commerciali e alla concorrenza (11);
(...) per garantire un'integrale ed adeguata protezione degli interessi della categoria di consumatori costituita dai telespettatori, è essenziale che la pubblicità televisiva sia sottoposta ad un certo numero di norme minime e di criteri e che gli Stati membri abbiano la facoltà di stabilire norme più rigorose o più particolareggiate e, in alcuni casi, condizioni differenti per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione (12);
(...) è necessario stabilire norme per la protezione dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minorenni nei programmi e nella pubblicità televisiva» (13).
24 L'art. 1, lett. a), della direttiva definisce «trasmissione televisiva»: «la trasmissione via cavo o via etere, nonché la trasmissione via satellite, in forma non codificata o codificata, di programmi televisivi destinati al pubblico (...)».
25 L'art. 1, lett. b), definisce «pubblicità televisiva»: «ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro compenso o pagamento analogo da un'impresa pubblica o privata nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni.
Salvo per i fini di cui all'articolo 18, non sono incluse le offerte dirette al pubblico per la vendita, l'acquisto o il noleggio di prodotti, o per la fornitura di servizi dietro compenso» (14).
26 Il punto centrale del sistema posto in essere dalla direttiva è «il principio dello Stato di trasmissione». Tale principio, enunciato elegantemente nel dodicesimo `considerando', sopra citato, è precisato nell'art. 2, che per ciò che rileva nel caso di specie così dispone:
«1. Ciascuno Stato membro vigila a che tutte le trasmissioni televisive
- delle emittenti televisive soggette alla sua giurisdizione
(...)
rispettino il diritto applicabile alle trasmissioni destinate al pubblico in questo Stato membro.
2. Gli Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non ostacolano la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri per ragioni attinenti ai settori coordinati dalla presente direttiva (...)».
27 L'unica eccezione a tale principio prevista dalla direttiva riguarda le violazioni reiterate, manifeste, serie e gravi dell'art. 22, che mira essenzialmente a tutelare i minori dai programmi che contengono pornografia o violenza gratuita o altro contenuto particolarmente offensivo. Anche se nessuna delle situazioni ivi descritte è rilevante per le presenti cause, il fatto che solo in circostanze del tutto particolari sia consentito ad uno Stato membro di sospendere la trasmissione di programmi da un altro Stato membro dimostra l'importanza nella ratio della direttiva del principio dello Stato di trasmissione.
28 L'art. 3, n. 1 (purtroppo tradotto in maniera non corretta nella versione inglese della direttiva), consente agli Stati membri di stabilire norme più particolareggiate o rigorose nei settori rientranti nella direttiva con riguardo agli enti radiotelevisivi che rientrano nella loro giurisdizione. L'art. 3, n. 2, impone agli Stati membri di garantire che le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione rispettino le disposizioni della direttiva.
29 La direttiva, nel capitolo IV, detta disposizioni particolareggiate in tema di pubblicità televisive e sponsorizzazioni, alcune delle quali sono qui di seguito richiamate. L'art. 16, che riguarda la tutela dei minori, recita:
«La pubblicità televisiva non deve arrecare un pregiudizio morale o fisico ai minorenni e deve pertanto rispettare i seguenti criteri a loro tutela:
a) non esortare direttamente i minorenni ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l'inesperienza o la credulità;
b) non esortare direttamente i minorenni a persuadere genitori o altre persone ad acquistare tali prodotti o servizi;
c) non sfruttare la particolare fiducia che i minorenni ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altre persone;
d) non mostrare, senza motivo, minorenni in situazioni pericolose».
30 Va rammentato che in tutte e tre le cause il giudice a quo chiede, tra l'altro, se la direttiva sulla televisione osti a che uno Stato membro adotti provvedimenti contro pubblicità televisive trasmesse da un altro Stato membro. Inoltre, nella causa De Agostini il giudice a quo chiede, tra l'altro, se tale direttiva escluda l'applicazione di una normativa nazionale che vieta pubblicità rivolte ai bambini. Si evince dall'ordinanza di rinvio che tale ultima questione si riferisce specificamente a pubblicità trasmesse dall'emittente locale TV4. Esaminerò anzitutto la prima questione, che si riferisce alla pubblicità trasmessa dal Regno Unito su TV3.
31 Prima di affrontare la specifica questione se l'art. 2, n. 2, della direttiva sulla televisione vieti a uno Stato membro di limitare la ritrasmissione nel suo territorio di programmi del genere di cui trattasi, prenderò in esame tre argomenti che sono stati addotti da varie parti per sostenere che la direttiva sulla televisione non è applicabile in ogni caso nelle fattispecie in esame.
L'argomento secondo il quale la TV3 sarebbe un'emittente svedese
32 In primo luogo, l'Ombudsman dei consumatori sostiene che in realtà la TV3 dev'essere considerata sostanzialmente come un'emittente televisiva svedese al pari della TV4, basandosi sul fatto che a) tutti i suoi programmi trasmessi in Svezia sono ivi prodotti; b) tutti i programmi sono doppiati o sottotitolati in svedese; c) tutti i conduttori presentano in svedese; e d) le pubblicità sono esclusivamente prodotte per il mercato svedese, tenuto conto della lingua nella quale sono preparate e dei prodotti che sono commercializzati (va tuttavia rilevato che tale ultima affermazione contrasta direttamente con le spiegazioni offerte dalla De Agostini e dalla TV-Shop relativamente alla loro strategia di mercato).
33 Per quanto riguarda la direttiva sulla televisione, l'Ombudsman dei consumatori intende probabilmente sostenere che la Svezia è autorizzata a fissare norme più rigorose nei confronti della TV3 di quelle stabilite nella direttiva in base al fatto che, per i motivi sopraelencati, la TV3 è soggetta alla sua giurisdizione ai sensi dell'art. 3, n. 1, della direttiva.
34 Tale affermazione, a mio avviso, non può essere condivisa. Per i motivi esposti dalla Corte nella causa Commissione/Regno Unito (15) con riguardo al significato della stessa espressione nell'art. 2, n. 1, della direttiva sulla televisione, ritengo che lo Stato membro sotto la cui giurisdizione si trova un'emittente sia lo Stato membro nel quale tale emittente ha sede. Poiché la TV3 ha sede nel Regno Unito, essa rientra nella giurisdizione di tale Stato ai sensi della direttiva. Va sottolineato come l'interpretazione sostenuta dal Regno Unito e respinta dalla Corte in quella causa, nel senso che per emittenti soggette alla giurisdizione di uno Stato membro si devono intendere quelle emittenti che trasmettono i loro programmi televisivi da postazioni all'interno del territorio dello Stato membro considerato, non aiuterebbe in alcun modo l'Ombudsman dei consumatori nel caso di specie, poiché la controversa pubblicità televisiva veniva trasmessa dal Regno Unito.
L'argomento secondo il quale la direttiva non riguarderebbe gli inserzionisti
35 In secondo luogo, l'Ombudsman dei consumatori e i governi svedese, finlandese e norvegese sostengono che la direttiva in generale e il principio dello Stato di trasmissione in particolare regolano solo la condotta delle emittenti e non quella degli inserzionisti, cosicché la direttiva non osterebbe a che uno Stato membro adotti provvedimenti, come in questo caso, contro un inserzionista rispetto alle pubblicità televisive trasmesse da un altro Stato membro.
36 A mio avviso tale argomento è infondato, per diversi motivi.
37 La finalità e l'effetto del principio dello Stato di trasmissione verrebbero gravemente menomati, se la direttiva fosse considerata inapplicabile per gli inserzionisti: lo Stato di ricezione sarebbe libero di limitare le pubblicità trasmesse da un altro Stato membro che in ipotesi «ostacoli la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive» in contrasto con l'art. 2, n. 2.
38 Inoltre sarebbe incongrua la non applicabilità della direttiva agli inserzionisti, dato che essa contiene numerose norme in ordine alla forma e al contenuto delle pubblicità televisive.
39 Infine, il fatto di considerare l'attività di trasmissione così intrinsecamente distinta da attività accessorie come la pubblicità potrebbe spianare la via ad altri Stati membri per emanare provvedimenti di legge applicabili solo a produttori, inserzionisti, sponsor, ecc., conseguentemente bloccando di fatto le trasmissioni nel complesso anche senza che vi sia un formale contrasto con la direttiva. Tale interpretazione non può essere compatibile con gli obiettivi della direttiva o le intenzioni del legislatore.
L'argomento secondo cui sarebbe applicabile la sentenza Van Binsbergen
40 Il terzo argomento formulato in via principale dall'Ombudsman dei consumatori e dai governi svedese, finlandese, norvegese e belga a sostegno della tesi secondo la quale la direttiva non sarebbe applicabile nella fattispecie, consiste in sostanza nel sostenere che essa non si applica alle pubblicità trasmesse nel corso di trasmissioni televisive che riguardano specificamente lo Stato di ricezione e destinate a quest'ultimo.
41 Tale argomento è tratto dalla sentenza Van Binsbergen/Bedrijfsvereniging Metaalnijverheid (16), nella quale la Corte ha enunciato per la prima volta il principio secondo cui lo Stato membro è legittimato a prendere misure per impedire ad un fornitore di servizi la cui attività è interamente o principalmente diretta verso il suo territorio di esercitare la libertà di fornire servizi per evitare la normativa applicabile nello Stato a cui gli stessi sono destinati.
42 La Corte ha recentemente applicato tale principio al settore dell'emittenza nelle cause Veronica Omroep Organisatie (17) e TV10 (18) (anche se rispetto a fatti che si sono verificati prima della data in cui la direttiva doveva essere trasposta nel diritto nazionale).
43 Nella sentenza Veronica Omroep Organisatie, la Corte ha confermato la validità di una normativa nazionale che vieta agli enti nazionali di radiodiffusione di dare aiuti per la creazione di società commerciali di radio e di televisione all'estero, allo scopo di prestarvi servizi destinati allo Stato che legifera, osservando che la normativa aveva il particolare effetto, sfruttando le libertà garantite dal Trattato, di garantire che tali enti non si sottraessero abusivamente agli obblighi derivanti dalla normativa nazionale, relativi al contenuto pluralistico e non commerciale dei programmi (19).
44 Nella sentenza TV10 la Corte ha stabilito che le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a che uno Stato membro equipari ad un ente radiotelevisivo nazionale un ente radiotelevisivo costituito ai sensi di una legge di un altro Stato membro ed ivi stabilito, ma le cui attività siano interamente o principalmente dirette verso il territorio del primo Stato membro, qualora tale stabilimento sia stato operato al fine di consentire a tale ente di sottrarsi alle norme alle quali sarebbe stato soggetto se fosse stabilito nel territorio del primo Stato (20).
45 Il principio della sentenza Van Binsbergen può essere visto semplicemente come applicazione del principio generale dell'abuso di diritti, riconosciuto nella maggior parte degli ordinamenti giuridici. Come tale, ci si poteva aspettare che sarebbe rimasto in vigore nel settore della trasmissione televisiva nonostante l'attuazione della direttiva sulla televisione, e l'avvocato generale Lenz ha recentemente condiviso tale punto di vista (21). Tale affermazione, tuttavia, come l'avvocato generale ha chiarito, non dovrebbe essere interpretata troppo estensivamente. Non bisogna dimenticare che, come deroga ad una delle libertà che costituiscono il mercato interno, l'obiettivo di un intervento che tale principio conferisce allo Stato membro di ricezione dev'essere interpretato in modo restrittivo (22). Sebbene la Corte nel procedimento Commissione/Belgio abbia lasciato irrisolta la questione se il principio restasse applicabile nel settore della trasmissione televisiva, essa ha stabilito che in ogni caso non si può autorizzare uno Stato membro ad escludere in modo generale la prestazione di tali servizi da operatori stabiliti in altri Stati membri, poiché ciò equivarrebbe a sopprimere la libera prestazione dei servizi (23).
46 Permettere che il principio possa essere invocato in una causa come la presente, dove gli interessi tutelati dalle norme che si afferma vengano aggirate rientrano nel campo di applicazione della direttiva, minerebbe inoltre in modo fondamentale il principio dello Stato di trasmissione che costituisce esso stesso l'espressione primaria dello scopo della direttiva di abolire ostacoli alla libera circolazione dei servizi in vista dell'instaurazione del mercato interno (24). Si poteva presumere che per tale motivo la direttiva non contenesse disposizioni come quelle dell'art. 16 della Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera 5 maggio 1989 (sulla quale il capitolo IV della direttiva, che tratta di pubblicità televisiva e sponsorizzazione, è stato in larga parte modellato), che prevede espressamente che pubblicità «che sono in particolare e con una certa frequenza dirette verso le audiences di un'unica parte diversa dalla parte che trasmette non devono aggirare le norme delle pubblicità televisive in quella particolare parte». Il punto di vista della Commissione, secondo cui tale omissione era stata voluta, è stato recentemente ripreso dall'avvocato generale Lenz, il quale sottolinea, nelle sue conclusioni relative alla causa Commissione/Regno Unito (25), che una disposizione come quella dell'art. 16 della Convenzione sarebbe stata inadeguata nell'ambito delle regole per l'instaurazione del mercato interno. Tale posizione è inoltre in linea con quella della Corte AELS nelle cause norvegesi sopra menzionate (26).
47 Non vi è comunque nulla in questo procedimento che faccia ritenere che la TV3 si sia stabilita nel Regno Unito per eludere la normativa svedese di cui trattasi. Dal semplice fatto che un'emittente con sede in uno Stato membro trasmette programmi con lo scopo di farli ricevere in un altro Stato membro non si può dedurre che l'emittente stia cercando di eludere la normativa applicabile nello Stato membro di ricezione: l'emittente deve agire illegittimamente (27) o abusivamente (28) per far sì che si applichi il principio della sentenza Van Binsbergen. Tale opinione è avvalorata dal fatto che la direttiva stessa precisa, al quattordicesimo `considerando', che «tutte le trasmissioni aventi la loro origine nella Comunità e che devono essere captate nella medesima, in particolare quelle destinate ad un altro Stato membro, rispettino sia le normative che lo Stato membro d'origine applica alle trasmissioni per il pubblico nel suo territorio sia le disposizioni della presente direttiva»: uno Stato membro non può pertanto sostenere che tutte le trasmissioni effettuate da emittenti straniere dirette in particolare al suo pubblico per questo stesso motivo costituiscano un abuso (29). L'onere della prova di tale abuso, inoltre, grava sullo Stato membro che tenta di avvalersi di tale eccezione (30).
48 Inoltre, il fatto che in questi casi le trasmissioni della TV3, come si evince dalle osservazioni delle parti, siano state diffuse (sia pure in lingue differenti) in Danimarca e Norvegia così come in Svezia indica che l'applicazione del principio - destinato a evitare che possa avvalersi del diritto comunitario un prestatore di servizi la cui attività è interamente o principalmente diretta verso lo Stato membro che intende invocarlo - non è adeguata.
49 Infine affronterò un argomento sostenuto dalla TV-Shop, la quale afferma che il principio della sentenza Van Binsbergen può essere invocato solo laddove tra le normative in questione - vale a dire la normativa che si cerca di eludere e la normativa alla quale è sottoposto invece il soggetto che elude - vi siano differenze apprezzabili. Dato che le norme relative alla pubblicità televisive sono in linea di massima simili in Svezia e in Inghilterra, essa sostiene che non c'è motivo per l'applicazione del principio.
50 E' ovvio che, laddove le normative in questione siano identiche quanto ad intenzioni e scopi, mancherebbe la portata pratica per l'applicazione del principio, poiché non si avrebbe nessun vantaggio nell'eludere una normativa in favore dell'altra. L'applicazione di tale principio ha, per ipotesi, una finalità allorché le differenze di normativa sono sufficienti a motivare l'insediamento di un'impresa in un altro Stato membro al solo scopo di sfruttare tali differenze. A mio avviso, non è né auspicabile né possibile stabilire qualsiasi regola generale sull'equivalenza necessaria dal punto di vista giuridico che escluda o faccia applicare tale principio.
51 L'effetto cumulativo dei punti sopra descritti è a mio avviso sufficiente per escludere qualsiasi argomento basato sulla sentenza Van Binsbergen in questo procedimento.
52 Non sono in ogni caso convinto che il principio, anche se applicabile, aiuterebbe coloro che lo invocano in questa causa. Un elemento di distinzione è che, in contrasto con la causa Veronica e la causa TV10, l'attuazione del provvedimento in questione nella presente causa viene tentata non contro la TV3, prestatrice dei servizi, che ha la sua sede in un altro Stato membro, ma contro l'inserzionista, che senz'altro è stabilito in Svezia. Sarebbe necessario un ulteriore sviluppo del principio della sentenza Van Binsbergen, perché esso fosse applicabile alle circostanze del caso di specie. Inoltre, ogni tentativo di sostenere che l'inserzionista voleva utilizzare un'impresa con sede in un altro Stato membro solo per eludere la normativa nazionale verrebbe sicuramente a naufragare, dato che le pubblicità in questione erano trasmesse anche su emittenti locali (la TV4 nella causa De Agostini e lo Homeshopping Channel nella causa TV-Shop).
53 Di conseguenza, non sono convinto da nessuno degli argomenti generali intesi a dimostrare che la direttiva sulla televisione non è applicabile nelle circostanze oggetto delle presenti cause. Tornerò ora sulla questione specifica sollevata dal giudice a quo, vale a dire se tale direttiva impedisce a uno Stato membro di adottare provvedimenti contro pubblicità televisive trasmesse da un altro Stato membro. La soluzione da dare a tale questione è a mio avviso in tutti i casi quella che la direttiva sulla televisione impedisce ad uno Stato membro di adottare siffatti provvedimenti.
54 L'art. 2, n. 2, della direttiva, sopra richiamato, vieta agli Stati membri di limitare la ritrasmissione nel proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri, per ragioni attinenti ai settori armonizzati dalla direttiva. Di conseguenza, la soluzione da dare alla questione sollevata dal giudice a quo dipende dal punto se la disciplina di pubblicità del genere controverso attenga a questi settori. La causa De Agostini riguarda in primo luogo pubblicità rivolte ai bambini; inoltre le conclusioni presentate dall'Ombudsman dei consumatori in subordine sembrano essere fondate sull'assunto che la pubblicità è parzialmente ingannevole e perciò contraria alla normativa sulle pratiche commerciali. Nella causa TV-Shop il motivo per il quale l'Ombudsman dei consumatori vuole vietare all'inserzionista di fare determinate affermazioni e suggerimenti nelle sue pubblicità sembra essere che le pubblicità sono ingannevoli e perciò contrarie alla normativa sulle pratiche commerciali. Esaminerò i due generi di pubblicità in modo distinto.
Pubblicità rivolta ai bambini
55 L'Ombudsman dei consumatori e i governi svedese, finlandese, norvegese ed ellenico tentano di motivare la limitazione della trasmissione in questione nella causa De Agostini sulla base del fatto che essa ha per scopo quello di tutelare i bambini dalla pubblicità televisiva.
56 A mio avviso tale obiettivo, sebbene in sé lodevole, rientra evidentemente nei settori coordinati dalla direttiva, nel qual caso si applica l'art. 2, n. 2, e lo Stato di ricezione non può limitare la ritrasmissione nel proprio territorio di trasmissioni da altri Stati. Giungo a tale conclusione partendo dalla ratio della direttiva e dalle disposizioni riguardanti la pubblicità.
57 Si evince dal ventisettesimo `considerando' che la direttiva stabilisce «un certo numero di norme minime e di criteri» per la pubblicità televisiva nell'interesse della tutela del consumatore. Il ventinovesimo, il trentesimo e il trentaduesimo `considerando' motivano in vari modi i divieti o le limitazioni di diversi generi di pubblicità televisiva, come il tabacco e i prodotti medicinali; questi motivi comprendono (nel trentaduesimo `considerando') la protezione dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minorenni nei programmi e nella pubblicità televisiva.
58 Il capitolo IV della direttiva, «Pubblicità televisiva e sponsorizzazione», stabilisce norme generali e specifiche per la disciplina della pubblicità attraverso trasmissioni televisive. Tale capitolo, che è costituito dagli artt. 10-21, stabilisce le norme che riguardano il tempo, il luogo e il modo nel quale le pubblicità possono essere trasmesse (artt. 10, 11, 18-20) e le norme che riguardano il contenuto della presentazione delle pubblicità (artt. 12-16).
59 L'art. 12 prescrive l'osservanza di determinati criteri generali di etica e criteri di interesse pubblico. L'art. 13 contiene un rigoroso divieto per tutte le forme di pubblicità televisive delle sigarette e degli altri prodotti del tabacco. L'art. 14 vieta la pubblicità televisiva di certi medicinali e cure mediche. L'art. 15 stabilisce diversi criteri ai quali la pubblicità delle bevande alcooliche deve conformarsi, tra cui quelli che vietano di rivolgersi espressamente ai minori o di presentare minorenni intenti a consumare tali bevande. Infine, l'art. 16 prevede che la pubblicità televisiva non deve arrecare un pregiudizio morale o fisico ai minorenni e che deve pertanto rispettare specifici criteri posti a loro tutela.
60 L'art. 21 impone agli Stati membri di assicurare che, qualora la trasmissione televisiva non sia conforme alle disposizioni del capitolo IV, vengano applicate misure idonee a garantire l'osservanza di tali disposizioni.
61 A mio avviso è evidente dal combinato disposto delle norme sopra richiamate che la direttiva stabilisce norme e criteri minimi che disciplinano la pubblicità televisiva, compresi i criteri per la tutela dei minori.
62 Pertanto ne deduco che il tipo di pubblicità qui in discussione, vale a dire la pubblicità rivolta ai bambini, rientra nella sfera di applicazione della direttiva, con la conseguenza che, in forza dell'art. 2, n. 2, uno Stato membro non può limitare la ritrasmissione nel proprio territorio.
63 Va rilevato che la Corte AELS è giunta alla medesima conclusione con riguardo al combinato disposto degli artt. 16 e 2, n. 2, nelle cause norvegesi sopra menzionate (31).
Pubblicità ingannevole
64 Sebbene le pubblicità nella causa TV-Shop costituiscano ciò che è noto come «televendite» ed esulino quindi dalla definizione di «pubblicità televisiva» ai sensi del capitolo IV della direttiva sulla televisione, esse ciò nondimeno costituiscono indiscutibilmente trasmissioni televisive ai sensi del capitolo II della direttiva, «Disposizioni generali». L'art. 2, n. 2, vieta le limitazioni alla ritrasmissione poiché rientrano nei settori coordinati dalla direttiva.
65 L'Ombudsman, i governi svedese e finlandese e la Commissione sostengono che la disciplina della pubblicità ingannevole non rientra nell'ambito della direttiva sulla televisione. A sostegno di tale affermazione sono formulati diversi argomenti.
66 Prima di affrontare tali argomenti, tuttavia, è opportuno descrivere brevemente la direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole (32) (in prosieguo: la «direttiva sulla pubblicità ingannevole»), poiché ad essa si fa riferimento da più parti.
67 La direttiva sulla pubblicità ingannevole si prefigge di rafforzare la tutela del consumatore e di porre fine alle distorsioni della concorrenza e agli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi derivanti dalle disparità esistenti fra le normative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole (33). Avendo presenti tali obiettivi, essa cerca di prevedere i criteri oggettivi minimi per stabilire se la pubblicità sia ingannevole e i requisiti minimi per approntare gli strumenti di tutela nei confronti di tali pubblicità. «Pubblicità» e «pubblicità ingannevole» sono definite in modo ampio (34) e indiscutibilmente vi rientrerebbero le false rappresentazioni del tipo di quelle che si asseriscono commesse nel corso di una trasmissione televisiva di telepromozioni.
68 Il primo argomento relativo al motivo per cui la direttiva sulla televisione non si applica alla pubblicità ingannevole è esposto dall'Ombudsman dei consumatori, il quale afferma che l'intento originale della proposta della Commissione di direttiva sulla televisione (35) indica chiaramente che la legge nazionale sulla pubblicità può essere applicata alle pubblicità transfrontaliere.
69 Poiché nulla vi è in tal senso nella proposta di direttiva - che al contrario fa espresso riferimento all'effetto negativo sulla libera circolazione delle merci e dei servizi causata dalle disparità nel settore della pubblicità radiotelevisiva (36) -, si deve ritenere che l'Ombudsman dei consumatori si riferisca alla relazione esplicativa presentata dalla Commissione e riguardante la proposta di direttiva (37).
70 In effetti viene affermato in tale relazione esplicativa che gli Stati membri dovrebbero continuare a poter applicare normative nazionali non discriminatorie in tema di pubblicità in generale per le trasmissioni transfrontaliere, purché queste normative siano necessarie, nell'interesse generale, a soddisfare esigenze imperative riguardanti, in particolare, la tutela della sanità pubblica, la correttezza delle operazioni commerciali e la tutela del consumatore (38). Tuttavia la relazione esplicativa precisa in seguito che tale possibilità andava applicata solo nei settori in cui non ci fosse stata armonizzazione (39). Poiché il settore della pubblicità ingannevole è stato armonizzato dalla direttiva sulla pubblicità ingannevole, non vi è possibilità per uno Stato membro di invocare la propria normativa in tale settore per ostacolare le trasmissioni transfrontaliere.
71 Tale interpretazione è coerente non solo con la relazione esplicativa, alla quale fa riferimento l'Ombudsman dei consumatori, ma anche con gli obiettivi di armonizzazione in generale.
72 L'Ombudsman dei consumatori richiama anche l'art. 11 della Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, che stabilisce al secondo paragrafo che le pubblicità non devono essere ingannevoli e non devono danneggiare gli interessi dei consumatori. Sebbene l'Ombudsman dei consumatori non l'abbia sviluppato ulteriormente, si può supporre che il suo argomento consista nel sostenere che la citazione espressa della pubblicità ingannevole nella Convenzione, mentre essa non è menzionata nella direttiva, suggerisce che l'omissione in quest'ultimo testo normativo sia voluta, il che rafforzerebbe di conseguenza il suo punto di vista, secondo cui la direttiva non si applicherebbe alla pubblicità ingannevole.
73 Tale argomentazione è a mio avviso errata.
74 La Convenzione sulla televisione transfrontaliera dev'essere vista nel suo contesto specifico: a differenza della direttiva sulla televisione, essa non è stata adottata nell'ambito di misure d'armonizzazione esistenti. Gli estensori della Convenzione presumibilmente ritenevano che, per beneficiare della libertà di ricezione che la Convenzione si prefiggeva di istituire, le pubblicità dovessero soddisfare un requisito generale, cioè che esse non dovevano essere ingannevoli e non dovevano danneggiare gli interessi dei consumatori. Poiché non esisteva alcun provvedimento che imponesse tale requisito, quest'ultimo fu incluso nella Convenzione. Gli estensori della direttiva sulla televisione, per altro verso, non avevano necessità di legiferare in tal senso poiché la direttiva sulla pubblicità ingannevole, emanata cinque anni prima della direttiva, già imponeva agli Stati membri di adottare norme a tutela dei consumatori contro la pubblicità ingannevole. Il fatto che la Convenzione detti norme sulla pubblicità ingannevole non rafforza, di conseguenza, l'argomento secondo cui la direttiva non si estenderebbe a tali pubblicità.
75 L'Ombudsman dei consumatori, il governo svedese e la Commissione richiamano il diciassettesimo `considerando' della direttiva sulla televisione a sostegno della loro tesi secondo cui tale direttiva non impedirebbe limitazioni alla ritrasmissione fondate sulla normativa sulla pubblicità ingannevole. Tale `considerando' stabilisce che la direttiva non pregiudica gli atti comunitari di armonizzazione esistenti o futuri, specie per rispondere ad esigenze imperative attinenti alla protezione dei consumatori, alla correttezza delle operazioni commerciali e alla concorrenza.
76 I vari argomenti addotti in ordine al significato e al senso da attribuire al diciassettesimo `considerando' non sono sempre facilmente comprensibili. Il filo conduttore sembra tuttavia essere che tra gli «atti di armonizzazione della Comunità», ai quali fanno riferimento, rientra in particolare la direttiva sulla pubblicità ingannevole e che l'effetto è che uno Stato membro può continuare a vietare trasmissioni pubblicitarie ingannevoli nel significato di tale direttiva e, presumibilmente, della sua normativa che attua tale direttiva.
77 A mio avviso, il `considerando' secondo il quale la direttiva sulla televisione non pregiudica gli atti comunitari di armonizzazione significa semplicemente ciò che dice: tali atti di armonizzazione non sono da essa pregiudicati. La direttiva sulla pubblicità ingannevole, di conseguenza, resta in vigore nella sua versione originale: gli Stati membri restano obbligati a garantire che il diritto nazionale appresti almeno la tutela minima contro la pubblicità ingannevole prescritta da tale direttiva. Non posso tuttavia essere d'accordo sul fatto che vi siano motivi per interpretarla nel senso che un settore che è stato oggetto di armonizzazione sia ipso facto posto al di fuori della sfera di applicazione della direttiva sulla televisione.
78 Il preambolo alla direttiva sulla pubblicità ingannevole, chiarendo gli obiettivi della direttiva, stabilisce che le disparità tra le disposizioni degli Stati membri ostacolano la realizzazione di campagne pubblicitarie oltre i confini e incidono quindi sulla libera circolazione di merci e servizi (40): per questo motivo, tra l'altro, essa si prefigge di armonizzare disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che riguardano la pubblicità ingannevole. Sarebbe assurdo che una direttiva che esplicitamente tende a incoraggiare la libera circolazione delle merci e dei servizi facilitando la pubblicità transfrontaliera potesse essere usata per l'effetto opposto.
79 Infine l'Ombudsman dei consumatori, il governo svedese e la Commissione sostengono che la pubblicità ingannevole non rientra tra i settori coordinati dalla direttiva sulla televisione ai sensi dell'art. 2, n. 2, cosicché uno Stato membro potrebbe limitare la ritrasmissione di trasmissioni pubblicitarie da un altro Stato membro sul motivo che esso contrasta con la legislazione dello Stato di ricezione dei messaggi pubblicitari ingannevoli. Tale argomento richiama in qualche modo i precedenti. Tuttavia, la Commissione muove distintamente dalla tesi secondo la quale, poiché non vi è alcuna norma specifica nella direttiva sulla televisione che disciplina la pubblicità ingannevole, quest'ultima non figura tra i settori coordinati.
80 Tale tesi, a mio avviso, confonde due diverse questioni, cioè i settori coordinati dalla direttiva e la materia specifica da essa regolata. Il primo concetto è cruciale nello stabilire se si applica l'art. 2, n. 2.
81 I settori coordinati dalla direttiva comprendono la promozione della distribuzione e produzione di programmi televisivi (capitolo III), pubblicità televisive e sponsor (capitolo IV), la tutela dei minori (capitolo V) e il diritto di rettifica (capitolo VI). Tale interpretazione, a mio avviso, si evince chiaramente dal programma e dagli obiettivi della direttiva; che questa sia l'interpretazione corretta è inoltre evidente dai lavori preparatori che indicano come la direttiva fosse intesa a coordinare i summenzionati settori (con, originariamente, «l'aggiunta del diritto d'autore») coordinando, tra l'altro, le leggi nazionali che possono essere fatte valere al fine di impedire la ricezione di trasmissioni transfrontaliere (41). Un'interpretazione restrittiva del concetto di «settori coordinati» dalla direttiva non è perciò corretta.
82 Tale opinione trova inoltre sostegno nelle conclusioni dell'avvocato generale Lenz nella causa Commissione/Belgio (42), nel contesto di una tesi con la quale si affermava che le nozioni di ordine pubblico, morale e sicurezza, poiché non sono esplicitamente o in ogni caso complessivamente menzionate nella direttiva, non rientrano tra i settori coordinati dalla direttiva ai sensi dell'art. 2, n. 2, con la conseguenza che uno Stato membro può limitare la ritrasmissione per motivi connessi a queste nozioni. L'avvocato generale Lenz ha respinto tale tesi, rilevando che tale interpretazione avrebbe in gran parte compromesso la liberalizzazione perseguita dalla direttiva, che è basata sul principio fondamentale dell'affidamento reciproco fra Stati. Il divieto di un secondo «controllo» sulle trasmissioni da parte dello Stato di ricezione è l'espressione di tale principio (43). La Corte ha accolto la posizione dell'avvocato generale (44).
83 L'avvocato generale Lenz sembra chiaramente sottintendere, anzitutto nelle sue conclusioni (45), che l'effetto del diciassettesimo `considerando' è che i settori ivi menzionati non sono fra i settori coordinati ai sensi dell'art. 2, n. 2. Tale considerazione, tuttavia, era stata fatta nell'ambito di vari argomenti superflui fondati su oggetti che evidentemente esulavano da questi settori, vale a dire i) una norma della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che precisa che non è in contrasto con il diritto di libertà di espressione il fatto che gli Stati esigano, tra l'altro, la licenza da parte di enti radiotelevisivi; ii) il diritto d'autore (che, sebbene in origine evidentemente inteso come settore coordinato, comprendente il capitolo V della proposta della Commissione (46), è stato rimosso dalla sfera di applicazione della direttiva durante l'iter di adozione); iii) l'art. 128, n. 4, del Trattato, che esige che la Comunità tenga conto degli aspetti culturali nella sua azione secondo il Trattato, e iv) il principio di sussidiarietà. Le considerazioni dell'avvocato generale sull'effetto del diciassettesimo `considerando' non dovrebbero essere interpretate in modo troppo estensivo.
84 Infine va sottolineato che l'opinione secondo la quale le normative nazionali sulla pubblicità ingannevole possono essere invocate per impedire la ritrasmissione di programmi da un altro Stato membro non solo intaccherebbe gravemente il principio dello Stato di trasmissione, ma darebbe luogo a significative difficoltà pratiche (47). Nelle presenti cause, come è pacifico, gli inserzionisti in questione sono svedesi, cosicché i rimedi per la pubblicità ingannevole presenti nell'ordinamento svedese potrebbero essere attuati nei loro confronti senza difficoltà di principio. Tuttavia, può prevedersi l'ipotesi frequente in cui, in un'analoga situazione, l'inserzionista interessato sia residente in un altro Stato membro. In tali circostanze, le difficoltà pratiche di porre in atto i rimedi presenti nella normativa dello Stato di ricezione sono evidenti.
85 In modo esplicito la Corte AELS nei procedimenti norvegesi sopra citati (48) ha espresso l'opinione secondo cui la direttiva sulla televisione non era intesa a precludere ad uno Stato di adottare provvedimenti ai sensi della direttiva sulla pubblicità ingannevole riguardo a una pubblicità che sia da considerare ingannevole ai sensi di quest'ultima direttiva (49). Tale commento, tuttavia, era chiaramente fatto incidentalmente ed è evidente dal testo della sentenza e della relazione d'udienza in quelle cause che la Corte AELS non ha affatto sentito le parti su tale argomento. In un settore in cui le normative sono già state armonizzate è difficile ravvisare motivi a sostegno della tesi secondo cui tali norme potrebbero essere fatte valere nei confronti di trasmissioni rispetto alle quali la direttiva sulla televisione garantisce la libertà di ricezione e ritrasmissione. Inoltre - come dimostrano infatti queste cause - il risultato di tale tesi sarebbe al tempo stesso insoddisfacente e anomalo, in quanto essa richiederebbe che le trasmissioni individuali siano concettualmente analizzate per stabilire quali brani rientrino nella sfera di tale direttiva e quali no.
86 A mio avviso, quindi, l'art. 2, n. 2, della direttiva sulla televisione impedisce ad uno Stato membro di limitare la ritrasmissione nel suo territorio di programmi televisivi da altri Stati membri basandosi sul fatto che le trasmissioni violano le proprie norme nazionali sulla pubblicità ingannevole.
87 Di conseguenza, concludo nel senso che la direttiva sulla televisione impedisce a uno Stato membro di adottare provvedimenti contro la trasmissione di pubblicità televisive da un altro Stato membro che siano rivolte ai bambini e che si asseriscono ingannevoli, ai sensi della direttiva sulla pubblicità ingannevole.
88 Tale conclusione sarebbe la stessa persino nell'ipotesi in cui - com'è stato sostenuto nel procedimento De Agostini (50) - il Regno Unito, sia pure apparentemente imponendo norme più rigorose di quelle richieste dalla direttiva nei confronti delle pubblicità dirette ai bambini (51), non controlli in realtà il rispetto di tali norme nell'ipotesi di programmi trasmessi all'estero, violando così gli artt. 2, n. 1, e 21 della direttiva. In tali circostanze il giusto iter per lo Stato di ricezione insoddisfatto sarebbe quello di agire contro lo Stato che trasmette ai sensi dell'art. 170 del Trattato o di sottoporre la questione all'attenzione della Commissione affinché essa agisca ai sensi dell'art. 169 (52).
89 Tale rimedio sarà ugualmente adeguato se lo Stato di ricezione considera che lo Stato di trasmissione non assicura, come stabilito dall'art. 2, n. 1, della direttiva sulla televisione, che i programmi trasmessi da emittenti soggette alla sua giurisdizione siano conformi alle sue norme applicabili a programmi destinati al pubblico in tale Stato membro, le quali, in materia di pubblicità, secondo il significato più ampio della direttiva sulla pubblicità ingannevole, includeranno le sue norme in materia di pubblicità ingannevole.
90 Va rilevato che la Commissione ha agito recentemente ai sensi dell'art. 169 contro il Regno Unito chiedendo che fosse dichiarato che il Regno Unito non aveva correttamente attuato la direttiva sulla televisione (53). Uno degli argomenti della Commissione riguardava il fatto che nel Regno Unito vi sono due regimi separati per servizi via satellite all'interno e all'esterno del paese; le norme applicabili a questi ultimi sono meno restrittive di quelle applicabili al primo (e inoltre si evidenzia da uno scambio di lettere con la Independent Television Commission - ITC - del Regno Unito, allegate alle osservazioni della TV-Shop, che la conformità a queste regole non viene affatto controllata nel Regno Unito quando le trasmissioni non sono in inglese). La Commissione ha sostenuto che tale distinzione costituiva una violazione degli artt. 2, n. 1, e 3, n. 2, della direttiva.
91 La Corte ha pronunciato la sua sentenza nel procedimento Commissione/Regno Unito il 10 settembre 1996, dichiarando che la censura della Commissione era fondata (54).
92 Infine, con riferimento al procedimento De Agostini, posso trattare in modo conciso la seconda questione relativa all'effetto della direttiva sulla televisione, ossia se essa precluda l'applicazione della legge nazionale che vieta pubblicità rivolte ai bambini riguardo all'emittente locale TV4. A mio avviso, è evidente che essa non preclude le limitazioni relative alla pubblicità ivi trasmessa, poiché ai sensi dell'art. 3, n. 1, gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere norme più rigorose nei confronti delle emittenti soggette alla loro giurisdizione. La questione se tale divieto contrasti con l'art. 30 del Trattato viene esaminata qui di seguito.
Le disposizioni del Trattato
93 Il giudice a quo chiede inoltre, anzitutto, in relazione a tutti e tre i procedimenti di cui trattasi, se l'art. 30 o l'art. 59 del Trattato osti a che uno Stato membro adotti provvedimenti contro le pubblicità televisive che un inserzionista riesca ad ottenere per una trasmissione da un altro Stato membro, e, in secondo luogo, in relazione solo al primo procedimento, se ciascuno di tali articoli precluda l'applicazione di una normativa nazionale che vieti la pubblicità rivolta ai bambini.
94 La prima di tali questioni non è più rilevante, data la mia opinione che la pubblicità in questione rientra nella sfera di applicazione della direttiva sulla televisione, il cui art. 2, n. 2, impedisce a uno Stato membro di prendere tali provvedimenti. Di conseguenza prenderò in esame la seconda questione che, come rilevato sopra, sembra dall'ordinanza di rinvio (55) far riferimento specificamente alle pubblicità trasmesse sull'emittente locale, la TV4. Occorre ricordare che la normativa nazionale vieta tutte le pubblicità per bambini, che le riviste in questione nel procedimento De Agostini erano state stampate in Italia e che la TV4 è un'emittente che trasmette al pubblico svedese e offre servizi (vale a dire spazi pubblicitari) a una società svedese.
L'articolo 30
95 La De Agostini sostiene essenzialmente che i divieti nazionali per quanto riguarda la pubblicità fatti valere dall'Ombudsman dei consumatori sono contrari all'art. 30, che vieta restrizioni quantitative delle importazioni e tutti i provvedimenti di effetto equivalente.
96 La Corte ha stabilito, nelle cause Keck e Mithouard (56), che disposizioni nazionali le quali limitino o vietino talune modalità di vendita non rientrano nell'art. 30, purché esse si applichino a tutti i commercianti interessati che operano nel territorio nazionale e purché esse incidano allo stesso modo, in diritto ed in fatto, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri (57). Se le misure in questione sono in contrasto con l'art. 30 dipende perciò, secondo l'attuale normativa, dal punto se esse rispondano a tali requisiti.
97 Riguardo alla prima questione, se cioè le misure limitino e vietino modalità di vendita, la Corte ha statuito nel procedimento Leclerc-Siplec (58) che un divieto di pubblicità televisiva in un particolare settore (distribuzioni) riguardava le modalità di vendita in quanto vietava una determinata forma di promozione (pubblicità televisiva) di un determinato metodo di smercio (distribuzione) (59). Una misura che vieta tale forma di promozione in rapporto ad una determinata categoria di potenziali consumatori o ad una particolare categoria di merci dev'essere considerata su tale base come modalità di vendita, posto che altre forme di promozione siano possibili ed efficaci per la categoria interessata. Se tale sia il caso, è compito del giudice a quo accertarlo come questione di fatto: va sottolineato che ciò viene decisamente contestato dalla De Agostini.
98 Inoltre, per rientrare all'interno della categoria di misure che, alla luce delle cause Keck e Mithouard, devono essere considerate come poste al di fuori della portata dell'art. 30, la misura in questione deve applicarsi a tutti gli operatori interessati all'interno del territorio nazionale e deve riguardare allo stesso modo, in diritto e in fatto, lo smercio dei prodotti nazionali e di quelli provenienti da altri Stati membri.
99 Il primo requisito è chiaramente soddisfatto in tutti questi casi. A mio avviso, tuttavia, la posizione non è così chiara per quanto riguarda il secondo requisito: condivido la preoccupazione della Commissione secondo cui l'effetto del divieto di tutte le pubblicità televisive rivolte ai bambini potrebbe essere più forte sui prodotti che provengono da altri Stati membri. Come ho sostenuto nelle mie conclusioni nel procedimento Leclerc-Siplec, sarebbe inconciliabile con gli obiettivi del Trattato interpretare la sentenza Keck e Mithouard nel senso che essa escluda dalla sfera di applicazione dell'art. 30 il divieto totale di pubblicità di un prodotto che può legittimamente essere venduto nello Stato membro nel quale il divieto viene applicato e in altri Stati membri: l'effetto di tale divieto sarebbe che i produttori in altri Stati membri troverebbero praticamente impossibile entrare nel mercato in cui è stato stabilito il divieto con la conseguenza che la misura equivarrebbe a una restrizione quantitativa degli scambi tra Stati membri (60). In qualsiasi modo si interpreti il criterio di distinzione definito dalla sentenza Keck e Mithouard, è facile arrivare alla conclusione che in pratica un tale divieto avrà quasi certamente apprezzabili ripercussioni sulle importazioni.
100 A fortiori la stessa preoccupazione nasce riguardo al divieto totale delle pubblicità televisiva di qualsiasi prodotto per una particolare categoria di consumatori. Di conseguenza ritengo che il divieto totale della pubblicità rivolta ai bambini sia in linea di principio in contrasto con l'art. 30.
101 Una misura applicabile senza distinzione e che limiti la libera circolazione delle merci può tuttavia essere compatibile con il Trattato qualora sia necessaria per soddisfare esigenze inderogabili connesse all'interesse generale e sia proporzionata al suo scopo (61).
102 E' un principio consolidato che la correttezza delle operazioni commerciali e la difesa del consumatore in generale rientrano tra gli obiettivi che possono giustificare restrizioni alla libera circolazione delle merci (62). La tutela di un settore particolarmente vulnerabile di consumatori come i bambini deve anche, a fortiori, costituire motivo di interesse pubblico, tale da giustificare simili restrizioni.
103 Inoltre, dev'essere dimostrato che il limite non eccede ciò che è necessario per conseguire gli obiettivi prefissati. In questa causa la Commissione ha espresso dubbi (nel contesto parallelo dell'art. 59) sul fatto che il divieto totale di pubblicità rivolta ai bambini possa senz'altro essere considerato come proporzionato all'obiettivo perseguito, sostenendo che tale obiettivo può essere conseguito con mezzi meno drastici di un divieto totale, per esempio con norme riguardanti il contenuto e la qualità o un obbligo di indicare il prezzo di articoli costosi. Un'altra possibilità potrebbe essere costituita dall'esenzione dal divieto per il materiale educativo.
104 A mio avviso, è in ogni caso ovvio che attenuare in tal modo il divieto sarebbe un metodo altrettanto efficace per venire incontro alle preoccupazioni del governo svedese secondo cui i bambini più piccoli, che non sono in grado di distinguere tra documentari e pubblicità, non dovrebbero venire esposti a quest'ultima. Di conseguenza, non sono convinto che il divieto sia necessariamente sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti. Va notato che la Corte ha ammesso - nel settore parallelo della giustificazione di misure alle quali si applica l'art. 59 - che determinati tipi di divieto di pubblicità, per esempio un divieto di pubblicizzare prodotti specifici o in determinati giorni, o limitazioni intese a permettere agli spettatori di non confondere la pubblicità con altre parti del programma, possono considerarsi accettabili: v. sentenza Collectieve Antennevoorziening Gouda (63) (anche se in tale sentenza la Corte ha statuito che i limiti non erano di fatto giustificati poiché il loro scopo e il loro effetto era quello di tutelare gli introiti dell'ente internazionale per la pubblicità televisiva).
105 Conseguentemente, concludo che l'art. 30 del Trattato non preclude l'applicazione di una normativa nazionale che vieta la pubblicità rivolta ai bambini di età inferiore ai dodici anni.
L'art. 59
106 Risulta evidente dalle precedenti pronunce della Corte che le trasmissioni televisive in generale e la trasmissione di pubblicità televisive in particolare rientrano nelle norme del Trattato relative ai servizi: v. in particolare la prima sentenza Sacchi (64). Sebbene tale sentenza riguardasse solo trasmissioni via terra (o via etere) e trasmissioni televisive via cavo, il principio che essa stabiliva si applicava in egual misura alla forma di programmi in questione in questi procedimenti, vale a dire la trasmissione via satellite (65).
107 La Corte ha in numerose occasioni preso in esame la compatibilità con l'art. 59 di restrizioni alla pubblicità televisiva (66). Nella sentenza Bond van Adverteerders e a. (67), la Corte ha analizzato l'effetto di un divieto di pubblicità e ha concluso che tale divieto consisteva in una duplice limitazione alla libertà di fornire servizi: anzitutto esso impediva agli operatori di un'emittente stabilitasi in uno Stato membro di ritrasmettere programmi televisivi forniti da emittenti (in quel caso con trasmissione via satellite) stabilite in altri Stati membri; in secondo luogo esso impediva a tali emittenti di programmare, per inserzionisti stabilitisi in particolare nello Stato membro in cui i programmi erano ricevuti, pubblicità rivolte al pubblico in tale Stato (68).
108 Le disposizioni del Trattato sulla libera prestazione dei servizi non possono tuttavia applicarsi ad attività i cui elementi pertinenti sono confinati ad un unico Stato membro: se questo sia il caso dipende dagli accertamenti di fatto che deve eseguire il giudice nazionale (69).
109 Nel caso delle pubblicità trasmesse sulla TV4, l'art. 59 sembra per tale motivo, viste le circostanze di questo procedimento, inapplicabile: la TV4 è un'emittente svedese che trasmette al pubblico svedese e che offre servizi a una società svedese, pur se appartenente a un gruppo internazionale con sede in Italia. E' comunque ovvio che tale articolo sarebbe applicabile alle norme nazionali controverse in altre circostanze che possono essere facilmente previste: per esempio, qualora l'inserzionista o gli spettatori non siano puramente locali.
110 Pertanto, concludo nel senso che nelle circostanze del procedimento De Agostini, l'art. 59 del Trattato non preclude l'applicazione di una norma nazionale che vieta le pubblicità rivolte ai bambini.
Conclusione
111 Di conseguenza, sono dell'opinione che le questioni sollevate dal Marknadsdomstolen andrebbero così risolte:
«1) L'art. 2, n. 2, della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive, vieta ad uno Stato membro di adottare provvedimenti nei confronti di pubblicità televisive trasmesse da un altro Stato membro.
2) Né la direttiva sopra citata né gli artt. 30 e 59 del Trattato ostano all'applicazione da parte di uno Stato membro di una normativa nazionale che vieti pubblicità rivolte a bambini di età inferiore ai dodici anni, ove l'inserzionista e l'emittente siano stabiliti nello Stato e le pubblicità vengano trasmesse su una televisione locale ricevuta esclusivamente da telespettatori di tale Stato».
(1) - Legge 1975: 1418. E' stato affermato durante l'udienza che tale normativa era stata sostituita, a partire dal 1_ gennaio 1996, da una nuova legge sulle pratiche commerciali, le cui disposizioni sono rimaste in sostanza le stesse.
(2) - Legge 1966: 755.
(3) - Legge 1991: 2027.
(4) - Legge 1992: 1356.
(5) - GU L 298, pag. 23.
(6) - Sentenza 16 giugno 1995, cause riunite E-8/94 ed E-9/94, Forbrukerombudet/Mattel Scandinavia e Lego Norge.
(7) - Punto 57 e dispositivo della sentenza.
(8) - Dodicesimo `considerando'.
(9) - Quattordicesimo `considerando'.
(10) - Quindicesimo `considerando'.
(11) - Diciassettesimo `considerando'.
(12) - Ventisettesimo `considerando'.
(13) - Trentaduesimo `considerando'.
(14) - L'art. 18 riguarda lo spazio pubblicitario consentito e non è rilevante per queste cause.
(15) - Sentenza 10 settembre 1996, causa C-222/94 (Racc. pag. I-4025); v. punti 35-42 della sentenza e v. anche paragrafi 32-75 delle conclusioni dell'avvocato generale Lenz.
(16) - Sentenza 3 dicembre 1974, causa 33/74 (Racc. pag. 1299).
(17) - Sentenza 3 febbraio 1993, causa C-148/91 (Racc. pag. I-487).
(18) - Sentenza 5 ottobre 1994, causa C-23/93 (Racc. pag. I-4795).
(19) - Punto 13.
(20) - Punto 2 del dispositivo della sentenza.
(21) - V. paragrafo 74 delle conclusioni nella causa C-11/95 (sentenza 10 settembre 1996, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-4115).
(22) - Ibid., paragrafo 75.
(23) - Punto 65 della sentenza.
(24) - V. il secondo `considerando'.
(25) - Citata nella nota 15; v. paragrafo 55 delle conclusioni.
(26) - Citate nella nota 6; punti 51-53 della sentenza.
(27) - Causa TV10, citata nella nota 18, punto 21 della sentenza. Il termine francese è forse più incisivo («de manière abusive»). Tuttavia non sembrano esservi avverbi equivalenti in olandese, che era la lingua processuale in quella causa.
(28) - Causa Veronica, citata nella nota 17, punto 13 della sentenza. Anche il termine francese è «abusivement»; di nuovo non ci sono equivalenti in olandese, lingua processuale.
(29) - V. paragrafo 74 delle conclusioni dell'avvocato generale nella causa Commissione/Belgio, citata nella nota 21. V., inoltre, l'analisi dell'avvocato generale Lenz nella causa TV10, citata nella nota 18 (paragrafi 62-68 delle sue conclusioni), riguardo ai fattori pertinenti a determinare l'aggiramento di disposizioni di legge da parte di una persona giuridica.
(30) - V. conclusioni dell'avvocato generale Lenz nella causa Commissione/Belgio, citata nella nota 21, paragrafo 75.
(31) - Citate nella nota 6; v. punti 31-41 della sentenza e dispositivo.
(32) - GU L 250, pag. 17.
(33) - Sentenza 16 gennaio 1992, causa C-373/90, Istruttoria contro X (Racc. pag. I-131, punto 9).
(34) - V. art. 2.
(35) - Proposta di direttiva del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività radiotelevisive (GU 1986, C 179, pag. 4).
(36) - V. il sedicesimo `considerando'.
(37) - COM(86) 146 def.
(38) - Punto 47.
(39) - Punto 48.
(40) - Quarto `considerando'.
(41) - V., in particolare, punti 1-3 e 24-30 della relazione esplicativa della proposta della Commissione, citata nella nota 37.
(42) - Citata nella nota 21.
(43) - V. paragrafi 99-101 delle conclusioni.
(44) - V. punti 88 e 92.
(45) - V. paragrafo 53.
(46) - Citata nella nota 35.
(47) - Questo punto è altresì menzionato, sia pure brevemente, dall'avvocato generale Lenz nelle sue conclusioni nella causa Commissione/Belgio, citata nella nota 21; v. paragrafo 103 delle conclusioni.
(48) - Citati nella nota 6.
(49) - V. punti 54-56 e 58 della sentenza.
(50) - V. paragrafo 90 delle presenti conclusioni.
(51) - V. punto 40 della sentenza della Corte AELS nelle cause norvegesi, citata nella nota 6.
(52) - V. sentenza Commissione/Belgio, citata nella nota 21, punti 34-37 della sentenza, e paragrafi 50 e 51 delle conclusioni dell'avvocato generale Lenz. V. anche sentenza della Corte 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I-2553, in particolare punti 19 e 20).
(53) - V. nota 15.
(54) - V. punti 70-75 della sentenza; v. anche paragrafi 84 e 85 delle conclusioni dell'avvocato generale Lenz.
(55) - Paragrafo 30.
(56) - Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91 (Racc. pag. I-6097).
(57) - Punto 16.
(58) - Sentenza 9 febbraio 1995, causa C-412/93 (Racc. pag. I-179).
(59) - Punto 22.
(60) - V. paragrafo 50 delle mie conclusioni.
(61) - Sentenza 20 febbraio 1979, cosiddetta «Cassis de Dijon», causa 120/78, Rewe-Zentral (Racc. pag. 649).
(62) - Ibidem, punto 8.
(63) - Sentenza 25 luglio 1991, causa C-288/89 (Racc. pag. I-4007, punto 27).
(64) - Sentenza 30 aprile 1974, causa 155/73 (Racc. pag. 409, punto 6). V. altresì il sesto `considerando' della direttiva sulla televisione.
(65) - V. in generale i commenti dell'avvocato generale Mancini, sentenza 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders e a. (Racc. pag. 2085), per quanto riguarda la costante rilevanza dei principi enunciati nella sentenza Sacchi nonostante i successivi avanzamenti della tecnica nei metodi di trasmissione.
(66) - V. sentenze Sacchi, citata nella nota 64; 18 marzo 1980, causa 52/79, Debauve e a. (Racc. pag. 833); Bond van Adverteerders e a., citata nella nota 65, e Collectieve Antennevoorziening Gouda, citata nella nota 63.
(67) - Citata nella nota 65.
(68) - Punto 22.
(69) - V., per esempio, sentenza Debauve e a., citata nella nota 66, punto 9, e sentenza TV10, citata nella nota 18, punto 14.