61995C0013

Conclusioni dell'avvocato generale La Pergola del 15 ottobre 1996. - Ayse Süzen contro Zehnacker Gebäudereinigung GmbH Krankenhausservice. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Arbeitsgericht Bonn - Germania. - Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa. - Causa C-13/95.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-01259


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1 Con le questioni pregiudiziali oggetto della presente causa la Corte è chiamata a precisare l'ambito di applicazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (1) (in prosieguo: la «direttiva»), ed a stabilire, in particolare, se la risoluzione di un contratto di appalto di servizi di pulizia con un'impresa e la sua successiva attribuzione ad altra impresa integri gli estremi del «trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parte di stabilimenti» a seguito di «cessione contrattuale» ai sensi della direttiva prima menzionata.

II - I fatti della causa

2 L'attrice nel procedimento principale, signora Ayse Süzen, ha lavorato, alle dipendenze della società convenuta, sin dall'aprile 1987 come addetta alle pulizie presso l'Aloisiuskolleg GmbH, un liceo privato gestito da religiosi, a Bonn-Bad Godesberg, di cui la stessa convenuta aveva ricevuto in appalto il servizio di pulizia dei locali.

Con lettera del 15 febbraio 1994 la convenuta ha comunicato all'attrice che l'appalto in questione sarebbe probabilmente venuto a cessare il 30 giugno 1994 e che di conseguenza essa era costretta, in via cautelare, a risolvere, a partire dal 30 giugno 1994, nel rispetto del termine previsto dalla legge per il licenziamento, il rapporto di lavoro che la legava all'attrice. La società convenuta ha nella suddetta lettera comunque proposto all'attrice di continuare il rapporto di lavoro qualora le fosse stato nuovamente attribuito l'appalto di pulizia in questione.

Il contratto di appalto della convenuta con l'Aloisiuskolleg è stato in effetti risolto con effetto al 30 giugno 1994. L'Aloisiuskolleg ha poi affidato l'appalto sopra riferito alla società Lefarth GmbH, interveniente adesiva nel giudizio principale a sostegno della convenuta, con decorrenza dal 1º agosto 1994. La ricorrente ha quindi citato dinanzi il giudice a quo la convenuta per far dichiarare la nullità del licenziamento a motivo della mancata osservanza dei termini di legge.

3 Per poter decidere della legittimità del licenziamento della ricorrente, ci dice il giudice remittente, occorre dapprima accertare se nella risoluzione del contratto d'appalto in esame nei confronti della società convenuta e nella sua successiva attribuzione alla società interveniente possa ravvisarsi un trasferimento di stabilimento o di parte di stabilimento ai sensi della direttiva. Se si perviene ad una siffatta conclusione, continua il giudice remittente, il rapporto di lavoro della ricorrente continuerebbe immutato con la società interveniente nel procedimento principale. Per tale ragione il giudice a quo ha ritenuto di dover porre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se, in base alle sentenze della Corte 14 aprile 1994, causa C-392/92, e 19 maggio 1992, causa C-29/91, il caso di un'impresa che risolve un contratto di appalto con un'impresa terza per trasferirlo ad altra impresa terza ricada nell'ambito di applicazione della direttiva 77/187/CEE, e

2) Se si possa considerare cessione contrattuale, ai sensi della direttiva, la fattispecie descritta al quesito precedente, qualora non vengano trasferiti elementi patrimoniali, materiali o immateriali, dell'impresa».

III - La normativa comunitaria rilevante

L'art. 1, primo comma, della direttiva prevede:

«1. La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione».

L'art. 4, primo comma, primo capoverso, della direttiva prevede:

«1. Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione. [...]»

IV - Esame della controversia

4 Le questioni sollevate dal giudice di rinvio pongono la Corte di fronte ad una scelta tra due alternative teoricamente percorribili. Per un verso, come meglio spiegherò, si può ritenere che la giurisprudenza della Corte ci conduca a ravvisare nella vicenda da cui trae origine la presente controversia un trasferimento di impresa. Il nostro caso sarebbe, così, subito ricondotto tra quelli disciplinati dalla direttiva. D'altra parte, la specie ci offre l'occasione per riflettere sui criteri adottati dalle pronunce che concernono la materia. La nozione di trasferimento di impresa che incontriamo nella direttiva abbisogna, infatti, di essere meglio precisata. L'interprete del diritto comunitario è, certo, chiamato a definire tale nozione come esige il sistema ed in particolare la disposizione della direttiva dettata a tutela del lavoratore per escludere che il trasferimento costituisca di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Il trasferire l'impresa o lo stabilimento è un atto negoziale, il cui contenuto tipico non è stato espressamente previsto, ma presupposto dal legislatore comunitario. Ora, la Corte ha ripetutamente avvertito che la figura del trasferimento di impresa accolta dalla direttiva non può «essere valutata in base alla sola interpretazione letterale» del dettato normativo, «date le divergenze tra gli ordinamenti nazionali sulla nozione di cessione contrattuale» (2). Il fatto che la nozione di trasferimento di impresa sia variamente intesa dall'uno all'altro ordinamento nazionale, e che il diritto comunitario non abbia, dal canto suo, rinviato per definirla ad alcuno di tali ordinamenti, non esclude tuttavia, a mio avviso, che la direttiva abbia pur sempre adoperato la nozione in esame con un preciso significato tecnico. Non diversamente, del resto, dall'altra, considerata nel testo della disposizione accanto alla cessione, e cioè quella della fusione. L'interprete si trova, dunque, di fronte al compito di precisare quanto meno il contenuto essenziale ed irriducibile del concetto di trasferimento di impresa per cessione. Questo è punto preliminare e su di esso ritengo dunque di dover impostare la soluzione del caso.

5 Se si ripercorre il cammino della giurisprudenza, appare manifesto che la Corte si è preoccupata di considerare il trasferimento d'impresa, di stabilimento, o di una sua parte, in maniera non formalistica, evitando di ancorare la definizione del fenomeno a rigidi criteri. Si desume, piuttosto, la tendenza a saggiare la nozione in esame, e a delinearla via via che la si adoperava, in relazione alle peculiarità del caso concreto. In questa sua attività ermeneutica, la Corte intende assicurare la più ampia possibile base di valutazione di ciascuna specie, senza tralasciare elementi utili per la compiuta qualificazione del negozio con cui si attua il trasferimento, il quale, giova ricordare, è un negozio, il più delle volte, a formazione complessa. Essa si è sovente limitata ad indicare i criteri che il giudice nazionale dovrà utilizzare per ricondurre la singola fattispecie all'una o all'altra delle situazioni rilevanti per il diritto comunitario. E nella stessa ottica la Corte rimette allo stesso giudice, dominus litis nell'incidente pregiudiziale, il compito di compiere tale accertamento, riconoscendo che quest'ultimo dispone dei dati fattuali che importano per l'esatta ricostruzione delle sottostanti vicende negoziali.

I criteri avanti riferiti sono enunciati soprattutto nella sentenza Spijkers (3), secondo la quale va preso in considerazione il «complesso di circostanze di fatto che caratterizzano l'operazione». Tale indirizzo è costantemente seguito dalla successiva giurisprudenza (4).

6 Si ricava parimenti dalla giurisprudenza della Corte (5) che un servizio accessorio di un'impresa, quando la relativa prestazione venga affidata ad un'entità terza, assume per ciò stesso una propria autonoma consistenza economica e funzionale; e l'attività così qualificata viene fatta rientrare nella categoria che rileva ai sensi della direttiva. Nella sentenza Schmidt (6), citata peraltro espressamente dal giudice di rinvio nelle domande pregiudiziali, si giunge perfino a riconoscere tale natura anche all'attività svolta da un solo dipendente.

Altro dato delle pronunce rese dalla Corte in questa materia è costituito dall'irrilevanza del modo di cessione con cui si realizza il trasferimento. Più precisamente, è stata ritenuta ininfluente la circostanza che il trasferimento dell'impresa o di parte di essa avvenga direttamente tra due soggetti, cedente e cessionario, ovvero che il passaggio della titolarità, che può attuarsi con diversi meccanismi contrattuali, si effettui solo in maniera indiretta, ponendo in essere un negozio trilatero. Esempi di questa apertura della Corte sono le sentenze Daddy's Dance Hall (7), Bork (8), Redmond Stichting (9) e Merckx (10).

7 Come sopra avvertivo, i criteri formulati dalla Corte in altra occasione, in particolare nel caso Schmidt, possono essere utilizzati per trattare il caso che ci concerne come analogo a quelli decisi in precedenza e ricondurlo sotto il disposto della direttiva. Sarebbe un'agevole soluzione. Devo però dire che essa mi lascia perplesso per più di una ragione. Affidare i servizi (di qualsivoglia tipo essi siano) di cui l'impresa necessita ad altra entità è una scelta compiuta in regime di concorrenza, che garantisce la competizione di più candidati. Non vedo come si possa poi giustificare che l'affidatario del servizio si ritrovi obbligato a mantenere anche il personale dell'impresa che in precedenza prestava gli stessi servizi, ma che è stata estromessa, o non è comunque risultata vincitrice della gara svolta in quell'occasione.

A parte ciò, vi è nella specie la totale assenza di rapporti tra due ditte che si sono avvicendate nella prestazione del servizio. L'unico elemento che possa in qualche maniera accomunarle è costituto proprio e soltanto dalla presenza dello stesso ente appaltante nei cui confronti è reso il servizio (11). Non mi sembra, però, che ciò basti per assimilare la specie a quelle in precedenza esaminate dalla Corte nei casi Daddy's Dance Hall, Schmidt e Merckx. Si noterà infatti, e d'altronde la parte convenuta nella presente causa lo ha rilevato, che nei casi in passato decisi dalla Corte esisteva, sempre e comunque, un legame con un'entità da cui le imprese, tra cui si è ritenuto che intervenisse il trasferimento, di fatto dipendevano. Così avveniva, per esempio, anche nel citato caso Redmond Stichting: due fondazioni traevano le loro risorse economiche dallo Stato (rectius, il Comune di Groninga), il quale era in tale modo arbitro della loro esistenza e ne condizionava il comportamento. Si è potuto di conseguenza ritenere, sebbene implicitamente, che la cessione fosse stata in quel caso realizzata per la comunanza di interessi e per l'unicità di volontà, di fatto quella dello Stato, da cui le fondazioni traevano i mezzi della loro sussistenza. L'una e l'altra fondazione cooperavano fra di loro nel quadro della comune dipendenza dalla pubblica autorità, ed avevano, infatti, concluso un accordo per il trasferimento delle conoscenze e delle risorse.

Ora, è questo elemento volontaristico, si manifesti esso sotto forma consensuale nel caso della cessione, ovvero abbia luogo per fusione, che caratterizza il trasferimento di impresa o di ramo aziendale e difetta evidentemente nella presente specie.

8 Ancora un aspetto di base al nostro caso, connesso con la seconda questione posta dal giudice a quo, merita tuttavia qualche ulteriore considerazione, ed è quello che concerne, appunto, la stessa nozione di cessione di impresa, di stabilimento o di una sua parte. La Corte, abbiamo visto, intende tale nozione in senso ampio, e ritiene d'altra parte che gli estremi del trasferimento vadano accertati volta per volta. E' un punto di vista che consente un'opportuna flessibilità di criteri di fronte alle varie situazioni che possono verificarsi nel contesto dell'economia comunitaria. Questo pregio della soluzione non toglie, però, che si debba, come avvertivo, pur sempre individuare il contenuto essenziale del trasferimento di impresa. Va chiarito a quale indispensabile presupposto è subordinata l'applicazione della direttiva. Ora, non mi pare che il criterio posto dalla Corte nella sentenza Spijkers abbia fissato il punto fermo della distinzione fra il caso in cui l'impresa o lo stabilimento sono trasferiti e quello in cui non ricorrono gli estremi di un tale negozio.

9 E' per tale ragione che ritengo che il trasferimento di impresa vada meglio definito e caratterizzato rispetto ad altre situazioni che non rispondono alla previsione della direttiva. Il caso attuale è del resto emblematico della necessità di delimitare la nozione che ci interessa con precisi tipi di confine. Altro è la risoluzione di un contratto di appalto con un'impresa e la sua successiva attribuzione ad altra impresa, come si atteggiano nella specie, altra cosa è il trasferimento.

Il minimo essenziale carattere di quest'ultima figura negoziale deve - e qui concordo con le deduzioni dei governi britannico, francese e tedesco, nonché della parte convenuta nel giudizio principale - essere individuato nell'effettivo trasferimento di beni materiali o immateriali, sempre, beninteso, sulla base volontaristica del rapporto che deve sussistere fra cedente e cessionario. Altro criterio, come sarebbe quello del mero proseguimento dell'attività precedentemente svolta da altra impresa, senza che sussista il trasferimento di beni o diritti, non offre sufficienti garanzie per discernere un caso dall'altro (12). E' vero, invece, il contrario: il passaggio da un soggetto ad altro di beni materiali o immateriali, coniugato con il proseguimento dell'attività in questione, può senz'altro costituire il dato discriminante per riconoscere esistenti i presupposti per l'applicazione della direttiva.

La conclusione cui sono ora giunto non risulta, a mio modo di vedere, per nulla inficiata dalla considerazione che le imprese che prestano i servizi del tipo in esame sono contraddistinte da un tasso assai ridotto di immobilizzazioni. La cessione di diritti e di beni che contribuiscono a formare ed a identificare l'impresa, ancorché essa sia di importo minimo, sussiste comunque anche nel caso di trasferimento di imprese o di stabilimenti che operano nel settore dei servizi.

10 Un'ultima considerazione sull'elemento relativo alla ripresa del personale. Il fine a cui tende la direttiva è senza dubbio quello di tutelare il mantenimento del posto di lavoro nelle ipotesi da essa previste. Ora, però, la circostanza che la maggior parte dei lavoratori addetti ad una specifica attività siano stati successivamente impiegati, con mansioni corrispondenti, presso altra impresa, non costituisce, a mio giudizio, il criterio determinante, il controlling test, per ritenere che l'attività in questione rivesta le caratteristiche di autonomia organizzativa che contraddistinguono la nozione di impresa, di stabilimento o di una sua parte. E' una circostanza che non depone da sola nel senso che qui vi è trasferimento di impresa, col necessario risultato di lasciar fermo il rapporto di impiego del personale non assunto dall'impresa che sopravviene nello svolgimento dell'attività o del servizio in questione. Se mai, come la Corte ha in più occasioni affermato (13), la ripresa da parte di quest'ultima impresa del nucleo essenziale del personale può soltanto rappresentare un elemento di valutazione, di cui tener conto insieme con gli altri criteri definiti dalla giurisprudenza, per accertare se vi sia, oppur no, proseguimento di attività. Solo se l'attività è proseguita e al tempo stesso un'impresa ha ceduto all'altra beni immateriali e materiali vi sarà trasferimento di impresa, di stabilimento o di una sua parte ai sensi della direttiva.

V - Conclusioni

11 Alla luce delle precedenti considerazioni propongo quindi alla Corte di rispondere nel seguente modo ai quesiti posti dall'Arbeitsgericht di Bonn:

«La risoluzione del contratto di appalto di servizi di pulizia nei confronti di un'impresa ed il successivo affidamento dello stesso appalto ad altra impresa, in mancanza di altri elementi che possano diversamente qualificare la situazione, non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 77/187/CEE».

(1) - GU L 61 del 5 marzo 1977, pag. 26.

(2) - Sentenza 7 febbraio 1985, causa 135/83, Abels (Racc. pag. 469), e sentenza 19 maggio 1992, causa C-29/91, Redmond Stichting (Racc. pag. I-3189).

(3) - Sentenza 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers (Racc. pag. 1119, in particolare punto 13).

(4) - Sentenza Redmond Stichting, causa C-29/91, già citata, e sentenza 12 novembre 1992, causa C-209/91, Watson Rask e Christensen (Racc. pag. I-5755).

(5) - Sentenza Watson Rask e Christensen, causa C-209/91, già citata.

(6) - Sentenza 14 aprile 1994, causa C-392/92 (Racc. pag. I-1311).

(7) - Sentenza 10 febbraio 1988, causa 324/86, Daddy's Dance Hall (Racc. pag. 739).

(8) - Sentenza 15 giugno 1988, causa 101/87, Bork (Racc. pag. 3057).

(9) - Sentenza Redmond Stichting, causa C-29/91, già citata in nota 2.

(10) - Sentenza 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Merckx e Neuhuys (non ancora pubbl. in Racc.).

(11) - V. al riguardo la soluzione data dalla Corte nella sentenza 10 settembre 1995, causa C-48/94, Rygaard (Racc. pag. I-2745), ad un caso che presentava ampie similitudini con quello ora in esame.

(12) - Sentenza Rygaard, causa C-48/94, già citata in nota 11.

(13) - Sentenza Spijkers, causa 24/85, già citata in nota 3, e sentenza Watson Rask e Christensen, causa C-209/91, già citata in nota 4.