61994J0125

SENTENZA DELLA CORTE (SESTA SEZIONE) DEL 5 OTTOBRE 1995. - APRILE SRL, IN LIQUIDAZIONE, CONTRO AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE DELLO STATO. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: GIUDICE CONCILIATORE DI MILANO - ITALIA. - TASSE DI EFFETTO EQUIVALENTE - DIVIETO - APPLICABILITA AGLI SCAMBI CON I PAESI TERZI. - CAUSA C-125/94.

raccolta della giurisprudenza 1995 pagina I-02919


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


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1. Questioni pregiudiziali ° Competenza della Corte ° Limiti ° Domanda di interpretazione che non solleva un problema di natura ipotetica ° Obbligo di statuire

(Trattato CE, art. 177)

2. Trasporti ° Trasporti di merci ° Agevolazione dell' attraversamento delle frontiere ° Direttiva 83/643 ° Ambito di applicazione ° Trasporti intracomunitari ° Scambi con i paesi terzi ° Esclusione

[Direttiva del Consiglio 83/643, artt. 1, n. 1, e 5, n. 1, lett a)]

3. Libera circolazione delle merci ° Scambi con i paesi terzi ° Dazi doganali ° Tasse di effetto equivalente ° Istituzione unilaterale da parte degli Stati membri ° Inammissibilità ° Competenza esclusiva della Comunità

(Trattato CE, artt. 9 e 113)

4. Libera circolazione delle merci ° Scambi con i paesi terzi ° Divieto di tasse di effetto equivalente sancito da accordi conclusi dalla Comunità o da regolamenti comunitari in materia agricola ° Portata identica a quella riconosciuta nel contesto intracomunitario

(Trattato CE, art. 9)

Massima


1. Nell' ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall' art. 177 del Trattato, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell' emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, dal momento che le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull' interpretazione di una norma comunitaria, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire.

La situazione sarebbe diversa se la Corte fosse chiamata a decidere su un problema di natura ipotetica. Tale caso però non ricorre qualora la Corte, quand' anche il giudice nazionale non avesse fornito una completa definizione dell' ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate, disponga di informazioni sufficienti sulla situazione oggetto della controversia di cui alla causa principale che le consentono di interpretare le norme di diritto comunitario e di risolvere in maniera utile le questioni sottopostele.

2. Dall' art. 1, n. 1, della direttiva 83/643, relativa all' agevolazione dei controlli fisici e delle formalità amministrative nei trasporti di merci tra Stati membri, come modificata dalla direttiva 87/53, emerge che, fatta salva l' applicazione di particolari disposizioni comunitarie in vigore che disciplinano gli scambi con taluni paesi terzi, le disposizioni di tale direttiva e, in particolare, il suo art. 5, n. 1, lett. a), secondo trattino, che fissa l' orario normale di apertura degli uffici doganali di confine, si applicano solo al trasporto delle merci tra Stati membri, con esclusione degli scambi con i paesi terzi e, segnatamente, con i paesi membri dell' EFTA.

3. A pena di arrecare una grave lesione sia all' unicità del territorio doganale comunitario sia all' uniformità della politica commerciale comune, gli Stati membri non possono imporre, ai sensi della sola normativa nazionale, tasse di effetto equivalente a dazi doganali negli scambi con i paesi terzi. E' quindi di competenza della sola Comunità, al fine di garantire che l' imposizione abbia in tutti gli Stati membri un' incidenza uniforme sugli scambi con i paesi terzi, fissare e, se del caso, modificare il livello dei tributi e delle tasse che gravano sui prodotti provenienti da detti paesi.

4. Qualora figuri in accordi bilaterali o multilaterali conclusi dalla Comunità con uno o più paesi terzi al fine di eliminare gli ostacoli agli scambi, come pure nei regolamenti del Consiglio relativi all' organizzazione comune dei mercati di vari prodotti agricoli per gli scambi con i paesi terzi, il divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali ha portata identica a quella che gli è riconosciuta nel contesto del commercio intracomunitario. Infatti, tali accordi e, a maggior ragione, i regolamenti agricoli verrebbero ad essere privati di gran parte della loro efficacia qualora la nozione di tassa di effetto equivalente che ivi figura dovesse essere interpretata più restrittivamente della corrispondente nozione contenuta nel Trattato.

Parti


Nel procedimento C-125/94,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CE, dal giudice conciliatore di Milano nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Aprile Srl, in liquidazione,

e

Amministrazione delle Finanze dello Stato,

domanda vertente sull' interpretazione degli artt. 3, lett. a) e h), 5, 9, 11, 12, 13, 16 e 189 del Trattato CE nonché della direttiva del Consiglio 1 dicembre 1983, 83/643/CEE, relativa all' agevolazione dei controlli fisici e delle formalità amministrative nei trasporti di merci tra Stati membri (GU L 359, pag. 8), come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1986, 87/53/CEE (GU 1987, L 24, pag. 33),

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dai signori F.A. Schockweiler (relatore), presidente di sezione, C.N. Kakouris, J.L. Murray, G. Hirsch e H. Ragnemalm, giudici,

avvocato generale: D. Ruiz-Jarabo Colomer

cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

° per la Aprile Srl, dagli avv.ti E. Beretta e A. Bozzi, del foro di Milano;

° per il governo italiano, dal prof. U. Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor F. Favara, avvocato dello Stato;

° per il governo danese, dal signor P. Biering, capodivisione presso il ministero degli Affari esteri, in qualità di agente;

° per la Commissione delle Comunità europee, dal signor A. Aresu, membro del servizio giuridico, in qualità di agente,

vista la relazione d' udienza,

sentite le osservazioni orali della Aprile Srl, del governo italiano, rappresentato dal prof. U. Leanza, assistito dal signor Fiorilli, avvocato dello Stato, del governo danese, rappresentato dai signori P. Biering e G. Larsen, Kammeradvocat, e della Commissione all' udienza dell' 11 maggio 1995,

sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 29 giugno 1995,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 26 aprile 1994, pervenuta in cancelleria il successivo 29 aprile, il giudice conciliatore di Milano ha sottoposto alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CE, cinque questioni pregiudiziali aventi ad oggetto l' interpretazione degli artt. 3, lett. a) e h), 5, 9, 11, 12, 13, 16 e 189 del Trattato CEE, divenuto poi Trattato CE, nonché della direttiva del Consiglio 1 dicembre 1983, 83/643/CEE, relativa all' agevolazione dei controlli fisici e delle formalità amministrative nei trasporti di merci tra Stati membri (GU L 359, pag. 8), come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1986, 87/53/CEE (GU 1987, L 24, pag. 33).

2 Dette questioni sono state sollevate nel contesto di una controversia tra la società di diritto italiano Aprile Srl, in liquidazione (in prosieguo: la "Aprile"), e l' Amministrazione delle Finanze dello Stato (in prosieguo: l' "Amministrazione") a seguito del rifiuto di quest' ultima di rimborsare alla Aprile tributi percepiti in violazione del diritto comunitario in occasione di operazioni doganali.

3 Con sentenze 30 maggio 1989, causa 340/87, Commissione/Italia (Racc. pag. 1483), e 21 marzo 1991, causa C-209/89, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1575), la Corte constatava che la Repubblica italiana era venuta meno alle disposizioni del Trattato sul divieto di tasse di effetto equivalente in quanto addebitava agli operatori economici, nell' ambito del commercio intracomunitario, il costo dei controlli e delle formalità amministrative espletati durante una parte dell' orario ordinario d' apertura degli uffici doganali dei posti di frontiera fissato dalla direttiva 83/643, come modificata dalla direttiva 87/53, e in quanto esigeva da ciascuna ditta singolarmente, nel caso di servizi resi contemporaneamente a più ditte in occasione del compimento delle formalità doganali nell' ambito degli scambi intercomunitari, il pagamento di un corrispettivo sproporzionato rispetto al costo dei servizi resi.

4 La Repubblica italiana si è conformata a dette sentenze adattando la propria normativa con effetto dal 13 giugno 1991 e, rispettivamente, dal 1 novembre 1992. Detti provvedimenti, tuttavia, non hanno preso in considerazione le situazioni precedenti alla loro entrata in vigore e, in particolare, il rimborso da parte dell' Amministrazione agli operatori economici interessati delle somme percepite dagli uffici doganali in violazione del diritto comunitario.

5 Dagli atti emerge che la Aprile, che svolgeva l' attività di spedizioniere presso l' aeroporto di Milano e che veniva dichiarata fallita il 20 ottobre 1992, aveva versato all' Amministrazione italiana la somma di 933 200 LIT a titolo di corrispettivo per le operazioni doganali effettuate il 22, 23, 24 e 26 novembre 1990 ai sensi della normativa nazionale la cui incompatibilità con il diritto comunitario è stata accertata nelle due sentenze sopra citate.

6 Il 30 marzo 1994 il curatore del fallimento adiva il giudice conciliatore di Milano con una domanda intesa ad ottenere il rimborso di dette 933 200 LIT.

7 Dinanzi al giudice l' Amministrazione ha sostenuto che la domanda era infondata. Da un lato, non sarebbero soddisfatte le condizioni poste dall' art. 29, secondo comma, della legge italiana 29 dicembre 1990, n. 428, recante disposizioni per l' adempimento di obblighi derivanti dall' appartenenza dell' Italia alle Comunità europee (Supplemento ordinario alla GURI n. 10 del 12 gennaio 1991), dato che, nella specie, il costo delle operazioni doganali controverse non sarebbe rimasto a carico della Aprile, la quale lo avrebbe trasferito su terzi. Dall' altro, le importazioni che hanno dato luogo alla riscossione dei tributi avrebbero, in parte, avuto ad oggetto merci provenienti da paesi terzi e, in particolare, da paesi membri dell' Associazione europea di libero scambio (in prosieguo: l' "EFTA") e quindi il diritto comunitario non si applicherebbe alla domanda nella sua integralità.

8 In deroga al diritto comune, l' art. 29, secondo comma, della menzionata legge, entrata in vigore il 27 gennaio 1991, subordina il rimborso dei tributi percepiti in applicazione di disposizioni di diritto nazionale in contrasto con il diritto comunitario alla condizione che l' onere indebitamente sostenuto dall' operatore non sia stato trasferito su altre persone, di modo che colui che domanda il rimborso non tragga profitto da un arricchimento senza causa. A questo riguardo, emerge dagli atti che i giudici italiani tendono a presumere il trasferimento dell' onere sui terzi. Inoltre la disposizione considerata trova applicazione anche se il rimborso ha ad oggetto somme versate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge. Infine, le domande di rimborso delle somme pagate in occasione di operazioni doganali sono soggette a un termine di decadenza di tre anni, mentre, secondo il diritto comune, tale termine è di dieci anni.

9 Le cinque questioni pregiudiziali, che con l' ordinanza del 26 aprile 1994 il giudice conciliatore di Milano aveva sottoposto alla Corte, vertevano, da un lato, sulla valutazione, con riferimento al diritto comunitario, delle soprammenzionate disposizioni della legge 29 dicembre 1990 (prima, seconda e terza questione) e, dall' altro, sull' applicabilità agli scambi con i paesi terzi della direttiva 83/643, come modificata dalla direttiva 87/53, nonché delle disposizioni del Trattato relative al divieto di tasse di effetto equivalente (quarta e quinta questione).

10 Dall' ordinanza pronunciata dal giudice conciliatore di Milano il 5 maggio 1995 e pervenuta nella cancelleria della Corte il successivo 8 maggio emerge che, nel corso del procedimento relativo alla causa principale, l' Amministrazione ha riconosciuto che l' art. 29 della legge 29 dicembre 1990 non era applicabile alla domanda di rimborso della Aprile, considerata la natura non fiscale dei versamenti oggetto della controversia, ed ha perciò rinunciato al mezzo difensivo basato su questa disposizione.

11 Ciò considerato, il giudice conciliatore di Milano, con ordinanza 5 maggio 1995, ha ritenuto che non fosse più necessario risolvere le prime tre questioni pregiudiziali ed ha invitato la Corte a pronunciarsi solo sulla quarta e sulla quinta questione figuranti nell' ordinanza 26 aprile 1994.

12 Tali questioni sono così formulate:

1) "Se, in virtù dei regolamenti (CEE) che hanno dato attuazione nella Comunità agli Accordi sottoscritti tra la Comunità economica europea e i paesi di ambito EFTA ed ai protocolli complementari agli accordi stessi ed alle successive modificazioni, le disposizioni della direttiva 83/643/CEE siano applicabili anche alle operazioni doganali aventi ad oggetto gli scambi CEE/EFTA, relativi ai prodotti contemplati negli accordi medesimi e nelle successive modificazioni di essi; in particolare, se, con riferimento alle operazioni doganali aventi ad oggetto prodotti contemplati nei suddetti Accordi CEE/EFTA, sia compatibile con le innanzi richiamate norme di diritto comunitario derivato la legislazione di uno Stato membro, del tipo di quella prevista dall' art. 15 del DPR 8 maggio 1985, n. 254, e dall' art. 11 del DPR 23 gennaio 1973, n. 43, che, al secondo comma, lett. b), disponeva (contrariamente a quanto previsto nell' art. 5, primo comma, secondo trattino, della direttiva 83/643/CEE del 1 dicembre 1983) l' orario ordinario di apertura degli Uffici doganali di confine per sei ore dal lunedì al venerdì, autorizzando l' addebito del 'costo del servizio' per le operazioni doganali eseguite oltre il detto orario ordinario" (quarta questione).

2) "Se ° ad integrazione e chiarimento di quanto statuito, con esplicito riguardo agli scambi intracomunitari, con la sentenza 21 marzo 1991 in causa C-209/89 resa nel caso Commissione/Italia ° i principi enunciati in detta sentenza 21 marzo 1991 siano applicabili anche agli scambi con i paesi terzi e con i paesi facenti parte dell' EFTA, in virtù delle norme del Trattato CEE sul divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali, sull' unione doganale e sull' istituzione della Tariffa doganale comune e le successive disposizioni di diritto derivato. In particolare, se, anche con riferimento alle operazioni doganali aventi ad oggetto il traffico con i paesi terzi, le rammentate disposizioni di diritto comunitario ostino all' introduzione e/o al mantenimento da parte di uno Stato membro di una normativa nazionale, quale quella introdotta dai decreti ministeriali 29 luglio 1971 (GURI n. 193 del 31 luglio 1971) e 30 gennaio 1979 (GURI del 5 febbraio 1979), in forza della quale agli operatori privati veniva imposto il pagamento del costo del servizio 'fuori orario' (cioè oltre l' orario ordinario di servizio) non già in base al costo orario del personale effettivamente impiegato per le operazioni doganali richieste e rese contemporaneamente allo spedizioniere doganale, ma un compenso unico per ciascuna operazione doganale richiesta, commisurato alla specie e alla durata del servizio più remunerativo compiuto, e indipendentemente dal pagamento addebitato separatamente per ciascuna delle altre operazioni doganali richieste dallo spedizioniere doganale e rese contemporaneamente al medesimo" (quinta questione).

Sulla ricevibilità

13 Secondo il governo italiano, le predette questioni sono irricevibili, per il motivo che sono astratte, non pertinenti né necessarie ai fini della soluzione della controversia di cui alla causa principale. Il giudice a quo non avrebbe, infatti, precisato di quale paese terzo fossero originarie le merci per le quali sono stati pagati i tributi di cui la Aprile chiede il rimborso.

14 Si deve a questo proposito rilevare che è pacifico che le importazioni controverse non hanno avuto esclusivamente ad oggetto merci provenienti da Stati membri. Dall' ordinanza di rinvio emerge che, nella causa principale, la stessa Amministrazione ha sostenuto che una parte delle merci importate dalla Aprile e colpite dai tributi di cui viene chiesto il rimborso erano originarie di paesi terzi.

15 Vista la predetta situazione, il giudice conciliatore di Milano, con ordinanza 26 aprile 1994, ha ritenuto necessario chiedere alla Corte se le disposizioni della direttiva 83/643, modificata con direttiva 87/53, come pure i principi enunciati, a proposito degli scambi intracomunitari, nella citata sentenza 21 marzo 1991, con riferimento al divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali, siano altresì applicabili agli scambi con i paesi terzi.

16 Secondo la costante giurisprudenza, nell' ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall' art. 177 del Trattato, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell' emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (v., ad esempio, sentenza 27 ottobre 1993, causa C-127/92, Enderby, Racc. pag. I-5535, punto 10).

17 Di conseguenza, dal momento che le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull' interpretazione di una norma comunitaria, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v. sentenza 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke, Racc. pag. I-4871, punto 24).

18 Per quanto riguarda le condizioni nelle quali la Corte, nella specie, viene adita dal giudice nazionale, è vero che questi non ha fornito una completa definizione dell' ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni da lui sollevate, in particolare perché non precisa i paesi terzi dei quali le merci considerate erano originarie.

19 Tuttavia, questa circostanza non è tale da rendere irricevibili le questioni pregiudiziali, essendo dimostrato che una parte delle merci importate dalla Aprile e colpite dai tributi che costituiscono l' oggetto della domanda di rimborso di detta società erano originarie di paesi terzi.

20 Sulla base di quanto sopra, la Corte, lungi dall' essere chiamata a decidere su un problema di natura ipotetica, dispone di informazioni sufficienti sulla situazione oggetto della controversia di cui alla causa principale che le consentono di interpretare le norme di diritto comunitario e di risolvere in maniera utile le questioni sottopostele.

21 Spetta poi al giudice a quo stabilire, sulla base delle circostanze di fatto della causa per la quale è stato adito, l' esatta origine delle merci considerate e, quindi, il regime giuridico al quale esse sono soggette.

Sulla prima questione

22 Con tale questione il giudice a quo vuole sapere, in sostanza, se la direttiva 83/643, come modificata dalla direttiva 87/53 e, in particolare, il suo art. 5, n. 1, lett. a), secondo trattino, sia applicabile alle operazioni doganali su merci provenienti da paesi terzi e, in particolare, dai paesi membri dell' EFTA.

23 La direttiva 83/643, nella versione modificata, è, come emerge dalla sua stessa intestazione, "relativa all' agevolazione dei controlli fisici e delle formalità amministrative nei trasporti di merci tra Stati membri".

24 Ai sensi dell' art. 1, n. 1, della direttiva 83/643,

"Fatte salve le disposizioni particolari vigenti nel quadro delle regolamentazioni comunitarie generali o specifiche, la presente direttiva si applica ai controlli fisici e alle formalità amministrative ° qui di seguito denominati 'controlli' e 'formalità' ° relativi ai trasporti di merci destinate a varcare

° una frontiera interna della Comunità o

° una frontiera esterna della Comunità, quando il trasporto fra Stati membri comporta l' attraversamento di un paese terzo".

25 Ne consegue che le disposizioni di tale direttiva si applicano solo ai trasporti di merci tra Stati membri, con esclusione degli scambi con i paesi terzi.

26 Tale interpretazione, del resto, è confermata dal preambolo della direttiva considerata.

27 Tuttavia, come emerge dalla formulazione stessa dell' art. 1, n. 1, della direttiva, questa non osta a che regolamentazioni comunitarie, tra cui quelle che disciplinano gli scambi con i paesi terzi, prevedano disposizioni particolari in materia.

28 La prima questione pregiudiziale deve pertanto essere risolta dichiarando che, fatta salva l' applicazione di particolari disposizioni comunitarie in vigore che disciplinano gli scambi con taluni paesi terzi, la direttiva 83/643, come modificata dalla direttiva 87/53 e, in particolare, il suo art. 5, n. 1, lett. a), secondo trattino, non è applicabile alle operazioni doganali relative alle merci provenienti da paesi terzi e, segnatamente, dai paesi membri dell' EFTA.

Sulla seconda questione

29 Con tale questione, il giudice a quo vuole, in sostanza, sapere se i principi relativi al divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali che la Corte ha fissato a proposito del commercio intracomunitario nella precitata sentenza 21 marzo 1991 siano applicabili agli scambi con i paesi terzi e, in particolare, con i paesi membri dell' EFTA.

30 In questa sentenza la Corte ha ritenuto che la Repubblica italiana ha violato il divieto di tasse di effetto equivalente ai sensi degli artt. 9, 12, 13 e 16 del Trattato applicando una normativa emanata nel 1971 e 1979, la quale, qualora in occasione di operazioni doganali effettuate nel contesto degli scambi intracomunitari venissero resi contemporaneamente a più imprese servizi espletati al di fuori del perimetro doganale o dell' orario ordinario di apertura degli uffici, poneva a carico di ciascuna singola impresa, per intero, l' indennità forfettaria corrispondente a un' ora di servizio.

31 Per dare una risposta utile al giudice a quo, si deve valutare, da un lato, se gli Stati membri abbiano il diritto di imporre unilateralmente tasse di effetto equivalente negli scambi con i paesi terzi e, dall' altro, quale sia la portata del divieto di tali tasse che figura in accordi conclusi dalla Comunità con paesi terzi o in regolamenti comunitari che disciplinano gli scambi con i paesi terzi.

32 Per quanto riguarda la prima ipotesi, va ricordato che l' unione doganale, la quale a norma dell' art. 9 del Trattato si estende al complesso degli scambi di merci, comporta una Tariffa doganale comune, che mira a realizzare il livellamento degli oneri gravanti sui prodotti importati dai paesi terzi alle frontiere esterne della Comunità, per evitare qualsiasi sviamento di traffico nei rapporti con detti paesi e qualsiasi distorsione nella libera circolazione dei prodotti fra gli Stati membri o nelle condizioni di concorrenza tra gli operatori economici.

33 Quanto alla politica commerciale comune, questa, essendo fondata, ai sensi dell' art. 113 del Trattato, su principi uniformi, specialmente per quanto concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali, come pure l' uniformazione delle misure di liberalizzazione, implica la soppressione delle disparità nazionali di carattere fiscale e commerciale che interessano gli scambi con i paesi terzi.

34 Grave sarebbe la lesione che verrebbe arrecata sia all' unicità del territorio doganale comunitario sia all' uniformità della politica commerciale comune qualora gli Stati membri fossero autorizzati a imporre unilateralmente tasse di effetto equivalente a dazi doganali sulle importazioni provenienti da paesi terzi.

35 E' del pari giurisprudenza costante che gli Stati membri non hanno la facoltà di aggiungere unilateralmente tributi nazionali ai dazi dovuti in forza della normativa comunitaria, a pena di fare ad essa perdere la sua necessaria uniformità (v., in particolare, sentenze 28 giugno 1978, causa 70/77, Simmenthal, Racc. pag. 1453, 16 marzo 1983, causa 266/81, Siot, Racc. pag. 731, 16 marzo 1983, cause riunite 267/81, 268/81 e 269/81, Racc. pag. 801, e 30 maggio 1989, Commissione/Italia, già citata).

36 Al fine di garantire che l' imposizione abbia in tutti gli Stati membri un' incidenza uniforme sugli scambi con i paesi terzi, è quindi di competenza della sola Comunità fissare e, se del caso, modificare il livello dei tributi e delle tasse che gravano sui prodotti provenienti da detti paesi.

37 Gli Stati membri non possono di conseguenza imporre, in forza della sola normativa nazionale, tasse di effetto equivalente negli scambi con i paesi terzi.

38 Per quanto riguarda la seconda ipotesi, si deve rilevare, come ricordato dall' avvocato generale ai paragrafi 43 e 44 delle sue conclusioni, che il divieto di tasse di effetto equivalente figura espressamente in un certo numero di accordi bilaterali e multilaterali conclusi dalla Comunità con uno o più paesi terzi e intesi ad eliminare gli ostacoli frapposti agli scambi, come pure nei regolamenti del Consiglio relativi all' organizzazione comune dei mercati dei vari prodotti agricoli e che disciplinano gli scambi con i paesi terzi.

39 In questa ipotesi non esiste alcun motivo per interpretare il divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali in modo diverso a seconda che si tratti del commercio intracomunitario o degli scambi con i paesi terzi disciplinati da siffatti accordi o regolamenti di settore.

40 Gli accordi di questo tipo, infatti, hanno l' obiettivo di consolidare e di estendere le relazioni economiche esistenti tra le parti nonché di eliminare, a tal fine, gli ostacoli agli scambi fra i quali i dazi doganali all' importazione e le tasse di effetto equivalente con essi strettamente connesse. Tali accordi verrebbero pertanto ad essere privati di gran parte della loro efficacia qualora la nozione di tassa di effetto equivalente che ivi figura dovesse essere interpretata più restrittivamente della corrispondente nozione contenuta nel Trattato (v. sentenza 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a., Racc. pag. I-4625, punto 26).

41 Il medesimo ragionamento deve valere, a maggior ragione, per la determinazione della portata del divieto di tasse di effetto equivalente sancito nei regolamenti relativi ad organizzazioni comuni di mercati agricoli che disciplinano gli scambi con i paesi terzi (v., ad esempio, sentenza 14 dicembre 1971, causa 43/71, Politi, Racc. pag. 1039, punto 7).

42 Alla luce di quanto sopra considerato, si deve risolvere la seconda questione pregiudiziale nel senso che gli Stati membri non possono imporre unilateralmente tasse di effetto equivalente negli scambi con i paesi terzi. Nell' ipotesi in cui il divieto di tasse di effetto equivalente figuri in accordi bilaterali o multilaterali conclusi dalla Comunità con uno o più paesi terzi al fine di eliminare gli ostacoli agli scambi come pure nei regolamenti del Consiglio relativi all' organizzazione comune dei mercati di vari prodotti agricoli per gli scambi con i paesi terzi, la portata di tale divieto è la stessa di quella riconosciutagli nel contesto del commercio intracomunitario.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

43 Le spese sostenute dai governi danese e italiano, come pure dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE (Sesta Sezione),

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal giudice conciliatore di Milano con ordinanza 26 aprile 1994, come modificata con ordinanza 5 maggio 1995, dichiara:

1) Fatta salva l' applicazione di particolari disposizioni comunitarie in vigore che disciplinano gli scambi con taluni paesi terzi, la direttiva del Consiglio 1 dicembre 1983, 83/643/CEE, relativa all' agevolazione dei controlli fisici e delle formalità amministrative nei trasporti di merci tra Stati membri, come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1986, 87/53/CEE e, in particolare, il suo art. 5, n. 1, lett. a), secondo trattino, non è applicabile alle operazioni doganali relative alle merci provenienti da paesi terzi e, segnatamente, dai paesi membri dell' EFTA.

2) Gli Stati membri non possono imporre unilateralmente tasse di effetto equivalente negli scambi con i paesi terzi. Nell' ipotesi in cui il divieto di tasse di effetto equivalente figuri in accordi bilaterali o multilaterali conclusi dalla Comunità con uno o più paesi terzi al fine di eliminare gli

ostacoli agli scambi come pure nei regolamenti del Consiglio relativi all' organizzazione comune dei mercati di vari prodotti agricoli per gli scambi con i paesi terzi, la portata di tale divieto è la stessa di quella riconosciutagli nel contesto del commercio intracomunitario.