CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
NIAL FENNELLY
presentate il 27 giugno 1996 ( *1 )
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Il presente rinvio pregiudiziale riguarda il trattamento ai fini dell'IVA di buoni emessi da un'impresa per essere successivamente usati nei suoi negozi per acquistare beni scelti su cataloghi. Tali questioni sono state proposte dal Value Added Tax Tribunal di Londra. |
I — Contesto giuridico e di fatto
2. |
La Argos Distributors Ltd, ricorrente nella causa principale (in prosieguo: la «Argos»), è un rivenditore al dettaglio su catalogo. Essa elenca le proprie merci in un catalogo e le vende nelle sue oltre 300 sale di esposizione a clienti che scelgono in base al catalogo. Tali clienti possono pagare le merci in diversi modi, tra i quali l'impiego di buoni emessi dalla Argos e venduti al loro valore nominale o, secondo il quantitativo, con uno sconto a terzi, i quali ne curano la distribuzione a privati che, a loro volta, li utilizzano per acquistare merci dalla Argos. Per ordini del valore nominale di almeno 500 UKL, lo sconto è pari al 5% del valore nominale dei buoni. Inoltre, per gli acquisti di buoni che superano le 10000 UKL e le 50000 UKL in un dato anno viene accordato uno storno rispettivamente, dell'I % o del 2,5% ( 1 ). |
3. |
I buoni sono emessi sotto forma di biglietti stampati con un valore nominale in sterline e un numero di serie. Quando il buono viene utilizzato, tale numero consentirebbe teoricamente alla Argos di ricostruire attraverso i suoi registratori di cassa informatizzati il prezzo al quale esso era stato inizialmente venduto. La Argos vende i buoni sia a imprese che li distribuiscono come incentivi ai propri dipendenti o agenti sia a imprese di servizi finanziari che, pur attraverso diversi metodi operativi, li rivendono a clienti per un corrispettivo pieno. Solo in casi eccezionali tali clienti conosceranno l'importo dello sconto ottenuto presso la Argos. I singoli possono anche acquistare i buoni in qualsiasi esposizione della Argos per uso proprio o per regalarli ( 2 ). |
4. |
La questione al centro del procedimento nazionale riguarda l'imposta a valle sul valore aggiunto (in prosieguo: l'«IVA») dovuta dalla Argos per l'importo in buoni delle operazioni di vendita di merci effettuate utilizzando buoni. Per determinare la base imponibile, i Commissioners for Customs and Excise, amministrazione fiscale nazionale resistente nel procedimento a quo (in prosieguo: i «Commissioners»), hanno sempre seguito l'idea che il valore nominale del buono costituisca corrispettivo effettivo in contanti della cessione delle merci, senza tener conto dell'eventuale sconto con il quale esso era stato inizialmente venduto. Il 14 marzo 1993 la Argos ha presentato ai Commissioners una domanda di rimborso di 1363245 UKL per una parte dell'IVA versata dal 1° aprile 1983 al 27 marzo 1993, asserendo di aver ricevuto come corrispettivo soltanto il prezzo scontato e non il pieno valore nominale dei buoni. In seguito al rigetto di tale domanda da parte dei Commissioners, la Argos ha presentato ricorso al Value Added Tax Tribunal di Londra (in prosieguo: il «Tribunal») ( 3 ). |
5. |
Il Tribunal ha ritenuto che l'interpretazione della nozione di «corrispettivo» sollecitata dai fatti di cui al procedimento principale necessitasse l'interpretazione dell'art. 11, parte A, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la «sesta direttiva») ( 4 ) e ha disposto il presente rinvio pregiudiziale. Le disposizioni pertinenti dell'art. 1, parte A, sono le seguenti: «Articolo 11 A. All'interno del paese 1. La base imponibile è costituita:
(...) 3. Non vanno compresi nella base imponibile: (...)
(...)» |
6. |
La sesta direttiva è stata attuata nel Regno Unito dal Value Added Tax Act 1983 e successive modifiche. L'art. 10, n. 2, dispone che il valore della cessione «è quell'importo che, con l'aggiunta dell'imposta applicabile, è pari al corrispettivo». L'art. 10, n. 1, tuttavia, subordina espressamente l'applicazione dell'art. 10, n. 2, alle disposizioni dell'allegato 4 dell'Act. Il paragrafo 6 dell'allegato stabilisce che: ( 5 ) «Se il diritto a ricevere un bene o una prestazione per un importo indicato su un gettone, un bollino o un buono viene acquisito per un corrispettivo, ai fini di questa legge non si tiene conto di tale corrispettivo se non nella misura in cui esso eventualmente superi l'importo suddetto». Nel Regno Unito, quindi, la vendita di buoni non è soggetta all'IVA. L'unica operazione imponibile è la vendita delle merci quando il ruolo del buono viene in rilievo come corrispettivo. |
7. |
Il Tribunal afferma che, seguendo la sentenza della Corte nella causa Boots Company ( 6 ), il problema va impostato decidendo dapprima se l'espressione «i ribassi e le riduzioni di prezzo concessi all'acquirente o al destinatario della prestazione ed acquisiti al momento in cui si compie l'operazione» di cui all'art. 11, parte A, n. 3, b), della sesta direttiva possa trovare applicazione laddove la Argos accetta i buoni in pagamento totale o parziale del prezzo altrimenti dovuto per le sue merci. Commentando l'«ingegnosa tesi» della Argos secondo cui potrebbe individuarsi un nesso diretto tra la vendita dei buoni all'acquirente originario e la successiva vendita delle merci al cliente nei suoi negozi, il Tribunal ritiene che «è difficile dire che la riduzione ottenuta dall'acquirente iniziale può essere attribuita all'acquirente della merce facendola così rientrare nell'espressione “concessi all'acquirente” di cui all'art. 11, parte A, n. 3, lett. b)». |
8. |
Il Tribunal esprime dubbi sulla validità della tesi avanzata in subordine dalla Argos sulla base dell'art. 11, parte A, n. 1, lett. a), secondo la quale la parte del corrispettivo coperta dal buono è rappresentata dal suo prezzo di vendita scontato. Il Tribunal, pur riconoscendo che un corrispettivo da parte di un terzo è esplicitamente dichiarato ammissibile, propende per l'idea che il valore di tale corrispettivo debba essere quello attribuitogli dalle parti al negozio di vendita delle merci, ossia la Argos e il cliente che presenta il buono. Il Tribunal ritiene accertato che il cliente è in genere del tutto ignaro di quanto inizialmente pagato per il buono. |
9. |
Il Tribunal conclude affermando che «riflette bene la realtà commerciale» considerare un buono del genere come un corrispettivo pari al suo valore nominale. Esso sottolinea inoltre il fatto che l'art. 22, n. 3, obbliga la Argos a rilasciare fatture per le vendite a soggetti imponibili. A suo parere, queste devono indicare chiaramente il prezzo concordato tra le parti e non possono essere soggette a una modifica sulla base di elementi conoscibili solo da una delle parti negoziali (ossia la Argos), né, a maggior ragione, possono essere esposte a modifiche retroattive se successivamente un terzo acquista titolo a uno sconto maggiore. |
10. |
Il Tribunal, convinto che la sentenza Boots non ha risolto le questioni d'interpretazione dell'art. 11, parte A, della sesta direttiva sollevate nel presente caso, ha deciso di proporre alla Corte le seguenti questioni:
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II — Osservazioni presentate alla Corte
11. |
La Argos, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la Repubblica ellenica e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e orali. |
III — Disamina delle questioni proposte alla Corte
A — La terza questione
12. |
Comincerò con la terza questione proposta dal Tribunal. Tale impostazione è conforme alla posizione della Corte secondo cui l'art. 11, parte A, n. 3, lett. b), è una mera applicazione della regola posta nell'art. 11, parte A, n. 1, a), che è oggetto di tale questione ( 7 ). La questione s'incentra sul ruolo svolto dal buono come corrispettivo nell'acquisto di merci vendute dalla Argos. Partendo dal presupposto che il buono è qualcosa che, almeno in parte, «costituisce il corrispettivo» della fornitura di merci, il Tribunal solleva il punto centrale in discussione, ossia se esso rappresenti il suo intero valore nominale o solo l'importo scontato ricevuto dalla Argos vendendolo a un terzo. |
13. |
Su questo punto la Argos concentra la propria argomentazione, che chiama «Analisi A», sul complesso delle sue operazioni e afferma che l'IVA dovrebbe essere calcolata solo sul suo reale fatturato e non su quello che essa chiama la «cifra fittizia superiore». Essa cita l'art. 2 della prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari ( 8 ) (in prosieguo: la «prima direttiva»), secondo cui l'IVA consiste in «un'imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell'imposizione». |
14. |
Essa richiama, per esempio, la causa Glawe ( 9 ) per l'affermazione secondo cui l'IVA colpisce solo il fatturato reale, in quel caso quello di un fornitore di servizi. Il servizio era l'installazione e la gestione di macchine da gioco e l'imposta doveva essere calcolata solo sull'importo, più o meno fisso, del 40% delle giocate totali trattenuto dal titolare delle macchine; le macchine erano predisposte meccanicamente per pagare ai giocatori almeno il 60% delle giocate. |
15. |
La Argos sostiene che il suo fatturato reale è la somma degli importi che ricava dalla vendita dei buoni e delle merci acquistate in tutto o in parte con essi. Essa reclama in tal modo il diritto di detrarre gli sconti accordati all'atto della vendita dei buoni per ridurre il proprio fatturato imponibile totale, dato che, nel Regno Unito, la vendita di buoni non è imponibile. La sola operazione imponibile è la vendita delle merci che il Regno Unito tassa al loro valore nominale intero. Sottolineando il proprio fatturato reale supposto, la Argos trascura il vantaggio di liquidità che le deriva dalla vendita anticipata dei buoni, combinato con la piccola percentuale di buoni che non vengono utilizzati. |
16. |
La validità di tale argomento della Argos dipende dall'interpretazione dell'art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva ( 10 ). Il buono prende parte a due operazioni. Innanzi tutto esso è oggetto di una prima vendita indipendente da parte della Argos a un terzo. In secondo luogo, esso è a sua volta usato per rappresentare parzialmente o totalmente il prezzo di acquisto di merci. Per essere tassata solo sul valore di vendita scontato dei buoni, a mio parere la Argos dovrebbe logicamente sostenere che il prezzo di vendita del buono costituisce «il corrispettivo (...) versato al fornitore (...) per tali operazioni da parte (...) di un terzo». La Argos non segue tale impostazione. Nella propria argomentazione relativa alla terza questione, essa ammette che il buono stesso rappresenta il corrispettivo per la vendita delle merci quando viene presentato a copertura totale o parziale del prezzo delle merci. Essa si limita a dire che il valore rappresentato dal buono è l'importo ricevuto dalla Argos per averlo in precedenza venduto. |
17. |
Naturalmente la Argos è indotta a non fondarsi sul corrispettivo ricevuto da un terzo. L'espressione «per tali operazioni» ne precluderebbe l'applicazione. «Tali operazioni» sono, in questo contesto, le cessioni di beni dalla Argos ai suoi acquirenti. Il corrispettivo per tali cessioni potrebbe, in linea di principio, provenire da un terzo ed esso sarebbe in tal misura tassato. Esso deve però essere pagato come corrispettivo per «tali operazioni». Il prezzo del buono, però, non è pagato come corrispettivo per la cessione di beni, ma per il buono. Si potrebbe sostenere, in diritto contrattuale, che esso è anche pagato come corrispettivo per l'accordo della Argos a fornire merci del proprio catalogo non ancora identificate a un portatore del buono non ancora identificato. La Argos si obbliga a fornire merci nel limite del suo valore nominale a qualsiasi portatore. Tuttavia, il correspettivo per la cessione delle merci è rappresentato dal buono piuttosto che dal suo prezzo di vendita precedente. Il Regno Unito e la Grecia sottolineano che il buono rappresenta il corrispettivo per la vendita delle merci e la Argos non contesta ciò. In mano a un possibile acquirente, il buono rappresenta un diritto a chiedere che la Argos lo accetti al valore nominale in pagamento del prezzo di catalogo di merci proposte. In tal modo esso ha valore. |
18. |
Il fatto che vendendo il buono la Argos prometta di onorarlo al valore nominale quando venga successivamente presentato per l'acquisto di merci, può far sì che tale promessa sia parte del corrispettivo per il prezzo pagato da chi compra il buono; ma ciò non risolve la questione di quale sia il corrispettivo per la successiva vendita di merci. Tale risposta è contenuta nell'art. 11, parte A, n. 1, lett. a), come interpretato dalla Corte. Tale disposizione stabilisce in primo luogo la regola «secondo cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto» ( 11 ). Inoltre, nella sentenza «patate olandesi», la Corte, trattandosi di un servizio, ha dichiarato che esso era tassabile qualora «sia effettuato a titolo oneroso e [che] l'imponibile della prestazione stessa [è] costituito da tutto ciò che è ricevuto quale corrispettivo del servizio; deve perciò esistere un nesso diretto fra il servizio reso e il controvalore ricevuto» ( 12 ). Questa regola è stata applicata costantemente alla cessione di beni e servizi. È esemplare in materia la sentenza Naturally Yours ( 13 ). Il contribuente, un grossista di cosmetici operante tramite consulenti di bellezza, faceva organizzare riunioni da ospiti private per la vendita dei suoi prodotti. Le consulenti di bellezza ricevevano a prezzo ridotto un vasetto di crema come «dono ricordo» per ricompensare le ospiti private. Se, per qualsiasi motivo, la riunione di vendita non aveva luogo, il dono doveva essere restituito alla Naturally Yours oppure pagato al normale prezzo di ingrosso. La Corte ha esaminato la questione se vi fosse «un nesso diretto fra la cessione del bene fornito ad un prezzo inferiore al prezzo corrente e il valore del servizio che deve essere reso dal consulente di bellezza» ( 14 ). Essa ha concluso che tale nesso esisteva e che il prodotto doveva essere tassato a prezzo intero. Nel presente caso il nesso diretto manca. Le vendite dei buoni e quelle delle merci si svolgono indipendentemente l'una dall'altra. |
19. |
Lo sconto originario non incide sull'operazione di vendita delle merci né vi gioca alcun ruolo. I prezzi sono presentati in cataloghi nei quali i clienti possono scegliere le merci. Ogni cliente compila «un modulo di scelta del cliente» indicando con un numero di riferimento le merci prescelte e la quantità richiesta. A seconda del tipo di negozio particolare, un commesso completa il modulo oppure inserisce i dati direttamente in un terminale. Benché sia in teoria possibile accertare lo sconto praticato alla prima vendita del buono, nella pratica ciò non viene fatto. Il Tribunal ha appurato che solo raramente il cliente ha conoscenza di tale sconto. Naturalmente ciò non avrebbe alcuno scopo. Al buono viene riconosciuto l'intero valore nominale. Nel pagamento delle merci acquistate, esso vale come contante. Quindi, se i buoni costituiscono chiaramente un corrispettivo ricevuto dall'acquirente delle merci e non da un terzo qualsiasi, ritengo che il loro valore possa solo essere il valore nominale e non il prezzo precedentemente scontato in un negozio con un terzo. |
20. |
A questo punto credo di dover commentare il richiamo, che mi sembra non pertinente, effettuato dalla Argos a certa giurisprudenza della Corte. Nella causa «patate olandesi», la Corte ha dichiarato che il valore del corrispettivo effettivamente ricevuto è «soggettivo» e non è un valore determinato secondo criteri oggettivi ( 15 ). Riferendosi alle conclusioni dell'avvocato generale Cruz Vilaça nella causa Naturally Yours, la Argos sostiene che il valore del corrispettivo dipende dai fatti dei singoli contratti sottoscritti piuttosto che dalla disposizione d'animo del cliente ( 16 ). |
21. |
Nelle osservazioni presentate in questa causa viene riconosciuto che, in tale contesto, il termine «soggettivo» non viene utilizzato nel suo senso normale, ma piuttosto per descrivere il valore assegnato dalle parti a elementi chiave del negozio; un significato che potrebbe essere ugualmente descritto come «oggettivo». In questo caso, il nodo è distinguere ed escludere qualsiasi valutazione ritenuta indipendente, diversa da quella adottata dalle parti, allo scopo di valutare il corrispettivo di una vendita ( 17 ). Anche tale punto viene risolto in modo decisivo nella sentenza Naturally Yours. «I contraenti hanno ridotto in una determinata misura il prezzo di vendita all'ingrosso del vasetto di crema (...) di conseguenza, è possibile conoscere il valore pecuniario che i due contraenti hanno attribuito a tale servizio» ( 18 ). Tale ragionamento si applica allo stesso modo nel presente caso per valutare il buono. Esso rappresenta un corrispettivo per il prezzo concordato, «soggettivo», delle merci al suo pieno valore nominale. In questo senso, quindi, concordo con il Regno Unito sul fatto che l'attribuzione ai buoni del valore nominale è coerente con decisioni come la Naturally Yours. |
22. |
Nella causa Bally ( 19 ), riguardante la richiesta del contribuente di essere tassato per un fatturato ridotto nella misura in cui i clienti pagavano le merci con carte di credito, lo stesso risultato è stato raggiunto con un procedimento leggermente diverso. In quel caso, il fornitore riceveva il prezzo ridotto del 5% a causa della commissione addebitata dalle società di gestione della carta di credito. La Corte ha sottolineto che il prezzo finale per il consumatore comprendeva l'importo dell'IVA effettivamente addebitatagli. La base imponibile non poteva variare quando il venditore denunciava il suo fatturato al fisco. Tale ragionamento si applica allo stesso modo nella presente causa. Che usino o no dei buoni per i loro acquisti, i clienti della Argos pagano lo stesso prezzo. |
23. |
Mi sembra anche chiaro che la sentenza Glawe non soccorre la Argos. Quella causa riguardava essenzialmente le operazioni compiute ad un singolo stadio tra due parti: i proprietari o gestori di macchine da gioco d'azzardo e i giocatori. Non era necessario valutare il corrispettivo con riferimento ad operazioni precedenti. La Argos, sottolineando il proprio fatturato complessivo e gli importi effettivamente ricevuti, manca di affrontare correttamente il punto del corrispettivo e delle merci per le quali viene versato, ossia allo stadio della vendita al dettaglio tra lei e i suoi clienti. |
24. |
La Commissione sostiene che la vendita dei buoni dovrebbe essere considerata ai fini dell'IVA come un negozio separato. Essa tuttavia sostiene la richiesta della Argos di considerare come uno sconto l'intero valore dei buoni (oggetto della seconda questione) piuttosto che'la posizione della stessa nell'ambito della terza questione. A mio parere, è importante occuparsi solo delle questioni proposte. Concordo con la Commissione che ci troviamo di fronte a due negozi distinti ( 20 ). Le questioni proposte nella presente causa non riguardano la correttezza o meno delle esenzioni IVA da parte del Regno Unito sulla vendita dei buoni; tale punto non va quindi affrontato. Rimane il fatto che la vendita dei buoni, tassabile o no, è un negozio distinto; quello in esame è invece un altro, ossia la vendita delle merci. Sottoscriverei l'approccio suggerito dall'avvocato generale Gulmann nella causa Bally. Egli ha rilevato l'esenzione IVA del negozio tra la Bally e l'emittente della carta di credito, ma non ha ritenuto necessario risolvere questioni relative a rapporti che non erano all'esame della Corte ( 21 ). Seppure vi fosse in precedenza un distinto negozio tassabile, relativo alla vendita dei buoni, esso non inciderebbe sulla tassazione della vendita delle merci ( 22 ). |
25. |
Pertanto, è a mio parere chiaro che, nelle circostanze descritte, il corrispettivo rappresentato dal buono è il suo valore nominale. È questo il valore che gli viene assegnato dai contraenti. Se un cliente desidera acquistare un prodotto dovrà fornire un corrispettivo o per mezzo di buoni o con altri mezzi di pagamento per l'importo del prezzo di catalogo. Le merci non saranno consegnate a meno che tale corrispettivo non sia disponibile. Pertanto, se viene utilizzato un buono, il corrispettivo da esso rappresentato nel negozio è il suo valore nominale. |
B — La seconda questione
26. |
Esaminiamo ora la seconda questione con la quale si chiede sostanzialmente se lo sconto accordato dalla Argos all'acquirente originario del buono rientri nell'espressione «i ribassi e le riduzioni di prezzo concessi all'acquirente o al destinatario della prestazione ed acquisiti al momento in cui si compie l'operazione», ai fini dell'art. 11, parte A, n. 3, lett. b), della sesta direttiva. |
27. |
La Argos indica questa come la sua linea principale sostenuta dinanzi al Tribunal. Essa è oggetto delľ«Analisi B» nelle sue osservazioni scritte ed è stato il tema principale delle sue difese orali. La Argos invoca in particolare la giurisprudenza Boots. La Argos è sostenuta in questo dalla Commissione. |
28. |
Nell'«Analisi B», la Argos afferma che, se nella vendita delle merci il buono non rappresenta un corrispettivo nella misura diminuita dello sconto sul suo prezzo di vendita, esso va quindi considerato uno sconto sul prezzo. |
29. |
Questo argomento, esposto in termini semplici, pone alla Argos un grave dilemma. Lascerò da parte, per il momento, la necessità che lo sconto sia acquisito al momento della fornitura delle merci. Ma, in tal caso, qual è l'importo dello sconto? La Argos dice dapprima che è la differenza tra la somma di denaro pagata per buono ed il suo valore nominale; in altre parole è lo sconto accordato per la vendita del buono. Essa però prosegue dicendo che, in subordine, lo sconto potrebbe essere l'intero valore nominale del buono e suggerisce che, alla luce della sentenza Boots, sarebbe preferibile quest'ultima analisi. Così facendo, essa abbandona completamente, secondo me, l'argomento del «fatturato reale» su cui si basa il suo approccio alla terza questione. |
30. |
Essa suggerisce altresì che l'importo pagato per il buono all'atto del suo acquisto non è un corrispettivo per alcuna fornitura di merce: l'acquirente delle merci non paga alcun corrispettivo alla Argos nella misura del valore nominale del buono. Devo dire, in primo luogo, che tale analisi è errata. Finché il buono rimane in circolazione esso rappresenta una potenziale pretesa verso la Argos di fornire merci per il suo valore nominale. La sua consegna al punto di vendita costituisce quindi il corrispettivo. |
31. |
Non concordo neanche sul fatto che sia sostenibile l'una o l'altra delle due versioni alternative dello sconto indicate al paragrafo 29, supra. Lo sconto concesso sulla prima vendita del buono non gioca alcun ruolo nella vendita delle merci. Il prezzo indicato nel catalogo viene completamente pagato o in contanti o con buoni al loro valore nominale. Gli archivi informatici della Argos sono irrilevanti per il prezzo addebitato per le merci o per il valore assegnato al buono come corrispettivo e, in ogni caso, l'acquirente non è al corrente di tale sconto. Lo sconto non è quindi «acquisito al momento in cui si compie l'operazione». |
32. |
L'alternativa è considerare i buoni come uno sconto pari al loro intero valore nominale. Questa ipotesi presenta un problema diverso. Tuttavia, è chiaro almeno che esso è acquisito al momento in cui si compie l'operazione. La Argos sarebbe quindi tassata sul prezzo delle merci meno il valore nominale di ogni buono. Se i buoni fossero usati per pagare l'intero prezzo, non vi sarebbe corrispettivo, oppure vi sarebbe uno sconto per l'intero valore delle merci e conseguentemente nessuna IVA ( 23 ). L'argomento della Argos non può essere respinto semplicemente perché un tale risultato sarebbe inaccettabile. Se l'imposta è pagabile o meno dipende dalla corretta interpretazione della sesta direttiva e, in questo caso, richiede un'attenta riflessione sulla decisione della Corte nella causa Boots. |
33. |
Boots è una conosciutissima catena di negozi nel Regno Unito che vendono soprattutto articoli medicinali e di toletta. Per promuovere le vendite, essa distribuiva in vari modi tagliandi di riduzione di prezzo, alcuni da ritagliare in inserzioni pubblicitarie nella stampa, alcuni in depliant distribuiti gratuitamente e alcuni stampati sulla confezione di prodotti venduti nei negozi Boots o inseriti nella stessa. In ogni caso, un cliente di Boots poteva presentare un tagliando per ottenere una riduzione di prezzo pari al valore stampato sullo stesso ( 24 ). I Commissioners (che erano l'amministrazione fiscale resistente anche nella causa Boots) ammettevano che l'uso di tagliandi distribuiti gratuitamente portava uno sconto sul prezzo e l'IVA doveva essere pagata soltanto sul prezzo ridotto. La controversia riguardava l'uso dei tagliandi ricevuti all'atto di acquisti precedenti di merci nei negozi Boots. I Commissioners erano dell'idea che il tagliando ottenuto in un precedente acquisto di questo tipo doveva essere considerato come ricevuto contro corrispettivo e quindi incluso, al suo valore nominale, nel corrispettivo delle merci con esso acquistate. |
34. |
Il caso Boots riguardava quindi l'applicazione dell'art. 11, parte A, n. 3, lett. b), come la seconda questione di cui al presente caso. L'avvocato generale Van Gerven affermava che questa norma «enuncia due condizioni che debbono essere soddisfatte cumulativamente: innanzi tutto deve trattarsi di una riduzione o di un ribasso concessi all'acquirente del bene o al destinatario del servizio; in secondo luogo la riduzione o il ribasso devono essere concessi all'acquirente o al destinatario al momento in cui si effettua l'operazione di acquisto» ( 25 ). Egli osservava che la seconda condizione non presentava difficoltà in quel caso. Come ho detto, ciò è vero solo se parliamo di uno sconto pari al valore nominale dei buoni. Se ci occupiamo di uno sconto nel senso del prezzo ridotto dei buoni, questo chiaramente non viene concesso al momento dell'acquisto delle merci. Se lo sconto che si fa valere è il pieno valore nominale, dobbiamo vedere se vi è un vero sconto. |
35. |
Nel caso Boots, come anche nel presente, vi era un'operazione precedente che portava all'emissione del tagliando o del buono. Il tagliando di cui alla causa Boots, però, era un prodotto accessorio dell'operazione. L'avvocato generale Van Gerven lo assimilava al caso del tagliando consegnato gratuitamente in un depliant ( 26 ). Poiché esso costituiva per il venditore un obbligo e non un vantaggio, l'avvocato generale riteneva che esso non rappresentasse un corrispettivo nella successiva vendita di un prodotto comprato con il tagliando. Egli ha ritenuto che questo era un caso di riduzione di prezzo, e la Corte è stata d'accordo con lui. È importante l'interpretazione della Corte: «risulta dalle caratteristiche giuridiche ed economiche del buono (...) che, benché su di esso sia indicato un “valore nominale”, il buono non viene acquisito dall'acquirente a titolo oneroso e non costituisce altro che un documento nel quale è incorporato l'obbligo assunto dalla Boots di concedere al portatore del buono e in cambio di quest'ultimo una riduzione al momento dell'acquisto della merce a prezzo ridotto. Il “valore nominale” esprime quindi solo l'importo della riduzione promessa». Questo brano chiarisce — e le parti della causa Boots erano d'accordo su questo — che il significato del «corrispettivo» in diritto comunitario non va determinato in base allo specifico ruolo che esso svolge nel diritto contrattuale di uno o più Stati membri ( 27 ). Per interpretare la sesta direttiva in modo da assicurare una imposizione neutrale e uniforme ( 28 ), la Corte ha quindi tenuto conto delle caratteristiche economiche e giuridiche del buono. |
36. |
Il presente caso è comunque differente. Innanzi tutto è chiaro che l'acquirente originario acquista il buono a titolo oneroso. La cessione del buono è l'unico corrispettivo che la Argos dà per ricevere denaro nella prima operazione. Esso non è solo un aspetto accessorio di una precedente operazione, come nel caso Boots. Infatti in cambio del buono viene dato il pieno valore. Anche se la presente causa riguarda buoni venduti con una riduzione, la Argos li vende anche al valore nominale ( 29 ). Il Tribunal, nell'ordinanza di rinvio, spiega lo sconto. Esso dice che in tutti i casi di cui ai procedimenti principali i buoni «sono o sono stati venduti in blocco ad un prezzo ridotto rispetto al loro valore nominale»; in particolare «viene praticato uno sconto standard del 5% sugli ordini di almeno 500 UKL», con storni aggiuntivi per ordini molto grandi. Il vantaggio per la Argos non ha solo la forma di una promozione delle vendite, come nel caso Boots. Il Tribunal spiega che la Argos riceve un vantaggio in termini di liquidità. Inoltre una piccola percentuale di buoni, stimata al 2%, non viene mai utilizzata. Infine, lo sconto non è «concesso all'acquirente» ai sensi dell'art. 11, parte A, n. 3, lett. b), ma piuttosto all'acquirente del buono ( 30 ). |
37. |
Secondo la Argos, un buono, una volta emesso, è pienamente e liberamente trasferibile ( 31 ). Esso si comporta quindi come un titolo trasferibile. Se utilizzato in un negozio Argos, vale come contante. Inoltre, i buoni possono essere utilizzati per pagare qualsiasi parte del prezzo delle merci Argos, persino l'intero prezzo. Come dice il Regno Unito nelle sue osservazioni scritte, distinguendo tra un mezzo di pagamento e un diritto ad una riduzione di prezzo, esso è abbastanza simile a un «buono libro», che pure viene frequentemente usato per pagare libri per intero. Infatti, come rilevato sopra, la Argos ha un proprio sistema di buoni regalo ( 32 ). Il Regno Unito arriva a definire come insensata l'idea che ci sia uno sconto pari al 100% del prezzo quando i buoni Argos vengono usati per pagare interamente le merci. |
38. |
Non credo che i buoni Argos rappresentino uno sconto sul prezzo delle merci acquistate con essi. Non è necessario tracciare alcuna sottile distinzione rispetto al caso Boots. Questo caso è completamente diverso a motivo della natura propria dei buoni. Poiché questi vengono pagati per intero in denaro, a condizioni in cui lo sconto rappresenta semplicemente una riduzione per acquisti in blocco, essi diventano dei buoni atti a svolgere una funzione completamente diversa da uno sconto. In sostanza diventano una forma di pagamento. |
39. |
Come discusso nel paragrafo 22, supra, il caso Bally fornisce un approccio illuminante che distingue ulteriormente il caso Boots da quello presente. Nel caso Bally la Corte non era disposta ad accettare che al cliente potesse essere addebitato un importo di IVA incorporato nel prezzo delle merci, mentre il fornitore ne avrebbe versato al fisco uno inferiore, in quanto aveva ricevuto dalla società di gestione delle carte di credito un importo inferiore. Lo stesso vale qui. Come detto sopra, la Argos non potrebbe avere un fatturato diverso nelle sue cessioni di merci a seconda che i suoi clienti abbiano pagato in contanti, in assegno o carte di credito o di addebito, oppure con buoni. In questo caso la discrepanza sarebbe ancora più grande. L'importo rappresentato dal buono non si dovrebbe limitare alla commissione del 5% delle società di gestione delle carte di credito di cui al caso Bally. Peraltro, nel caso Boots, c'erano solo due parti negoziali. Lo sconto concesso all'acquirente riduceva la sua IVA incorporata e la Boots aveva diritto di effettuare sulla stessa base la propria denuncia fiscale. |
40. |
Pertanto risolverei in senso negativo anche la seconda questione. Alla luce di queste posizioni, la prima questione non si pone. |
IV — Conclusione
Propongo pertanto alla Corte di risolvere nel seguente modo le questioni proposte dal Value Added Tax Tribunal di Londra:
«1) |
L'art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, va interpretato nel senso che, quando un fornitore di merci abbia venduto con uno sconto ad un acquirente un buono che viene successivamente utilizzato per il pagamento totale o parziale di merci da parte di un cliente che non era l'acquirente del buono e che non conosce di regola l'importo che è stato pagato per lo stesso, il corrispettivo rappresentato dal buono è pari al suo valore nominale. |
2) |
L'utilizzo di buoni nelle circostanze descritte sopra non costituisce uno sconto o riduzione ai sensi dell'art. 11, parte A, n. 3, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio». |
( *1 ) Lingua originale: l'inglese.
( 1 ) Risulta alla Corte che in caso di ordini ingenti il livello dello sconto può essere aumentato per via negoziale
( 2 ) Chiaramente su queste vendite non viene praticato alcuno sconto, a meno cne tali singoli siano disposti ad acquistare buoni per un valore di almeno 500 UKL.
( 3 ) Nelle sue osservazioni scritte il Regno Unito sottolinea che, dopo il rinvio pregiudiziale, il Tribunal è stato rinominato VAT and Duties Tribunal.
( 4 ) GU 1977, L 145, pag. 1.
( 5 ) Nelle sue osservazioni scritte il Regno Unito sottolinea che questo paragrafo e stato ora ricollocato nel paragrafo 5 dell'allegato 6 del Value Added Tax Act 1994.
( 6 ) Sentenza 27 marzo 1990, causa C-126/88 (Race. pag. I-1235), in prosieguo indicau come la sentenza «Boots».
( 7 ) V., ad esempio, sentenza Boots, punto 19.
( 8 ) GU 1967, n. 71, pag. 1301.
( 9 ) Sentenza 5 maggio 1994, causa C-38/93 (Race. pag. I-1679).
( 10 ) Tale articolo, come disposizione di diritto comunitario indipendente dal diritto degli Stati membri, deve ricevere un'interpretazione comunitaria. Esso non dipende quindi dal diritto contrattuale di nessun particolare Stato membro. V., ad esempio, sentenza 5 febbraio 1981, causa 154/80, Coöperatieve Aardappelcnbcwaarplaats (Race. 1981, pag. 445; in prosieguo semplicemente indicata come «patate olandesi», punto 9). Mentre la sentenza «patate olandesi» riguardava il concetto di «corrispettivo» ai sensi dell'art. 8, leu. a), della seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/228/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Strutture e modalità di applicazione del sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (GU 1967, n. 71, pag. 1303), successivamente la Corte «ha precisato che, data la “finalità legislativa comune” delle due direttive occorre tener conto, nell'interpretazione della sesta direttiva, della giurisprudenza relativa alla seconda direttiva» [v. conclusioni dell'avvocato generale Cruz Vilaça sulla causa 230/87, Naturally Yours Cosmetics/Commissioners of Customs and Excise (Race. 1988, pag. 6365; in prosieguo semplicemente indicata come «Naturally Yours»), ove egli si riferisce al punto 10 della sentenza nella causa 102/86, Apple and Pear Development Council/Commissioners of Customs and Excise (Race. 1988, pag. 1443)].
( 11 ) V. sentenza Boots, punto 19.
( 12 ) V. sentenza «patate olandesi» punto 12 e, per la cessione di beni, v. la sentenza Naturally Yours.
( 13 ) Nella sentenza Naturally Yours la Corte ha affermato che un «nesso direno deve sussistere anche fra la cessione di un bene e il corrispettivo ricevuto ai sensi dell'art. 11, leu. A, n. 1, sub. a), della sesta direttiva» (punto 12).
( 14 ) Sentenza Naturally Yours, punto 13.
( 15 ) Sentenza «patate olandesi», punto 13.
( 16 ) V causa Naturally Yours, paragrafo 26 delle conclusioni.
( 17 ) V, ad esempio, il riferimento al «valore normale» nell'art. 11, parte A, n. 1, lctt. d), per quanto riguarda i servizi di cui all'art. 6, n. 3.
( 18 ) Punto 17.
( 19 ) Sentenza 25 maggio 1993, causa C-18/92 (Race. pag. I-2871, punto 14).
( 20 ) Così la Corte ha analizzato i fatti nel caso Bally (v. punto 9). Un negozio riguardava la vendita delle merci e l'altro la fornitura dei servizi da parte della società di gestione della carta di credito al venditore.
( 21 ) V. paragrafi 10 e 11 delle conclusioni.
( 22 ) La Commissione solleva la questione della doppia imposizione se fossero tassabili sia la vendita dei buoni che quella delle merci, ma non richiama in proposito alcuna disposizione della sesta direttiva. La questione sorge qui in quanto la vendita dei buoni non e tassata e non si pone affatto se il Regno Unito ha ragione ad esentarla.
( 23 ) Naturalmente così non sarebbe se fosse tassabile il negozio di vendita del buono.
( 24 ) L'importo dello sconto possibile non era chiaro. L'avvocato generale Van Gcrven, nel paragrafo 3 delle sue conclusioni, affermava che esso poteva andare dal 5% al 31% del prezzo. In questo caso, il Regno Unito dice che era consentito l'uso di un solo tagliando per ogni operazione «per ottenere una specifica riduzione nell'importo da pagarsi in contanti».
( 25 ) V. paragrafo 9 delle conclusioni.
( 26 ) V. paragrafo 15 delle conclusioni.
( 27 ) Coerentemente la Corte ha sottolineato la necessità di un'interpretazione comunitaria (v. nota 10, supra).
( 28 ) L'importanza di tale obicttivo e stata sottolineata nella giurisprudenza della Corte (v. ad esempio, sentenza 27 ottobre 1993, causa C-281/91, Muys' cn De Winter's Bouw-cn Aannemingsbedrijf (Race. pag. I-5405, punto 14), e conclusioni dell'avvocato generale Jacobs che richiamano il «principio fondamentale della neutralità fiscale» (paragrafo 11).
( 29 ) V. paragrafo 3 e la relativa nota 2, supra.
( 30 ) Il quale quasi certamente non sarà un acquirente al dettaglio, a meno che non acquisti almeno 500 UKL di buoni e vada a spenderli in un negozio Argos.
( 31 ) Possono essere denunciati alia Argos i numeri di scric dei buoni rubati ed essa ne rilascerà dei nuovi rifiutando di onorare quelli rubati
( 32 ) V. paragrafo 3, supra.