Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 20 marzo 1997. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Obbligo di notifica previa ai sensi della direttiva 83/189/CEE. - Causa C-279/94.
raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-04743
I - Introduzione
1 Se solo alcune disposizioni di un disegno di legge nazionale possono essere considerate regole tecniche ai sensi della direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, 83/189/CEE, che prevede una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (in prosieguo: la «direttiva») (1), in quale misura lo Stato membro in questione ha l'obbligo di comunicare alla Commissione il disegno di legge a norma dell'art. 8 della direttiva? Questo è il punto essenziale che sorge nel presente procedimento per inadempimento, nel quale è stata sollevata un'eccezione di irricevibilità da parte dello Stato membro convenuto.
II - I fatti e lo sfondo processuale
a) La legge 27 marzo 1992, n. 257
2 Con telex 2 luglio 1991 e 26 febbraio 1992 e con lettera 17 ottobre 1991 i servizi della Commissione comunicavano alle autorità italiane che un disegno di legge sulla cessazione dell'uso dell'amianto costituiva una regolamentazione tecnica ai sensi della direttiva. Il disegno di legge, approvato il 27 marzo 1992, diventava la legge n. 257, recante «norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto» (in prosieguo: la «legge n. 257/92» o la «legge nazionale») (2). Pur se risulta che il testo del progetto di legge era stato notificato alla Commissione il 26 febbraio 1992 nel contesto delle disposizioni comunitarie sugli aiuti di Stato, va osservato che questa notifica è stata revocata in seguito ed è pacifico che la legge n. 257/92 non è stata mai notificata alla Commissione ai sensi della direttiva.
3 I punti principali della legge n. 257/92 sono i seguenti:
«Articolo 1 - Finalità
1. La presente legge concerne l'estrazione, l'importazione, la lavorazione, l'utilizzazione, la commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, nonché l'esportazione dell'amianto e dei prodotti che lo contengono e detta norme per la dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell'estrazione, dell'importazione, dell'esportazione e dell'utilizzazione dell'amianto e dei prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata all'individuazione di materiali sostitutivi e alla riconversione produttiva per il controllo sull'inquinamento da amianto.
2. A decorrere da trecentosessantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge sono vietate l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto, ivi compresi quelli di cui alle lettere c) e g) della tabella allegata alla presente legge, salvo i diversi termini previsti per la cessazione della produzione e della commercializzazione dei prodotti di cui alla medesima tabella.
(...)
Articolo 3 - Valori limite
1. La concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro ove si utilizza o si trasforma o si smaltisce amianto, nei luoghi ove si effettuano bonifiche, negli ambienti delle unità produttive ove si utilizza amianto e delle imprese o degli enti autorizzati alle attività di trasformazione o di smaltimento dell'amianto o di bonifica delle aree interessate, non può superare i valori limite fissati dall'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, come modificato dalla presente legge.
2. I limiti, le procedure e i metodi di analisi per la misurazione dei valori dell'inquinamento da amianto, compresi gli effluenti liquidi e gassosi contenenti amianto, si intendono definiti secondo la direttiva 87/217/CEE del Consiglio del 19 marzo 1987. Il termine per l'emanazione del decreto legislativo per l'attuazione della predetta direttiva, di cui agli articoli 1 e 67 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, è differito al 30 giugno 1992.
3. Eventuali aggiornamenti o modifiche dei limiti di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono disposti, anche su proposta della Commissione di cui all'articolo 4, con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.
4. La lettera a) del comma 1 dell'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, è sostituita dalla seguente:
"a) 0,6 fibre per centimetro cubo per il crisotilo".
5. Il comma 2 dell'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, è abrogato.
(...)
Articolo 8 - Classificazione, imballaggio, etichettatura
1. La classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura dell'amianto e dei prodotti che contengono amianto sono disciplinati dalla legge 29 maggio 1974, n. 256, e successive modificazioni e integrazioni, e dal decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 215».
4 Le rimanenti disposizioni della legge n. 257/92 sono così state riassunte dal governo italiano nel controricorso:
- gli artt. 4, 5 e 7 istituiscono organismi pubblici e definiscono le loro competenze;
- gli artt. 3, terzo comma, 6 e 12 conferiscono ai ministeri della Sanità e dell'Industria la competenza ad adottare misure attuative;
- l'art. 9, primo comma, stabilisce obblighi di informazione per le imprese che si avvalgono di amianto;
- gli artt. 9, secondo comma, 10 e 12 definiscono i compiti rispettivi delle Unità sanitarie locali e delle regioni in materia di decontaminazione, smaltimento dell'amianto e bonifica degli edifici;
- l'art. 11 prevede il risanamento di una miniera e del territorio interessato;
- gli artt. 13 e 14 prevedono misure finanziarie di sostegno per l'innovazione tecnologica, la ristrutturazione e la riconversione della produzione di amianto; e
- l'art. 16 stanzia le necessarie risorse finanziarie.
b) La direttiva
5 L'art. 1, punto 1, della direttiva definisce la nozione di «specificazione tecnica», per quel che riguarda il presente procedimento, nei termini seguenti:
«la specificazione che figura in un documento che definisce le caratteristiche richieste di un prodotto, quali i livelli di qualità o di proprietà di utilizzazione, la sicurezza, le dimensioni, comprese le prescrizioni applicabili ad un prodotto per quanto riguarda la terminologia, i simboli, le prove ed i metodi di prova, l'imballaggio, la marchiatura e l'etichettatura (...)».
6 L'art. 1, punto 5, definisce la «regola tecnica» come segue:
«le specificazioni tecniche, comprese le disposizioni che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria de jure o de facto, per la commercializzazione o l'utilizzazione in uno Stato membro o in una parte importante di esso, ad eccezione di quelle fissate dalle autorità locali».
7 L'art. 8, nn. 1 e 2, stabilisce che:
«1. Gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione qualsiasi progetto di regola tecnica, salvo che si tratti di una semplice trasposizione integrale di una norma internazionale o europea, nel qual caso è sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa; essi le comunicano brevemente anche i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica a meno che non risultino già dal progetto. Se del caso, gli Stati membri comunicano simultaneamente il testo delle disposizioni legislative e regolamentari di base principalmente e direttamente interessate, se la conoscenza di questi testi è necessaria per valutare la portata del progetto di norma tecnica.
La Commissione informa senza indugio gli altri Stati membri del progetto; essa può anche sottoporlo al parere del comitato di cui all'articolo 5 e, se del caso, al comitato competente nel settore in questione.
2. La Commissione e gli Stati membri possono inviare allo Stato membro che ha presentato il progetto di regola tecnica osservazioni di cui lo Stato membro terrà conto, per quanto possibile, nella stesura definitiva della regola tecnica».
8 L'art. 9 dispone, per quel che ci interessa:
«1. Fatti salvi i paragrafi 2 e 2 bis, gli Stati membri rinviano l'adozione di un progetto di regola tecnica di sei mesi, a decorrere dalla data della comunicazione di cui all'articolo 8, paragrafo 1, se la Commissione o un altro Stato membro emette, nei tre mesi successivi a tale data, un parere circostanziato secondo il quale la misura proposta deve essere modificata per eliminare o limitare gli ostacoli alla libera circolazione dei beni che potrebbero eventualmente derivarne. Lo Stato membro interessato riferisce alla Commissione sul seguito che esso intende dare a tale parere circostanziato. La Commissione commenta tale reazione.
2. Il termine indicato al paragrafo 1 è di dodici mesi se la Commissione, nei tre mesi che seguono la comunicazione di cui all'articolo 8, paragrafo 1, comunica la sua intenzione di proporre o di adottare una direttiva in materia.
2 bis Qualora la Commissione constati che una comunicazione di cui all'articolo 8, paragrafo 1, riguarda una materia contemplata da una proposta di direttiva e di regolamento presentata al Consiglio, essa notifica quanto constatato allo Stato membro interessato, entro i tre mesi successivi a tale comunicazione.
Gli Stati membri si astengono dall'adottare norme tecniche riguardanti una materia oggetto di una proposta di direttiva o di regolamento presentata dalla Commissione al Consiglio anteriormente alla comunicazione di cui all'articolo 8, paragrafo 1, per un periodo di dodici mesi a decorrere dalla data di presentazione della suddetta proposta.
Il ricorso ai paragrafi 1, 2 e 2 bis del presente articolo non può esser cumulativo».
c) Fase precontenziosa
9 Con lettera di diffida 18 novembre 1992 la Commissione rendeva noto allo Stato membro convenuto di ritenere che la legge n. 257/92, che è definita una «misura tecnica nazionale», rientrasse nella sfera di applicazione della direttiva e quindi avrebbe dovuto essere notificata a norma dell'art. 8, n. 1; inoltre faceva rilevare che tale misura nazionale avrebbe dovuto essere sospesa fino alla scadenza dei termini stabiliti dall'art. 9, nn. 1, 2 e 2bis. La Commissione aggiungeva che, a causa di questo vizio procedurale, la «regola tecnica» non aveva alcun effetto giuridico e non era quindi opponibile ai terzi, ricordando la sua comunicazione 86/C 245/05 (3). Il governo italiano veniva invitato a presentare le sue osservazioni a norma dell'art. 169 del Trattato CE nel termine di due mesi.
10 Il 23 marzo 1993 il rappresentante permanente italiano informava la Commissione che la precedente notifica concernente aiuti di Stato era stata revocata; il telex non conteneva alcuna risposta ai punti sollevati nella lettera della Commissione del 18 novembre 1992. Il 3 novembre 1993 la Commissione inviava al governo italiano un parere motivato, che considerava la legge n. 257/92 tanto nel senso che costituisce una regola tecnica secondo l'accezione della direttiva (punti 1 e 4.2) quanto nel senso che contiene regole di questo tipo (punto 4.1), usando questi termini in modo intercambiabile. Non avendo ricevuto risposta, la Commissione promuoveva il presente procedimento il 13 ottobre 1994, allo scopo di far dichiarare che, adottando la legge n. 257/92 senza averla notificata alla Commissione allo stato di progetto, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 8, n. 1, della direttiva o, in subordine, dell'art. 9, n. 1.
11 Ai sensi dell'art. 91 del regolamento di procedura, l'Italia ha sollevato un'eccezione di irricevibilità, il cui esame è stato riunito a quello del merito con ordinanza della Corte 11 luglio 1995.
III - Analisi
a) L'art. 8 della direttiva
12 Tanto la ricevibilità quanto il merito della presente causa vertono sulla portata dell'obbligo degli Stati membri di comunicare alla Commissione ogni «progetto di regola tecnica» che intendono adottare. Alla luce delle rispettive argomentazioni svolte dalle parti nella presente causa, sarebbe utile esaminare questo punto in limine. L'Italia sostiene che gli Stati membri sono solo tenuti a comunicare i progetti di regole tecniche ai sensi della direttiva. All'udienza l'agente dell'Italia ha dichiarato che solo le norme che riguardano le caratteristiche di un prodotto possono costituire regole tecniche, richiamandosi alla sentenza Semeraro Casa Uno e a., nella quale la Corte ha dichiarato che «l'obbligo di comunicazione previsto dalla direttiva non si applica ad una normativa nazionale che non tratta delle caratteristiche che i prodotti devono possedere, ma si limita a disciplinare l'orario di apertura dei pubblici esercizi» (4).
13 Dal canto suo, la Commissione sostiene che, se un provvedimento d'ordine generale contiene regole tecniche, l'«insieme organico» della legge deve venire comunicato; in caso contrario, sarebbe più difficile, se non impossibile, delineare la portata delle regole tecniche e in particolare giudicare se esse potrebbero ostacolare gli scambi.
14 A mio avviso nessuna di queste interpretazioni dell'art. 8, n. 1, sul quale si fondano le argomentazioni di cui sopra, è corretta. Anzitutto la nozione di «regola tecnica» è più ampia di quella costituita semplicemente dalle caratteristiche del prodotto e include gli altri requisiti elencati circa la produzione di merci e i provvedimenti amministrativi che disciplinano la loro vendita e il loro uso (art. 1, punti 1 e 5, della direttiva). Nella sentenza nella causa C-289/94, Commissione/Italia, la Corte ha disatteso un'interpretazione restrittiva della «regola tecnica», non dissimile da quella proposta dal governo italiano nella presente causa; poiché l'osservanza delle specificazioni tecniche particolarmente vincolanti aveva un'influenza immediata sulla vendita del prodotto, le norme nazionali sono state ritenute regole tecniche (5). Più generalmente, nella causa Bic Benelux, sulla quale si è pronunciata proprio oggi, la Corte ha osservato che l'obiettivo della direttiva è la tutela della libera circolazione delle merci mediante un controllo preventivo ed ha dichiarato che questo controllo si applica alle regole tecniche che sono «idonee ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari di merci» (6), formula chiaramente ispirata al criterio elaborato per le misure d'effetto equivalente alle restrizioni quantitative nella sentenza Dassonville (7).
15 Allorché una norma nazionale rientra nella definizione di regola tecnica contenuta nell'art. 1, punto 5, della direttiva, va comunicata. La Corte ha avuto occasione di specificare che gli Stati membri non possono esimersi dall'obbligo di notificare allegando che il provvedimento va a vantaggio degli scambi: «un obbligo del genere non può dipendere dalla valutazione unilaterale di uno Stato membro, autore del suddetto progetto, circa gli eventuali effetti di questo sugli scambi fra Stati membri» (8).
16 In secondo luogo, come emerge dal tenore dell'art. 8, n. 1, l'obbligo di notifica non riguarda solo le regole tecniche come definite più sopra, ma anche «i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica, a meno che non risultino già dal progetto» e, se necessario, «il testo delle disposizioni legislative e regolamentari di base principalmente e direttamente interessate, se la conoscenza di questi testi è necessaria per valutare la portata del progetto di regola tecnica». Non ne consegue, a mio avviso, che uno Stato membro è assolutamente vincolato a norma di questa disposizione a comunicare l'intera legge nazionale di portata generale che contiene tanto regole tecniche quanto provvedimenti d'altro genere. Se la comunicazione di una norma particolare «non tecnica» si rende necessaria per vagliare gli effetti giuridici di una regola tecnica, l'obbligo è sancito dagli espressi termini dell'art. 8, n. 1. Se però l'osservanza di norme «non tecniche» non ha un'incidenza diretta sulla produzione, sulla vendita o sull'uso delle merci, non si può presumere che lo Stato membro sia obbligato a comunicarle alla Commissione.
17 Questo punto è illustrato dalle norme legislative sulle quali verteva la causa CIA Security International (9). L'art. 4 di una legge belga del 1990 disponeva che solo ditte di sorveglianza autorizzate potevano offrire servizi di sicurezza, mentre l'art. 12 stabiliva che solo sistemi d'allarme omologati potevano essere venduti secondo una procedura da determinarsi con regio decreto. La Corte ha osservato che, poiché l'art. 4 si limitava a stabilire le condizioni che disciplinano la costituzione delle imprese di sicurezza, esso non costituiva regola tecnica. La qualificazione dell'art. 12 come regola tecnica è stata considerata subordinata al fatto che esso esercitasse effetti giuridici di per sé; una norma nazionale priva di effetti per i singoli in mancanza di norme di attuazione non rientrava nella direttiva, mentre una norma che vincolasse anche senza misure di attuazione rientrava nella sfera di applicazione dell'art. 8 della direttiva (10). Nulla nella sentenza lascia intendere che l'obbligo di comunicazione si estendesse alla legge considerata nel suo complesso o alle disposizioni che, considerate separatamente, non potevano costituire ostacolo agli scambi.
18 Nessuna delle cause ricordate dalla Commissione per illustrare la sua teoria dell'«insieme organico» verteva su provvedimenti legislativi nazionali di portata generale, come la causa in esame, né corrobora la conclusione di ampio raggio che essa suggerisce. Le norme nazionali in questione nella causa C-139/92, Commissione/Italia, erano norme per la definizione e l'accertamento della potenza massima di esercizio, la costruzione e la sistemazione a bordo dei motori delle unità da diporto (11), mentre nella causa C-317/92, Commissione/Germania, la Corte ha espressamente dichiarato che il regolamento del ministero tedesco della Sanità era una «specificazione tecnica» (12). I quattro decreti sui quali verteva la causa C-289/94, Commissione/Italia, avevano del pari una portata ridotta (13).
19 Né la sentenza Semeraro Casa Uno (14) apporta alcun sostegno agli argomenti italiani. Le norme nazionali in questione, relative all'orario di chiusura dei negozi, evidentemente non rientravano nella definizione di «regola tecnica» ai sensi della direttiva; l'impiego della dicitura «le caratteristiche richieste di un prodotto» può venire considerato come riferimento abbreviato alla nozione complessa di regolamentazione tecnica piuttosto che una restrizione di questa nozione alla specificazione di un prodotto.
b) Ricevibilità
20 L'Italia sostiene che il ricorso della Commissione è irricevibile per tre motivi: la lettera di diffida non definiva sufficientemente l'asserita infrazione alla direttiva; il parere motivato sollevava nuovi argomenti e manteneva ancora incerto l'oggetto dell'inadempimento addebitato; nel ricorso la Commissione aveva modificato la sostanza degli addebiti mossi nel parere motivato.
21 Secondo la costante giurisprudenza della Corte, «la lettera di diffida ha lo scopo di circoscrivere l'oggetto del contendere e di fornire allo Stato membro, invitato a presentare le sue osservazioni, i dati che gli occorrono per predisporre la propria difesa» (15). La Corte ha riconosciuto che la lettera «può consistere solo in un primo e succinto riassunto degli addebiti» (16). Nella presente fattispecie la lettera indicava chiaramente che la Commissione riteneva che legge nazionale rientrasse nella sfera d'applicazione della direttiva, che la legge non era stata comunicata alla Commissione e che questo complesso di circostanze costituiva un'infrazione agli artt. 8, n. 1, e 9 della direttiva. Inoltre, dato che lo stesso titolo e l'oggetto della legge nazionale in questione indicavano che poteva essere necessaria una notifica a norma della direttiva e che i servizi della Commissione avevano preso contatto non ufficialmente con le autorità italiane in tre occasioni prima di inviare la lettera formale di diffida, ritengo che ciò fosse sufficiente nella fattispecie a «rendere noti allo Stato destinatario i punti essenziali dell'inadempimento degli obblighi di cui gli si fa carico» (17).
22 L'Italia contesta il parere motivato in quanto esso individua nella legge nazionale tre regole tecniche che non sono menzionate nella lettera di diffida, e in quanto, definendo «non esaustivo» l'esame della legge n. 257/92, la Commissione ha mantenuto l'incertezza che sorgeva dalla lettera di diffida quanto alla portata dell'inadempimento addebitato.
23 Dopo aver osservato che la lettera di diffida non identificava sufficientemente la presunta infrazione alla direttiva, mi pare piuttosto anomalo che l'Italia si dolga poi del fatto che il parere motivato esponga i motivi specifici per i quali la Commissione ritiene che vi sia stata infrazione alla direttiva. Come ha osservato la Corte nella causa C-289/94, Commissione/Italia, «il parere motivato di cui all'art. 169 del Trattato deve contenere un'esposizione coerente e particolareggiata dei motivi che hanno condotto la Commissione alla convinzione che lo Stato interessato è venuto meno a uno degli obblighi che gli incombono ai sensi del Trattato» (18). La Commissione non aveva quindi solo il potere, ma anche l'obbligo di specificare i motivi per i quali riteneva che l'Italia avrebbe dovuto comunicare la legge n. 257/92 allo stato di progetto.
24 D'altro canto, non mi pare che il parere motivato sia sufficiente a dimostrare anche a prima vista che l'Italia doveva, conformandosi all'art. 8, n. 1, della direttiva, notificare disposizioni della legge n. 257/92 diverse da quelle ivi specificate, vale a dire gli artt. 1, 3 e 8. Per le ragioni espresse in precedenza (19), non si può ritenere che quest'obbligo insorga per tutta una legge nazionale di portata generale che contenga sia regole tecniche sia norme non tecniche. Può avvenire, come ha osservato la Commissione, che in talune circostanze l'obbligo di comunicare si estenda in realtà all'intero testo legislativo; tuttavia la Commissione deve dimostrare nel parere motivato che ricorrano tali circostanze (20) e, eccezion fatta per le disposizioni specificate, non ha fornito questa dimostrazione nella presente causa.
25 Non ne consegue tuttavia che il ricorso debba venir dichiarato irricevibile nel suo complesso, come ha sostenuto l'Italia; il ricorso mi pare ricevibile, pur se solo nei limiti in cui la Commissione osserva che l'obbligo di comunicare vale per le disposizioni della legge nazionale identificate nel parere motivato. Lo stesso governo italiano ha osservato che le disposizioni di una legge di questo tipo, di portata generale, sono autonome per quanto riguarda l'obbligo di comunicazione a norma della direttiva e quindi non poteva nutrire alcun dubbio quanto al fatto che la Commissione riteneva necessario che almeno le tre suddette disposizioni fossero notificate. Ne consegue che, indicando le disposizioni della legge nazionale che la Commissione riteneva costituissero regole tecniche, il parere motivato ha sufficientemente definito l'oggetto dell'addebito. Il fatto che la Commissione abbia formulato il suo addebito nel senso che la legge nazionale doveva essere comunicata in quanto conteneva gli artt. 1, 3 e 8, invece di specificare che i tre articoli avrebbero dovuto essere comunicati, non ha assolutamente impedito all'Italia di elaborare la propria difesa, tanto sotto il profilo della ricevibilità quanto per quel che riguarda il merito dell'azione.
26 Il terzo motivo di irricevibilità dedotto dall'Italia è del pari infondato. L'Italia sostiene che l'assunto, anche se esposto in via subordinata, che essa aveva commesso un'infrazione autonoma all'art. 9, n. 1, era diverso dall'addebito mosso nel parere motivato. Anche se ciò fosse vero, scalfirebbe soltanto la ricevibilità di un'eventuale azione della Commissione vertente sull'inosservanza dell'art. 9, n. 1; tuttavia la Commissione ha rinunciato a questo addebito.
c) Il merito del ricorso della Commissione
27 Non mi rimane che esaminare se le tre disposizioni indicate dalla Commissione rappresentino regole tecniche ai sensi della direttiva. L'Italia, nel controricorso, non ha affrontato il punto se queste disposizioni potessero essere considerate in questo senso, pur se ha contestato la qualificazione dell'art. 3 della legge nazionale come regola tecnica nella sua eccezione di irricevibilità. All'udienza il suo agente ha dichiarato che nessuno degli articoli della legge n. 257/92 era soggetto all'obbligo di notifica.
28 L'art. 1, n. 2, della legge n. 257/92 vieta tra l'altro la produzione e la vendita di amianto, di prodotti di amianto e di prodotti che contengono amianto a decorrere da un anno dall'entrata in vigore della legge; dal momento che questi prodotti rientrano nella definizione di «prodotto» fornita dall'art. 1, n. 7, della direttiva, l'art. 1, n. 2, della legge nazionale costituisce manifestamente una regola tecnica che l'Italia avrebbe dovuto comunicare conformemente all'art. 8, n. 1, della direttiva.
29 Nel ricorso la Commissione ha descritto l'art. 3, n. 4, della legge nazionale come norma che stabilisce i valori limite del tenore di amianto e ha rilevato che l'art. 3 inoltre definisce le procedure e i metodi per la misurazione di questi valori. In realtà l'art. 3, n. 4, della legge nazionale modifica l'art. 31, primo comma, lett. a), del decreto legge n. 277 del 15 agosto 1991, che mira a dare attuazione a diverse direttive del Consiglio sulla tutela dei lavoratori dai pericoli dell'esposizione a taluni agenti chimici, fisici e biologici nel posto di lavoro (21). L'art. 31, primo comma, lett. a), stabilisce i valori massimi di esposizione dei lavoratori al pulviscolo di amianto. L'art. 3, n. 4, non stabilisce quindi la percentuale massima di amianto dei prodotti, né impone condizioni da osservare per la produzione o la vendita di prodotti né ha un'incidenza diretta sugli scambi di merci tra Stati membri. Anche se si può discutibilmente sostenere che questa norma può avere un'incidenza sull'impiego dell'amianto, la Commissione non ha cercato di dimostrare che ciò avvenga nella fattispecie. Nemmeno ha dimostrato che questa norma non rientra nella deroga prevista dall'art. 8, n. 1, della direttiva per le norme nazionali che traspongono integralmente norme europee. Poiché la deroga costituisce una limitazione sostanziale della portata degli obblighi che sorgono per gli Stati membri a norma dell'art. 8, n. 1, mi pare che la Corte debba esaminare questo punto, anche se l'Italia si è limitata ad una linea di difesa più generale, cioè che l'art. 3 non è una regola tecnica in quanto riguarda la tutela dei lavoratori. Stando così le cose, ritengo che l'art. 3, n. 4, della legge nazionale rientri nella definizione di «regola tecnica» data dalla direttiva.
30 L'art. 3, n. 2, della legge n. 257/92 riguarda «i limiti, le procedure e i metodi di analisi per la misurazione dei valori dell'inquinamento da amianto» che rientrano a prima vista nella definizione di «specificazione tecnica» di cui all'art. 1, punto 1, e quindi nella nozione di «regola tecnica» ai sensi dell'art. 1, punto 5. Tuttavia la norma nazionale in questione stabilisce semplicemente che questi limiti, procedure e metodi analitici «si intendono definiti secondo la direttiva del Consiglio 19 marzo 1987, 87/217/CEE». Ancora una volta la Commissione non ha dimostrato che l'inadempimento dell'Italia quanto alla comunicazione dell'art. 3, n. 2, non era giustificato dalla necessità di adempiere altri obblighi comunitari e quindi costituisce un'infrazione all'art. 8, n. 1, della direttiva.
31 L'art. 8 della legge n. 257/92 riguarda la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura dell'amianto e dei prodotti che contengono amianto. Poiché «le prescrizioni applicabili ad un prodotto per quanto riguarda (...) l'imballaggio, la marchiatura e l'etichettatura» sono espressamente incluse nella definizione di «specificazione tecnica» di cui all'art. 1, punto 1, dette norme sono a prima vista regole tecniche ai sensi dell'art. 8, n. 1, della direttiva. Nella fattispecie l'Italia ha espressamente osservato all'udienza che l'art. 8 della legge n. 257/92 ha carattere declaratorio e ha invocato la deroga di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva per le misure nazionali che traspongono norme europee, pur senza specificare a quale specifico provvedimento si riferisse.
32 Il sistema di comunicazione di cui all'art. 8 della direttiva è chiaramente diretto ad essere applicato solo alle regole tecniche al momento del loro inserimento nell'ordinamento giuridico nazionale. L'art. 8 della legge n. 257/92 si limita a dichiarare che «la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura dell'amianto e dei prodotti che contengono amianto» sono disciplinati da due atti legislativi vigenti. Di questi, la legge 29 maggio 1974, n. 256, riguarda l'imballaggio e l'etichettatura di sostanze e preparazioni pericolose (22), incluse le sostanze e le preparazioni cancerogene, il cui elenco doveva essere redatto dal ministro della Sanità; il decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 215, limita la vendita e l'uso di amianto e di prodotti di amianto (23). E' perciò evidente che l'art. 8 della legge nazionale si limita a dichiarare l'esistenza di norme di legge e non ha lo scopo di effettuare alcuna modifica. Così stando le cose, spetta alla Commissione dimostrare che questa disposizione rappresenta in realtà una nuova regola tecnica che, pertanto, avrebbe dovuto essere notificata (24). La Commissione non ha nemmeno cercato di farlo e quindi non ha dimostrato un inadempimento, da parte dell'Italia, degli obblighi che le incombono ai sensi della direttiva.
d) Le spese
33 Ne consegue che, a mio avviso, il ricorso della Commissione è ricevibile solo per quanto riguarda gli artt. 1, 3 e 8 della legge nazionale e può essere accolto solo per quanto concerne l'art. 1. Se la Corte accoglierà la mia proposta, le vorrei suggerire inoltre di disporre la compensazione delle spese, a norma dell'art. 63, n. 3, del regolamento di procedura, poiché ciascuna delle parti sarà risultata vittoriosa su alcuni punti, ma soccombente su altri.
IV - Conclusione
34 Alla luce di quanto precede propongo che la Corte:
- dichiari irricevibile il ricorso della Commissione, salvo per quel che riguarda gli artt. 1, 3 e 8 della legge 27 marzo 1992, n. 257, che stabilisce norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto;
- dichiari che, adottando l'art. 1, n. 2, della legge n. 257/92 senza comunicare in precedenza il progetto di detta disposizione alla Commissione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono a norma dell'art. 8, n. 1, primo comma, della direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, 83/189/CEE, che prevede una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche;
- per il resto, respinga il ricorso;
- disponga che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese.
(1) - GU L 109, pag. 8; il testo citato comprende le modifiche apportate dalla direttiva del Consiglio 22 marzo 1988, 88/182/CEE, che modifica la direttiva 83/189 (GU L 81, pag. 75), ma non quelle apportate dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 marzo 1994, 94/10/CE (GU L 100, pag. 30), entrate in vigore solo il 1_ luglio 1995.
(2) - Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 87 del 13 aprile 1992, pag. 5.
(3) - Pur se non datata, la comunicazione è stata pubblicata il 1_ ottobre 1986 (GU C 245, pag. 4).
(4) - Sentenza 20 giugno 1996, cause riunite C-418/93, C-419/93, C-420/93, C-421/93, C-460/93, C-461/93, C-462/93, C-464/93, C-9/94, C-10/94, C-11/94, C-14/94, C-15/94, C-23/94, C-24/94 e C-332/94 (Racc. pag. I-2975, punto 38).
(5) - Sentenza 17 settembre 1996, causa C-289/94, Commissione/Italia (Racc. pag. I-4405, punto 32).
(6) - Sentenza 20 marzo 1997, causa C-13/96, Bic Benelux/Stato belga (Racc. pag. I-1753, punto 19).
(7) - Sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Procureur du Roi/Dassonville (Racc. pag. 837, punto 5).
(8) - Sentenza 11 gennaio 1996, causa C-273/94, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-31, punto 15).
(9) - Sentenza 30 aprile 1996, causa C-194/94 (Racc. pag. I-2201).
(10) - Causa C-194/94, già ricordata, punti 29 e 30, che si richiama alla causa C-317/92, Commissione/Germania (Racc. 1994, pag. I-2039, punto 26).
(11) - Sentenza 20 agosto 1993, causa C-139/92 (Racc. pag. I-4707).
(12) - Citata alla nota 10.
(13) - Citata alla nota 5.
(14) - Citata alla nota 4.
(15) - Causa C-289/94, citata alla nota 5, punto 15; v. anche sentenze 28 marzo 1985, causa 274/83, Commissione/Italia (Racc. pag. 1077, punto 19), e 15 novembre 1988, causa 229/87, Commissione/Grecia (Racc. pag. 6347, punti 11 e 12).
(16) - Causa C-289/94, citata alla nota 5, punto 16.
(17) - Sentenza 23 febbraio 1988, causa 353/85, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 817, punto 19).
(18) - Citata alla nota 5, punto 16.
(19) - Paragrafi 16-18 delle presenti conclusioni.
(20) - «La regolarità del procedimento precontenzioso costituisce una garanzia essenziale, prevista dal Trattato (...) per garantire che l'eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita» (ordinanza 11 luglio 1995, causa C-266/94, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-1975, punti 17 e 18).
(21) - Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 200 del 21 agosto 1991, pag. 3.
(22) - Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 178 del 9 luglio 1974, pag. 4543.
(23) - Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 143 del 20 giugno 1988, pag. 5.
(24) - «Nell'ambito di un procedimento ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, l'onere di provare l'esistenza dell'inadempimento allegato incombe alla Commissione (...) esclusa ogni possibilità di basarsi su presunzioni» (sentenza 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punto 6).