CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

MICHAEL B. ELMER

presentate il 2 maggio 1996 ( *1 )

Introduzione

1.

Nel presente procedimento la Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano ha sottoposto alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale volta ad accertare se l'art. 22, n. 8, della sesta direttiva IVA ( 1 ) (in prosieguo: la «direttiva») osti alla legislazione nazionale la quale disponga che nel traffico interno di uno Stato membro le merci debbono essere accompagnate da un particolare documento.

La normativa nazionale

2.

Gli artt. 1, primo, secondo e terzo comma, nonché 2 del decreto del presidente della Repubblica 6 ottobre 1978, n. 627 (in prosieguo: il «decreto») recitano:

«Art. 1

I beni viaggianti debbono essere accompagnati, durante il trasporto, da bolla di accompagnamento (...), emessa dal mittente prima dell'inizio del trasporto (...).

Il documento deve essere datato e numerato progressivamente e deve contenere in ogni caso le seguenti indicazioni:

a)

(...)

b)

(...)

c)

(...)

d)

(...)

e)

(...)

Il documento deve essere emesso in tre esemplari, firmati per ricevuta dal vettore o da un suo incaricato all'atto del ritiro dei beni. Uno degli esemplari è conservato dal mittente, gli altri due sono ritirati dal vettore che, previa sottoscrizione del destinatario, ne conserva uno e consegna l'altro al destinatario medesimo contemporaneamente ai beni trasportati.

Art. 2

Per i beni in entrata nel territorio doganale il documento previsto dall'art. 1 è sostituito dalla bolletta di importazione definitiva, ovvero da altro documento doganale che scorta i beni stessi, ovvero da un esemplare della relativa fattura sottoscritto dal dichiarante e vistato dalla dogana di primo ingresso nel territorio dello Stato.

I beni destinati all'esportazione debbono essere accompagnati dalla bolletta di esportazione ovvero da un esemplare della fattura o, in mancanza di questa, dalla bolla di accompagnamento di cui all'art. 1; in quest'ultimo caso, un esemplare del documento, sottoscritto dal dichiarante e vistato dalla dogana di uscita dal territorio doganale, è restituito all'emittente a cura del vettore».

Nella circolare del ministero delle Finanze 5 gennaio 1993, n. 2/58001, è contenuta la seguente precisazione:

«(...) a seguito dell'apertura delle frontiere intracomunitarie, l'obbligo dell'emissione del documento di accompagnamento dei beni viaggianti di cui al [decreto] rimane limitato al traffico interno, in partenza e con destinazione nell'ambito del territorio dello Stato, e con i paesi terzi».

Fatti

3.

La Eismann Alto Adige Sri (in prosieguo: la «società»), con sede in Bolzano, esercita un'attività di vendita a domicilio di prodotti alimentari, surgelati e simili. A tal fine, essa si avvale di incaricati di vendita che si recano al domicilio dei consumatori privati per ricevere gli ordinativi di acquisto e provvedere alla consegna delle merci ordinate, talvolta successivamente e talvolta contestualmente a seconda della disponibilità degli articoli richiesti nel camion.

4.

Nel 1993, gli agenti della Guardia di Finanza rilevavano durante un controllo su strada, e poi presso la sede della società stessa, rilevanti violazioni della citata disciplina tributaria italiana relativa al documento di accompagnamento con riferimento agli esercizi 1992 e 1993. In data 18 ottobre 1993 veniva notificata alla società una serie di avvisi di irrogazione di pene pecuniarie di ammontare compreso tra LIT 89124000 e LIT 267372000.

5.

La società ricorreva quindi dinanzi alla Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano chiedendo l'annullamento delle pene pecuniarie in quanto le norme sui documenti di accompagnamento sarebbero in contrasto con l'art. 22, n. 8, della direttiva nella versione di cui alla direttiva del Consiglio 91/680/CEE (in prosieguo: la «direttiva di modifica»).

Le norme comunitarie

6.

La direttiva di modifica è stata elaborata in vista della realizzazione del mercato interno a decorrere dal 1o gennaio 1993.

7.

L'art. 7 A del Trattato ( 2 ) recita:

«La Comunità adotta le misure destinate all'instaurazione progressiva del mercato interno nel corso di un periodo che scade il 31 dicembre 1992, conformemente alle disposizioni del presente articolo e degli articoli (...) 99 (...) e senza pregiudizio delle altre disposizioni del presente Trattato.

Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente Trattato».

8.

L'art. 99 del Trattato dispone:

«Il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le disposizioni che riguardano l'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno entro il termine previsto dall'art. 7A».

9.

La direttiva di modifica, emanata in forza dell'art. 99 del Trattato, contiene nel preambolo, fra l'altro, i seguenti ‘considerando’ (2, 3, 7, 8, 9 e 12):

«considerando che la realizzazione del mercato interno presuppone l'eliminazione delle frontiere fiscali fra gli Stati membri e che a tal fine occorre sopprimere definitivamente le tassazioni all'importazione e le detassazioni all'esportazione negli scambi fra Stati membri;

considerando che a decorrere dal 1o gennaio 1993 verranno aboliti definitivamente i controlli a scopi fiscali alle frontiere interne per qualsiasi operazione effettuata fra Stati membri;

(...)

considerando che la realizzazione dell'obiettivo di cui all'articolo 4 della prima direttiva del Consiglio dell'11 aprile 1967 ( 3 ), modificata da ultimo dalla sesta direttiva 77/388/CEE, presuppone che la tassazione degli scambi fra Stati membri si basi sul principio dell'imposizione nello Stato membro d'origine dei beni ceduti e dei servizi prestati senza che sia compromesso, per il traffico comunitario fra soggetti passivi, il principio dell'attribuzione del gettito fiscale, corrispondente all'applicazione dell'imposta a livello di consumo finale, allo Stato membro in cui ha luogo questo consumo finale;

considerando tuttavia che la determinazione delle modalità definitive mediante le quali sarà assicurata l'attuazione degli obiettivi del sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate fra Stati membri presuppone l'esistenza di condizioni che non possono essere completamente soddisfatte al 31 dicembre 1992;

considerando che a decorrere dal 1o gennaio 1993 è opportuno prevedere un periodo di transizione limitato nel corso del quale verranno applicate disposizioni volte a facilitare il passaggio al regime definitivo di tassazione degli scambi fra Stati membri, obiettivo da raggiungere a medio termine;

(...)

considerando che la necessaria ricerca di uno snellimento delle formalità amministrative e statistiche delle imprese (...) deve conciliarsi con l'attuazione di misure efficaci di controllo e con l'indispensabile mantenimento, per ragioni sia economiche che fiscali, della qualità degli strumenti statistici comunitari».

10.

Con l'art. 1, punto 22, della direttiva di modifica è stato inserito il seguente titolo XVI bis e gli articoli da 28 bis a 28 quaterdecies:

«Titolo XVI bis

Regime transitorio di tassazione degli scambi fra Stati membri

(...)

Articolo 28 nonies

Obblighi dei debitori di imposta

Il testo dell'art. 22 è sostituito dal testo seguente:

“Articolo 22

Obblighi in regime interno

(...)

8.

Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire, subordinatamente al rispetto del principio della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'imposta e ad evitare le frodi, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

(...)”

(...)».

La questione pregiudiziale

11.

Con ordinanza 12 luglio 1994 la Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se dal 1o gennaio 1993 in avanti, l'applicazione delle disposizioni dettate dal DPR 6 ottobre 1978, n. 627, limitata agli scambi interni e non estesa anche ai traffici intracomunitari urti contro il principio di parità sancito dal novellato testo del comma 8 dell'art. 22 della sesta direttiva CEE del 17 maggio 1977».

Ammissibilità

12.

Il governo italiano sostiene l'inammissibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto la questione sarebbe manifestamente irrilevante per la pronuncia nel procedimento a quo che verte sulla qualificazione, alla luce del decreto, dell'attività commerciale posta in essere dal soggetto passivo di imposta come vendita al minuto ovvero come tentata vendita. Ai sensi dell'art. 3 del decreto, nelle ipotesi di tentata vendita deve essere emesso un documento di accompagnamento delle merci trasportate. La società ha però sostenuto dinanzi al giudice a quo che si trattava di vendita al minuto, per la quale l'art. 4 del decreto non esige l'emissione della bolla di accompagnamento.

13.

La Commissione ha sostenuto che spetta al giudice a quo valutare la necessità di una pronuncia pregiudiziale per la soluzione della controversia sottopostagli.

14.

Va sottolineato che, in forza del principio di cooperazione che deriva dall'art. 177 del Trattato, spetta ai giudici nazionali valutare la necessità di sollevare una questione pregiudiziale per potersi pronunciare nel procedimento a quo. Nella causa 83/78, Pigs Marketing Board, la Corte si è pronunciata nel modo seguente:

«Nell'ambito della ripartizione delle funzioni giurisdizionali fra i giudici nazionali e la Corte, ripartizione effettuata dall'art. 177 del Trattato, il giudice nazionale, che è l'unico ad avere conoscenza diretta dei fatti della causa come pure delle argomentazioni delle parti, e che dovrà assumersi la responsabilità del-l'emananda pronunzia, è nella situazione più idonea per valutare, con piena cognizione di causa, la pertinenza delle questioni di diritto sollevate dalla causa di cui è investito e la necessità di una pronunzia pregiudiziale per poter emettere la sentenza» ( 4 ).

Nella causa C-387/93, Banchero ( 5 ), la Corte ha dichiarato:

«Secondo una costante giurisprudenza, spetta unicamente ai giudici nazionali aditi e che debbono assumersi la responsabilità della decisione da emanare valutare, con riferimento alle particolarità di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale, ai fini della loro sentenza, sia la pertinenza delle questioni da sottoporre alla Corte (v. in particolare sentenza 2 giugno 1994, causa C-30/93, ACATEL Electronics Vertriebs, Race. pag. I-2305, punto 18)».

15.

Il giudice a quo non si è pronunciato nell'ordinanza di rinvio sulla questione se la fattispecie rientri, ai sensi del decreto, nella tentata vendita ovvero nella vendita al minuto. Sarà compito suo eventualmente pronunciarsi in modo più preciso nella sentenza che concluderà il procedimento a quo. Il giudice nazionale ha però ritenuto rilevante per la sua pronuncia sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sui rapporti fra le norme italiane sui documenti di accompagnamento e l'art. 22, n. 8, della direttiva. Pertanto, in forza della costante giurisprudenza della Corte, non vi è motivo perché essa si astenga dal pronunciarsi su questioni sottopostele che non appaiano manifestamente irrilevanti per la controversia che deve dirimere il giudice a quo.

Nel merito

16.

La questione pregiudiziale è però formulata nel senso che con essa si chiede alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità del diritto italiano con quello comunitario. Per giurisprudenza consolidata la Corte non è competente, in un procedimento pregiudiziale, a decidere sulla compatibilità di un provvedimento nazionale con il diritto comunitario. Tale decisione compete unicamente al giudice a quo. La Corte è tuttavia competente a fornire al giudice nazionale tutti i necessari elementi interpretativi attinenti al diritto comunitario che possano consentirgli di valutare la compatibilità delle norme nazionali con il diritto comunitario ( 6 ). La questione pregiudiziale deve pertanto essere riformulata.

17.

Il giudice a quo intende in sostanza accertare se il principio della parità di trattamento di cui all'art. 22, n. 8, della direttiva debba essere interpretato nel senso che osta a norme nazionali che esigano i documenti di accompagnamento per le operazioni interne effettuate nello Stato membro interessato qualora un requisito analogo non venga imposto per le operazioni fra Stati membri.

18.

Va sottolineato che con la questione sollevata si intende accertare unicamente se il principio della parità di trattamento di cui all'art. 22, n. 8, osti a siffatte norme nazionali. Essa non riguarda pertanto l'interpretazione dell'art. 22, n. 8, nella parte in cui contiene un divieto di formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

La Commissione ha chiarito che a suo parere può configurarsi infrazione a tale divieto qualora vengano richiesti i documenti di accompagnamento nell'ambito di trasporti effettuati come parte di operazioni fra Stati membri. In tale contesto non è decisivo che il trasporto concreto avvenga fra località in diversi Stati membri, in quanto ad esempio anche un trasporto che, considerato isolatamente, avviene fra località di uno stesso Stato membro può far parte di un trasporto complessivo di una merce da uno Stato membro ad un altro, ad esempio qualora una merce inviata da un venditore di Copenaghen ad un acquirente in Roma venga prima trasportata da un vettore sino a Genova e, dopo essere stata ivi depositata, venga trasbordata su un altro automezzo per essere trasportata sino a Roma.

Mi limiterò pertanto ad osservare che, così come la questione è stata formulata dal giudice a quo, non vi è motivo perché la Corte si pronunci sul contenuto preciso del divieto di formalità connesse con il passaggio di una frontiera e pertanto nemmeno sulla questione se il controllo (verifica) che non venga effettuato alla frontiera stessa bensì all'interno del paese possa essere in contrasto con il detto divieto.

Procedimento dinanzi alla Corte

19.

La società ha sostenuto fra l'altro che l'obbligo di emettere le bolle di accompagnamento in occasione di trasporti in Italia integra una trasgressione del principio, di cui all'art. 22, n. 8, della direttiva, della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri. Tale disposizione è incondizionata e sufficientemente precisa per avere efficacia diretta, e pertanto i singoli possono avvalersene dinanzi ai giudici nazionali nei confronti del rispettivo Stato membro.

20.

Il governo italiano, sostenuto dal governo portoghese, ha sostenuto fra l'altro che il principio della parità di trattamento di cui all'art. 22, n. 8, della direttiva va inteso nel senso che le operazioni fra Stati membri non possono essere sottoposte a formalità più rigorose di quelle previste per le operazioni effettuate all'interno di uno Stato membro. La direttiva di modifica era volta a garantire che nell'ambito della soppressione delle frontiere fiscali non si producesse un allentamento dei controlli per quanto riguarda le operazioni fra Stati membri. Il governo portoghese ha sottolineato in particolare che la direttiva di modifica ha istituito un regime transitorio nel corso del quale devono essere attuati provvedimenti che possano agevolare la transizione al regime tributario definitivo degli scambi fra Stati membri. Tale direttiva non era invece volta a modificare o semplificare le norme sulle operazioni interne. Non si può pertanto ritenere che l'art. 22, n. 8, esiga che le operazioni interne non possano essere sottoposte a formalità diverse o più rigorose di quelle previste per le operazioni fra Stati membri.

21.

La Commissione ha sottolineato che non è ancora avvenuta una completa armonizzazione nel settore dell'imposta sul fatturato e che il titolo XVI bis inserito nella direttiva dalla direttiva di modifica contiene unicamente un regime transitorio che complessivamente è soprattutto volto a disciplinare le operazioni fra Stati membri. Scopo della direttiva di modifica era la soppressione delle frontiere fiscali e ciò ha reso necessaria l'istituzione di provvedimenti di controllo effettivi e il mantenimento della qualità degli strumenti statistici della Comunità, come risulta dai ‘considerando’ della direttiva.

22.

Nei limiti in cui non vi è stata armonizzazione, gli Stati membri continuano ad essere tenuti a garantire la riscossione e i controlli tributari, e ciò è quanto si ricava dal principio espresso nell'art. 22, n. 8, in forza del quale gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'imposta e ad evitare le frodi. L'espressione «altri obblighi» riguarda pertanto le formalità di riscossione e controllo che non siano già disciplinate dalle norme estremamente dettagliate di cui all'art. 22, nn. I-7. In una certa misura queste ultime sottopongono del resto espressamente le operazioni fra Stati membri a formalità che non sono richieste per le operazioni effettuate all'interno di uno Stato membro.

23.

Il fatto che l'art. 22, n. 8, subordini la possibilità di istituire nuove formalità alla parità di trattamento delle operazioni interne e di quelle fra Stati membri va inteso, alla luce della finalità complessiva della direttiva di modifica, nel senso che le operazioni fra Stati membri non possono comunque essere sottoposte a formalità diverse o più rigorose di quelle disposte per le operazioni che avvengono all'interno dello Stato membro interessato. L'art. 22, n. 8, potrebbe ad esempio autorizzare uno Stato membro a prescrivere che un soggetto passivo debba garantire il pagamento dell'IVA costituendo una garanzia bancaria, e il principio della parità di trattamento comporterebbe in tal caso che lo Stato membro non possa imporre che la garanzia bancaria sia maggiore per le operazioni fra Stati membri rispetto a quella prevista per le operazioni interne.

24.

La norma non impedisce però, a parere della Commissione, che vengano imposti requisiti diversi o più rigorosi per le operazioni interne rispetto a quelle che avvengono fra Stati membri. La mancata esclusione, da parte della direttiva, delle discriminazioni alla rovescia va vista nel contesto delineato dalla giurisprudenza secondo cui il Trattato non osta alle discriminazioni alla rovescia nel settore tributario qualora le merci nazionali vengano tassate maggiormente di quelle provenienti da altri Stati membri. A maggior ragione può verificarsi una discriminazione alla rovescia all'atto dell'emanazione da parte degli Stati membri delle norme che disciplinano le formalità di riscossione dell'imposta qualora non vi sia stata armonizzazione.

25.

Le norme sulle bolle di accompagnamento che valgono solo per le operazioni interne di uno Stato membro possono pertanto, a parere della Commissione, essere emanate unicamente entro i confini stabiliti dall'art. 22, n. 8, della direttiva.

Parere

26.

Come è stato sottolineato dalla Commissione, la Corte ha dichiarato nella sua giurisprudenza che il Trattato non osta a che uno Stato membro assoggetti le merci nazionali ad imposte più elevate di quelle applicate alle merci importate. Nella causa 86/78, Peureux ( 7 ), la Corte ha dichiarato quanto segue nei punti 32 e 33 della sentenza:

«L'art. 95, benché vieti a ciascuno Stato membro di applicare ai prodotti degli altri Stati membri tributi superiori a quelli gravanti sui prodotti nazionali, non vieta di applicare ai prodotti nazionali tributi superiori a quelli che colpiscono i prodotti importati;

le diseguaglianze di questo genere non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 95, bensì derivano dalle peculiarità delle legislazioni nazionali non armonizzate in settori di competenza degli Stati membri».

La Corte ha concluso:

«Né (...) né l'art. 95 del Trattato CEE ostano a che uno Stato membro colpisca un prodotto nazionale — in particolare determinate acquaviti — indipendentemente dal fatto che esso sia soggetto ad un monopolio commerciale, con tributi nazionali superiori a quelli gravanti sui prodotti analoghi importati dagli altri Stati membri».

27.

Questa giurisprudenza nel settore tributario corrisponde a quella consolidatasi in diversi altri settori. Infatti la Corte ha dichiarato che un regime che comporti una disparità di trattamento per merci diverse, ma non istituisca ostacoli alle importazioni o alla distribuzione di merci importate o reimportate, non rientra nel divieto di cui all'art. 30 del Trattato. Circa il principio generale di non discriminazione, la Corte ha poi dichiarato «che il trattamento sfavorevole delle merci di produzione nazionale rispetto a quelle importate o anche dei dettaglianti che vendono merci di produzione nazionale rispetto a quelli che vendono merci importate, praticato da uno Stato membro in un settore non soggetto ad un normativa comunitaria o ad un'armonizzazione delle legislazioni nazionali, non rientra nell'ambito di applicazione del diritto comunitario», v. causa 355/85, Cognet ( 8 ), in particolare punti 10 e 11, nonché causa 98/86, Mathot ( 9 ).

28.

Questa giurisprudenza in tema di disposizioni generali del Trattato dovrebbe valere in linea di principio anche, come sottolineato dalla Commissione, per quanto riguarda la possibilità degli Stati membri di sottoporre le operazioni interne, per agevolare la riscossione e il controllo, a formalità cui non sono sottoposte le operazioni fra Stati membri. Ciò però solo in teoria, in quanto si può ritenere che le norme di armonizzazione, nel caso di specie nel settore dell'IVA, sono volte ad attuare un regime esauriente a disciplina delle formalità che gli Stati membri possono imporre anche per le operazioni interne nel rispettivo Stato membro. Occorre pertanto accertare se con la direttiva, nella versione risultante dalla direttiva di modifica, si sia perseguita siffatta armonizzazione esauriente che comprenda anche le operazioni interne in uno Stato membro con la conseguenza che gli Stati membri, conformemente al suesposto principio, si trovano nell'impossibilità di sottoporre le operazioni interne a formalità relative alla riscossione e ai controlli qualora requisiti corrispondenti non vengano imposti per le operazioni fra Stati membri.

29.

Dalla prima parte dell'art. 22, n. 8, della direttiva si desume chiaramente, a mio parere, che per quanto riguarda l'IVA non si è inteso istituire una disciplina esauriente di diritto comunitario relativamente alle formalità che possono essere imposte ai fini della riscossione e dei controlli. Tale disposizione stabilisce appunto che gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire «altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'imposta e ad evitare le frodi». Tale problematica è pertanto lasciata in linea di principio alla competenza degli Stati membri.

30.

Il fatto che la seconda parte subordini poi la possibilità degli Stati membri di emanare siffatte norme al presupposto che vi sia parità di trattamento delle operazioni interne e di quelle fra Stati membri costituisce a mio parere una formulazione, motivata da esigenze di tecnica legislativa, volta a riprendere il divieto generale di disparità di trattamento sancito dal Trattato. Tale divieto non osta, come già osservato, all'assoggettamento delle merci nazionali ad imposte più elevate di quelle che colpiscono le merci importate, e se ne dovrebbe pertanto concludere che a maggior ragione non osta all'assoggettamento delle operazioni interne all'osservanza di formalità che non vengono richieste nel caso di operazioni fra Stati membri.

31.

Ci si può chiedere in particolare come si sarebbe presentata la disposizione dell'art. 22, n. 8, qualora fosse stata omessa la seconda parte. La disposizione avrebbe unicamente subordinato la facoltà degli Stati membri di stabilire «altri obblighi» al fatto che questi ultimi non fossero all'origine, negli scambi fra Stati membri, di formalità connesse con il passaggio di una frontiera. Sarebbe sorto pertanto il dubbio, atteso che si tratta comunque di un settore parzialmente armonizzato, che il divieto generale di disparità di trattamento valga anche per gli «altri obblighi» menzionati nella disposizione. Il dubbio sarebbe stato rafforzato dal fatto che l'art. 22, nn. I-7, predispone una disciplina particolareggiata e ciò avrebbe potuto indurre a ritenere che anche il n. 8 sia esauriente. È infatti noto che più un settore viene disciplinato più sorgono motivi che giustificano conclusioni a contrario. Pertanto, l'incorporamento della seconda parte dell'art. 22, n. 8, è stato a mio parere giustificato dal punto di vista della tecnica legislativa al fine di chiarire che il divieto generale di disparità di trattamento continuava a valere accanto al divieto di formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

32.

Si può senz'altro sostenere che la seconda parte della disposizione contiene l'inciso «parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate fra Stati membri» e che ciò potrebbe indicare che non si è inteso soltanto stabilire che le operazioni fra Stati membri debbono avere lo stesso trattamento delle operazioni interne, ma anche che le operazioni interne devono avere lo stesso trattamento delle operazioni fra Stati membri. A sostegno di tali tesi si potrebbe inoltre eventualmente accennare alla finalità perseguita dall'IVA, e cioè la sua neutralità sulle merci e prestazioni di servizi interne nonché su quelle originarie di altri Stati membri.

33.

Vorrei però sottolineare che l'inciso di cui all'art. 22, n. 8, della direttiva, costituendo una deroga al principio generale stabilito da tale disposizione, stando alla costante giurisprudenza della Corte va interpretato restrittivamente.

34.

Un'interpretazione del genere è inoltre quella più consona sia alla collocazione della disposizione nel titolo XVI bis della direttiva sul regime IVA transitorio «degli scambi fra Stati membri» sia allo scopo della disposizione stessa. La direttiva di modifica, con cui è stata data alla disposizione la sua struttura attuale, non ha dato attuazione ad una completa armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri nel settore dell'IVA. Si tratta di un regime transitorio in attesa delle modalità definitive mediante le quali sarà assicurata l'attuazione degli obiettivi del sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate fra Stati membri, ai sensi dell'ottavo ‘considerando’ della direttiva di modifica. Lo scopo principale di quest'ultima, come risulta dal primo, secondo e terzo ‘considerando’, era di realizzare il mercato interno, sopprimere le frontiere fiscali tra gli Stati membri, sopprimere le tassazioni all'importazione e le detassazioni all'esportazione e abolire i controlli a scopi fiscali alle frontiere interne per qualsiasi operazione effettuata fra Stati membri. Ciò corrisponde del resto al contenuto del fondamento giuridico della direttiva, e cioè il combinato disposto dell'art. 99 e dell'art. 7 A.

35.

Occorre altresì sottolineare il dodicesimo ‘considerando’, da cui risulta che lo scopo dell'art. 22, n. 8, era che lo snellimento delle formalità amministrative delle imprese si conciliasse fra l'altro con l'attuazione di misure efficaci di controllo. Dall'art. 22, n. 8, si desume in tale contesto che, finché non sia avvenuta una completa armonizzazione delle norme sull'IVA, gli Stati membri si trovano nella posizione più idonea per stabilire quali provvedimenti di controllo per le operazioni all'interno dello Stato membro interessato siano necessari e atti a garantire i fondamentali interessi fiscali ed economici degli Stati membri assicurando l'esatta riscossione dell'imposta ed evitando le frodi.

36.

Concludendo ritengo pertanto che la questione sollevata vada risolta dichiarando che il principio della parità di trattamento di cui all'art. 22, n. 8, della direttiva deve essere interpretato nel senso che non osta a norme nazionali che esigano documenti di accompagnamento per le operazioni interne svolte nello Stato membro interessato qualora requisiti analoghi non vengano imposti per le operazioni effettuate fra Stati membri.

Conclusione

37.

Propongo pertanto alla Corte di risolvere nel modo seguente la questione sollevata dalla Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano:

«Il principio della parità di trattamento di cui all'art. 22, n. 8, della sesta direttiva IVA del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari — Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune d'imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE, deve essere interpretato nel senso che non osta a norme nazionali che esigano documenti di accompagnamento per le operazioni interne svolte nello Stato membro interessato qualora requisiti analoghi non vengano imposti per le operazioni effettuate fra Stati membri».


( *1 ) Lingua originale: i! danese.

( 1 ) Diretriva 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata con direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta su! valore aggiunto c modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376, pag- 1)

( 2 ) AI momento dei fatti di causa si trattava senz'altro dell'art. 8 A, ma, dopo l'entrata in vigore, il 1o novembre 1993, del Trattato sull'Unione europea, la disposizione è divenuta art. 7 A.

( 3 ) GU 1967, n. 12.

( 4 ) Sentenza 29 novembre 1978 (Race. pag. 2347, punto 25).

( 5 ) Sentenza 14 dicembre 1995 (Race. pag. I-4663, punto 15).

( 6 ) V, da ultimo, sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gcbhird (Race. pag. I-4165).

( 7 ) Sentenza 13 marzo 1979 (Race. pag. 897).

( 8 ) Sentenza 23 ottobre 1986 (Race. pag. 3231).

( 9 ) Sentenza 18 febbraio 1987 (Race. pag. 809).