CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

GIUSEPPE TESAURO

presentate il 28 novembre 1995 ( *1 )

1. 

Il Landgericht di Bonn chiede alla Corte se la mancata trasposizione, nel termine all'uopo prescritto, della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso» ( 1 ) (nel prosieguo: la «direttiva»), costituisca una violazione tale da determinare la responsabilità patrimoniale dello Stato membro inadempiente nei confronti dei singoli che abbiano subito un danno da tale violazione.

Si tratta dunque di un'ipotesi corrispondente a quella già decisa nella nota sentenza Francovich ( 2 ), in cui la Corte, è appena il caso di ricordarlo, ha affermato l'obbligo risarcitorio dello Stato per mancata trasposizione di una direttiva, precisando le condizioni sufficienti, in tale ipotesi, a far sorgere un diritto al risarcimento a favore dei singoli.

2. 

Questa volta alla Corte viene chiesto, attraverso ben dodici quesiti, non solo di stabilire se le condizioni sancite in Francovich siano soddisfatte anche rispetto al caso di specie; ma anche di chiarire se si tratti di condizioni sempre sufficienti, nell'ipotesi di mancata trasposizione di una direttiva, a determinare un obbligo risarcitorio a carico dello Stato membro inadempiente. Rispetto a tale ultimo profilo, alla Corte viene chiesto, in particolare, se ed in che misura eventuali cause giustificative addotte dallo Stato membro possano essere tali da esonerarlo dall'obbligo risarcitorio; dunque, in definitiva, se la violazione imputata allo Stato membro debba, ai fini che qui rilevano, essere grave e/o colpevole.

Al riguardo, segnalo sin d'ora che alcuni dei quesiti oggetto del presente procedimento sono in parte simili a quelli sottoposti alla Corte nelle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) e C-48/93 (Factortame III), nelle quali presento le conclusioni in data odierna. A tali conclusioni rinvierò pertanto, nel corso dell'analisi che segue, per un approfondimento di alcuni aspetti.

Il quadro normativo, i fatti, i quesiti pregiudiziali

3.

La direttiva, come precisato all'art. 1, ha come scopo «di ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti i viaggi, le vacanze e i giri turistici “tutto compreso” venduti o offerti in vendita nel territorio della Comunità». L'art. 7 della stessa, norma di cui è qui richiesta l'interpretazione, prevede che «l'organizzatore e/o il venditore del contratto danno prove sufficienti di disporre di garanzie per assicurare, in caso di insolvenza o di fallimento, il rimborso dei fondi depositati e il rimpatrio del consumatore». Il successivo art. 8 precisa poi che gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla direttiva, disposizioni più rigorose ai fini della protezione del consumatore. Infine, l'art. 9, n. 1, dispone che «gli Stati membri mettono in vigore le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi il 31 dicembre 1992. Essi ne informano immediatamente la Commissione».

4.

La Repubblica federale di Germania non ha rispettato il termine imposto dalla direttiva. È solo del 24 giugno 1994, infatti, la «legge recante applicazione della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990 sui viaggi tutto compreso» ( 3 ). Tale legge ha inserito nel codice civile l'art. 651 k, a norma del quale «l'organizzatore deve garantire che l'acquirente di un viaggio “tutto compreso” ottenga il rimborso 1) del prezzo pagato se non vengono fornite prestazioni di viaggio a seguito dell'insolvenza o del fallimento dell'organizzatore, e 2) delle spese necessarie effettuate dal viaggiatore per il proprio rimpatrio a seguito dell'insolvenza o del fallimento dell'organizzatore». Quest'ultimo può adempiere agli obblighi previsti attraverso un'assicurazione o attraverso la promessa di pagamento di un istituto di credito. Lo stesso art. 651 k dispone poi, al n. 4, che «a parte un acconto non superiore al 10% del prezzo di viaggio, acconto che non può però eccedere i 500 DM, l'organizzatore può esigere o accettare dal viaggiatore, prima della fine del viaggio, pagamenti anticipati solo se gli ha rilasciato un buono di garanzia». La legge in questione è entrata in vigore il 1o luglio 1994; essa è applicabile ai contratti conclusi dopo tale data e relativi a viaggi che abbiano avuto inizio dopo il 31 ottobre 1994.

Per completare il quadro, è infine opportuno ricordare la giurisprudenza sui «pagamenti anticipati» e cioè le sentenze del Bundesgerichtshof del 20 marzo 1986 ( 4 ) e del 12 marzo 1987 ( 5 ). La rilevanza di tale giurisprudenza, per quanto qui interessa, consiste nel fatto che essa ha comportato l'annullamento delle condizioni generali degli organizzatori turistici in virtù delle quali il viaggiatore poteva essere tenuto a versare, anche se non ancora in possesso dei documenti costituenti titolo per il viaggio, l'integralità del prezzo del viaggio. A seguito di tale giurisprudenza, dunque, gli acquirenti di viaggi «tutto compreso» non sono tenuti a versare, prima del rilascio dei documenti che li legittimino ad esigere le prestazioni loro dovute dai diversi prestatori di servizi (compagnia aerea/albergo), più del 10% del prezzo complessivo del viaggio.

5.

E veniamo ai fatti che hanno dato origine al presente procedimento. I ricorrenti sono tutti acquirenti di viaggi «tutto compreso», che, a motivo della dichiarata insolvenza della Mp Travel Line International GmbH e della Florida Travel Service GmbH, presso le quali hanno acquistato i rispettivi viaggi, non sono più partiti ovvero sono dovuti rientrare dal luogo di vacanza a loro spese, senza riuscire ad ottenere il rimborso di quanto già pagato.

Più precisamente, i signori Dillenkofer (causa C-178/94), Erdmann (causa C-179/94), Schulte (causa C-188/94), Heuer (causa C-189/94) e Knor (causa C-190/94) hanno prenotato, nella prima metà del 1993, viaggi «tutto compreso», pagando già al momento della prenotazione, al fine di fruire dello sconto del 3%, il prezzo integrale del viaggio (Dillenkofer, Schulte, Heuer e Knor) o comunque l'anticipo richiesto (Erdmann). Alcuni di loro non sono mai partiti, avendo essi stessi disdetto la prenotazione, vuoi per motivi di salute (Dillenkofer), vuoi in ragione delle notizie apparse sulla stampa in relazione alla difficile situazione finanziaria degli operatori presso i quali avevano acquistato i rispettivi viaggi (Erdmann e Heuer). Altri sono stati invitati a scendere dall'aereo prima del decollo a motivo della dichiarata insolvenza dell'organizzatore del viaggio (Schulte). Chi invece è stato più fortunato, riuscendo persino a raggiungere l'agognato luogo di vacanza, ha avuto la sorpresa di dover rientrare a proprie spese, sebbene in possesso di regolare biglietto di ritorno (Knor).

Adducendo che, se la direttiva fosse stata trasposta nel termine all'uopo previsto, cioè entro il 31 dicembre 1992, essi sarebbero stati tutelati contro l'insolvenza degli operatori presso i quali hanno acquistato i viaggi «tutto compreso», i ricorrenti hanno pertanto intentato un'azione di responsabilità contro la Repubblica federale di Germania. Essi chiedono, in sostanza, il rimborso del prezzo pagato per viaggi mai effettuati ovvero, come nel caso Knor, delle spese sostenute per il rientro dal luogo di vacanza.

6.

Va a questo punto ricordato che il risarcimento dei danni è regolato in Germania dall'art. 839 del codice civile, letto congiuntamente all'art. 34 della legge fondamentale. Quest'ultimo dispone che «se qualcuno nell'esercizio di un ufficio pubblico affidatogli viene meno al suo dovere d'ufficio nei riguardi di un terzo, la responsabilità per principio ricade sullo Stato o sull'ente in cui egli presta servizio». L'art. 839, primo comma, del codice civile stabilisce invece che, se l'impiegato pubblico lede dolosamente o colposamente il suo dovere d'ufficio nei riguardi di un terzo, egli deve risarcire il relativo danno. Nel caso in cui egli abbia agito con negligenza, risponderà del danno solo quando la parte lesa non abbia altra possibilità di essere risarcita.

Oltre che all'esercizio di una funzione pubblica ed alla lesione di un dovere d'ufficio, l'applicabilità della disciplina in questione è dunque subordinata all'ulteriore requisito della «riferibilità al terzo»{Drittbezogenheit) del dovere d'ufficio leso. Ciò implica che lo Stato è responsabile solo per la lesione di quei doveri d'ufficio il cui esercizio sia espressamente destinato ad un terzo, abbia cioè come scopo di tutelare un suo diritto. Proprio quest'ultimo requisito, però, normalmente manca quando si tratta di illecito legislativo ( 6 ) in particolare quando tale illecito consista in un'omissione, dovendosi in tale ipotesi dimostrare che il legislatore avesse un preciso dovere giuridico di adottare talune misure nei confronti di un determinato cittadino o comunque di una categoria di persone ben determinata ( 7 ).

7.

Il Landgericht di Bonn, dinanzi al quale sono pendenti le controversie appena ricordate, ritiene pertanto che il diritto tedesco non fornisca alcuna base per accogliere le domande risarcitone dei ricorrenti. Non essendo certo, inoltre, che l'obbligo risarcitorio a carico dello Stato per danni derivanti ai singoli dalla mancata trasposizione della direttiva nel termine previsto, quale già sancito nella citata sentenza Francovich, sia applicabile anche alle fattispecie davanti ad esso pendenti, ha operato un rinvio pregiudiziale alla Corte. I quesiti sono i seguenti:

«1)

Se la direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso” (90/314/CEE), abbia come scopo di attribuire all'acquirente di viaggi “tutto compreso”, tramite le norme nazionali di attuazione, un diritto soggettivo alla garanzia del rimborso degli importi già versati e delle spese di rimpatrio in caso di insolvenza dell'organizzatore (v. punto 40 della sentenza della Corte 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich, Race. 1991, pag. I-5357).

2)

Se il contenuto di tale diritto sia sufficientemente definito in base alla direttiva.

3)

Quali siano i requisiti minimi che devono soddisfare le “misure necessarie” che gli Stati membri sono tenuti ad adottare ai sensi dell'art. 9 della direttiva.

4)

Se si sia ottemperato all'art. 9 della direttiva qualora il legislatore nazionale abbia approntato entro il 31 dicembre 1992 il quadro normativo necessario per imporre all'organizzatore e/o al venditore di viaggi di fornire garanzie ai sensi dell'art. 7 della direttiva, ovvero se la modifica legislativa a tal fine necessaria, tenuto conto dei relativi tempi di consultazione dei settori del turismo, delle assicurazioni e del credito, dovesse entrare in vigore con adeguato anticipo rispetto al 31 dicembre 1992, di modo che tale garanzia operasse effettivamente sul mercato dei viaggi “tutto compreso” a decorrere dal 1o gennaio 1993.

5)

Se sia sufficiente a soddisfare l'eventuale obiettivo di tutela della direttiva il fatto che uno Stato membro consenta all'organizzatore dei viaggi di chiedere un anticipo sul prezzo del viaggio non superiore al 10% di tale prezzo e fino ad un massimo di 500 DM, anche prima del rilascio di documenti costituenti titolo di credito.

6)

In quale misura gli Stati membri siano obbligati, in base alla direttiva, a prendere iniziative (sul piano legislativo) per proteggere gli acquirenti di viaggi “tutto compreso” contro la loro stessa negligenza.

7)

a)

Se la Repubblica federale di Germania potesse rinunciare completamente a recepire nell'ordinamento nazionale l'art. 7 della direttiva, tenuto conto della sentenza sui “pagamenti anticipati”(Vorkasse-Urteil) del Bundesgerichtshof del 12 marzo 1987 (BGHZ 100, 157;N/W86, 1613).

b)

Se le “garanzie” ai sensi dell'art. 7 della direttiva non sussistano nemmeno nel caso in cui i viaggiatori, al momento di pagare il prezzo del viaggio, siano in possesso di documenti costituenti titoli di credito che li legittimano a pretendere il beneficio di prestazioni da parte dei diversi fornitori di servizi (compagnia aerea/albergo).

8)

a)

Se sia sufficiente il semplice superamento del termine indicato nell'art. 9 della direttiva per far riconoscere un diritto al risarcimento ai sensi della sentenza Francovich della Corte di giustizia, in quanto elemento di fatto che fa sorgere la responsabilità, ovvero se lo Stato membro possa eccepire che il termine prescritto per la trasposizione è risultato troppo breve.

b)

Qualora tale eccezione non sia ammissibile:

se ciò valga anche nelle ipotesi in cui il singolo Stato membro non possa realizzare lo scopo di tutela della direttiva con una semplice modifica legislativa (come ad esempio nel caso di insolvenza del datore di lavoro), ma sia a tal fine necessaria la collaborazione di terzi privati (organizzatori di viaggi, assicurazioni, banche).

9)

Se la responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto comunitario presupponga un inadempimento manifesto e grave dei propri obblighi.

10)

Se sia necessaria una condanna in un procedimento per inadempimento, prima dell'evento dannoso, perché sorga la responsabilità dello Stato membro.

11)

Se dalla sentenza della Corte in causa Francovich si possa concludere che una domanda di risarcimento per violazione del diritto comunitario non dipenda da un illecito in generale o comunque dall'illecita omessa emanazione, da parte dello Stato membro, di atti normativi.

12)

Qualora detta conclusione fosse erronea:

se la sentenza sui “pagamenti anticipati” del Bundesgerichtshof possa costituire per la Repubblica federale di Germania una esimente o un'attenuante per aver provveduto alla trasposizione della direttiva, ai sensi delle soluzioni fornite dalla Corte di giustizia al quarto e al settimo quesito, solo dopo la scadenza del termine di cui all'art. 9».

Considerazioni generali

8.

Nel presente procedimento la Corte è chiamata, in buona sostanza, a pronunciarsi sulla sussistenza di un obbligo risarcitorio dello Stato nei confronti dei singoli che abbiano subito dei danni a seguito della mancata trasposizione di una direttiva.

L'ipotesi, come accennato, corrisponde a quella che ha determinato la pronuncia Francovich ( 8 ). In tale occasione, lo ricordo, la responsabilità dello Stato è stata dalla Corte riconosciuta previa verifica della sussistenza delle tre seguenti condizioni: «La direttiva deve avere lo scopo di attribuire diritti a favore dei singoli. Deve essere poi possibile individuare il contenuto di tali diritti sulla base delle disposizioni della direttiva. Infine deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il danno subito» ( 9 ).

9.

La Corte ha peraltro chiarito che tali condizioni sono «sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere un risarcimento, che trova (...) il suo fondamento nel diritto comunitario» ( 10 ). Lo Stato membro cui è imputabile la mancata trasposizione di una direttiva è dunque in ogni caso, sempreché le condizioni indicate dalla Corte risultino soddisfatte, tenuto a risarcire il danno subito dal singolo.

Ciò implica, per quanto qui rileva, che sarebbe sufficiente verificare se l'art. 7 della direttiva abbia lo scopo di attribuire diritti a favore dei singoli, diritti il cui contenuto sia sufficientemente preciso e definito; e sempreché, beninteso, esista un nesso di causalità tra la mancata trasposizione della direttiva nel termine previsto e il danno subito dai singoli.

Le risposte ai singoli quesiti

10.

Il giudice di rinvio, come si è visto, pone tuttavia ben dodici quesiti, alcuni dei quali strettamente collegati tra loro. Ai fini dell'analisi che segue, ritengo che essi possano ragionevolmente essere sintetizzati e raggruppati come segue:

a)

se dall'art. 7 della direttiva possa dedursi l'esistenza di un diritto soggettivo il cui contenuto sia sufficientemente preciso e determinabile nel suo oggetto (primo e secondo quesito);

b)

quali siano le misure necessarie, ai sensi dell'art. 9, per assicurare una corretta trasposizione della direttiva (terzo, quarto, quinto, sesto e settimo quesito);

e)

se il mancato rispetto del termine previsto dalla direttiva sia di per sé sufficiente a dar luogo al risarcimento a favore dei singoli danneggiati o se, invece, debbano essere prese in considerazione anche altre condizioni (ottavo, nono, decimo, undicesimo e dodicesimo quesito).

A — SulL sussistenza di un diritto soggettivo il cui contenuto sia sufficientemente preciso e definito (primo e secondo quesito)

11.

Con i primi due quesiti il giudice di rinvio intende stabilire se le disposizioni di cui all'art. 7 della direttiva soddisfino le prime due condizioni poste dalla Corte nella sentenza Francovich. All'evidenza, lo stesso giudice parte dunque dal presupposto che si tratti, così come in Francovich, di una norma sprovvista di effetto diretto, nel senso che gli eventuali diritti da essa attribuiti non possono, in assenza di trasposizione nell'ordinamento nazionale, essere invocati direttamente dai singoli.

Ricordo anzitutto che la prima condizione, secondo cui il risultato prescritto dalla direttiva deve implicare l'attribuzione di diritti in favore dei singoli, riguarda l'identificazione della situazione giuridica soggettiva la cui lesione può dar luogo a risarcimento. Rispetto alla fattispecie che ci occupa, occorre pertanto stabilire se l'art. 7 della direttiva attribuisca un diritto a favore dei singoli, se si tratti cioè di una norma posta a protezione degli acquirenti di viaggi «tutto compreso».

12.

Orbene, è a mio avviso innegabile che l'art. 7 della direttiva abbia come scopo di proteggere gli acquirenti di viaggi «tutto compreso» contro i rischi derivanti dall'insolvenza o dal fallimento degli organizzatori turistici presso i quali hanno acquistato i viaggi di cui si tratta.

L'art. 7, infatti, impone all'organizzatore e/o al venditore parte del contratto di dare prove sufficienti di disporre di garanzie per assicurare, in caso di insolvenza o di fallimento, il rimborso dei fondi depositati e il rimpatrio del consumatore. Un tale obbligo, come ben si evince anche dal solo tenore letterale della norma in questione, è chiaramente e inequivocabilmente imposto al fine di tutelare i consumatori, che sono dunque, né potrebbe essere diversamente, i beneficiari della norma in questione. Questi ultimi, peraltro, risultano chiaramente identificati dalla stessa direttiva proprio sotto la definizione di «consumatore» ( 11 ), da cui risulta che tutti gli acquirenti di viaggi o, meglio ancora, tutte le persone che effettuano un viaggio «tutto compreso» sono titolari del diritto ad essere rimborsati ovvero rimpatriati, senza onere alcuno, in caso di insolvenza o fallimento dell'organizzatore presso cui hanno acquistato il viaggio.

13.

Una tale conclusione non è inficiata dalla circostanza, pure evocata da taluni governi nel corso della presente procedura, che la direttiva, avente come fondamento giuridico l'art. 100 A del Trattato, mira essenzialmente a garantire la libera prestazione dei servizi e, più in generale, la libertà di concorrenza, ciò che sarebbe confermato dai ‘considerando’della stessa direttiva ( 12 ).

Al riguardo, mi limito ad osservare, da un lato, che nella motivazione della direttiva è a più riprese sottolineato l'obiettivo di tutelare i consumatori ( 13 ) dall'altro, che la circostanza che le norme della direttiva siano poste a tutela anche di altri interessi, nella specie per assicurare la libera prestazione dei servizi nel settore in questione, non è di per sé tale da escludere che si tratti di norme poste a protezione del singolo.

14.

Nel corso della presente procedura è stato altresì evidenziato, in particolare dal governo tedesco, che dalla stessa formulazione dell'art. 7 si evincerebbe che esso si limita ad imporre agli organizzatori e/o venditori di viaggi «tutto compreso» l'obbligo di disporre di garanzie sufficienti. L'assenza di ogni riferimento all'eventuale diritto dei consumatori a beneficiare di tali garanzie starebbe dunque ad indicare che tale diritto sarebbe solo indiretto e derivato.

Orbene, una tale circostanza non può essere interpretata in modo da condurre alla conclusione, invero sterile, che l'obbligo imposto dalla norma in questione agli operatori del settore sia fine a se stesso. Vero è che tale obbligo ha un senso e una ragion d'essere esclusivamente nella misura in cui le garanzie richieste siano destinate, all'occorrenza, a consentire il rimborso dei fondi depositati ovvero delle spese di rimpatrio. In definitiva, non mi sembra possa seriamente dubitarsi di un dato inconfutabile: scopo della norma in questione è appunto quello di proteggere gli interessi patrimoniali dei consumatori contro i rischi di insolvibilità o di fallimento dell'operatore presso cui hanno acquistato il viaggio «tutto compreso» di cui si tratta.

15.

La seconda condizione posta nella sentenza Francovich, che a prima vista sembra costituire una semplice specificazione della prima, sottolinea la necessità che il diritto risultante dalla direttiva abbia un contenuto preciso, sia cioè determinabile nel suo oggetto.

Orbene, deve riconoscersi che il contenuto del diritto a favore dei singoli, quale previsto dall'art. 7, è sicuramente determinabile nel suo oggetto. È fin troppo evidente, infatti, che il diritto dell'acquirente di viaggi «tutto compreso» consiste chiaramente e precisamente, qualora l'organizzatore e/o il venditore del viaggio vengano meno ai propri obblighi in caso di insolvenza o di fallimento, nell'essere rimborsato ovvero rimpatriato senza oneri.

16.

Certo, è ben vero, come evidenziato dal governo tedesco, che le garanzie di cui all'art. 7 possono essere fornite in molti modi, che vanno dalla prestazione di una cauzione da parte dell'organizzatore e/o del venditore stesso, alle garanzie bancarie o malleverie, sino ad un'assicurazione, il cui onere potrebbe essere sopportato dalle varie imprese del settore assicurativo o, in solido, da un consorzio di organizzatori e/o venditori di viaggi. Le garanzie finanziarie, peraltro, possono a loro volta assumere varie forme, potendo ad esempio consistere in un fondo, in riserve, in cauzioni ovvero in una copertura attraverso il capitale dell'impresa.

Tutto ciò implica che agli Stati membri è sì lasciato un ampio margine di discrezionalità, ma solo in relazione alle modalità da prevedersi per rendere effettiva l'operatività della garanzia. Tale discrezionalità, dunque, non incide affatto sul risultato perseguito dall'art. 7, né può essere utilizzata in modo tale da alterare la sostanza del diritto così attribuito ai consumatori. Resta, insomma, che i consumatori hanno diritto, in caso di insolvenza dell'organizzatore e /o del venditore del viaggio, al rimborso delle somme pagate ovvero al rimpatrio.

17.

Se mai ve ne fosse bisogno, ricordo poi che i termini del problema, nonostante i distinguo avanzati da qualche Stato membro, sono esattamente gli stessi che nel caso Francovich, nel senso che anche la direttiva sull'insolvenza del datore di lavoro, di cui si discuteva nella specie, lasciava significativi margini di discrezionalità agli Stati membri. In tale occasione, la Corte non ha tuttavia mancato di precisare che «la facoltà attribuita allo Stato di scegliere tra una molteplicità di mezzi possibili al fine di conseguire il risultato prescritto da una direttiva non esclude che i singoli possano far valere dinanzi ai giudici i diritti il cui contenuto può essere determinato con una precisione sufficiente sulla base delle sole disposizioni della direttiva» ( 14 ).

Partendo da tale premessa, la Corte riconosceva che il contenuto della garanzia a favore dei lavoratori, quale prevista dalla direttiva sull'insolvenza del datore di lavoro, era sufficientemente chiaro, atteso che lasciava allo Stato membro una scelta solo per determinare la data a partire dalla quale la garanzia del pagamento dei diritti doveva essere fornita. Essa perveniva pertanto alla conclusione che era possibile almeno determinare la garanzia minima prevista dalla direttiva sull'insolvenza del datore di lavoro; e ciò fondandosi sulla data la cui scelta comportava l'onere meno gravoso per l'organismo di garanzia.

18.

Nel caso che ci occupa, la situazione è ancora più semplice. La discrezionalità lasciata agli Stati membri riguarda infatti unicamente il modo in cui può essere fornita la garanzia e dunque, in ultima analisi, l'identità del debitore, allorché il contenuto della garanzia è di per sé chiaro, preciso ed univoco.

In definitiva, le disposizioni controverse della direttiva sono sufficientemente precise e incondizionate sia per quanto riguarda la determinazione dei beneficiari della garanzia, sia rispetto allo stesso contenuto della garanzia. L'art. 7 della direttiva attribuisce dunque un diritto soggettivo a favore dei consumatori (acquirenti di viaggio), diritto il cui contenuto è ben determinabile nel suo oggetto, trattandosi, molto semplicemente, del diritto al rimborso di quanto già versato ovvero del diritto ad essere rimpatriati, nel caso di insolvenza o fallimento dell'organizzatore e/o venditore del viaggio «tutto compreso» di cui si tratta.

B — Sulle misure necessarie per una corretta trasposizione de IL direttiva (terzo, quarto, quinto, sesto e settimo quesito)

19.

Con i quesiti dal terzo al settimo il giudice di rinvio chiede, in buona sostanza, quale sia il modo corretto per conformarsi alla direttiva in questione. Più precisamente, esso chiede: cosa deve intendersi per misure necessarie ai sensi dell'art. 9 della direttiva (terzo quesito); se fosse sufficiente per lo Stato membro limitarsi a prevedere un quadro normativo necessario per imporre all'organizzatore e/o al venditore di viaggi di fornire le garanzie ai sensi dell'art. 7 (quarto quesito); se la direttiva possa considerarsi ben trasposta nel caso in cui uno Stato membro consenta all'organizzatore di viaggi di chiedere un anticipo del 10%, e comunque non superiore a 500 DM, sul prezzo totale del viaggio (quinto quesito); se la Repubblica federale di Germania potesse fare a meno di trasporre l'art. 7 della direttiva, tenuto conto della già ricordata giurisprudenza nazionale sui pagamenti anticipati ovvero se debba invece ritenersi che le garanzie di cui all'art. 7 non sussistano nemmeno nel caso in cui i viaggiatori siano in possesso di titoli di credito nei confronti dei diversi fornitori di servizi (settimo quesito); infine, se la direttiva imponga agli Stati membri di prendere iniziative per proteggere gli acquirenti di viaggi «tutto compreso» anche contro la loro stessa negligenza (sesto quesito).

Tali quesiti, in quanto diretti a stabilire in termini generali il modo per assicurare una corretta attuazione della direttiva nell'ordinamento nazionale, potrebbero a prima vista apparire addirittura irrilevanti rispetto alla determinazione dell'obbligo risarcitorio dello Stato membro derivante dalla mancata trasposizione nel termine previsto della direttiva di cui si tratta.

20.

In realtà, come si evince dall'ordinanza di rinvio, scopo del giudice nazionale è di verificare, da un lato, se il danno subito dai ricorrenti si sarebbe prodotto anche in presenza di una corretta e tempestiva trasposizione dell'art. 7 della direttiva (quarto e quinto quesito), circostanza che — alla luce dell'interpretazione prima fornita di tale disposizione — si può sin d'ora escludere; dall'altro, se il comportamento dei ricorrenti, tenuto conto della giurisprudenza nazionale sui pagamenti anticipati, sia qualificabile come negligente (sesto e settimo quesito). Ciò implicherebbe, nel primo caso, l'assenza di nesso di causalità tra la mancata trasposizione della direttiva e il danno lamentato; nel secondo caso, la sua non risarcibilità a motivo del comportamento negligente tenuto dai ricorrenti.

Ritengo pertanto che i quesiti di cui si tratta richiedano una risposta unicamente nella misura in cui essa sia rilevante sotto il profilo del nesso di causalità.

21.

Ciò premesso, ricordo anzitutto che l'art. 9 della direttiva, nel disporre che «gli Stati membri mettono in vigore le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 1992», utilizza una formula di rito. Una tale disposizione sta ad indicare che, entro il termine prescritto, gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte quelle misure necessarie ad assicurare piena efficacia alle disposizioni della direttiva e dunque a garantire la realizzazione del risultato da esse prescritto. Aggiungo poi che, come precisato dalla stessa Corte, le disposizioni di una direttiva devono essere attuate «con efficacia cogente incontestabile (...), precisione e chiarezza necessarie (...) per garantire pienamente la certezza del diritto» ( 15 ).

Ne consegue, per quanto qui rileva, che ai fini di una corretta trasposizione dell'art. 7, gli Stati membri erano tenuti ad adottare, entro il 31 dicembre 1992, ogni misura idonea a garantire agli acquirenti di viaggi «tutto compreso», in situazioni in cui l'organizzatore e/o il venditore di tali viaggi venga meno ai propri obblighi in ragione di insolvenza o di fallimento, il rimborso dei fondi depositati ovvero il rimpatrio.

22.

La risposta appena fornita rende evidente che l'obbligo dello Stato membro non può intendersi limitato alla predisposizione, entro la data in questione, di un quadro normativo che obbligasse l'organizzatore e/o il venditore di viaggi «tutto compreso» a provare che il rimborso dei fondi depositati e il rimpatrio fossero garantiti. Occorreva invece, trattandosi di un obbligo di risultato, che lo Stato membro, entro il termine previsto dalla direttiva, adottasse tutte le misure atte a garantire che i singoli fossero effettivamente tuteli contro i rischi di insolvenza e di fallimento degli organizzatori e/o venditori di viaggi «tutto compreso».

Il quarto quesito posto dal giudice di rinvio va dunque risolto nel senso che gli Stati membri erano tenuti, entro il 31 dicembre 1992, ad adottare tutte le misure idonee ad assicurare un'applicazione effettiva del regime di garanzie prescelto.

23.

Il quinto quesito riguarda il modo in cui la direttiva è stata poi effettivamente trasposta, con la ricordata legge del 24 giugno 1994, nell'ordinamento nazionale. Va da sé che tale legge, in quanto adottata successivamente al termine previsto dalla direttiva ed al verificarsi del danno di cui i ricorrenti chiedono il risarcimento, è qui irrilevante. Come emerge dall'ordinanza di rinvio, tuttavia, il giudice nazionale si interroga sulla conformità della normativa nazionale di attuazione proprio perché se una tale normativa fosse corretta ne conseguirebbe che il consumatore sarebbe legittimamente tenuto a sopportare almeno i rischi relativi all'anticipo del 10%. L'ulteriore conseguenza sarebbe che dovrebbe constatarsi, rispetto ad alcuni dei casi dinanzi ad esso pendenti, l'assenza del nesso di causalità tra la mancata trasposizione della direttiva ed il danno lamentato ( 16 ).

Al riguardo, ritengo sufficiente una breve e puntuale osservazione. L'art. 7 della direttiva, come precisato a più riprese, ha come scopo di tutelare il consumatore contro ogni rischio derivante da insolvenza o fallimento dell'organizzatore e/o venditore di viaggi. Ciò implica che una normativa che autorizzi ad esigere dai viaggiatori, prima del rilascio di un buono di garanzia, il versamento di un anticipo pari al 10% del prezzo totale del viaggio, ma non superiore ai 500 DM, è conforme all'art. 7 solo nella misura in cui, in caso di insolvenza o di fallimento dell'organizzatore e/o del venditore dei viaggi, sia garantito anche il rimborso dell'anticipo in questione.

24.

In questa stessa ottica va valutata, ai fini che qui rilevano, la più volte ricordata giurisprudenza del Bundesgerichtshof sui pagamenti anticipati, oggetto del settimo quesito. Il Landgericht chiede infatti alla Corte se, tenuto conto di tale giurisprudenza, la Repubblica federale di Germania, potesse rinunciare completamente alla trasposizione dell'art. 7 della direttiva.

La risposta ad un tale quesito non può che essere negativa. Al riguardo, osservo anzitutto che tale giurisprudenza è dubbio sia idonea a garantire, se non altro per motivi di certezza del diritto, una corretta trasposizione della direttiva ( 17 ). A ciò si aggiunga che, in base a tale giurisprudenza, i consumatori sono comunque tenuti a sopportare una serie di rischi; e mi riferisco non solo alla circostanza, già evidenziata, che in tal modo il consumatore non è garantito rispetto al rimborso dell'anticipo già versato, ma anche e soprattutto alla circostanza che la piena tutela garantita dall'art. 7 ai consumatori potrebbe risultare compromessa ove questi ultimi fossero costretti a far valere titoli di credito nei confronti di terzi che, a loro volta, sono esposti al rischio di fallimento ( 18 ).

25.

Infine, resta da considerare, sempre in relazione alle misure necessarie per assicurare una corretta trasposizione della direttiva, se gli Stati membri fossero altresì tenuti ad adottare misure intese a tutelare i consumatori contro la loro stessa negligenza. Un tale quesito si collega al precedente sotto il profilo del nesso di causalità.

Orbene, dal tenore della direttiva, e in particolare dall'art. 7, emerge che si tratta di una disposizione che intende assicurare una tutela minima ai viaggiatori, sicché gli Stati membri non sono tenuti all'adozione di misure di quel tipo. Ciò è peraltro confermato dall'art. 8 della stessa direttiva, in base al quale gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore norme più rigorose ai fini della protezione del consumatore.

26.

Al riguardo, va poi ricordato come la stessa Corte abbia riconosciuto, in materia di responsabilità extracontrattuale delle istituzioni comunitarie, che costituisce «un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri [quello] secondo il quale la persona lesa, per evitare di doversi accollare il pregiudizio, deve dimostrare di aver agito con ragionevole diligenza onde limitare l'entità del danno» ( 19 ). Al soggetto leso incombe dunque l'obbligo di tenere un comportamento diligente, obbligo consistente nell'adottare quelle misure che siano tali da evitare il danno o comunque da ridurne l'entità ( 20 ).

Ciò precisato, va tuttavia rilevato, tenuto conto delle risposte date ai quesiti cinque e sette, che un viaggiatore che abbia pagato il prezzo integrale del viaggio, senza esigere il rilascio del relativo titolo, non può essere ritenuto negligente per il solo fatto di non essersi avvalso, conformemente alla giurisprudenza sui pagamenti anticipati, della possibilità di non versare, prima del rilascio dei documenti costituenti titolo di credito nei confronti dei diversi prestatori di servizi, più del 10% del prezzo totale del viaggio. Tale giurisprudenza, come prima rilevato, non può infatti essere considerata una trasposizione sufficiente dell'art. 7 della direttiva, con la conseguenza che la sua «inosservanza» non è tale da legittimare una riduzione dell'entità del risarcimento o addirittura un rifiuto dello stesso risarcimento.

C — Sul comportamento illegittimo dello Stato (ottavo, nono, decimo, undicesimo e dodicesimo quesito)

27.

I quesiti da otto a dodici riguardano l'illegittimità del comportamento dannoso imputato allo Stato, punto sul quale viene chiesto alla Corte di fornire ulteriori precisazioni. Più in particolare, il giudice nazionale chiede se il mero superamento del termine imposto dalla direttiva sia sufficiente a far sorgere la responsabilità dello Stato, tenuto conto, peraltro, che nella specie era necessaria, al fine di pervenire al risultato di tutela previsto dalla direttiva, la collaborazione di terzi privati (ottavo quesito); o se, invece, sia altresì necessario un inadempimento manifesto e grave degli obblighi dello Stato (nono quesito), nonché una previa condanna dello Stato membro inadempiente (decimo quesito). Infine, lo stesso giudice chiede se dalla sentenza Francovich debba dedursi che la responsabilità dello Stato non si colleghi ad un comportamento colposo dello stesso (undicesimo quesito); nonché, in caso di risposta negativa, se la giurisprudenza nazionale sui pagamenti anticipati possa costituire un elemento atto a giustificare la mancata trasposizione entro il termine previsto, dunque se sia tale da escludere un comportamento colposo o comunque una violazione grave (dodicesimo quesito).

In definitiva, si tratta di stabilire se, ai fini dell'obbligo risarcitorio a carico dello Stato membro inadempiente, sia sufficiente una qualsiasi violazione del diritto comunitario, nella specie la mancata trasposizione di una direttiva nel termine all'uopo previsto, ovvero se occorra un quid in più.

28.

Al riguardo, ritengo sufficiente limitarmi ad alcune brevi osservazioni, il cui punto di partenza è costituito, ancora una volta, dalla sentenza Francovich. In tale occasione, lo ricordo, la Corte ha ritenuto «sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere il risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario» (punto 41), le tre condizioni prima richiamate, da essa stessa individuate e definite. Nessuna precisazione ulteriore è stata invece da essa apportata in relazione all'illegittimità del comportamento dell'autore del danno, nessuna verifica è stata richiesta al giudice nazionale sul punto.

La scelta così operata dalla Corte in Francovich era a mio avviso dovuta, molto semplicemente, alla circostanza che nella specie nessun dubbio poteva nutrirsi sull'illegittimità del comportamento omissivo dello Stato: il risultato voluto dalla direttiva, e rispetto al quale lo Stato non disponeva di alcun margine di discrezionalità, in ogni caso non in relazione al termine entro il quale la direttiva andava trasposta, non era stato raggiunto. Ciò non significa che la Corte abbia preso posizione sull'esigenza o no di un inadempimento manifesto e grave. Ed è significativo, al riguardo, che in dottrina vi siano state reazioni diverse e persino opposte: secondo alcuni la Corte avrebbe in tal modo inteso censurare solo le violazioni gravi o colpevoli ( 21 ) secondo altri, invece, risulterebbe dalla sentenza in questione che ogni violazione del diritto comunitario genera responsabilità e obbligo risarcitorio ( 22 ). In ogni caso, nessun dubbio sul risultato raggiunto dalla Corte rispetto all'ipotesi considerata: la responsabilità dello Stato e l'obbligo risarcitorio sussistono ogniqualvolta la violazione consista nella mancata trasposizione di una direttiva nel termine all'uopo prescritto.

29.

La stessa conclusione non può non imporsi rispetto al caso qui in discussione. Invero, la circostanza invocata dal governo tedesco, secondo cui il termine previsto dalla direttiva si sarebbe rivelato troppo breve, non è tale da spostare i termini del problema. Al riguardo, mi limito qui a ricordare che, come precisato dalla stessa Corte, «qualora il termine stabilito per l'attuazione di una direttiva si riveli troppo breve, l'unico rimedio compatibile con il diritto comunitario consiste, per lo Stato membro interessato, nel prendere, sul piano della Comunità, le iniziative idonee allo scopo di ottenere, da parte dell'istituzione comunitaria competente, un'adeguata proroga del termine stesso» ( 23 ).

Del pari, non assumono alcuna rilevanza né la circostanza che anche altri Stati membri non abbiano trasposto nel termine indicato dalla direttiva ( 24 ), né la pretesa assenza di collaborazione degli ambienti economici interessati. È allo Stato membro che incombe l'obbligo di trasporre la direttiva nel termine all'uopo previsto, anche qualora la consultazione di altri soggetti o operatori del settore sia richiesta dalla stessa direttiva ovvero costituisca una scelta dello Stato di cui si tratta. Ne consegue che detto Stato non può comunque invocare «circostanze di fatto che si verifichino in sede nazionale per giustificare l'inosservanza degli obblighi e dei termini contemplati dalle direttive comunitarie» ( 25 ).

30.

In definitiva, la violazione consistente nella mancata trasposizione di una direttiva è in ogni caso tale da determinare, ove siano soddisfatte le condizioni già individuate e sancite dalla Corte in Francovich, la responsabilità dello Stato membro inadempiente e, dunque, l'obbligo risarcitorio nei confronti dei singoli danneggiati, senza che sia necessario procedere ad ulteriori verifiche.

31.

Una tale conclusione rende pertanto superfluo occuparsi degli altri quesiti posti dal giudice nazionale. Quest'ultimo, infatti, sembra partire dal presupposto che la mancata trasposizione della direttiva su cui si controverte non costituisca un inadempimento manifesto e grave degli obblighi dello Stato, dunque tale da dar luogo a responsabilità e obbligo risarcitorio. Nella stessa prospettiva, egli aggiunge che, qualora ai fini dell'obbligo risarcitorio sia richiesto un comportamento colposo dello Stato membro inadempiente, resterebbe da verificare se la giurisprudenza nazionale sui pagamenti anticipati possa essere considerata tale da escludere la sussistenza di un tale comportamento.

Atteso che i profili appena evocati sono già stati da me ampiamente sviluppati nelle citate conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) e C-48/93 (Factortame III), anch'esse presentate in data odierna, ritengo opportuno e sufficiente, al di là della rilevanza degli stessi per la soluzione del caso di specie, rinviare, per quanto di ragione, a tali conclusioni.

32.

Mi limito pertanto, relativamente ai quesiti di cui si tratta, a rilevare schematicamente quanto segue:

la mancata trasposizione di una direttiva nel termine da essa prescritto costituisce un inadempimento manifesto e grave ( 26 ) (nono quesito);

ai fini di una tale qualificazione non è necessaria una previa sentenza di condanna ex art. 169 ( 27 ) (decimo quesito);

la colpa, in quanto componente soggettiva del comportamento illegittimo, non assume rilevanza al fine di configurare una situazione di responsabilità dello Stato membro inadempiente ( 28 ) (undicesimo quesito);

la giurisprudenza nazionale sui pagamenti anticipati non viene pertanto neppure in rilievo come elemento per escludere la colpa (dodicesimo quesito).

33.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo pertanto alla Corte di rispondere come segue ai quesiti posti dal Landgericht di Bonn:

«1)

L'art. 7 della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”, attribuisce agli acquirenti di tali viaggi un diritto alla garanzia del rimborso degli importi già versati e delle spese di rimpatrio in caso di insolvenza dell'organizzatore e/o del venditore del viaggio; il contenuto di tale diritto è individuabile nel suo oggetto in base alle disposizioni della stessa direttiva.

2)

Gli artt. 7 e 9 della direttiva 90/314/CEE impongono agli Stati membri l'adozione, entro il 31 dicembre 1992, di ogni misura idonea a garantire al consumatore, già a partire da tale data, il rimborso dei fondi depositati ovvero il rimpatrio, in caso di insolvenza o di fallimento dell'organizzatore e/o del venditore parte del contratto.

3)

L'art. 7 della direttiva 90/314/CEE va interpretato nel senso che non osta a che uno Stato membro autorizzi gli organizzatori di viaggi ad esigere dal consumatore, anche prima del rilascio di documenti costituenti titolo di credito, un anticipo del 10% sul prezzo totale del viaggio, a condizione che gli sia garantito, in caso di insolvenza o fallimento, il rimborso anche di tale anticipo; la giurisprudenza nazionale sui “pagamenti anticipati”, in quanto lascia sopportare al consumatore sia tale rischio sia quello derivante dall'eventuale fallimento cui sono esposti i terzi nei confronti dei quali può vantare titoli di credito, non costituisce pertanto una corretta trasposizione dell'art. 7 della direttiva.

4)

La direttiva 90/314/CEE non impone agli Stati membri di adottare misure idonee a tutelare i consumatori contro la loro stessa negligenza.

5)

La mancata trasposizione di una direttiva nel termine da essa imposto è di per sé tale, ove sussistano le altre condizioni, da far sorgere l'obbligo risarcitorio dello Stato membro inadempiente, il quale non può pertanto giustificare l'eventuale ritardo nella trasposizione né adducendo che il termine prescritto si sia rivelato troppo breve, né che la trasposizione necessitava la consultazione di terzi interessati.

6)

La mancata trasposizione di una direttiva costituisce un inadempimento manifesto e grave degli obblighi imposti agli Stati dal diritto comunitario; a tal fine non è richiesta, prima del verificarsi dell'evento dannoso, una sentenza di condanna ex art. 169.

7)

La responsabilità e l'obbligo risarcitorio dello Stato membro inadempiente non sono condizionati alla colpa, intesa come componente soggettiva del comportamento illegittimo ad esso imputabile; la giurisprudenza nazionale sui “pagamenti anticipati” non è pertanto tale da giustificare, ai fini dell'obbligo risarcitorio, il ritardo nella trasposizione della direttiva 90/314/CEE».


( *1 ) Lingua originale: l'italiano.

( 1 ) GU L 158, pag. 59.

( 2 ) Sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90 (Race. pag. I-5357).

( 3 ) BGBl., pag. 1322.

( 4 ) NJW 1986, pag. 1613 c seguenti.

( 5 ) BGH Z 100, pag. 157.

( 6 ) All'illecito del legislatore (legislatives Unrecht) è infatti applicabile la stessa disciplina che regola la responsabilità della pubblica amministrazione (Amtshaftung). Ed è appunto f>cr questo che la risarcibilità dei danni derivanti da illecito cgislativo, questione tuttora molto controversa in Germania, risulta pacificamente ammessa qualora si tratti di leggiprovvedimento (Einzelfallgesetze) ovvero rispetto ad un atto normativo quale un piano regolatore (Bebauungsplan). Il quadro che emerge non e poi molto diverso da quello — che comunemente si rappresenta solo italiano — relativo alla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi.

( 7 ) Al riguardo, v. tuttavia, Papier: «Art. 34, Rn 181», in Maunz-Dürig-Hcrzog-Scholz, GG Kommentar, München, 1987, secondo cui sarebbe configurabile una lesione di doveri d'ufficio, e quindi un diritto al risarcimento del danno, qualora si tratti di omissioni legislative qualificate (qualifiziertes Unterlassen).

( 8 ) Per quanto riguarda rilievi specifici concernenti il caso Francovich, nonché il fondamento e la portata del principio della responsabilità e dell'obbligo risarcitorio dello Stato membro inadempiente, quali si evincono da tale pronuncia, rinvio alle conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) e C-48/93 (Factortamc III), anch'esse presentate in data odierna, in particolare punti 15-22.

( 9 ) Le tre condizioni in questione, individuate dalla Corte in Francovich (punto 40), sono tuttavia qui testualmente riportate così come ribadite e sintetizzate dalla stessa Corte nella sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Race. pag. I-3325, punto 27). V. inoltre sentenza 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret (Race. pag. I-6911, punti 22 e 23).

( 10 ) Sentenza Francovich, citata, punto 41.

( 11 ) L'art. 2, punto 4, della direttiva definisce infatti come consumatore «la persona che acquista o si impegna ad acquistare servizi tutto compreso (“il contraente principale”) o qualsiasi persona per conto della quale il contraente principale si impegna ad acquistare servizi tutto compreso (“gli altri beneficiari”) o qualsiasi persona cui il contraente principale o uno degli altri beneficiari cede i servizi tutto compreso (“il cessionario”)».

( 12 ) V., in particolare, i primi tre ‘considerand’, in cui viene messa in rilievo l'importanza di una armonizzazione delle norme nazionali in materia, al fine di eliminare gli ostacoli alla libera prestazione dei servizi, nonché le distorsioni di concorrenza tra gli operatori stabiliti nei diversi Stati membri.

( 13 ) V., in particolare, i ‘considerando’ da otto a undici, in cui ī ad esempio evidenziato che «le norme che tutelano il consumatore presentano disparità nei vari Stati membri le quali dissuadono i consumatori di un detcrminato Stato membre dall'acquisto di servizi tutto compreso in un altro State membro» e che «il consumatore deve godere della protezione introdotta dalla presente direttiva»; nonché gli ultim: duc ‘considerando’ della stessa, riguardanti specificamente la tutela del consumatore in caso di insolvenza o fallimcntc dell'organizzatore del viaggio.

( 14 ) Sentenza Francovich, citata, punto 17.

( 15 ) Sentenza 30 maggio 1991, causa C-59/89, Commissione/Germania (Race. pag. I-2607, punto 24).

( 16 ) Ad esempio, avendo il signor Erdmann (causa C-179/94) pagato unicamente l'anticipo del 10% sul prezzo complessivo del viaggio, nell'ottica evidenziata nel testo il danno da esso subito non sarebbe risarcibile; e ciò appunto perché la direttiva consentirebbe che il singolo si faccia carico, in caso di insolvenza o fallimento, del rischio relativo all'anticipo versato. Ed un tale risultato, e appena il caso di aggiungerlo, si sarebbe verificato anche qualora la direttiva fosse stata trasposta tempestivamente.

( 17 ) In proposito, v., ad esempio, sentenza 30 maggio 1991, Commissione/Germania, ciuta, punto 28, in cui ia Corte ha affermato che «la conformità di una prassi alle norme imperative di tutela dettate da una direttiva non dispensa dall'obbligo di recepire la direttiva stessa nell'ordinamento interno mediante disposizioni atte a delincare situazioni abbastanza precise, chiare e trasparenti per consentire ai singoli di conoscere i propri diritti e di avvalersene. Come dichiarato dalla Corte (...), al fine di garantire la piena applicazione delle direttive in diritto e non solo in fatto, gli Stati membri devono stabilire un preciso ambito normativo nel settore di cui trattasi».

( 18 ) Al riguardo, c appena il caso di aggiungere che, beninteso, un acquirente di viaggi «tutto compreso» non può vantare un diritto al risarcimento nei confronti dello Stato qualora abbia già fatto valere con successo, nei confronti dei prestatori di servìzi di cui si tratta, i diritti incorporati nei titoli di cui è in possesso.

( 19 ) Sentenza 19 maggio 1992, cause riunite C-104/89 e C-37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione (Race. pag. I-3061, punto 33).

( 20 ) Per un'applicazione di tale principio nella giurisprudenza ex art. 215, v., tra le altre, sentenza 14 luglio 1967, cause riunite 5/66, 7/66 e 13/66-24/66, Kampffmcycr/Commissione (Race. pag. 287, in particolare pag. 309 c seguente); nonché sentenza 4 ottobre 1979, causa 238/78, Ircks-Arkady/Consiglio e Commissione (Race. pag. 2955, punto 14). Più in generale, per un approfondimento degli aspetti inerenti al nesso di causalità, v. le già ricordate conclusioni, presentate in data odierna, relative alle cause riunite C-46/93 e C-48/93, sentenza 5 marzo 1996, Race. pag. I-1029, I-1066, in particolare punti 97-100.

( 21 ) Evidenzia, tra gli altri, che la mâncau trasposizione di una direttiva costituisce una violazione consapevole, dunque deliberata e per ciò stesso colpevole, Tempie Lang: «New Legal Effects Resulting from the Failure of States to Fulfil Obligations under European Community Law: The Fran- covich Judgment», in Fordham International Law Journal, 1992-1993, pag. 1 e seguenti.

( 22 ) Nel senso che si tratterebbe di una responsabilità oggettiva, in cui la colpa non assumerebbe alcun rilievo, v., ad esempio, Caranta: «Governmental Liability after Francovich», in The Cambridge Law journal, 1993, pag. 272 ss.; nonché Tatham, «Les recours contre les atteintes portées aux normes communautaires par les pouvoirs publics en Angleterre», in Cahiers de droit européen, 1993, pag. 597 e seguenti.

( 23 ) Sentenza 26 febbraio 1976, causa 52/75, Commissione/Italia (Race. pag. 277, punto 12).

( 24 ) In questo senso v., ad esempio, la stessa sentenza citau alla nou precedente, nel punto in cui si precisa che «l'eventuale ritardo con cui altri Stati membri hanno adempiuto gli obblighi imposti da una direttiva non può essere invocato da uno Suto membro per giustificare l'inadempimento, sia pure temporaneo, dei suoi propri obblighi» (punto 11).

( 25 ) Sentenza 26 febbraio 1976, ciuta, punto 14.

( 26 ) Sul carattere manifesto c grave della violazione di norme comunitarie v. punti 74-84 delle conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) c C-48/93 (Factortame III).

( 27 ) V., in particolare, punto 81 delle conclusioni citate alla nota precedente.

( 28 ) V, al riguardo, punti 85-90 delle medesime conclusioni.