CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

GIUSEPPE TESAURO

presentate il 28 novembre 1995 ( *1 )

1. 

Con il presente ricorso, il Regno dei Paesi Bassi chiede l'annullamento della decisione del Consiglio 20 dicembre 1993, 93/731 /CE, relativa all'accesso del pubblico ai documenti del Consiglio ( 1 ), dell'art. 22 della decisione del Consiglio 6 dicembre 1993, 93/662/CE, relativa all'adozione del suo regolamento interno ( 2 ), e dell'atto 93/730/CE, intitolato «Codice di condotta relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Consiglio e della Commissione» (in prosieguo: il «codice di condotta») ( 3 ), adottato congiuntamente dalle due istituzioni, nella misura in cui lo stesso sia produttivo di effetti giuridici.

A sostegno della sua domanda, il governo olandese fa valere che il Consiglio si sarebbe reso responsabile di uno sviamento di potere per avere fondato sull'art. 151 del Trattato CE, che lo abilita ad adottare il proprio regolamento interno, la disciplina relativa alle modalità di accesso dei cittadini ai documenti in suo possesso. Orbene, a parere del ricorrente, tale questione non potrebbe essere ridotta ad un mero problema di organizzazione del funzionamento interno della suddetta istituzione.

2. 

Per una migliore comprensione degli argomenti delle parti, è opportuno ricordare brevemente come si sia arrivati all'adozione degli atti oggetto della presente controversia.

Essi trovano la loro origine nella dichiarazione n. 17, sul diritto di accesso all'informazione, allegata all'atto finale della conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato sull'Unione europea ( 4 ). Ai sensi di tale dichiarazione, «la conferenza ritiene che la trasparenza del processo decisionale rafforzi il carattere democratico delle istituzioni nonché la fiducia del pubblico nei confronti dell'amministrazione. La conferenza raccomanda pertanto che la Commissione presenti al Consiglio, entro il 1993, una relazione su misure intese ad accrescere l'accesso del pubblico alle informazioni di cui dispongono le istituzioni».

In tale prospettiva, il Consiglio europeo di Birmingham del 16 ottobre 1992 incaricava i ministri degli affari esteri dei Paesi membri di formulare delle proposte al fine di rendere più trasparenti i lavori delle istituzioni comunitarie e di prevedere la possibilità che almeno parte delle discussioni del Consiglio fossero rese pubbliche ( 5 ). Esso invitava altresì la Commissione a completare per gli inizi del 1993 i suoi lavori sul miglioramento dell'accesso alle informazioni di cui dispongono le istituzioni comunitarie. Tale richiesta veniva reiterata dal Consiglio europeo di Edimburgo del 12 dicembre 1992 ( 6 ).

3. 

Al fine di dare attuazione alla dichiarazione di Maastricht e rispondere alle sollecitazioni del Consiglio europeo, la Commissione, in due successive comunicazioni al Consiglio, al Parlamento e al Comitato economico e sociale, rispettivamente del 5 maggio ( 7 ) e del 2 giugno 1993 ( 8 ), definiva i propri orientamenti in ordine alla politica di accesso generale ai documenti e indicava i principi di base e una prima serie di azioni specifiche da intraprendere al fine di migliorare la trasparenza dell'attività della Comunità. La Commissione suggeriva in particolare che i criteri fondamentali cui si sarebbe dovuta ispirare la relativa disciplina venissero fissati, almeno in un primo tempo, in un accordo interistituzionale.

Il Consiglio europeo di Copenaghen del 22 giugno 1993 invitava Consiglio e Commissione a proseguire nei loro lavori tenendo presente che si doveva assicurare il massimo accesso possibile dei cittadini all'informazione e fissava l'obiettivo di rendere operanti tutte le misure necessarie per la fine del 1993 ( 9 ).

4. 

Il 6 dicembre 1993, il Consiglio e la Commissione hanno adottato uno strumento comune, il già ricordato codice di condotta, che traduce l'accordo delle due istituzioni sui principi e le condizioni che devono essere alla base della disciplina dell'accesso ai documenti da esse detenuti, e affida a ciascuna istituzione il compito di mettere in atto tali principi mediante disposizioni regolamentari specifiche.

Lo stesso giorno, con la citata decisione 93/662/CE, il Consiglio ha modificato il suo regolamento interno, apportandovi gli adattamenti resisi necessari a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Maastricht. Per quel che qui in particolare rileva, l'art. 22 stabilisce che «le modalità di accesso del pubblico ai documenti del Consiglio la cui divulgazione non ha conseguenze gravi o dannose sono adottate da quest'ultimo».

Fondandosi sull'art. 151, n. 3, del Trattato CE e sulla base derivata dell'art. 22 del nuovo regolamento interno, il Consiglio ha quindi adottato, il successivo 20 dicembre, la decisione 93/731/CE, che in sostanza riproduce, con talune integrazioni, le disposizioni del codice di condotta ( 10 ). Gli artt. 2 e 3 disciplinano la procedura che deve essere seguita da chi voglia aver accesso ad un documento (forma della domanda, istanza competente a riceverla) e le modalità concrete dell'accesso (consultazione in loco o rilascio di una copia del documento richiesto). A tale riguardo va precisato che, secondo l'impostazione definita dalla Commissione nelle sue comunicazioni, il richiedente non è tenuto a specificare le ragioni per cui desidera ottenere determinate informazioni.

L'art. 4, n. 1, individua le eccezioni alla generale accessibilità dei documenti enunciata all'art. 1 della decisione, al fine di proteggere gli interessi ivi enumerati e ritenuti prevalenti su quello alla pubblicità dell'azione del Consiglio. Più precisamente, l'accesso va rifiutato quando la divulgazione di un documento possa nuocere alla sicurezza pubblica (ivi comprese le relazioni internazionali, la stabilità monetaria e il corretto svolgimento di procedimenti giudiziari e controlli), o alla tutela della vita privata e dei segreti commerciali ed industriali o, ancora, sia contraria agli interessi finanziari della Comunità o, infine, violi la riservatezza chiesta dalla persona fisica o giuridica che ha fornito determinate informazioni all'istituzione. A tali eccezioni espressamente individuate, l'art. 4, n. 2, aggiunge una più ampia facoltà di rifiutare l'accesso ad un documento «per tutelare la segretezza delle deliberazioni del Consiglio».

Agli artt. 5, 6 e 7 sono infine disciplinate le modalità di esame delle richieste di documenti da parte dei competenti servizi del Consiglio e una speciale procedura di «ricorso interno» riconosciuta al richiedente nel caso in cui l'istituzione intenda dare una risposta negativa alla domanda. In tale ipotesi l'interessato, cui sono comunicati i motivi di tale intenzione, dispone di un mese di tempo per formulare una «richiesta di conferma» ai fini della revisione della posizione presa. L'eventuale decisione di respingere anche tale nuova richiesta deve essere debitamente motivata e l'interessato deve essere contestualmente informato della possibilità di rivolgersi al mediatore ex art. 138 E del trattato CE o di chiedere l'annullamento della decisione ex art. 173 (art. 7, n. 3) ( 11 ).

5. 

Così precisati natura e portata degli atti oggetto della presente controversia, come pure il contesto della loro adozione, passo ad esaminare gli argomenti addotti per chiederne l'annullamento. Va subito chiarito che le censure mosse dal governo olandese non riguardano il merito della disciplina, vale a dire una sua presunta inadeguatezza a garantire la trasparenza dell'azione amministrativa e, dunque, la tutela delle posizioni giuridiche che i singoli possono far valere. Ciò che viene contestato è esclusivamente la sua base giuridica. Più esattamente, è la non corretta scelta di tale base giuridica e della conseguente procedura di adozione a rendere, a parere del ricorrente, le misure di per sé inadeguate allo scopo in vista del quale sono state introdotte.

Il governo olandese rileva che la decisione 93/731/CE, stabilendo le regole relative alla pubblicità dell'azione amministrativa, disciplina in sostanza il rapporto tra le istituzioni e i cittadini della Comunità, destinatari dei loro atti o comunque interessati al relativo processo di formazione ed al loro concreto operare. In tale prospettiva, essa crea in capo ai singoli il diritto ad essere partecipi dell'attività svolta dal Consiglio anche nei suoi momenti preparatorio ed istruttorio, e non solo in quello della determinazione finale; inoltre, assicura la tutela giurisdizionale di questo diritto. Che questo sia lo scopo dell'atto controverso risulterebbe all'evidenza in particolare dal dettato dell'art. 1, che sancisce il principio generale dell'accesso del pubblico ai documenti del Consiglio; e dall'art. 7, che disciplina la procedura di esame delle richieste di accesso e, nel contempo, apre all'interessato la possibilità di introdurre un ricorso in caso di risposta negativa.

6. 

In ragione della diretta incidenza sulle situazioni giuridiche soggettive dei singoli, pertanto, il governo olandese non ritiene che il Consiglio possa validamente fondare una tale disciplina su disposizioni quali l'art. 151 del Trattato e l'art. 22 del suo regolamento interno, la cui funzione è essenzialmente di garantire il buon funzionamento dell'istituzione e il corretto svolgimento delle sue procedure. A questo riguardo, non viene contestato che un privato possa eccezionalmente dedurre la violazione di una norma del regolamento interno di un'istituzione, qualora la norma in questione sia diretta (anche) alla tutela dei singoli e sia quindi idonea a produrre effetti sulla loro situazione giuridica. Tuttavia, a parere del ricorrente sarebbe ben diverso attribuire al Consiglio il potere di adottare delle disposizioni creatrici di diritti e di obblighi per i singoli, sulla base di un atto puramente interno relativo all'organizzazione ed allo svolgimento delle sue procedure. Un tale potere, in effetti, non potrebbe che essere fondato sulle pertinenti norme del Trattato ed esercitato nelle forme appropriate all'uopo stabilite.

Al Consiglio viene dunque rimproverato di confondere il principio fondamentale in forza del quale deve comunque essere garantita all'individuo la tutela giurisdizionale nei confronti di qualsiasi atto od attività incidente nella sua sfera giuridica con il problema, di diversa natura, della competenza riconosciuta ad un'istituzione di adottare una misura determinata.

In definitiva, poiché la trasparenza dei processi decisionali costituisce una caratteristica inerente ad ogni ordinamento democratico e il diritto all'informazione, ivi compresa quella in possesso dei pubblici poteri, rappresenta un diritto fondamentale dell'individuo, ne consegue per il governo olandese — il quale fa proprie le osservazioni svolte a questo proposito dal Parlamento europeo nella sua memoria di intervento — che la determinazione di modalità, condizioni e limiti dell'accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni comunitarie non può essere lasciata alla discrezionalità di ciascuna di esse, ma deve avvenire seguendo i normali procedimenti «legislativi» previsti dal Trattato, e va accompagnata dalle necessarie garanzie di effettività del diritto. In questa prospettiva, le modifiche al metodo di lavoro e all'organizzazione del Consiglio, quindi al suo regolamento interno, in dipendenza dell'esercizio del diritto d'accesso, avrebbero dovuto essere solo una conseguenza (eventuale) dell'adozione di una tale disciplina generale.

Le stesse ragioni sono alla base della richiesta di annullamento dell'art. 22 del regolamento interno.

7. 

Quanto al codice di condotta, il governo olandese ritiene in realtà che non si tratti di un atto produttivo di effetti giuridici, ma che esso abbia natura essenzialmente politica, limitandosi a consacrare l'accordo di Consiglio e Commissione sugli orientamenti comuni della politica di accesso generale ai documenti. Con tale atto, in effetti, le due istituzioni si sarebbero solo impegnate ad attuare in un momento successivo, e agendo ciascuna per proprio conto, i principi in tal modo fissati.

In via sussidiaria, e per l'ipotesi in cui la Corte valuti l'atto in maniera diversa, il ricorrente ne chiede l'annullamento per violazione di forme sostanziali, in quanto esso non fa riferimento alla base giuridica sulla quale è fondato. A questo riguardo il governo olandese precisa che, sicuramente, né l'art. 151, né l'art. 162, come invece sostenuto dal Consiglio, potrebbero essere considerati basi giuridiche appropriate del codice di condotta, per il fatto che esso detta una disciplina che va ben al di là dei problemi inerenti all'organizzazione interna del Consiglio o alle forme di collaborazione tra questa istituzione e la Commissione.

8. 

Il governo olandese fa valere infine che, limitando gli accordi relativi alla pubblicità dell'azione amministrativa ad una cooperazione tra due istituzioni, il Consiglio avrebbe violato l'equilibrio istituzionale delineato all'art. 4 del Trattato. In considerazione infatti del rilievo e delle implicazioni della disciplina, la sua elaborazione avrebbe dovuto essere il risultato della cooperazione di tutte le istituzioni interessate, ivi compreso dunque anche il Parlamento.

9. 

In risposta agli argomenti addotti dal governo olandese, il Consiglio fa valere anzitutto che, in assenza di norme del Trattato relative alla pubblicità dei processi decisionali, va riconosciuta alle diverse istituzioni la competenza a disciplinare autonomamente la materia, come in realtà ciascuna di esse ha fatto fin dall'origine della Comunità. Questa competenza non è mai stata, in realtà, oggetto di contestazione.

Per quanto in particolare lo riguarda, il Consiglio rileva come il suo regolamento interno ha sempre contenuto delle disposizioni relative alla pubblicità dei lavori e dei documenti, trattandosi di una questione strettamente connessa sia alle modalità di funzionamento interno dell'istituzione sia allo svolgimento delle sue procedure e, in ultima analisi, alla stessa efficacia del processo decisionale. A tale proposito, esso sottolinea come natura e contenuto delle delibere possono variare a seconda della pubblicità che è data ai lavori che ne accompagnano l'adozione, come pure ai documenti che riflettono l'andamento di tali lavori. Orbene, fino alla modifica del 6 dicembre 1993, la regola generale posta dal regolamento interno in tale materia è stata quella della segretezza della documentazione relativa ai lavori del Consiglio, salvo che quest'ultimo non avesse deciso diversamente a maggioranza dei suoi componenti. Tali regole sono state cambiate nel quadro della politica di trasparenza inaugurata a seguito della firma del Trattato relativo all'Unione europea, ma ciò non toglie che l'oggetto della disciplina, in quanto relativo al grado di pubblicità che deve caratterizzare le delibere del Consiglio, rientrerebbe pur sempre nel potere di autoorganizzazione dell'istituzione.

Una volta deciso infatti che la regola della confidenzialità non doveva più riguardare l'insieme dei documenti, era indispensabile fissare i principi sulla cui base distinguere quali fra i documenti potessero essere portati a conoscenza dei terzi e quali, invece, dovessero comunque rimanere segreti, come pure le modalità concrete dell'accesso. Il criterio di base — rileva il Consiglio — è stato all'uopo fissato dall'art. 22 del nuovo regolamento interno, secondo cui l'accesso del pubblico è consentito solo a quei documenti «la cui divulgazione non ha conseguenze gravi o dannose»; ed è stato poi sviluppato nella decisione 93/731/CE, che ha precisato condizioni e limiti dell'accesso, le procedure di introduzione delle relative domande ed i conseguenti obblighi incombenti all'istituzione. A giudizio del convenuto, l'accoglimento della tesi sostenuta dal governo olandese si risolverebbe paradossalmente nel negare al Consiglio la competenza ad adottare qualsiasi misura relativa alla pubblicità dei suoi lavori diversa da quella del segreto, che in precedenza non era mai stato oggetto di contestazione.

10. 

Il Consiglio contesta, d'altronde, che l'effetto della disciplina controversa sia quello di creare un diritto generale di accesso, di cui né il codice di condotta né la decisione 93/731/CE farebbero in realtà menzione. Per quanto riguarda il primo atto, si sottolinea, esso si limita a porre il principio che «il pubblico avrà il più ampio accesso possibile ai documenti». Lo scopo delle misure sarebbe stato dunque quello di fissare le modalità necessarie ad assicurare una maggiore trasparenza ai lavori del Consiglio e non il riconoscimento di diritti a favore dei terzi, che costituirebbe semmai solo una conseguenza indiretta della nuova disciplina.

Né, d'altra parte, proprio dalla nascita di tali diritti si potrebbe argomentare l'incompetenza del Consiglio ad adottare le decisioni controverse. A tale riguardo il Consiglio si richiama a quanto la Corte ha affermato, implicitamente, nella sentenza Nakajima ( 12 ) e, più chiaramente, nella recente sentenza BASF ( 13 ), vale a dire che un individuo può invocare la violazione di una norma del regolamento interno di un'istituzione qualora essa sia intesa a tutelare il singolo.

11. 

Quanto infine alla allegata violazione dell'equilibrio istituzionale, il Consiglio ritiene che non era tenuto ad associare il Parlamento all'adozione degli atti controversi, in quanto non può essere oggetto di contestazione l'autonomia di cui gode ogni istituzione nell'organizzare il proprio funzionamento interno. A tale proposito, la circostanza che il codice di condotta è stato concluso tra Commissione e Consiglio sarebbe dovuta al fatto che erano i lavori di queste due istituzioni, a differenza di quanto avveniva per il Parlamento, ad essere in precedenza coperti dal segreto. Di qui l'opportunità di elaborare linee comuni di comportamento nel momento in cui si è Trattato di attenuare la portata di quel principio d'azione.

12. 

Così precisate le posizioni delle parti, va preliminarmente respinta l'eccezione di irricevibilità che il Consiglio solleva, ex art. 37, 3o capoverso, dello Statuto della Corte, nei confronti dell'intervento del Parlamento, almeno nella misura in cui è fondato su motivi diversi da quelli fatti valere dal governo olandese. A parere del convenuto, l'intervento riguarderebbe essenzialmente il principio della trasparenza dei lavori legislativi, il merito e le modalità di applicazione della disciplina relativa all'accesso, questioni, cioè, che non formerebbero oggetto del ricorso.

A questo proposito va rilevato, da un lato, che è lo stesso Consiglio ad evidenziare il legame esistente tra la disciplina dell'accesso e le modalità di svolgimento dei suoi lavori, in particolare la possibile incidenza di una maggiore pubblicità sulle sue deliberazioni, dunque anche quelle di natura «legislativa»; dall'altro, che, se è pur vero che gli argomenti dedotti dal Parlamento sono in parte diversi da quelli del ricorrente, non può tuttavia essere messo in dubbio che l'istanza d'intervento del Parlamento ha ad oggetto, secondo quanto è prescritto dall'art. 37 dello Statuto della Corte, «soltanto l'adesione alle conclusioni di una delle parti». Non mi sembra dunque pertinente il richiamo al precedente della causa C-155/91 ( 14 ): in quella occasione, infatti, l'intervento del Parlamento era stato dichiarato irricevibile solo nella misura in cui esso aveva formulato una conclusione sussidiaria rispetto alle richieste della ricorrrente al cui fianco era intervenuto. Orbene, chiaramente non ricorre questa ipotesi nella fattispecie che oggi ci occupa.

13. 

Passando al merito della controversia, dico subito che, pur condividendo in larga misura l'approccio generale sostenuto dal governo olandese in materia di diritto di informazione dei cittadini e accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche autorità, non ritengo tuttavia che gli argomenti fatti valere siano idonei a far dichiarare l'invalidità degli atti in discussione nella presente causa. Cercherò, dunque, di spiegare il perché di questa convinzione, non senza tuttavia avere svolto alcune necessarie (e brevi) considerazioni preliminari.

14. 

È innanzitutto appena il caso di ricordare come la trasparenza dell'azione dei pubblici poteri, in quanto tende ad assicurare una migliore conoscenza, da parte dei cittadini, degli atti e dei provvedimenti adottati da coloro che sono investiti di «funzioni di governo», anche nella fase della loro formazione, è questione intimamente legata a quella del carattere democratico delle istituzioni. Infatti, solo qualora sia assicurata un'adeguata pubblicità alle attività del potere legislativo, dell'esecutivo e della pubblica amministrazione in generale, sono possibili l'esercizio di un effettivo ed efficace controllo, anche a livello di opinione pubblica, sull'operato dell'organizzazione governante e, altresì, lo sviluppo, nei rapporti tra amministrazione ed amministrati, di modelli organizzativi realmente partecipati.

Che la pubblicità sia inerente ad un sistema democratico risulta all'evidenza anche dall'esame comparato degli ordinamenti dei paesi membri della Comunità, che riconoscono tutti un ampio diritto dei cittadini ad essere informati, pur variando il rango della fonte normativa che riconosce e disciplina tale diritto, come pure i limiti che lo stesso diritto incontra. Generalizzata è in primo luogo la possibilità di accedere ai documenti degli organi parlamentari, in particolare a quelli connessi all'esercizio della loro funzione primaria di legislatore, documenti dei quali, anzi, è normalmente prevista la pubblicazione. In misura sempre più ampia è inoltre stato riconosciuto, soprattutto a partire dagli anni '60, il diritto dei cittadini ad avere conoscenza dei documenti detenuti dal governo e dall'amministrazione, proprio allo scopo di impostare in modo più aperto i rapporti reciproci e di togliere all'amministrazione le sue connotazioni più o meno apertamente autoritarie ( 15 ).

15. 

È in tale contesto che nella maggioranza degli Stati membri, come risulta dalla nota redatta dal servizio documentazione della Corte, è stata adottata una normativa, in taluni casi di livello costituzionale ( 16 ), che riconosce in via generale all'individuo il diritto di accedere ai documenti amministrativi. Tale disciplina ha lo scopo, anzitutto, di consentire a chi sia parte in un procedimento amministrativo di far valere adeguatamente il proprio punto di vista: per tale aspetto, essa integra il diritto di difesa. In secondo luogo, l'accesso alle informazioni detenute dall'autorità pubblica mira ad accrescere la partecipazione dei cittadini al processo decisionale dell'amministrazione ed è quindi riconosciuto indipendetemente dal fatto che l'interessato dimostri di avervi un interesse specifico giuridicamente protetto. In altre parole, non è più vero che tutto è segreto tranne ciò che è espressamente dichiarato accessibile, ma esattamente il contrario.

Il diritto d'accesso è normalmente sottoposto ad eccezioni espressamente enumerate e riconducibili alla necessità di tutelare determinati interessi pubblici generali o la vita privata delle persone. Si tratta, in larga misura, delle stesse deroghe previste dal codice di condotta e dalla decisione 93/73 I/CE: sicurezza pubblica, relazioni internazionali, corretto svolgimento delle indagini su reati penali, segreto industriale, diritto alla riservatezza, ecc.

Ciò che è importante sottolineare di nuovo è come tale normativa implichi l'abbandono definitivo della segretezza come principio generale informatore dell'azione delle pubbliche amministrazioni, e il riconoscimento che il diritto dei cittadini ad accedere alle informazioni in possesso dei pubblici poteri è espressione del principio democratico e contribuisce dunque a definire la stessa forma di Stato.

16. 

Che l'esistenza di un'opinione pubblica informata rappresenti un elemento essenziale di ogni sistema democratico è stato ugualmente riconosciuto in varie risoluzioni e raccomandazioni adottate dall'Assemblea parlamentare e dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. A tale proposito si può citare, ad esempio, la Raccomandazione dell'Assemblea n. 854 (1979) del 1o febbraio 1979 ( 17 ), in cui si auspica che, fatte salve le inevitabili eccezioni, sia garantito l'accesso del pubblico ai documenti amministrativi e, più in particolare, sia riconosciuto il diritto di chiedere ed ottenere informazioni dagli organi e dai servizi governativi. Di indubbio rilievo è altresì la Raccomandazione del Comitato dei Ministri n. R(81) 19 del 25 novembre 1981 ( 18 ), nella quale, per l'appunto «considérant l'importance que revêt pour le public dans une société démocratique une information appropriée sur la vie publique», si invitano gli Stati membri ad introdurre nei propri ordinamenti un diritto d'accesso automatico alle informazioni detenute dalle pubbliche autorità, senza che l'interessato sia tenuto a specificare le ragioni della sua richiesta. Segnalo infine la «Déclaration sur les media dans une société démocratique», adottata nel corso della quarta Conferenza ministeriale europea sulla politica dei mezzi di comunicazione di massa, tenutasi a Praga nel dicembre del 1994, con la quale i partecipanti hanno raccomandato al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa di esaminare «l'opportunité de préparer un instrument juridique contraignant ou d'autres mesures fixant des principes de base concernant le droit d'accès aux informations détenues par les autorités publiques». Si può ritenere che il diritto di accedere alle informazioni sia configurato, in maniera sempre più evidente, come un diritto civile fondamentale.

Negli atti del Consiglio d'Europa che ho richiamato è in particolare stabilito un legame tra il diritto di accesso ai documenti in possesso dei pubblici poteri e la libertà di espressione e di informazione assicurata dall'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale diritto, come è giustamente ricordato dal Parlamento europeo, costituisce pure un corollario della «libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere» garantita dall'art. 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici firmato a New York il 19 dicembre 1966.

Anche sul piano del diritto internazionale convenzionale, come negli ordinamenti degli Stati membri, si assiste dunque ad una progressiva e sempre più ampia affermazione del diritto dell'individuo ad accedere alle informazioni ufficiali, o come sviluppo di diritti precedentemente riconosciuti all'individuo, o come diritto autonomo, frutto di un'evoluzione nella concezione dei rapporti tra amministrazione e cittadini, o, in termini più generali, tra governanti e governati.

17. 

Nell'ordinamento comunitario non esiste a tutt'oggi una disciplina generale relativa all'accesso del pubblico ai documenti detenuti dalle istituzioni. Solo alcune regole particolari, che impongono la pubblicità o la segretezza di determinati atti od informazioni, sono poste dai Trattati e da norme di diritto derivato. È il caso ad esempio dell'art. 191, n. 2, del Trattato CE, che prevede la pubblicazione dei regolamenti del Consiglio e della Commissione, nonché delle direttive rivolte a tutti gli Stati membri, condizionando a tale pubblicazione la stessa entrata in vigore degli atti in questione. O, ancora, dell'art. 156 dello stesso Trattato e delle corrispondenti disposizioni dei Trattati CECA e CEEA ( 19 ) che impongono alla Commissione di pubblicare annualmente una relazione generale sull'attività della Comunità. Un regime di segretezza delle informazioni acquisite dalle istituzioni comunitarie in virtù dell'esecuzione di programmi di ricerca nucleare è invece stabilito, a tutela degli interessi della difesa degli Stati membri, dagli artt. 24-27 del Trattato CEEA. A protezione, in particolare, del segreto commerciale e industriale delle imprese è posto inoltre, in capo alla Commissione, nonché ai suoi funzionari ed agenti, il divieto di divulgare determinate informazioni raccolte nell'esercizio dei compiti loro affidati, dall'art. 47, secondo comma, del Trattato CECA, dall'art. 214 del Trattato CE, come pure dall'art. 20 del regolamento n. 17/62, relativo all'applicazione delle regole di concorrenza del Trattato CE ( 20 ).

18. 

Si può dire che la decisione 93/731/CE, come è sostenuto dal governo olandese, abbia in realtà proprio lo scopo di dettare tale disciplina generale sull'accesso del pubblico ai documenti ufficiali, quanto meno a quelli detenuti dal Consiglio, e fondi dunque un eventuale diritto soggettivo in capo ai singoli ad ottenere le informazioni richieste?

Non ritengo che possa essere questa la portata da attribuire all'atto controverso. In effetti, sia la forma che il contenuto della decisione dimostrano che essa, in definitiva, intende formalizzare e rendere pubblica la prassi seguita dal Consiglio nell'esame delle domande di accesso ai documenti, apportandovi le modifiche necessarie a garantire una reale pubblicità ai suoi lavori. Nel quadro della maggiore trasparenza dell'azione comunitaria, auspicata dalla ricordata dichiarazione n. 17 allegata al Trattato sull'Unione, gli interessati sono così posti in grado di conoscere con precisione le regole interne applicate a tale riguardo dai competenti servizi dell'istituzione.

19. 

Ha dunque ragione il Consiglio quando afferma che le disposizioni impugnate costituiscono misure di organizzazione del suo funzionamento interno e non creano, esse stesse, alcun diritto soggettivo all'informazione. La base di un tale diritto va piuttosto ricercata nel principio democratico, che rappresenta uno degli elementi fondanti della costruzione comunitaria, quale risulta adesso consacrato nel Preambolo del Trattato di Maastricht ( 21 ) e nell'art. F delle disposizioni comuni ( 22 ). Orbene, alla luce dell'evoluzione constatata negli ordinamenti degli Stati membri, di tale principio costituisce attualmente elemento essenziale il diritto di accesso ai documenti ufficiali. Esso, infatti, è il presupposto imprescindibile per consentire un controllo efficace dell'opinione pubblica sull'operato dei pubblici poteri. È dunque il principio democratico, con i contenuti che esso è venuto progressivamente assumendo nei vari ordinamenti nazionali, ad imporre che l'accesso ai documenti non sia più consentito solo al destinatario di un provvedimento dell'autorità pubblica: in questi termini, vale a dire come esigenza connessa al rispetto dei diritti della difesa, il diritto di accesso è stato riconosciuto e tutelato nell'ordinamento comunitario, in particolare nel quadro dell'applicazione delle norme di concorrenza ( 23 ).

Non si può fare a meno di sottolineare, d'altra parte, che, quanto meno con riguardo all'esercizio della funzione legislativa, la pubblicità dei lavori parlamentari costituisce un principio comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri.

20. 

Ben diversa è poi la questione attinente alla possibilità per gli interessati di invocare la mancata osservanza delle disposizioni della decisione 93/731/CE, una volta riconosciuto che l'atto in questione è stato adottato nell'esercizio del potere di autoregolamentazione spettante ad ogni istituzione. Orbene, la giurisprudenza della Corte ha già chiarito — e il governo olandese d'altronde non lo contesta — che tale possibilità va ammessa in tutti i casi in cui la norma interna sia diretta anche a tutelare i singoli ( 24 ). Ciò si verifica, in particolare, quando una determinata misura intenda fissare le modalità di esercizio di una attività che implica un contatto con dei terzi. Più in generale, una consolidata giurisprudenza ha riconosciuto che, ogniqualvolta si danno regole di condotta, le istituzioni non possono successivamente discostarsene, senza precisarne i motivi, a pena di trasgredire il principio della parità di trattamento ( 25 ).

Su queste basi, dunque, è ben possibile per gli interessati esigere dal Consiglio il rispetto delle regole che si è imposto nell'esame delle richieste di accesso ai documenti; l'invocabilità di tali regole, tuttavia, non significa affatto che siano esse a fondare il diritto di informazione dei cittadini. Questo diritto, come si è detto, preesisteva all'adozione del nuovo regolamento interno del Consiglio e della decisione 93/731/CE. Gli atti contestati si sono dunque limitati ad organizzare il funzionamento dell'istituzione in considerazione di quel diritto; né, d'altra parte, la loro portata avrebbe potuto essere diversa, in quanto proprio la base giuridica prescelta per l'adozione dimostra come questo, e non un altro, sia stato l'obiettivo avuto di mira.

21. 

Quanto si è detto implica altresì che, nel valutare la legittimità di una decisione con cui viene rifiutato l'accesso ad un determinato documento, il giudice comunitario dovrà comunque accertare che sia garantita l'effettività dei diritti riconosciuti a tale riguardo ai cittadini. In altre parole, sarebbe da considerare illegittima una decisione del Consiglio, anche se adottata nel pieno rispetto delle regole autoimpostesi in materia di pubblicità, qualora si risolvesse in fatto nella negazione del contenuto essenziale del diritto d'informazione.

Ritengo che proprio questa sia la portata della sentenza nella causa Carvel ( 26 ), in cui il Tribunale è stato chiamato per la prima volta ad esprimersi sulla questione. In tale occasione esso ha ritenuto illegittimo il rifiuto di autorizzare l'accesso a taluni documenti opposto dal Consiglio sulla base dell'art. 4, n. 2, della decisione 93/731/CE, cioè adducendo la necessità di tutelare la segretezza delle sue deliberazioni, in quanto non risultava che nel caso di specie si fosse proceduto ad una reale valutazione comparativa dei diversi interessi in gioco. Da ciò risulta, in primo luogo, il riconoscimento della pubblicità come principio ispiratore dell'azione delle istituzioni comunitarie: solo specifici e ben individuati interessi possono importare il sacrificio del diritto d'informazione spettante ai cittadini. In secondo luogo, è chiaro per il Tribunale che contenuto e limiti di tale diritto non sono definiti dalla decisione 93/731/CE: solo così si può comprendere l'annullamento del rifiuto opposto dal Consiglio alla richiesta di accesso nel caso di specie, rifiuto da considerarsi altrimenti conforme alle previsioni dell'art. 4, n. 2.

22. 

In conclusione, concordo con il governo olandese circa l'opportunità o forse anche la necessità di stabilire per via «legislativa» una disciplina generale dell'accesso del pubblico ai documenti detenuti da tutte le istituzioni comunitarie, che, nel rispetto del diritto d'informazione spettante ai cittadini, ne definisca con precisione modalità e limiti, anche eventualmente in rapporto alle diverse funzioni esercitate dalle istituzioni. Ciò detto, tuttavia, in assenza di una tale disciplina e fatto salvo naturalmente il controllo del giudice comunitario sulle decisioni con cui nei singoli casi sia rifiutato l'accesso ad un documento, non può essere negata la competenza delle istituzioni, sulla base del potere di autoregolamentazione a ciascuna di esse riconosciuto, a disciplinare autonomamente la materia nei profili più direttamente attinenti alle procedure e alle condizioni di esame delle domande di accesso.

23. 

Per quanto riguarda infine il codice di condotta, tale atto si è limitato a fissare i principi e le condizioni comuni cui Commissione e Consiglio intendevano ispirarsi nella disciplina dell'accesso ai documenti; allo stesso tempo esso ha affidato alle due istituzioni il compito di darvi attuazione mediante proprie disposizioni regolamentari. Si tratta dunque di un accordo di carattere essenzialmente politico, secondo quanto sostenuto dallo stesso governo olandese in via principale, senza alcuna vocazione a produrre effetti giuridici.

Non essendo dunque produttivo di effetti giuridici, né mirando a produrne, secondo la formula utilizzata a questo riguardo dalla Corte, il codice di condotta non può essere oggetto di un ricorso di annullamento ( 27 ).

24. 

Un'ultima parola sulle spese del giudizio. Accogliendo la soluzione da me proposta, esse normalmente dovrebbero essere poste a carico del Regno dei Paesi Bassi. L'art. 69, secondo comma, del Regolamento di procedura della Corte stabilisce infatti che, qualora ne sia fatta domanda, come è avvenuto nel caso di specie, «la parte soccombente è condannata alle spese». Tenuto conto tuttavia dell'importanza fondamentale della questione sollevata con il presente ricorso — vale a dire quella dello sviluppo democratico della Comunità — e della circostanza che, anche respingendo le censure specifiche che ne sono alla base, non posso che condividere l'impostazione generale sostenuta dal governo olandese in materia di diritto d'informazione, in particolare in ordine alla necessità di una disciplina generale della materia, propongo alla Corte di procedere eccezionalmente ad una compensazione delle spese del giudizio. Ciò anche al fine di dare un segnale alle istituzioni comunitarie circa l'urgenza dei compiti che sono chiamate ad assolvere in questo campo.

25. 

Alla luce delle osservazioni che precedono, propongo dunque alla Corte di:

dichiarare il ricorso irricevibile nella parte in cui è diretto ad ottenere l'annullamento dell'atto n. 93/730/CE, intitolato «Codice di condotta relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Consiglio e della Commissione»;

respingere il ricorso per le restanti censure;

statuire che ciasuna delle parti, ivi comprese le parti intervenienti, sopporti le proprie spese.


( *1 ) Lingua originale: l'italiano.

( 1 ) GU L 340, pag. 43.

( 2 ) GU L 304, pag. 1.

( 3 ) GU L 340, pag. 41.

( 4 ) GU 1992, C 191, pag. 101.

( 5 ) Il testo della dichiarazione di Birmingham, «Una Comunità vicina ai suoi cittadini», è riportato in Boll. CE, 10-1992, pag. 9, punto 1.8.

( 6 ) V. Boll. CE, 12-1992, pag. 10, punto 1.5.

( 7 ) COM (93) 191 def., «Accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni», GU C 156, pag. 5.

( 8 ) COM (93) 258 def, «La trasparenza nella Comunità», GU C 166, pag. 4.

( 9 ) V. Boll. CE 6-1993, pag. 15, punto 1.22.

( 10 ) Ricordo che la delegazione dei Paesi Bassi ha espresso voto contrario sia al codice di condotta che alle due decisioni del Consiglio, per le stesse ragioni che inducono oggi il governo olandese a chiederne l'annullamento.

( 11 ) È opportuno segnalare per la completezza dell'esposizione che, ai sensi dei nn. 2 e 4 dell'art. 7, l'assenza di risposta da parte del Consiglio nel mese successivo a quello dell'introduzione sia della domanda iniziale che di quella di conferma va considerata equivalente ad una decisione di rifiuto.

( 12 ) Sentenza 7 maggio 1991, causa C-69/89 (Race. pag. I-2069, punti 49-50).

( 13 ) Sentenza 15 giugno 1994, causa C-137/92 P, Commissione/BASF (Race. pag. I-2555, punti 74 e ss.).

( 14 ) Sentenza 17 marzo 1993, Commissione/Consiglio («Direttiva rifiuti») (Race. pag. I-939, punti 22-24). In quella causa il Parlamento, oltre a sostenere il ricorso della Commissione diretto ad ottenere l'annullamento di una direttiva, in quanto fondata su una base giuridica non corretta, aveva altresì fatto valere l'incompatibilità con il Trattato di un articolo della stessa direttiva e ne aveva parimenti chiesto l'annullamento, senza che la questione fosse stata posta nel ricorso della Commissione.

( 15 ) Sul punto, v. il documento della Commissione, «L'accesso del pubblico alle informazioni» allegato alla comunicazione del 5 maggio 1993, COM (93) 191 def., citata alla nota 7; nonché D. Curtin e H. Meijers: «The principle of open government in Schengen and the European Union: democratic retrogression?», in Common Market Law Review, 1995, pag. 391 e ss.

( 16 ) È questo il caso del Belgio (art. 32 del testo coordinato della Costituzione del 17 febbraio 1994; tale articolo è stato introdotto con la revisione costituzionale del 1993 ed è entrato in vigore il 1o gennaio 1995), Spagna (in cui il diritto generale d'accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche autorità deriva dal principio di pubblicità degli atti dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, consacrato agli artt. 9, terzo comma, 80, 105 e 120 della Costituzione), Finlandia (art. 10, secondo comma, della Costituzione del 17 luglio 1919, nel testo modificato nel corso di quest'anno ed entrato in vigore il 1o agosto 1995, che lega il diritto d'accesso ai documenti alla libertà di espressione), Paesi Bassi (art. 110 della Costituzione nel testo risultante dalle modifiche introdotte nel 1983), Portogallo (art. 268 della Costituzione nel testo risultante a seguito della revisione del 1989) e Svezia (dove il diritto d'accesso ai documenti pubblici è stato consacrato dalla legge sulla libertà di stampa, di rango costituzionale, del 1766). Con riguardo all'Austria, va segnalato che, a seguito di una revisione costituzionale intervenuta nel 1987, l'art. 20 della Costituzione stabilisce l'obbligo per le pubbliche autorità di rendere accessibili le informazioni in loro possesso. Tale disposizione, tuttavia, non crea un diritto soggettivo per i singoli, ma solo l'obbligo per il legislatore ordinario, a livello federale e dei singoli Lander, di elaborare un tale diritto: ciò è avvenuto con una serie di leggi adottate negli anni 1987-1990. Una disciplina generale del diritto d'accesso, stabilita con legge ordinaria, esiste altresì in Danimarca (leggi n. 571 e n. 572 del 19 dicembre 1985), Francia (leggi n. 78-17, del 6 gennaio 1978, n. 78-573, del 17 luglio 1978, e n. 79-18, del 3 gennaio 1979), Grecia (legge n. 1599/1986, in cui, peraltro, if diritto e sottoposto a numerose condizioni e deroghe) e Italia (legge n. 241 del 7 agosto 1990, che attribuisce il diritto d'accesso limitatamente a chi vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti).

Nei paesi, infine, in cui il diritto d'accesso non è disciplinato in via generale, esso è comunque previsto da numerose leggi particolari in relazione a materie detcrminate.

( 17 ) Conseil de l'Europe, Assemblée Parlementaire, Textes adoptés, 30ème session ordinaire, 3ème partie, janvierfévrier 1979.

( 18 ) Conseil de l'Europe, Collection des recommandations, résolutions et déclarations du Comité des Ministres portant sur les droits de l'homme, 1949-1987, Strasbourg, 1989, pag. 96.

( 19 ) Rispettivamente art. 17 CECA e art. 125 CEEA.

( 20 ) Regolamento del Consiglio del 6 febbraio 1962, primo regolamento d'applicazione degli articoli 85 c 86 del Trattato (GU n. 13 del 21 febbraio 1962, pag. 204).

( 21 ) V, in particolare, il terzo e il quinto capoverso del Preambolo, nei quali le Parti contraenti confermano «il proprio attaccamento ai principi della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nonché dello Stato di diritto» e manifestano la loro volontà comune di «rafforzare ulteriormente il funzionamento democratico ed efficiente delle istituzioni in modo da consentire loro di adempiere in modo più efficace, in un contesto istituzionale unico, i compiti loro affidati».

( 22 ) L'art. F, n. 1, stabilisce che «l'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri, i cui sistemi di governo si fondano sui principi democratici».

( 23 ) Estensione e limiti del diritto d'accesso ai documenti detenuti dalla Commissione sono stati precisati, come è noto, in una abbondante giurisprudenza della Corte: v., ad esempio, le sentenze 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffmann-Laroche (Race. pag. 461, in particolare punti 9-16), 29 ottobre 1980, cause riunite da 209 a 215 e 218/78, Van Landewyek («FEDETAB») (Race. pag. 3125, in particolare punti 36-40), 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin (Race. pag. 3461, in particolare punti 5-10) e 3 luglio 1991, causa C-62/86, AKZO (Race. pag. I-3359, in particolare punti 15-24).

( 24 ) V., a questo proposito, oltre alle sentenze Nakajima e Commissione/BASF citate alle note 12 e 13, le sentenze 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB (Race. pag. 19, punto 14), c 11 ottobre 1990, causa C-200/89, FUNOC (Race. pag. I-3669, punto 14).

( 25 ) V., ad esempio, le sentenze della Corte 30 gennaio 1974, causa 148/73, Louwage (Race. pag. 81, punto 12), e 10 dicembre 1987, cause riunite da 181 a 184/86, Del Plato (Race. 4991, punto 10); tale principio è stato ribadito dal Tribunale nella sentenza 24 gennaio 1991, causa T-63/89, Latham (Race. pag. II-19, punto 25).

( 26 ) Sentenza 19 ottobre 1995, causa T-194/94 (Race. pag. II-2765).

( 27 ) La natura di tale atto è dunque fondamentalmente diversa sia da quella del «codice di condotta» oggetto della sentenza 13 novembre 1991, causa C-303/90, Francia/Commissione (Race. pag. I-5315, in particolare punto 9), sia da quella di altri atti di cui la Corte ha riconosciuto l'impugnabilità, in quanto, pur essendo privi di taluni requisiti formali, essi apparivano comunque idonei a produrre effetti giuridici, sulla base del loro contenuto sostanziale: v., ad esempio, le sentenze 9 ottobre 1990, causa C-366/88, Francia/Commissione («istruzioni interne») (Race. pag. I-3571, in particolare punto 8), e 16 giugno 1993, causa C-325/91, Francia/Commissione («comunicazione aiuti») (Race. pag. I-3283, in particolare punto 9).