Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 13 luglio 1995. - Francina Johanna Maria Dietz contro Stichting Thuiszorg Rotterdam. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Kantongerecht Rotterdam - Paesi Bassi. - Parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Diritto di iscrizione ad un regime pensionistico professionale - Diritto di percepire una pensione di vecchiaia - Lavoratori a tempo parziale. - Causa C-435/93.
raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-05223
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1 Nella causa in esame, la Corte è stata sollecitata dal Kantonrechter di Rotterdam a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 119 del Trattato CEE per quel che riguarda l'accesso ad un regime pensionistico aziendale, nonché ad interpretare la sentenza della Corte 17 maggio 1990, Barber (in prosieguo: la «sentenza Barber») (1) ed il protocollo n. 2, riferentesi all'art. 119, aggiunto al Trattato CE con il Trattato sull'Unione europea del 7 febbraio 1992.
I - La causa principale
2 La causa in esame verte sulle conseguenze della summenzionata sentenza Barber per le donne che lavorano a tempo parziale. La signora Dietz ha lavorato a tempo parziale e più precisamente sette ore la settimana come infermiera per gli anziani dall'11 dicembre 1972 al 6 novembre 1990 al servizio della fondazione convenuta, la Stichting Thuiszorg Rotterdam (in prosieguo: la «Thuiszorg») e dell'avente causa della convenuta, la fondazione Stichting Katholieke Maatschappelijke Gezinszorg. Il 6 novembre 1990 la signora Dietz compiva 61 anni e, secondo quanto si era convenuto con il datore di lavoro il 18 luglio 1990, veniva collocata in pensione anticipatamente, in virtù del regime di pensionamento volontario applicato dalla Thuiszorg. In virtù della legge sulle assicurazioni obbligatorie alla cassa pensioni aziendali (Wet betreffende verplichte deelneming in een bedrijfspensionenfonds, in prosieguo: la «legge BPF») (2) la Thuiszorg è convenzionata con la cassa Pensioenfonds voor de Gezondheids-, Geestelijke en Maatschappelijke Belangen (in prosieguo: la «cassa PGGM»). Come si desume dal provvedimento di rinvio, l'iscrizione a detta cassa pensionistica aziendale è obbligatoria a norma dell'art. 3 della legge BPF, il quale stabilisce che il ministro delle Assicurazioni sociali e dell'Occupazione, su domanda dei rappresentanti delle organizzazioni aziendali del settore in questione, può rendere obbligatoria l'iscrizione ad una cassa pensionistica aziendale.
3 Fino al 1_ gennaio 1991, la signora Dietz non poteva assicurarsi al regime pensionistico del datore di lavoro, poiché ne erano esclusi i lavoratori a tempo parziale che, come la signora Dietz, prestavano servizio con orario pari o inferiore al 40% dell'orario normale di lavoro. Quindi la signora Dietz non poteva maturare spettanze di pensione anteriormente al 1_ gennaio 1991, secondo il vecchio regime pensionistico. Il 1_ gennaio 1991 questa limitazione è stata abolita, nell'ambito di un'armonizzazione del regime delle casse pensionistiche, secondo le disposizioni della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all'attuazione della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi professionali di sicurezza sociale (3). In quest'occasione si è istituito un regime transitorio che contemplava, per i lavoratori esclusi dalla cassa PGGM, il riconoscimento della pensione in virtù di un sistema di prestazioni di conguaglio (Overbruggingsuitkering, in prosieguo: l'«OBU»).
4 Il 2 dicembre 1992, la signora Dietz citava la Thuiszorg dinanzi al Kantonrechter di Rotterdam. L'attrice sostiene che avrebbe rinviato il suo collocamento a riposo anticipato dal 6 novembre 1990 se fosse stata informata che dal 1_ gennaio 1991 sarebbe stata abolita l'esclusione dalle spettanze a pensione dei lavoratori a tempo parziale e che ella avrebbe potuto, fruendo del regime transitorio di cui sopra, istituito per armonizzare l'abolizione della predetta limitazione per i lavoratori a tempo parziale, ottenere un pensionamento in virtù dell'OBU. L'attrice sostiene che ignorava l'imminente modifica con cui si sarebbe eliminata la limitazione di cui sopra, mentre invece la convenuta Thuiszorg ne era al corrente e avrebbe dovuto informarla. L'attrice sostiene che la convenuta ha agito in spregio dell'art. 119 del Trattato CE, poiché non ha consentito la sua iscrizione alla cassa PGGM con la quale la Thuiszorg aveva stipulato una convenzione. Secondo l'attrice, il principio sancito dall'art. 119 sulla parità di trattamento tra i due sessi le conferisce una spettanza di pensione e quindi un diritto a prestazioni retroattivamente dall'8 aprile 1976, data della sentenza Defrenne II (4) con la quale si è deciso che detto articolo è direttamente e orizzontalmente applicabile. La signora Dietz chiede quindi che il giudice del merito condanni la Thuiszorg a riconoscere il suo diritto di affiliarsi al regime pensionistico PGGM dall'8 aprile 1976 o che disponga nel senso che ella fruisca, dal compimento dell'età della pensione, di prestazioni come se fosse stata assicurata presso la cassa PGGM dall'8 aprile 1976.
5 La convenuta, dal canto suo obietta che, al momento della stipulazione dell'accordo con l'attrice per il collocamento a riposo anticipato, ignorava che l'abolizione dell'esclusione dei lavoratori a tempo parziale sarebbe stata corredata dall'istituzione di un regime transitorio a favore degli stessi. La Thuiszorg sostiene inoltre di non aver alcuna facoltà o influenza sull'operato della cassa PGGM. A suo parere, l'attrice avrebbe dovuto presentare domanda di affiliazione al regime litigioso di pensione direttamente a detta cassa e non alla Thuiszorg, la quale sotto questo profilo non è legittimamente convenuta in giudizio. La Thuiszorg sostiene inoltre che la richiesta di assicurazione dell'attrice non può venir accolta retroattivamente con effetto dall'8 aprile 1976 in forza della sentenza Barber, già citata. Il Kantonrechter di Rotterdam, ritenendo che per la pronuncia sul merito fosse necessario chiarire alcuni punti di diritto comunitario, sospendeva il procedimento per sottoporre alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali a norma dell'art. 177 del Trattato CE.
II - Le questioni pregiudiziali
6 Con ordinanza 18 ottobre 1983 (5) il Kantonrechter di Rotterdam chiede alla Corte di pronunciarsi su questioni simili a quelle già sottoposte dal Kantonrechter di Utrecht con provvedimento 18 marzo 1993 nella causa C-128/93 (6). Il provvedimento del Kantonrechter di Rotterdam si richiama espressamente alle questioni sottoposte dal Kantonrechter di Utrecht e le completa. Il testo delle questioni è il seguente:
«1) Se rientri nel diritto alla (parità di) retribuzione, come sancito dall'art. 119 del Trattato CEE, anche il diritto di iscrizione ad un regime pensionistico aziendale come quello di specie, imposta dai pubblici poteri.
1) a) Se per la soluzione della questione n. 1, come formulata dal Kantonrechter di Utrecht nel suo provvedimento di rinvio, soprammenzionato, rilevino:
a) il fatto che per l'adozione della legge Bedrijfspensioenfonds BPF (legge relativa al regime pensionistico di categoria), oltre a considerazioni di politica sociale (per la costituzione del fondo pensioni destinato alla categoria i costi vengono sostenuti collettivamente da tutte le imprese facenti parte della categoria stessa), abbia avuto importanza decisiva l'intento di escludere la reciproca concorrenza nella categoria professionale;
b) il fatto che l'imposizione di un obbligo legale fosse contemplata dall'originario disegno della legge BPF, ma non dalla legge definitivamente approvata [Tweede Kamer (Seconda camera) 1948-1949 785, n. 6];
c) il punto se contro detta imposizione la fondazione Thuiszorg di Rotterdam avesse o no presentato opposizione (ed essa fosse stata ignorata dal ministro);
d) il punto se la fondazione Thuiszorg avesse o non avesse effettuato presso i lavoratori alle sue dipendenze indagini il cui esito avrebbe potuto fornire motivo per chiedere l'esenzione o per informare i lavoratori della possibilità dell'esenzione.
2) Se, in caso di soluzione affermativa della precedente questione, la limitazione nel tempo che la Corte ha posto nella causa Barber per una disciplina pensionistica come quella sulla quale verteva la sentenza Barber ["contracted out schemes" (regimi di deroga convenzionale)] valga anche per un diritto di iscrizione ad un regime pensionistico aziendale come quello di cui trattasi nella fattispecie, dal quale l'attrice era stata esclusa, in quanto coniugata.
2) a) In caso di soluzione affermativa alla questione di cui sopra, se la limitazione temporale posta dalla Corte nella sentenza Barber per una disciplina sulle pensioni, come quella sulla quale verteva la causa Barber ["contracted out schemes" (regimi di deroga convenzionale)], valga anche per la domanda di versamento di una pensione di vecchiaia.
3) Nei casi in cui il regime pensionistico applicato in un'impresa sia imposto per legge, se l'ente esecutore e gestore del regime [il Bedrijfspensioenfonds (ente previdenziale competente)] sia tenuto ad applicare il principio della parità di trattamento sancito dall'art. 119 del Trattato CEE e se il lavoratore che risulta pregiudicato dall'inosservanza di detta norma possa agire direttamente contro l'ente pensionistico, come se si trattasse del datore di lavoro.
A chiarimento di questo punto può essere utile aggiungere che il Kantongerecht non è competente a pronunciarsi in materia di responsabilità delittuale o quasi delittuale, poiché un'azione di tale importanza esula dalla sua sfera di competenza. Nel presente procedimento è quindi importante accertare se l'attrice possa agire contro l'ente pensionistico in base al suo contratto di lavoro.
4) Qualora l'attrice, in forza dell'art. 119 del Trattato CEE, abbia diritto di iscriversi al regime pensionistico aziendale da una data anteriore al 1_ gennaio 1991, se ciò implichi che essa non è tenuta a versare i contributi che avrebbe dovuto versare qualora fosse stata ammessa prima al regime pensionistico.
5) Se abbia rilevanza il fatto che l'attrice non ha reagito prima per ottenere il riconoscimento dei diritti che ora rivendica.
6) Se il protocollo sull'art. 119 del Trattato CEE, allegato al Trattato di Maastricht (il "protocollo Barber"), e l'articolo transitorio III del disegno di legge n. 20890 (il disegno di legge recante modifica di questo articolo), inteso a dare attuazione alla quarta direttiva, abbiano conseguenze per la pronuncia nella causa presente, instaurata dinanzi al Kantongerecht mediante atto di citazione notificato il 2 dicembre 1992».
Le questioni di cui sopra vertono sull'applicazione dell'art. 119 del Trattato ai regimi pensionistici professionali e sul limite temporale degli effetti della summenzionata sentenza Barber.
III - Sfondo legislativo e giurisprudenziale
7 L'art. 119 del Trattato recita: «Ciascuno Stato membro assicura durante la prima tappa, e in seguito mantiene, l'applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro.
Per retribuzione deve essere inteso, ai sensi del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo.
La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica:
a) che la retribuzione accordata per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura,
b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per un posto di lavoro uguale».
Con la sentenza Bilka (7), che ha trovato conferma nella sentenza Barber e nella sentenza Ten Oever (8), la Corte ha dichiarato che rientrano nella sfera d'applicazione dell'art. 119 tanto il diritto di assoggettarsi a regimi previdenziali aziendali quanto il diritto di fruire di prestazioni fornite da detti regimi. Più particolarmente, nella sentenza Barber la Corte ha dichiarato che, contrariamente alle prestazioni fornite dai regimi nazionali di previdenza sociale istituiti dalla legge le pensioni versate dai regimi aziendali di previdenza sociale costituiscono vantaggi che il datore di lavoro offre al dipendente a motivo dell'opera da questo prestata e quindi rientrano nella nozione di retribuzione ai sensi dell'art. 119 del Trattato CE.
8 La conseguenza pratica di detta giurisprudenza è che, nel caso dei regimi previdenziali aziendali, la differenziazione dell'età pensionabile a seconda del sesso dell'avente diritto a fruire di pensione, costituisce discriminazione vietata dall'art. 119. E ciò nonostante il fatto che la direttiva 86/378/CEE relativa all'attuazione della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi professionali di sicurezza sociale (9), come d'altra parte la direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, per la graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (10) consenta deroghe al principio della parità di trattamento tra i sessi quanto all'età pensionabile [art. 9, lett. a), della direttiva]. La conseguenza di questa sentenza è che la direttiva 86/378/CEE viene privata della maggior parte, se non del tutto, del suo oggetto, in quanto le prestazioni di pensione in virtù di regimi pensionistici aziendali non devono più considerarsi rientranti nella sfera d'applicazione di queste, bensì dell'art. 119.
9 La Corte ha però dichiarato che gli effetti della sentenza Barber sono limitati nel tempo, osservando che «l'efficacia diretta dell'art. 119 del Trattato non può esser fatta valere per chiedere il riconoscimento del diritto alla pensione con effetto da una data precedente a quella della presente sentenza, ad eccezione dei lavoratori o dei loro aventi diritto che, prima di questa data, hanno esperito un'azione giurisdizionale o proposto un reclamo equivalente a norma del diritto nazionale» (11). Commentando detta limitazione temporale, la Corte ha osservato, nella sentenza Ten Oever che «alla stregua della sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber, la diretta efficacia dell'art. 119 del Trattato può essere fatta valere, per esigere la parità di trattamento in materia di pensioni erogate da regimi convenzionali privati, soltanto con riferimento alle prestazioni dovute per i periodi lavorativi successivi al 17 maggio 1990, fatta salva l'eccezione prevista per i lavoratori o per i loro aventi causa che abbiano, prima di tale data, esperito un'azione in giudizio o proposto un reclamo equivalente a norma del diritto nazionale» (12).
10 Ad un chiarimento della limitazione temporale dell'efficacia immediata dell'art. 119 del Trattato nel settore delle pensioni spettanti in virtù dei regimi pensionistici aziendali mira anche il protocollo n. 2 (in prosieguo: il «protocollo Barber») inserito nel Trattato CE dal 1_ novembre 1993, data di inizio dell'entrata in vigore del Trattato per l'Unione europea.
Il testo di detto protocollo recita: «Ai fini dell'applicazione dell'articolo 119 del trattato, le prestazioni in virtù di un regime professionale di sicurezza sociale non saranno considerate come retribuzione se e nella misura in cui esse possono essere attribuite ai periodi di occupazione precedenti il 17 maggio 1990, eccezion fatta per i lavoratori o i loro aventi diritto che, prima di detta data, abbiano intentato un'azione giudiziaria o introdotto un reclamo equivalente secondo il diritto nazionale applicabile». Si accoglie dunque la stessa soluzione seguita dalla giurisprudenza della Corte testé ricordata.
IV - Soluzione delle questioni pregiudiziali
11 Negli Stati membri nei quali i regimi previdenziali aziendali hanno lunga tradizione, è insorto un delicato problema quanto all'incidenza e alle conseguenze nel tempo dell'applicazione a detti regimi del principio della parità di retribuzioni sancito dall'art. 119, con la conseguenza di una fioritura di questioni pregiudiziali.
La presente causa rientra in questo quadro. Già nella sentenza Fisscher, la Corte ha risolto la maggior parte degli interrogativi pregiudiziali posti dal Kantonrechter di Rotterdam.
Sulla prima questione
12 Tale questione ha due aspetti. Sotto il primo profilo il giudice a quo chiede se l'assoggettamento obbligatorio ad un regime pensionistico aziendale rientri nel diritto di parità di retribuzione sancito dall'art. 119 del Trattato CE. La Corte ha già fornito una soluzione affermativa nella sentenza Fisscher (13). Ricordo unicamente che la convenuta nella fattispecie odierna, la cassa PGGM presenta le stesse caratteristiche già osservate per il regime previdenziale sul quale verteva la causa Fisscher. Come emerge dal provvedimento di rinvio e dalle osservazioni presentate alla Corte dalla convenuta nella causa principale, anche nella causa odierna è in questione un regime previdenziale aziendale conforme ai criteri sanciti nella sentenza Barber. E' infatti un regime al quale vengono iscritti automaticamente tutti i lavoratori del settore in questione, costituito in esito a negoziati collettivi nell'ambito del settore interessato e non direttamente ope legis, che è finanziato, senza apporto delle pubbliche autorità, dai datori di lavoro e dai lavoratori e che non si applica a categorie generali di lavoratori, ma solo a quelli di un determinato settore. Di conseguenza l'art. 119 e il principio della parità di retribuzione tra i sessi si applicano anche per quel che riguarda la cassa PGGM.
13 Con la seconda parte [1 a)] della prima questione, il giudice a quo chiede se le circostanze da lui enumerate facciano mutare la conclusione di cui sopra quanto all'applicazione dell'art. 119 del Trattato al diritto di iscrizione ad un regime previdenziale aziendale. Ritengo che le circostanze in questione non possano influire sulla particolarità dell'assoggettamento ad un regime previdenziale aziendale, come vantaggio offerto dal datore di lavoro al dipendente a motivo del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 119 del Trattato CE né di conseguenza mettere in dubbio l'applicazione alla fattispecie di detto articolo. In effetti, né i motivi che hanno indotto il legislatore olandese ad elaborare la legge BPF né la previsione di un'assicurazione obbligatoria, nel disegno di legge iniziale non approvato in seguito, né infine la questione se la fondazione convenuta Thuiszorg abbia o meno sollevato obiezioni quanto alla prescrizione di un'assicurazione obbligatoria, né inoltre il fatto che la Thuiszorg abbia effettuato un'indagine tra i dipendenti circa la possibilità di deroga dall'obbligo di assicurazione, hanno influenza sui criteri testé esposti, sui quali si fonda, conformemente alla sentenza Barber, la classificazione dell'assicurazione nei regimi previdenziali aziendali e delle prestazioni che questi offrono come vantaggi offerti dal datore di lavoro al dipendente a motivo del rapporto di lavoro.
Sulla seconda questione
14 Anche questo interrogativo ha due aspetti. Nella prima parte il giudice a quo chiede se la limitazione temporale degli effetti della sentenza Barber si estenda anche al diritto di iscrizione ad un regime pensionistico aziendale come quello in esame. Anche questo interrogativo è stato già risolto nella sentenza Fisscher. La Corte ha dichiarato che «la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza (...) Barber, non si applica al diritto di iscrizione a un regime pensionistico aziendale» (14).
15 Come emerge dal raffronto delle due parti della seconda questione, la seconda parte [2 a)] solleva il problema se, in considerazione della soluzione fornita ai punti precedenti, la limitazione temporale alla possibilità di invocare l'efficacia diretta dell'art. 119, contemplata dalla giurisprudenza della Corte e dal protocollo Barber, abbia, in caso di affiliazione retroattiva ad un regime pensionistico aziendale, applicazione anche per quel che riguarda la corresponsione di prestazioni pensionistiche. Il giudice nazionale ha chiesto, in sostanza, se per quel che riguarda l'applicazione della limitazione temporale in questione si debba far distinzione tra il diritto di iscrizione ad un regime pensionistico aziendale e la spettanza a prestazioni nell'ambito dello stesso sistema.
16 Su questo punto si deve osservare anzitutto che, come emerge dalle sentenze di cui sopra Ten Oever e Moroni, la Corte ammette che i principi che contraddistinguono la causa Barber, ivi compresa la limitazione temporale, hanno applicazione anche per altri regimi previdenziali aziendali, come ad esempio i regimi pensionistici professionali complementari. Di conseguenza, la sentenza Barber non può ritenersi riguardare solo i regimi pattizi («contracted out») in campo previdenziale, ai quali si riferiva la suddetta causa. Di conseguenza, conformemente a quanto esposto in precedenza, il regime previdenziale in questione ricade, per la sua natura, nella sfera d'applicazione della limitazione temporale.
17 Si deve dunque chiarire la sfera d'applicazione della limitazione temporale in relazione alle prestazioni fornite. Il protocollo Barber, che ha adottato la soluzione seguita nella sentenza omonima, prevede genericamente che le prestazioni fornite in virtù di un regime previdenziale aziendale non si considerano remunerazioni ai sensi dell'art. 119 soltanto per periodi lavorativi anteriori al 17 maggio 1990. Di conseguenza, per le prestazioni corrispondenti a periodi lavorativi anteriori a detta data non si deve osservare il principio della parità di remunerazione.
La redazione generica del protocollo porta a concludere che la limitazione temporale da esso contemplata riguarda tutte le prestazioni fornite dai regimi previdenziali aziendali. Questa conclusione è stata confermata dalla Corte, che nelle recenti sentenze Fisscher, già citata, Beune e Vroege (15) ha sottolineato che «in sostanza il protocollo n. 2 ha accolto estendendola a tutte le prestazioni fornite da un regime aziendale di previdenza sociale (...) la stessa interpretazione data alla sentenza Barber dalla sentenza Ten Oever» affrontato e quindi disciplinato i requisiti di iscrizione a questi regimi convenzionali» (16). Quindi, contrariamente a quanto vale per il diritto di iscrizione ad un regime previdenziale aziendale, che, come si è detto prima, non conosce limitazioni temporali, la spettanza di prestazioni (ad esempio, pensione di vecchiaia) da parte di un siffatto regime è soggetta a limitazione temporale.
18 La conseguenza pratica dell'applicazione della limitazione temporale alle prestazioni fornite da un regime previdenziale aziendale è che, allorché la discriminazione è accertata dalla Corte e finché non siano stati adottati provvedimenti nell'ambito di quel determinato regime per ripristinare la parità, la disposizione dell'art. 119 impone, per il periodo successivo al 17 maggio 1990, di concedere «alle persone della categoria sfavorita gli stessi vantaggi di cui fruiscono le persone della categoria privilegiata» (17). Quindi, in caso di differenze sull'età pensionabile, per ripristinare la parità, i diritti a pensione dei lavoratori maschi devono calcolarsi in base all'età pensionabile adottata per le lavoratrici (18). Ciò non vale però per i periodi lavorativi anteriori al 17 maggio 1990. Per quel che riguarda detti periodi, non si deve applicare l'art. 119 e i datori di lavoro come i responsabili dei regimi pensionistici aziendali non devono osservare il principio della parità di trattamento per le prestazioni dovute per il periodo in questione (19).
19 E' logico che questi principi valgono anche nel caso di lavoratori che, per effetto di una discriminazione, erano stati esclusi dall'iscrizione ad un regime previdenziale aziendale e che, di conseguenza, sono stati ammessi a detto regime con effetto retroattivo. Detti lavoratori non possono, una volta affiliati a detto regime, chiedere l'applicazione dell'art. 119 per le prestazioni che corrispondono a periodi lavorativi anteriori al 17 maggio 1990.
20 Dunque, l'insussistenza di una limitazione temporale nell'applicazione dell'art. 119 per quel che riguarda l'applicazione a un regime previdenziale aziendale non significa che tale articolo si applichi senza limitazione temporale per quel che riguarda la corresponsione delle prestazioni dovute.
L'interpretazione opposta implicherebbe un trattamento favorevole dei lavoratori che erano stati esclusi per motivi discriminatori dall'affiliazione al regime aziendale e perciò vi sono stati iscritti retroattivamente, in quanto detti lavoratori sarebbero legittimati ad invocare il principio della parità nella determinazione dell'entità delle prestazioni loro spettanti, che corrispondono ai periodi lavorativi anteriori al 17 maggio 1990, mentre i lavoratori affiliati fin dall'inizio a detto regime non hanno questo diritto.
Una simile distinzione non può però venir accolta. Come ha osservato la Corte nella sentenza Fisscher, il lavoratore «non può pretendere, in particolare sul piano finanziario, un trattamento più favorevole di quello di cui avrebbe goduto se fosse stato regolarmente iscritto» (20).
Queste considerazioni mi inducono a concludere che, in linea di massima, la limitazione temporale, per quel che riguarda l'invocazione dell'effetto diretto dell'art. 119, vale per la spettanza di prestazioni di pensione da parte di un regime previdenziale aziendale nel caso di iscrizione retroattiva del lavoratore a detto regime.
21 La questione che insorge, tuttavia, è allora se questa conclusione comprenda tutti gli aspetti di discriminazione in relazione al versamento di prestazioni. Per risolvere questo punto si deve fare un raffronto tra la giurisprudenza Bilka e quella Barber. Nella sentenza Bilka la Corte ha affermato che, se sono soddisfatti i criteri fissati nella sentenza Defrenne I (21) e poi seguiti nella sentenza Barber, le prestazioni fornite nell'ambito del regime pensionistico aziendale hanno indole di «remunerazione» ai sensi dell'art. 119 del Trattato CE e che l'esclusione dei lavoratori a tempo parziale da detti regimi costituisce inosservanza dell'art. 119 in quanto colpisce un maggior numero di donne che di uomini, salvoché l'impresa dimostri che detta esclusione è giustificata da fattori oggettivamente plausibili e che sono del tutto estranei alla discriminazione in ragione del sesso (22). In detta sentenza la Corte non ha previsto limitazioni temporali, dato che le soluzioni adottate non erano che uno sviluppo della giurisprudenza preesistente.
22 Nella sentenza Barber, invece, la Corte ha stabilito, pronunciandosi per la prima volta su questo punto, in quale misura la fissazione di un'età pensionabile diversa a seconda del sesso, nell'ambito dei regimi previdenziali aziendali costituisca una discriminazione illecita (23). Allorché ha dato soluzione affermativa a questo interrogativo, la Corte ha ritenuto necessario limitare nel tempo gli effetti della sua pronuncia. La Corte ha fondato la sua limitazione essenzialmente su due punti:
- da un lato sul fatto che la normativa comunitaria e più precisamente l'art. 9, lett. a), della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 378//86/CEE (24), consentiva deroghe in materia di età pensionabile e quindi gli Stati membri e gli ambienti interessati potevano ragionevolmente desumerne che il principio della parità tra i sessi per i lavoratori non si applica in questa ipotesi,
- dall'altro, l'affermazione che l'efficacia retroattiva della sentenza rischiava di sconvolgere l'equilibrio economico di diversi regimi pensionistici aziendali.
23 Dunque, la limitazione temporale della possibilità di invocare l'efficacia diretta dell'art. 119 riguarda solo le differenziazioni che possono fondarsi su deroghe contemplate da disposizioni comunitarie, come quelle dell'art. 7 della direttiva 79/7 e dell'art. 9 della direttiva 86/378. Un'ulteriore conferma è venuta dalla Corte nelle sentenze Vroege e Fisscher, con le quali si è affermato che «la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza Barber concerne solo i tipi di discriminazione che i datori di lavoro e i regimi pensionistici hanno potuto ragionevolmente ritenere tollerate in base alle eccezioni transitorie previste dal diritto comunitario, applicabili in materia di pensioni aziendali» (25).
Lo stesso però non avviene per la parte che riguarda la distinzione sulla quale verte la causa odierna, cioè la discriminazione a danno dei lavoratori a tempo parziale. In questo caso non si può ammettere che gli Stati membri e gli interessati pensassero ragionevolmente che erano consentite deroghe alla parità per i lavoratori a tempo parziale.
24 In effetti, né la direttiva 79/7, né la direttiva 86/378 consentono questa conclusione, in quanto non contengono elementi atti a corroborare l'idea che i lavoratori a tempo parziale possono essere esclusi dai regimi pensionistici aziendali. Anzi, dette direttive vietano espressamente «qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specie per quanto riguarda il campo d'applicazione dei regimi» (26). Dunque, come ha osservato nelle sue conclusioni Vroege e Fisscher l'avvocato generale Van Gerven, «era chiaro fin dall'inizio che escludere le donne coniugate dal beneficio dei regimi pensionistici o escluderne i lavoratori ad orario ridotto mediante una discriminazione indiretta priva di ogni giustificazione obiettiva andava al di là delle deroghe autorizzate ed era pertanto illecito» (27).
25 Per quel che riguarda la giurisprudenza, con sentenza 31 marzo 1981, nella causa Jenkins (28), la Corte ha affermato che la diversità di remunerazione dei lavoratori a tempo pieno rispetto a quelli a tempo parziale potevano implicare inosservanza del principio di parità di remunerazione sancito dall'art. 119. Più specificamente, in questa sentenza si dichiara che «se risulti che una percentuale notevolmente inferiore di lavoratrici, rispetto ai colleghi maschi, effettua il minimo di ore lavorative settimanali prescritto per poter fruire della paga oraria ad aliquota intera, la disparità di retribuzione è in contrasto con l'art. 119 del Trattato allorché, tenuto conto delle difficoltà che devono superare le lavoratrici per poter prestare questo minimo di ore settimanali, il sistema retributivo applicato dall'impresa di cui trattasi non possa giustificarsi con fattori che escludono una discriminazione fondata sul sesso» (29). La Corte ha sviluppato questo orientamento nelle successive sentenze e vi si attiene con una giurisprudenza ormai consolidata (30).
26 Oltreciò, per quanto riguarda l'onere economico-finanziario che deriverebbe per i datori di lavoro e le casse pensioni dal riconoscimento, senza limitazione temporale, del diritto di iscriversi ai regimi pensionistici aziendali e di ottenerne le prestazioni, si deve osservare che, come si desume dalla sentenza Fisscher, il fatto che il lavoratore può pretendere l'iscrizione con effetto retroattivo ad un regime pensionistico aziendale e il versamento della pensione a carico di detto regime, non lo esenta dall'obbligo di versare i contributi dovuti per il periodo di iscrizione retroattiva. Di conseguenza non vi è rischio di grave sconvolgimento retroattivo dell'equilibrio economico di detto regime.
27 Dalle considerazioni che precedono, emerge che la limitazione temporale sancita dalla sentenza Barber, non può estendersi genericamente a tutte le forme di discriminazione fondate sul sesso relative al versamento di prestazioni. Se non sussistono i presupposti che hanno determinato la limitazione temporale degli effetti della sentenza Barber, questi tipi di discriminazione, analoghi a quella sulla quale verte la causa in esame, non possono considerarsi ricompresi in detta limitazione.
28 Resta da vedere se, eventualmente, il protocollo Barber imponga, nonostante quel che precede, una limitazione temporale relativamente alle prestazioni che spettano in applicazione del regime pensionistico aziendale contestato. Nella fattispecie si potrebbe sostenere che l'ampia formulazione del protocollo Barber, che ha esteso la limitazione temporale a tutte le prestazioni fornite da un regime aziendale di previdenza sociale, mette chiaramente in luce che detto protocollo vige per tutti i regimi previdenziali aziendali come pure per tutte le discriminazioni fondate sul sesso che possono sussistere in questo settore, ivi comprese dunque anche le discriminazioni che colpiscono i lavoratori ad orario ridotto. Questa interpretazione è però inammissibile, dato che il protocollo va interpretato alla luce della sentenza Barber e della susseguente giurisprudenza che la ha illustrata. Questo criterio è d'altronde stato accolto dalla Corte nelle sentenze Vroege e Fisscher, nelle quali si sottolinea che il protocollo in questione mette in evidenza un chiaro legame con la summenzionata sentenza Barber, dato che si richiama alla stessa data del 17 maggio 1990 ed accoglie in sostanza la stessa interpretazione di cui alla sentenza Barber e Ten Oever (31). Di conseguenza, come ha osservato l'avvocato generale Van Gerven nelle conclusioni Vroege e Fisscher, «il protocollo Barber ha quindi come finalità e come oggetto di precisare gli effetti nel tempo della sentenza Barber» (32).
29 Da quanto precede si desume che la limitazione temporale stabilita dal protocollo, vale a dire la stessa che consegue alla sentenza Barber, come è stata precisata dalla successiva giurisprudenza, va intesa nel senso che vige per quel che riguarda la questione delle discriminazioni a motivo del sesso, per l'età della pensione e anche per tutte le ipotesi per le quali la direttiva 86/378 ha contemplato deroghe. In questi casi gli ambienti interessati hanno giustamente ritenuto, fino alla data della sentenza Barber, che continuavano ad essere consentite deroghe al principio della parità di remunerazione. Al contrario, la limitazione temporale contemplata dal protocollo Barber non può estendersi anche alle discriminazioni indirette fondate sul tempo parziale, dato che, come si è detto dianzi, la direttiva 86/378 non contempla alcuna deroga in merito (33).
Quindi, nel caso di discriminazioni non contemplate dalla sentenza e dal protocollo Barber non può esservi distinzione quanto all'applicazione nel tempo dell'effetto diretto dell'art. 119 tra il diritto di affiliazione ad un regime pensionistico aziendale e la spettanza di prestazioni di pensione nell'ambito di detto regime.
Sulla terza, quarta, quinta e sesta questione pregiudiziale
30 Dette questioni pregiudiziali ricalcano fedelmente quelle già sottoposte dal giudice del merito nella causa Fisscher. Di conseguenza, le soluzioni fornite dalla Corte in quest'ultima causa, con la sentenza 28 settembre 1994 (punti 3-6 del dispositivo) valgono anche nella presente causa.
V - Conclusione
31 Considerato quanto precede, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali sottoposte dal Kantonrechter di Rotterdam:
«1) Il diritto di iscrizione ad un regime previdenziale aziendale rientra nella sfera di applicazione dell'art. 119 del Trattato, con la conseguenza che cade sotto il divieto di discriminazioni sancito da detto articolo.
1) a) La soluzione della questione che precede non è modificata dalle circostanze esposte dal giudice nazionale nella seconda parte (1a) della prima questione pregiudiziale.
2) La limitazione temporale degli effetti della sentenza del 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber, non si applica al diritto di iscrizione ad un regime pensionistico aziendale.
2) a) Allorché una discriminazione rientra nella sfera di applicazione della sentenza del 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber, la limitazione temporale degli effetti di detta sentenza si applica pure alla spettanza di versamento di pensione di vecchiaia nell'ambito del regime pensionistico aziendale, che ha il lavoratore che si è affiliato retroattivamente a detto sistema.
3) I gestori di un regime pensionistico aziendale sono vincolati, come pure il datore di lavoro, ad osservare le disposizioni dell'art. 119 del Trattato e il lavoratore colpito da discriminazione può far valere i suoi diritti direttamente nei confronti di detti gestori.
4) Il fatto che il lavoratore può rivendicare l'iscrizione retroattiva ad un regime pensionistico aziendale non lo esime dall'obbligo di versare i contributi dovuti per il periodo dell'affiliazione retroattiva.
5) Le norme nazionali che stabiliscono i termini per l'esercizio dei ricorsi di diritto nazionale sono opponibili ai lavoratori che rivendicano il diritto ad un regime previdenziale aziendale, a condizione che dette norme non siano meno favorevoli per detti ricorsi di quanto lo sono per i ricorsi analoghi di diritto interno e che non rendano praticamente impossibile l'esercizio del diritto comunitario.
6) Il protocollo n. 2 relativo all'art. 119 del Trattato, allegato al Trattato dell'Unione Europea, non ha alcuna incidenza sul diritto di iscrizione ad un regime pensionistico aziendale, che continua ad essere retto dalla sentenza 13 maggio 1986, causa 170/84, Bilka».
(1) - Causa C-262/88 (Racc. pag. I-1889).
(2) - Legge del 17 marzo 1949, Staatsblad J 121.
(3) - GU L 225, pag. 40.
(4) - Causa 43/75 (Racc. pag. 455).
(5) - GU C 338 del 15.12.1993, pag. 12.
(6) - Sentenza 28 settembre 1994, causa C-128/93 (Racc. pag. I-4583).
(7) - Sentenza 13 maggio 1986, causa 170/84 (Racc. pag. 1607).
(8) - Sentenza 6 ottobre 1993, causa C-109/91 (Racc. pag. I-4879).
(9) - V. anche il rettificativo pubblicato nella GU L 283 del 4.10.1986, pag. 27. Il termine per la messa in atto di detta direttiva da parte degli Stati membri è scaduto il 30 luglio 1989.
(10) - GU L 6, pag. 24.
(11) - V. punto 5 del dispositivo della sentenza Barber.
(12) - Sentenza Ten Oever, n. 2 del dispositivo. Detta sentenza è stata confermata in seguito dalla sentenza 14 dicembre 1993, causa C-110/91, Moroni (Racc. pag. I-6591, n. 3 del dispositivo), e dalla sentenza 22 dicembre 1993, causa C-152/91, Neath (Racc. pag. I-6935, n. 1 del dispositivo).
(13) - N. 1 del dispositivo della sentenza Fisscher.
(14) - V. n. 2 del dispositivo della sentenza Fisscher.
(15) - Sentenze 28 settembre 1994, causa C-7/93, Beune (Racc. pag. I-4471), e causa C-57/93, Vroege (Racc. pag. I-4541).
(16) - V. già citate sentenze Fisscher, punto 49; Beune, punto 61, e Vroege, punto 41.
(17) - Sentenza 28 settembre 1994, causa C-408/92, Avdel Systems (Racc. pag. I-4435, punto 17).
(18) - V. il punto 18 della sentenza Avdel Systems.
(19) - Punto 19 della sentenza Advel Systems.
(20) - V. punto 36 della sentenza citata.
(21) - Sentenza 25 maggio 1971, causa 80/70 (Racc. pag. 815).
(22) - Punti 16-18, 31 e n. 1 del dispositivo della sentenza Bilka.
(23) - V. punto 16 della sentenza Moroni, citata.
(24) - Detto articolo ribadisce la deroga sancita dall'art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7/CEE.
(25) - V. punto 27 della sentenza Vroege e il punto 24 della sentenza Fisscher.
(26) - Art. 5, n. 1, della direttiva 86/378 e art. 4, n. 1, della direttiva 79/7.
(27) - Paragrafo 17 delle conclusioni nella causa Vroege, citata.
(28) - Causa 96/80 (Racc. pag. 911).
(29) - Punto 13 della sentenza Jenkins.
(30) - V. sentenza Bilka, punti 24-31 e 36, e sentenze 13 luglio 1989, causa 171/88, Rinner-Kuehn (Racc. pag. 2743, punti 12-16), 27 giugno 1990, causa C-33/89, Kowalska (Racc. pag. I-2591, punti 13-16), 7 febbraio 1991, causa C-184/89, Nimz (Racc. pag. I-297, punti 12-15), e 4 giugno 1992, causa C-360/90, Boetel (Racc. pag. I-3589, punti 18 e 21-27).
(31) - V. punto 41 della sentenza Vroege e il punto 49 della sentenza Fisscher.
(32) - Paragrafo 23 delle conclusioni nella causa Vroege, citata.
(33) - In questo senso anche l'avvocato generale Van Gerven nelle conclusioni 7 giugno 1994 nelle cause Vroege e Fisscher, paragrafi 23-25. V. inoltre le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 27 aprile 1994 nella causa Beune, paragrafi 56 e seguenti.