CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

PHILIPPE LÉGER

presentate il 10 gennaio 1995 ( *1 )

1. 

È veramente insolito il fatto che, alla ripresa delle udienze e per una coincidenza di calendario, due avvocati generali presentino successive conclusioni sulla stessa causa.

2. 

Dovendo esprimere il mio avviso quando il mio predecessore ha già presentato le sue conclusioni, il mio compito è facilitato; condivido infatti l'orientamento che questi ha assunto il 14 luglio 1994 limitandomi ad aggiungere alcune osservazioni complementari relative ad alcuni argomenti svolti dopo la lettura delle prime conclusioni, vale a dire nella seconda parte della fase orale.

3. 

Ricordiamo i fatti: la signora Shevill, residente in Gran Bretagna, e tre società aventi sede in vari Stati firmatari hanno citato in giudizio dinanzi alla High Court, per diffamazione, la società editrice del periodico France-Soir. Questa ha respinto un'eccezione di incompetenza, che è poi stata portata dinanzi alla House of Lords mediante «appeal». Il giudice di secondo grado vi ha sottoposto sette questioni pregiudiziali.

4. 

Mi pare fuori discussione il fatto che la denuncia per diffamazione rientri nella categoria delle azioni penali esperibili dal singolo e quindi nella sfera d'applicazione dell'art. 5, punto 3, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo: la «Convenzione») ( 1 ) ( 2 ).

5. 

L'avvocato generale Darmon prospetta l'idea che competenti a conoscere delle denunce per diffamazione tramite stampa siano, oltre al tribunale della residenza della persona querelata, o il giudice del luogo di stampa, competente a pronunciarsi sul risarcimento integrale del danno conseguente all'illecito, o i giudici di ciascuno Stato firmatario nel cui territorio è stato pubblicato l'articolo, relativamente ai danni specifici arrecati in questo Stato ( 3 ).

6. 

Mi pare ineccepibile la correttezza di questo modo di vedere per le ragioni che esporrò qui appresso.

7. 

È noto che le deroghe alla competenza ordinaria contemplate dalle norme sulla competenza speciale di cui all'art. 5, punto 3, della Convenzione sono giustificate da motivi di «buona amministrazione della giustizia e dell'economia processuale» ( 4 ).

8. 

In casi complessi come quello di cui dovete conoscere, la determinazione del foro competente può effettuarsi solo in forza di un compromesso. È stato osservato: «(...) la finalità della buona amministrazione della giustizia può essere perseguita solo se si rispetta l'equilibrio delicato necessario tra due elementi: la ricerca della prossimità tra giudice e controversia e l'esigenza di un certo grado di concentrazione delle competenze» ( 5 ).

9. 

Poiché la Convenzione instaura un sistema unificato di determinazione delle competenze giudiziarie, il primo obiettivo deve essere la ricerca di un foro centralizzatore. La difficoltà è costituita nella fattispecie dall'indole particolare del danno morale o extrapatrimoniale: è difficile da identificare, da valutare e da risarcire. È significativo il fatto che in taluni settori della proprietà intellettuale, come quello dei marchi, nel quale possono arrecarsi danni analoghi, la competenza internazionale in caso di contraffazione non si determina in funzione del danno o dei danni, bensì in funzione dell'elemento causale unico: la contraffazione ( 6 ).

10. 

Questa interpretazione è perfettamente consona alla vostra giurisprudenza. Ad esempio, secondo gli autori Bischoff e Huet, nel commento alla vostra sentenza 16 dicembre 1980, Rüffer ( 7 ),

«(...) una delle grandi linee di forza della giurisprudenza della Corte nella sua interpretazione della Convenzione è l'intento di evitare lo “smembramento” dei problemi che le vengono sottoposti (e lo spezzettamento delle competenze giurisdizionali che potrebbe conseguirne) per tendere invece ad una unicità, assorbendo l'accessorio nel principale, l'atto o il fatto-conseguenza nell'atto o nel fatto-causa» ( 8 ).

11. 

Giustamente, quindi, nelle precedenti conclusioni, il foro del luogo di stampa, luogo dell'evento causale, è stato definito come il foro centralizzatore competente a conoscere del danno totale in tutta la Comunità.

12. 

Tuttavia questo foro non potrebbe essere l'unico per due ragioni.

13. 

In primo luogo, detto foro coincide nella maggior parte dei casi — se non sempre — con il giudice della residenza del convenuto. Nella sentenza 30 novembre 1976, Mines de potasse d'Alsace ( 9 ), avete dichiarato che «(...) l'adottare come unico criterio quello del luogo in cui si è verificato l'evento generatore del danno avrebbe come conseguenza la possibile confusione, in un ragguardevole numero di casi, fra le competenze rispettivamente contemplate dagli artt. 2 e 5, punto 3, della Convenzione, di guisa che quest'ultima disposizione risulterebbe priva di ogni effetto utile».

14. 

In secondo luogo, il foro del luogo nel quale si è verificato l'evento dannoso (cioè del luogo di diffusione) non può essere escluso. Deve costituire un'alternativa se si vuol garantire un «(...) collegamento particolarmente stretto tra una data controversia e giudici diversi da quelli dello Stato del domicilio del convenuto» ( 10 ), sul quale si fonda la competenza speciale di cui all'art. 5, punto 3, della Convenzione ( 11 ).

15. 

Ad esempio, la vittima di una diffamazione pubblicata nello Stato firmatario A in un periodico venduto pure nello Stato firmatario B, nel quale la stessa persona è ben nota, deve avere facoltà di adire, a scelta, il giudice del primo Stato se ritiene che il suo pregiudizio si estenda a tutta la comunità o il giudice del secondo Stato se ritiene che il suo pregiudizio sia limitato a quest'ultimo territorio.

16. 

Per questa ragione si propone che l'attore possa adire, ad libitum, oltre al giudice del paese del convenuto e quello in cui si è verificato l'evento causale, anche il giudice del luogo in cui si è verificato il pregiudizio ( 12 ).

17. 

Questa soluzione evita ogni rischio di «corsa al giudice più conveniente»: ciascun giudice adito in un luogo di diffusione conosce del risarcimento di un pregiudizio diverso. Inoltre, il giudice del luogo di stampa adito per l'intero danno applicherà in genere, per i danni verificatisi negli altri Stati firmatari, la legge sostanziale di detti Stati.

18. 

La soluzione è pure conforme al principio di interpretazione rigorosa delle norme sulla competenza speciale.

19. 

Essa attribuisce competenza al tribunale meglio in grado di valutare il pregiudizio verificatosi localmente: il «collegamento particolarmente stretto» tra il giudice adito e la controversia è indiscutibile.

20. 

Questa soluzione presta certo il fianco ad una seria obiezione: il moltiplicarsi dei fori mentre la concentrazione delle azioni è «uno degli obiettivi prioritari di detta Convenzione» ( 13 ).

21. 

La Convenzione mira ad evitare la pletora di fori, dato che con più giudizi vi è forte rischio di pronunce contraddittorie, che può comportare il diniego di riconoscimento (art. 27, punti 3 e 5, della Convenzione) o il rifiuto di formula esecutiva negli Stati firmatari diversi da quello nel quale è stata emessa la pronuncia.

22. 

Orbene, nel nostro caso detto rischio non sussiste.

23. 

È chiaro che le pronunce dei giudici aditi nei vari Stati firmatari potranno essere contraddittorie, poiché si fondano su norme sostanziali diverse. Non saranno però inconciliabili, poiché ciascuna di esse mira a risarcire un danno diverso (cioè quello arrecato nel territorio di quel determinato Stato firmatario).

24. 

Aggiungo che, ad ogni modo, l'attore potrà sempre chiedere il risarcimento del danno complessivo dinanzi al giudice della residenza del convenuto e dinanzi a quello del luogo dell'evento causale.

25. 

Vediamo ora i quattro punti che mi paiono più importanti dopo la riapertura della fase orale in questa causa.

26. 

Anzitutto, il luogo in cui si è verificato l'evento dannoso ai sensi dell'art. 5, punto 3, non può circoscriversi al luogo di diffusione della pubblicazione. Confuterò l'argomento svolto dal governo del Regno Unito.

27. 

In secondo luogo, il foro del luogo ove è stato subito il pregiudizio è una soluzione inadeguata.

28. 

In terzo luogo, anche la soluzione fornita dalla sentenza 15 gennaio 1987, Shenavai ( 14 ), mi pare ora improponibile.

29. 

In quarto luogo, il giudice di ciascun luogo di diffusione non deve essere competente a conoscere della totalità del pregiudizio.

I — La determinazione del «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto»

30.

È noto che, dopo la sentenza Mines de potasse d'Alsace, già ricordata, ritenete che «il luogo nel quale l'evento dannoso è avvenuto» sia una nozione autonoma ( 15 ). Avete dichiarato che «qualora il luogo in cui avviene il fatto implicante un'eventuale responsabilità da delitto o quasi-delitto non coincida col luogo in cui tale fatto ha causato un danno, l'espressione “luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto” (...) si riferisce tanto al luogo ove è insorto il danno, quanto al luogo ove si è verificato l'evento generatore dello stesso» ( 16 ).

31.

Per il governo del Regno Unito, in materia di diffamazione il luogo dell'evento generatore coincide con quello in cui è insorto il danno: è il luogo nel quale il documento pregiudizievole è stato trasmesso a terzi:

«Nell'ipotesi di un giornale, è la sua diffusione, più che la sua pubblicazione o la sua stampa, che costituisce l'evento generatore che, tanto sotto il profilo del diritto inglese quanto all'atto pratico, costituisce la causa immediata del danno subito dalla vittima» ( 17 ).

«La diffusione del documento è la causa immediata e diretta del pregiudizio. Di conseguenza, quest'atto costituisce l'evento dannoso e il giudice del luogo in cui si è verificato può perciò dichiararsi competente (...)» ( 18 ).

32.

Non concordo con questo punto di vista.

33.

Penso che l'ipotesi contemplata nella sentenza Mines de potasse d'Alsace, già ricordata, cioè la separazione geografica tra l'evento generatore e il luogo nel quale si è verificato il danno, si ripresenti nella fattispecie. La località di diffusione del giornale non coincide con quella della sua pubblicazione.

34.

Di conseguenza, far coincidere l'evento generatore con il luogo di diffusione equivale a privarsi di un foro che la Convenzione, come è stata interpretata nella sentenza Mines de potasse d'Alsace, riconosce alla vittima.

35.

Avete giustificato questo dualismo di competenza sottolineando nella sentenza Mines de potasse d'Alsace che:

«(...) il decidere nel senso del solo luogo ove il danno si è manifestato porterebbe ad escludere, nei casi in cui il luogo dell'evento generatore non coincida con quello del domicilio della persona ritenuta responsabile, un utile collegamento con la competenza di un giudice particolarmente prossimo atta causa del danno» ( 19 ).

36.

La soluzione caldeggiata dal governo del Regno Unito si risolve in una contusione ( 20 ) tra il luogo nel quale si è verificato il fatto generatore e quello nel quale si è verificato il danno e non tiene conto della vostra giurisprudenza.

37.

Di conseguenza, il luogo dell'evento generatore, come il luogo della stampa, va tenuto distinto da quello nel quale si è prodotto l'evento dannoso, come il luogo di diffusione del giornale.

II — La soluzione in base al luogo nel quale è arrecato il danno è inadeguata

38.

In materia di responsabilità ex delieto o quasi delieto, l'espressione «luogo nel quale si è verificato l'evento dannoso» può interpretarsi nel senso che questo è il luogo nel quale si è patito il pregiudizio, il che equivarrebbe a dichiarare competente il foro dell'attore, poiché di norma la vittima subisce il pregiudizio nel luogo in cui risiede ( 21 ) ?

39.

La Convenzione si fonda sulla norma di competenza generale actor sequitur forum rei di cui all'art. 2. Il foro dell'attore, criterio esulante della disciplina giuridica ordinaria, è contemplato solo nei casi eccezionali limitativamente enumerati agli artt. 5, punto 2, 8 e 14:

«(...) al di fuori dei casi espressamente contemplati, la Convenzione ha manifestato il proprio sfavore nei confronti della competenza dei giudici dello Stato del domicilio dell'attore» ( 22 ).

40.

Inoltre il foro dell'attore mi pare un criterio difficilmente inseribile nell'ambito della competenza speciale di cui all'art. 5, punto 3, che non la prevede espressamente. Poiché deroga al principio della competenza dei giudici dello Stato in cui risiede il convenuto, detta competenza va intesa in senso stretto ( 23 ).

41.

Mai avete sancito il principio, in materia di responsabilità ex delieto, della competenza del giudice del luogo nel quale si è patito il pregiudizio. L'avete anzi formalmente escluso nell'ipotesi di una vittima indiretta ( 24 ). L'avvocato generale Darmon ha dimostrato, nelle sue conclusioni nella causa Marinari ( 25 ), in fase deliberativa, che la ratio legis dell'art. 5, punto 3, non si fonda su un'esigenza di tutela della vittima, bensì sull'«(...) esistenza di un collegamento particolarmente stretto tra una data controversia e giudici diversi da quelli dello Stato del domicilio del convenuto (...)» ( 26 ) e che il foro del luogo in cui viene arrecato il pregiudizio non risponde a questa esigenza.

42.

Non vedo perciò come potrebbe sancirsi la competenza del giudice del luogo nel quale si è patito il pregiudizio nel caso di un'azione di risarcimento del danno extrapatrimoniale arrecato mediante diffamazione se lo stesso privilegio di foro è escluso per le azioni di risarcimento di un danno fisico. Sarebbe dunque ipotizzabile, a mo' d'esempio, che un turista tedesco gravemente ferito in un incidente verificatosi in Spagna debba adire il giudice di detto Stato — luogo nel quale si è verificato il danno e luogo dell'evento generatore — mentre invece la vittima di una diffamazione tramite «libellum famosum» potrebbe giovarsi del foro dell'attore?

43.

Evidentemente, si potrebbe obiettare che la vittima di una diffamazione tramite stampa subisce le conseguenze di un atto che non ha voluto o provocato e non sussiste il rischio che, riconoscendo la competenza al giudice del luogo di residenza, la Corte consenta alla vittima di eleggere il suo foro. Ma anche la vittima di un danno fisico di regola né vuole né provoca l'atto che la pregiudica. Perché la Corte dovrebbe accordare ad un soggetto un privilegio che la Convenzione di Bruxelles nega ad un altro?

44.

Infine, si potrebbe considerare che un danno tanto specifico come la lesione al buon nome e alla buona reputazione di una persona è inseparabile da detto soggetto e si è necessariamente verificato nel luogo in cui l'interessato risiede.

45.

Sono convinto che in un settore come questo il luogo nel quale si è subito il danno coincide con il territorio nel quale è diffusa la pubblicazione. Il danno è scindibile dal foro della residenza della vittima che, come ha dimostrato il governo del Regno Unito ( 27 ), non ha necessariamente una connessione con il danno ( 28 ).

46.

Infine la scelta del foro del luogo nel quale si è subito il pregiudizio — e quindi del foro dell'attore — farebbe insorgere la difficoltà che caratterizza la fattispecie pendente dinanzi al giudice a quo. Tre dei quattro attori nella causa principale sono persone giuridiche. Come determinare il loro luogo di residenza? È quello della sede sociale oppure quello in cui è ubicato lo stabilimento principale?

47.

La Convenzione non definisce né la residenza delle persone giuridiche né quella delle persone fisiche. L'art. 53 stabilisce che alla residenza delle persone fisiche corrisponde la sede delle società e delle persone giuridiche e che, per individuare detta sede, «(...) il giudice applica le norme di diritto internazionale privato del proprio Stato». Le soluzioni accolte dagli ordinamenti dei vari Stati firmatari sono molto disparate ( 29 ). È stato sostenuto che «queste differenze rischiano di sfociare in risultati poco felici» ( 30 ) ed in particolare in competenze concorrenti. Si è perciò deplorata «l'assenza di una norma uniforme in materia di conflitti con un chiaro elemento di riferimento» ( 31 ).

48.

Pur se questo problema è specifico della fattispecie all'esame del giudice a quo, mi pare fornisca un ulteriore argomento per scartare l'orientamento favorevole al foro del luogo nel quale si è subito il pregiudizio.

III — L'applicazione della soluzione Shenavai è inadeguata

49.

Nella summenzionata sentenza Shenavai avete applicato il principio secondo il quale l'accessorio segue il principale: «in altre parole, sarà l'obbligazione principale, fra le varie in questione, quella che determinerà la competenza» ( 32 ). Ne avete concluso che:

«Per la determinazione del luogo dell'adempimento, ai sensi dell'art. 5, n. 1, della Convenzione (...), l'obbligazione di cui si deve tener conto, nella lite vertente sul pagamento degli onorari dell'architetto incaricato di elaborare un progetto per la costruzione di edifici, è l'obbligazione contrattuale che costituisce concretamente il fondamento dell'azione giurisdizionale» ( 33 ).

50.

La resistente nella presente causa propone di applicare lo stesso principio ( 34 ).

51.

Questo modo di vedere è stato controbattuto in modo efficace nelle precedenti conclusioni ( 35 ). Aggiungo che avete già rifiutato di applicare il principio accessorium sequitur principale nell'ambito dell'art. 5, punto 3. Nella sentenza Kalfelis ( 36 ) non avete riconosciuto al giudice adito in virtù della competenza speciale di cui all'art. 5, punto 3, una competenza accessoria «(...) a conoscere degli altri punti della stessa domanda che si fondano su atti o fatti diversi dall'illecito» ( 37 ).

52.

Infine, come determinare il luogo del danno principale senza vagliare la notorietà della persona diffamata nei diversi Stati firmatari interessati, senza contare il numero di copie distribuite in ciascuno di questi Stati, in breve senza vagliare il merito della controversia} Orbene, ritenete che un'interpreta zione dell'art. 5 «conforme agli scopi e allo spirito della Convenzione» deve consentire «(...) al giudice nazionale di pronunciarsi sulla propria competenza senza dover procedere all'esame del merito della causa» ( 38 ).

53.

In caso contrario, l'attore non è più sicuro che il giudice che egli ha adito si dichiarerà competente. Una siffatta soluzione sarebbe incompatibile con l'esigenza di previsibilità delle norme sulla competenza che avete posto nelle sentenze 15 gennaio 1985, Rösier ( 39 ), e Handte ( 40 ).

IV — Il giudice dello Stato firmatario sul cui territorio l'articolo è stato diffuso è competente a conoscere del danno specifico arrecato in detto Stato

54.

In materia di responsabilità ex delieto «la competenza del giudice del luogo in cui si è sofferto il pregiudizio è per natura funzionalmente limitata. Essa si fonda infatti, secondo la sentenza Bier/Mines de potasse d'Alsace, esclusivamente sulle esigenze di una buona amministrazione della giustizia, e più precisamente sull'elemento di connessione che deve esistere tra una controversia e il giudice che deve conoscerne, in particolare sotto il profilo della prova e dell'economia processuale» ( 41 ).

55.

Ne consegue che il giudice di uno Stato firmatario non presenta vincoli sufficienti con il pregiudizio arrecato in un altro Stato firmatario, che non ha alcuna relazione con detto giudice né per il luogo in cui si è verificato né per il luogo in cui è stato commesso l'atto lesivo. Il nesso di prossimità tra il foro e la controversia prescritto dalla vostra giurisprudenza sussiste solo nel caso di danni arrecati sul territorio dello Stato del giudice adito.

56.

Una soluzione in senso contrario favorirebbe evidentemente la «corsa ai giudici»: il giudice inglese rischierebbe addirittura, data la sua «generosità» per le vittime di diffamazione, di diventare il giudice naturale in questa materia.

57.

È invece essenziale evitare il rischio di «corsa al giudice» allorché la controversia verte su un settore nel quale il diritto sostanziale da applicarsi negli Stati firmatari non è armonizzato e si presta a soluzioni che possono divergere molto da uno Stato firmatario all'altro. Questo si verifica particolarmente nel caso della disciplina della diffamazione.

58.

Per questo motivo sottoscrivo la proposta di soluzione già presentata dall'avvocato generale Darmon nelle sue conclusioni del 14 luglio 1994.


( *1 ) Lingua originale: il francese.

( 1 ) Nella versione modificata dalla convenzione di adesione del 25 ottobre 1982 (GU L 388, pag. 1).

( 2 ) V. su questo problema il paragrafo 9 delle conclusioni dell'avvocato generale Darmon e il punto 11 delle osservazioni della Commissione.

( 3 ) Paragrafo 71 delle conclusioni dell'avvocato generale Darmon.

( 4 ) Punto 17 della sentenza 11 gennaio 1990, Dumez France e Tracoba (C-220/88, Racc. pag. I-49).

( 5 ) Bourel, P.: «Du rattachement de quelques délits spéciaux en droit international privé», Recueil des cours, Académie de droit international de La Haye, 1989, II, tomo 214, punto 136, pag. 366.

( 6 ) V. gli am. 93, n. 5, e 94 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).

( 7 ) Causa 814/79, Racc. pag. 3807.

( 8 ) Journal de droit international, 1982, n. 1, pag. 464, in parti-colare pag. 472; il corsivo è mio.

( 9 ) 21/76, Racc. pag. 1735, punto 20.

( 10 ) Sentenza Dumez France e Tracoba, già citau alla nou 4, punto 17.

( 11 ) Ibidem.

( 12 ) V. conclusioni dell'avvocato generale Darmon, paragrafo 58.

( 13 ) Bourel, P., op. cit., punto 118, pag. 357.

( 14 ) Causa 266/85, Racc. pag. 239.

( 15 ) V. le conclusioni dell'avvocato generale Darmon, paragrafi 21 e seguenti.

( 16 ) Dispositivo della sentenza Mines de potasse d'Alsace.

( 17 ) Punto 16 delle osservazioni del governo britannico.

( 18 ) Ibidem, punto 17.

( 19 ) Punto 21; il corsivo è mio.

( 20 ) V. in questo senso, le osservazioni della Commissione, punti 19 e 19 bis, e quelle della resistente, punto 2.21.

( 21 ) Conclusioni dell'avvocato generale Darmon nella causa C-364/93, Marinari, paragrafo 31.

( 22 ) Punto 17 della sentenza 19 gennaio 1993, causa C-89/91, Shearson Lehman Hutton (Racc. pag. I-139).

( 23 ) Sentenze 27 settembre 1988, causa 189/87, Kalfelis (Racc. pag. 5565, punto 19), e 17 giugno 1992, causa C-26/91, Handte (Racc. pag. I-3967, punto 14).

( 24 ) Sentenza Dumez France e Tracoba, già ricordata.

( 25 ) Già ricordate, nota 21, paragrafo 16.

( 26 ) Punto 17 della sentenza Dumez France e Tracoba, già ricordata.

( 27 ) Punto 20 delle sue osservazioni e paragrafo 46 delle conclusioni dell'avvocato generale Darmon.

( 28 ) Su questo punto si faccia richiamo al ragionamento della Corte suprema degli Stati Uniti nella causa Keeton v Hustler Magazine Inc., 465 US 770, 79 L Ed 2d 790, 104 S Ct 1473, e particolarmente al n. 10:

«There is no justification for restricting libel actions to the plaintiff's home forum. The victim of a libel, like the victim of any other tort, may choose to bring suit in any forum with which the defendant has “certain minimum contacts (...) such that the maintenance of the suit does not offend ‘traditional notions of fair play and substantial justice’”.»

( 29 ) Sono elencate da Rideau e Charrier: Code de procédures européennes, Litec, 1a edizione, pag. 461.

( 30 ) Gaudemet-Tallon, H.: Les conventions de Bruxelles et de Lugano, LGDJ, 1993, n. 73. V. inoltre Rideau e Charrier, op. cit., pag. 461, e Beraudo: «Convention de Bruxelles», J.-Cl. Pr. Civ., fasc. 52-1, n. 28.

( 31 ) Beraudo, op. cit., ibidem.

( 32 ) Punto 19.

( 33 ) Dispositivo.

( 34 ) V. anche Huet, A.: Journal du droit international, 1994, pag. 169, e Hartley, T.: «Article (5)3 of the Brussels Convention», European Law Review, 1992, volume 17, pag. 274.

( 35 ) Paragrafi 80 e seguenti.

( 36 ) V. nota 23.

( 37 ) Punto 21.

( 38 ) Sentenza 29 giugno 1994, causa C-288/92, Custom Made Commercial (Racc. pag. I-2913, punto 20). V. inoltre sentenza 22 marzo 1983, causa 34/82, Peters (Racc. pag. 987, punto 17, ultima frase).

( 39 ) Causa 241/83, Racc. pag. 99, punto 23.

( 40 ) Già ricordata, nota 23, punto 19.

( 41 ) Bourel, P., op. cit., punto 115, pag. 355.