61992J0012

SENTENZA DELLA CORTE (QUINTA SEZIONE) DEL 7 DICEMBRE 1993. - PROCEDIMENTO PENALE A CARICO DI EDMOND HUYGEN E ALTRI. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: HOF VAN CASSATIE - BELGIO. - ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO CEE-AUSTRIA - NOZIONE DI PRODOTTO ORIGINARIO - METODI DI COOPERAZIONE AMMINISTRATIVA. - CAUSA C-12/92.

raccolta della giurisprudenza 1993 pagina I-06381


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


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Accordi internazionali ° Accordo CEE-Austria ° Protocollo n. 3 ° Origine delle merci ° Prova mediante il certificato EUR.1 ° Controllo a posteriori del certificato senza risultato positivo ° Conseguenze ° Rilevanza di altre prove o possibilità per l' importatore di invocare il principio di forza maggiore ° Presupposti

(Accordo CEE-Austria, Protocollo n. 3)

Massima


Il Protocollo n. 3, relativo alla definizione della nozione di "prodotti originari" e ai metodi di cooperazione amministrativa, allegato all' accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica d' Austria, che istituisce, nell' ambito del libero scambio che l' accordo stesso intende realizzare, un regime preferenziale per i prodotti originari dell' Austria o della Comunità, dev' essere interpretato nel senso che lo Stato di esportazione al quale sia richiesto di controllare il certificato di origine EUR.1, ove non sia in grado di stabilire l' esatta origine della merce, deve ritenere che si tratti di origine ignota e che, pertanto, il certificato EUR.1 e la tariffa preferenziale siano stati erroneamente concessi.

Tuttavia, in presenza di una fattispecie in cui le autorità doganali dello Stato d' esportazione, in considerazione dell' impossibilità di fornire la prova ordinaria circa l' origine della merce prevista dal Protocollo, non siano in grado di effettuare regolarmente il detto controllo, lo Stato d' importazione non è definitivamente vincolato, ai fini della ripetizione dei dazi non versati, dall' esito negativo di tale controllo, potendo bensì prendere in considerazione altre prove relative all' origine della merce.

Un importatore può peraltro invocare, a seconda delle circostanze, l' impossibilità per le autorità doganali dello Stato d' esportazione, derivante dalla loro stessa negligenza, di accertare, nell' ambito di un controllo a posteriori, l' esattezza dell' origine della merce. Spetta al giudice nazionale la valutazione del complesso dei fatti dedotti al riguardo.

Parti


Nel procedimento C-12/92,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CEE, dallo Hof van cassatie del Belgio, nel procedimento penale dinanzi ad esso pendente contro

Edmond Huygen e a.,

domanda vertente sull' interpretazione dell' accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica d' Austria, sottoscritto a Bruxelles il 22 luglio 1972, concluso ed approvato, a nome della Comunità, in base al regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2836 (GU L 300, pag. 1), e dell' allegato Protocollo n. 3,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta dai signori J.C. Moitinho de Almeida, presidente di sezione, R. Joliet e G.C. Rodríguez Iglesias, giudici,

avvocato generale: C. Gulmann

cancelliere: H.A. Ruehl, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

° per il governo belga, dal signor Ignace Claeys Bouuaert, avvocato patrocinante dinanzi alla Cour de cassation del Belgio;

° per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora Maria-Josée Jonczy, consigliere giuridico, e dal signor Ben Smulders, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti,

vista la relazione d' udienza,

sentite le osservazioni orali del signor E. Huygen e a., rappresentati dall' avv. Ch. Kremer, del foro di Lussemburgo, del governo belga e della Commissione, all' udienza del 1 aprile 1993,

sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 18 maggio 1993,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 7 gennaio 1992, pervenuta alla Corte il 13 gennaio seguente, lo Hof van cassatie del Belgio ha sottoposto a questa Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali vertenti sull' interpretazione dell' accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica d' Austria, sottoscritto a Bruxelles il 22 luglio 1972, concluso ed approvato, a nome della Comunità, per effetto del regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2836 (GU L 300, pag. 1; in prosieguo: l' "accordo CEE-Austria"), ed in particolare dell' allegato Protocollo n. 3, relativo alla definizione della nozione di "prodotti originari" e ai metodi di cooperazione amministrativa. Tale Protocollo è stato modificato dall' accordo mediante scambio di lettere ed è stato posto in vigore nella Comunità dal Consiglio per mezzo del regolamento (CEE) del Consiglio 3 ottobre 1984, n. 3386, relativo alla conclusione dell' accordo in forma di scambio di lettere che codifica e modifica il testo del Protocollo n. 3 dell' accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica d' Austria (GU L 323, pag. 1).

2 Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di procedimenti penali promossi dallo Stato belga nei confronti del direttore di una società belga che, nel 1985, aveva importato dall' Austria una macchina per incollare contenitori pieghevoli da trasporto, nonché nei confronti di due impiegati della società che aveva espletato le formalità di importazione.

3 La macchina di cui trattasi era stata fabbricata dall' impresa tedesca Jagenberg Werke ed esportata in Austria a seguito del suo acquisto nel 1970 da parte dell' impresa austriaca Ernst Schausberger & Co. Nel 1985, la macchina era stata ripresa dalla società belga Grafimat, che l' importava in Belgio. Le formalità di importazione venivano espletate dalla società per azioni belga E. Depaire.

4 Il 7 marzo 1985, il signor Huygen e il signor Verraes, impiegati della società E. Depaire, nonché il signor Blockeel, amministratore della Grafimat, dichiaravano la merce alle dogane di Courtrai (Belgio). A tal fine presentavano il certificato EUR.1 n. D 0326846 rilasciato dalle dogane austriache ° in cui si dichiarava che la macchina era originaria della Germania occidentale ° al fine di ottenere l' esenzione dai dazi doganali ai sensi del regime preferenziale istituito dall' accordo CEE-Austria.

5 Sulla base delle disposizioni del Protocollo n. 3, allegato al detto accordo, le autorità belghe chiedevano a quelle austriache, nell' ambito di un controllo dei dati indicati sul certificato EUR.1, informazioni in merito all' origine della macchina. L' amministrazione austriaca rispondeva con lettera del 26 marzo 1987 facendo presente che l' esportatore tedesco dell' epoca non era più in grado di provare concretamente l' origine delle merci e che, conseguentemente, la merce stessa doveva essere considerata quale prodotto di origine indeterminata per il quale il certificato non poteva essere mantenuto.

6 L' amministrazione belga riteneva, quindi, che il regime preferenziale non potesse trovare applicazione e che le merci di cui trattasi dovessero essere assoggettate ai dazi previsti in caso di importazione di merci di origine sconosciuta; conseguentemente, l' amministrazione belga decideva di ingiungere il pagamento di relativi dazi doganali. Inoltre, i signori Huygen, Verraes e Blockeel venivano rinviati a giudizio dinanzi al Correctionele Rechtbank di Kortrijk per violazione, da un lato, degli artt. 202, nn. 1 e 2, e 259, della legge generale in materia di dogane ed accise, coordinata dal regio decreto 18 luglio 1977, confermata dalla legge 6 luglio 1978, e, dall' altro, degli artt. 8, n. 1, lett. a), 9, nn. 1 e 2, e 10, n. 2, del Protocollo n. 3 allegato all' accordo CEE-Austria. Le società E. Depaire e Grafimat venivano inoltre citate quali parti civilmente responsabili.

7 La decisione di primo grado, con cui gli imputati erano stati assolti e le azioni civili respinte, veniva confermata dalla sentenza 20 settembre 1989 dello Hof van Beroep di Gent. Dall' ordinanza di rinvio emerge che, in tale sentenza, lo Hof van Beroep ha accertato che le dogane austriache non avevano in realtà avviato alcun contatto con l' impresa austriaca Schausberger, constatazione fondata su informazioni fornite dalla detta società e sul fatto che l' amministrazione, dalla cui denuncia era scaturita l' azione penale, aveva prodotto nel corso del procedimento una fattura del 25 febbraio 1970, inviata alla società medesima dal produttore tedesco Jagenberg, dalla quale risultava l' origine tedesco-occidentale della macchina. Lo Hof van Beroep giungeva pertanto alla conclusione che il fatto che il controllo dell' origine della macchina non fosse stato esaustivo fosse manifestamente imputabile alla negligenza delle autorità doganali austriache. Il detto giudice riteneva quindi che l' inerzia delle autorità austriache costituisse, nei confronti degli imputati, un caso di forza maggiore.

8 Avverso tale sentenza lo Stato belga ricorreva per cassazione dinanzi allo Hof van cassatie del Belgio. Ritenendo che i mezzi di ricorso dedotti sollevassero problemi di interpretazione del diritto comunitario, il giudice nazionale poneva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

"L' accordo tra la CEE e l' Austria (regolamento 19 dicembre 1972, n. 2836, con il Protocollo n. 3 ad esso allegato) prevede una tariffa preferenziale per le merci provenienti dall' Austria o dalla Comunità. L' applicazione di tale disciplina preferenziale è collegata all' origine della merce, con la conseguenza che il controllo dell' origine costituisce un elemento necessario del regime:

1) Qualora lo Stato favorito (nella fattispecie l' Austria) al quale venga chiesto di controllare il certificato di origine 'EUR.1' non sia in grado di determinare l' esatta origine della merce, se esso debba ritenere che la merce abbia origine sconosciuta, con la conseguenza che il certificato 'EUR.1' e la tariffa preferenziale siano stati concessi illegittimamente.

2) In tal caso, se lo Stato di importazione (nella fattispecie il Belgio) debba quindi procedere alla ripetizione dei dazi doganali non pagati all' atto dell' importazione.

3) Se l' impossibilità per le autorità austriache, derivata dalla propria negligenza 'volontaria' o meno di accertare che l' origine dichiarata nel certificato 'EUR.1' da esse rilasciato fosse esatta, comporti per l' importatore dello Stato membro di importazione (nella fattispecie il Belgio) una situazione di forza maggiore".

9 Per una più ampia esposizione degli antefatti e del contesto normativo della causa principale, dello svolgimento del procedimento nonché delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d' udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.

Sulle norme del regime istituito dall' accordo CEE-Austria in materia di origine dei prodotti

10 Prima di passare all' esame delle questioni poste dal giudice nazionale, occorre, in limine, ricordare la funzione ed il contenuto delle norme essenziali dell' accordo e del Protocollo relative alla determinazione dell' origine delle merci ed al controllo a posteriori.

11 L' accordo CEE-Austria, che prevede un regime di libero scambio delle merci, trova applicazione, ai sensi dell' art. 2, fatti salvi taluni casi specifici, "ai prodotti originari della Comunità o dell' Austria". L' art. 11 dell' accordo prevede che "il Protocollo n. 3 stabilisce le norme d' origine".

12 A termini dell' art. 1, n. 2, del Protocollo n. 3, devono essere considerati quali prodotti originari della Comunità, fra gli altri, "i prodotti totalmente ottenuti nella comunità" e quali prodotti originari dell' Austria, tra gli altri, "i prodotti totalmente ottenuti in Austria".

13 Ai sensi dell' art. 8, n. 1, del Protocollo n. 3, i prodotti originari ai sensi dell' art. 1, del Protocollo stesso sono ammessi, all' atto dell' importazione nella Comunità o in Austria, a beneficio delle disposizioni dell' accordo, su presentazione di un certificato di circolazione delle merci, denominato "certificato EUR.1". In base all' art. 9, n. 3, secondo comma, il detto certificato viene rilasciato "dalle autorità doganali di ciascuno dei paesi interessati nei quali le merci abbiano o soggiornato prima della loro riesportazione senza aver subito modificazioni, oppure subito le modificazioni di cui all' art. 2 del presente Protocollo, su presentazione dei certificati EUR.1 rilasciati precedentemente".

14 A termini dell' art. 10, n. 3, del Protocollo, "poiché il certificato EUR.1 costituisce il titolo giustificativo per l' applicazione del regime tariffario e di contingentamento preferenziale previsto dall' accordo, spetta alle autorità doganali del paese d' esportazione adottare le disposizioni necessarie per la verifica dell' origine delle merci e per il controllo degli altri dati del certificato EUR.1".

15 Oltre a tale controllo che le autorità del paese di esportazione effettuano all' atto del rilascio del certificato EUR.1, il Protocollo prevede all' art. 17 la possibilità di un controllo a posteriori dei certificati EUR.1, "per sondaggio (...) o ogniqualvolta le autorità doganali dello Stato importatore hanno fondati dubbi sull' autenticità del documento o sull' esattezza delle informazioni relative alla reale origine della merce in questione". Il controllo a posteriori viene effettuato, su richiesta delle autorità doganali dello Stato di importazione, dalle autorità doganali dello Stato di esportazione che ne comunicano i risultati alle autorità doganali dello Stato di importazione.

Sulla prima questione

16 Dalle disposizioni dell' accordo e dal Protocollo soprammenzionati emerge che solamente le merci originarie della CEE o dell' Austria beneficiano del regime preferenziale previsto dall' accordo e che il certificato EUR.1 costituisce il titolo giustificativo di tale origine. La procedura di controllo a posteriori è essenzialmente diretta a verificare l' esattezza dell' origine indicata nei detti certificati, precedentemente rilasciati.

17 Ne consegue che, qualora un siffatto controllo non consenta di confermare l' origine della merce indicata nel certificato EUR.1, si deve ritenere che il certificato stesso sia stato erroneamente rilasciato dallo Stato di esportazione e che, conseguentemente, la merce non possa beneficiare del regime preferenziale previsto dall' accordo.

18 La prima questione dev' essere quindi risolta dichiarando che il Protocollo n. 3 dell' accordo CEE-Austria dev' essere interpretato nel senso che lo Stato di esportazione al quale sia richiesto di controllare il certificato di origine EUR.1, ove non sia in grado di stabilire l' esatta origine della merce, deve ritenere che si tratti di origine ignota e che, pertanto, il certificato EUR.1 e la tariffa preferenziale siano stati erroneamente concessi.

Sulla seconda questione

19 Si deve ricordare, in limine, che, in linea di principio, la richiesta da parte dello Stato di importazione del pagamento dei dazi doganali non corrisposti all' atto dell' importazione costituisce la normale conseguenza del risultato negativo del controllo a posteriori.

20 Tuttavia, la questione posta dal giudice nazionale dev' essere intesa alla luce delle circostanze del caso di specie.

21 Tali circostanze sono rappresentate in particolare, da un lato, dall' accertamento operato in punto di fatto dallo Hof van Beroep di Gent e vincolante per il giudice di rinvio, secondo cui esiste un documento che prova l' origine comunitaria della merce di cui trattasi e, dall' altro, dall' impossibilità, rilevata dalla Commissione nelle proprie osservazioni, di fornire la prova ordinaria dell' origine della merce prevista dall' art. 9, n. 3, del Protocollo n. 3, vale a dire il certificato EUR.1 precedentemente rilasciato, atteso che l' esportazione dalla Germania verso l' Austria ebbe luogo anteriormente all' entrata in vigore dell' accordo e che pertanto il detto certificato non poté essere rilasciato.

22 La seconda questione dev' essere quindi intesa come diretta ad accertare che, in presenza di circostanze quali quelle del caso di specie, lo Stato di importazione sia definitivamente vincolato, ai fini della richiesta di versamento di dazi doganali non corrisposti, dal risultato negativo del controllo a posteriori ovvero se sussista la possibilità di prendere in considerazione altre prove circa l' origine della merce.

23 L' art. 16, n. 1, del Protocollo n. 3 dell' accordo CEE-Austria prevede, alfine di garantire la corretta applicazione del Protocollo stesso, che le parti dell' accordo si prestino mutua assistenza ai fini del controllo dell' autenticità e della regolarità dei certificati EUR.1. L' art. 17, n. 3, dispone che i risultati del controllo a posteriori siano portati a conoscenza delle autorità doganali dello Stato importatore. Essi devono permettere di stabilire se il certificato contestato sia applicabile alle merci realmente esportate e se queste ultime possano effettivamente consentire l' applicazione del regime preferenziale. Inoltre, il secondo comma dello stesso n. 3 prevede che, qualora tali contestazioni non abbiano potuto essere risolte tra le autorità doganali dello Stato di importazione e quelle dello Stato di esportazione o qualora sollevino un problema di interpretazione del Protocollo, esse vengano sottoposte al comitato doganale.

24 Come affermato dalla Corte nell' ambito dell' interpretazione dell' accordo di libero scambio tra la Comunità economica europea e la Confederazione svizzera, sottoscritta a Bruxelles il 22 luglio 1972, concluso ed approvato, a nome della Comunità, mediante il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2840 (GU L 300, pag. 88) che contiene un Protocollo n. 3 analogo a quello dell' accordo CEE-Austria, la determinazione dell' origine delle merci si basa sulla ripartizione delle competenze fra le autorità doganali delle parti dell' accordo di libero scambio, nel senso che l' origine viene accertata dalle autorità dello Stato di esportazione, mentre il controllo del funzionamento di tale regime viene garantito dalla collaborazione fra le competenti amministrazioni delle due parti (v. sentenza 12 luglio 1984, causa 218/83, Les Rapides Savoyards, Racc. pag. 3105, punto 26 della motivazione).

25 In tale sentenza la Corte ha rilevato che un siffatto sistema è giustificato dal fatto che le autorità dello Stato di esportazione si trovano nella posizione migliore per verificare direttamente le circostanze rilevanti ai fini dell' origine dei prodotti e che tale sistema si basa sulla ripartizione dei compiti fra le amministrazioni doganali delle parti aderenti all' accordo di libero scambio e nell' affidamento dovuto agli atti emanati da tali amministrazioni nell' ambito delle rispettive competenze, tenendo presente che il sistema così istituito può funzionare solo qualora l' amministrazione doganale dello Stato di importazione accetti le valutazioni legittimamente effettuate dalle autorità dello Stato di esportazione.

26 Si deve tuttavia rilevare che la finalità del controllo a posteriori è quella di verificare l' esattezza dei certificati EUR.1. Soprattutto nei casi in cui le autorità doganali dello Stato di importazione nutrano dubbi fondati in ordine all' autenticità del documento o all' esattezza delle indicazioni relative alla reale origine delle merci di cui trattasi, lo Stato di esportazione deve effettuare tale controllo (v. art. 17, n. 1). Il n. 3, terzo comma, del medesimo articolo prevede che, ai fini del controllo a posteriori dei certificati EUR.1, i documenti di esportazione o le copie dei certificati EUR.1 sostitutivi debbano essere conservati per lo meno per due anni dalle autorità doganali del paese esportatore.

27 In una fattispecie come quella oggetto della causa principale, in cui le autorità doganali dello Stato di esportazione non siano in grado di effettuare regolarmente il controllo a posteriori previsto dal Protocollo, nessuna disposizione del Protocollo medesimo sancisce il divieto, per le autorità dello Stato di importazione, di perseguire il fine che è alla base del detto controllo ° vale a dire verificare l' autenticità e l' esattezza del certificato EUR.1 ° prendendo in considerazione altre prove relative all' origine delle merci.

28 La seconda questione dev' essere quindi risolta affermando che il Protocollo n. 3 dell' accordo CEE-Austria dev' essere interpretato nel senso che, in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, lo Stato di importazione non è definitivamente vincolato, ai fini della ripetizione dei dazi non versati, dall' esito negativo del controllo effettuato a posteriori, potendo bensì prendere in esame altre prove relative all' origine della merce.

Sulla terza questione

29 La terza questione è diretta ad accertare se un importatore possa invocare a titolo di causa di forza maggiore l' impossibilità per le autorità doganali dello Stato di esportazione, derivante dalla loro stessa negligenza, di accertare l' esattezza dell' origine di una merce nell' ambito di un controllo a posteriori.

30 Si deve ricordare al riguardo che, secondo costante giurisprudenza, atteso che la nozione di forza maggiore non assume identico contenuto nei vari settori di applicazione del diritto comunitario, il suo significato dev' essere determinato in considerazione del contesto giuridico nell' ambito del quale è destinata a produrre effetti (v., da ultimo, sentenza 13 ottobre 1993, causa C-124/92, An Bord Bainne Co-operative e Compagnie Inter-Agra, Racc. pag. I-5061, punto 10 della motivazione).

31 Nella specie, si deve rilevare, da un lato, che la forza maggiore è espressamente prevista nel Protocollo n. 3 solamente all' art. 12, relativo ai termini di presentazione del certificato EUR.1, e che, dall' altro, nessuna disposizione dell' accordo o del Protocollo prevede che da eventuali irregolarità derivino conseguenze quali quelle affermate dal giudice nazionale. In assenza di specifiche disposizioni, perché possa dichiararsi l' esistenza di un' ipotesi di forza maggiore è necessario che la causa esterna invocata dai soggetti di diritto abbia conseguenze ineluttabili ed inevitabili al punto di rendere obiettivamente impossibile per gli interessati l' osservanza dei loro obblighi (v. sentenza 18 marzo 1980, cause riunite 154, 205, 206, 226-228, 263 e 264/78, 39, 31, 83 e 85/79, Valsabbia e a./Commissione, Racc. pag. 907, punto 104 della motivazione). La nozione di forza maggiore dev' essere intesa nel senso di circostanze estranee all' operatore interessato, anormali ed imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante tutta la diligenza impiegata, ragion per cui la condotta della pubblica amministrazione può costituire, a seconda delle circostanze, un caso di forza maggiore (v., in particolare, la sentenza 18 marzo 1993, causa C-50/92, Firma Molkerei-Zentrale Sued, Racc. pag. I-1035).

32 Nell' ambito del Protocollo n. 3 e, più in particolare, del controllo a posteriori, il fatto che le autorità doganali dello Stato di esportazione non siano in grado di stabilire l' esattezza dell' origine di una merce costituisce, in linea di principio, una circostanza anormale, imprevedibile ed estranea all' importatore.

33 Per quanto attiene alla condizione che esige che la condotta delle autorità dello Stato di esportazione abbia prodotto conseguenze per l' importatore nel senso che, malgrado tutta la diligenza da questi impiegata, tali conseguenze non avrebbero potuto essere evitate se non al prezzo di oneri eccessivi, spetta al giudice nazionale verificare l' effettività dei pretesi sforzi compiuti dall' operatore economico interessato a fronte degli obblighi impostigli ai sensi del Protocollo n. 3.

34 Si deve rilevare in proposito che se, nel sistema previsto dall' accordo e dal Protocollo n. 3, tanto l' esportatore quanto l' importatore rispondono dinanzi alle autorità doganali della effettività delle transazioni da essi compiute e della veridicità delle loro dichiarazioni, resta il fatto che, come giustamente sottolineato dalla Commissione e dall' avvocato generale al punto 29 delle proprie conclusioni, l' obbligo di essere in possesso dei documenti giustificativi relativi all' origine della merce incombe unicamente all' esportatore.

35 La terza questione dev' essere pertanto risolta nel senso che un importatore può invocare quale causa di forza maggiore, a seconda delle circostanze, l' impossibilità per le autorità doganali dello Stato di esportazione, derivante dalla loro stessa negligenza, di accertare, nell' ambito di un controllo a posteriori, l' esattezza dell' origine della merce. Spetta al giudice nazionale la valutazione del complesso dei fatti dedotti al riguardo.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

36 Le spese sostenute dal governo belga e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE (Quinta Sezione),

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dallo Hof van cassatie del Belgio, con ordinanza 7 gennaio 1992, dichiara:

1) Il Protocollo n. 3 dell' accordo CEE-Austria, sottoscritto a Bruxelles il 22 luglio 1972, concluso ed approvato, a nome della Comunità, in base al regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2836, dev' essere interpretato nel senso che lo Stato di esportazione al quale sia richiesto di controllare il certificato di origine EUR.1, ove non sia in grado di stabilire l' esatta origine della merce, deve ritenere che si tratti di origine ignota e che, pertanto, il certificato EUR.1 e la tariffa preferenziale siano stati erroneamente concessi.

2) Il Protocollo n. 3 dell' accordo CEE-Austria dev' essere interpretato nel senso che, in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, lo Stato di importazione non sia definitivamente vincolato, ai fini della ripetizione dei dazi non versati, dall' esito negativo del controllo effettuato a posteriori, potendo bensì prendere in esame altre prove relative all' origine della merce.

3) Un importatore può invocare quale causa di forza maggiore, a seconda delle circostanze, l' impossibilità per le autorità doganali dello Stato di esportazione, derivante dalla loro stessa negligenza, di accertare, nell' ambito di un controllo a posteriori, l' esattezza dell' origine della merce. Spetta al giudice nazionale la valutazione del complesso dei fatti dedotti al riguardo.