SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

24 settembre 1996 ( *1 )

Nella causa T-57/91,

National Association of Licensed Opencast Operators, società di diritto britannico, con sede in Newcastle upon Tynė (Regno Unito), con i signori Nicholas Green, barrister, del foro d'Inghilterra e del Galles, e David James Malcolm Wilson, solicitor, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Victor Gillen, 13, rue Aldringen,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal signor Julian Currall, membro del servizio giuridico, in qualità di agente, assistito dai signori Stephen Kon, solicitor, e Leonard Hawkes, barrister, del foro d'Inghilterra e del Galles, con domicilio eletto in Lussemburgo, presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

convenuta,

sostenuta da

British Coal Corporation, società di diritto britannico, con sede in Londra, con i signori David Vaughan, QC, e David Lloyd Jones, barrister, del foro d'Inghilterra e del Galles, nonché con il signor Peter J. Sigler e con la signora Rebekah M. Gershuny, solicitor, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Loesch, 8, rue Zithe,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda di annullamento parziale della decisione della Commissione 23 maggio 1991, SG(91)D/9467, recante rigetto della denuncia della ricorrente concernente il mercato del carbone destinato alla produzione di energia elettrica,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione ampliata),

composto dai signori C. P. Briët, presidente, K. Lenaerts e B. Vesterdorf, dalla signora P. Lindh e dal signor A. Potocki, giudici,

cancelliere: signora B. Pastor, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 6 febbraio 1996,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti all'origine del ricorso

1

Il Coal Industry Nationalisation Act 1946 (legge sulla nazionalizzazione dell'industria del carbone, in prosieguo: il «CINA») creava il National Coal Board, divenuto British Coal Corporation (in prosieguo: la «British Coal») con il Coal Industry Act 1987 (legge sull'industria del carbone). In virtù del CINA, la British Coal è proprietaria della quasi totalità delle riserve di carbone del Regno Unito ed è titolare in esclusiva in tale Stato del diritto di lavorare e di estrarre carbone.

2

Il settore privato dell'industria britannica del carbone è costituito da circa 200 piccole e medie imprese, delle quali circa 160 coltivano miniere sotterranee e 34 estraggono il carbone a cielo aperto.

3

La ricorrente National Association of Licensed Opencast Operators (associazione nazionale di concessionari di carbone a cielo aperto, in prosieguo: la «NALOO») è un'associazione di categoria, la quale raggruppa attualmente 16 imprese private di estrazione del carbone, con sede nel Regno Unito ed esercenti impianti minerari, la maggior parte dei quali a cielo aperto.

4

La British Coal provvede alla coltivazione dei suoi siti a cielo aperto anzitutto mediante assegnazione a concessionari. Nel 1989/1990, 17,5 milioni di tonnellate di carbone sono state estratte in tal modo dalle miniere a cielo aperto, per conto della British Coal, da parte di imprese private, alcune delle quali membri dell'associazione ricorrente.

5

Inoltre, in virtù dell'art. 36, secondo comma, del CINA, la British Coal ha facoltà di rilasciare concessioni per l'estrazione di carbone agli operatori privati, tra cui i membri della NALOO. Gli impianti privati di estrazione del carbone più importanti provvedono alla coltivazione di più di una miniera.

6

Esistono due tipi di concessione:

la concessione soggetta al pagamento di canoni (in prosieguo: la «concessione soggetta a canone»), la quale permette al titolare di vendere il carbone a terzi di suo gradimento, contro pagamento alla British Coal di un canone fissato, nei confronti di tutti i concessionari, ad un'aliquota uniforme per tonnellata di carbone;

la concessione soggetta all'obbligo di fornitura (in prosieguo: la «concessione con obbligo di fornitura»), in forza della quale il concessionario consegna alla British Coal il carbone estratto a un prezzo per tonnellata negoziato e convenuto con la British Coal volta per volta, secondo il sito.

7

A partire dal dicembre 1990, la British Coal revocava l'opzione della licenza con obbligo di fornitura, facendo eccezione per gli esercenti con i quali essa aveva negoziato detta formula prima di tale data.

8

La capacità produttiva dei giacimenti coltivati dalla British Coal è di circa 2 milioni di tonnellate. Il Coal Industry Act 1990 (legge sull'industria del carbone) aumentava da 25000 a 250000 tonnellate il tetto massimo delle riserve assegnabili ai concessionari di miniere a cielo aperto.

9

Su una produzione complessiva pari a 95,2 milioni di tonnellate estratte nel Regno Unito nel 1989/1990, la British Coal ne produceva 93 milioni, vale a dire più del 97%.

10

Nel 1989/1990, la produzione di carbone estratto a cielo aperto in base ai due regimi di concessione, soggetta a canone o con obbligo di fornitura, era pari, rispettivamente, a 1068000 tonnellate e a 773000 tonnellate, vale a dire a un totale di 1841000 tonnellate. La produzione complessiva degli impianti minerari a cielo aperto gestiti in regime di concessione passava da 1210000 tonnellate nel 1984/1985 a 2095000 tonnellate nel 1990/1991.

11

Il 1° aprile 1990 il Central Electricity Generating Board (in prosieguo: il «Central Board»), impresa pubblica di produzione di energia elettrica della Gran Bretagna, veniva privatizzato in applicazione delľElectricity Act 1989. Il patrimonio del Central Board veniva trasferito, in Inghilterra e nel Galles, alla National Power e alla PowerGen, due società anonime create in forza della stessa legge. Il patrimonio del Central Board situato in Scozia veniva trasferito alla Scottish Power.

12

La National Power e la PowerGen sono gli unici acquirenti di carbone destinato alla produzione di energia elettrica in Inghilterra e nel Galles. Il loro fabbisogno, pari a circa 75 milioni di tonnellate all'anno, è coperto dalla British Coal per circa il 95%, mentre il restante 5% è fornito dai produttori privati (3%) e dalle importazioni, curate quasi interamente dalla British Coal. A breve e a medio termine la British Coal rimarrà il più importante fornitore di combustibile delle centrali elettriche termiche di Inghilterra e del Galles.

13

In base a un accordo concluso nel maggio del 1986 tra la British Coal e il Central Board, 72 milioni di tonnellate di carbone sono state acquistate nel 1986/1987 a prezzi suddivisi in tre livelli, la cui media ponderata raggiungeva il valore di 172 pence per gigajoule (in prosieguo: il «p/GJ») franco miniera, vale a dire a un prezzo medio alla consegna pari a 187 p/GJ, comprese le spese di trasporto.

14

A seguito della citata convenzione, il Central Board aveva programmato di ridurre del 50% i suoi acquisti presso i produttori indipendenti, sottolineando che il prezzo al quale esso avrebbe acquistato il loro carbone sarebbe dovuto risultare competitivo rispetto a quelli del terzo livello, vale a dire a 133 p/GJ (120 p/GJ più 13 p/GJ, per le spese di trasporto).

15

La NALOO sollecitava allora l'Office of Fair Trading ad avviare un'indagine in virtù del Competition Act 1980, impugnando poi innanzi ai giudici competenti il diniego opposto da detta autorità.

16

Con lettera datata 13 maggio 1988, indirizzata alla British Coal, la NALOO dichiarava quanto segue:

«Se, come precedentemente convenuto, la British Coal dovesse ridurre tutti i canoni concernenti le attività estrattive a cielo aperto di 2,50 lire sterline per tonnellata (in prosieguo: “UKL/t”), la NALOO

1.

rinuncerà alla prosecuzione dell'azione giudiziaria attualmente pendente;

2.

confermerà di non avere alcuna intenzione di ripresentarla;

3.

confermerà di non avere in programma la promozione di un qualsiasi giudizio concernente la questione del rilascio delle concessioni o della messa in commercio;

4.

confermerà che, ferme restando tutte le attuali condizioni, essa riconoscerà la ragionevolezza dei nuovi livelli di canone».

17

In seguito, la NALOO rinunciava alla sua azione e la British Coal, rispettando gli impegni assunti, riduceva il canone sulle operazioni a cielo aperto da 13,50 UKL/t a 11 UKL/t. Detta riduzione veniva notificata ai concessionari il 16 giugno 1988, con effetti retroattivi a partire dal 27 dicembre 1987.

18

Nel 1989/1990, la British Coal negoziava con la National Power e la PowerGen un nuovo accordo per la fornitura di carbone (in prosieguo: l'«accordo di fornitura»), per il periodo 1° aprile 1990 -31 marzo 1993, il quale avrebbe garantito alla British Coal vendite pari a 70 milioni di tonnellate all'anno, durante i primi due anni, e a 65 milioni di tonnellate per il terzo anno. Il prezzo base veniva fissato in 170 p/GJ lordi e in 177,9 p/GJ netti, salvo eventuali aumenti (e diminuzioni), secondo formule che tenessero conto delle fluttuazioni dell'indice dei prezzi al dettaglio e della parità UKL/dollaro statunitense (USD).

19

Il 1° aprile 1990, una volta entrato in vigore l'accordo di fornitura, la National Power e la PowerGen proponevano ai produttori concessionari prezzi compresi fra 122 e 139 p/GJ franco miniera.

20

Dal 1° aprile 1990 e sino al 13 dicembre 1990, l'aliquota del canone veniva ridotta da 11 UKL/t a 7 UKL/t (6 UKL/t più 1 UKL/t per spese amministrative).

21

II 29 marzo 1990 la NALOO e la Federation of Small Mines of Great Britain, la quale rappresenta nove associazioni regionali di società minerarie, presentavano denuncia dinanzi alla Commissione lamentando l'illiceità, alla luce delle regole comunitarie in materia di concorrenza, dell'accordo di fornitura e del regime delle concessioni per l'estrazione della British Coal.

22

In primo luogo, le associazioni denuncianti osservavano che l'accordo di fornitura sarebbe stato contrario all'art. 63 del Trattato CECA, in quanto i prezzi superiori che i produttori di energia elettrica offrivano alla British Coal, in rapporto a quelli che essi proponevano ai concessionari, avrebbero costituito un comportamento discriminatorio sistematicamente tenuto dagli acquirenti nei confronti dei produttori concessionari.

23

Secondo le associazioni denuncianti, l'accordo di fornitura sarebbe stato parimenti contrario all'art. 65 del Trattato CECA e, in subordine, all'art. 85 del Trattato CEE, in quanto esso avrebbe avuto l'effetto di escludere i fornitori di carbone diversi dalla British Coal dalla quota più significativa del mercato britannico del carbone destinato alla produzione di energia elettrica e di permettere alla British Coal di ottenere dai produttori della medesima prezzi e condizioni di vendita del carbone discriminatori, a detrimento dei produttori concessionari.

24

I produttori di energia elettrica avrebbero così abusato, in violazione dell'art. 86 del Trattato CEE, della posizione dominante congiunta, ad essi conferita dalla loro qualità di acquirenti in esclusiva di carbone destinato alla produzione di energia elettrica.

25

La British Coal avrebbe altresì abusato, in violazione dell'art. 66, n. 7, del Trattato CECA, della sua posizione di fornitore dominante di carbone destinato alla produzione di energia elettrica, per garantirsi condizioni favorevoli, segnatamente in termini di quantitativi e di prezzo, a detrimento dei piccoli impianti minerari concessionari concorrenti.

26

Le associazioni denuncianti rilevavano inoltre che il regime delle concessioni per l'estrazione della British Coal, compreso segnatamente il canone, sarebbe stato esso stesso soggetto alle regole in materia di concorrenza, di cui avrebbe costituito una violazione. Al riguardo esse facevano richiamo ad una descrizione del regime di concessioni, prodotta in allegato D alla loro denuncia, per illustrare le difficoltà incontrate dal settore dei concessionari.

27

Esse sostenevano che il canone imposto dalla British Coal sul carbone estratto a cielo aperto in regime di concessione avrebbe inoltre costituito una violazione del combinato disposto degli artt. 4 e 60 del Trattato CECA, in quanto esso sarebbe stato eccessivo, avrebbe reso non competitivo il carbone estratto in regime di concessione e avrebbe costituito pertanto una pratica sleale di concorrenza, fonte di discriminazione fra produttori.

28

Nell'allegato G alla loro denuncia del 29 marzo 1990, esse affermavano che l'aliquota di canone di 11 UKL sarebbe stata di 8,50 UKL/t (34 p/GJ) troppo alta e che il prezzo di 120 p/GJ offerto dai produttori di energia elettrica sarebbe stato di 8,50 UKL/t (34 p/GJ) troppo basso. Le denuncianti aggiungevano che, se i produttori di energia elettrica avessero adeguato i prezzi stabiliti per il carbone estratto in regime di concessione a quelli offerti alla British Coal, vale a dire a 170 p/GJ franco miniera, un canone pari a 6 UKL/t sarebbe potuto essere sopportabile. Infine, a loro parere, un prezzo di vendita inferiore a 170 p/GJ franco miniera, avrebbe reso necessaria l'applicazione di un canone inferiore.

29

Di conseguenza, le denuncianti invitavano la Commissione ad adottare i provvedimenti idonei a porre rimedio a queste violazioni del diritto comunitario e chiedevano inoltre l'adozione di provvedimenti provvisori. A tale proposito, esse chiedevano alla Commissione:

di vietare alla British Coal e ai produttori di energia elettrica di applicare l'accordo di fornitura per la parte in cui esso escludeva i produttori concessionari dal settore del mercato coperto da tale accordo e di obbligare i produttori di energia elettrica ad applicare ai produttori concessionari le condizioni stabilite dall'accordo di fornitura per la British Coal;

di esigere dalla British Coal la riduzione del suo canone sugli impianti minerari a cielo aperto ad un livello paragonabile a quelli internazionali, vale a dire a un massimo di 3 UKL/t.

30

La denuncia veniva comunicata alla British Coal, la quale presentava controdeduzioni, facendone pervenire una versione non riservata al legale delle denuncianti, con lettera datata 1° maggio 1990.

31

Con lettera datata 25 maggio 1990, le denuncianti confermavano alla Commissione le condizioni alle quali esse sarebbero state disposte a rinunciare alla loro istanza di provvedimenti provvisori, ferme restando le loro richieste dedotte in via principale. Esse si dichiaravano pronte, segnatamente, a sostenere un accordo avente ad oggetto un canone pari a 6 UKL/t sul carbone estratto a cielo aperto, a condizione che la British Coal non imponesse nessuna tassa. Sarebbe stato necessario fissare il prezzo del carbone del settore privato a 153 p/GJ franco miniera, più 15 p/GJ per spese di trasporto, vale a dire a un totale di 168 p/GJ per il carbone fornito entro un raggio massimo di 30 miglia. Altrimenti, il prezzo avrebbe dovuto raggiungere i 153 p/GJ franco miniera, concordandosi caso per caso le spese di trasporto.

32

Secondo le denuncianti, il prezzo di 153 p/GJ sarebbe stato inferiore del 10% alla media dei prezzi applicati alla British Coal, media pari a 170 p/GJ. La NALOO riteneva detto prezzo assolutamente ragionevole, in via provvisoria, e tale da coprire abbondantemente i costi amministrativi generati dalla lavorazione e dal controllo dei quantitativi più ridotti venduti dai concessionari.

33

Nella loro denuncia complementare datata 27 giugno 1990, le denuncianti riaffermavano, da un lato, che i produttori di energia elettrica avrebbero manifestamente violato l'art. 63 del Trattato CECA a titolo sia individuale che collettivo, in considerazione del divario tra i prezzi del carbone da essi corrisposti rispettivamente alla British Coal e ai produttori concessionari e, dall'altro, che l'accordo di fornitura sarebbe stato contrario all'art. 65 del Trattato CECA e, in caso di inapplicabilità di detta disposizione, all'art. 85 del Trattato CEE.

34

Con decisione 28 giugno 1990 la Commissione, lasciando impregiudicata la posizione che essa avrebbe potuto adottare nel merito, rigettava l'istanza di provvedimenti provvisori in quanto, segnatamente, tenendo conto dei volumi di carbone acquistati presso i concessionari, la situazione di questi ultimi non risultava peggiorata in rapporto alla situazione precedente all'accordo di fornitura. Essa riteneva parimenti che i prezzi in valore assoluto corrisposti agli impianti minerari privati non fossero cambiati in seguito all'entrata in vigore di tale accordo, mentre il prezzo franco miniera ottenuto dalla British Coal era diminuito da 180 p/GJ nel 1989/1990 a 172 p/GJ nel 1990/1991, portando in tal modo a un miglioramento della condizione in termini relativi degli impianti minerari privati. Infine, i canoni versati dagli impianti minerari privati non erano stati modificati dall'entrata in vigore dell'accordo di fornitura.

35

Con lettera datata 28 agosto 1990, indirizzata alla rappresentanza permanente del Regno Unito presso le Comunità europee, la Commissione rilevava che talune differenze tra i prezzi del carbone pagati rispettivamente alla British Coal e ad altri esercenti da parte dei produttori di energia elettrica potevano ritenersi giustificati in quanto, a differenza del carbone venduto dalla British Coal, il carbone proveniente dagli impianti minerari privati è generalmente non lavorato, trasportato su strada e venduto in piccoli quantitativi.

36

Tuttavia, nella medesima lettera, essa giudicava inspiegabile, alla luce di tali dati, il fatto che la differenza di prezzo, che sembrava aver precedentemente raggiunto il 12,5% circa, fosse allora arrivata a livelli medi di circa il 25% nel caso della National Power e di circa il 40% nel caso della PowerGen. Essa riteneva più adeguato un prezzo lordo approssimativo di 150 p/GJ, aumentato delle necessarie spese di trasporto.

37

Essa riteneva che l'accordo di fornitura impedisse in larga misura l'accesso dei concessionari al mercato e creasse una situazione nella quale questi ultimi percepivano prezzi insoddisfacenti. La Commissione riteneva inoltre troppo alto, in ogni caso, il canone di 7 UKL/t.

38

Con memoria 5 settembre 1990, le denuncianti presentavano alla Commissione, su richiesta di quest'ultima, una sintesi dei loro argomenti essenziali. Esse accusavano i produttori di energia elettrica di avere, in qualità di acquirenti, praticato sistematicamente discriminazioni, ai sensi dell'art. 63 del Trattato CECA, e violato gli artt. 85 e 86 del Trattato CEE.

39

La British Coal, in qualità di parte dell'accordo di fornitura, avrebbe cercato, unitamente ai produttori di energia elettrica, di rendere più difficile la fornitura di carbone a tali produttori da parte del settore privato, frapponendo così a quest'ultimo un ostacolo all'ingresso e/o all'espansione, ostacolo inesistente per la British Coal.

40

Le denuncianti ritenevano che la British Coal avesse violato l'art. 63 del Trattato CECA, in quanto le regole da essa definite per l'acquisto del carbone dal settore privato avrebbero mirato espressamente ad aggravare gli oneri sostenuti dal detto settore per rifornire la British Coal, anzi i produttori di energia elettrica.

41

Le denuncianti accusavano inoltre la British Coal di aver adottato una politica mirante a rendere più difficile il rilascio di concessioni per l'estrazione, come illustrato nell'allegato D alla denuncia del 29 marzo 1990. A tal proposito, esse rilevavano che la British Coal avrebbe più volte respinto domande tendenti alla definizione di un'adeguata procedura di ricorso in caso di diniego o di rilascio tardivo di una concessione. Secondo il loro parere, la British Coal avrebbe fatto così uso del suo potere di rilascio delle concessioni in modo tale da rendere più difficile l'accesso al mercato, difendendo la propria posizione dominante.

42

La British Coal avrebbe inoltre fissato i canoni a un livello arbitrario.

43

I comportamenti denunciati ai sensi dell'art. 66, n. 7, avrebbero costituito anche violazione dell'art. 60 del Trattato CECA.

44

Infine, secondo le denuncianti, malgrado quanto prima illustrato, l'art. 66, n. 7, dovrebbe applicarsi a tutte le infrazioni precedentemente descritte.

45

Il 24 ottobre 1990 le autorità britanniche, in nome della British Coal, della National Power e della PowerGen, sottoponevano alle denuncianti un'offerta, i cui termini principali erano i seguenti:

un nuovo prezzo pari a 157 p/GJ netti all'ultimo punto di consegna, comprensivo di spese di trasporto pari a circa 10 p/GJ;

la riduzione dei canoni a una nuova aliquota minima di 5,50 UKL/t (6 UKL/t al di sopra di 50000 tonnellate), tasse comprese, per il carbone dei siti a cielo aperto;

la retroattività di tali condizioni a partire dal 1 o aprile 1990, data di entrata in vigore dell'accordo di fornitura.

46

II 30 ottobre 1990 la Commissione informava le denuncianti che, salvo loro osservazioni, le condizioni proposte le apparivano ragionevoli e tali da non giustificare la richiesta, da parte sua, di provvedimenti più consistenti da parte delle autorità e delle imprese pubbliche britanniche.

47

La Commissione sottolineava che il canone doveva essere valutato alla luce del prezzo pagato per il carbone estratto in regime di concessione. Se, come sembrava essere il caso, il canone sul carbone estratto a cielo aperto non era tanto alto da impedire ad imprese sane di realizzare un profitto in base ai prezzi loro offerti o da svantaggiarle significativamente in termini di concorrenza, non c'era ragione di opporsi a una determinata aliquota di canone. La Commissione rilevava che, dopo la presentazione della denuncia, il canone era stato ridotto da 11 UKL/t a 5,50 UKL/t (6 UKL/t dopo le prime 50000 tonnellate), mentre i prezzi alla consegna praticati in Inghilterra e nel Galles erano aumentati di quasi il 23%, ovvero di circa 7 UKL/t.

48

II 7 novembre 1990 le denuncianti rispondevano che l'offerta era inaccettabile, allegando segnatamente che il divario tra i prezzi pagati rispettivamente alla British Coal e ad esse stesse sarebbe rimasto troppo rilevante, in considerazione delle circostanze allora esistenti, e che i canoni proposti sarebbero rimasti troppo alti. Esse dichiaravano segnatamente che i loro membri sarebbero stati vittime, in modo quanto mai evidente, di uno svantaggio concorrenziale notevole, essendo obbligati a versare canoni onerosi al loro concorrente in situazione di monopolio, vendendo al tempo stesso il loro carbone a un prezzo nettamente inferiore a quello di detto concorrente.

49

II ministero dell'Energia britannico, con lettera datata 22 novembre 1990, informava le denuncianti che il governo britannico, la British Coal, la National Power e la PowerGen avevano deciso di applicare immediatamente, con effetti a partire dal 1° aprile 1990, ed integralmente le condizioni riguardanti i prezzi, i volumi di acquisto e il canone proposte il 24 ottobre 1990.

50

Con lettera datata 21 dicembre 1990 la Commissione informava le denuncianti che le richieste da esse formulate in base agli artt. 60, 63 e 65 del Trattato CECA e agli artt. 85 e 86 del Trattato CEE riguardo all'Inghilterra e al Galles, non richiedevano altri interventi da parte sua. Essa giudicava di non dover più attivarsi in forza dell'art. 66, n. 7, del Trattato CECA, in merito ai canoni riscossi in Inghilterra, nel Galles e in Scozia.

51

In particolare, nella sua lettera (punto 45) la Commissione rilevava che la British Coal aveva conseguito, nell'esercizio 1989/1990, un utile pari a 13,34 UKL/t, per la sua attività di estrazione a cielo aperto. Benché esistessero differenze, segnatamente di scala, tra i siti a cielo aperto della British Coal e quelli dei membri della NALOO, un dato del genere sembrava confermare che le aliquote di canone allora riscosse non fossero irragionevoli.

52

La Commissione precisava che essa avrebbe adottato una decisione definitiva solo dopo aver esaminato le osservazioni che le denuncianti avessero ritenuto opportuno formulare per iscritto, nelle due settimane seguenti al ricevimento della sua lettera.

53

Con lettera datata 11 gennaio 1991, le denuncianti ricordavano di aver chiaramente manifestato il loro desiderio di veder esaminate altre questioni essenziali, fra cui la liceità della politica in materia di prezzi adottata dalla British Coal nei confronti dei produttori indipendenti, che avrebbe avuto l'effetto di escludere i produttori privati da un mercato di acquirenti molto importanti.

54

In particolare, esse contestavano la conclusione cui era giunta la Commissione nel punto 45 della sua lettera datata 21 dicembre 1990, in quanto le posizioni rispettive della British Coal e dei concessionari non sarebbero state comparabili.

55

Con lettera datata 15 febbraio 1991, indirizzata alla Commissione, esse formulavano parimenti il dubbio che quest'ultima non avesse tenuto presente l'applicabilità dell'art. 65 del Trattato CECA agli accordi in materia di concessione e domandavano pertanto alla Commissione di comunicare loro la sua opinione in proposito.

56

Con lettera datata 14 marzo 1991, le denuncianti contestavano inoltre la ragionevolezza dell'importo dell'aliquota di canone indicato nell'offerta delle autorità britanniche del 24 ottobre 1990 e informavano la Commissione che esse le avrebbero sottoposto dati contabili, ricavati dalle relazioni annuali della British Coal, a dimostrazione dell'eccessività di detta aliquota.

57

Nella medesima lettera, esse rilevavano parimenti che la Commissione si era limitata sino ad allora ad esaminare la liceità del regime delle concessioni per l'estrazione alla luce dell'art. 66, n. 7, del Trattato CECA, benché esse avessero sottolineato che l'art. 65 si applicava parimenti ai contratti posti in esecuzione in osservazione di detto regime.

58

Esse contestavano infine alla Commissione il fatto di non aver esaminato le conseguenze dell'effetto congiunto dell'aliquota di canone eccessiva e del divario tra i prezzi praticati dai produttori di energia elettrica nei confronti dei produttori privati, da un lato, e dalla British Coal, dall'altro. Secondo le denuncianti, a causa di detto effetto congiunto i produttori privati di carbone, le cui vendite ai produttori di energia elettrica non sarebbero state più redditizie, sarebbero stati costretti, sin dal 1986, a vendere a «prezzi stracciati» alla British Coal il carbone estratto in regime di concessione con obbligo di fornitura, permettendo così alla British Coal di rivendere il medesimo carbone ai produttori di energia elettrica, traendone un utile eccessivo. Le denuncianti domandavano di conseguenza alla Commissione di invitare la British Coal a modificare tutte le concessioni affette da tale vizio.

59

Il 15 maggio 1991 la NALOO comunicava alla Commissione una relazione, risalente al 14 maggio precedente, redatta dalla Binder Hamlyn, società di revisione contabile internazionale (in prosieguo: la «relazione Binder Hamlyn»), avente lo scopo di fornire alla Commissione le prove contabili comprovanti che il canone riscosso dalla British Coal nel quinquennio compiutosi il 31 marzo 1991 sarebbe stato eccessivo.

60

Con decisione 23 maggio 1991, notificata alla NALOO il 29 maggio seguente (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione respingeva le denunce del 29 marzo e del 27 giugno 1990 spiegando che, poiché la British Coal, la National Power e la PowerGen avevano iniziato a mutare la loro linea di condotta, essa non aveva più motivo di intervenire per sanzionare il loro asserito comportamento anticoncorrenziale, ai sensi degli artt. 4, 60, 63, 65 e 66, n. 7, del Trattato CECA e degli artt. 85 e 86 del Trattato CEE.

Contenuto della decisione

61

La decisione impugnata esaminava la situazione esistente in Inghilterra e nel Galles, alla luce delle nuove circostanze venutesi a creare il 1 o aprile 1990 con l'entrata in vigore dell'accordo di fornitura. L'esame di altri aspetti della pratica, quali la situazione antecedente a tale data e il diritto della British Coal di rilasciare concessioni, era espressamente escluso dalla decisione impugnata, la quale esaminava solo le due questioni essenziali del caso, vale a dire l'accordo di fornitura e il canone.

62

Secondo la decisione impugnata, l'accordo di fornitura non era soggetto all'art. 65 del Trattato CECA, poiché tale disposizione è applicabile solo agli accordi conclusi tra almeno due imprese che svolgano attività di produzione o di distribuzione di carbone e di acciaio e la National Power e la PowerGen non rientravano tra tali imprese (punto 69).

63

Esaminando l'asserita discriminazione alla luce degli artt. 63 e 66, n. 7, del Trattato CECA e dell'art. 86 del Trattato CEE, la Commissione riteneva che le condizioni di cui all'accordo di fornitura negoziate dalla British Coal con la National Power e con la PowerGen non fossero di per sé ingiuste, poiché prevedevano nei confronti della British Coal prezzi inferiori a quelli ad essi applicati in precedenza ed offrivano una garanzia solo parziale contro l'inflazione, di modo che i prezzi effettivi sarebbero diminuiti in corso di esecuzione dei contratti. Detto accordo prevedeva inoltre una scadenza relativamente ravvicinata (tre anni) e aveva ad oggetto un quantitativo ridotto di 70 milioni di tonnellate per ciascuno dei primi due anni e di 65 milioni di tonnellate per il terzo anno (punto 53).

64

Il nuovo scarto di 20,9 p/GJ, vale a dire del 12%, tra i prezzi del carbone proposti, con effetto a partire dal 1° aprile 1990, dalla National Power e dalla PowerGen, per il carbone fornito dalle imprese minerarie su regime di concessione (157 p/GJ netti franco miniera) e per quello fornito dalla British Coal (177,9 p/GJ), non era tanto rilevante da rappresentare una discriminazione giustificante un nuovo intervento da parte della Commissione. Da un lato, le denuncianti avevano esse stesse riconosciuto che una certa differenza di prezzo fra la British Coal e i produttori concessionari era giustificabile. Dall'altro, la Commissione rilevava che detto nuovo scarto rifletteva l'incapacità dei membri delle associazioni denuncianti di fornire il medesimo volume della British Coal, nonché le spese supplementari collegate all'esecuzione di un numero elevato di piccole operazioni. La Commissione notava anche che le piccole imprese minerarie non si sarebbero trovate esposte, contrariamente alla British Coal, alle variazioni del tasso di cambio UKL/USD e che era impossibile quantificare con precisione tutti gli elementi da prendere in considerazione per valutare la differenza di prezzo, mentre le denuncianti non avevano potuto dedurre argomenti convincenti a giustificazione di uno scarto di prezzi più ridotto (punti 57-61).

65

Secondo il parere della Commissione, i contratti di acquisto di carbone già conclusi dai produttori di energia elettrica con gli impianti minerari in regime di concessione garantivano a questi ultimi un livello di produzione superiore alla loro produzione totale del 1989/1990. La ragione per la quale gli impegni assunti per il futuro avevano ad oggetto quantitativi inferiori era segnatamente che gli impianti minerari in regime di concessione non potevano assumere impegni a lungo termine. Le vendite garantite a detti impianti per i periodi 1990/1991 e 1991/1992 erano comunque di gran lunga superiori a quelle sulle quali essi avrebbero potuto contare per tali due esercizi in base a un trattamento equivalente a quello della British Coal, in termini di volumi di vendita garantiti. La Commissione si era basata sull'ipotesi che tali contratti potessero indurre a un'eliminazione della discriminazione tra la British Coal e gli impianti minerari in regime di concessione, salvo riapertura del caso se tale ipotesi si fosse rivelata priva di fondamento (punti 63, 65 e 67).

66

Sempre secondo la decisione impugnata (punto 78), poiché gli impianti minerari in regime di concessione erano pertanto in grado di ottenere contratti che consentissero loro di accedere al mercato in condizioni paragonabili a quelle offerte alla British Coal, le denuncianti non potevano nemmeno lamentare una violazione dell'art. 85 del Trattato CEE.

67

La Commissione riteneva che il canone non fosse soggetto all'art. 60 del Trattato CECA, palesemente applicabile alle pratiche dei venditori in materia di prezzi (punto 47).

68

Inoltre essa osservava che:

«72.

L'importo del canone non può essere valutato in astratto. Il rapporto tra il prezzo riscosso per il carbone e le spese di produzione per detto carbone, ivi compreso il canone, deve essere tale da permettere alle imprese sane di realizzare un profitto e da non far loro subire svantaggi significativi in materia di concorrenza.

(...)

73.

Per quanto concerne gli impianti minerari a cielo aperto, il canone è stato ridotto da 11 UKL/t, anteriormente al 1° aprile 1990, a 5,50UKL/t (6UKL/t superate le prime 50000 tonnellate), mentre il prezzo pagato ai piccoli impianti minerari è aumentato di più del 23%.

74.

Il prezzo attualmente pagato per il carbone estratto in regime di concessione, pari a 157p/GJ ovverosia a circa 40 UKL/t, è superiore di quasi il 20%, vale a dire di un importo di 8 UKL/t, al prezzo che i piccoli impianti minerari ricevevano all'epoca in cui è entrato in vigore l'accordo di fornitura di carbone. Se si aggiunge la riduzione del canone pari ad almeno 5 UKL/t, si ottiene un miglioramento considerevole dei margini lordi di utile degli impianti minerari a cielo aperto in regime di concessione. Nel 1989/1990, la media delle entrate ricavate dalle vendite della British Coal per le sue attività di estrazione a cielo aperto era pari a 41,50 UKL/t, vale a dire a 160 p/GJ, cioè a un'entrata paragonabile al prezzo attualmente versato agli impianti minerari in regime di concessione. La British Coal ha tratto un utile pari a 12,68 UKL/t su detta produzione. Malgrado talune differenze, concernenti in particolare le dimensioni, tra le attività estrattive a cielo aperto della British Coal e quelle dei membri della NALOO, ciò sembra confermare che il canone attuale per il carbone estratto a cielo aperto non sia tanto elevato da essere illecito. Tale canone non impedirà quindi alle imprese sane di ricavare un utile e non causerà loro uno svantaggio significativo in termini di concorrenza».

69

La Commissione concludeva affermando quanto segue:

«79.

La presente decisione verte sulla situazione in Inghilterra e nel Galles, a seguito dell'entrata in vigore, il 1 o aprile 1990, dei contratti di fornitura di carbone tra la British Coal, da un lato, e la National Power e la PowerGen, dall'altro.

80.

Gli artt. 60 e 65 del Trattato CECA non sono applicabili. I punti della denuncia fondati su tali articoli sono quindi respinti.

81.

La Commissione è del parere che le denunce presentate in base agli artt. 63, 66, n. 7, del Trattato CECA e agli artt. 85 e 86 del Trattato CEE, fossero fondati, nella parte riguardante la situazione posteriore al 1° aprile 1990, quando sono entrati in vigore i contratti di fornitura di carbone.

82.

Se le offerte delle autorità britanniche del 24 ottobre 1990 saranno inserite negli accordi contrattuali, nella cornice definita nella presente decisione, gli impianti minerari in regime di concessione non subiranno più una discriminazione nei confronti della British Coal. Pertanto, le domande basate sugli artt. 63 del Trattato CECA, 66, n. 7, del Trattato CECA, per quanto concerne le condizioni di vendita, e 85 e 86 del Trattato CEE non sono più fondate e, in quanto si collegano alla situazione attuale, vanno respinte.

83.

Relativamente alla parte delle denunce basata sull'art. 66, n. 7, del Trattato CECA, relativa al canone riscosso della British Coal, occorre notare che il nuovo canone indicato nella lettera delle autorità britanniche datata 24 ottobre 1990 e messo in vigore in seguito dalla British Coal, con effetto a partire dal 1° aprile 1990, non è irragionevolmente alto. Le censure connesse al pagamento di canoni basate sull'art. 66, n. 7, del Trattato, non sono quindi più valide e, in quanto collegate alla situazione attuale, devono essere respinte».

70

Con lettera datata 6 dicembre 1991, indirizzata alla Commissione, la NALOO faceva osservare di non essere stata in grado di individuare, nella relazione e nei dati contabili pubblicati dalla British Coal per l'esercizio chiuso il 31 marzo 1990, l'utile di 12,68 UKL/t che, secondo il punto 74 della decisione impugnata, la British Coal avrebbe ricavato dalla sua produzione a cielo aperto. La NALOO aggiungeva che, a suo parere, la relazione e i dati contabili della British Coal relativi all'esercizio seguente, chiuso il 31 marzo 1991, mostrerebbero che l'utile di esercizio realizzato dalla British Coal per le sue operazioni a cielo aperto sarebbe diminuito di 4,48 UKL/t, raggiungendo le 8,86 UKL/t, come attestato dai dati contabili della British Coal, prodotti in estratto nell'allegato A alla lettera datata 6 dicembre 1991. Sottraendo da quest'ultimo dato interessi pari a 2,07 UKL/t (valore ottenuto in base ai dati della relazione Binder Hamlyn del 14 maggio 1991) e 1,43 UKL/t (differenza tra i prezzi di 40,65 UKL e 39,22 UKL/t, rispettivamente pagati alla British Coal e ai concessionari), la NALOO giungeva a un utile netto pari a 5,36 UKL/t. Ciò avrebbe dimostrato, secondo la NALOO, che la riscossione di un canone di 6 UKL/t comportava un deficit di 0,64 UKL/t, anche ignorando i maggiori oneri sostenuti dai concessionari in termini di differenza di costi di gestione, ammessi in linea di principio dalla Commissione nel punto 74 della decisione impugnata. Questa conclusione avrebbe confermato, secondo la ricorrente, i dati già forniti alla Commissione dalla relazione Binder Hamlyn. Ne risultava, secondo la NALOO, che la stessa British Coal non avrebbe potuto permettersi di pagare un canone di tale livello. In considerazione di questa prova ulteriore, che dimostrava in modo assolutamente evidente l'irragionevolezza del canone, la NALOO invitava la Commissione a riesaminare la questione e a modificare la propria decisione.

71

Il 1° giugno 1991 la società Hopkins e a. adivano la High Court of Justice di Inghilterra e del Galles, citando in giudizio la National Power e la PowerGen per ottenere il risarcimento del danno che questi due produttori di energia elettrica avrebbero loro causato dal 1985 al 31 marzo 1990. A sostegno della loro azione la Hopkins e a. deducevano, in particolare, l'inosservanza degli artt. 4 e 63 del Trattato CECA (in prosieguo: il «Trattato») e il fatto che la National Power e la PowerGen, succedute al Central Board, li avrebbero discriminati rispetto alla British Coal, acquistando da loro carbone a condizioni di prezzo e di quantità meno favorevoli di quelle offerte alla British Coal.

72

Con ordinanze 13 gennaio e 12 maggio 1994 la High Court sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali, tendenti segnatamente ad accertare alla luce di quali disposizioni del Trattato dovesse essere risolta la controversia.

73

Con sentenza 2 maggio 1996, causa C-18/94, Hopkins e a. (Race. pag. II-2281), la Corte dichiarava in particolare che le disposizioni del Trattato e in particolare gli artt. 4, lett. b), e 63, n. 1, del medesimo, costituiscono l'ambito giuridico al quale sono riconducibili le discriminazioni poste in essere dagli acquirenti nei confronti dei produttori per quanto riguarda il prezzo, la quantità e le altre condizioni d'acquisto del carbone.

74

Nel frattempo, il 15 giugno 1994, la NALOO presentava alla Commissione una nuova denuncia, chiedendo l'esame, alla luce degli artt. 4, lett. d), 65 e 66, n. 7, del Trattato, dei canoni riscossi dalla British Coal a carico dei produttori concessionari dal 1° gennaio 1973, data di adesione del Regno Unito alle Comunità europee, al 31 marzo 1990, periodo espressamente escluso dalla decisione impugnata.

75

La British Coal metteva in mora la Commissione, affinché essa non respingesse questa nuova denuncia della NALOO senza averla valutata nel merito. Questa domanda doveva ritenersi respinta con decisione implicita ai sensi dell'art. 35, terzo comma, del Trattato, in seguito al silenzio mantenuto dalla Commissione al termine dei due mesi successivi alla messa in mora. Di conseguenza, la British Coal proponeva ricorso avverso detta decisione implicita di rifiuto, con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 10 novembre 1994 e iscritto a ruolo con il n. T-367/94.

Procedimento

76

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 9 luglio 1991, la NALOO ha proposto la presente domanda di annullamento, fondata sull'art. 33 del Trattato.

77

Con atto separato, depositato il 30 settembre 1991, la Commissione ha sollevato, in virtù dell'art. 114, n. 1, del regolamento di procedura, un'eccezione di irricevibilità, riunita al procedimento principale per la valutazione nel merito con ordinanza del Tribunale 1° ottobre 1992.

78

Su istanza dell'interessata, con ordinanza del Tribunale 30 gennaio 1992 si è autorizzato l'intervento della British Coal a sostegno delle conclusioni della Commissione.

79

Con due ordinanze, rispettivamente, 31 marzo e 2 giugno 1992, il Tribunale ha parzialmente accolto le domande della NALOO miranti al trattamento riservato di taluni documenti nei confronti della British Coal.

80

L'11 febbraio 1991, la società Banks, membro della NALOO, citava in giudizio innanzi alla High Court of Justice di Inghilterra e del Galles la British Coal, chiedendo il risarcimento del danno che essa asseriva di aver subito a causa dell'importo eccessivo del canone che detta società versa alla British Coal e fondando il suo ricorso, segnatamente, sulla violazione da parte di quest'ultima degli artt. 4, lett. d), 60, 65 e 66, n. 7, del Trattato. Con ordinanza 25 febbraio 1992, la High Court ha sottoposto alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali relative, segnatamente, all'interpretazione di tali disposizioni.

81

Il Tribunale ha ritenuto che le risposte chieste alla Corte erano necessariamente preliminari alla soluzione, da parte del Tribunale medesimo, delle questioni sollevate dal presente ricorso. Pertanto, ai sensi dell'art. 47, terzo comma, dello Statuto CECA della Corte, con ordinanza 14 luglio 1993, nell'interesse di una buona amministrazione della giustizia, esso ha sospeso il procedimento sino alla pronuncia della sentenza pregiudiziale della Corte.

82

Il procedimento innanzi al Tribunale è ripreso dopo la pronuncia della sentenza pregiudiziale (sentenza 13 aprile 1994, causa C-128/92, Banks, Racc. pag. I-1209).

83

Su relazione del giudice relatore il Tribunale (Terza Sezione ampliata) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria. Tuttavia essa ha invitato le parti a rispondere per iscritto a taluni quesiti prima dell'udienza, invito al quale gli interessati hanno puntualmente ottemperato.

84

All'udienza del 6 febbraio 1996 le parti hanno svolto le loro osservazioni orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale.

Conclusioni delle parti

85

In sede di ricorso la NALOO chiede che il Tribunale voglia:

1)

dichiarare ricevibile il suo ricorso, ai sensi dell'art. 33 del Trattato;

2)

dichiarare illecito il canone di importo pari a 5,50 UKL o 6 UKL/t, in quanto contrario agli artt. 4, lett. d), 60, 63, 65 e 66, n. 7, del Trattato;

3)

dichiarare nulla la decisione impugnata per la parte in cui essa ritiene lecito ai sensi dell'art. 66, n. 7, del Trattato, un canone pari a 5,50 UKL o 6 UKL/t;

4)

dichiarare nulla la decisione impugnata per la parte in cui la Commissione avrebbe manifestamente ignorato le disposizioni del Trattato, nonché i fatti rilevanti e, pertanto, sarebbe giunta a conclusioni erronee in diritto;

5)

dichiarare nulla la decisione impugnata per la parte in cui la Commissione avrebbe ignorato l'obbligo ad essa incombente di agire in modo equo ed oggettivo;

6)

dichiarare nulla la decisione impugnata, in quanto insufficientemente motivata, in violazione quindi degli artt. 5 e 15 del Trattato;

7)

dichiarare che la British Coal, oltre alle infrazioni elencate nel punto 81 della decisione impugnata, ha parimenti violato gli artt. 4, 60, 63 e 65 del Trattato;

8)

di conseguenza, pronunciare una sentenza di annullamento della decisione impugnata, per la parte concernente il canone imposto dalla British Coal;

9)

ordinare alla Commissione di riaprire la sua indagine sull'importo del canone imposto dalla British Coal ai produttori di carbone concessionari, nonché sul prezzo pagato per il carbone nell'ambito delle concessioni con obbligo di fornitura;

10)

ordinare alla Commissione di imporre alla British Coal la.restituzione sia delle quote di canone indebitamente riscosse, sia della differenza tra il prezzo insufficiente offerto e l'importo che esso avrebbe dovuto raggiungere, in base ai risultati dell'indagine di cui al precedente capo di conclusioni;

11)

ordinare alla Commissione di dichiarare illecito il comportamento della British Coal anteriore al 1 o aprile 1990, alla luce degli artt. 4, 60, 65 e 66, n. 7, del Trattato;

12)

condannare la Commissione alle spese;

13)

pronunciare o adottare qualsiasi altra dichiarazione o misura che esso riterrà utile.

86

In sede di osservazioni in merito all'eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione (punti 6.25-6.28), la NALOO ha rinunciato alle domande aventi ad oggetto la restituzione delle quote di canone indebitamente riscosse e l'accertamento del carattere illecito del comportamento della British Coal anteriore al 1 o aprile 1990, rispettivamente formulate nei summenzionati capi di conclusioni, decimo e undicesimo. Come ribadito in sede di replica (punto 75), la ricorrente non avanza più pretese per quanto concerne il periodo antecedente al 1 o aprile 1990.

87

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

1)

dichiarare il ricorso integralmente irricevibile;

2)

in subordine, dichiarare il ricorso irricevibile nella parte in cui riguarda fatti e circostanze anteriori al 1 o aprile 1990 nonché per quanto concerne le richieste formulate nei capi di conclusioni decimo e undicesimo della domanda attorea, e infondato per il resto;

3)

in ulteriore subordine, dichiarare il ricorso infondato;

4)

condannare la ricorrente alle spese.

88

La British Coal chiede che il Tribunale voglia:

1)

dichiarare il ricorso irricevibile, secondo quanto precisato dalla British Coal in sede di osservazioni sia sull'eccezione di irricevibilità, sia nel merito;

2)

dichiarare il ricorso infondato;

3)

condannare la ricorrente alle spese sostenute dall'interveniente.

Sulla ricevibilità delle conclusioni

89

I capi di conclusioni terzo-sesto del ricorso (v. il precedente punto 85) riprendono in realtà quattro dei cinque motivi formulati a sostegno della domanda d'annullamento della decisione impugnata.

90

Secondo una costante giurisprudenza, non spetta al giudice comunitario, nell'ambito del controllo di legittimità da esso esercitato, né sostituirsi alle istituzioni comunitarie, né rivolgere loro ordini. Inoltre, spetta alla sola istituzione interessata adottare i provvedimenti che si rendano necessari per l'esecuzione di una sentenza pronunciata nell'ambito di un ricorso d'annullamento (sentenze del Tribunale 12 gennaio 1995, causa T-102/92, Viho/Commissione, Racc. pag. II-17, punto 28;7 marzo 1995, cause riunite T-432/93, T-433/93 e T-434/93, Socurte e a./Commissione, Race. pag. II-503, punto 54, e 18 settembre 1995, causa T-548/93, Ladbroke Racing/Commissione, Racc. pag. II-2565, punto 54).

91

Orbene, da un lato, il nono capo di conclusioni della ricorrente, con il quale si chiede al Tribunale di ordinare alla Commissione di riaprire la sua indagine sull'importo del canone e sui prezzi di acquisto della British Coal, costituisce una domanda diretta al Tribunale affinché questi emetta un ordine che esso non è competente a rivolgere alla Commissione. Lo stesso dicasi dei capi di conclusioni decimo e undicesimo, salvo che la ricorrente ha rinunciato a questi due ultimi capi.

92

Dall'altro, i capi di conclusioni secondo e settimo della ricorrente, con i quali si chiede ai Tribunale di accertare l'illiceità, da un lato, del canone di importo pari a 5,50 o 6 UKL/t, in quanto contrario agli artt. 4, lett. d), 60, 63, 65 e 66, n. 7, del Trattato e, dall'altro, del comportamento della British Coal alla luce degli artt. 4, 60, 63 e 65 del Trattato, mirano proprio a ottenere dal Tribunale i provvedimenti che potrebbero risultare necessari in sede di esecuzione, da parte dell'istituzione interessata, di un'eventuale sentenza di annullamento della decisione impugnata.

93

Ne discende che i capi di conclusioni secondo, settimo e nono del ricorso sono irricevibili.

Sull'oggetto iniziale del ricorso

94

Come risulta dall'illustrazione dei fatti all'origine del ricorso, la ricorrente contesta alla British Coal due pratiche restrittive della concorrenza: da un lato, le aliquote eccessivamente alte che la British Coal avrebbe riscosso sul carbone estratto in regime di concessioni soggette a canone e, dall'altro, i prezzi abusivamente bassi ai quali la British Coal avrebbe acquistato il carbone estratto dai siti a ciclo aperto in regime di concessioni con obbligo di fornitura (in prosieguo: i «prezzi d'acquisto della British Coal»).

95

Riguardo a queste due pratiche restrittive della concorrenza di cui la British Coal si sarebbe resa colpevole, la ricorrente sviluppa cinque motivi d'annullamento a sostegno del suo ricorso.

96

Il primo motivo è fondato sulla violazione palese dell'art. 66, n. 7, del Trattato, in quanto la decisione impugnata avrebbe, da un lato, dichiarato la liceità dell'aliquota di canone pari a 5,50 o 6 UKL/t alla luce di tale articolo e, dall'altro, avrebbe omesso di accertare l'illiceità dei prezzi d'acquisto della British Coal alla luce della medesima disposizione.

97

Nell'ambito del secondo motivo, la ricorrente accusa la Commissione di aver violato in modo palese gli artt. 4, 60, 63 e 65 del Trattato, omettendo di valutare alla luce di tali disposizioni la liceità dei canoni riscossi dalla British Coal e dei prezzi di acquisto della British Coal, oppure ritenendo inapplicabili queste disposizioni.

98

Nel quadro del suo terzo motivo, la ricorrente contesta alla Commissione il fatto di aver rifiutato di prendere in considerazione gli elementi di prova prodotti a sostegno della sua denuncia, di essersi astenuta dal procedere a un'indagine esauriente e di aver violato i suoi diritti della difesa.

99

Con il quarto motivo si lamenta l'insufficiente motivazione della decisione impugnata e il quinto motivo, il quale riprende gli argomenti sviluppati a sostegno dei quattro precedenti, è fondato sullo sviamento di potere di cui la Commissione si sarebbe resa colpevole, adottando la decisione impugnata.

Sull'eccezione di irricevibilità della Commissione

Argomenti delle parti

100

Nella sua eccezione di irricevibilità la Commissione deduce essenzialmente che tutti i motivi d'annullamento sollevati dalla ricorrente mirano ad ottenere che il Tribunale valuti, ai sensi dell'art. 33, primo comma, seconda frase, del Trattato, lo stato risultante da fatti o circostanze economiche in considerazione del quale è stata presa la decisione impugnata, senza fornire, come imposto in un caso del genere dalla medesima disposizione, il minimo indizio pertinente di uno sviamento di potere o dell'inosservanza palese delle disposizioni del Trattato.

101

Il Tribunale sarebbe competente solo per quanto concerne la verifica della legittimità della decisione impugnata e non per il riesame dei fatti o delle circostanze economiche sulle quali essa si fonda. Orbene, tutti i motivi dedotti dalla ricorrente a sostegno delle sue richieste mirerebbero a che il Tribunale riesamini la denuncia della ricorrente e sostituisca la propria valutazione degli elementi economici e di fatto a quella della Commissione.

102

La ricorrente obietta in sostanza che il capo principale della sua domanda di annullamento è formulato ai sensi dell'art. 33, primo comma, prima frase, del Trattato. Inoltre, gli errori commessi dalla Commissione costituirebbero uno sviamento di potere e/o sarebbero manifesti, giustificando pertanto un esame dei fatti e delle circostanze economiche da parte del Tribunale.

103

La ricorrente non sarebbe obbligata a dimostrare lo sviamento di potere o il carattere manifesto delle violazioni del Trattato allegate affinché siano ricevibili i suoi motivi di annullamento tendenti all'esame da parte del Tribunale dei fatti e delle circostanze economiche, a meno di non confondere la ricevibilità con la dimostrazione nel merito (sentenza della Corte 11 febbraio 1955, causa 3/54, Assider/Alta Autorità, Race. pag. 125, e 21 giugno 1958, causa 8/57, Groupement des hauts fourneaux et aciéries belges/Alta Autorità, Racc. pag. 213). Basterebbe a tal proposito che le censure di sviamento di potere e dell'inosservanza palese del diritto comunitario si trovino accompagnate da indizi pertinenti.

Giudizio del Tribunale

104

Il Tribunale preliminarmente ricorda che l'art. 33, primo comma, del Trattato, attribuisce al giudice comunitario la competenza a giudicare dei ricorsi d'annullamento proposti avverso gli atti della Commissione per incompetenza, violazione delle forme essenziali, violazione del Trattato o di ogni norma giuridica concernente la sua applicazione o sviamento di potere. Tuttavia, l'esame del giudice comunitario non può vertere sulla valutazione dello stato risultante da fatti o da circostanze economiche in considerazione del quale è stata presa la decisione impugnata, salvo che sia mossa accusa alla Commissione di aver commesso uno sviamento di potere o di avere misconosciuto in modo palese le disposizioni del Trattato oppure le sue norme di applicazione.

105

Secondo la giurisprudenza della Corte (sentenza 18 marzo 1980, cause riunite 154/78, 205/78, 206/78, 226/78, 227/78, 228/78, 263/78 e 264/78, 39/79, 31/79, 83/79, 85/79, Valsabbia/Commissione, Racc. pag. 907, punto 11) la prima parte della seconda frase dell'art. 33, primo comma, del Trattato pone limiti al sindacato che il giudice può esercitare sulle scelte di politica economica operate dalla Commissione, mentre la seconda parte sopprime detti limiti a condizione che il ricorrente deduca lo sviamento di potere o l'inosservanza palese del Trattato.

106

Dalla precedente illustrazione sommaria dei motivi della ricorrente discende che quest'ultima ha unicamente sollevato la censura dell'inosservanza palese delle disposizioni del Trattato nell'ambito dei due primi motivi, mentre il terzo, quarto e quinto motivo non mirano ad ottenere dal Tribunale l'esame della valutazione dello stato risultante da fatti o circostanze economiche in considerazione del quale è stata presa la decisione impugnata.

107

Ne discende che è infondata l'allegazione della Commissione, secondo la quale tutti i motivi della ricorrente mirano a che il Tribunale valuti lo stato risultante da fatti o circostanze economiche in considerazione del quale è stata presa la decisione impugnata.

108

Affinché il Tribunale possa esaminare la valutazione di detto stato nell'ambito dei due primi motivi, è necessario e sufficiente che la censura dell'inosservanza palese sia corredata di indizi pertinenti. Infatti, il porre ulteriori condizioni equivarrebbe a confondere la ricevibilità di un argomento con la sua pertinenza sostanziale, mentre un'interpretazione più generosa, secondo cui la semplice deduzione di uno dei mezzi citati basterebbe a consentire al giudice comunitario di estendere il suo sindacato alla valutazione economica, svilirebbe questo mezzo ad una pura clausola di stile (sentenza della Corte 21 marzo 1955, causa 6/54, Paesi Bassi/Alta Autorità, Race. pag. 203, in particolare pag. 226, e sentenza Valsabbia/Commissione, già citata, punto 11).

109

Nella fattispecie, la censura dell'inosservanza palese delle disposizioni del Trattato da parte della decisione impugnata è suffragata da indizi prima facie pertinenti, in considerazione segnatamente della quota del mercato del carbone destinato alla produzione di energia elettrica detenuta dalla British Coal, nonché del monopolio legale di cui questa impresa dispone per il rilascio delle concessioni per l'estrazione, del suo potere di fissare unilateralmente i canoni ad un'aliquota uniforme nei confronti di tutti i concessionari e, infine, della posizione di forza che le deriva dalla sua condizione giuridica e dal suo peso economico nelle contrattazioni, condotte sito per sito, riguardanti i prezzi ai quali essa acquista il carbone estratto in regime di concessioni con obbligo di fornitura.

110

Queste constatazioni giustificano a sufficienza la ricevibilità dei due primi motivi della ricorrente, in quanto tendenti a ottenere dal Tribunale la verifica della valutazione, da parte della Commissione, dello stato risultante da fatti o circostanze economiche in considerazione del quale è stata presa la decisione impugnata.

111

Nell'esercizio di tale controllo, il Tribunale dovrà limitarsi a verificare se la decisione impugnata sia manifestamente ingiustificata, in considerazione delle condizioni stabilite dal Trattato e di una valutazione complessiva della situazione economica, tenendo presente che il termine palese presuppone una violazione delle disposizioni di legge di gravità tale da farla apparire derivante da un errore evidente verificatosi in sede di valutazione, alla luce delle disposizioni del Trattato, dello stato in considerazione del quale è stata presa la decisione (sentenze Paesi Bassi/Alta Autorità, già citata, pag. 226, e Valsabbia/Commissione, già citata, punto 72).

112

Ne discende che, contrariamente a quanto dedotto dalla Commissione, i limiti in tal modo apposti al sindacato giurisdizionale non comportano assolutamente l'incompetenza del Tribunale a pronunciarsi sulla legittimità della decisione.

113

Dai ragionamenti sin qui svolti discende che occorre respingere l'eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione avverso i motivi d'annullamento dedotti dalla ricorrente.

Sulla ricevibilità dei motivi d'annullamento sollevati in relazione ai prezzi d'acquisto della British Coal

114

Come desumibile dai precedenti ragionamenti, la ricorrente ha limitato le sue pretese all'importo del canone imposto dalla British Coal.

115

II Tribunale ricorda infatti che la ricorrente ha rinunciato ai capi di conclusioni decimo e undicesimo del suo ricorso (v. il precedente punto 86).

116

Peraltro, i capi di conclusioni secondo, settimo e nono sono irricevibili (v. il precedente punto 93), mentre il terzo e il sesto costituiscono in realtà motivi di annullamento (v. il precedente punto 89).

117

Occorre pertanto dichiarare irricevibili i cinque motivi di annullamento sollevati in relazione ai prezzi d'acquisto della British Coal, dato che essi non sono più oggetto di rituali domande.

Nel merito

Sull'oggetto residuo della controversia

118

Occorre ricordare che la NALOO ha rinunciato in pendenza di giudizio ai capi di conclusioni miranti all'annullamento della decisione impugnata, in quanto essa non ha accertato l'illiceità che avrebbe dovuto viziare i canoni riscossi dalla British Coal anteriormente al 1° aprile 1990 (v. il precedente punto 86).

119

Per di più, in sede di replica (punto 60) la ricorrente osserva che essa «desidera concentrare la sua analisi sul problema essenziale ancora aperto nell'ambito del presente ricorso, vale a dire se la Commissione abbia avuto ragione nel ritenere che un canone di importo pari a 5,50 o 6 UKL/t sia lecito in qualsiasi caso».

120

II Tribunale ricorda che il 15 giugno 1994, dopo la presentazione del ricorso, la ricorrente ha inoltrato presso la Commissione una nuova denuncia, chiedendo la verifica, alla luce degli artt. 4, lett. d), 65 e 66, n. 7, del Trattato, dei canoni riscossi dalla British Coal nel periodo 1° gennaio 1973-31 marzo 1990.

121

Ne discende che il ricorso continua ad avere ad oggetto l'annullamento della decisione impugnata per la parte in cui essa dà atto che l'aliquota di canone pari a 5,50 o 6 UKL/t, riscossa dalla British Coal dal 1° aprile 1990, non è incompatibile con le disposizioni del Trattato chiamate in causa.

122

Il Tribunale ritiene opportuno esaminare anzitutto i primi due motivi, fondati sull'inosservanza palese delle disposizioni del Trattato, prima di procedere alla verifica del rispetto delle norme procedurali, del carattere sufficiente della motivazione e dell'assenza di uno sviamento di potere, che costituiscano rispettivamente oggetto dei tre ultimi motivi.

1. Sul primo motivo fondato sulla violazione dell'art. 66, n. 7, del Trattato

Argomenti delle parti

123

La ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe commesso errori manifesti di fatto e di diritto, ritenendo lecito un canone pari a 5,50 o 6 UKL/t, mentre la ricorrente avrebbe dimostrato che tale aliquota rimane eccessiva, in quanto impedirebbe ai suoi membri di ottenere utili ragionevoli e imporrebbe loro un pesante svantaggio concorrenziale in rapporto alla British Coal.

124

La relazione Binder Hamlyn esaminerebbe il quinquennio compiutosi il 31 marzo 1991 tenendo conto, in primo luogo, di un'analisi fondata sui costi di esercizio della British Coal, in secondo luogo, del metodo che la British Coal intende applicare e, in terzo luogo, del metodo utilizzato dalla decisione impugnata, fondato sugli utili di esercizio della British Coal.

125

La ricorrente osserva che la relazione Binder Hamlyn espone «i risultati di una perizia contabile condotta in base sia ai conti annuali della British Coal, sia ai dati contabili che la Binder Hamlyn si è procurata presso alcuni membri dell'associazione ricorrente», e il suo scopo è di «provare alla Commissione che, considerato da un normale punto di vista contabile, il canone imposto attualmente dalla British Coal sarebbe eccessivo», a prescindere dal metodo utilizzato.

126

Applicando il primo metodo, gli autori della relazione sarebbero giunti alla conclusione che, in considerazione delle spese di riscossione del canone valutate dalla British Coal come pari a 1 UKL/t e di un normale margine di utile del 37%, 1,37 UKL/t costituirebbe un canone di livello ragionevole. Orbene, secondo la tabella contenuta nel punto 4.7 della relazione Binder Hamlyn, il canone di 5,50 o 6 UKL/t, riscosso dalla British Coal durante l'esercizio chiuso il 31 marzo 1991, avrebbe fruttato a quest'ultima utili valutati pai'i al. 400% dei suoi costi.

127

Il secondo metodo consisterebbe nel calcolare il costo medio di esercizio della British Coal, nell'assimilarlo ai costi dei concessionari, nell'aggiungere un margine ragionevole per il settore in regime di concessione, nel prendere il prezzo di vendita finale del carbone prodotto da questo medesimo settore e, infine, nell'attri-buire al canone il valore dello scarto tra i costi dei concessionari, accresciuti del loro margine, da un lato, e il prezzo di vendita finale, dall'altro.

128

Orbene, secondo questo metodo si dovrebbe ritenere che i membri della ricorrente aggiungano un margine pari solo al 5-6%, mentre esso dovrebbe essere di gran lunga superiore, dati i rischi di gestione elevatissimi e il valore aggiunto derivante dal loro lavoro. Per di più, il prezzo di vendita del carbone preso come riferimento sarebbe del tutto artificioso: se lo si pone in rapporto al valore di 130 p/GJ offerto dalla British Coal, il canone dovrebbe essere negativo, tenuto conto dei costi medi di esercizio, superiori a 135 p/GJ, degli impianti di estrazione a cielo aperto in regime di concessione.

129

Infine, in base ai criteri definiti nel punto 72 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe stimato lecito il canone di 5,50 o 6 UKL/t, determinando i costi di produzione dei concessionari, paragonandoli ai ricavi provenienti dal carbone fornito e sottraendo il canone dalla differenza tra costi e ricavi, al fine di stabilire se il risultato di tale calcolo permettesse al concessionario di realizzare un utile e non gli imponesse svantaggi concorrenziali significativi in rapporto alla British Coal.

130

Secondo la ricorrente, benché dal punto 72 della decisione impugnata discenda in modo chiaro che il criterio è costituito dai costi e dal margine di utile del concessionario, nel punto 74 della medesima decisione la Commissione avrebbe nondimeno applicato questo criterio, utilizzando i costi della British Coal, e ciò pur avendo essa stessa riconosciuto che i costi sostenuti dalla British Coal e dal settore operante in regime di concessione sono strutturati differentemente.

131

Dall'allegato G alla denuncia del 29 marzo 1990 discenderebbe che i costi di esercizio delle imprese minerarie a cielo aperto in regime di concessione sarebbero superiori di almeno il 20% a quelli dei siti a cielo aperto della British Coal, di modo che la riduzione del canone a 5,50 o 6 UKL/t non sarebbe stata sufficiente a ridurre il danno rilevante che i produttori concessionari avrebbero subito in termini di concorrenza.

132

Nella lettera datata 28 agosto 1990 da essa indirizzata alla rappresentanza permanente del Regno Unito, la Commissione avrebbe ritenuto che il canone pari a 7 UKL/t allora riscosso sembrasse comunque troppo alto. La ricorrente si chiede pertanto come la Commissione abbia potuto pensare che una riduzione lieve dell'importo del canone avrebbe eliminato l'effetto anticoncorrenziale, malgrado le numerose prove in senso contrario prodotte dalla ricorrente.

133

Secondo la Commissione, sostenuta sostanzialmente dalla British Coal, la ricorrente ammetterebbe implicitamente che la riscossione di un canone da parte della British Coal è legittima e che a situazioni diverse possono corrispondere canoni diversi. Per verificare se il canone controverso fosse contrario agli scopi del Trattato, la Commissione avrebbe applicato, al punto 72 della decisione impugnata, un criterio fondato sulla ragionevolezza o sulla proporzionalità di un'aliquota di canone pari a 5,50 o 6 UKL/t (v. sentenza della Corte 13 luglio 1989, causa 395/87, Tournier, Race. pag. 2521).

134

La Commissione sostiene di aver valutato a tal fine se, a partire dal 1° aprile 1990 e alla luce dell'offerta della British Coal, i membri della ricorrente godessero di prezzi paragonabili a quelli della British Coal e di un accesso al mercato del carbone destinato alla produzione di energia elettrica simile a quello di quest'ultima, dietro versamento di canoni ragionevoli.

135

Le nuove condizioni avrebbero comportato, per i membri della ricorrente, un aumento superiore al 20% del margine ricavato sulle vendite alle imprese di produzione di energia elettrica, in rapporto al loro precedente fatturato lordo. In assenza di qualsiasi dato concreto relativo ai costi effettivi di produzione di una qualsiasi delle imprese membri della ricorrente, il quale indicasse che il divario risultante da tali costi avrebbe posto queste ultime in una situazione concorrenziale sfavorevole, la Commissione non avrebbe avuto a disposizione nessun elemento tale da dimostrare l'irragionevolezza delle sue conclusioni.

136

Per valutare la compatibilità dell'offerta della British Coal con l'art. 66, n. 7, del Trattato, la Commissione avrebbe segnatamente preso in considerazione l'obbligo giuridico della British Coal di vigilare sulle disponibilità di carbone in modo tale da garantire l'interesse pubblico, il suo diritto di proprietà sul carbone e le dichiarazioni formulate dalla ricorrente nelle sue lettere datate 13 maggio 1988 e 25 maggio 1990, secondo le quali importi pari, rispettivamente, a 11 UKL/t e a 6 UKL/t corrispondevano a livelli accettabili di canone.

137

La relazione Binder Hamlyn non sarebbe stata redatta in base a dati contabili raccolti presso alcuni membri della NALOO, ma costituirebbe l'illustrazione di tre estrapolazioni ipotetiche sviluppate a partire dai conti pubblicati dalla British Coal. Questa relazione non avrebbe preso in considerazione il duplice obiettivo del canone, vale a dire la copertura dei costi amministrativi connessi al rilascio della concessione e alla riscossione del canone, da un lato, e la remunerazione del diritto di proprietà della British Coal, dall'altro.

138

La relazione conterrebbe taluni adattamenti, tutti miranti a corroborare gli argomenti dei membri della NALOO, senza indicare il fondamento materiale o statistico di detti adattamenti. Gli elementi di prova sui quali si basa la relazione sarebbero inoltre anteriori al periodo tenuto presente nella decisione impugnata.

139

La Commissione osserva che, benché essa abbia dato delle differenze di scala tra le attività della British Coal e quelle dei membri della NALOO, essa non avrebbe ammesso in particolare che i costi di esercizio degli impianti minerari a ciclo aperto gestiti in regime di concessione fossero superiori del 20% a quelli della British Coal. Infatti, da un lato, essa non avrebbe avuto a disposizione nessuna indicazione relativa ai costi dei membri stessi della NALOO. Dall'altro, certi elementi avrebbero suggerito che gli interessati avevano continuato a conseguire utili, pur corrispondendo al tempo stesso canoni secondo aliquote che potevano elevarsi sino a 16 UKL/t. A tal proposito la Commissione rileva che la produzione in regime di concessione è progredita costantemente da un anno all'altro.

140

Essa sottolinea che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la British Coal e gli impianti minerari in regime di concessione non sarebbero in concorrenza per le medesime riserve, dato che la British Coal non si interessa ai giacimenti di piccole dimensioni. La British Coal e le piccole imprese minerarie avrebbero modalità di gestione diverse, come avrebbe ammesso la stessa ricorrente nel punto 10 della sua denuncia del 29 marzo 1990.

141

Qualsiasi economia di scala risultante dal volume superiore delle attività della British Coal sarebbe più che compensata dal fatto che gli impianti minerari a cielo aperto in regime di concessione coltivano giacimenti poco profondi, per i quali la quantità di strato di copertura da rimuovere per ogni tonnellata di carbone estratta è notevolmente più ridotta. La situazione degli impianti minerari in regime di concessione sarebbe mutata a seguito del Coal Industry Act 1990, che ha decuplicato il limite massimo delle riserve che si possono adesso gestire. La capacità riconosciuta ai membri della NALOO in rapporto alla coltivazione dei giacimenti dovrebbe riflettersi nella percentuale di recupero del carbone, particolarità trascurata dalla relazione Binder Hamlyn, la quale considera esclusivamente la situazione anteriore al 1° aprile 1990.

142

La British Coal aggiunge che l'aspetto più interessante della relazione consisterebbe nel ricorso a margini di approssimazione per il calcolo dei costi dei concessionari, mentre i dati relativi ai loro costi effettivi sarebbero dovuti essere a disposizione della NALOO, così come, indubbiamente, degli autori della relazione Binder Hamlyn. La British Coal ritiene inverosimile che i dati effettivi riguardanti i costi sostenuti dai concessionari non siano stati messi a disposizione della Commissione se essi corroboravano la denuncia della NALOO; e che la NALOO abbia invece preferito ricavare dai conti pubblicati dalla British Coal deduzioni ed estrapolazioni artificiose e inesatte.

143

La British Coal sottolinea che non ci sono motivi per ritenere che i costi fissi per tonnellata dei concessionari siano sensibilmente superiori a quelli da essa sostenuti. Non sarebbe dimostrato che i concessionari debbano sostenere, per l'acquisizione dei siti, spese superiori a quelle della British Coal. La circostanza che il quantitativo di carbone per ettaro estratto dai siti in regime di concessione sia inferiore a quello dei siti della British Coal non implicherebbe necessariamente un aumento dei costi, dato che il fattore principale è costituito dal rapporto strato di copertura/carbone estratto, sia per la British Coal sia per i produttori concessionari.

144

La British Coal rileva parimenti che i suoi costi sono nettamente superiori a quelli degli impianti minerari in regime di concessione, comprendendo i costi relativi al lavaggio, alla formazione di miscele e alla sorveglianza sull'esecuzione dei contratti. Le sue spese generali comprenderebbero inoltre talune partecipazioni alle spese generali di estrazione in profondità e diverse voci di spesa non sostenute dai produttori concessionari.

145

Il primo metodo tenuto presente dalla relazione Binder Hamlyn, quella dei costi aumentati della British Coal, ignorerebbe il fatto che il carbone prodotto in regime di concessione costituisce una voce dell'attivo della British Coal. Inoltre, la presa in considerazione di quote di utili pari al 37% sarebbe arbitraria e fondata sul confronto tra i costi di esercizio e i prezzi di vendita per un anno. Non sarebbe fornita nessuna spiegazione logica in merito alle ragioni per le quali si dovrebbe applicare detto margine ai costi di gestione per determinare l'aliquota di canone. Soprattutto, tale metodo utilizzerebbe ipotesi del tutto infondate per quanto concerne i costi della British Coal.

146

La relazione Binder Hamlyn criticherebbe certe incongruenze nei metodi di calcolo della British Coal e, segnatamente, il suo asserito difetto di informazioni relative ai produttori concessionari. Orbene, persino in sede di analisi di queste incongruenze essa non farebbe uso dei dati effettivi dei produttori concessionari, ma presenterebbe al loro posto alcune «ipotesi ragionevoli».

147

Infine, il metodo fondato sugli utili di esercizio della British Coal consisterebbe nel tentativo di adeguare tali utili «ai diversi prezzi che possono essere ottenuti dai concessionari e poi ai diversi costi che i medesimi devono sostenere». Orbene, la relazione si baserebbe su un divario nei costi, anch'esso arbitrario, pari al 15%.

148

La ricorrente ribatte, affermando di non comprendere la rilevanza dell'esame degli obblighi giuridici della British Coal, poiché nessuna disposizione di legge permetterebbe a quest'ultima di abusare della sua posizione dominante nei riguardi dei produttori concessionari. La Commissione non spiegherebbe nemmeno per quale ragione essa faccia richiamo ai diritti di proprietà della British Coal sui giacimenti di carbone, né quale incidenza ciò possa avere sull'importo adeguato del canone.

149

La British Coal avrebbe tradizionalmente imposto il più alto importo possibile di canone, che sarebbe stato ridotto solo a seguito di azioni in giudizio o di indagini delle autorità. Sarebbe impossibile affermare che la NALOO abbia ammesso che un qualsiasi canone apparisse ragionevole: una simile accettazione in via provvisoria sarebbe stata condizionata alla realizzazione di altri presupposti, rimasti insoddisfatti.

150

Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, gli autori della relazione Binder Hamlyn avrebbero tenuto presente un divario tra i costi sostenuti dalla British Coal, da un lato, e dai concessionari, dall'altro, di misura pari non al 20%, bensì al 15%, e la relazione terrebbe conto del diritto di proprietà della British Coal e delle spese amministrative e di funzionamento del sistema delle concessioni.

151

Contestando alla relazione Binder Hamlyn il fatto di fondarsi sui costi della British Coal e non su quelli della NALOO, la Commissione agirebbe in modo non solo illogico ma anche incoerente, dato che per tutta la durata dell'indagine la struttura dei costi della British Coal è stata assunta come valore di riferimento.

152

La Commissione non avrebbe mai domandato alla ricorrente di comunicarle i propri costi, cosa comprensibile per tutta una serie di motivi.

153

Infatti, per determinare un'aliquota unica di canone, ragionevole per tutti, la sola procedura sensata sarebbe stata quella di partire dai costi del più grande produttore del settore, vale a dire la British Coal. Per di più la British Coal si fonderebbe sui propri costi per calcolare il canone, benché essa sia in possesso dei particolari relativi ai costi del settore in regime di concessione, avendo l'incarico di amministrare il sistema delle concessioni con obbligo di fornitura, le quali impongono ai loro titolari di fornirle informazioni riguardanti i loro costi. La decisione impugnata utilizzerebbe essa stessa la British Coal come punto di riferimento per la determinazione della liceità del canone.

154

La Commissione non avrebbe mai lamentato l'inadeguatezza del metodo consistente nell'assumere come punto di partenza i costi della British Coal e nel calcolare la differenza tra i costi di esercizio dei siti a cielo aperto, rispettivamente, della British Coal e dei concessionari. Se in un qualsiasi momento la Commissione avesse giudicato inesatto il metodo adottato sia dalla ricorrente sia da essa stessa, sarebbe inspiegabile che essa ne abbia ribadito la validità per tutta la durata del procedimento e non abbia chiesto alla ricorrente di fornire informazioni sui costi riguardanti i suoi membri, per stabilire un punto di riferimento che consentisse di determinare la ragionevolezza del canone.

155

Infine, i costi di estrazione imputati alla British Coal sarebbero espressione di una situazione estremamente concorrenziale, in quanto detto ente, parallelamente ai contratti in concessione, fa ricorso al regime delle concessioni di sfruttamento rilasciate a privati.

156

Viceversa, i costi dei membri della ricorrente, i quali non rappresentano la totalità dei concessionari di imprese minerarie del Regno Unito, non rifletterebbero necessariamente quelli di tutto il settore. Poiché i concessionari esercitano numerose attività, sarebbe impossibile ottenere costi medi affidabili, dato che ogni società suddivide le spese in modo diverso e che si sarebbe sempre accettata l'idea che fosse impossibile per la NALOO ottenere dati affidabili e significativi in materia di costi, che riguardassero tutto il settore in regime di concessione. Anche ammettendo che ciò fosse possibile, la raccolta di tali informazioni avrebbe comportato tempi considerevoli, costi elevatissimi e la necessaria cooperazione di tutti i produttori concessionari del Regno Unito. All'atto di presentare il, sarebbe stato evidente sia per la ricorrente sia per la Commissione che, tenuto conto delle esigenze connesse al rispetto dei termini, era impossibile lanciarsi in una simile impresa.

157

Infine, la ricorrente avrebbe comunque individuato e calcolato la differenza tra i suoi costi e quelli della British Coal. Alcuni esperti avrebbero effettuato questa operazione, mai messa in dubbio dalla Commissione. Il fatto che quest'ultima consacri una parte del suo controricorso all'analisi della differenza tra i costi del settore in regime di concessione e quelli della British Coal proverebbe che ciò è stato alla base delle discussioni tra le parti per tutta la durata dell'indagine.

158

La relazione Binder Hamlyn sarebbe più aggiornata dei dati tenuti presenti dalla decisione impugnata: mentre la Commissione ha utilizzato dati anteriori al 1° aprile 1990, facendo riferimento alla British Coal, che ignorano le spese specifiche dei concessionari, la ricorrente si sarebbe basata anch'essa su dati anteriori al 1° aprile 1990, fondati sui conti diffusi della British Coal, ma adattati al fine di tener conto delle spese specifiche dei concessionari.

159

L'argomento della Commissione, secondo il quale la British Coal e il settore in regime di concessione non sarebbero in concorrenza per i medesimi giacimenti, sarebbe incomprensibile: la documentazione prodotta dalla NALOO dimostrerebbe con chiarezza che la British Coal nega il rilascio delle concessioni sui giacimenti che le interessano e la stessa British Coal avrebbe formulato alcune dichiarazioni in tal senso.

160

La Commissione non avrebbe capito il rapporto esistente tra i costi e la profondità del banco carbonifero: il fatto che il concessionario possa coltivare solo siti poco profondi costituirebbe un'ulteriore restrizione e non un vantaggio. Di conse guenza, il sistema costituirebbe un ostacolo per i concessionari e restringerebbe le loro possibilità di ripartizione dei costi fissi. Il limite quantitativo di 250000 tonnellate rappresenterebbe sempre e comunque una grave restrizione alla concorrenza tra la British Coal e il settore in regime di concessione, circostanza che la Commissione avrebbe riconosciuto, almeno all'inizio dell'indagine.

161

In merito alla redditività, la relazione Binder Hamlyn avrebbe tenuto conto, nella sua analisi del canone, dell'aumento della dimensione dei siti attribuibili ai concessionari in applicazione del Coal Industry Act 1990.

162

Inoltre, gli esercenti privati sarebbero svantaggiati in modo palese, in quanto la British Coal non paga canoni e ottiene dai produttori di energia elettrica un prezzo del carbone superiore del 12% a quello dei concessionari.

163

La NALOO sottolinea che le statistiche del settore in regime di concessione non dimostrano assolutamente che quest'ultimo abbia prosperato. La questione consisterebbe comunque nell'accertare non se i concessionari abbiano continuato ad esercitare la loro attività o abbiano migliorato la loro posizione durante un certo periodo, bensì se la loro situazione sarebbe stata ancora migliore e se la loro produzione avrebbe raggiunto livelli più elevati qualora l'importo del canone fosse stato, sin dall'origine, più basso e corretto.

164

All'argomento della British Coal, secondo il quale la relazione Binder Hamlyn non terrebbe conto della differenza dei costi di esercizio inizialmente valutata dalla ricorrente come pari al 20%, la NALOO obietta che i revisori dei conti avevano ricevuto espressa istruzione di adottare al riguardo un'ipotesi riduttiva e prudente, per rafforzare le conclusioni della relazione.

Giudizio del Tribunale

165

II Tribunale preliminarmente ricorda che, secondo la decisione impugnata, l'aumento a 157 p/GJ dei prezzi pagati dai produttori di energia elettrica ai concessionari e l'abbassamento del canone da 11 UKL/t a 5,50 o 6 UKL/t, verificatosi a partire dal 1 o aprile 1990, erano tali da migliorare considerevolmente i margini lordi di utile dei concessionari di impianti minerari a cielo aperto.

166

Alla luce di ciò, la Commissione ha ritenuto che, in considerazione dell'utile che la British Coal aveva ricavato dalla coltivazione dei suoi siti a cielo aperto durante l'esercizio 1989/1990 con un reddito non contestato di 160 p/GJ, la nuova aliquota di canone non fosse contraria all'art. 66, n. 7, del Trattato, benché esistessero differenze riguardanti, in particolare, la dimensione rispettiva dei siti a cielo aperto della British Coal e delle imprese operanti in regime di concessione.

167

In base all'analisi dei costi di esercizio dei siti a cielo aperto in regime di concessione, presentata nell'allegato G della sua denuncia del 29 marzo 1990 ed elaborata facendo riferimento ai conti pubblicati dalla British Coal per il 1988/1989, la ricorrente ha tratto la conclusione che il canone di 11 UKL/t fosse di 8,50 UKL/t (34 p/GJ) troppo elevato e che il prezzo di 120 p/GJ allora offerto dai produttori di energia elettrica fosse di 8,50 UKL/t (34 p/GJ) troppo basso.

168

La ricorrente mirava pertanto, con il suo, a ottenere per i suoi membri un miglioramento complessivo, pari a 68 p/GJ, delle condizioni di sfruttamento esistenti durante l'esercizio 1988/1989.

169

Orbene, da un lato, i prezzi pagati dai concessionari ai produttori di energia elettrica sono stati elevati a 157 p/GJ, a partire dal 1° aprile 1990, e sono stati pertanto aumentati di 37 p/GJ in rapporto al vecchio prezzo ricordato di 120 p/GJ. Dall'altro, il canone di 11 UKL/t (44 p/GJ) è stato abbassato a 5,50 o 6 UKL/t (24 p/GJ), a partire dalla stessa data, il che equivale a una riduzione di circa 20 p/GJ.

170

Ne discende che la ricorrente ha ottenuto in definitiva un miglioramento complessivo delle condizioni di sfruttamento dei siti a cielo aperto coltivati in regime di concessione dai suoi membri, pari a circa 57 p/GJ.

171

Per di più, come rilevato dalla Commissione nella decisione impugnata (punto 53) senza che la ricorrente sollevasse obiezioni in proposito, con l'accordo di fornitura sono stati stabiliti per la British Coal prezzi inferiori a quelli che essa otteneva in precedenza dai produttori di energia elettrica, circostanza che ha comportato pertanto un correlato miglioramento della situazione degli impianti a cielo aperto operanti in regime di concessione.

172

Alla luce di ciò, non sembra che lo scarto di circa 11 p/GJ (68 p/GJ -57 p/GJ) esistente fra i risultati complessivi ottenuti in definitiva dalla ricorrente (37 p/GJ + 20 p/GJ), e lo scopo che essa si era prefissato (34 p/GJ +34 p/GJ) nell'allegato G alla sua denuncia sia, di per sé, tale da consentire a questo Tribunale di giudicare in prima battuta che la Commissione, adottando la decisione impugnata, abbia ignorato in modo palese l'art. 66, n. 7, del Trattato.

173

Occorre tuttavia esaminare se gli elementi di prova prodotti e gli argomenti dedotti dalla ricorrente permettano di inficiare la conclusione provvisoria cui esso è giunto.

174

Il Tribunale rileva a tal riguardo che i tre metodi di calcolo del canone utilizzati dalla ricorrente, al fine di dimostrare l'eccessività dell'aliquota di canone controversa e di contestare la legittimità della decisione impugnata, sono fondati su statistiche della British Coal risalenti agli esercizi precedenti quello 1990/1991, conclusosi il 31 marzo 1991.

175

Per quanto concerne il primo metodo, gli autori della relazione Binder Hamlyn affermano nel punto 4.5 della medesima di essersi basati sui costi di gestione della British Coal relativi all'esercizio 1989/1990.

176

Riguardo al secondo metodo, la relazione (punto 5.14) rileva che, «non essendo ancora disponibili le informazioni concernenti l'esercizio 1990/1991, si è ipotizzato che i costi fossero i medesimi di quelli dell'esercizio 1989/1990, considerato che, durante i quattro esercizi precedenti, i dati erano rimasti simili».

177

Quanto al terzo metodo, la relazione Binder Hamlyn ipotizza parimenti che l'utile di esercizio della British Coal, pari a 13,34 UKL/t, sia rimasto costante negli esercizi 1989/1990 e 1990/1991.

178

Tuttavia, per dimostrare l'eccessività dell'aliquota di canone di 5,50 o 6 UKL/t riscossa dalla British Coal a partire dal 1° aprile 1990, la ricorrente non può validamente fondarsi sui dati concernenti l'esercizio 1990/1991, ricavati per mera estrapolazione dai risultati di gestione dei siti a cielo aperto della British Coal registrati durante l'esercizio precedente, conclusosi il 31 marzo 1990.

179

Dalla citata lettera della ricorrente alla Commissione, datata 6 dicembre 1991, discende infatti che i risultati di gestione dei siti a cielo aperto della British Coal registrati durante l'esercizio 1990/1991 sono sensibilmente diversi da quelli dell'esercizio precedente, poiché l'utile d'esercizio dei suoi siti diminuisce da 13,34 UKL/t a 8,86 UKL/t, a causa segnatamente dell'aumento dei loro costi di esercizio.

180

Inoltre, lungi dal produrre i costi di esercizio effettivi dei suoi membri, per dimostrare l'eccessività del canone, nella sua replica (punto 25) la ricorrente ha osservato di non possedere dati affidabili e significativi in materia di costi, che facessero riferimento all'intero settore in regime di concessione.

181

Essa ha parimenti precisato di non disporre di dati affidabili relativi ai costi di esercizio medi da parte delle singole imprese di estrazione concessionarie, poiché queste ultime svolgono numerose attività, segnatamente nei settori del genio civile, dei trasporti e delle aziende agricole, e che ognuna di esse suddivide le proprie spese in modo differente, mentre l'unica impresa «pura» di sfruttamento di impianti minerari a cielo aperto nel Regno Unito è la British Coal.

182

Per di più, nell'allegato G alla sua denuncia del 29 marzo 1990 la ricorrente ha rilevato che i costi di esercizio di ciascun sito sono diversi da quelli di qualsiasi altro sito e che, di conseguenza, i costi medi di un produttore sono diversi dai costi di qualsiasi altro produttore.

183

Ne discende che, in mancanza di termini di paragone tali da giustificare il suo convincimento, ancor meno il Tribunale può basarsi sullo scarto ipotizzato dalla ricorrente tra i costi di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal, da un lato, e dei siti dei concessionari, dall'altro, dato che essa quantifica in sede di denuncia detto scarto nel 20%, e poi lo abbassa al 15% nella relazione Binder Hamlyn, senza nessun'altra giustificazione che non sia l'espressa istruzione impartita ai revisori dei conti di adottare un'ipotesi riduttiva e prudente, per rafforzare le conclusioni della loro relazione.

184

Inoltre, come notato dalla ricorrente in sede di ricorso (punto 3.9), la maggioranza degli impianti minerari in regime di concessione sono poco profondi e utilizzano gallerie di accesso che conducono direttamente ai giacimenti, al fine di ridurre gli investimenti e le spese di funzionamento. Persino nella sua denuncia del 29 marzo 1990 (punto 10), la ricorrente ha sottolineato che i suoi membri riescono a localizzare siti di sfruttamento che consentono di abbassare a meno di 18 a 1 la quantità di strato di copertura da rimuovere in rapporto al carbone da estrarre. Orbene, secondo il parere della stessa ricorrente, lo strato di copertura costituisce il principale costo diretto variabile degli impianti minerari a cielo aperto.

185

Alla luce di ciò, appare evidente che la relazione contabile tendente a dimostrare l'eccessività dell'aliquota di canone controversa non è stata elaborata in base ai conti della British Coal riguardanti l'esercizio 1990/1991, né in base ai dati contabili ottenuti dai membri della NALOO.

186

Pertanto, il Tribunale non può aderire all'allegazione della ricorrente precedentemente riportata, secondo la quale la relazione Binder Hamlyn dimostrerebbe l'eccessività del canone, a prescindere dal metodo utilizzato, a partire dalla «perizia contabile condotta sulla base dei conti annuali della British Coal, nonché dei dati contabili ottenuti dai membri dell'associazione ricorrente».

187

II Tribunale non può, in particolare, stimare sufficientemente probante il primo metodo di calcolo suggerito dalla ricorrente e fondato sull'applicazione, al costo rappresentato dalla riscossione del canone, del margine di utile dei siti a cielo aperto della British Coal.

188

In primo luogo, la ricorrente non può giustificare i dati riguardanti l'esercizio 1990/1991, ottenuti grazie a una pura e semplice estrapolazione a partire dal margine di utile del 37% dei siti a cielo aperto della British Coal, calcolato dalla ricorrente per l'esercizio 1989/1990, quando i risultati di gestione di detti siti sono mutati da un esercizio all'altro, come precedentemente constatato.

189

In secondo luogo, anche ammettendo che il margine di utile dei siti a cielo aperto della British Coal sia stato pari al 37% durante l'esercizio 1990/1991, la ricorrente non fornisce nessuna spiegazione che consenta di giustificare l'applicazione di questo stesso margine di utile al costo sostenuto dalla British Coal per riscuotere il canone.

190

In terzo luogo, il primo metodo proposto dalla ricorrente non tiene conto, in particolare, né delle spese generali che la British Coal sostiene necessariamente per l'estrazione del carbone in profondità, che pure rappresenta la parte essenziale della produzione della British Coal, né degli oneri ad essa imposti dalla legge in vista dei compiti che deve svolgere quale servizio pubblico e che i concessionari non devono sostenere.

191

Infine, non sembra che il metodo suggerito tenga conto,, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente in sede di replica (punto 23), del dato relativo alla remunerazione del diritto di proprietà della British Coal sul carbone, di cui il canone costituisce parimenti la contropartita e che la ricorrente non ha contestato in linea di principio.

192

II Tribunale non può nemmeno considerare dimostrate le conclusioni cui giunge la ricorrente utilizzando il secondo metodo di calcolo, vale a dire quello che la British Coal sostiene di utilizzare.

193

Da un lato, la tabella prodotta in allegato alla relazione Binder Hamlyn quantifica indifferentemente in 156 p/GJ i costi di esercizio alla consegna (delivered costs) sostenuti dai concessionari durante i due esercizi 1989/1990 e 1990/1991.

194

Questa stabilità dei costi di esercizio giustifica il dubbio che, nei loro calcoli, gli autori della relazione Binder Hamlyn non abbiano tenuto conto, come invece asserito dalla ricorrente, del fatto che il Coal Industry Act 1990 ha decuplicato la dimensione massima dei siti attribuibili ai concessionari, circostanza che avrebbe dovuto logicamente comportare una variazione dei costi di gestione di questi siti da un esercizio all'altro.

195

Dall'altro, la ricorrente non è stata in grado di corroborare mediante elementi convincenti la sua allegazione secondo la quale, alla luce dei costi di esercizio medi degli impianti di estrazione a cielo aperto in regime di concessione, il secondo metodo di calcolo avrebbe dovuto portare a un canone di importo negativo.

196

A tal proposito, in sede di replica (punto 25), la ricorrente si è dichiarata incapace di produrre dati medi affidabili riguardo ai costi degli impianti minerari in regime di concessione presi in esame sia singolarmente sia nel loro complesso.

197

Per di più, nell'allegato G alla sua denuncia del 29 marzo 1990, essa quantifica in più di 135 p/GJ i costi di esercizio dei concessionari, aumentando del 20% i costi di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal riguardanti l'esercizio 1988/1989, mentre per parte sua la relazione Binder Hamlyn quantifica in 136 p/GJ franco miniera (146 p/GJ alla consegna) i costi di esercizio degli stessi siti, aumentando solo del 15% quelli dei siti a cielo aperto della British Coal riguardanti il medesimo esercizio 1988/1989.

198

Il carattere approssimativo, se non contraddittorio, di tali calcoli non consente pertanto di considerare dimostrate le conclusioni cui la ricorrente si ritiene legittimata a giungere, utilizzando il secondo metodo di calcolo del canone.

199

Infine, il Tribunale ritiene che nemmeno l'argomento che la ricorrente deduce per contestare la fondatezza del terzo metodo, mediante il quale la Commissione avrebbe giudicato ragionevole l'importo di canone controverso, è corroborato da elementi probanti.

200

Al fine di dimostrare che, secondo questo terzo metodo, si dovrebbe giungere alla conclusione che i concessionari non potevano realizzare utili versando un canone di importo pari a 5,50 o 6 UKL/t, la ricorrente rileva che gli autori della relazione Binder Hamlyn hanno tenuto conto dell'utile ponderato per tonnellata ottenuto dai siti a cielo aperto della British Coal, calcolato in base ai prezzi differenti percepiti dai concessionari, nonché ai costi diversi cui questi ultimi devono far fronte.

201

Orbene, una dimostrazione del genere non può risultare convincente, dato che la ricorrente afferma peraltro di essere stata nell'impossibilità di ottenere dati affidabili e significativi sui costi degli impianti minerari in regime di concessione, presi in esame sia singolarmente sia nel loro complesso.

202

Per di più, il divario tra i rispettivi costi di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal e di quelli dei concessionari, quantificato dagli autori della relazione Binder Hamlyn in 17 p/GJ per l'esercizio 1990/1991, non poggia su nessun fondamento materiale verificabile.

203

A tal proposito, gli autori della relazione Binder Hamlyn hanno parimenti quantificato questo presunto divario in 17 p/GJ per l'esercizio 1989/1990. Poiché i costi di gestione dei siti a cielo aperto della British Coal sono stati invariabilmente quantificati in 111 p/GJ per i due esercizi 1989/1990 e 1990/1991, come riportato nell'allegato 1 alla relazione, appare quindi evidente, ancora una volta, che dalla lettura di tale relazione non si evince che i suoi autori abbiano comunque tenuto conto del fatto che, con l'entrata in vigore del Coal Industry Act 1990, e stata decuplicata la dimensione massima degli impianti minerari a cielo aperto che i concessionari sono autorizzati a coltivare.

204

Da tutte le precedenti riflessioni discende che la ricorrente non ha prodotto elementi materiali probanti in grado di corroborare le sue allegazioni.

205

Occorre tuttavia rilevare che, nella sua lettera datata 28 agosto 1990 indirizzata alla rappresentanza permanente del Regno Unito, la Commissione aveva ritenuto comunque troppo alto il canone di 7 UKL/t, allora riscosso dalla British Coal.

206

Detta affermazione tuttavia, formulata dopo tutto a titolo esplorativo, si collocava in un contesto economico in cui il livello dei prezzi pagati ai produttori concessionari dai produttori di energia elettrica era nettamente inferiore a quello al quale tali prezzi sono stati portati a partire dal 1 o aprile 1990.

207

Pertanto, nella decisione impugnata la Commissione ha potuto legittimamente considerare che il canone, abbassato nel frattempo a un importo di 5,50 o 6 UKL/t, non fosse più tanto alto da essere illecito, tenuto conto dell'aumento a 157p/GJ dei prezzi d'acquisto che i produttori di energia elettrica hanno operato a favore dei concessionari con effetto a partire dal 1 o aprile 1990.

208

Peraltro, nella sua lettera datata 13 maggio 1988 indirizzata alla British Coal, la stessa ricorrente ha dichiarato che essa avrebbe riconosciuto la ragionevolezza del canone sugli impianti minerari a cielo aperto, qualora la British Coal lo avesse ridotto da 13,50 UKL/t, importo allora riscosso, ali UKL/t.

209

Contrariamente a quanto allegato dalla ricorrente, da tale lettera non è deducibile che detta acquiescenza, espressa in considerazione di tutte le condizioni esistenti all'epoca, sia stata subordinata alla realizzazione di altri presupposti.

210

Dagli atti e, in particolare, dalle risposte della ricorrente ai quesiti ad essa rivolti dal Tribunale discende che, quando è stata operata la riduzione del canone da 13,50 UKL a 11 UKL/t, i prezzi pagati dai produttori di energia elettrica ai concessionari erano sensibilmente inferiori al livello al quale essi sono stati portati a partire dal 1 o aprile 1990.

211

Per di più, durante il procedimento innanzi alla Commissione la stessa ricorrente ha ammesso che, a causa delle dimensioni della British Coal, poteva considerarsi ragionevole una leggera differenza tra i prezzi offerti a quest'ultima, da un lato, e al settore privato, dall'altro, e che poteva ritenersi giustificata una differenza di prezzo di 5 o persino di 10 p/GJ.

212

Infine, si rileva ininfluente l'argomento che, nella sua lettera datata 6 dicembre 1991, la ricorrente ricava a posteriori dalla caduta dell'utile di gestione della British Coal da 13,34 UKL/t, per l'esercizio chiuso il 31 marzo 1990, a 8,86 UKL/t, per l'esercizio chiuso il 31 marzo 1991.

213

Infatti, oltre al fatto che questi elementi non possono considerarsi comunque probanti, non potendo essere confrontati con risultati di esercizio effettivi degli impianti minerari a cielo aperto in regime di concessione, non è desumibile dagli atti che il fatto che la Commissione abbia avuto a disposizione questi ultimi dati quando ha adottato la decisione impugnata.

214

In definitiva, in assenza di elementi sufficientemente probanti in senso contrario prodotti dalla ricorrente, il divario ancora esistente tra il complesso delle condizioni effettivamente ottenute dalla ricorrente a seguito dell'intervento della Commissione e gli obiettivi che essa si era prefissati nella denuncia — in particolare, nell'allegato G di quest'ultimo — di per sé non consente di concludere che la Commissione abbia violato in modo palese l'art. 66, n. 7, del Trattato, ritenendo che il canone di 5,50 o 6 UKL/t, riscosso dalla British Coal a carico degli impianti minerari a cielo aperto in regime di concessione a partire dal 1 o aprile 1990, non fosse tanto alto da essere contrario a questa disposizione, in considerazione dell'aumento dei prezzi operato dai produttori di energia elettrica a favore dei concessionari, a partire dal 1° aprile 1990, e della diminuzione dei prezzi pagati dai medesimi produttori alla British Coal.

215

Ne discende che il primo motivo deve essere respinto.

2. Sul secondo motivo, fondato sulla violazione degli artt. 4, lett. d), 60 e 65 del Trattato

Argomenti delle parti

216

La ricorrente allega in sostanza che la decisione impugnata avrebbe violato in modo palese gli artt. 4, lett. d), 60 e 65 del Trattato, non applicando tali disposizioni all'aliquota di canone controversa.

— Sulla prima parte del secondo motivo

217

La ricorrente allega, in primo luogo, che l'art. 4, lett. d), del Trattato, il quale proibisce le pratiche restrittive tendenti alla ripartizione o allo sfruttamento dei mercati, enuncerebbe un divieto indipendente dalle altre disposizioni del Trattato. Questo articolo costituirebbe una disposizione fondamentale per l'istituzione del mercato comune e per l'individuazione degli obiettivi comuni della Comunità, da cui discenderebbero le regole in materia di concorrenza di cui agli artt. 60-67 del Trattato.

218

La Commissione, sostenuta in sostanza dalla British Coal, replica di aver vigilato, nella sua decisione impugnata, sul rispetto degli artt. 2, 3 e 4 del Trattato, che ne definiscono i principi fondamentali, e di aver parimenti rispettato la procedura di applicazione di tali principi, quale definita nell'art. 66, n. 7, del Trattato, conformemente alla giurisprudenza (sentenze della Corte 21 giugno 1958, causa 13/57, Wirtschaftsvereinigung Eisen-und Stahlindustrie e a./Alta Autorità, Racc. pag. 251; 10 maggio 1960, cause riunite 27/58, 28/58 e 29/58, Compagnie des Hauts Fourneaux et Fonderies de Givors e a./Alta Autorità, Race. pag. 485, in particolare pag. 498, e 23 febbraio 1961, causa 30/59, De Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg/Alta Autorità, Racc. pag. 1, in particolare pag. 72). Essendo giunta a conclusioni pertinenti alla luce dell'art. 66, n. 7, del Trattato, essa non sarebbe stata obbligata a valutare questi stessi elementi alla luce di altri articoli meno puntuali del Trattato.

— Sulla seconda parte del secondo motivo

219

La ricorrente sostiene, in secondo luogo, che l'art. 60 si applicherebbe alla determinazione da parte della British Coal del canone, la cui riscossione a carico degli impianti minerari a cielo aperto avrebbe influenzato in modo diretto la sua capacità di acquistare carbone prodotto in regime di concessione con obbligo di fornitura. Un canone sulla produzione di carbone inciderebbe direttamente sul prezzo al quale il carbone è venduto dal concessionario. Ad ogni modo, l'art. 60 sarebbe redatto in termini tanto ampi da includere la semplice determinazione di un canone da parte di un produttore dominante come la British Coal.

220

La Commissione e la British Coal obiettano che, alla luce del suo dettato e del diritto derivato adottato sul suo fondamento, l'art. 60 riguarderebbe pratiche in materia di prezzi adottate dai venditori nei confronti degli utilizzatori di carbone. L'art. 60 non si applicherebbe né alle concessioni per l'estrazione, né ai canoni e alle condizioni di pagamento contenuti in dette concessioni. Tali canoni costituirebbero importi versati non dagli acquirenti di carbone, ma da coloro che lo sfruttano a coloro che ne sono proprietari. Il fatto che il canone incida sulla formazione dei prezzi sarebbe irrilevante alla luce dell'art. 60.

221

La British Coal, in qualità di venditore, non praticherebbe comunque nessuna discriminazione tra gli impianti minerari in regime di concessioni soggette a canone, poiché l'aliquota dei canoni percepiti è identica per tutti gli impianti di tal genere.

— Sulla terza parte del secondo motivo

222

La ricorrente osserva che, sebbene la mera esistenza di una clausola che impone il versamento di un canone non costituisca violazione dell'art. 65, la riscossione di un canone eccessivamente alto, in forza di tale clausola, potrebbe costituire una violazione di questo tipo, poiché in tal caso l'accordo l'elativo alla concessione restringerebbe sensibilmente la concorrenza sul mercato. Il fatto che la Commissione abbia concluso che l'art. 66, n. 7, è stato violato, non la dispenserebbe dall'esami-nare le pratiche di fissazione del canone da parte della British Coal alla luce dell'art. 65.

223

La Commissione e la British Coal ribattono che, nelle due lettere datate 15 febbraio e 14 marzo 1991, la ricorrente si sarebbe limitata a far richiamo all'art. 65 del Trattato in merito al regime di rilascio delle concessioni da parte della British Coal, espressamente escluso dalla sfera di applicazione della decisione impugnata. L'art. 65 non sarebbe stato richiamato in relazione al livello del canone.

224

La Commissione avrebbe comunque precisato i motivi a sostegno della decisione impugnata, ai sensi dell'art. 66, n. 7, del Trattato, e non sarebbe stata obbligata a proseguire l'esame di tutte le altre possibili censure.

225

La British Coal aggiunge che il motivo fondato sull'importo eccessivo del canone è stato respinto dalla Commissione sulla base dell'art. 66, n. 7, del Trattato e che la Commissione sarebbe necessariamente giunta alla stessa conclusione ai sensi dell'art. 65. In ogni caso, la Commissione avrebbe eventualmente la facoltà di pronunciarsi richiamandosi all'art. 65 e/o all'art. 66, n. 7, del Trattato, come essa ha fatto ai sensi dell'art. 85 e/o dell'art. 86 del Trattato CE (sentenza della Corte 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffman-La Roche/Commissione, Race. pag. 461, punto 116). Nella fattispecie, l'art. 66, n. 7, sarebbe stato in modo quanto mai evidente la disposizione più pertinente, come ammesso dalla NALOO nel punto 8 della sintesi dei suoi motivi, datata 5 settembre 1990.

Giudizio del Tribunale

226

Dalla sintesi dei suoi argomenti, formulata il 5 settembre 1990 su domanda della Commissione, discende che la ricorrente ha espressamente sottolineato che «l'art. 66, n. 7, disciplinerebbe tutte le infrazioni» alle disposizioni richiamate, di cui la British Coal si sarebbe resa colpevole.

227

Da ciò può dedursi che, avendo in tal modo indotto la Commissione a concentrare la sua indagine e la sua analisi giuridica su quest'ultima disposizione, la ricorrente non può allegare a sostegno della sua domanda d'annullamento che la decisione impugnata, recante rigetto della sua denuncia, non abbia applicato gli artt. 4, lett. d), 60 e 65 del Trattato all'aliquota di canone controversa.

228

Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata, le disposizioni dell'art. 4 del Trattato si applicano autonomamente solo in mancanza di norme più specifiche. Quando esse sono riportate o integrate in altre disposizioni del Trattato, i testi che si riferiscono a una stessa disposizione devono essere considerati nel loro insieme e applicati simultaneamente (v., in particolare, sentenze della Corte 23 aprile 1956, cause riunite 7/54 e 9/54, Groupement des Industries Sidérurgiques Luxembourgeoises/Alta Autorità, Racc. pag. 51; Wirtschaftsvereinigung Eisen-und Stahlindustrie e a./Alta Autorità, già citata; Banks, già citata, punto 11, e Hopkins e a., già citata, punto 16).

229

Dato che l'art. 66, n. 7, del Trattato attua l'art. 4, lett. d) (v. sentenza Banks, già citata, punto 12), occorre quindi ritenere che la decisione impugnata ha applicato simultaneamente queste due disposizioni, pur essendosi fondata espressamente solo sull'art. 66, n. 7, al fine di respingere la denuncia.

230

Per quanto concerne l'art. 60 del Trattato, esso non si applica alle concessioni per l'estrazione del carbone rilasciate dalla British Coal, dato che la collocazione di questa disposizione in seno al capitolo V del Trattato dimostra che esso concerne solo le pratiche sleali e quelle discriminatorie in materia di prezzi dei prodotti.

231

Orbene, la British Coal, in quanto rilascia concessioni per l'estrazione, non può essere considerata un venditore di prodotti (v. sentenza Banks, già citata, punto 13).

232

Per quanto concerne, in particolare, la parte del motivo fondata sull'omessa applicazione dell'art. 65 del Trattato, occorre rilevare che solo in fase di ricorso la ricorrente ha allegato che, «sebbene la mera esistenza di una clausola che impone il versamento di un canone non costituisca violazione dell'art. 65, il fatto di imporre un canone eccessivamente alto in forza di detta clausola può costituire una violazione di tal tipo poiché, in queste circostanze, l'accordo ha un effetto restrittivo significativo sulla concorrenza esistente in questo mercato, il quale è conseguenza diretta della sua attuazione».

233

Infatti, nei suoi atti anteriori, la ricorrente ha fatto richiamo all'art. 65 solo in rapporto o all'accordo di fornitura concluso tra la British Coal e i produttori di energia elettrica, irrilevante per quanto concerne l'oggetto della controversia, o al regime generale delle concessioni per l'estrazione, ma senza citare specificamente l'eventuale illeceità dell'aliquota di canone controversa alla luce di questa disposizione.

234

Ciò posto, in considerazione della ricordata affermazione della ricorrente, secondo la quale l'art. 66, n. 7, del Trattato sarebbe stato applicabile a tutte le pratiche contestate alla British Coal, la ricorrente non può opporre alla Commissione il fatto di non aver statuito sulla liceità dell'aliquota di canone controversa alla luce dell'art. 65 del Trattato.

235

Il Tribunale ricorda peraltro che la Corte ha giudicato che la Commissione poteva instaurare un procedimento per l'accertamento di un'infrazione in base all'art. 85 o all'art. 86 del Trattato CE, in merito a un contratto che imponeva alle controparti di un'impresa in posizione dominante obbligazioni integranti un abuso di posizione dominante tali da poter rientrare ugualmente nella sfera dell'art. 85 e, segnatamente, del suo n. 3 (sentenza Hoffmann-La Roche/Commissione, già citata, punto 116).

236

Occorre parimenti ritenere che nella fattispecie la Commissione aveva facoltà di valutare l'aliquota di canone controversa alla luce del solo art. 66, n. 7, del Trattato, che essa poteva giustamente considerare la disposizione più idonea all'inquadramento del caso di specie.

237

La Commissione era ancor più autorizzata a procedere in modo siffatto, se si pensa che era stata sollecitata espressamente in tal senso dalla ricorrente nella sintesi delle sue richieste datata 5 settembre 1990. A tal proposito, la stessa ricorrente ha affermato in sede di ricorso (punti 4.108 e 4.109) che «la Corte ha ammesso che gli artt. 85 e 86 formano un tutt'uno in seno al Trattato CEE e tendono a raggiungere gli stessi obiettivi» e che «una regola analoga si applica nell'ambito del Trattato CECA, poiché tutte le regole in materia di concorrenza (ivi compresi gli artt. 65 e 66) mirano agli obiettivi definiti nell'art. 4 del Trattato».

238

Per di più la ricorrente, oltre a non aver prodotto i parametri che consentissero di dimostrare l'illiceità dell'aliquota di canone pari a 5,50 o 6 UKL/t alla luce dell'art. 66, n. 7, del Trattato, non ha nemmeno fornito alla Commissione i mezzi che le consentissero di valutare la liceità di questa stessa aliquota di canone nell'ottica dell'art. 65.

239

Dal complesso delle riflessioni qui sviluppate discende che il motivo dedotto dall'inosservanza palese degli artt. 4, lett. d), 60 e 65 del Trattato deve essere respinto.

3. Sul terzo motivo, concernente il procedimento amministrativo

240

La ricorrente articola il terzo motivo in tre parti.

Sulla prima parte del terzo motivo

— Argomenti delle parti

241

La ricorrente sostiene che la Commissione sarebbe obbligata, persino in caso di rigetto di una denuncia, a procedere a un esame completo degli elementi di prova. Dall'allegato G alla denuncia iniziale del 29 marzo 1990 discenderebbe che la Commissione ha disposto di elementi tali da poter quantificare in termini di p/GJ lo scarto, pari ad almeno il 20%, tra i costi di esercizio dei siti della British Coal e quelli dei concessionari di impianti minerari a cielo aperto. Per la Commissione, sin dal deposito della denuncia sarebbe stato evidente che questo scarto costituiva un «problema-chiave» sia in fatto sia in diritto.

242

Orbene, la decisione impugnata ignorerebbe la relazione Binder Hamlyn e non dimostrerebbe assolutamente che la Commissione abbia tenuto conto, come da essa affermato, di tutti i fattori dalla medesima menzionati in sede di controricorso. La Commissione avrebbe pertanto rifiutato di prendere in considerazione le prove pertinenti che le denuncianti le avrebbero sottoposto e che avrebbero dimostrato in modo oggettivo e credibile che la posizione da essa assunta nella sua lettera datata 21 dicembre 1990 era inesatta e insostenibile.

243

La censura che la Commissione ha rivolto in merito alla ricorrente, di aver prodotto tardivamente alcuni elementi di prova, sarebbe ingiustificata e del resto difficile da comprendere, dato che la Commissione continua ad affermare di avere accolto e valutato tali prove.

244

La Commissione e la British Coal obiettano che occorre distinguere le situazioni in cui la Commissione adotta una decisione con la quale si accerta l'illiceità di una pratica restrittiva della concorrenza da quelle in cui essa esercita il suo potere di accogliere o di respingere una denuncia.

245

In quest'ultimo caso, spetterebbe al denunciante enunciare i fatti a sostegno della sua tesi (sentenza del Tribunale 18 settembre 1992, causa T-24/90, Automec/Commissione, Racc. pag. II-2223, punto 79). In particolare, quando la Commissione è competente in via esclusiva ad adottare decisioni ai sensi degli artt. 65 e 66, n. 7, del Trattato, essa avrebbe il dovere di esaminare gli elementi in fatto e in diritto che le siano stati indicati dal denunciante, di decidere se le regole in materia di concorrenza siano state o meno violate (sentenze della Corte 11 ottobre 1983, causa 210/81, Demo-Studio Schmidt/Commissione, Race. pag. 3045, punto 19, e 28 marzo 1985, causa 298/83, CICCE/Commissione, Race. pag. 1105, punto 18) e di pronunciarsi sulla denuncia quando essa sia invitata a farlo, come nel presente caso (sentenza della Corte 25 ottobre 1977, causa 26/76, Metro/Commissione, Racc. pag. 1875).

246

La ricorrente contesterebbe in sostanza gli elementi di fatto sui quali la Commissione si è fondata per concludere in favore della ragionevolezza del canone applicato a partire dal 1 o aprile 1990. La competenza del Tribunale consisterebbe al riguardo nelľesaminare gli elementi di prova sottoposti inizialmente alla Commissione, e nel determinare l'esistenza di fatti in grado di corroborare ragionevolmente la motivazione della Commissione e la sua conclusione.

247

Orbene, la stessa ricorrente avrebbe omesso di comunicare alla Commissione i dati finanziari grezzi relativi agli impianti minerari a cielo aperto in regime di concessione, presi in esame sia singolarmente sia nel loro complesso, mentre essa avrebbe potuto procurarseli agevolmente. La ricorrente avrebbe preferito ricavare dai conti pubblicati dalla British Coal deduzioni ed estrapolazioni artificiose e inesatte.

248

Benché la Commissione non fosse assolutamente obbligata ad esaminare la relazione Binder Hamlyn, presentatale solo quando essa era sul punto di formulare la versione definitiva del progetto di decisione, circostanza che la NALOO non poteva ignorare, essa l'avrebbe non di meno esaminata ed avrebbe ritenuto che essa non contenesse nessuna informazione in grado di modificare le sue conclusioni, cosa di cui essa avrebbe informato la ricorrente.

249

L'argomento della ricorrente sarebbe incoerente, in quanto essa si dice convinta del carattere probante delle prove invocate, rivelando così che sarebbe stato superfluo procedere a qualsiasi indagine ulteriore, mentre essa allega peraltro che il fatto che la Commissione non si sia espressa nel senso dell'illiceità del comportamento della British Coal poteva essere imputabile solo a mancanze indebitamente commesse dall'istituzione, che avrebbe omesso di procedere ad indagini aggiuntive.

— Giudizio del Tribunale

250

La ricorrente, da un lato, asserisce che la Commissione si è rifiutata di prendere in considerazione le informazioni pertinenti e probanti che essa le ha sottoposto e, dall'altro, si dichiara incapace di produrre dati affidabili sui costi di esercizio dei siti in regime di concessione, esaminati sia singolarmente sia nel loro complesso. Alla luce di ciò e del fatto che la stessa ricorrente ha giudicato decisivi dati del genere, le sue dichiarazioni privano di rilevanza il motivo esaminato.

251

Per di più, secondo i punti 4.40 e 4.137 del ricorso e 7 della replica, la Commissione ha comunicato alla ricorrente «di aver giudicato irrilevante la relazione Binder Hamlyn», «che essa non ne avrebbe tenuto conto nella sua decisione definitiva» e che «alla domanda volta ad accertare se la Commissione avesse esaminato le prove, è stato risposto che queste ultime erano irrilevanti».

252

Infine, nella fattispecie la censura si risolve nella contestazione della fondatezza della decisione impugnata. Orbene, così come risulta dall'esame dei due primi motivi, non è emerso che la Commissione abbia ignorato in modo palese le disposizioni del Trattato richiamate.

253

Occorre pertanto respingere la prima parte di questo motivo.

Sulla seconda parte del terzo motivo

— Argomenti delle parti

254

La ricorrente ritiene che la decisione impugnata dovrebbe essere annullata in quanto la Commissione non avrebbe effettuato un'indagine esauriente sui costi di produzione del settore in regime di concessione né, in particolare, avrebbe richiesto delucidazioni sugli elementi di prova ad essa sottoposti a tal proposito, mentre sarebbe stato ammesso sia dalla ricorrente sia dalla stessa Commissione, in sede di decisione impugnata, che questi costi erano decisivi per determinare se l'art. 66, n. 7, del Trattato fosse stato violato.

255

Essa sostiene inoltre che la Commissione non avrebbe ordinato alla British Coal di fornirle elementi che le consentissero di verificare la rilevanza delle prove che le associazioni denuncianti le avevano sottoposto. In particolare, gli elementi di prova contenuti nella relazione Binder Hamlyn non sarebbero mai stati comunicati alla British Coal, la quale avrebbe avuto occasione di presentare le proprie osservazioni solo in pendenza di giudizio.

256

La Commissione respinge la censura di non aver effettuato una vera e propria indagine.

257

La British Coal rileva che l'elemento decisivo mancante non sarebbe stato una testimonianza della British Coal, bensì gli elementi a sostegno della tesi attorea in merito alla situazione finanziaria dei membri della ricorrente, tali da giustificare le allegazioni di quest'ultima. La British Coal non avrebbe mai potuto produrre elementi di prova di questo tipo.

— Giudizio del Tribunale

258

Per giurisprudenza costante (v. sentenza Automec/Commissione, già citata, punto 79), incombe al denunciante portare a conoscenza della Commissione gli elementi in fatto e in diritto a fondamento del.

259

Orbene, la ricorrente, la quale pure avrebbe dovuto disporre di informazioni privilegiate, si è dichiarata nell'impossibilità di produrre costi di esercizio affidabili per gli impianti minerari in regime di concessione, esaminati sia singolarmente sia nel loro complesso.

260

Anche ammettendo, come asserito dalla ricorrente, che la British Coal, avendo l'incarico di amministrare il sistema delle concessioni con obbligo di fornitura, disponesse di informazioni relative ai costi di esercizio di membri della ricorrente, non sembra nella fattispecie che la Commissione avesse l'obbligo di esigere dalla British Coal informazioni di tal genere.

261

E la ricorrente che, al contrario, avrebbe dovuto raccogliere i dati concernenti i costi di esercizio effettivi dei suoi membri che sfruttano impianti minerari carbonieri in regime di concessione soggetta a canone e di fornirli alla Commissione, per permettere a quest'ultima di valutare lo scarto che questi costi potevano eventualmente presentare in rapporto ai costi di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal.

262

In ogni caso, non occorreva trasmettere la relazione Binder Hamlyn alla British Coal.

263

Da un lato, è pacifico che la Commissione ha comunicato alla ricorrente di ritenere irrilevante la relazione Binder Hamlyn.

264

Dall'altro, discende dagli atti che nella sua risposta alla denuncia della ricorrente la British Coal ha rilevato che sarebbe stato forse più opportuno che la ricorrente comunicasse i costi medi per i suoi membri, cosa che avrebbe fornito un dato più esatto rispetto al metodo seguito nell'allegato G che, in base alla descrizione fattane, è immancabilmente fuorviarne.

265

Orbene, è certo che, così come l'allegato G, la relazione Binder Hamlyn non è fondata sui costi medi di esercizio dei titolari di concessioni per l'estrazione a cielo aperto, bensì su un'estrapolazione ricavata dai costi della British Coal, aumentati di uno scarto forfettario del 15%.

266

Alla luce di quanto esposto, la ricorrente non può contestare alla Commissione il fatto di non aver effettuato indagini esaustive sui costi di produzione degli impianti minerari in regime di concessione.

267

Occorre pertanto respingere la seconda parte del motivo.

Sulla terza parte del terzo motivo

— Argomenti delle parti

268

La ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe violato i suoi diritti della difesa. Durante la fase scritta, la Commissione avrebbe sollevato questioni mai poste previamente a conoscenza della NALOO e in merito alle quali essa non sarebbe mai stata messa effettivamente in grado di far conoscere il suo punto di vista. In particolare, essa non avrebbe mai contestato il metodo basato sui costi della British Coal e sulla differenza tra i costi dei siti a cielo aperto della British Coal, da un lato, e dei siti dei concessionari, dall'altro.

269

La Commissione non avrebbe mai comunicato alla ricorrente obiezioni specifiche né critiche suscitate dalla sua valutazione della relazione Binder Hamlyn. Se pensava di respingere alcune prove, essa avrebbe dovuto esporne le ragioni alla ricorrente, affinché quest'ultima potesse sviluppare le proprie obiezioni in merito.

270

Benché preannunciata nell'agosto del 1990, essa avrebbe omesso di organizzare un'audizione in modo da permettere alla ricorrente di produrre le sue prove in una fase procedurale alla quale anche la British Coal avrebbe ben potuto partecipare.

271

La Commissione, al contrario, ritiene di aver rispettato scrupolosamente le procedure di cui all'art. 66, n. 7, del Trattato, che non prevedono audizioni. In particolare, essa avrebbe concesso alla ricorrente tutte le occasioni possibili per far conoscere il suo punto di vista. La ricorrente avrebbe partecipato a numerose riunioni con la Commissione e nutrito sarebbe stato il carteggio fra le due parti. Malgrado il fatto che la Commissione, con lettera datata 21 dicembre 1990, le avesse fissato un termine di risposta di due settimane, la ricorrente avrebbe continuato sia a intrattenere rapporti epistolari con la medesima per circa cinque mesi, sia a formulare osservazioni, un buon numero delle quali senza rapporto alcuno con i termini della denuncia iniziale.

272

Benché la relazione Binder Hamlyn le sia giunta solo sei mesi dopo il progetto di decisione, la Commissione l'avrebbe non di meno esaminata, concludendo però che essa non contribuiva a determinare i costi effettivi degli esercenti degli impianti minerari a cielo aperto. La ricorrente non negherebbe che la Commissione le abbia detto di non considerare gli elementi contenuti nella relazione Binder Hamlyn tali da influenzare la decisione, il cui testo definitivo era in preparazione. Pertanto, la Commissione non sarebbe stata assolutamente obbligata a comunicare la relazione alla British Coal.

273

Contrariamente a quanto allegato dalla ricorrente, il fatto che, in sede di decisione impugnata, la Commissione non si fondi su elementi di prova messi a sua disposizione nell'ambito del procedimento amministrativo non equivarrebbe a una negazione del diritto di essere sentiti (sentenza della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73-48/73, 50/73, 54/73-56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Race. pag. 1663, punti 100-103, e sentenza del Tribunale 9 luglio 1992, causa T-66/89, Publishers Association/Commissione, Racc. pag. II-1995, punti 65 e seguente), dato che la valutazione del valore probatorio dei fatti allegati costituirebbe un aspetto distinto nell'istruttoria della denuncia da parte della Commissione (sentenza della Corte 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands/Commissione, Race. pag. 207, punto 257).

274

La British Coal contesta che la NALOO sia stata privata di una possibilità equa di essere sentita. Un denunciante avrebbe diritto non di ottenere un'audizione o di pretendere la presenza della British Coal nel corso della medesima, bensì al massimo di presentare osservazioni scritte in merito alla decisione provvisoria della Commissione. Orbene, la ricorrente avrebbe disposto in modo del tutto sufficiente della possibilità di difendere le proprie tesi.

— Giudizio del Tribunale

275

È opportuno ricordare che una procedura espletata dalla Commissione al fine di vigilare sul rispetto delle regole in materia di concorrenza da parte delle imprese non costituisce un procedimento contraddittorio tra un'impresa denunciante e l'impresa oggetto di detto procedimento. Ne discende che le due imprese interessate non sono nella stessa situazione processuale e che il denunciante non può valersi dei medesimi diritti della difesa riconosciuti all'altra impresa, in virtù dei quali quest'ultima deve poter far conoscere il suo punto di vista sulle censure che possono essere eventualmente prese in considerazione a suo carico, nonché sui documenti a fondamento di dette censure (v. sentenza della Corte 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds/Commissione, Race, pag. 4487, punto 19).

276

Ne consegue che un'impresa denunciante non può valersi di un diritto a una regolare audizione, prima che la Commissione rigetti la sua denuncia.

277

Del resto, nella fattispecie la Commissione ha potuto ancor più legittimamente ritenere che un'audizione della ricorrente non fosse necessaria, dal momento che quest'ultima non disponeva, come riconosciuto da essa stessa, di elementi di prova decisivi, tali da giustificare le sue allegazioni.

278

Per di più, la ricorrente è stata posta in grado, in realtà, di difendere proficuamente il suo punto di vista prima dell'adozione della decisione impugnata.

279

A tal proposito, dall'illustrazione delle vicende della causa, e segnatamente dalla corrispondenza intrattenuta dalla ricorrente con i servizi della Commissione, risulta che la NALOO ha avuto ampia possibilità di pronunciarsi sulla questione essenziale della liceità dell'aliquota di canone controversa.

280

Infatti, nella sua lettera datata 30 ottobre 1990, con la quale si approvava la proposta di compromesso delle autorità britanniche, la Commissione ha concluso nel senso che non c'era motivo di contestare un canone il cui importo non era tanto alto da impedire ad imprese sane di realizzare un utile o da imporre loro uno svantaggio significativo in termini di concorrenza, in considerazione dei prezzi ottenuti per il carbone. Orbene, alla ricorrente è stata data facoltà, in un primo tempo, di contestare tali conclusioni nella sua lettera datata 7 novembre 1990, indirizzata alla Commissione.

281

Inoltre, come discende dalla sua presa di posizione provvisoria del 21 dicembre 1990, già ricordata, che ha ribadito in sostanza le sue conclusioni del 30 ottobre 1990, la Commissione ha precisato che essa avrebbe adottato una posizione definitiva solo dopo aver esaminato le eventuali osservazioni che la ricorrente avrebbe ritenuto opportuno formulare.

282

Come ammesso dalla medesima nei punti 4.133 e 4.145 del suo ricorso, la ricorrente ha prodotto, in un secondo tempo, una memoria particolareggiata, accompagnata da dati contabili, in rapporto diretto con i criteri richiamati nella citata presa di posizione provvisoria.

283

Orbene, come da essa stessa rilevato nei punti 3.59 e 3.60 del suo ricorso, «è manifesto che la decisione [impugnata] è in sostanza conforme a quanto la lettera datata [21 dicembre 1990] lasciava presagire» e che, con questa lettera, la Commissione si è «pronunciata sulla ragionevolezza del canone in termini identici a quelli di cui ai punti 72-74 della decisione [impugnata], per quanto concerne le questioni di diritto sollevate».

284

In un terzo tempo, con la sua lettera datata 14 marzo 1991, alla ricorrente è stata ancora data facoltà di criticare la posizione della Commissione e di informare quest'ultima che essa le avrebbe fatto pervenire gli elementi di prova a sostegno delle sue allegazioni, non appena detti elementi fossero divenuti disponibili.

285

Infine, in un quarto tempo, nella relazione Binder Hamlyn essa è stata in grado di esporre nei particolari gli elementi contabili che, a suo parere, dimostravano l'erroneità delle conclusioni cui la Commissione era giunta nella sua lettera datata 21 dicembre 1990, da quest'ultima sostanzialmente ribadite nella decisione impugnata.

286

In particolare, il Tribunale non può accogliere l'argomento della ricorrente secondo il quale, durante il procedimento amministrativo, la Commissione non avrebbe mai contestato il metodo basato sui costi della British Coal e sulla differenza tra i costi dei siti a cielo aperto della British Coal, da un lato, e dei siti dei concessionari, dall'altro.

287

Al contrario, dal punto 45 della sua lettera datata 21 dicembre 1990 discende che sin da tale momento la Commissione si è limitata a ritenere che le differenze tra le condizioni di esercizio, rispettivamente, dei siti a cielo aperto della British Coal e delle miniere a cielo aperto in regime di concessione non le impedissero di giudicare ragionevole l'aliquota di canone controversa.

288

Alla luce di quanto esposto, la terza parte del motivo deve essere quindi respinta.

289

Dalle considerazioni sin qui sviluppate discende che il terzo motivo deve essere interamente respinto.

4. Sul quarto motivo, fondato sull'insufficiente motivazione della decisione impugnata

290

La ricorrente sviluppa il motivo in tre parti.

Sulla prima parte del quarto motivo

— Argomenti delle parti

291

In primo luogo, la ricorrente sostiene che la decisione impugnata non spiegherebbe chiaramente perché la Commissione abbia giudicato ammissibile un'aliquota di canone pari a 5,50 o 6 UKL/t. Essa non permetterebbe agli interessati di conoscere le ragioni per le quali la Commissione non è intervenuta per ridurre il canone in maniera più significativa, né al giudice di esercitare il suo controllo sui fatti e sulle condizioni economiche.

292

La Commissione non avrebbe giustificato, nel punto 74 della decisione impugnata, il giudizio di liceità del canone alla luce dell'art. 66, n. 7, del Trattato, espresso sulla base della struttura dei costi della British Coal, mentre nel punto 72 avrebbe dato spiegazioni di un criterio fondato su un'analisi dei costi di produzione dei concessionari. In particolare, la Commissione non spiegherebbe che cosa occorra intendere con le espressioni «realizzare un utile» e «svantaggio concorrenziale significativo».

293

La decisione impugnata non avrebbe indicato le ragioni per le quali la Commissione non ha tenuto conto delle differenze nella struttura dei costi tra i siti a cielo aperto della British Coal e i siti dei concessionari, pur essendo in possesso di elementi di prova di immediata rilevanza atti a dimostrare il contrario e pur avendo ammesso, nel punto 74 della decisione impugnata, l'esistenza di significative differenze di costo.

294

Il punto 72 della decisione impugnata non farebbe ritenere che la Commissione abbia tenuto conto dei fatti e degli argomenti illustrati nella memoria difensiva. L'ipotesi contraria non sarebbe sostenibile, con tutta la chiarezza necessaria, sulla base della decisione impugnata, la quale pertanto sarebbe insufficientemente motivata.

295

La Commissione, sostenuta in sostanza dalla British Coal, replica di aver motivato con chiarezza le proprie conclusioni, conformemente agli artt. 5 e 15 del Trattato e nel modo voluto dalla giurisprudenza, e di non essere obbligata ad esaminare tutte le questioni di fatto o di diritto sollevate durante il procedimento amministrativo (sentenze della Corte 12 luglio 1962, causa 14/61, Koninklijke Nederlandsche Hoogovens en Staalfabrieken/Alta Autorità, Racc. pag. 471; 29 ottobre 1980, cause riunite 209/78-215/78 e 218/78, Heintz van Landewyck e a./Commissione, Racc. pag. 3125, punto 66; 21 febbraio 1984, causa 86/82, Hasselblad/Commissione, Race. pag. 883, punto 17, e 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB/Commissione, Racc. pag. 19, punto 22).

296

Il ricorso ignorerebbe completamente il ragionamento equilibrato svolto dalla Commissione nella decisione impugnata in merito alla ragionevolezza del canone. In particolare, la Commissione avrebbe preso in considerazione la necessità per i concessionari di beneficiare di pratiche in materia di prezzi e di un accesso al mercato del carbone destinato alla produzione di energia elettrica di livello paragonabile. La ricorrente si limiterebbe semplicemente a ripetere che la Commissione ha riconosciuto un'importanza troppo ridotta alla relazione Binder Hamlyn.

297

La British Coal rileva inoltre che l'allegazione secondo la quale la Commissione non avrebbe rispettato il criterio indicato nel punto 72 della decisione impugnata sarebbe del tutto infondata. La Commissione avrebbe illustrato nella decisione impugnata che il canone era solo un elemento che non poteva essere preso in considerazione isolatamente. La decisione impugnata valuterebbe il canone alla luce di tutti gli altri elementi rilevanti, produttivi di effetti a partire dal 1° aprile 1990.

— Giudizio del Tribunale

298

Secondo una giurisprudenza costante, parimenti applicabile all'ambito del Trattato CECA, la motivazione di una decisione lesiva degli interessi del destinatario, come la decisione impugnata, deve, da un lato, permettere al suo destinatario di conoscere i motivi a base del provvedimento adottato, al fine di sostenere, eventualmente, i suoi diritti e di stabilire se la decisione sia o meno giustificata e, dall'altro, permettere al giudice comunitario di esercitare il suo controllo (sentenza della Corte 28 marzo 1984, causa 8/83, Β ertoli/Commissione, Race. pag. 1649, punto 12; sentenze del Tribunale 24 gennaio 1992, causa T-44/90, La Cinq/Commissione, Racc. pag. II-1, punto 42, e 29 giugno 1993, causa T-7/92, Asia Motor France e a./Commissione, Race. pag. II-669, punto 30).

299

Tuttavia, nel motivare le decisioni che essa è indotta a prendere per garantire l'applicazione delle regole in materia di concorrenza, la Commissione non e obbligata a prendere posizione su tutte le questioni di fatto o di diritto sollevate dalle denuncianti a sostegno della loro domanda di accertamento di un'infrazione a tali regole. È sufficiente che essa esponga i fatti e le considerazioni giuridiche di importanza essenziale nell'economia della decisione adottata (sentenze del Tribunale La Cinq/Commissione, già citata, punto 41; Asia Motor France e a./Commissione, già citata, punto 31, e 24 gennaio 1995, causa T-114/92, BEMIM/Commissione, Racc, pag. II-147, punto 41).

300

Infine, l'obbligo di motivazione deve essere valutato in funzione delle circostanze della fattispecie, segnatamente del contenuto dell'atto di cui trattasi, della natura dei motivi dedotti e del contesto in cui esso è stato emanato (v. sentenza della Corte 20 marzo 1985, causa 41/83, Italia/Commissione, Race. pag. 873, punto 46, e sentenza del Tribunale 9 novembre 1994, causa T-46/92, Scottish Football/Commissione, Racc. pag. II-1039, punto 19).

301

Contrariamente alle allegazioni della ricorrente, dai ‘considerando’ della decisione impugnata discende che quest'ultima ha esposto le ragioni essenziali che avevano indotto la Commissione a non considerare illecita l'aliquota di canone di 5,50 o 6 UKL/t, in modo tanto chiaro da permettere alla ricorrente di conoscere i motivi a fondamento del provvedimento adottato e al Tribunale di esercitare il suo controllo di legittimità.

302

Infatti, dal ragionamento sviluppato a sostegno della decisione impugnata risulta che, abbinata ai nuovi volumi di vendita assicurati ai concessionari e all'aumento, pari a circa il 20%, dei prezzi ottenuti per il loro carbone, l'aliquota di canone, ridotta da 11 UKL/t a 5,50 o 6 UKL/t, non è stata considerata tanto alta da essere illecita, in considerazione dell'utile di esercizio allora realizzato dalla British Coal relativamente ai suoi siti a cielo aperto e a dispetto delle differenti modalità di coltivazione dei siti a cielo aperto della British Coal e dei siti dei concessionari.

303

La ricorrente non può fondatamente asserire che la decisione impugnata sia illogica e incoerente, poiché risulta che il controverso punto 72 si limita a indicare che l'importo del canone non deve essere giudicato in astratto, ma deve essere tale da permettere alle imprese sane di conseguire un profitto e da non far loro subire uno svantaggio significativo in materia di concorrenza.

304

Nell'ambito di questo provvedimento, la Commissione non ha assolutamente escluso la possibilità di far riferimento ai risultati di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal, a dispetto delle differenze, in particolare di dimensione, tra le attività estrattive a cielo aperto della British Coal e quelle dei concessionari.

305

Per di più, per dimostrare che l'aliquota di canone di 5,50 o 6 UKL/t non fosse, a suo parere, tanto alta da essere illecita, la Commissione ha potuto far richiamo solo all'utile di esercizio ricavato dai siti a cielo aperto della British Coal durante lo scorso ultimo esercizio, in mancanza di dati significativi e affidabili sui costi di esercizio degli impianti minerari in regime di concessione, presi in esame sia singolarmente sia nel loro complesso.

306

La linea di condotta seguita dalla Commissione sembra ancor meno criticabile qualora si tenga presente che, come rilevato dalla stessa ricorrente, l'unico metodo ragionevole era quello di partire dai costi di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal, il più grande produttore del settore.

307

Benché sia vero che la Commissione non ha giustificato il ricorso ai risultati di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal con la mancata disponibilità dei costi di esercizio dei concessionari, simile omissione non è tuttavia tale da viziare la motivazione della decisione impugnata, essendo quanto mai evidente che questa circostanza era sicuramente nota alla ricorrente.

308

La Commissione non era obbligata a rigettare espressamente, nella decisione impugnata, le conclusioni della relazione Binder Hamlyn. Infatti, questo documento è stato prodotto dalla stessa ricorrente a titolo di relazione provvisoria; per di più essa ipotizza uno scarto del 15% tra i costi di esercizio dei siti a cielo aperto della British Coal e quelli degli impianti minerari a cielo aperto in regime di concessione. Orbene, questa percentuale è rimasta priva di spiegazioni, così come quella del 20% allegata dalla ricorrente nella sua denuncia del 29 marzo 1990, la quale già non aveva indotto la Commissione a ritenere illecita l'aliquota di canone controversa nella sua presa di posizione provvisoria del 31 dicembre 1990.

309

Il Tribunale per di più ricorda che la Commissione ha informato la ricorrente del fatto che essa non riteneva rilevante la relazione.

310

Occorre pertanto respingere la prima parte del motivo.

Sulla seconda parte del quarto motivo

311

La ricorrente allega, in secondo luogo, che la decisione impugnata non illustrerebbe nemmeno le ragioni per le quali la Commissione non ha applicato all'aliquota di canone controversa gli artt. 4, 60 e 65 del Trattato.

312

La Commissione e la British Coal non deducono argomenti specifici in risposta alle allegazioni della ricorrente.

313

Il Tribunale ricorda che, come risulta dall'esame del secondo motivo, la ricorrente ha indotto la Commissione a concentrare la sua attività istruttoria della denuncia e la sua analisi giuridica sul solo art. 66, n. 7, del Trattato e che esso non può quindi rimproverare adesso alla Commissione di non aver spiegato perché essa non abbia fatto riferimento alle altre richiamate disposizioni del Trattato.

314

Per di più, nella fattispecie occorre ritenere che l'art. 4, lett. d), del Trattato è stato applicato in combinato disposto con l'art. 66, n. 7, del medesimo. Peraltro, secondo la decisione impugnata (punto 47), l'art. 60 del Trattato non è applicabile alla riscossione di canoni sulla produzione in quanto «è assolutamente evidente che esso si applica alle pratiche dei venditori in materia di prezzi».

315

Infine, la ricorrente non può legittimamente contestare alla Commissione il fatto di non aver spiegato perché essa non abbia applicato l'art. 65 del Trattato all'aliquota di canone controversa, poiché come discende dall'esame della terza parte del secondo motivo (v. il precedente punto 238), la ricorrente non ha nemmeno fornito alla Commissione gli strumenti che consentissero a quest'ultima di esaminare la liceità delle aliquote di canone controverse secondo il metro di questa disposizione.

316

Ne consegue che la seconda parte del motivo deve essere respinta.

Sulla terza parte del quarto motivo

317

La ricorrente rimprovera parimenti alla Commissione di non aver spiegato perché essa non abbia giudicato necessario domandare alla British Coal di presentare le proprie osservazioni in merito agli argomenti che le erano stati illustrati dalle denuncianti.

318

La Commissione e la British Coal non deducono argomenti specifici in risposta a questa parte del motivo.

319

Il Tribunale ricorda che la Commissione ha comunicato la denuncia del 29 marzo 1990 alla British Coal. Con lettera datata 1 o maggio 1990, la British Coal per parte sua ha fatto pervenire essa stessa al legale della ricorrente una versione delle sue controsscrvazioni, che la ricorrente ha del resto accluso al suo ricorso (allegato 8).

320

Dall'esame del terzo motivo risulta peraltro che la procedura di esame della denuncia non deve svolgersi in contraddittorio tra le due imprese interessate e che la Commissione ha ritenuto irrilevante la relazione Binder Hamlyn.

321

Ne discende che, nelle circostanze del caso di specie, la Commissione non aveva nessun obbligo di comunicare la relazione Binder Hamlyn alla British Coal.

322

Alla luce di quanto esposto, la terza parte del motivo deve essere respinta.

323

Dalle considerazioni sviluppate in questa sede risulta che il quarto motivo va integralmente respinto.

5. Sul quinto motivo, fondato sullo sviamento di potere

Argomenti delle parti

324

La ricorrente sostiene che la decisione impugnata sarebbe viziata da sviamento di potere. A sostegno di detta allegazione essa riprende gli argomenti dedotti a giustificazione dei quattro precedenti motivi.

325

La Commissione, sostenuta in sostanza dalla British Coal, obietta che la ricorrente non prova assolutamente che la decisione impugnata persegua uno scopo diverso da quello per il quale la Commissione era legittimata ad agire.

326

La British Coal aggiunge che la ricorrente si limita a riprendere le censure da essa già formulate nell'ambito degli altri motivi, senza nemmeno addurre il minimo elemento che possa costituire un principio di prova a sostegno delle sue allegazioni.

Giudizio del Tribunale

327

Secondo una costante giurisprudenza, un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista per far fronte alle circostanze del caso di specie (v. sentenza della Corte 13 novembre 1990, causa C-331/88, Fedesa e a., Racc. pag. I-4023, punto 24).

328

Occorre constatare che gli argomenti allegati dalla ricorrente a sostegno dei quattro motivi precedenti e ripresi nell'ambito del motivo in esame non possono in nessun modo comprovare l'esistenza di uno sviamento di potere.

329

La ricorrente infatti non precisa per quale altro fine, diverso da quello menzionato dalla decisione impugnata, la Commissione avrebbe fatto uso o, al contrario, avrebbe omesso di esercitare i poteri ad essa conferiti dal Trattato.

330

Ne discende che il motivo deve essere respinto.

331

Dall'insieme delle considerazioni sviluppate in questa sede discende che il ricorso deve essere integralmente respinto.

Sulle spese

332

Ai sensi dell'art. 87 del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente e la Commissione ha chiesto la condanna della medesima alle spese, occorre condannare quest'ultima alle spese, ivi comprese quelle sostenute dall'interveniente British Coal.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

 

1)

I capi di conclusioni secondo, settimo e nono del ricorso sono irricevibili.

 

2)

Il resto delle conclusioni della ricorrente è respinto.

 

3)

La ricorrente sopporterà tutte le spese, ivi comprese quelle dell'interveniente British Coal.

 

Briët

Lenaerts

Vesterdorf

Lindh

Potocki

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 24 settembre 1996.

Il cancelliere

H.Jung

El presidente

C. P. Briët


( *1 ) Lingua processuale: l'inglese.