61991C0327

Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 16 dicembre 1993. - REPUBBLICA FRANCESE CONTRO COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE. - ACCORDO COMMISSIONE/STATI UNITI IN MERITO ALL'APPLICAZIONE DEL RISPETTIVO DIRITTO DELLA CONCORRENZA - COMPETENZA - MOTIVAZIONE - CERTEZZA GIURIDICA - VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELLA CONCORRENZA. - CAUSA C-327/91.

raccolta della giurisprudenza 1994 pagina I-03641
edizione speciale svedese pagina I-00047
edizione speciale finlandese pagina I-00047


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

1. Con il presente ricorso la Repubblica francese chiede l' annullamento, ai sensi dell' art. 33 del Trattato CECA e dell' art. 173, primo comma, del Trattato CEE, dell' accordo tra la Commissione ed il governo degli Stati Uniti in merito all' applicazione del rispettivo diritto della concorrenza, accordo sottoscritto a Washington il 23 settembre 1991 ed entrato in vigore alla stessa data.

L' impugnazione del governo francese, a sostegno delle cui conclusioni sono intervenuti anche i governi olandese e spagnolo, è basata essenzialmente sul fatto che l' accordo sarebbe stato concluso in violazione delle norme comunitarie sulla competenza a stipulare, più precisamente dell' art. 228 del Trattato. Inoltre, lo stesso governo lamenta la mancanza di motivazione e la violazione del principio della certezza del diritto nonché la violazione del diritto comunitario della concorrenza.

2. E' opportuno anzitutto richiamare il contesto in cui si inserisce la presente controversia, nonché ripercorrere brevemente le tappe che hanno portato alla conclusione dell' accordo in questione.

Rilevanti rispetto al tema della cosiddetta applicazione extraterritoriale delle norme sulla concorrenza e dei problemi che ne possono derivare nel rapporto tra normative diverse e di diversa origine sono alcune raccomandazioni del Consiglio OCSE (1), riguardanti l' applicazione di meccanismi procedurali di notificazione e consultazione, dei quali gli Stati membri hanno fatto uso in numerose occasioni (2). In particolare, va ricordata la raccomandazione del 21 maggio 1986, che ha modificato e sostituito la precedente raccomandazione del 25 settembre 1979 sulla cooperazione fra Paesi membri in materia di pratiche commerciali restrittive pregiudizievoli per gli scambi internazionali (3). E' anche rilevante la successiva raccomandazione del 23 ottobre 1986 avente ad oggetto la cooperazione tra gli Stati membri "nei campi di potenziale conflitto tra la politica della concorrenza e la politica commerciale".

Ed è proprio la raccomandazione OCSE del 1979, nella versione modificata del 1986, ad aver costituito, secondo quanto affermato dalla stessa Commissione, il punto di riferimento per la definizione di alcuni dei problemi relativi all' applicazione extraterritoriale delle norme di concorrenza spesso sorti tra USA e CEE, problemi poi risolti nell' ambito dell' accordo controverso.

3. Ritenendo infatti che "i mutamenti intervenuti nell' economia internazionale negli ultimi anni imponessero obiettivi molto più ambiziosi", in particolare la definizione di un "documento giuridicamente vincolante piuttosto che una raccomandazione non vincolante", nonché contenuti più incisivi e innovatori (4), la Commissione prospettava alle autorità americane, nel corso di riunioni tenutesi alla fine del 1990, la possibilità di negoziare un accordo che formalizzasse le loro relazioni, fino ad allora stabilite su base volontaria nell' ambito definito dalle raccomandazioni OCSE, in modo da instaurare una più stretta cooperazione fondata su uno strumento vincolante.

Il relativo negoziato procedeva rapidamente ed un testo praticamente definitivo era pronto già nel luglio 1991. Il progetto di accordo veniva quindi trasmesso alle autorità nazionali degli Stati membri competenti in materia di concorrenza, accompagnato da una relazione esplicativa in cui si affermava, tra l' altro, che il testo in questione si configurava come un accordo "amministrativo".

4. Nella riunione del 5 settembre 1991, fissata dalla Commissione al fine di consentire ai rappresentanti degli Stati membri di formulare le proprie osservazioni al riguardo, alcuni Stati avanzavano delle riserve quanto alla base giuridica dell' accordo ed in particolare sulla competenza della Commissione a stipularlo; nonché sull' eventuale necessità di un mandato a negoziare conferito dal Consiglio e sulla responsabilità della Comunità. Essi si interrogavano inoltre su vari altri punti dell' accordo, quali la tutela del principio di riservatezza e le procedure di consultazione, e chiedevano pertanto che fosse prevista una nuova riunione in modo da consentire al gruppo di esperti nazionali di discutere il testo in questione. Il commissario alla concorrenza escludeva tuttavia una tale possibilità in relazione ad aspetti di principio, in particolare quanto all' opportunità di concludere un accordo di cooperazione con gli Stati Uniti e alla forma prescelta; acconsentiva, poi, ad un' ulteriore riunione alla sola condizione che gli esperti nazionali si pronunciassero unicamente sui contenuti tecnici. Nella successiva riunione del 9 settembre, gli esperti nazionali si limitavano dunque a formulare dei rilievi tecnici, alcuni dei quali venivano poi ripresi nel progetto di accordo.

Già il giorno seguente, 10 settembre 1991, come risulta dal verbale di riunione, la Commissione approvava il progetto di accordo ed autorizzava il suo vicepresidente a redigerne il testo definitivo, nonché a firmare e concludere l' accordo stesso in nome dell' istituzione.

Il testo dell' accordo, firmato a Washington il 23 settembre dall' Attorney General e dal Presidente della Federal Trade Commission in nome del governo degli Stati Uniti e dal Commissario competente per la concorrenza in nome della Commissione, veniva trasmesso agli Stati membri con lettera del 7 ottobre 1991 del direttore generale della concorrenza (DG IV).

5. L' accordo ha come scopo dichiarato quello di "promuovere la cooperazione ed il coordinamento e ridurre il rischio o gli effetti di controversie tra le parti nell' applicazione del rispettivo diritto della concorrenza" (art. 1, n. 1): esso si prefigge dunque di evitare, prevenendoli, eventuali conflitti dovuti all' applicazione extraterritoriale della disciplina della concorrenza.

A tal fine, gli atti di controllo e di esecuzione della normativa sulla concorrenza (5) sono soggetti ad una serie di obblighi di notifica, ogniqualvolta possano essere tali da ledere gli interessi dell' altra parte (art. 2); è previsto lo scambio di informazioni tra le rispettive autorità competenti, con riunioni da tenersi almeno due volte l' anno (art. 3); nonché un obbligo di cooperazione e coordinamento (art. 4) che, come si evince dalla norma in questione e come messo in luce dalla stessa Commissione, può "persino comportare casi nei quali una delle parti può farsi promotrice delle misure di esecuzione mentre l' altra parte si astiene dal prenderle o può comportare l' assegnazione di elementi specifici delle misure di esecuzione a ciascuna delle parti" (6). Qualora vi siano interessi coincidenti in ordine a fattispecie che riguardino sia il mercato comunitario che quello statunitense, è dunque possibile che le autorità si ripartiscano i compiti investigativi.

La cooperazione in materia di atti anticoncorrenziali commessi nel territorio di una parte e lesivi degli interessi dell' altra parte comporta anche, ed è questa la novità rispetto ad accordi analoghi, la "positive comity" (art. 5). In particolare, è previsto che ciascuna parte contraente potrà chiedere all' altra di considerare i suoi interessi e chiederle di iniziare un' istruttoria relativamente a fattispecie anticoncorrenziali che si sviluppino nel territorio in cui ha sede l' autorità destinataria della richiesta e che possono avere effetti sul mercato tutelato dall' autorità richiedente.

Accanto ad una tale procedura, è poi prevista la "traditional comity", vale a dire l' obbligo di tenere in debito conto gli interessi rilevanti dell' altra parte "nel decidere sull' opportunità di avviare un' indagine o un procedimento, sul relativo campo di applicazione, sulla natura dei mezzi di tutela o delle sanzioni necessari, nonché su altre iniziative eventuali" (art. 6). Nell' applicare tale disposizione, le parti sono tenute ad osservare una serie di principi, elencati in dettaglio. Sono inoltre previste procedure di consultazione in merito ad ogni questione relativa all' accordo (art. 7) ed è finanche prescritta la forma che possono assumere le comunicazioni tra le autorità competenti (art. 10).

Vanno poi richiamate le disposizioni sull' osservanza della riservatezza delle informazioni, alla cui comunicazione le parti non sono tenute quando la relativa divulgazione è vietata dalla legislazione della parte che ne è in possesso o è incompatibile con i suoi interessi rilevanti (art. 8); e la norma in base alla quale l' interpretazione dell' accordo non può comunque essere in contrasto con il diritto vigente delle parti, né tale da modificarlo (art. 9). Infine, è prevista la possibilità di recedere dall' accordo con un preavviso di due mesi (art. 11, n. 2) e l' obbligo di riesaminarlo, tenuto conto dei risultati della sua applicazione, due anni dopo l' entrata in vigore, in particolare allo scopo di decidere sull' opportunità di una più stretta collaborazione per tutelare gli interessi delle parti (art. 11, n. 3).

6. Il contenuto dell' accordo, quale sommariamente riportato, rivela una serie di obblighi strumentali e procedurali che vanno nel senso di un coordinamento teso ad evitare le difficoltà derivanti dalla rilevanza di più normative sulla concorrenza per una stessa fattispecie.

L' impugnazione del governo francese, come si è già detto, è diretta a fare dichiarare l' illegittimità dell' accordo in ragione, essenzialmente, dell' incompetenza della Commissione a stipularlo. Anche la lamentata violazione del principio della certezza del diritto e lo stesso mezzo basato sulla violazione del diritto comunitario della concorrenza finiscono infatti col risolversi, come vedremo, in una asserita incompetenza della Commissione a stipulare un tale tipo di accordo.

Prima di passare al merito, si rendono necessarie alcune osservazioni preliminari quanto alla stessa ricevibilità del ricorso in oggetto.

Sulla ricevibilità

7. Com' è noto, ai sensi dell' art. 173, primo comma, la Corte esercita un controllo di legittimità sugli atti delle istituzioni "che non siano raccomandazioni o pareri". La giurisprudenza in materia è tuttavia nel senso che, ai fini dell' ammissibilità del controllo giurisdizionale, appare poco rilevante la forma dell' atto, mentre ne vanno verificati gli effetti ed il contenuto (7). La Corte ha infatti precisato, fin dalla sentenza "AETS" (8), che l' azione di annullamento deve potersi esperire contro "qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni (indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma) che miri a produrre effetti giuridici".

Rispetto al profilo della vocazione dell' atto a produrre effetti giuridici, basti qui rilevare che la stessa Commissione, pur definendolo un accordo minore, non contesta che esso imponga degli obblighi alle parti contraenti: che sia cioè un atto destinato a produrre effetti giuridici (9), come del resto vedremo anche nel prosieguo (punti 18-22).

8. Avendo la Francia formalmente impugnato l' accordo in quanto tale, si rivela invece indispensabile, relativamente alla ricevibilità del ricorso in oggetto, soffermarsi sul quesito se un accordo possa essere considerato alla stregua di un "atto delle istituzioni" ai sensi dell' art. 173; e, in caso di risposta negativa, se il ricorso in oggetto possa comunque essere considerato, come sostenuto dal governo francese nel corso dell' udienza, implicitamente rivolto contro la "decisione" comunitaria che ha autorizzato la conclusione dell' accordo.

La Commissione, da parte sua, pur chiedendosi se il governo francese avrebbe dovuto attaccare la decisione 10 settembre 1991 che ha autorizzato a sottoscrivere l' accordo con gli Stati Uniti, e non l' accordo in quanto tale, formalmente non ha avanzato alcuna eccezione di irricevibilità, rimettendosi in proposito all' apprezzamento della Corte.

Nondimeno, essa ha sostenuto che il sindacato della Corte, ai sensi dell' art. 173, può riguardare solo atti delle istituzioni, tra i quali non sarebbe certo possibile annoverare un accordo che, in quanto atto alla cui formazione ha concorso uno Stato terzo, non è - né potrebbe essere considerato - un atto unilaterale di un' istituzione comunitaria. La giurisprudenza della Corte, in cui è affermata la competenza della stessa ad interpretare in via pregiudiziale anche gli accordi (10), confermerebbe, ad avviso della Commissione, che oggetto del giudizio di legittimità può essere solo l' atto con cui è decisa la conclusione dell' accordo e non l' accordo stesso.

9. Al riguardo, va anzitutto rilevato che la giurisprudenza della Corte in materia non esclude affatto la possibilità di impugnare direttamente un accordo. Anzi, non pochi elementi sembrano deporre in senso opposto.

Ricordo infatti che, nel fondare la propria competenza ad interpretare a titolo pregiudiziale gli accordi conclusi dalla Comunità con Stati non membri, la Corte li ha assimilati ad atti delle istituzioni. Ed è così che, nella sentenza Haegeman (11), essa ha esplicitamente affermato che un accordo concluso in conformità dell' art. 228 del Trattato costituisce, "per quanto riguarda la Comunità, un atto compiuto da una delle sue istituzioni ai sensi dell' art. 177, primo comma, lettera b)" e che "le [sue] disposizioni (...) formano, dal momento della sua entrata in vigore, parte integrante dell' ordinamento giuridico comunitario".

Dal momento che nella stessa sentenza la Corte ha fatto riferimento alla decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell' accordo di specie, la richiamata affermazione è stata interpretata nel senso che la competenza della Corte ad interpretare disposizioni di accordi internazionali sarebbe possibile solo in ragione della mediazione di un atto dell' esecutivo comunitario. Resta tuttavia che, anche nelle successive sentenze in materia, la Corte ha ribadito, ai fini dell' interpretazione, l' assimilazione degli accordi, per quanto riguarda la Comunità, agli atti delle istituzioni (12).

10. Ancora più importante, ai fini che qui rilevano, è la circostanza che la competenza della Corte ad esercitare un controllo di legittimità a posteriori in relazione agli accordi internazionali conclusi dalle Comunità è stata affermata dalla stessa Corte e senza alcuna ambiguità, sia pure in un obiter dictum, già nel parere 1/75 (13). In tale occasione, infatti, la Corte ha sostenuto di poter essere interpellata "sia in forza degli artt. 169 e 173 del trattato, sia in via pregiudiziale, sul se la stipulazione di un accordo rientri nella sfera di competenza della Comunità e se, eventualmente, tale competenza sia stata esercitata conformemente alle disposizioni del trattato" (14).

E' pertanto evidente, da un lato, che la possibilità di un sindacato (anche) ai sensi dell' art. 173 discende dalla subordinazione dell' esercizio delle competenze esterne della Comunità al rispetto delle regole procedurali e materiali stabilite dal Trattato; e, dall' altro, che la possibilità di un controllo diretto sugli accordi conclusi dalla Comunità non è affatto esclusa, avendo appunto la Corte espressamente affermato di poter sindacare, nell' ambito di un ricorso ex art. 173, se la competenza a stipulare sia stata esercitata conformemente alle disposizioni del Trattato.

11. Vero è che finora la Corte non ha avuto occasione di esercitare concretamente un tale controllo a posteriori, sebbene si sia già pronunciata sulla legalità di un atto comunitario relativo alla conclusione di un accordo (15). Resta dunque da chiedersi, ai fini che qui rilevano, se un tale controllo sia ammissibile solo in via mediata, cioè qualora effettuato attraverso l' impugnazione del regolamento o della decisione relativi alla conclusione dell' accordo, o anche quando è direttamente l' accordo ad essere impugnato.

A me sembra che la questione sia solo formale. Ritengo infatti che rispetto al sistema giuridico comunitario, in cui funziona un controllo giurisdizionale cui sono sottoposti, senza eccezioni, tutti gli atti e i comportamenti delle istituzioni, dei singoli e degli Stati membri, che siano rilevanti per il sistema stesso, non si possa ragionevolmente escludere il controllo sulla legittimità della procedura di stipulazione di un accordo concluso con un Paese terzo. Che poi ciò possa avvenire nella forma della censura formalmente focalizzata sull' accordo in quanto tale, ovvero sull' atto che allo stesso si colleghi o, infine, su un atto addirittura implicito, mi pare questione secondaria e del tutto irrilevante.

12. Relativamente al problema delle conseguenze, per la vita dell' accordo, di un' eventuale rilevazione dell' incompetenza dell' organo di una delle parti, problema posto spesso in dottrina in collegamento con quello appena esaminato (16), a mio avviso a torto, bastino pochi rilievi. Osservo infatti, da una parte, che si tratta di un problema ulteriore e che risulta adeguatamente disciplinato dal diritto internazionale ed in particolare dall' art. 46 della Convenzione di Vienna 21 marzo 1986 sul diritto dei trattati conclusi dalle organizzazioni internazionali; dall' altra, che si tratta di un problema che normalmente si pone - e senza che si sia mai contestato alcunché - nella maggior parte dei sistemi giuridici, in cui la gestione dei rapporti esterni da parte dell' esecutivo non è sottratta al controllo del giudice, almeno sotto il profilo della legittimità delle procedure di stipulazione (17).

13. Nel caso in cui la Corte dovesse invece pervenire a una diversa conclusione, occorre verificare se, come sostenuto anche dal governo francese, il ricorso in oggetto possa essere considerato rivolto contro la decisione che ha autorizzato la conclusione dell' accordo.

In tale ottica, ritengo sia opportuno riassumere schematicamente i momenti rilevanti al riguardo:

- il negoziato Commissione-USA non è stato preceduto da alcun atto del Consiglio, né da contatti palesi con gli Stati membri;

- il progetto di accordo è stato trasmesso agli Stati membri, accompagnato da una relazione esplicativa;

- il progetto è stato poi approvato (10.9.91) dalla Commissione, che, al contempo, ha autorizzato il suo vicepresidente a firmarlo e concluderlo; una tale delibera è tuttavia rinvenibile solo nel processo verbale della riunione, che non è stato portato a conoscenza degli Stati membri;

- l' accordo è stato firmato il 23 settembre 1991;

- l' accordo firmato è stato trasmesso agli Stati membri con lettera del 7 ottobre 1991 del direttore generale della concorrenza.

14. La delibera con cui è stata decisa la conclusione dell' accordo è dunque rimasta rigorosamente consegnata nel processo verbale della Commissione del 10 settembre e non è stata né pubblicata, né notificata, né per altro mezzo portata a conoscenza degli Stati membri. Ne consegue che non è affatto chiaro in che modo la ricorrente avrebbe potuto impugnare una deliberazione della cui esistenza era addirittura all' oscuro: e della quale si è potuto finalmente avere contezza solo in quanto, ai fini del completamento dell' istruttoria della presente procedura, la Corte ne ha richiesto l' esibizione.

Per superare questo dato incontestabile, la Commissione sostiene che la Francia avrebbe potuto e comunque dovuto presupporre l' esistenza di una decisione del tipo in questione, sia perché non poteva ignorare le regole previste al riguardo dal regolamento interno, sia perché la deliberazione in questione sarebbe stata "annunciata" - non si riesce a ben capire in quale forma - alle autorità competenti degli Stati membri prima della sua adozione.

Non mi sembra che una tale argomentazione meriti particolari commenti. La delibera interna che ha autorizzato il commissario a firmare l' accordo a nome della Commissione, non solo si colloca nell' ambito di una procedura di per sé non certo usuale (18), ma neppure è andata in qualche modo oltre il verbale della relativa riunione. Escludo pertanto che possa farsi carico alla Francia di impugnare una "decisione" che non si è materializzata in alcun atto, quale che ne fosse la forma, anche innominata.

15. Quanto poi all' altro argomento della Commissione, secondo cui la ricorrente avrebbe ben potuto impugnare anche la lettera del 7 ottobre 1991, che ha accompagnato l' invio dell' accordo, basti qui rilevare che si tratta di una mera lettera di trasmissione, per giunta imputabile non ad una istituzione ma solo ad un suo funzionario: dunque di un "documento" che non intende né potrebbe recare alcun pregiudizio di cui il destinatario possa dolersi e che, in ogni caso, non può essere considerato alla stregua di una decisione o comunque di un atto impugnabile come tale ai sensi della già ricordata giurisprudenza della Corte in materia (19).

16. Stando così le cose, a me sembra che una dichiarazione di irricevibilità del ricorso sarebbe, in un caso quale quello che ci occupa, eccessivamente formalista, finendo col risolversi nell' affermazione, a dir poco paradossale, dell' impossibilità di controllare la legittimità dell' accordo stesso rispetto alle regole sulla competenza a stipulare quali previste dal Trattato nell' ipotesi in cui sia stata omessa l' adozione di un atto formale di autorizzazione al negoziato o di approvazione o altro atto "comunitario" collegato con l' accordo.

Insomma, e per essere chiari fino in fondo, sarebbe una vera e propria beffa. Infatti, sottoscrivere la tesi qui in discussione equivarrebbe ad autorizzare ogni disinvoltura procedurale, che diventerebbe così l' espediente migliore per porre un atto al riparo da ogni rischio di impugnazione.

Ritengo comunque che, anche qualora si partisse dall' idea che un accordo non sia impugnabile in quanto tale ai sensi dell' art. 173, il ricorso in oggetto dovrebbe nondimeno essere dichiarato ricevibile. Non essendo infatti "materialmente" possibile impugnare il consueto atto comunitario "relativo alla conclusione dell' accordo", che nel caso di specie non è stato posto in essere o comunque portato a conoscenza della ricorrente, non resterebbe che considerare il ricorso come diretto, implicitamente, contro la decisione, quale che sia, che ha consentito la stipulazione dell' accordo in questione.

Nel merito

17. Il problema essenziale consiste dunque nell' accertare se la Commissione sia o no competente a stipulare un accordo di tale tipo, definito dalla Commissione come "amministrativo". Una siffatta qualificazione costituisce invero il dato fondamentale intorno al quale la Commissione ha sviluppato la propria difesa, nel senso che detta istituzione ha affermato ed afferma la sua competenza a stipulare accordi con Paesi terzi almeno limitatamente alla categoria degli accordi, appunto, "amministrativi".

- Sulla qualificazione dell' accordo

18. Allo scopo di sgombrare il campo da possibili equivoci, nonché ai fini dell' argomentazione che segue, ritengo pertanto opportuno procedere anzitutto ad una qualificazione dell' accordo che ci occupa in base al diritto internazionale.

Denominato formalmente "accordo" e concluso tra la Commissione ed il governo degli Stati Uniti, rispetto al cui ordinamento ha assunto la forma di un "executive agreement" (20), l' accordo che ci occupa non sembra avere caratteristiche diverse dai normali accordi internazionali. Al fine di verificarne la natura, occorre comunque riferirsi all' identità dei suoi destinatari ed alla volontà delle parti contraenti, al contenuto dello stesso, nonché all' eventuale previsione di sanzioni in caso di inadempimento.

19. In tale prospettiva, va anzitutto rilevato come, sebbene formalmente sia la Commissione ad essere indicata come parte, la formulazione di talune disposizioni dell' accordo renda evidente che è invece la Comunità ad essere impegnata sul piano internazionale. Basti al riguardo pensare alle disposizioni dell' accordo che fanno riferimento al "territorio delle parti" (art. 2, n. 2, lett. b), agli "Stati delle parti" (art. 2, n. 2, lett. c) e, soprattutto, alla circostanza che la Commissione è designata come autorità in materia di concorrenza per le Comunità europee (art. 1, n. 2, lett. b, sub i), nonché al fatto che il diritto della concorrenza oggetto dell' accordo è definito in relazione, ancora una volta, alle Comunità europee (art. 1, n. 2, lett. a, sub i).

I termini dell' accordo sono dunque chiari: è la Comunità ad essere impegnata sul piano internazionale, è la Comunità a dover essere considerata come la reale parte contraente. Del resto, la stessa Commissione, nelle osservazioni presentate in relazione agli interventi dei governi spagnolo e olandese, ha riconosciuto che, avendo il governo americano chiesto - in ragione di esigenze di ordine costituzionale - di figurare come parte all' accordo, "era inevitabile che la Comunità dovesse figurare come parte contraente dall' altro lato", tanto più che "la Commissione non ha personalità giuridica internazionale e dunque era giuridicamente più corretto far figurare la Comunità come parte dell' accordo". Vero è che la stessa istituzione ha poi precisato, in risposta ad un quesito posto dalla Corte, che le riportate affermazioni sarebbero valide sul piano generale ma non in relazione al caso di specie, il che emergerebbe dalla circostanza che la Commissione figura nell' intestazione dell' accordo accanto al governo degli Stati Uniti: ciò che, a mio avviso, è invece del tutto irrilevante.

20. La volontà delle parti di vincolarsi risulta anch' essa chiaramente. E' appena il caso di ricordare, infatti, che la stessa Commissione ha esplicitamente dichiarato che la conclusione di un tale accordo è stata determinata dalla volontà di andare oltre i comportamenti raccomandati nell' ambito OCSE: e ciò non solo nel senso di prevedere forme di cooperazione e di coordinamento più incisive, ma anche, e soprattutto, nel senso di prescrivere dei comportamenti definiti ed obbligatori nel quadro di uno strumento giuridicamente vincolante.

Per quanto riguarda la natura degli obblighi contenuti nell' accordo, è sufficiente qui ribadire che si tratta, come già rilevato, di obblighi strumentali e procedurali: comunque di obblighi che vincolano le parti, dunque la Comunità; e che indubbiamente esauriscono un accordo internazionale.

21. A ciò si aggiunga che l' accordo prevede espressamente una clausola che consente il recesso dall' accordo, stabilendo che tra la denuncia e la cessazione degli effetti dell' accordo debba trascorrere un periodo di due mesi: è questa, indubbiamente, la clausola tipica di uno strumento giuridico diretto a creare obblighi per le parti.

Quanto infine all' elemento sanzione, non può e non deve sorprendere che manchi una previsione espressa al riguardo, per il semplice motivo che un accordo internazionale è sottoposto alla regola pacta sunt servanda e non ha certo bisogno che ciò venga ricordato ogni volta con un' apposita clausola. Né mi pare si possa sopravvalutare la circostanza che l' unica reazione consentita in caso di violazione sia costituita dall' inadempimento: è, questa, una caratteristica di molti accordi bilaterali e, in particolare, di quelli stipulati da organizzazioni internazionali, la cui "capacità" di subire le normali sanzioni predisposte dall' ordinamento internazionale è assai dubbia. Al più, si potrebbe ipotizzare la ritorsione economica, che, com' è noto, neppure è pacifico sia una sanzione in senso proprio.

In definitiva, non mi pare si possano nutrire dubbi sul fatto che l' accordo concluso dalla Commissione è e vuole essere un accordo internazionale, che prevede quantomeno obblighi strumentali e procedurali a carico della Comunità e che dunque è retto dal diritto internazionale.

22. E' appena il caso di aggiungere, poi, che la categoria degli accordi amministrativi, intesa come categoria distinta da quella degli accordi internazionali, è in quanto tale sconosciuta al diritto internazionale. Si tratta piuttosto di una denominazione di una certa prassi tipicamente interna, beninteso laddove un tale tipo di accordo assume una specifica connotazione. In effetti, il diritto internazionale conosce gli accordi vincolanti e - a voler tutto concedere - la singolare categoria degli accordi non vincolanti (21), qualificati in modo vario e colorito, ma che possono ricondursi essenzialmente a due ipotesi: "gentlemen' s agreements", che talvolta possono rivestire un alto valore politico ed essere addirittura assistiti da un meccanismo di controllo internazionale quanto alla loro osservanza (22), oppure "intese" destinate a consolidare degli orientamenti, delle linee di condotta in determinati settori, ma sfornite di qualsivoglia valore giuridico, come peraltro risulta spesso dalla esplicita volontà delle parti (23). Né mi sembra superfluo, al riguardo, sottolineare che tali accordi sono in ogni caso normalmente conclusi dalle autorità competenti a stipulare e non da qualsiasi altra autorità o istituzione.

Resta da ricordare l' esistenza di alcune figure convenzionali poste in essere da singole unità amministrative al fine di istituire delle forme di collaborazione con amministrazioni di altri Stati aventi attribuzioni analoghe. Una tale categoria di "accordi", che evidentemente non sono accordi internazionali, stipulati - è vero - anche da organi privi della competenza a impegnare validamente lo Stato sul piano internazionale, è in effetti tollerata, risolvendosi in pratiche concertate tra amministrazioni che agiscono nell' ambito del loro potere discrezionale, e che dunque sono atti di certo non disciplinati dal diritto internazionale (24).

Non mi sembra tuttavia, alla luce di quanto detto in precedenza, che l' accordo che ci occupa possa farsi rientrare in una tale categoria, tenuto conto che la stessa Commissione ne ha affermato la natura vincolante ed ha sostenuto, peraltro, che si tratta di un accordo ai sensi dell' art. 228 del Trattato CE (v. pag. 19 del controricorso).

In definitiva, ciò che occorre stabilire è se l' art. 228 consente alla Commissione di concludere accordi internazionali: comunque denominati.

- Sull' interpretazione dell' art. 228 CEE

23. La norma del Trattato qui rilevante è dunque l' art. 228, nella versione anteriore all' entrata in vigore del Trattato di Maastricht, norma che sembra individuare in via generale nel Consiglio l' unico organo competente a stipulare gli accordi internazionali, affidando alla Commissione la responsabilità della fase di negoziazione. Più precisamente, l' art. 228, n. 1, primo comma, prevede che gli accordi esterni, "fatte salve le competenze riconosciute in questo campo alla Commissione, (...) sono conclusi dal Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo nei casi previsti dal presente trattato".

Facendo riferimento alla disposizione appena richiamata, la Commissione sostiene che l' art. 228 non prevederebbe una competenza esclusiva del Consiglio e che nemmeno potrebbe essere interpretato nel senso di far salve unicamente le competenze attribuite alla Commissione dallo stesso Trattato: e ciò nella misura in cui detta disposizione fa riferimento alle competenze ad essa "riconosciute" e non a quelle ad essa attribuite.

La Commissione deduce pertanto dalla formulazione della parte di frase in discorso che l' art. 228 consentirebbe che le siano riconosciute, vuoi attraverso la prassi delle istituzioni, vuoi mediante il formarsi di una consuetudine (in virtù di una interpretazione dell' art. 228 che si sarebbe imposta nella prassi), il potere di stipulare essa stessa accordi internazionali. Ed è appunto quanto si sarebbe verificato: grazie ad una prassi ormai consolidata, le sarebbe stato riconosciuto un generico potere di stipulare essa stessa degli accordi internazionali, sia pure "amministrativi".

24. La disposizione contenuta nell' art. 228 del Trattato, ed in particolare l' espressione relativa alle competenze "riconosciute" alla Commissione, non può essere letta nel senso e con gli effetti che la Commissione pretende. Essa va riferita piuttosto al fatto che una limitata competenza della Commissione a concludere accordi sussiste in ambito CEE in alcuni casi espressamente indicati (25). E mi riferisco all' art. 7 del protocollo sui privilegi e sulle immunità, il quale prevede la competenza della Commissione a stipulare accordi con Stati terzi per far riconoscere sul territorio di questi i lasciapassare per i cittadini comunitari rilasciati dalle Comunità, nonché alle competenze che implicitamente le sono attribuite dagli artt. 229-231, al fine di assicurare gli opportuni collegamenti con le altre organizzazioni internazionali.

In dottrina è stato altresì sostenuto che la disposizione in questione starebbe a indicare la possibilità per il Consiglio di delegare alla Commissione la conclusione di accordi in taluni casi specifici, possibilità che tuttavia il Consiglio, nonostante le richieste in tal senso della Commissione, ha sempre rifiutato. Ed è indicativo che una tale possibilità trova ora un formale ed espresso riconoscimento nella modifica dell' art. 228 quale apportata con il Trattato di Maastricht, recentemente entrato in vigore.

La Commissione infatti, ai sensi dell' art. 228, n. 4, del Trattato CE, potrà oramai concludere alcuni accordi in forma semplificata. Le condizioni per l' esercizio di una tale competenza testimoniano, tuttavia, l' estrema prudenza degli Stati a concedere ciò che la Commissione pretende in questa sede. Una tale possibilità è limitata infatti alle modifiche di accordi preesistenti conclusi dal Consiglio nelle forme abituali: e solo allorché l' accordo di cui trattasi preveda che le modifiche in questione debbano essere adottate con una procedura semplificata o da parte di un organo istituito dall' accordo stesso. A ciò si aggiunga che l' abilitazione del Consiglio potrà fissare ulteriori e specifiche condizioni.

Al riguardo, la Commissione ha sostenuto in udienza che la nuova formulazione dell' art. 228, nella misura in cui le riconosce il potere di modificare su aspetti tecnici accordi preesistenti conclusi dal Consiglio, non concerne e non intacca la competenza, già riconosciutale, di concludere accordi amministrativi. Ritorna così il leitmotiv della difesa della Commissione.

25. Consapevole, forse, dell' assenza nell' art. 228 di elementi che siano di conforto alla sua tesi, la Commissione ha tuttavia aggiunto che il potere in tal modo riconosciutole sarebbe ispirato e limitato alle stesse condizioni di cui all' art. 101, terzo comma, del Trattato Euratom: e cioè accordi che non comportano oneri finanziari per la Comunità e che non esigono l' intervento del Consiglio (accordi dunque di mera esecuzione).

Invero, l' art. 101 Euratom, dopo aver stabilito la competenza della Commissione a negoziare e stipulare, previa approvazione del Consiglio, gli accordi o convenzioni con Stati terzi (26), prevede, al terzo comma, che "gli accordi o convenzioni, cui possa darsi esecuzione senza intervento del Consiglio e nei limiti del bilancio in causa, sono negoziati e conclusi dalla Commissione, a condizione di renderne edotto il Consiglio".

26. Ora, non mi sembra condivisibile la tesi della Commissione secondo cui la competenza a concludere accordi internazionali sarebbe ispirata ai criteri elencati nell' art. 101 Euratom. In proposito, basti osservare che volutamente l' art. 101 Euratom prevede una procedura del tutto diversa da quella di cui all' art. 228 CEE: e ciò è tanto più significativo ove si consideri che si tratta di trattati firmati lo stesso giorno e che contengono numerose disposizioni assolutamente identiche.

La diversa formulazione delle due corrispondenti norme in discorso non è casuale. Al contrario, la diversità sta piuttosto ad indicare la volontà degli autori del trattato di non riconoscere alla Commissione, in ambito CEE, le stesse competenze di cui questa dispone nel quadro del Trattato Euratom. Insomma, le competenze della Commissione, che sono palesi nell' art. 101 Euratom, non si ritrovano nell' art. 228 CEE: ubi lex tacuit, noluit.

27. In definitiva, non mi sembra che dal tenore letterale dell' art. 228 e, in particolare, dalla parte di frase controversa, possano ricavarsi elementi che confermino la tesi della Commissione secondo cui le sarebbe stata riconosciuta la competenza a stipulare un certo tipo di accordi, né che possa farsi riferimento all' art. 101 Euratom, per quanto riguarda i limiti e le condizioni di esercizio di un tale potere, tenuto conto peraltro della totale diversità di previsioni, quanto alla competenza a stipulare, delle due norme in questione.

Ora, se l' art. 228 è interpretato nel senso che sono riconosciute alla Commissione unicamente quelle competenze espressamente o implicitamente attribuite dal Trattato o delegate dal Consiglio, ne consegue che il ricorso della Francia andrebbe accolto per incompetenza della Commissione a stipulare l' accordo in questione.

In altre parole, nella misura in cui si riconosca nell' art. 228 la norma che disciplina in via generale la stipulazione dei trattati e la si interpreti nel senso che non riconosce alcuna competenza autonoma alla Commissione, è chiaro che l' indagine potrebbe ben fermarsi a questo punto.

- Sulla prassi della Commissione

28. Ciò detto, non può non riconoscersi che la Commissione ha, di fatto, posto in essere strumenti di tipo convenzionale anche in altre materie (27). Taluni accordi sono stati da essa stipulati, infatti, in tema di privilegi ed immunità di missioni diplomatiche (28), in tema di relazioni economiche con paesi membri del GATT (29), nonché in materie tecniche (30), in particolare nel settore fitosanitario ed in quello della cooperazione scientifica e tecnologica.

Può da ciò dedursi che sarebbe stato riconosciuto alla Commissione, grazie ad un' interpretazione dell' art. 228 affermatasi nella prassi, un autonomo potere di concludere accordi internazionali, nella misura in cui il Consiglio e gli Stati membri non avrebbero finora messo in discussione gli accordi che pure essa ha concluso?

29. Non ritengo che il problema possa essere seriamente impostato in questi termini, senza neppure che sia necessario chiedersi se e fino a che punto il Consiglio e gli Stati membri abbiano effettivamente conosciuto l' esistenza di una tale prassi e quindi consapevolmente tollerato un limitato esercizio di competenza della Commissione in questo campo.

Basti ricordare al riguardo, con il governo francese, l' affermazione della Corte secondo cui "una mera prassi del Consiglio non vale a derogare a norme del Trattato. Di conseguenza, tale prassi non può costituire un precedente che vincoli le istituzioni della Comunità in ordine alla scelta del fondamento giuridico corretto" (31). Ritengo infatti, a differenza della Commissione, che le riportate statuizioni, relative alla scelta della base giuridica, ben possano essere trasposte al caso che ci occupa: diversamente si finirebbe con l' ammettere che una violazione delle regole del Trattato diventa legittima solo perché ... ripetuta!

30. Quanto precede mi induce a ritenere superfluo un esame volto a verificare se l' accordo controverso possa essere assimilato, per tenore o come tipologia, a quelli finora conclusi dalla Commissione. Peraltro, una conferma indiretta, se mai ve ne fosse ancora bisogno, della impossibilità di interpretare l' art. 228 come norma che accorda alla Commissione una sia pur limitata competenza a concludere autonomamente accordi internazionali è data proprio da un esame delle condizioni cui sarebbe subordinata, ad avviso della stessa istituzione, l' esercizio della competenza in discorso.

Gli accordi "amministrativi" finora conclusi sarebbero infatti contraddistinti, secondo la Commissione, dalle seguenti caratteristiche: a) gli obblighi di diritto internazionale pubblico che ne derivano sarebbero limitati e potrebbero ricevere integrale esecuzione dalla sola Commissione (obblighi che possono addirittura essere del tutto assenti); b) l' esecuzione di tali accordi si effettuerebbe nei limiti previsti dal bilancio, dunque senza comportare nuovi obblighi finanziari; c) la natura stessa degli obblighi in questione implicherebbe che difficilmente potrà esser fatta valere la responsabilità internazionale della Comunità per inadempimento, nel senso che l' eventuale mancata esecuzione di tali obblighi quasi certamente si risolverà (unicamente) nell' estinzione dell' accordo.

31. Ora, considerato quanto si è già detto ai punti 18-22, basti qui ricordare, ancora una volta, che l' accordo che ci occupa prevede una serie di obblighi strumentali e procedurali a carico della Comunità: anche a volerli definire "limitati", i termini del problema resterebbero pertanto invariati, nel senso che si tratta pur sempre di un accordo internazionale. Né mi sembra che assuma alcun rilievo, in quest' ottica, la circostanza che l' esecuzione di un tale accordo si effettui o meno nei limiti previsti dal bilancio.

Quanto, poi, all' elemento responsabilità, rilevo anzitutto che il tenore testuale dell' accordo non la esclude e che un tale risultato neppure è stato concertato tra le parti. Né mi sembra possa avere una qualche rilevanza il fatto che, in ragione del tipo di obblighi (reciproci) previsti dall' accordo, possano effettivamente verificarsi le conseguenze sottolineate dalla Commissione per escludere la responsabilità della Comunità. Al riguardo, mi limito ad osservare che non vedo come possa ragionevolmente farsi derivare la competenza della Commissione a concludere accordi internazionali dalla circostanza che una violazione dei termini dell' accordo non consentirebbe all' altra parte reazioni "incisive" in sede internazionale: sarebbe infatti quantomeno singolare far dipendere da un elemento di questo tipo la competenza a stipulare di un organo altrimenti incompetente.

32. Non è escluso, tenuto conto delle condizioni appena ricordate, che con il termine accordo "amministrativo" la Commissione voglia in realtà riferirsi agli accordi in forma semplificata, accordi che in base al diritto interno della maggior parte degli Stati sono conclusi dall' esecutivo, senza l' intervento del Parlamento, e normalmente concernono - a non considerare gli accordi segreti - materie di carattere tecnico-amministrativo, la cui esecuzione non comporta modifiche della sfera legislativa, oppure integrano o precisano accordi preesistenti conclusi secondo le normali procedure, quando dunque si inseriscono nel quadro normativo predisposto da altri accordi. Ed infatti la Commissione, nel corso della procedura, ha fatto a più riprese riferimento alla prassi degli Stati membri in materia, in particolare agli accordi conclusi dai governi al di fuori delle procedure previste a livello costituzionale in materia di ratifica, ed appunto qualificati, in alcuni ordinamenti, come accordi amministrativi (32). La prassi in parola trova fondamento nella concezione secondo cui la competenza a stipulare un determinato tipo di accordi sarebbe implicitamente presente nell' ambito della funzione esecutiva (33).

33. Se questi fossero i termini del problema, si tratterebbe di stabilire se la competenza della Commissione a stipulare possa essere fatta dipendere dall' individuazione di tale istituzione come l' esecutivo della Comunità.

Ora, anche a voler considerare pacifico che la funzione esecutiva comprenda anche la stipulazione dei trattati, non mi sembra che la teoria in questione sia trasponibile mutatis mutandis al sistema giuridico comunitario, tenuto conto dell' impossibilità di individuare, in tale sistema, un' autonoma e generale funzione esecutiva il cui esercizio sarebbe affidato alla Commissione. Com' è noto, è invece il Consiglio ad avere, oltre alle funzioni normative, anche generali funzioni esecutive, allorché alla Commissione spettano le funzioni attribuitele espressamente dal Trattato ovvero ad essa delegate dal Consiglio, dunque nella misura individuata dall' atto attributivo dello stesso.

34. E' appena il caso di aggiungere, al riguardo, che "ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dal presente trattato" (art. 4, n. 1) e che l' art. 228 attribuisce in via generale al Consiglio la competenza a concludere gli accordi internazionali, previa consultazione - ove prevista - del Parlamento europeo, consultazione che, val la pena sottolinearlo, sarebbe stata necessaria qualora l' accordo fosse stato concluso dal Consiglio. Alla Commissione è invece riconosciuta unicamente la responsabilità della fase di negoziazione ed un limitato potere di stipulazione in relazione ad alcune ipotesi individuate, come si è visto, dallo stesso Trattato.

Ne consegue, a mio avviso, che la prassi non può in alcun caso modificare gli assetti e gli equilibri istituzionali così come definiti dal Trattato e che trovano nell' art. 228 indubbiamente uno degli ancoraggi fondamentali e di natura - sia detto in chiaro - costituzionale. Non riesco a dimenticare che ci troviamo in una Comunità di diritto: fondata sul principio di legalità e sulle competenze di attribuzione.

- Parallelismo competenze interne - competenze esterne

35. La giurisprudenza "AETS" (34), com' è noto, è il punto di riferimento ai fini dell' individuazione delle competenze esterne della Comunità, avendo la Corte affermato che la possibilità di stipulare accordi internazionali, oltre che nelle ipotesi tassativamente indicate nel Trattato, sussiste tutte le volte che la Comunità dispone di competenze sul piano interno (35).

Nella stessa sentenza si rinviene l' affermazione secondo cui "nell' attuare le disposizioni del trattato non è possibile separare il regime dei provvedimenti interni della Comunità da quello delle relazioni esterne" (36). E' chiaro che, qualora non si tenesse conto della circostanza che nel caso di specie era in discussione la ripartizione delle competenze tra Comunità e Stati membri, una siffatta affermazione potrebbe essere utilizzata per riconoscere alla Commissione, ove ne ricorrano le condizioni, un limitato potere a concludere accordi internazionali, che si configurerebbe quindi come una sorta di corollario alle competenze proprie possedute, in una determinata materia, sul piano interno.

36. La stessa Commissione ha tuttavia riconosciuto la non pertinenza di tale giurisprudenza nella fattispecie: e ciò appunto nella misura in cui concerne la ripartizione delle competenze tra Comunità e Stati membri e non, come nel caso che ci occupa, tra le diverse istituzioni.

Ciò precisato, va comunque rilevato che la stessa istituzione ha sostenuto, nel corso della procedura, che la sua competenza a concludere accordi sarebbe ancora più chiara nel settore della concorrenza, in quanto ad essa sola spetta il compito di vigilare sull' applicazione dei principi stabiliti dagli artt. 85 e 86 e sull' applicazione del regolamento (CEE) del Consiglio n. 4064/89 (37). In altre parole, la pretesa competenza a stipulare della Commissione si imporrebbe a maggior ragione, secondo la stessa istituzione, allorché esercitata in settori, quale quello della concorrenza, nei quali essa detiene, sul piano interno, competenze proprie direttamente conferitele dal Trattato: il che implicherebbe, in definitiva, che la sua competenza a concludere accordi in materia di concorrenza costituirebbe un' articolazione delle competenze normative ad essa attribuite dal Trattato sul piano interno.

37. La competenza ad assumere vincoli sul piano internazionale spetterebbe così ai medesimi organi che hanno la competenza ad esercitare i poteri normativi (comunitari) sul piano interno, con la conseguenza che una competenza autonoma della Commissione si prospetterebbe nei settori in cui alla stessa sono attribuite competenze normative proprie (38).

All' evidenza, una tale costruzione implica una rinuncia a individuare nell' art. 228, n. 1, un' autonoma e generale previsione in tema di stipulazione dei trattati, ipotesi che escludo in base alle osservazioni già svolte in precedenza sull' interpretazione della norma in questione e soprattutto sulla sua valenza "costituzionale" nell' economia complessiva del Trattato.

38. Ciò detto, e per l' ipotesi in cui la Corte dovesse invece sottoscrivere una tale costruzione, ritengo opportuno fare alcune osservazioni quanto ai poteri della Commissione in materia di concorrenza, osservazioni che inevitabilmente si intrecciano con le censure svolte dal governo francese, nonché dai governi intervenuti, in relazione all' asserita violazione delle norme sulla concorrenza.

Anzitutto, un potere di decisione autonoma in materia di concorrenza è attribuito alla Commissione unicamente dall' art. 89 del Trattato, che la autorizza ad accertare eventuali violazioni degli artt. 85 e 86, nonché dall' art. 90, n. 3, mentre solo il Consiglio dispone di una competenza regolamentare generale sulla base dell' art. 87 del Trattato. A ciò si aggiunga che, a stretto rigore, lo stesso art. 89 non conferisce una competenza esclusiva alla Commissione, nella misura in cui richiede la collaborazione degli Stati membri, nonché dei giudici nazionali.

39. Già tali osservazioni rendono evidente che la Commissione non dispone di poteri esclusivi nel settore in questione e, soprattutto, che il potere normativo rimane saldamente in capo al Consiglio. Quest' ultimo, tra l' altro, è chiamato ad adottare "tutti i regolamenti o le direttive utili ai fini dell' applicazione dei principi contemplati dagli artt. 85 e 86" (art. 87, n. 1), nonché a "definire i (...) compiti della Commissione (...) nell' applicazione delle disposizioni contemplate dal presente paragrafo" (art. 87, n. 2, lett. d): ciò che ha fatto attraverso l' adozione, in particolare, del regolamento n. 17 (39).

E non è certo un caso che sia il regolamento 17 a disciplinare, ad esempio, i rapporti e la cooperazione tra Commissione e Stati membri (art. 10), circostanza che già da sola è sufficiente a indicare come la materia oggetto dell' accordo sia regolata sul piano interno con atto normativo del Consiglio. Ancora più significativa, al riguardo, è la circostanza che la procedura di cui all' art. 24, n. 3, del già citato regolamento (CEE) del Consiglio n. 4064/89, nella parte in cui fa riferimento a negoziati con gli Stati terzi, si riferisce chiaramente alla procedura di cui all' art. 228 del Trattato: e ciò, ancora una volta, in un regolamento del Consiglio basato sull' art. 87. Le stesse considerazioni valgono anche in relazione all' art. 9 del regolamento n. 4056/86 (40), il quale, per l' appunto, prevede che qualora la sua applicazione porti ad una situazione di conflitto rispetto a norme di Stati terzi, la Commissione è tenuta a sottoporre delle raccomandazioni al Consiglio, che la autorizza a negoziare con lo Stato in questione in base alle direttive da esso impartite.

40. Le osservazioni che precedono rendono evidente che il potere di concludere l' accordo in questione non può in alcun caso essere considerato, nella logica della giurisprudenza "AETS", conseguenza delle competenze interne di cui la Commissione dispone in materia di concorrenza. Né potrebbe ragionevolmente sostenersi, in virtù del fatto che spetta alla Commissione il dover eseguire l' accordo, in quanto organo deputato alla vigilanza ed all' esecuzione delle norme di concorrenza, che la cooperazione istituita con le autorità statunitensi sia meramente funzionale rispetto al potere di vigilanza che le appartiene sul piano interno.

In ogni caso, infatti, talune disposizioni dell' accordo si pongono in contrasto con i poteri normativi detenuti dal Consiglio in materia, nel senso che vanno al di là delle competenze (di esecuzione) attribute alla Commissione in base al regolamento n. 17.

41. In particolare, il governo francese ha fatto valere la violazione, con le disposizioni dell' accordo, dell' art. 3, n. 2, del regolamento n. 17, che limita il potere di adire la Commissione agli Stati membri ed alle persone fisiche o giuridiche che fanno valere un legittimo interesse; e ciò nella misura in cui l' accordo controverso concede un tale potere anche alle autorità americane (art. 5).

Al riguardo, non mi sembra del tutto pertinente la tesi della Commissione secondo cui la norma in questione non le vieta di ricevere informazioni da fonti diverse da quella in essa previste. Se è vero, infatti, che le informazioni provenienti dalle autorità statunitensi si potrebbero considerare come fornite "volontariamente", non mi pare si possa altrettanto disinvoltamente fare astrazione del fatto che tali autorità hanno il potere di chiedere, alla stessa stregua degli Stati membri e delle imprese interessate, che sia avviata un' indagine rispetto a taluni comportamenti, soprattutto allorché una tale richiesta è circondata da una serie di garanzie, all' interno di uno strumento giuridicamente vincolante.

42. Il governo francese e quello spagnolo hanno altresì lamentato la violazione dell' art. 20 dello stesso regolamento n. 17, norma che sancisce, al fine di tutelare gli interessi dei singoli, il principio del segreto in ordine alle informazioni raccolte dalla Commissione in occasione dei suoi procedimenti. L' obbligo imposto dall' accordo di fornire informazioni arrecherebbe infatti pregiudizio, ad avviso degli stessi governi, alle imprese oggetto di un' inchiesta da parte della Commissione sulla base del diritto comunitario di concorrenza.

Ora, considerata l' estrema importanza e delicatezza del principio della riservatezza delle informazioni (41), in particolare nel settore qui in discussione, non mi sembra possano nutrirsi dubbi quanto al fatto che gli obblighi di notificazione, di informazione e di coordinamento, quali previsti dagli artt. 2, 3 e 5 dell' accordo, siano tali da porsi in contrasto con l' art. 20 del regolamento n. 17, in base al quale le informazioni raccolte dalla Commissione possono essere utilizzate soltanto nei limiti dello scopo per il quale sono state richieste (n. 1) e sono considerate, data la loro natura, coperte dal segreto professionale, sicché ne è vietata la divulgazione, divieto che concerne allo stesso modo la Commissione e le competenti autorità nazionali (n. 2). Al riguardo, è appena il caso di aggiungere che l' art. 8 dell' accordo, concernente appunto la riservatezza delle informazioni, non è tale da risolvere il problema in questione.

Né ritengo che la clausola di cui all' art. 9 dell' accordo, in base alla quale esso non può essere interpretato in modo tale da porsi in conflitto con il diritto vigente delle parti, possa costituire una soluzione soddisfacente ai problemi appena considerati. Trattasi infatti, più che altro, di una clausola di stile che, se effettivamente rispettata, porterebbe alla non applicazione dell' accordo relativamente alle disposizioni maggiormente rilevanti, finendo per svuotarlo completamente.

43. Considerato quanto precede, ritengo superfluo esaminare gli altri mezzi invocati dalla Francia a sostegno del presente ricorso, che, lo ricordo, è altresì basato sull' art. 33 CECA, sebbene le stesse parti abbiano fatto riferimento, nel corso della procedura, unicamente alle conferenti norme CEE. E' appena il caso di sottolineare, al riguardo, che anche a voler considerare che la Commissione avrebbe potuto stipulare un tale accordo limitatamente alle norme CECA, essa avrebbe dovuto farlo fondandosi sull' art. 95 CECA, dunque "su parere conforme del Consiglio deliberante all' unanimità e dopo consultazione del comitato consultivo". Non avendo rispettato tali condizioni, ne conseguirebbe comunque una violazione di forme essenziali, violazione che avrebbe conseguenze non diverse da quelle cui conduce la constatata incompetenza della Commissione in base alle rilevanti norme CEE.

44. Alla luce delle osservazioni che precedono, suggerisco pertanto alla Corte di accogliere il ricorso e di condannare la Commissione alle spese di giudizio, escluse quelle sostenute dagli intervenienti.

(*) Lingua originale: l' italiano.

(1) - Sul problema e per una analisi delle raccomandazioni adottate in materia, si veda lo stesso volume dell' OCSE, Mise en oeuvre du droit de la concurrence. Coopération internationale pour la collecte de renseignements, Paris, 1984.

(2) - Per un' analisi dei problemi in oggetto, v., per tutti, Picone: L' applicazione extraterritoriale delle regole sulla concorrenza e il diritto internazionale in Il fenomeno delle concentrazioni di imprese nel diritto interno e internazionale, Padova, 1989, pag. 80 ss.

(3) - La raccomandazione del 25 settembre 1979 aveva a sua volta modificato e sostituito le raccomandazioni del 5 ottobre 1967 e del 3 luglio 1973.

(4) - In tal senso la Commissione si esprime nella Relazione esplicativa sul progetto di accordo CEE / Stati Uniti in materia di diritto della concorrenza , inviata agli Stati membri unitamente al progetto di accordo. Il corsivo è nostro.

(5) - Per quanto riguarda la Comunità, tale normativa include gli artt. 85, 86, 89 e 90 del Trattato CEE, il regolamento (CEE) del Consiglio n. 4064/89 relativo al controllo sulle concentrazioni di imprese, gli art. 65 e 66 del Trattato CECA ed i relativi regolamenti di applicazione, compresa la decisione n. 24/54 dell' Alta Autorità, nonché le altre disposizioni legislative e regolamentari che le parti convengono per iscritto di considerare diritto della concorrenza ai fini dell' accordo (art. 1, n. 2, lett. a, sub ii).

(6) - Relazione esplicativa inviata agli Stati membri in allegato al progetto di accordo.

(7) - V., da ultimo, sentenza 16 giugno 1993, causa C-325/91, Francia/Commissione (Racc. pag. I-3283 punto 9 della motivazione).

(8) - Sentenza 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 263, punto 42 della motivazione).

(9) - V. pagg. 5 e 6 del controricorso.

(10) - V., in particolare, sentenza 30 aprile 1974, causa 181/73, Haegeman, (Racc. pag. 449).

(11) - Sentenza 30 aprile 1974, citata, punto 3/5.

(12) - Soluzione, questa, adottata anche nei confronti degli accordi misti; v., ad esempio, sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719, punto 7).

(13) - Parere della Corte dell' 11 novembre 1975, Racc. pag. 1355.

(14) - Parere 1/75, citato, pag. 1361.

(15) - Sentenza 27 settembre 1988, causa 165/87, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 5545.

(16) - V., per tutti, Rideau, J.: Les accords internationaux dans la jurisprudence de la Cour de justice des Communautés européennes: réflexions sur les relations entre les ordres juridiques international, communautaire et nationaux in Revue générale de droit international public, 1990, pag. 289 ss, in particolare pag. 380 ss.

(17) - E' appena il caso di aggiungere, poi, che il problema degli effetti di un eventuale annullamento si pone negli stessi termini, per quanto riguarda il rispetto degli obblighi assunti sul piano internazionale, sia che che vi sia una dichiarazione di nullità dell' accordo, beninteso per quanto riguarda la Comunità, sia che venga annullato l' atto che ha permesso la conclusione dell' accordo e che dunque ne costituisce il supporto giuridico.

(18) - Mi riferisco alla circostanza che di norma le decisioni relative alla firma di accordi rimangono sì consegnate nei relativi processi verbali, ma sono seguite da una decisione che approva l' accordo (atto relativo alla conclusione) e che è pubblicata: ma ciò, evidentemente, per quanto riguarda gli accordi conclusi dal Consiglio.

(19) - V. punto 7. V., inoltre, sentenza 19 maggio 1993, causa C-198/91, Cook, in cui la Corte ha ritenuto che una semplice lettera di informazione non costituisce una decisione di natura tale da poter essere oggetto di un ricorso in annullamento (Racc. pag. I-2487, punto 14 della motivazione).

(20) - Al riguardo, è sufficiente qui ricordare che una tale denominazione contraddistingue gli accordi conclusi dal Presidente senza l' approvazione del Senato. Si tratta di una procedura largamente utilizzata negli Stati Uniti e che trova fondamento in una prassi avallata dalla Corte suprema. E' appena il caso di aggiungere, poi, che gli executive agreements in nulla differiscono, quanto ai loro effetti ed alla loro collocazione nell' ordinamento internazionale, dagli accordi internazionali conclusi in base alla procedura con approvazione parlamentare prevista dalla costituzione federale.

(21) - V., in argomento, Schachter: The twilight existence of nonbinding international agreements in American Journal of International law, 1977, pag. 296 ss.

(22) - Basti per tutti ricordare gli accordi sulla cooperazione e sicurezza in Europa, che emergono dall' Atto finale della Conferenza intergovernativa di Helsinki del 1975.

(23) - Al riguardo, va segnalato, proprio nella materia che ci riguarda, l' accordo tra Stati Uniti e Canada del 9 marzo 1984 (v. in American Journal of International Law, 1984, pag. 659 ss), accordo in cui è espressamente previsto, all' art. 12, che esso non costituisce un accordo internazionale .

(24) - V., al riguardo, il rapporto provvisorio all' Institut de droit international di Virally: La distinction entre textes internationaux de portée juridique et textes internationaux dépourvus de portée juridique , in Annuaire de l' I.D.I., Session de Cambridge, vol. 60-1, 1983, pag. 166 ss, in part. 212 ss.

(25) - E' stato altresì sostenuto che la frase in questione potrebbe anche contribuer à délimiter la portée des notions négocier et conclure l' une par rapport à l' autre , non essendo del tutto agevole stabilire fino a che punto si estende la fase della negoziazione e quando comincia quella della conclusione. V., in tal senso, Louis e Bruckner: Relations extérieures in Megret, Le droit de la Communauté économique européenne, vol. XII, 1980, pag. 20 ss.

(26) - Si tratta dunque di una procedura completamente diversa da quella prevista dall' art. 228 CEE. In proposito, v. Raux: La procédure de conclusion des accords externes de la Communauté européenne de l' énergie atomique in Revue générale de droit international public, 1965, pag. 1019 ss.

(27) - Nelle memorie presentate nel corso della procedura, la Commissione ha in particolare fatto riferimento a 25 esempi di cooperazione bilaterale con Stati terzi, tutti successivi al 1974. Soltanto l' accordo controverso è stato tuttavia e formalmente denominato accordo. In altre occasioni la denominazione è stata diversa: scambio di lettere (diciotto), memorandum of understanding (due), intesa amministrativa (tre), agreed minute (uno). Ben otto di tali accordi sarebbero stati conclusi con gli Stati Uniti, alcuni direttamente con il governo, altri con determinati Departments .

(28) - Al riguardo, va tuttavia rilevato che, da un lato, l' apertura di delegazioni in paesi terzi può essere considerata rientrare nel potere della Commissione di organizzare i propri servizi e, dall' altro, che vi è comunque una tacita approvazione delle autorità di bilancio (Consiglio e Parlamento), approvazione desumibile dall' adozione degli stanziamenti necessari al loro funzionamento.

(29) - Gli accordi conclusi dalla Commissione in tale settore, sotto forma di scambio di lettere e per lo più relativi alla chiusura di Panel, sono comunque oggetto di discussioni preliminari in seno al Comitato 113 del Consiglio.

(30) - In tale ipotesi, si tratta di accordi che si inseriscono nel quadro di una normativa già esistente, nel senso che integrano o precisano altri accordi oppure atti di diritto derivato, adottata dagli organi competenti della Comunità.

(31) - Sentenza 23 febbraio 1988, causa 68/86, Regno Unito/Consiglio (Racc. pag. 855, punto 24).

(32) - Al riguardo, è appena il caso di aggiungere che negli ordinamenti interni un tale tipo di accordi è previsto espressamente (v., ad es., art. 59, n. 2, della costituzione tedesca) o quantomeno implicitamente, nella misura in cui sono previsti i casi in cui occorre un previo assenso da parte del Parlamento (v., ad es., art. 87 della costituzione italiana), con la conseguenza che la stipulazione è considerata validamente compiuta dall' esecutivo in tutti gli altri casi. Per contro, né l' art. 228, né altre norme del Trattato individuano, sia pure indirettamente, una tale possibilità.

(33) - Una tale teoria si collega alla circostanza che tradizionalmente la competenza a stipulare trattati internazionali era una prerogativa sovrana, dunque dell' esecutivo, prerogativa venuta meno o comunque fortemente limitata dall' intervento, nel procedimento di stipulazione, degli organi rappresentativi.

(34) - Sentenza 31 marzo 1971, citata, punti 12/15 - 20/22.

(35) - Nello stesso senso, da ultimo, parere della Corte 10 aprile 1992, 1/92, relativo al progetto di accordo tra la Comunità ed i paesi dell' Associazione europea di libero scambio relativo alla creazione dello Spazio Economico Europeo (Racc. pag. I-2821, punto 39).

(36) - Sentenza 31 marzo 1971, citata, punto 16/19.

(37) - Regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989 relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU L 257 del 21.9.1990, pag. 14).

(38) - In tal senso, v. Cannizzaro: Sulla competenza della Commissione CEE a concludere accordi internazionali in Rivista di diritto internazionale, 1993, pag. 657 ss.

(39) - Regolamento del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato (GU n. 13 del 21.2.1962, pag. 204).

(40) - Regolamento (CEE) del Consiglio 22 dicembre 1986, che determina le modalità di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato ai trasporti marittimi (GU L 378, pag. 4).

(41) - Al riguardo, v. sentenza 16 luglio 1992, causa C-67/91, Asociación Española de Banca Privada (Racc. pag. I-4785, in particolare punti 37 e 38), in cui la Corte si è pronunciata sull' importanza di un tale principio e sulle sue conseguenze nell' ambito dei rapporti tra Commissione e Stati membri.